Raffaello Galiotto. Design digitale e materialità litica

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Veronica Dal Buono

RAFFAELLO GALIOTTO Design digitale e materialitĂ litica

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L I T H O S Collana diretta da Alfonso Acocella



Veronica Dal Buono

RAFFAELLO GALIOTTO Design digitale e materialitĂ litica


Veronica Dal Buono

RAFFAELLO GALIOTTO Design digitale e materialità litica

Coordinamento Editoriale Editorial Coordination Antonio Carbone Progetto Grafico Graphic Design Maria Teresa Quinto www.mtquinto.it Stampa Printing Centro Grafico Foggia / Italia Traduzioni Translations easylanguage.it, Venezia Michael Lake (pp. 63-65 / 88-89) Crediti fotografici Photo credits © Raffaello Galiotto Disegni Drawings © Raffaello Galiotto Prima Edizione Aprile 2012 First Edition April 2012 Casa Editrice Librìa Melfi / Italia ed.libria@gmail.com www.librianet.it ISBN 978 88 96067 82 6

Produzione Production from Lithos Design srl San Pietro Mussolino (VI) / Italia www.lithosdesign.com Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale del testo e delle immagini, sono riservati.


Sommario_Contents

Ornamento litico contemporaneo La piega e la forma

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Tecnologie digitali e talento creativo Tre dialoghi con Raffaello Galiotto

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La collezione “Palladio e il design litico” “I Marmi del Doge”, design e ospitalità “Le Pietre Incise” si curvano

Quando il design scopre lo scalpellino informatico Vincenzo Pavan Bibliografia

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Contemporary stone ornamentation Fold and Form

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Digital technologies and creative talent

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Three dialogues with Raffaello Galiotto

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The ‘Palladio e il design litico’ collection ‘I Marmi del Doge’, design and hospitality ‘Le Pietre Incise’ bend

When design meets the computerized stonemason Vincenzo Pavan Bibliography

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Le Pietre Incise Curve, Giza

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Ornamento litico contemporaneo

La pietra, oltre che come complanare e piana epidermide conformata in lastre sottili, si offre al designer quale massa profonda, suscettibile di definizione disegnativa, che scavata e incisa porta alla luce l’attributo della forma. Anche entro la soglia sottile della lastra, le tecnologie contemporanee aprono nuove frontiere di lavorabilità delle superfici imprimendo il rilievo sulla realtà del piano e, mentre asportano veli leggeri di materia seguendo un prefigurato disegno, marcano la terza dimensione, restituendo il valore se non della profondità, quantomeno della tridimensionalità. Dal potenziale design delle superfici di pietra trae origine la presente riflessione e si dispiega seguendo un percorso che dal rivestimento parietale, attraverso continue metamorfosi, raggiunge la formalizzazione di elementi strutturali complessi per la definizione di spazi architettonici. Lungo questa strada, sperimentale e non priva di inediti disvelamenti, si innesta il lavoro di Raffaello Galiotto in collaborazione con l’azienda vicentina Lithos Design. Il nostro ragionamento, strutturato e finalizzato a descriverne l’iter ideativo-creativo e processuale-produttivo, s’inserisce in un’ampia riflessione sul tema delle superfici per il design e l’architettura, sviluppata specificatamente all’interno della cultura di progetto in pietra1. Pur rimanendo avvolto in polisemantiche stratificazioni di valori teorici, culturali, intellettuali che appartengono all’immaginario collettivo della memoria storica, anche il materiale lapideo, come già successo per altri materiali della tradizione2, è stato oggetto nell’ultimo ventennio di potenti trasformazioni e attualizzazioni. 1 Negli ultimi vent’anni si è diffusa la consapevolezza che i materiali lapidei possano essere interpretati e trasformati tramite linguaggi inediti e attualizzanti per svolgere un ruolo di nuovo attivo nel progetto di architettura e di design. Per la maturazione di questo pensiero sono da ritenersi fondamentali le attività culturali, svoltesi annualmente in occasione del Marmomacc, Fiera Internazionale di marmo, design, tecnologie, promossa dall’Ente Fiere di Verona, (come “International Award Architecture in Stone”, “Marmomacc Meets Design”, “Best Communicator Award”). Alfonso Acocella con il volume L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi (Lucense Alinea, 2004, pp. 625) – Stone Architecure (Skira, 2006), pe l’orizzonte internazionale – ha affermato con incisività la rivalutazione del sapere progettuale e costruttivo dello Stile Litico contemporaneo. Il libro è stato il punto di partenza di un ampio e ambizioso progetto culturale. Dal 2005 anima il dibattito sull’argomento il blog tematico www.architetturadipietra.it, espansione in rete del progetto di ricerca avviato attraverso il libro e modello di produzione di contenuti aperto, transdiciplinare e di intelligenza collettiva. La cultura dei materiali lapidei è potenziata recentemente dalla diffusione di specializzati corsi di formazione presso Istituzioni universitarie e professionali. 2 Materiali tradizionali quali il vetro, i metalli, i ceramici, i conglomerati, il legno, hanno da tempo intrapreso la strada dell’innovazione “ispirandosi” all’eclettismo dei materiali polimerici, “materia d’invenzione” per eccellenza del XX secolo, divenendo flessibili e versatili alle esigenze dei progettisti. Oggi, parallela alla scienza macroscopica dei materiali, si muove quella delle nanotecnologie capace di progettare materiali artificiali innovativi, intelligenti, iper-performanti, contaminando talora gli stessi materiali della tradizione e ibridandone le potenzialità.

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Elementi da rivestimento parietale della collezione Le Pietre Incise


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Drappi di Pietra, Ottoman

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Nelle sperimentazioni del contemporaneo la pietra ha visto aggiornare il proprio linguaggio formale declinando in eterogenee ibridazioni la natura polisemica e multiforme che le è propria. Aspra e dura quanto lavorabile, la materia litica è suscettibile di processi di trasformazione tali da presentarsi sotto forme in apparenza antitetiche: sottile o di grande spessore, leggera oppure gravissima, opaca e scura quanto traslucente, ruvida e scabra quanto liscia e levigata. Nell’ampio spettro di possibilità cromatiche, di tessiture, di ritmi compositivi mai uguali coniugati con la corporeità eccezionale della materia stessa, possono attingere a “piene mani” i progettisti contemporanei. Osservare gli elementi della collezione “Le Pietre Incise” di Lithos Design, seguirne lo sviluppo nelle variazioni di “Curve” e “Luce”, lasciarsi sedurre dalla stabilità plastica e insieme fluttuante dei “Muri di Pietra”, per giungere alla tridimensionalità massiva di “Materia Litica” e a quella degli innovativi rivestimenti a spessore “Drappi di Pietra”, è riconoscere l’interesse del progettista tanto per nuove forme virtuosistiche di rivestimento sottile in pietra che per simmetriche evoluzioni in spessore. La ricerca condotta da Raffaello Galiotto, autore di queste collezioni, risulta ai nostri occhi come un cammino sperimentale e innovativo, percorso in perfetta simbiosi con l’Azienda. Inderogabile premessa dell’intero progetto – perché di un progetto unico, complesso e prolungato nel tempo si tratta – è l’impiego del materiale litico. Le variazioni geometriche, la modularità regolare e replicativa del disegno, la sfruttabilità compositiva degli elementi, si aggiungono alla specificità della materia, al colore, alla grana, alle venature che variano da blocco a blocco, da lastra a lastra. La disuniformità naturale della pietra, corrispondente a reazioni differenti dell’utensile sulla stessa, diviene valore acquisito e costantemente interpretato nel progetto. Il disegno che Galiotto traccia perché poi si configuri una realtà formale, plastica, sulla superficie delle lastre, va a “sovrascrivere” il disegno naturale della pietra, lo assorbe, mettendo in valore la dimensionalità figurativa. La componibilità degli elementi litici che ne risulta armonizza e ricuce la discontinuità del materiale sottostante, crea continuità, se pur non complanare, e insieme definisce il rapporto tra le superfici e lo spazio allestito, fine ultimo del fare progettuale. Le pareti divengono pagine di un racconto fitto di segni reciprocamente legati tra loro dalla logica ferrea e matematica delle linee, e mutano, vibrano, assumono volume e profondità grazie alla diversa distribuzione della luce sui plastici rilievi. Questo l’aspetto linguistico inconfondibile che riconosciamo al design della pietra: nel progetto non esiste distinzione tra epidermide, colore di superficie – limiti percettivi dei corpi –, e materia sottostante portata alla luce. Alla forma reiterata in serie degli elementi si associa l’aura di unicità specifica del materiale; quel modo di essere unico della pietra che acquista una nuova natura man mano che gli strumenti la sgrossano e la modellano, guidando la macchina automatizzata ad un moderno scolpire e conformare dolcemente la materia. La programmazione a controllo numerico indirizza e governa il

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lavoro degli utensili, precisa ove tracciare i segni sulle superfici, ne puntualizza le profondità, la larghezza, l’angolazione e distanza delle incisioni, le entità delle asportazioni; a monte la visionarietà creativa dell’uomo posta a definire questi parametri. Il risultato di tale connubio sono inediti artefatti di pietra: prodotti industriali dalle originali configurazioni geometriche che, pur esplicitando la precisione dell’automatismo della produzione, magicamente celano la fattibilità della complessa figurazione; ed essa, persino agli occhi dell’intenditore, appare raffinata, inedita, opera prodigiosa di macchina, frutto di soluzioni tecniche insospettabili ma dal sapore scultoreo. Gli utensili tecnologici di recentissima generazione, quasi come elementi somatici artificiali posti a complemento delle prefigurazioni della mente ideatrice, sono usati con raffinatezza singolare e creano una netta distinzione nella qualità dei prodotti rispetto a molti di quelli provenienti dal severo e più tradizionale contesto industriale della lavorazione del marmo, settore spesso caratterizzato dalle produzioni di serie ripetute invariate nel tempo. Interrogati nelle loro peculiarità e versatilità, gli strumenti vengono spinti al limite delle loro possibilità. Macchine dal tocco intelligente, come mani di scultore mai stanco, lasciano sulla materia litica prima una traccia bidimensionale e poi, sempre più decisamente, si spingono a creare il tratto glifico sulla superficie. Ed è il lavoro di erosione superficiale a fissare prima l’abbozzo poi l’aspetto finale degli oggetti, fondendo assetti materici, geometrici, finanche comunicativi, del tutto nuovi. Le pietre così ornate di geometrie percettive, visive e tattili insieme, invitano alla possibilità di un’esperienza fisica e, attraverso l’espressione estetica, le avvolgono di significati che vanno oltre la funzionalità di semplici superfici. Il richiamo che esercitano ai sensi conferisce loro espressività e suggestione attrattiva. Soffermarsi ad osservarle è esperienza sensoriale e insieme invito alla riflessione su di un tema sempre latente, legato al senso delle forme e alla natura del design: il concetto di “ornamento”. Non si intende in questa sede ricreare una microstoria dell’ornamentazione ne affrontare criticamente le posizioni che molteplici autori3 hanno tenuto sull’argomento; ciò che si ritiene interessante è piuttosto la messa in gioco di alcuni termini tra loro concatenati nel senso e nell’evocazione, per poter leggere con adeguati strumenti la ricerca di Raffaello Galiotto e saperla posizionare opportunamente tra le tendenze progettuali del presente. Ragionando su “ornamento” e “decorazione”, piuttosto che pensare che affermazione e negazione di questi concetti si muovano secondo lo schema dei corsi e ricorsi storici, troviamo sia 3 Si innesta proprio su questo tema la discussione che diede vita alle “Arti applicate all’industria”, per fondare poi il “Disegno industriale” nell’accezione contemporanea. Grandi nomi del pensiero si sono susseguiti nella riflessione. Non citando gli Antichi e i lavori di alcuni pionieri (quali Quatrèmere de Quincy e Karl Bötticher), il tema dell’ornamento può dirsi esser stato alimentato proprio in avvio della modernità da Gottfried Semper, nella teorizzazione sull’origine tessile dell’architettura, (Gottfried Semper, Die vier Elemente der Baukunst, 1851) e quindi aver animato le appassionate teorizzazioni di Alois Riegl, di Adolf Loos, di Otto Wagner e di H. Petrus Berlage, di Georg Simmel. Proseguendo nel tempo, l’elenco dei pensatori raggiungerebbe l’oggi, offrendo “ornamento” e “decorazione” all’analisi critica del presente in modo non radicalmente diverso (se non per le strumentazioni tecnologiche) dalle origini delle discipline progettuali.

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Le Pietre Incise, Seta

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Le Pietre Incise Curve Luce, Tratto

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più adeguato leggere la presenza o assenza di ornamentazione come caratteri che convivono dialetticamente e contestualmente anche in epoche dominate da tendenze linguistiche e formali omogenee e conformanti, presentandosi con congenita duplicità, se non di pluralità. Così al riduzionismo – all’eliminazione del “superfluo”, dell’artificio e del colore – si affiancano momenti di recupero della figurazione, di valorizzazione del dettaglio, di virtuosismo delle forme, dei cromatismi. Coesistono accanto ai “minimalismi” ricerche in cui il linguaggio si avvicina a strategie figurative diverse, dove la complessità ricercata di linee, curve, pieghe della materia si fa valore, cifra progettuale. Vorremmo qui indagare i concetti di “figurazione”, “rivestimento”, “ornamento”, ipotizzandoli come possibili temi radicati nella natura concettuale e culturale del progetto, capaci di orientare il designer lungo il tragitto stesso della sua personale ricerca. La negazione, l’elisione, l’astinenza dalla lavorazione “ornata” delle superfici litiche, condurrebbe a pensare che la sola “funzione” sia capace di conferire significato profondo alla forma, prevalendo su di essa in uno sbilanciato dualismo. Eppure, ove la funzione fosse in grado di far nascere da sola la configurazione formale attraverso un processo di logica necessità, il progetto si risolverebbe in un paradosso, nella perdita di carattere dell’epidermide esterna e nell’azzeramento della qualificazione, per l’appunto, “ornamentale”. L’ornamento, invece, ci piace sostenere essere elemento non secondario rispetto alla creazione bensì “necessario”. È “progetto” esso stesso e conduce alla scoperta, al disvelamento della forma. Ma l’accezione del termine “ornamento”, così intimamente adiacente ai concetti di “decorazione” (e spesso di “rivestimento”) è mutata nel tempo. All’inizio del XX secolo la complessa gestione dei cicli industriali ha senza dubbio condotto il design sulla strada delle forme semplici e lineari, più facili da prodursi, innescando i diversi “purismi” del Moderno. Eppure la questione dell’ornamento, mossa da forze e pulsioni interne alla stessa materia, riemerge con insospettabile vitalità. Il riferimento interpretativo attraverso il quale procedere per dar corpo alla riflessione viene da un pensatore di lontane origini – Ananda K. Coomaraswamy – tra i più grandi studiosi dei rapporti tra sapienza simbolica dell’Oriente e cultura occidentale, la cui distanza critica può aiutarci a comprendere gli scopi originari dell’ornamentazione, a interpretarne il concetto. Nel saggio L’ornamento4, Coomaraswamy investiga la complessità del termine e lo riconduce alla sua natura archetipica.

4 Ananda Kentish Coomaraswamy, L’ornamento, p. 187-200, in Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milano, Adelphi Edizioni, 1987, pp. 532 (ed. or. Selected Papers. Traditional Art and Symbolism, Princeton University Press, 1977). Con immensa erudizione il pensatore e storico singalese (Ceylon 1877 - Massachusettes 1947) ha indagato, riportandosi alle radici, il pensiero, il rito, la simbolica delle arti compiendo una incomparabile e illuminate fusione tra Oriente e Occidente. Pubblica il saggio The Ornament in The Art Bulletin - College Art Association of America n. 21 nel 1939.

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Scendendo alle radici, la parola “ornamento” risulta etimologicamente legata ai termini latini ordo e ordinatio (con molta verosimiglianza è “ordinare” sincopato in ord’nare) e al corrispondente greco kósmos. Il primo significato è quello di “ordine”, con riferimento sia alla disposizione di ciascuna cosa nell’appropriata posizione, sia al ben più ampio “ordine del mondo”; in secondo luogo, ordine è sinonimo proprio di “ornamento”, abbellimento di persone, di animali, di spazi, attributo del linguaggio (in retorica l’ornatus). Così come kosmetikós significa “abile nel porre ordine”, kosmopoiesis è l’ornamentazione architettonica, dalla quale la denominazione di “ordini” architettonici. Proprio attraverso l’ornamento e le sue potenzialità materiche, l’architettura classica ha raggiunto il massimo livello di armonia e perfezione stilistica; non elemento superfluo ma fattore integrante di armonizzazione tra arte e tecnologia, elemento di connessione tra forma e significato, tra funzione e senso delle cose. Citando Coomaraswamy: «(...) se oggi il mondo si va sempre più svuotando di significato, ci è ancor più difficile credere che l’ornamento e la “decorazione” siano, propriamente parlando, fattori integranti della bellezza dell’opera d’arte: non parti in-significanti di essa bensì elementi necessari alla sua efficacia». 5 Qui l’espressione “opera d’arte” può facilmente essere trasformata in “oggetto industriale”, pensando ad un contesto dove attività figurativa e definizione formale-realizzativa, abbiano un chiaro legame con la produzione di artefatti, siano essi opere esclusive quanto prodotte in serie. Ritornando alle origini, l’ornamentazione era necessaria alla compiutezza delle forme; significava fare in modo che l’oggetto o anche la persona, caricati di valori semantici, potessero adempiere alla loro funzione convenientemente, con efficacia ed influenza. Nell’uso moderno il termine si è spostato ad indicare perlopiù un valore estetico superfluo, non essenziale, qualcosa di pleonastico e talora “lussuoso” aggiunto all’oggetto d’uso e come tale da cancellare per riportarne alla luce la purezza originaria. Tuttavia, se osserviamo l’esperienza dell’atelier creativo di Galiotto inquadrando il prodotto di design litico come esito di un processo, la connotazione pratica dell’ornamento mette in subordine la componente estetica. Riconoscendo come la combinabilità fluida di “Le Pietre Incise” sia evoluta nel progetto “Materia Litica”, trasformandosi in blocchi di grande spessore, per ritornare poi alla leggerezza plastica della collezione “Drappi di Pietra”, possiamo comprendere come l’ornamento creato dalle linee – siano esse estensione di un profilo o intersezioni estreme di un intreccio – non sia altro che l’espressione di una logica seriale di produzione industriale necessaria al raggiungimento della configurazione formale.

5 Ananda Kentish Coomaraswamy, L’ornamento, p. 188, in Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milano, Adelphi Edizioni, 1987, pp. 532 (ed. or. Selected Papers. Traditional Art and Symbolism, Princeton University Press, 1977).

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La linea, la curva e la piega della materia consentono di esplorare i linguaggi espressivi propri del materiale litico. Intelligenza creativa, conoscenza delle tecniche produttive ed eloquenza delle superfici ornate ci sembrano quindi indissolubilmente legate nell’attività di Raffaello Galiotto e Lithos Design, quasi a centrare appieno l’appello lanciato, in conclusione de L’ornamento, da Coomaraswamy: «(...) suggeriamo al designer che, se ogni buon ornamento aveva in origine un senso necessario, egli forse farebbe meglio a partire da un significato che vuole comunicare piuttosto che dall’intenzione di piacere».6

Nuance, Vello (Lithos Design in collaborazione con Il Casone)

6 Ananda Kentish Coomaraswamy, L’ornamento, p. 200, in Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milano, Adelphi Edizioni, 1987, pp. 532 (ed. or. Selected Papers. Traditional Art and Symbolism, Princeton University Press, 1977).

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Muri di Pietra, Graffio, Traccia, Onda

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La piega e la forma

Ad un primo sguardo privo della visione d’insieme, potrebbe sembrare che gli artefatti in pietra realizzati per Lithos Design siano frutto d’ispirazione istantanea, dono di eccezionali momenti creativi; contro ogni apparenza sono essi invece risultato di una lunga “sedimentazione interiore”, esito di un lavoro costante, in parte semi-conscio, mosso dalla fiduciosa apertura del designer verso la visionarietà del nuovo, dell’inesplorato. Se osserviamo l’estensione d’insieme delle sue creazioni di design litico, un carattere permanente, una intrigante ricorrenza può imporsi ai nostri occhi: la “piega” che si rincorre “sopra” e “dentro” la materia. Ci sentiamo di affermare che Raffaello Galiotto abbia alimentato il suo tragitto creativo attraverso il segno della “piega”, non solo come evento formale ma come complesso e preciso concetto produttivo. Nell’incidere, tagliare, modellare la superficie (o l’intero blocco di pietra), rende piega la materia litica stessa, energia in tensione, in orientata e conformante torsione. La superficie del materiale modellata dalle azioni trasformative, ne risulta connotata come “evento”, luogo del manifestarsi di un atto progettuale e processuale: il segno geometrico su di essa si mette in “movimento”, come spinto da forze plastiche ed elastiche che la luce rivela e fa vibrare. È la piega a determinare la forma e la profondità sfuggente e sottile della pietra che può esporsi con ironia mimetica giocando a scolpire e levigare, coprire e scoprire, celare e svelare se stessa, innescando inedite figure dove bidimensionalità e tridimensionalità si alternano e, a volte, si sovrappongono e si confondono tra luci e ombre in un dinamico chiaroscuro. Le analogie si moltiplicano. La piega è per definizione la parte di una superficie, il punto in cui si interrompe l’andamento rettilineo e si forma un angolo più o meno ampio. Semplice è ciò che produce una piega sola (dall’avverbio semel, una sola volta); complesso all’opposto ciò che ne somma molte. Decine sono i composti, i derivati verbali, letterali e figurati, dell’atto del “piegare”, dal latino plicare e splicare, a partire da di-spiegare, eliminare le pieghe, applicare, complicare, replicare, duplicare, amplificare... molti di essi sono legati al senso traslato di intrecciare la materia o più materie, creando qualcosa comunque di connesso insieme, di “implicato”. La piega è anche carattere senza tempo della materia litica; in geologia è la deformazione duttile, plastica e priva di rotture delle masse rocciose stratificate che giacciono originariamente orizzontali nel profondo della terra, capace di infondere alla roccia la forma di piega molto prima che sia l’uomo a trasformarla.

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Raffaello Galiotto progetta la superficie del materiale con la consapevolezza di quanto essa influenzi la nostra percezione e si identifichi con il principio di senso, riconoscibilità, identità, rappresentatività di ogni forma. La sua idea di modellazione è una sperimentazione costante e continua, non un punto d’arrivo definitivo ma un mutamento verso la potenziale forma successiva. L’ininterrotto percorso creativo, reso possibile soltanto dal know-how tecnologico della giovane azienda vicentina che lo accompagna, ha raggiunto nell’ultimo anno due approdi di singolare valore, sia pur tappe sicuramente temporanee nella sua inarrestabile produzione. Superata la complessità replicativa della collezione “Muri di Pietra”, la ricerca su artefatti in forte spessore prosegue ed è approfondita nel progetto dal titolo archetipico – perché proprio alle origini vuole guardare – di “Materia Litica”. Su un diverso fronte sperimentale la linea morbida, adottata come profilo dei conci monomaterici, si trasforma nella plastica tessilità degli elementi della collezione “Drappi di Pietra”. Entrambi i sistemi – trattasi infatti di sistemi costruttivi completi e non di rivestimenti – mirano a realizzare uno spazio totalizzante e plurisensoriale, permettendo una forte caratterizzazione dell’ambiente costruito, fisica e psicologica. Attraverso la scelta del materiale litico, la composizione strutturale degli elementi consente di entrare nello spazio e viverlo come esperienza di “design totale”. Spingendosi nella dimensione dell’abitare lo spazio con complicità del corpo, le creazioni di Galiotto tendono a produrre esperienza sensoriale, accogliendo diversità, originalità e sorpresa, caratteri in forte analogia con l’espressione che potremmo dire del “barocco”. Lontani dall’evocare tale definizione come etichetta, quale ritorno ad uno “stile”, vogliamo piuttosto cogliere l’analogia con taluni aspetti di un sistema di figuratività e di gusto e afferrare come la ricchezza formale, il virtuosismo, la capacità di cogliere e accogliere modi, decori, ricchezze e frammenti formali dal passato (che sopravvivono al fluire del tempo), quella di giocare con gli effetti chiaroscurali della luce sulle forme, possano ritrovarsi a dialogare con noi, coesistere nella fusion ibridatoria e onnivora del contemporaneo. Per tornare al valore “plastico-tridimensionale” della piega, ricorriamo al pensiero di Gilles Deleuze, filosofo acuto e originale, che ne precisa il concetto nell’omonimo scritto1, sulla base dell’interpretazione filosofica di un altro pensatore – non casualmente di età barocca –, Leibniz. Il Barocco, secondo Deleuze, curva e ricurva le pieghe e soprattutto (benché le pieghe non siano certo una novità in quanto esistono da sempre nella storia figurativa) le “porta all’infinito”. Riconducendo alla piega l’essenza del “barocco”, Deleuze giunge a scoprire come tale carattere travalichi i confini temporali e sia costante, “piega su piega”, anche del presente. In Deleuze la “piega” è una metafora, è il costruirsi dell’anima e della coscienza contemporanea.

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Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 1988, pp. 228 (ed. or. Le pli. Leibniz et le Baroque, Paris, Les Éditions de Minuit, 1988).


Nell’infinito riprodursi delle pieghe, nel loro incessante stratificarsi che produce composizioni visive, rapporti geometrici, “accordi”, possiamo rintracciare l’analogia con la visione non-convenzionale del design litico di Lithos Design. Nelle collezioni realizzate con Raffaello Galiotto la linea grafica e geometrizzante che configura i profili guarda, si confronta, con le tante pieghe già esistenti nella storia delle arti figurative – quelle greche, romane, classiche –, quelle più semplicemente dei tessuti, quelle contemporanee rese possibili dalla progettazione assistita da software, e attraverso di esse increspa, curva, va a ripiegare la materia litica. È nell’incontro con la risorsa rocciosa che si aziona poi l’incantesimo. Nella transizione dalla bidimensionalità del disegno alla terza dimensione della realtà fisico-materica, la piega può replicarsi più volte, molti-plicarsi (anche in questo verbo l’etimo di “piega”) e, serializzata grazie alla tecnologia delle macchine a controllo numerico, comporre una iterazione di sé potenzialmente senza fine. L’utensile meccanico, attraverso la piega, rende possibile l’estensione infinita della decorazione, la combinabilità iterativa e continua degli elementi, secondo una vocazione della materia sofisticata, “bizantina”; un’attitudine ad implicarsi in intrecci privi di confini, rivolti verso l’infinito, o forse verso l’indefinito. Oltre ai riferimenti diretti alle forme della cultura occidentale, l’ornamentazione delle superfici di Galiotto conduce lo spettatore a provare un’esperienza simile a quella dove le figure si ripetono identiche a sé stesse – come nella tradizione aniconica dell’Oriente – e si offrono ad una fruizione contemplativa, immobile, posta ad alimentare un’esperienza di interiorizzazione.

Muri di Pietra, modello tridimensionale per Traccia

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Muri di Pietra. Immagini e schizzi costruttivi per Traccia

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Muri di Pietra. Immagini e schizzo costruttivo per Onda

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Muri di Pietra. Immagine, modello tridimensionale e schizzo per Biblos

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La superficie sinuosa dell’opera muraria Materia Litica

Materia Litica “Materia Litica” esplora il tema, attualmente in forte rivalutazione e aggiornamento linguistico, delle strutture autoportanti monomateriche a forte spessore. È una muraglia composita, un’aggregazione di blocchi conformati secondo le pieghe curvilinee della materia. Le variazioni dimensionali prefissate – il blocco tipo è 70 centimetri di altezza e ugualmente di spessore, per 180 di estensione che possono modificarsi in funzione del progetto – sono sufficienti a comporre assemblage coordinati di elementi per risolvere opere murarie, angoli e aperture, architravi. “Piegando”, questa volta, l’intera composizione, elevando muri paralleli o perpendicolari, si realizza una forma chiusa che isola lo spazio, sia esso interno o esterno, dando vita all’architettura. Le superfici concave e convesse, le ondulanti pareti che fanno sistema nell’avvolgere ambienti e rivolgersi a spazi esterni, si flettono virtualmente senza inizio né fine e fanno palpitare lo spazio. I conci di “Materia Litica” considerati singolarmente nella precisione stereotomica, anche avvicinati in brevi tratti, determinano sempre intelleggibili identità formali che preludono alla costruzione di un muro. “Materia Litica” è la riscrittura formale, possibile nella contemporaneità, del tema del “concio” e della sua sintassi combinatoria. È materia naturale “separata” e quindi ricomponibile secondo un preciso disegno. Dal blocco di pietra, attraverso sagomatori progettati appositamente per il taglio dei complessi pezzi special-moulded, si ottengono elementi modellati perfettamente su ogni lato e ciò avviene senza produrre scarto. Il profilo superiore del concio coincide con quello inferiore e, specularmente, combacia per ricongiungersi perfettamente alla propria replica. La forma del singolo elemento è progettata affinché per ogni faccia non vi sia abrasione e consumo di materia ma solo il netto, sinuoso, taglio. La morbida flessuosità del profilo deriva dal vincolo, dalla necessità che da ogni blocco nasca il suo opposto e funzioni sia planarmente nella continuità muraria che nelle soluzioni angolari. Escludendo lo scarto di materiale litico, al pari si riducono costi e tempi di produzione; i blocchi sono – inoltre – certamente riutilizzabili, proprio come i componenti degli edifici antichi.

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Soluzioni costruttive per il dispositivo murario Materia Litica


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Materia Litica. Immagini dell’apparecchiatura muraria e schizzi configurativi degli elementi costruttivi

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Estrazione del travertino senese presso le cave di Serre di Rapolano, il designer al progetto, la produzione degli elementi. Immagini tratte dal video “Materia Litica�, realizzato da studiovisuale.it

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Drappi di Pietra La collezione “Drappi di Pietra” ancor più esplicitamente svela l’intenzionale riferimento del progettista alla metafora “tessile” del rivestimento architettonico. La piega si sviluppa e avviluppa sulla superficie, si moltiplica e nasconde, complica e amplifica l’effetto della materia litica. Non è la prima volta che il marmo viene “piegato” artificialmente. Il movimento plastico parte dal disegno per prefigurare una realtà immaginata e diviene traiettoria, realtà estensiva, andando ad occupare una quantità di spazio e di tempo tra un inizio e una fine. Così, attraverso la dinamica della linea, si profila il concetto di forma. Tornando ai molteplici “barocchi” della storia, come le pieghe degli abiti nella pittura invadono le intere superfici delle tele, sbuffi e panneggi escono dai confini delle cornici, egualmente nella scultura sono le pieghe dei tessuti lavorate nel marmo a non “congelare” il corpo delle strutture, evolvendo nello spazio, anelando a qualcosa di “oltre”. Galiotto dal disegno “tessile” delle superfici di pietra rinvenibile ne “Le Pietre Incise”, ha fatto molti passi raggiungendo la plasticità attraverso innovazioni fondamentali di processo sia creativo che produttivo, sottomettendo incisione e taglio a una volontà “morfogenetica”. Ai cinque modelli di “Drappi” il designer infonde estensione planare. Sinuosi e palpitanti i panneggi di pietra componibili evocano, intenzionalmente, la percezione tattile e oggettiva del tessuto. Ciascun elemento, in fase di produzione, è generato nel blocco di pietra dalle perfette curve del foglio soprastante in una serie di strati che si replicano con precisione assoluta e differiscono l’uno dall’altro solo nella decoratività intrinseca del materiale naturale. Sono prodotti di industrial design ma che presentano, ad estenderne e arricchirne il valore, i caratteri di unicità della materia litica, corroborati dall’estrema qualità realizzativa e dall’indiscutibile durata nel tempo. L’aspetto estetico-espressivo reso possibile dall’utilizzo intelligente e creativo delle macchine di ultimissima generazione, si offre al presente come potenzialità da cogliersi per sottrarre il prodotto dai tecnicismi della sola ingegneria e dai dictat dell’oggetto seriale, aprendo con innovazione radicale nuovi rami di espansione al mondo delle pietre e del design nel mercato globale. Il “decoro” eseguito industrialmente dall’elaborazione complessa di forme non planari, nasce con il supporto, con la stessa pietra, non in modo indipendente e separato da essa; nella moderna officina di Lithos Design, il progettista di forme, l’artefice delle “decorazioni” e il “gestore” delle macchine si incontrano in un’unica figura, ricongiungendo mondi ritenuti sinora disgiunti.

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Schizzi di configurazione dei modelli Tulle e Organza di Drappi di Pietra

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Tecnologie digitali e talento creativo

Il designer contemporaneo deve saper fare buon uso delle possibilità proteiformi offerte dalle avanguardie industriali del presente. Oggi le attrezzature meccaniche non sono solamente statiche ma possono imparare dall’esperienza, o meglio venir “addestrate” a reagire ad uno specifico feedback. La ripetizione invariata di un’azione o di una funzione, sinonimo di “meccanicità”, è superabile quando è l’essere umano a dirigere il processo produttivo individuando gli input di miglioramento. La frontiera innovativa dell’industria lapidea contemporanea è produrre artefatti che l’uomo artigianalmente non potrebbe mai realizzare. Elementi seriali nelle qualità estetiche e meccaniche, benché ottenuti lavorando su di una base materica naturale. Alle origini di tale ricerca di esattezza e costanza di risultato vi sono le sostanziali modifiche avvenute sia nel campo della produzione che nella fase di progettazione. Nel design litico contemporaneo la forma, prima di materializzarsi, diparte dal disegno automatico informatizzato, magico strumento a creazione istantanea, o così si potrebbe pensare, di idee, di prefigurazioni, di modelli di un qualsiasi manufatto. Il software consente di realizzare disegni tecnici di precisione, genera immagini realistiche dell’artefatto sullo schermo del computer, in un secondo tempo trasferisce informazioni geometriche e dimensionali ai programmi di lavorazione per la produzione dei pezzi. CAD (Computer Aided Design) significa “progettazione assistita da elaboratore”; la progettazione è strettamente congiunta alla produzione attraverso il sistema CAM (Computer aided manufacturing), ovvero “fabbricazione assistita da elaboratore”. In che modo, fino a che punto, il computer “assiste” realmente l’uomo in tali azioni? Certo la macchina affianca il designer consentendo la precisione nel disegno tecnico e fornisce informazioni agli utensili nella produzione e lavorazione del pezzo, ma sta alle facoltà concettuali umane il compito di indirizzare l’azione sia dell’elaboratore che della meccanica di produzione. Questo è l’atteggiamento che possiamo riconoscere nella concezione, prototipizzazione e industrializzazione delle collezioni di design litico realizzate negli anni, con tenacia e creatività, da Raffaello Galiotto e Lithos Design.

Drappi di Pietra, Tulle

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Negli ultimi anni del XX secolo abbiamo assistito ad una particolare rivoluzione che partendo dai contesti industriali è penetrata sino a raggiungere le strutture di progettazione ed il settore della formazione. Nell’ambito del progetto, sia esso design di prodotto, di interni o architettura, i sistemi informatizzati di disegno, renderizzazione, prototipazione sono andati affermandosi offrendo sempre maggiore potenzialità prefigurative. Il mondo del disegno digitale ha rivoluzionato il modo di pensare il progetto ponendo, come tutte le grandi trasformazioni, anche variabili di rischio. A repentaglio ne è risultato il rapporto tra l’intelligenza creativa e la corrispondente capacità realizzativa dell’uomo, trasferita dalla mano agli strumenti meccanici. Per dirla alla Richard Sennett, una minaccia verso lo sviluppo delle abilità dell’uomo artigiano.1 Le opportunità formali e materiali del disegno automatico, della modellazione tridimensionale e della “renderizzazione” (ovvero di simulazione della visione reale), appaiono oramai vaste e “spettacolari”. È sufficiente predisporre alcuni punti sullo schermo e trasmettere qualche comando a tastiera che un effetto prefigurativo, fatto di linee a due o tre dimensioni, può essere generato con grande facilità. Il progetto poi può essere modificato con estrema velocità e altrettanto velocemente lo si può cancellare, con minor conseguenze di quando il disegno veniva realizzato su supporto cartaceo. Mutazioni, rigenerazioni, avvicinamenti e prospettive lontane, ricreabili alla velocità di un istante e infinitamente autogeneranti sono così a disposizione dei progettisti. E grande può risultare la fascinazione ipnotica per il gioco che linee e superfici vettoriali tracciano nel mondo immateriale, leggero, virtuale dello schermo. Diverso, invece, quando l’invenzione e le idee incontrano la materia fisica, reale, pesante. E se la materia è la pietra l’impatto è ancor più singolare. Gli strumenti informatici, nel campo della progettazione, hanno indotto un progressivo distacco tra la creatività e la capacità manuale dell’autore proprio per la velocità a completare l’idea ancora prima che essa sia realizzata. La simulazione visiva possibile a schermo è considerata infatti altamente realistica, indipendentemente dalla realizzazione tangibile di ciò che è rappresentato. Se tali opportunità possono essere di stimolo senza dubbio alla generazione di forme sinora impensabili, la concezione prefigurativa resa possibile dai sistemi digitali può tuttavia porre il rischio di scarsa riflessione e approfondimento sulla qualità e valore delle cose. La rappresentazione prima svolta su carta dalla mano era lenta e riflessiva e costringeva l’uomo a pensare e radicare nella mente l’effetto delle sue scelte. L’esecuzione dei segni, la ripetizione di tratteggi con precisione millimetrica, la correzione manuale degli errori, la scelta di colori e simbologie tra una gamma limitata di possibilità, era molto diversa dal testare librerie preconfigurate e pressoché infinite di trame, texture, colori, effetti di luce, campiture materiche.

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Richard Sennet, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 318 (ed. or. The Craftsman, New Haven & London, Yale University Press, 2008).


In quest’abbondanza di opzioni possibili, cui si aggiunge la velocità esecutiva del disegno automatico che comprime i momenti riflessivi e creativi, si trova ad operare il progettista contemporaneo, correndo il rischio di risultare “assistito” dalle macchine piuttosto che indirizzarle e “piegarle” al proprio progetto. Nelle funzioni di default, preconfigurate, non si individua la soluzione; essa può risultare solo coniugando la conoscenza del materiale con la comprensione delle conseguenze che si possono ottenere attraverso le diverse impostazioni della macchina, guidando l’utensile alla precisa corrispondenza con l’idea prefigurata. L’opera intera di Raffaello Galiotto svolta con Lithos Design sembra invece opportunamente governare tale sistema di rappresentazione. È evidente come il designer abbia padronanza degli strumenti, li sappia sottomettere e da essi non sia dominato. Individuando un proprio linguaggio, applicando scelte, Galiotto ribalta il processo e diviene il protagonista che governa, dialoga, “assiste” e dirige le macchine. In particolare il lavoro svolto sul materiale lapideo è stato reso possibile dal know-how della giovane azienda vicentina.

Drappi di Pietra, Chiffon

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Taglio e scavo di elementi litici con macchine a controllo numerico

A quest’ultima va il merito di essere fortemente dinamica, attiva e capace di mettere in valore le proprie risorse tecnologiche per raggiungere l’obiettivo del progetto, nel rispetto dei requisiti di produttività ed economia della produzione. Con un approccio che ancora guarda alla qualità dell’alto artigianato, Lithos Design sa unire il pensare e il fare, ritornando in progress continuo a rivisitare il progetto attraverso gli strumenti per realizzarlo e mostrandosi predisposta alle continue metamorfosi circolari del progetto. A suo vantaggio la conoscenza approfondita del materiale lapideo, trasferita puntualmente al designer per ottenere il risultato di una organica e armonica simbiosi. Il rischio di discrasia, di disequilibrio, tra la prefigurazione del disegno attraverso la simulazione digitale e la corporeità fisica del prodotto è superato dalla conoscenza fisica della realtà materiale con la quale si opera, in questo caso propriamente le qualità specifiche dei materiali lapidei. Il team di progetto e manageriale – il designer e le figure di Alberto e Claudio Bevilacqua titolari di Lithos Design – ha esperito direttamente con i sensi gli effetti della luce sulla materia, ha conosciuto attraverso l’esperienza tattile la matericità delle superfici dei diversi litotipi, sa come si comportano al calore, al vento, alle sollecitazioni strutturali, all’azione forte e incisiva delle macchine sul blocco. Solo partendo da tali presupposti la simulazione digitale non è surrogato imperfetto del reale ma utile strumento di verifica e prova. Conoscendo intimamente le proprietà della materia litica, i condizionamenti e vincoli reali che essa può comportare, l’intelligenza e la creatività progettuale non hanno utilizzato l’elaboratore elettronico come strumento per rimuovere, o dissimulare, le difficoltà reali del progetto. In un dialogo continuo, il processo messo a punto da Lithos Design configura e controlla prima il disegno, poi le informazioni da trasmettersi alle potenti macchine a controllo numerico, quindi le difficoltà che l’incontro tra gli utensili e la materia inevitabilmente genera, per modellare su di esse la precisione millimetrica che il sistema CAD/CAM consente.

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I progetti di Raffaello Galiotto per Lithos Design sono pensati esclusivamente per essere realizzati a macchina, in serie univoche e omogenee che incontrano la naturale eterogenità dei vari litotipi. I risultati – serie di artefatti dalla precisione morfologica assoluta – sono resi possibili proprio dal controllo e correzione delle imperfezioni: incontro tra macchina e materia, libertà adattiva della pietra naturale e componenti meccanizzate. È proprio l’indeterminatezza e la peculiarità del materiale lapideo, lavorato dalla precisione degli utensili, a generare e determinare la bellezza degli oggetti. Solo in tal modo gli artefatti di design litico acquisiscono “carattere”. La manipolazione e simulazione di oggetti generati e sviluppati all’interno degli schermi dei computer (e in apparenza come già compiuti), non deve sottrarre il progettista a revisionare, a riscrivere il progetto, mettendo in discussione il disegno attraverso l’auto-riflessività e reintroducendo elementi di variabilità e nuovi sviluppi. Solo in questo modo la ricerca non perde occasioni di avanzamento, di apprendimento, e l’ingegno umano rimane partecipe e non consumatore passivo di strumenti. Raffaello Galiotto nel suo modo di progettare ritorna circolarmente al disegno, alla verifica in fase di produzione, al gesto manuale e allo studio delle proporzioni rispetto all’occhio e al corpo umano che il disegno automatico, infinitamente scalabile, non consente. La grande sfida a cui rispondono i manufatti che incontriamo lungo il tragitto creativo svolto con Lithos Design, è continuare ad essere concepiti con qualità di alto artigianato, facendo uso corretto della tecnologia digitale e mediando attraverso conoscenza ed esperienza reale della materia. Il designer, conservando pensiero e pratica come attitudini intimamente connesse, è teso a risolvere il conflitto tra la visionarietà e le abilità manuali e delle macchine. Con impegno e dedizione, con costanza nell’individuazione dei problemi e della loro risoluzione, lascia il progetto aperto ogni volta, in una zona di confine, pronto ad accogliere la metamorfosi litica successiva.

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Drappi di Pietra, Tulle

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Drappi di Pietra, Foulard


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La collezione “Palladio e il design litico�, Marmomacc 2008

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Tre dialoghi con Raffaello Galiotto

La collezione “Palladio e il design litico” Verona, ottobre 2008 Presso gli eventi fieristici Abitare il Tempo e Marmomacc, nelle edizioni del 2008, si alzò il velo sopra una ricca collezione di oggetti di design litico, firmati Raffaello Galiotto, che trassero ispirazione da una originale ricerca su temi, disegni e realizzazioni di Andrea Palladio e confluirono poi con successo nella mostra itinerante “Palladio e il design litico”, promossa dal Consorzio Marmisti del Chiampo (Vicenza 2009, Harrogate, Gran Bretagna 2009-2011, Francoforte, Germania 2012). Il progetto di ricerca figurativa, produzione ed exhibit multiaziendale, seguito nel 2009 dall’esperienza “I Marmi del Doge” sempre con il Consorzio vicentino, innescò un processo dialogico tra il designer e alcune realtà produttive illuminate del territorio. Per primi i prodotti della serie “Le Pietre Incise”, nati dalla congiunzione fortunata con Lithos Design, giovane realtà imprenditoriale della Valle del Chiampo, avviarono alla pluriennale sperimentazione di Galiotto sulla materia litica, consentendone la fruttuosa evoluzione. Veronica Dal Buono: Dai polimeri ai lapidei, dalla “materia d’invenzione” emblema della modernità, la plastica, a quello per eccellenza della “permanenza”, della “durata”, la pietra. Quali gli obiettivi che hai scelto di perseguire avvicinandoti al mondo dei lapidei e quali le opportunità prefigurate? Raffaello Galiotto: Mi sono posto il traguardo affascinante di lavorare un materiale naturale, unico, non ripetibile. Ponendomi a confronto con una materia di tale indubbia importanza, fin dal primo momento è nato l’interesse a conoscerne la natura, comprenderne l’origine e l’eccezionalità; d’altra parte, nella consapevolezza del portato storico e culturale sotteso ad essa, ho cercato di conservare un atteggiamento di discrezione e riguardosa discipina. Rispetto alle mie sperimentazioni precedenti vi è quindi una differenza enorme. Pensando ai polimeri, si tratta di una famiglia di materiali che non hanno una tradizione remota e, artificiali per lo più, sono una continua e inesauribile fonte di nuove possibilità plastico-formali; dall’altra parte invece la pietra, con una cultura figurativa millenaria alle spalle e una serie di caratteristiche dalle quali il progetto non può prescindere. Un approccio completamente diverso dove la materia gioca il ruolo della protagonista e attribuisce all’opera, in un certo senso, l’unicità.

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Quindi, nel design litico, alla industrializzabilità di serie si accompagna l’unicità del materiale, la venatura, l’intrusione, la stratificazione, la macchia di colore, elementi tante volte semplicisticamente considerati “difetti” ma che divengono in questo caso le caratteristiche espressive identitarie dell’opera stessa. V.D.B.: Quali conseguenze pensi possa esercitare la ricerca applicata al materiale lapideo sul tuo orientamento progettuale futuro? R.G.: Probabilmente da oggi in poi, dopo essermi misurato con la pietra, si verificherà un cambiamento nel mio atteggiamento verso i materiali del progetto di design. Lo verificherò a breve approfondendo il rapporto con un altro contesto, quello del legno. Anch’esso un materiale naturale ma che possiede la caratteristica della rinnovabilità. L’albero cresce, muore e si ripianta mentre il marmo lo si estrae una sola volta. Per quanto riguarda invece altri universi materici come polimeri e metalli, la ricaduta di cui posso avvalermi è nell’approccio culturale, ovvero osservandone i percorsi dell’esperienza, ibridandone quando possibile i contenuti formali ed espressivi. V.D.B.: Collaborando con le aziende del Consorzio Marmisti del Chiampo come si è articolato il rapporto impresa - committente e designer - progettista? R.G.: Alcune di queste aziende, quelle alla prima esperienza con il design, sono cambiate molto durante il percorso: hanno riconosciuto l’esistenza di un diverso punto di vista, un modo nuovo di pensare gli oggetti e sentirli propri quindi, nella collaborazione hanno affrontato una produzione “personale” affacciandosi sul mercato con un atteggiamento completamente diverso. Nel dialogo con il designer, in generale, la principale difficoltà che le aziende affrontano è nella relazione con una persona “esterna” che si “intromette” nel ciclo produttivo, nell’intimità aziendale, pensando che vada a snaturarne in qualche modo le caratteristiche: tale diffidenza è dovuta alla paura che il designer carpisca e porti altrove il know-how, il segreto industriale. Nel mio caso ciò non si è verificato, grazie alla reciproca conoscenza e stima. Anzi, le aziende si sono aperte in modo disponibile e trasparente alla ricerca e alla messa a punto dei processi produttivi per realizzare la collezione. Non solo, hanno scoperto che guidate dal design nel processo produttivo, hanno più da imparare che da perdere. V.D.B.: Per la realizzazione delle opere in pietra pensate per la collezione, marmo, granito e pietre come vengono scelti? Quali le caratteristiche del materiale che interessano particolarmente? Come si articolano le fasi di creazione dell’oggetto, ovvero viene prima il litotipo e poi il disegno o viceversa? R.G.: La scelta del materiale è stata effettuata in funzione del litotipo che l’azienda già dispone, conosce e lavora. Il progetto è pensato per creare un prodotto con un determinato materiale per

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Elementi della collezione Le Pietre Incise Palladio

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La collezione “Palladio e il design litico� presso la Loggia del Capitaniato, Vicenza 2009

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una specifica azienda che già lo sappia lavorare. Il Consorzio Marmisti del Chiampo, nel suo complesso, è capace di lavorare qualsiasi tipo di materiale lapideo; se la singola azienda è specializzata a lavorare il marmo difficilmente lavora il granito o la pietra e viceversa. Per le precise funzionalità e caratteristiche da rispettare, sono stati dunque abbinati precisi materiali a precisi progetti. Per esempio i pavimenti da esterno o gli oggetti da arredo urbano hanno richiesto l’uso di pietre particolari, resistenti agli agenti atmosferici. Allo stesso modo sono stati scelti materiali più teneri, magari fonoassorbenti, meno lucidabili, per oggetti da interni che non avessero necessità specifiche o ben valorizzassero queste caratteristiche. Non ultimo il colore e le venature, qualità intrinseche dei litotipi che influiscono in modo rilevante sulla scelta nella produzione di un oggetto. Un oggetto della serie creata per “Palladio e il design litico”, come dicevo pocanzi, non può prescindere dal materiale. La tessitura superficiale, il forte disegno che questi materiali portano in sé, sono caratteri che possono giovare al progetto come d’altra parte, se non prefigurati, possono giocare a svantaggio creando ridondanza tra disegno dell’oggetto e disegno del marmo, innescando un rapporto conflittuale. V.D.B.: Riproducibilità tecnica, precisione nel dettaglio consentite dalle tecnologie automatiche, da un lato; singolare originalità del progetto d’autore, dall’altro. Come si concilia nella realizzazione delle opere questa duplicità e più in generale nella tua specifica visione del design? R.G.: Questa considerazione è molto importante. Non stiamo parlando infatti di produzione artistica ma di design. Il designer industriale è un progettista che non mette mano direttamente all’opera ma la affida a un esecutore esterno, quindi non è la capacità manuale il fattore primario di resa dell’opera ma la congiunzione fra la visionarietà, la forza del progetto, e la precisione, la forza dell’esecuzione meccanica. Certi oggetti non sarebbero realizzabili o non avrebbero lo stesso fascino se fossero realizzati con l’imprecisione manuale, non sono pensati per consentire l’irregolarità, aggiungere un’invenzione, un apporto creativo, dello scalpellino esecutore. Questo è un concetto importante da chiarirsi nel contesto del design litico. Il designer progetta gli oggetti già prevedendo la loro fattibilità; l’azienda cerca di realizzarli tramite un processo produttivo fattibile, economico e riproducibile. V.D.B.: Produzione in serie corrisponde spesso a diffusione di massa. Il design litico, secondo te, a che pubblico si rivolge? R.G.: Un materiale così prezioso, così limitato nelle quantità, non è pensabile che possa affrontare mercati di grande scala; ciò non per forza va a scontrarsi con il concetto di serialità. Per spiegarmi, progettare un oggetto per produzione in serie mi consente di studiare in modo preciso tutti gli aspetti e spalmare il costo del progetto su più pezzi, quindi rendere competitivo un oggetto progettato correttamente. Ecco come la serialità giova anche a questi prodotti, oggetti che non hanno specificatamente come obiettivo quello della grande serie ma hanno quello dell’alta qualità. *

l’intervista è stata pubblicata su architetturadipietra.it, 4 ottobre 2008

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“I Marmi del Doge”, design e ospitalità Verona, settembre 2009 Dopo il successo dell’iniziativa “Palladio e il design litico”, il Consorzio Marmisti della valle del Chiampo ha scelto di ripercorrere la strada della ricerca e sperimentazione aderendo con entusiasmo ad un nuovo progetto proposto da Raffaello Galiotto. “I Marmi del Doge”, presentato presso gli eventi fieristici Abitare il Tempo e Marmomacc del 2009, è un progetto di rivalutazione del patrimonio storico e architettonico del territorio veneto e insieme un’opportunità di apertura al mercato complesso e globalizzato del presente per il design litico contemporaneo. VDB: Anche in questa occasione, dopo l’esperienza collettiva “Palladio e il design litico” (2008), il passato di pietra ritorna per raccontare il presente. Qual è il riferimento storico attualizzato in questa occasione e per quali motivazioni? RG: Personalmente, quando progetto qualcosa di “nuovo”, esso dipende sempre da ciò che ho visto precedentemente, sia per similitudine che “per negazione”. La conoscenza degli esempi del passato è uno stimolo per programmare una evoluzione delle idee ponderata e che abbia “radici”. Con questo sentimento ho affrontato “I Marmi del Doge”, un progetto teso ancora una volta a valorizzare la lunga tradizione e le capacità produttive delle aziende del Consorzio Marmisti del Chiampo. Ho scelto uno degli esempi più alti e forse più enigmatici della cultura architettonica, il Palazzo Ducale di Venezia, secondo Ruskin “l’edificio che racchiude in sé il romano, il longobardo e l’arabo in una proporzione assolutamente imparziale”. L’obiettivo de “I Marmi del Doge” è la traduzione di alcune riflessioni e suggestioni che partono proprio dall’osservazione e studio del Palazzo, in elementi di design in pietra per ambienti contemporanei, orientati all’ospitalità e all’accoglienza. VDB: quali valori, quali permanenze hai posto al centro del progetto? Che metodo hai seguito per il progetto dell’ampia e variegata collezione di artefatti in pietra? RG: Ancora una volta – questo è il metodo che mi è proprio – ho osservato gli aspetti costruttivi, le linee che conformano gli elementi, i cromatismi, dell’opera di riferimento. Il palazzo di pietra che fu sede del governo veneziano si presenta ancor oggi a noi nella sua singolare e complessa articolazione, quasi “paradossale” potrei dire. Pare galleggiare sull’acqua e man mano che si sale in altezza il paramento si appesantisce, diminuendo le traforature fino alla parete policroma e continua interrotta solo da alcune aperture di minor dimensione. Ad emergere prepotentemente la pietra, bianca e rossa, che leggera come un pizzo nel basamento sorregge un arazzo di losanghe multicolore nella parte superiore.

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“I Marmi del Doge”, Marmomacc 2009

Riducendo gli elementi all’essenziale, si potrebbero identificare due modi di utilizzo del materiale lapideo. Da un lato la maniera scultorea che scava e trafora il bianco d’Istria, per modulare i pieni e i vuoti lasciando che la luce incida le varie tonalità di grigio della materia, fino a raggiungere le cavità interne ed un senso di profondità prospettica. Dall’altro una muralità litica realizzata in modo “pittorico”, bidimensionale, che usa il colore e la composizione “tessile” di piccoli elementi – tozzetti lapidei – per denotare una tessitura vibrante dal suggestivo effetto ottico. Questi due modi opposti di lavorare la pietra sono stati guida del mio lavoro interpretativo. VDB: Il design litico è al centro della tua attività di ricerca e sperimentazione, perché? RG: Il design è una leva competitiva che crea valore aggiunto rispetto alla risorsa di partenza. In questo caso, nella sua particolare declinazione di “design litico”, la risorsa è la pietra, materiale unico, irripetibile, che conserva valori di portata storica ma che al contempo è suscettibile di innovazione. Prim’ancora che un progetto che prevede la produzione di oggetti di design litico da immettersi sul mercato, “I Marmi del Doge” è un progetto di “concept design” ove il design in sé si fa leva competitiva dell’economia. Vorrebbe porsi come una proposta innovativa, attraverso la sinergia tra design e know-how aziendale, che esplicita e valorizza il livello tecnologico raggiunto dalle aziende del Consorzio e insieme intercetta tendenze evolutive del mercato, se pur di nicchia, legate alla richiesta di prodotti di alta gamma, qualità, unicità e durata.

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“Le Pietre Incise” si curvano Vicenza, febbraio 2011 Proseguendo nell’osservazione e analisi dell’attività di Raffaello Galiotto nel settore del design litico, ne abbiamo studiato le evoluzioni, divertiti ci siamo lasciati ammaliare dalle sue rinnovate idee per un design di qualità, insieme capace di rispondere alle esigenze del mercato contemporaneo e alla quotidianità dell’utente finale. Incontriamo nuovamente Raffaello in occasione della presentazione della collezione “Le Pietre Incise Curve” realizzata per Lithos Design, per rivolgergli alcuni interrogativi sul suo percorso, sulla sua visione di innovazione. V.D.B.: Come descriveresti sinteticamente la tua personale attitudine al mestiere di designer? Qual è il metodo che ti consente di affrontare realizzazioni sempre diverse per forme, materiali, tipo di utenti finali? R.G.: Personalmente cerco di affrontare ogni richiesta con curiosità e interesse sempre rinnovato e ciò mi porta a studiare e approfondire di volta in volta i diversi problemi. L’eterogeneità non è un disagio bensì un aspetto affascinante. A volte mi trovo a progettare articoli in plastica dove gli utenti finali che sono gli animali domestici e contestualmente elementi d’arredo per il mercato del lusso. Non mi sento di appartenere ad una categoria, forse la cosa che mi contraddistingue è la capacità di immedesimazione, ovvero scoprire lati nascosti della mia stessa personalità. L’importante è che ciò che si fa catturi l’interesse, l’emozione delle persone. Fin dalla giovinezza sono stato conquistato dai contesti dove a regnare fosse la creatività, soprattutto il mondo artistico-artigianale, dove si producono le cose con le mani. Mi piacciono la matericità, il colore, la luce. Ho scoperto successivamente che proprio questi elementi hanno a che fare anche con l’industria. Essa ne trae profitto e così cerco di trarne anch’io la mia personale soddisfazione. Mi piace il mio lavoro e fatico molto per esso, eppure “mantenere la famiglia” grazie ad un lavoro che è anche passione, mi rende felice. V.D.B.: Oltre alla vicinanza logistica, quali interessi ti hanno avvicinato alle industrie del comparto lapideo? R.G.: Mi ha sempre affascinato il marmo perché si relaziona con un immenso orizzonte di forme accumulate nel tempo, legate alla cultura figurativa, alla scultura e all’architettura. È una materia straordinaria, irripetibile, matrice di capolavori assoluti. Per progettarla e lavorarla bisogna mantenere un atteggiamento diverso anche nella contemporaneità, direi propriamente di rispettoso “ossequio”. Rispetto ai materiali sintetici ha una nobiltà incomparabile. Originario della Valle del Chiampo come sono, non avrei potuto non tentare ripetutamente di propormi alle aziende di questo settore.

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Le Pietre Incise Curve, Fondo

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V.D.B.: A questo proposito, come descriveresti il settore del marmo; quali le principali differenze rispetto agli altri campi produttivi nei quali ti muovi? R.G.: Rispetto ad altri è un settore che da diverso tempo trae profitto più dal commercio della materia che dalla lavorazione. Questo ha sempre spostato l’attenzione delle aziende sulle quantità, sui “metri quadrati” vendibili. Oggi il mercato in Italia e in Europa è cambiato, non ci sono più le quantità di materia prima e i margini di profitto di qualche tempo fa. Ecco che comincia a diventare interessante anche un approccio trasformativo, dove la tecnologia e la creatività possono fare la differenza. V.D.B.: Negli ultimi anni, dal tuo primo approccio al design litico a oggi, che cosa ritieni possa dirsi cambiato – se cambiato – in tale specifico settore di produzione? R.G.: Se prima era una mia convinzione che lavorare sul tema del design litico al presente potesse funzionare, ora sono i fatti che lo dimostrano. Il ritorno economico dei progetti passati rende possibili investimenti che prima non lo erano. In sostanza c’è un atteggiamento di maggior fiducia nel design. V.D.B.: L’esperienza di collaborazione condotta con continuità con l’azienda Lithos Design ti ha visto approdare alla realizzazione di molteplici, originali e suggestive collezioni. In che modo tale relazione ha segnato e incide tuttora sul tuo percorso? R.G.: Il design non è fatto solo da chi lo pensa ma anche da chi ne consente la realizzazione. Lithos Design ha creduto fin da subito nel design come strumento per l’innovazione e investe quindi con continuità in nuovi progetti. Questa avventura che prosegue ormai da diversi anni fa crescere anche me quale progettista: di volta in volta posso trarre esperienza dalle realizzazioni precedenti e dalle risposte del mercato. V.D.B.: Come si è costituito e come si articola nello specifico il dialogo tra Lithos Design committenteimprenditore e la figura di Raffaello Galiotto progettista-designer? R.G.: Le aziende sono fatte dalle persone e sono il rispetto e la fiducia reciproca a consentire il funzionamento dei rapporti nonché a determinare il successo stesso dell’azienda. Con i fratelli Bevilacqua, Alberto e Claudio, ci si confronta abitualmente e passo a passo si individuano le strategie per il futuro. Non dimentichiamo che quasi sempre ogni prodotto comporta un investimento in macchinari specifici, possibilmente progettati ad hoc, condividendo i progetti fin dall’origine sulla carta, passando per molteplici prove grazie alla loro disponibilità.

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V.D.B.: Quanta ricerca, dedizione e attenzione, richiede lo studio di una nuova linea di prodotti? R.G.: È un impegno notevole che coinvolge tutti gli aspetti del processo creativo, produttivo, commerciale... ogni nuova linea è frutto di un attento esame sugli investimenti e sulle sue reali potenzialità commerciali. Alla fine comunque a decidere è la convinzione dell’imprenditore, è una questione, se si può dire, “di fiuto”. Ogni vera novità rompe gli schemi e fortunatamente sfugge alle previsioni del marketing. V.D.B.: Com’è nato il progetto “Le Pietre Incise” e in particolare come si è evoluto? R.G.: Già da qualche anno stavo sviluppando elaborazioni sul tema delle superfici immaginando di sperimentarne la resa plastica su pietra, quando Claudio Bevilacqua mi chiese di sviluppare una ricerca proprio in quella direzione. Non mi sembrava vero, è stata una coincidenza eccezionale. Poi, dai primi prototipi si è passati ad un progetto vero e proprio, con investimenti in macchinari e una ricerca approfondita sul disegno e la forma che è ancora in evoluzione. Poi si è giunti a “Le Pietre Incise Curve”, passando dalla superficie alla forma tridimensionale e quindi alla relazione con l’elemento luce. Sicuramente un aspetto nuovo, una sorta di quarta dimensione che potrà essere perfezionata e sviluppata ulteriormente.

Le Pietre Incise Curve Luce, Fondo

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Le Pietre Incise Curve Luce, Seta

V.D.B.: Tensione verso configurazioni formali che guardano alle forme della “natura” o a quelle del “classico”, al contempo uso di tecnologie produttive d’avanguardia: come si coniugano questi aspetti progettuali nella tua attività? R.G.: Ben sappiamo quanto la bellezza classica sia ispirata alla natura; ciò che mi affascina maggiormente è il legame geometrico-matematico sottinteso a tali relazioni e esso è senza tempo. È una sorta di ordine nascosto fondamentale. Forse è in questo che risiede il maggior margine di indagine possibile anche al presente, per la realizzazione di prodotti che rispondono anche al mercato contemporaneo. V.D.B.: Quando e come entrano le tematiche di sostenibilità ambientale nella tua ricerca? R.G.: Il tema dell’ambiente purtroppo mi sembra che in taluni casi sia tradotto solo in un’etichetta anche se attraverso di esso si giocherà comunque il nostro futuro. È un aspetto che va affrontato, al di là dei temporanei incentivi o slogan propagandistici.

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In particolare nel progetto in materiali lapidei l’attenzione è sempre rivolta al materiale, non solo per la sua reperibilità ma anche nella fase produttiva. La riduzione del materiale di scarto, sino al quasi annullamento dello stesso, è l’imperativo al quale vincolo sempre le forme del progetto. V.D.B.: All’interno dell’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, svolgi un ruolo ufficiale specificatamente per la Delegazione Veneto e Trentino Alto Adige. Da tale osservatorio privilegiato, quali riflessioni puoi realizzare rispetto alla situazione attuale del design in Italia e in particolare nel comparto del nord-est? R.G.: Ritengo che la situazione attuale abbia fatto emergere in modo evidente che la nostra competitività si gioca sulla capacità di far emergere il lato positivo del Paese, ciò che in Italia si sa fare con più competenza. Il passato recente, soprattutto nel nord-est, si è investito sulla produzione di quantità, perché era più redditizia e facile. Ora lo scenario è cambiato e la qualità, il design, sono aspetti notevolmente più considerati. Credo che oggi sia necessario spingere su di un maggior dialogo tra l’industria e il mondo del progetto, della ricerca, passando anche attraverso le Istituzioni universitarie. Da una parte il design non va considerato come un costo ma come un valore, dall’altro i designer devono capire le necessità reali dell’industria o dell’artigianato, producendo progetti a misura e non discesi “dall’alto”, seguendo il falso mito del designer-star. Il nostro compito è quello di divulgare una cultura del design come sistema che coinvolge tutti gli aspetti, dal modo di pensare, al produrre al comunicare, al vendere, al riciclare. V.D.B.: Cosa pensi della promozione della cultura del design attuata nel nostro paese? R.G.: Penso che ci sia molta confusione, che spesso si chiami “design” anche ciò che non lo è propriamente. Vedo molte mostre e sperimentazioni patrocinate o sponsorizzate anche da enti pubblici che, diciamo, non conducono a nulla. Vedo molti giovani cadere nella trappola illusoria del design come “arte” o mera espressione del proprio io. Manca invece la seria promozione di un design che risponda alle reali necessità dell’utente. Un design che renda i prodotti più sicuri, più comodi, più economici e rispettosi dell’ambiente. V.D.B.: Quale consiglio ti senti di lasciare alle aziende e ai produttori industriali italiani in questo particolare momento storico? R.G.: Abbiate fiducia nei giovani designer, adottateli facendo loro capire il mondo produttivo e commerciale del quale poco hanno appreso durante il percorso di studi. Saranno loro, in un contesto in continua evoluzione, la vera risorsa. *

l’intervista è stata pubblicata su architetturadipietra.it, 10 febbraio 2011

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“I Marmi del Doge”, Marmomacc 2009

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Quando il design scopre lo scalpellino informatico Vincenzo Pavan

Ancora incerto e controverso appare il radicamento dei materiali litici nel mondo del design. Anche in tempi recenti essi sembrano scontare delle difficoltà a inserirsi in aree di mercato a questo settore dedicate e nella stessa cultura progettuale su cui si sono sviluppati il design di prodotto e di interni. Alcuni maestri contemporanei hanno indagato negli anni ’60, ’70 e ’80 del secolo scorso questi materiali, realizzando prodotti di elevata qualità estetica con alto tasso di creatività. Ma più che una vocazione ciò è apparso come un approccio legato a brevi e circoscritte opportunità, anche se per taluni non episodiche, come se a limitare l’espandersi di quell’indirizzo di ricerca si alzassero delle barriere così ardue che anche autori assai creativi e professionalmente capaci fossero scoraggiati ad andare oltre e “depistati” verso altri materiali ritenuti più performanti. Certo, su ciò hanno sfavorevolmente giocato condizioni strutturali e culturali di contesto. Ossia una scarsa o nulla propensione del settore produttivo lapideo, indipendentemente dal livello economico e tecnologico sviluppati dalle singole aziende, a farsi coinvolgere dal mondo del design italiano, che pure a partire dagli anni ‘60 del ‘900 viveva in Italia una fortunata e quasi incontrastata ascesa sul mercato internazionale. Archiviata la ricca tradizione artigianale pre-moderna e i suoi sistemi di trasmissione dei saperi, il settore lapideo ha cercato per decenni di coltivare quasi esclusivamente un mercato orientato alle superfici litiche piane, orizzontali o verticali che fossero, trattate o non trattate comunque bidimensionali, prive di ogni altro valore aggiunto se non quello di essere appunto di pietra: un materiale che si riteneva potesse soddisfare “di per sé” quei contenuti di pregio e di lusso che il mercato edilizio gli aveva destinato. D’altronde anche un certo proibizionismo, mosso da motivazioni etiche, inibiva in architetti e designer la spinta a superare quella concezione della pietra capace di fare “di per sé”, ossia andare oltre la semplice lastra tagliata, squadrata e normalizzata in pochi essenziali formati. E dunque si sono dovuti attendere alcuni lustri prima che la ricerca interrotta dei maestri trovasse un nuovo flusso di energia che permettesse di “andare oltre”. Da un lato l’immissione nel mercato di macchine di lavorazione a controllo numerico computerizzato, con applicazioni specifiche per i materiali litici, aveva indotto la maggioranza delle aziende a dotarsi di questi nuovi strumenti di trasformazione. Dall’altro la comparsa sui tavoli informatizzati degli architetti di sofisticati programmi di

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modellazione tridimensionale hanno aperto nuove prospettive per il progetto litico. Ma ciò che ha reso più feconde queste scoperte e ne ha consentito un utilizzo creativo è stata la possibilità di connettere il progetto digitale tridimensionale con le nuove macchine di lavorazione realizzando un circuito assai efficiente tra ideazione e oggetto finito. In questa straordinaria prospettiva la pietra iniziava a essere vista e indagata con uno sguardo diverso. Soprattutto nell’area del design non potevano sfuggire le nuove potenzialità di immaginazione creativa nell’atto progettuale offerte dai software di ultima generazione, contemporaneamente sul piano realizzativo si andava concretizzando la possibilità di trasferire antiche abilità artigianali alle macchine e a processi industriali capaci di replicare a velocità straordinaria oggetti formalmente anche assai complessi destinati a una produzione seriale. Si è così aperta una nuova realtà nella attività litica, definita dello “scalpellino informatico”, una fase in cui anche i prodotti lapidei – che per essere eseguiti richiedevano particolari competenze manuali artigianali – possono essere concretamente inseriti in un processo di produzione totalmente robotizzata. Un terreno questo su cui si cimentava da oltre un decennio la scuola di Claudio D’Amato dell’Università di Bari, orientata alla ricerca degli elementi della costruzione stereotomica a partire dai codici classici. Da questo contesto prende le mosse il percorso litico di Raffaello Galiotto. Sostenuto da una solida formazione maturata nell’industrial design egli intuisce precocemente i vantaggi di un trasferimento sui materiali lapidei del know-how metodologico e tecnologico fornito da quella disciplina. Non si tratta soltanto di allargare il campo di applicazione delle macchine informatizzate a un ambito di prestazioni ben più vasto e aperto rispetto a quel limitatissimo uso che normalmente se ne fa nei laboratori di trasformazione, quanto soprattutto di indagare le potenzialità latenti dei materiali litici sotto l’azione precisa del lavoro delle macchine stesse. Ben diverso infatti è l’esito della incisione in profondità di uno stesso pattern sulla superficie di pietre o marmi di differente composizione petrografica. Su alcuni litotipi la fedeltà dell’esecuzione in termini di texture e precisione calligrafica può essere assai aderente al progetto, su altri invece il margine di imprecisione può produrre effetti non controllati che alterano il senso dell’opera; in altri casi ancora un’eventuale alterazione non voluta potrebbe invece imprimere impreviste qualità tattili sulla superficie litica. Analogo ragionamento va fatto per le macchine, anch’esse strumenti in fase evolutiva, da cui si può ottenere – modificando l’applicazione di utensili – effetti assai diversi, per cui alla fine lo “scalpellino informatico” agisce come il suo antenato manuale. Attraverso l’interazione di tecniche e saperi nuovi, sempre più il designer prende nelle proprie mani il controllo diretto di tutte le operazioni necessarie alla realizzazione di un prodotto. È chiaro però che l’esito formale finale non si ottiene sul tavolo di studio ma necessita di un accumulo di esperienze tecniche e creative sul campo che richiedono la creazione di un nuovo profilo disciplinare. È in questa direzione che Raffaello Galiotto ha lavorato nell’ultimo lustro della sua attività di designer. Fondamentale per lo sviluppo del suo percorso è stato il radicamento in un’area di produzione litica, la Valle del Chiampo, un sito di antica tradizione artigianale del settore ma con una

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significativa presenza di imprenditori che hanno saputo reagire alla crisi degli ultimi anni puntando sull’innovazione e la ricerca. Dalla prima esperienza di modellazione litica, che vede coinvolto un consorzio di aziende della Valle e che ha come tema la rielaborazione della grande cultura veneta del passato, Galiotto prende lo spunto per dispiegare un programma assai efficiente di strategia comunicativa sulle nuove potenzialità offerte dalla progettazione digitale integrata alle macchine a controllo numerico. Le due mostre “Palladio e il design litico” del 2008 e “I Marmi del Doge” del 2009 si rivolgono infatti prima di tutto ai produttori stessi che possono così sperimentare in concreto un nuovo e insospettato livello tecnologico di trasformazione dei loro prodotti. In secondo luogo propongono oggetti di alta qualità che forniscono alle aziende l’opportunità di presentarsi sul mercato internazionale con un catalogo assolutamente inedito e innovativo, ma contemporaneamente ispirato alla prestigiosa cultura classica del territorio veneto. Un’operazione quindi di innovazione e marketing che costituisce una solida base per una estensione sempre più pregnante del percorso di ricerca del suo autore. A partire da queste esperienze l’esuberante creatività di Raffaello Galiotto si allarga in più direzioni, sperimentando con singole aziende, tra le quali in particolare Lithos Design, cicli di opere e prodotti in cui si fondono arte, design e architettura. La mostra “Luce e Materia” (Marmomacc, 2011) e le collezioni realizzate con Lithos Design “Le Pietre Incise”, “Nuance” (con Il Casone, 2011), “Muri di Pietra” e la più recente “Drappi di Pietra”, rappresentano altrettante tappe di un vasto programma che procede per nuclei tematici di ricerca aventi come contenuto il rivestimento modulare, la tridimensionalità, la leggerezza e l’impalpabilità, la traslucenza, la riflessione speculare, la massività stereotomica. La loro declinazione attraverso i diversi materiali litici sembra tracciare l’inizio di numerosi percorsi da riprendere, esplorare, approfondire. Tra questi uno dei più affascinanti è rappresentato dal cambio di scala dell’oggetto, ossia quel passaggio cruciale “dall’architettura del piccolo alla dimensione architettonica” a cui prima o dopo tutti i designer pervengono, e che anche Galiotto sembra si stia attrezzando ad affrontare.

“I Marmi del Doge”, lampada Doge, Serafini Marmo Luce

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Ambientazione realizzata con Risma della collezione Nuance (Lithos Design in collaborazione con Il Casone)

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Contemporary stone ornamentation Stone, as well as being a coplanar and flat surface shaped into fine slabs, offers itself to a designer as a profound mass, susceptible to definition by design, which when carved and engraved reveals the attribute of form. Also within the fine threshold of a slab, modern technology creates new frontiers in surface workability, imprinting a relief onto a plane and, while it removes light veils of material following a pre-set design, it marks out a third dimension, restoring the value, if not of depth, at least of threedimensionality. This reflection is inspired by the design potential of stone surfaces and it follows a path from wall coverings, through continual metamorphoses, to formalised complex structural elements for architectural spaces. The work of Raffaello Galiotto, in partnership with the Vicenza company Lithos Design, follows this experimental path and contains some new revelations. Our essay is structured and aimed at describing its creativeimaginative and procedural-productive process, and is part of a broader reflexion on the theme of surfaces for design and architecture, developed specifically within the culture of stone design1. Although wrapped in polysemantic layers of theoretical, cultural and intellectual values that belong to the collective image of historical memory, stone (as is also the case with other traditional materials)2, has undergone powerful transformations and modernisation over the last twenty years. Modern experimentation has updated the formal language of stone, declining its polysemous and multifaceted nature in heterogeneous hybridisations. As hard and rough as it is workable, stone undergoes transformation processes that cause it to appear in apparently completely contrasting forms: thin or thick, light or extremely heavy, dark and opaque or translucent, rough and uneven or smooth and honed. Contemporary designers can fully explore the continually varied and wide range of possible colours, textures and compositional rhythms, combined with the exceptional corporeal nature of the material itself. Observing the elements of Lithos Design’s ‘Le Pietre Incise’ collection, following the development of ‘Curve’ and ‘Curve Luce’, being seduced by the plastic and fluctuating stability of ‘Muri di Pietra’, to arrive at the solid three-dimensionality of ‘Materia

Litica’ and that of the innovative coverings in various thicknesses of ‘Drappi di Pietra’, is to see the designer’s interest in both new virtuoso forms of fine stone coverings and symmetrical evolutions in thickness. The research carried out by Raffaello Galiotto, who is responsible for these collections, appears to us to be an experimental and innovative path that is in complete harmony with that of the company. The essential premise of this unique, complex and on-going project is the use of stone. The geometric variations, the regular and replicative modularity of design and the compositional possibility of the elements combine with the special features of the material - the colour, grain and veining that varies from block to block, from slab to slab. Stone’s natural lack of uniformity, which corresponds to different reactions to the tools used on it, becomes an added value that is constantly interpreted in the project. Galiotto’s design, which then becomes a formal, plastic reality on the surfaces of the slabs, ‘overwrites’ and absorbs the natural design of the stone, highlighting its representative dimensionality. The resulting composability of the stone elements harmonises and re-links the discontinuity of the material beneath. It creates continuity, even if it is not linear, and both defines the relationship between the surfaces and the space covered, which is the final aim of the project. Walls become pages in a tale full of signs that are reciprocally linked by the mathematical, iron logic of the lines, and mutate, vibrate and acquire volume and depth as a result of the various distribution of light on the plastic reliefs. This is the unmistakeable linguistic aspect of stone design: in the design there is no distinction between the epidermis, the surface colour - the perceptive limits of bodies - and the material beneath that is revealed. The form of the elements, which is reiterated in a series, is associated with the material’s aura of specific uniqueness; the singleness of stone, which gradually acquires a new nature as tools hew and model it, guiding automatic machines to a modern way of gently sculpting and shaping the material. Numerically-controlled programming directs and manages the work of the tools, precisely marks the surface and sets the depth, width, angle and distance of the incisions, as well as the quantity of material to remove; yet it is man’s creative vision that defines these parameters. The result of this combination are new stone artefacts: industrial products with original geometric shapes, which - although they embody the precision of automatic production - magically con-

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ceal the feasibility of such a complex representation; and this, even to the expert eye, appears as the elegant, new, prodigious work of a machine, the result of unexpected technical solutions, though with a sculptural flavour.

‘Minimalism’ co-exists with research in which language moves closer to different representative strategies, where the studied complexity of lines, curves and bends in the material is an added value and mark of design.

Last generation tools, like artificial, somatic elements that complement the prefigurations of the creative mind, are used with singular refinement and create a clear distinction in the quality of products, compared to many of those created in the more regimented, traditional context of industrial marble work, a sector that is often characterised by mass produced objects that are repeated and do not vary over the years. When their special features and versatility are explored, tools are pushed to the limits of their possibilities. Machines with an intelligent touch, like the hands of a sculptor that never tires, first leave a two-dimensional outline on stone and then, increasingly decisively, create a glyphic outline on its surface. This superficial erosion fixes first the rough outline and then the final appearance of objects, blending completely new material, geometric and even communicative arrangements. Stone decorated in this way with perceptive, tactile and visual geometries offers the possibility of a physical experience and, through aesthetic expression, is cloaked in meanings that go beyond the functional nature of simple surfaces. The effect they have on the senses imbues them with expressivity and the power of attraction.

Here we would like to investigate the concepts of ‘representation’, ‘covering’ and ‘ornamentation’, considering them as possible themes rooted in the conceptual and cultural nature of design, which orientate the designer along the path of his or her personal research. Negation, elision or absence of ‘ornate’ workmanship on stone surfaces, may lead one to think that ‘function’ alone is able to confer a profound significance on form, prevailing over it in an unequal dualism. However, if function alone were able to produce formal structure through a process of logical necessity, design would result in a paradox, in a loss of the nature of the external epidermis and the cancellation of the aforementioned ‘ornamental’ qualification. However, we prefer the idea that ornamentation is not a secondary element to creation, but a necessary one. It is in itself ‘design’ and leads to the discovery and revelation of form.

Stopping to observe them is a sensory experience and an invitation to reflect on a theme that is always latent, linked to the sense of the form and nature of design: the concept of ‘ornamentation’. Our aim here is not to produce a short history of ornamentation, or a critical review of the opinions that many authors3 have held on the subject. What is interesting is the use of several terms linked in sense and evocation, to interpret Raffaello Galiotto’s research with adequate tools and to position it in modern trends in design. If we reflect upon ‘ornamentation’ and ‘decoration’, rather than thinking that the affirmation and denial of these concepts move according to the scheme of the recurrent cycles of human history, we consider it more appropriate to interpret the presence or absence of ornamentation as features that exist dialectically and contextually even in eras dominated by homogeneous, conformative linguistic and formal trends, and appear with congenital duality, if not plurality. Therefore, together with reductionism - the elimination of the ‘superfluous’, the artificial and of colour - there are moments in which representation, valorisation of detail and virtuoso feats of shapes and colours recur.

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The meaning of the term ‘ornamentation’, which is so closely related to the concepts of ‘decoration’ (and often ‘covering’) has changed over time. At the beginning of the 20th century, the complex management of industrial cycles undoubtedly led design along the path of simple, linear forms, which were easier to produce, leading to contemporary ‘purism’. However, the issue of ornamentation, moved by forces and drives within the material itself, has reemerged with unexpected vitality. The interpretative reference we will use to give substance to this reflection, is that of a philosopher from a far-off country - Ananda K. Coomaraswamy - one of the greatest scholars of the relationship between the symbolic wisdom of the East and Western culture, whose critical distance can help us understand the original aims of ornamentation and interpret the concept. In his essay “Ornament”4, Coomaraswamy investigates the complexity of the term and traces it back to its archetypal nature. If we return to its roots, the word “ornament” is etymologically linked to the Latin words ordo and ordinatio (in all likeness it is the word ‘ordinare’ shortened to ord’nare) and to the corresponding Greek kósmos. The first meaning is that of ‘order’, referring both to everything being in the right place and the much broader ‘world order’. Secondly, order is a synonym of ‘ornament’, beautifying people, animals, spaces or an attribute of language (in rhetoric, ornatus).


Just as kosmetikós means ‘skilled in the art of adornment’, kosmopoiesis is architectural ornamentation, from which comes architectural ‘orders’. Classical architecture reached its highest level of harmony and stylistic perfection through ornament and its material potential; not as a superfluous element, but as an integral factor in harmonising art and technology, an element of connection between form and meaning, between the function and sense of things. In the words of Coomaraswamy: “(...) we are not concerned with beauty, which is traditionally proportionate to the perfection of the artifact itself (...); our concern is rather with the aesthetic view of art, and the decorative values of art, which depend on taste and liking rather than on judgment. (...) various words that have been used to express the notion of an ornamentation or decoration and which in modern usage for the most part import an aesthetic value added to things of which the said “decoration” is not an essential or necessary part.”5 Here the expression “art” can easily be transformed into “industrial design”, if we think of a context where representational activity and formal-implementational definition have a clear link with the production of artefacts, whether they are exclusive or mass-produced items. To return to the origins, ornamentation was needed for the completeness of forms. It meant ensuring that an object - or even a person - filled with semantic values, could fulfil their function properly, effectively and with influence. In modern usage the term has moved towards indicating, for the most part, a superfluous and non-essential aesthetic value, something unnecessary and even ‘luxurious’ added to the object of use and, as such, to be erased in order to restore its original purity. However, if we observe Galiotto‘s creative workshop, treating the product of stone design as the result of a process, the practical connotation of ornament dominates the aesthetic element. If we recognise how the fluid combinability of ‘Le Pietre Incise’ has evolved in the ‘Materia Litica’ project, transforming into extremely thick blocks to then return to the plastic lightness of the ‘Drappi di Pietra’ collection, we can see how the ornamentation created by the lines - whether they are extensions of a profile or extreme intersections of an interlacement - is nothing other than the expression of a serial logic of industrial production, needed to achieve formal structure. Lines, curves and bends in the material allow us to explore the expressive language of stone. Creative intelligence, knowledge of production techniques and the eloquence of ornate surfaces seem inextricably linked in the work of Raffaello Galiotto and Lithos Design, almost a perfect response to the appeal launched at the end of Coomaraswamy’s “Ornament”:

“(...) and suggest to the “designer” that if all good ornament had in its beginning a necessary sense, it may be rather from a sense to be communicated than from an intention to please that he should proceed.”6

1 In the last twenty years awareness has spread that stone can be interpreted and transformed through new and contemporary languages to play again an active role in architecture and design. A fundamental contribution to developing this line of thinking is made by the cultural activities that take place every year as part of Marmomacc, the international exhibition of marble, design and technology, promoted by the Verona Trade Fair Organisation, (like the ‘International Award Architecture in Stone’, ‘Marmomacc Meets Design’ and ‘Best Communicator Award’). In the volume L’architettura di pietra. Antichi e nuovi magisteri costruttivi (Lucense Alinea, 2004, pp. 625) - Stone Architecure (Skira, 2006) for the international scene Alfonso Acocella has clearly affirmed the re-evaluation of design and construction skill in contemporary ‘Stone Style’. The book was the starting point for a large-scale and ambitious project. Since 2005 the themed blog www.architetturadipietra.it, has enlivened the debate and is the expansion into the Internet of the research project begun through the book and production model, with content that is open, trans-disciplinary and of collective intelligence. The culture of stone materials has been recently strengthened by the spread of specialist training courses at universities and professionals institutes. 2 Traditional materials like glass, metal, ceramics, conglomerates and wood have for some time followed the path of innovation, inspired by the eclecticism of polymers, the ‘invented material’ par excellence of the 20 th century, becoming flexible and versatile for the needs of designers. Today, nano-technology moves in a parallel direction to that of the macroscopic science of materials, and is able to design innovative, intelligent and high-performance artificial materials, sometimes contaminating traditional materials and hybridising their potential. 3 Related to this theme is the discussion that gave life to ‘Applied Industrial Arts’, to then found ‘Industrial Design’, in its modern sense. A succession of great philosophers have applied themselves to this reflection. Without citing the Ancients and the work of several pioneers, (such as Quatrèmere de Quincy and Karl Bötticher), the theme of ornamentation can be said to have been fed at the outset of modernity by Gottfried Semper, in his theories on the textile origin of architecture, (Gottfried Semper, Die vier Elemente der Baukunst, 1851) and therefore to have animated the impassioned theories of Alois Riegl, Adolf Loos, Otto Wagner, H. Petrus Berlage and Georg Simmel. Over the years the list of philosophers has reached the present day, offering ‘ornament’ and ‘decoration’ for modern critical analysis in a way that is not radically different (except in its high tech tools) from the origins of design disciplines. 4 Ananda Kentish Coomaraswamy, L’ornamento, pp. 187-200, in Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Milan, Adelphi Edizioni, 1987, pp. 532 (ed. or. Selected Papers. Traditional Art and Symbolism, Princeton University Press, 1977). With immense erudition, the Sri Lankan philosopher and historian (Ceylon 1877 Massachusetts 1947) investigated the roots of thought, rite and symbolism in the arts, producing an incomparable and illuminating blend between East and West. He published the essay Ornament in Art Bulletin, n. 21, New York, College Art Association of America, 1939. 5 Ananda Kentish Coomaraswamy, Ornament, in Art Bulletin, n. 21, New York, College Art Association of America, 1939, pp. 375-376. 6 Ananda Kentish Coomaraswamy, Ornament, in Art Bulletin, n. 21, New York, College Art Association of America, 1939, p. 382.

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Collezione Nuance (Lithos Design in collaborazione con Il Casone). Ambientazione realizzata con Vello

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Dall’alto: Vello, Risma, Tartan, Crine

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Fold and Form At first glance, without a vision of the whole, it may seem that the stone artefacts created for Lithos Design are the result of instantaneous inspiration, the gift of exceptional moments of creativity. However, contrary to appearances, they are the result of a long ‘interior subsidence’, the result of constant and, in part, semi-conscious work inspired by the designer’s confident willingness to embody the visionary nature of the new and unexplored. If we observe the extension of all his creations in stone design, we note a permanent feature, an intriguing recurrence: the ‘fold’ that occurs both ‘above’ and ‘inside’ the material. We think we can state that Raffaello Galiotto enhanced his creative path with the sign of the ‘fold’, not only as a formal event, but also as a complex and precise productive concept. In carving, cutting and modelling the surface (or a whole block of stone) he folds the stone itself, creating energy in tension in an orientated, structural torsion. The surface of the material shaped by transformation has the connotations of an ‘event’, which reveals the act of design and its processes. Its geometric feature gets ‘moving’, as if powered by plastic and elastic forces that are revealed and vibrate in the light. The fold determines the form and the fleeting and subtle depth of the stone, which can thus expose itself with mimetic irony, in an interplay of sculpting and smoothing, covering and uncovering, hiding and revealing itself, producing new shapes of alternating two and three dimensions which, at times, overlap and combine in the light and shade of a dynamic chiaroscuro. Analogies multiply. A fold is, by definition, part of a surface, the point at which its straight direction is interrupted to form a more or less wide angle. Those things that produce one single fold are defined as simple (from the adverb semel, meaning once); while, on the other hand, those things which produce many are complicated. There are many composites and literal and figurative verbal derivatives of the act of ‘folding’, from the Latin, plicare and splicare, like unfolding, eliminating folds, applying, complicating, replicating, duplicating and amplifying. Many of these are linked to the translated sense of weaving a material or several materials, creating something interconnected or ‘implicated’. A fold is also a timeless feature of stone. In geology, it is a malleable deformation that is plastic and uninterrupted in stratified rocky masses that originally lie horizontally in the depths of the earth, where the rock is imbued with a fold long before the hand of man can transform it.

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Raffaello Galiotto designs the surface of the material with an awareness of how much it influences our perception and identifies with the principle of sense, recognisability, identity and the representational nature of all forms. His idea of shaping is a constant and continuous experiment, not a definitive point of arrival, but a change into the next potential form. The uninterrupted creative path, which is only rendered possible by the technological know-how of this young company from Vicenza that works with him, has resulted in two collections of particular value over the last year, although these are surely only temporary stages in its unstoppable production. After the repetitive complexity of the ‘Muri di Pietra’ collection, research into artefacts with a great deal of depth continued and was explored in more detail in the project with an archetypal name – because its very aim is to look to the origins – ‘Materia Litica’. On a different experimental front, the soft lines adopted as the profile of single material blocks of stone, are transformed into the plastic, textile nature of the elements in the ‘Drappi di Pietra’ collections. Both systems (as they are complete constructive systems and not coverings) aim to create an all-consuming and multisensory space, allowing a strong physical and psychological characterisation of the constructed environment. Through the choice of stone, the structural composition of the elements lets one enter the space and experience it as ‘total design’. Moving into the dimension of experiencing the space with the complicity of the body, Galiotto’s creations tend to produce a sensory experience that includes diversity, originality and surprise: features that have a strong analogy with the expression of what we could call ‘baroque’. Far from evoking this definition as a label or a return to a ‘style’, we want to recognise the analogy with some aspects of a system of representation and taste, and capture how the formal richness, virtuosity and ability to identify and include fashions, decoration, rich details and formal fragments of the past (which survive the ebb and flow of time) – that of playing with the chiaroscuro effects of light on form – can create a dialogue with us, coexisting in the hybrid and omnivorous fusion of the contemporary. To return to the ‘plastic-three dimensional’ value of the fold, we will apply the thoughts of Gilles Deleuze, a perspicacious and original philosopher, who defines the concept in his work of the same name1, based on the philosophical interpretation of another thinker (not by chance from the Baroque era), Leibniz. 1 Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, Torino, Einaudi, 1988, pp. 228 (or. ed. Le pli. Leibniz et le Baroque, Paris, Les Éditions de Minuit, 1988).


Baroque, according to Deleuze, curves and bends folds and, especially, (although folds are certainly not a new feature and have always existed in the history of representation) “takes them to infinity”. Finding in the fold the essence of Baroque, Deleuze reveals how this feature overcomes the boundaries of time and is a constant “fold upon fold”, even in the present day. For Deleuze a ‘fold’ is a metaphor: it is the formation of the soul and of modern conscience. In the endless reproduction of folds, in their incessant stratification, which produces visual compositions, geometric relationships and ‘agreements’, we can see an analogy with Lithos Design’s unconventional vision of stone design. In the collections produced with Raffaello Galiotto the graphic and geometric lines that make up the profiles contrast with the many folds that already exist in the history of figurative arts – Greek, Roman and Classical – those of fabrics and of modern day works, made possible by computer-assisted design which, as a result, crinkles, curves and folds stone. This meeting with the rocky resource creates the magic spell. In the transition of the two-dimensionality of design to the third dimension of physical-material reality, a fold can be repeated many times, can multiply (this also comes from the etymology of ‘fold’ in Latin) and be produced in a series, thanks to numerically controlled machine technology, in a potentially endless iteration. Through a fold, a mechanical tool makes the endless extension of decoration – the iterative and continual composability of elements – possible, with the sophisticated, ‘Byzantine’ vocation of the material; an aptitude to become implicated in an endless woven tapestry that projects towards the ‘infinite’, or perhaps the ‘indefinite’. As well as direct references to forms of Western culture, the ornamentation of Galiotto’s surfaces leads the spectator to experience something similar to that where figures are repeated in identical forms, as in the aniconic tradition of the East, and offer themselves for contemplative, immobile fruition, aimed at enhancing the experience of interiorisation.

or architraves. ‘Folding’, this time, the whole composition, raising parallel or perpendicular walls creates a closed form that isolates the space – both inside and out – giving life to the architecture. The concave and convex surfaces, the undulating walls that form a system of enclosing environments and turning towards external spaces, virtually bend, with neither beginning nor end, and make the space palpitate. The stone blocks of ‘Materia Litica’, considered individually in their stereotomic precision, but also placed together in short sequences, always create an intelligible formal identity that is the prelude to the construction of a wall. ‘Materia Litica’ is the formal reinterpretation, made possible today, of the theme of the ‘stone block’ and of its combinatory syntax. It is a natural material that has been separated and can therefore be recomposed according to a precise design. From blocks of stone, using profilers which are specially designed to create these complex, special-moulded pieces, elements are obtained that are perfectly shaped on all sides, with no waste. The upper profile of the stone coincides with the lower one and, mirror-like, perfectly fits its replica. The form of the single element is designed so that there is no abrasion or consumption of material on any side, but only a clear, sinuous cut. The soft, flexible nature of the profile derives from the constraint that every block must produce its opposite and in relation to the plane and continuity of the wall and corner elements. With no wasted stone we can reduce costs and production times, moreover the blocks can also be reused, just like the stones of ancient buildings.

Materia Litica ‘Materia litica’ explores the theme, which is currently undergoing a powerful re-evaluation and linguistic updating, of extremely thick, self-supporting single material structures. It is a composite wall, a collection of blocks shaped according to the curved folds of the materials. The pre-set variations in size (a typical block is 70 cm high, with the same thickness, by 180 cm long – which may change according to the design) are enough to make up a coordinated assemblage of elements for walls, corners and openings,

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Drappi di Pietra The ‘Drappi di Pietra’ collection reveals the designer’s reference to the ‘textile’ metaphor of architectural coverings even more explicitly. Folds develop and tangle on the surface. They multiply and conceal, complicate and amplify the effect of stone. It is not the first time that marble has been artificially ‘folded’. The plastic movement begins with the design, prefiguring an imagined reality and becomes a trajectory, an extensive reality that occupies an amount of space and time between a beginning and an end. Thus the dynamic of the line models the concept of form. If we return to the several ‘Baroques’ of history, like the folds of clothes that invade the whole surface of canvasses and like the puffs and drapery that emerge from the confines of frames in painting, similarly in sculpture the folds in marble textiles ensure that the body of the structure is not ‘frozen’, but develops in the space, yearning for something ‘other’. From his ‘textile’ design of the stone surfaces in ‘Le Pietre Incise’, Galiotto has taken many steps, achieving plasticity through fundamental innovations in both the creative and productive process, submitting carving and cutting to a ‘morphogenetic’ will. The designer imbues the five models in “Drappi di Pietra” with a planar extension. The sinuous, palpitating, composable stone drapery deliberately evokes the tactile and objective perception of fabric. In the production phase each element is produced in the block of stone by the perfect curves of the sheet above, in a series of layers that are repeated with absolute precision and are only different from each other in the intrinsically decorative nature of the natural material. They are the products of industrial design, but they develop and enrich the value and unique features of stone, aided by the perfect quality of their construction and their undoubted durability over time. The aesthetic and expressive aspect, made possible by the intelligent and creative use of latest generation machines, now shows its potential to distance the product from the technicisms of engineering alone and from the dictates of mass produced objects, opening up, with radical innovation, new areas of expansion in the world of stone and design in the global market. The ‘ornamentation’ created by industrial means, through the complex elaboration of non-plane forms, is achieved with the support of stone itself, not independently or separate from it. In Lithos Design’s modern workshop, the designer of forms, the creator of ‘decoration’ and the ‘operator’ of machines meet in a single figure, combining worlds that were, until now, considered separate.

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Schizzi e immagini per Drappi di Pietra, Chiffon


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Digital technologies and creative talent A contemporary designer must know how to make good use of the protean possibilities that modern-day avant-garde industrial tools offer. Today mechanical tools are not merely static, but can learn from experience, or rather are ‘trained’ to react to specific feedback. The unvaried repetition of an action or a function, a synonym of mechanicity, can be overcome when a human being guides the productive process and identifies input for improvement. The innovative frontier in the modern-day stone industry is to produce artefacts that man cannot make by hand. These are serial elements in their aesthetic and mechanical qualities, but have been obtained by working with a natural material. At the base of this research into precise, constant results, are the substantial changes that have occurred in both the fields of production and design. In contemporary stone design, before the form materialises it begins with automatic computer design, a magical tool that instantaneously – one could think – creates or produces ideas, pre-representations and models of any artefact. Software creates precision technical design and generates realistic images of the object on the computer screen. It then transfers geometrical and dimensional information to manufacturing programmes in order to produce the artefacts. With CAD (Computer Aided Design), design is closely linked to production through the CAM (Computer Aided Manufacturing system). In what way and to what extent can a computer really ‘aid’ a human in these tasks? Of course the machine supports the designer, allowing the production of precise technical design and providing information for tools in the production and manufacture of an artefact, but it is man’s conceptual faculty that guides the action of both the computer and the mechanics of production. We can see this attitude in the concept, prototype creation and production of the design stone collections created over the years with tenacity and creativity by Raffaello Galiotto and Lithos Design. Towards the end of the 20th century we saw a special kind of revolution that began in industrial contexts and penetrated the structures of design and training. In the design field – whether it is product design, interior design or architectural design – computerised systems of design, rendering and creating prototypes have become increasingly commonplace, offering a growing potential for pre-representation.

Luce e Materia, Marmomacc 2011, lastra di marmo Vigaria, Solubema

The world of digital design has revolutionised the way we think about design and, like all great transformations, it also has some elements of risk. The danger is to the relationship between man’s creative intelligence and his corresponding productive ability, which is now transferred from his hands to mechanical tools. In the words of Richard Sennett, it is a threat to the development of the craftsman’s ability.1 The formal and material opportunities offered by automatic design, three-dimensional modelling and ‘rendering’ (i.e. simulating real vision) appear vast and ‘spectacular’. We only need to put a few dots on the screen and press a few keys on the keyboard to create a pre-representational effect, made up of two or three-dimensional lines, with great ease. The design can then be modified extremely rapidly and cancelled just as quickly, with fewer consequences than when the design is on paper. Mutations, regenerations, close-ups and faraway perspectives, created in an instant and infinitely self-generating, are at the designer’s fingertips. And there is a great hypnotic fascination in the interplay of lines and vectorial surfaces in the light, immaterial and virtual world of the computer screen. It is different, however, when invention and ideas come into contact with real, physical, heavy material. And if the material is stone, the impact is even more striking. Digital design tools have led to an increasing separation from the creative and manual ability of the author, because of the speed at which an idea can be completed before it is actually produced. The visual simulation possible on a screen is considered highly realistic, independent of the tangible realisation of what is represented. If these opportunities are undoubtedly a stimulus to creating forms that were undreamt of before, the pre-representational conception made possible by computerised systems may, however, result in the risk of a lack of reflection and in-depth thought on the quality and value of objects. Representation set down on paper by hand in the past was slow and reflective and forced the designer to think and root the effect of his choices in his mind. Drawing signs, repeating lines with millimetric precision, manually correcting errors, choosing colours and symbols from a limited range of possibilities was very different from testing pre-prepared and virtually endless libraries of weaves, textures, colours and material backgrounds. Today’s designer works with this abundance of possible options, combined with the speed of automatic design, which compresses reflective and creative moments and he runs the risk of being ‘aided’ by machines instead of directing them and ‘bending’ them towards his design. There are no solutions in pre-set

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default functions; solutions can only be devised combining a knowledge of material with an understanding of the consequences that can result from different machine settings, guiding the tool to precisely correspond with the pre-set idea. All Raffaello Galiotto’s work with Lithos Design seems, by contrast, to control this system of representation. The designer’s command of his tools is evident. He knows how to subordinate them and is not dominated by them. By identifying his own language and applying his choices, Galiotto turns the process on its head and becomes the central figure that governs, dialogues, ‘aids’ and directs the machines. In particular, the work carried out in stone has been made possible as a result of the know-how of this young brand from Vicenza. The company is extremely dynamic, active and able to exploit the value of its technological resources to achieve the aims of the design, while respecting productive and economic constraints. With an approach that still looks to high quality craftsmanship, Lithos Design knows how to combine thought and action, returning in continual progress to review the design through the tools arranged to create it, and remaining open to the continual circular metamorphosis of the design. Its advantage is an indepth knowledge of stone, transferred precisely to the designer to obtain a result of organic and harmonious symbiosis. The risk of imbalance between the pre-representation of the design through digital simulation and the physical corporeity of the product is overcome by the physical knowledge of the reality of the material that the designer is working with, in this case with the specific qualities of stone. The design and management team – the designer and Alberto and Claudio Bevilacqua, owners of Lithos Design – have directly experienced the effect of light on material, they have discovered the material nature of different types of stone through touch, they know how it reacts to heat, wind, structural effects and to the strong and incisive action of machines on stone blocks. It is only starting from these conditions that digital simulation is not an imperfect surrogate for reality, but a useful tool for verifying and testing. When one has an intimate knowledge of the properties of stone and the conditions and real constraints that it can pose, his intelligence and creativity in design do not use computer simulation as a tool to remove or dissimulate the real difficulties of the project. In an ongoing dialogue, the process developed by Lithos Design first configures and checks the design, then the information to be transmitted to the powerful, numerically controlled machines, finally the difficulties that this meeting between tools and

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the material inevitably generates – to create a model using the millimetric precision of CAD/CAM systems. Raffaello Galiotto’s work for Lithos Design is designed exclusively to be produced on a machine, in univocal and homogeneous series that encounter the naturally heterogeneous nature of various types of stone. The results – series of artefacts of absolute morphological precision – are achieved by checking and correcting imperfections: a meeting between machine and material and the freedom to adapt natural stone and mechanical components. It is the indeterminate nature and special features of stone, precision moulded by tools, which produce and determine the beauty of the artefacts. Only in this way does stone design acquire ‘character’. The manipulation of objects generated and developed on computer screens (and, apparently, already fully formed) does not mean that the designer should not revise and re-formulate a design. He should look at it critically, through self-reflection, and reintroduce elements of variability and new developments. Only in this way can research continue to advance and learn and human creativity remain an active, rather than a passive consumer of tools. Raffaello Galiotto’s method of designing returns to the design in a circular manner, to checks during production, to manual gestures and to the study of proportions in terms of the eye and the human body, which computer design, with its endless scalability, does not allow. The great challenge met by the artefacts produced along his creative path with Lithos Design, is to continue to be conceived with high quality craftsmanship, with a proper use of digital technology and a real knowledge and experience of material. The designer, for whom thought and practice are still intimately linked attitudes, aims to resolve the conflict between his visionary nature and manual skill and machines. With commitment, dedication and constancy in identifying and solving problems, he leaves the design open each time, in a borderline area ready to welcome the next metamorphosis of stone.

Richard Sennet, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008, pp. 318 (ed. or The Craftsman, New Haven & London, Yale University Press, 2008).

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Drappi di Pietra. Composizioni di elementi per Foulard, Ottoman e Organza

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“Palladio e il design litico�, divisorio-windscreen Palladio DI1, Decormarmi

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Three dialogues with Raffaello Galiotto The ‘Palladio e il design litico’ collection Verona, October 2008 In the 2008 editions of ‘Abitare il Tempo’ and ‘Marmomacc’ trade fair events, the veil was lifted on a rich collection of lithic design objects by Raffaello Galiotto. Inspiration for the collection was drawn from an original research on themes, drawings and creations by Andrea Palladio, and then successfully merged in the travelling exhibition ‘Palladio e il design litico’, promoted by the ‘Marmisti del Chiampo’ Consortium (Vicenza 2009, Harrogate, Great Britain 2009-2011, Frankfurt, Germany 2012). This figurative research and production joint-venture exhibit project was followed in 2009 by the ‘I Marmi del Doge’ experience - once again with the Consortium - and ignited a process of dialogue between the designer and some of the brighter productive ventures in the territory. The products composing ‘Le Pietre Incise’ line, created thanks to the successful cooperation with Lithos Design - young entrepreneurial reality of the Chiampo Valley - were the start of this multi-year experimentation by Galiotto on lithic materials, and allowed its productive evolution. Veronica Dal Buono: From polymers to stone, from plastic - the ‘material of invention’, emblem of modernity - to the material of ‘permanence’ and ‘durability’ par excellence: stone. Which goals did you choose to achieve by entering the world of stone, and which opportunities were foreseen? Raffaello Galiotto: I set myself the fascinating target of working a natural, unique, unrepeatable material. Facing a material of such an unquestionable importance, I felt interested in getting to know its nature, in understanding its origin and exceptionality; on the other hand, conscious of its underlying historical and cultural gravity, I attempted to maintain a discreet attitude and respectful discipline. There was then an enormous difference with respect to my previous experiments. Thinking of polymers, they are a family of materials that do not have a remote tradition and, being mostly artificial, they constitute a continuous and inexhaustible source of new plastic formal possibilities; on the other hand there is stone, with a thousandyear figurative culture to its name and a series of intrinsic characteristics that the project cannot dismiss. It implies a completely different approach where the material plays the leading role and, in a sense, attributes to the work its uniqueness. Therefore,

in lithic design, mass industrialisation is accompanied by the uniqueness of this material: its veins, the intrusions, layers, the colour stains, all these elements becoming the identifying, expressive characteristics of the work itself. V.D.B.: Which consequences do you think your research on stone can have on your future design direction? R.G.: Probably from now on, after tackling stone, there will be a change in my attitude towards materials in design projects. This will shortly be verified while I get more acquainted with another world, the one of wood, which I’m already dealing with indeed. It is a natural material, too, but on the other hand it has the property of being renewable. The tree grows, dies and is replanted, while marble can be extracted one time only. Anyway, wood bears some characteristics which are similar to those of natural stone, and I can now count on the relevant knowledge. As regards other material realms I can now take advantage of a cultural approach, that’s to say, a way of observing their paths of experience, hybridizing when it’s possible their formal and expressive contents. V.D.B.: While collaborating with the eighteen companies composing the ‘Marmisti del Chiampo’ Consortium, how was the relationship between the customer/company and the designer developed? R.G.: Some of these companies, in particular those having their first experience with design, changed a great deal during the path: they realized the existence of a different point of view, a new way of thinking about the objects and considering them as their own. Therefore, thanks to this collaboration, they took on a ‘personal’ production and put themselves on the market with a completely different attitude. As a general fact, in the cooperation with the designer the thing companies find more difficult is the relationship with an ‘external’ person who ‘interferes’ with the production cycle, with the company privacy, in the belief that he or she is someway going to distort their peculiarities: this can generate distrust for fear that the designer may steal and carry out the company knowhow, its industrial secrets. In my case this did not happen, thanks to the mutual knowledge and esteem. Actually, these companies helpfully and sincerely opened up to study and define together the production processes which were necessary to create this collection. Moreover, they discovered they have more to learn than to lose by letting design guide them.

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V.D.B.: How did you choose marbles, granites and stones to produce the objects for the collection? How are the different steps of the object creation arranged, that’s to say, what comes first, the lithotype or the design? R.G.: The choice of the material was made according to the kind of lithotype the company already had available, knew and processed. The project was studied in order to create every single product for a specific company, which were to make it of a given material, a material the company already knew how to process. On the whole, the marble companies of the Consortium of Chiampo can work any type of stone; if one is specialised in processing marble, it will hardly deal with granite or stone. According to the specific functions and characteristics to be respected, specific materials have then been matched to specific projects. For example, the exterior floors or the urban furniture objects required the use of particular stones, for their resistance to the atmospheric agents. In the same way, we chose softer materials, preferably with sound-absorbing qualities and less fit to be polished, for interior objects that did not need specific requirements, or which were suited to make the best of these material characteristics. Last but not least, the colour and veins, intrinsic qualities of the lithotypes, have a great influence on the choice of the material to produce an object. A piece of the series created for ‘Palladio e il design litico’, as I was mentioning before, can’t be designed just leaving the material aside. The surface texture, the strong intrinsic design that these materials carry in, are characteristics that can benefit the project, but they can as well constitute a disadvantage if they’re not foreseen, as they could create redundancy between the object design t and the marble design, generating a conflict between them.

ved to allow irregularity, to add an invention, a creative contribution by the stone mason who makes them. This is an important concept to be clarified in the context of lithic design. When the designer plans his objects he is already foreseeing their feasibility; the company attempts to produce them through a feasible, economic and reproducible production process. V.D.B.: Serial production often corresponds to mass distribution. According to you, which target market does lithic design address? R.G.: It is unthinkable that such a precious material, one that is so limited in quantity, can afford large scale markets; however, this does not necessarily clash with the concept of serial production. Designing an object destined to serial production allows a thorough study all of the aspects, as the project cost is spread over several pieces, consequently making a correctly designed object competitive. This is how serial production can benefit also this sort of products, objects whose specific goal is not mass production, but high quality. Scavo di un elemento della collezione “Palladio e il design litico” con macchina a controllo numerico

V.D.B.: On one hand, technical reproducibility, detail precision allowed by automatic technologies; on the other, the unique originality of copyright design. How is this duality conciliated in the creation of works and, more broadly speaking, in your specific vision of design? R.G.: This is a very important matter indeed. In fact, we’re talking not about artistic production, but about design. The industrial designer is a planner who does not realize a work with his own hands, he entrusts it to a different maker. Therefore, the primary factor in the work creation is not handicraft ability, but rather a fusion between the vision, the project strength, and the precision and strength of mechanical execution. Certain objects could not be created, or would not have the same appeal, if they were produced with manual inexactness. They are not concei-

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Schizzo di studio per profilo di elemento litico


‘I Marmi del Doge’, design and hospitality Verona, September 2009 After the success of the initiative ‘Palladio e il design litico’, the ‘Marmisti del Chiampo’ Consortium (Chiampo Valley Marble Sculptors’ Consortium) has decided to follow again the path of research and experimentation, by enthusiastically participating in a new project by Raffaello Galiotto. ‘I Marmi del Doge’, presented at the ‘Abitare il Tempo’ and ‘Marmomacc’ 2009 trade fairs, is a project to re-evaluate the historical and architectural heritage of the Veneto area, and an opportunity to address today’s complex, globalised market of contemporary stone design. VDB: Once again, after the collective experience of ‘Palladio e il design litico’ (2008), stone’s past returns to recount the present. Which historic reference have you have you made contemporary for this occasion and why? RG: Personally, when I design something ‘new’, I am always influenced by what I’ve seen before, either to recall it or to refuse it. Being aware of examples from the past is a stimulus to planning a development of carefully thought out and well-rooted ideas. This is what I thought when I took on ‘I Marmi del Doge’, a project aimed once again at valorising the long tradition and productive skill of the companies in the ‘Marmisti del Chiampo’ Consortium. I chose one of the most important and perhaps most enigmatic examples of architectural art, the Ducal Palace in Venice which, according to Ruskin is a building that “... contains the three elements in exactly equal proportions – the Roman, Lombard, and Arab”. The aim of ‘I Marmi del Doge’ is to translate reflections and suggestions based on an observation and study of the Palace into stone design elements for contemporary spaces of hospitality and welcome. VDB: Which values and which permanent features are at the heart of the project? Which method did you follow in order to design this large and varied collection of stone artefacts?

at on the water and as it gradually ascends the parameter gets heavier, diminishing the openwork until it comes to the multicoloured walls, and continues, interrupted only by some smaller openings. It is the white and red stone that dominates. It is light as lace at the base and supports a tapestry of multicoloured lozenges in the upper part. If we reduce it to its essential elements, we can identify two ways of using stone. On one hand there is the sculptural manner, which carves out and perforates the white Istrian stone, to shape the full and empty volumes, letting the light strike the various shades of grey in the material, until it reaches the inner cavities and creates a sense of perspective depth. On the other hand, there is the stone wall created in a two-dimensional, ‘pictorial’ way, which uses colour and the ‘textile’ composition of small elements – little stone insets – to produce a vibrant fabric with an attractive optical effect. These two opposite ways of working with stone guided my interpretive work. VDB: Why is stone design at the centre of your research and experimentation? RG: Design is a competitive stimulus that gives added value to the resource you begin with. In this case, in its particular declination of ‘stone design’, the resource is stone, a unique and unrepeatable material, which preserves values of historic significant but, at the same time, is susceptible to innovation. Even more than a project that includes the production of stone design objects for the market, ‘I Marmi del Doge’ is a concept design project, in which design itself is a competitive stimulus for the economy. It aims to be an innovative proposal, through the synergy between design and company know-how, which clearly shows and valorises the technical level achieved by companies in the Consortium and also captures developing trends in the market, even though this is a niche market, linked to a demand for exclusive, high quality products that are unique and durable.

RG: Once again - and this is my own method - I observed the features of construction, the lines that make up the elements and the colours of the work of reference. The stone palace that was the home of the Venetian government is still there for us to see today, in its singular and complex – almost ‘paradoxical’, one could say – articulation. It appears to flo-

“I Marmi del Doge”, Marmomacc 2009

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Le Pietre Incise Curve, Quadro

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‘Le Pietre Incise’ bend Vicenza, February 2011

V.D.B.: How would you describe the marble sector; what are the main differences between the other productive fields in which you are involved?

Continuing our observation and analysis of Raffaello Galiotto’s activity in the stone design sector, we studied the evolutions, gladly allowing ourselves to be blown away by his revamped ideas for a quality design, capable together of meeting the needs of the contemporary market and those of the everyday life of the end user. We met Raffaello again during the presentation of the ‘Le Pietre Incise Curve’ collection produced for Lithos Design, to ask him some questions about his journey and his vision of innovation.

R.G.: Compared to the others, it is a sector that has profited more from marketing the material than from working it for some time. Thus, companies have always paid greater heed to quantity and saleable ‘square metres’. Today, the market in Italy and Europe has changed; the quantities of raw material and the profit margins of some time ago are no longer available. This is when a transformative approach also begins to become interesting, where technology and creativity can make the difference.

V.D.B.: How would you describe your work and personal attitude to the profession of designer in brief? Which method allows you to achieve such different types of productions?

V.D.B.: In recent years, from your first approach to stone design to date, what can you say has changed – if anything – in this specific production sector?

R.G.: Personally, I try to address each and every request with renewed curiosity and interest and this leads me to study and elaborate on the different problems linked to each one. Heterogeneity is not an inconvenience, but rather a fascinating aspect. At times I find myself designing plastic items intended for pets, while at the same time working for the luxury market. I don’t feel that I belong to a particular category, perhaps the thing that distinguishes me is the capacity to identify with or rather to discover hidden sides of my own personality. The important thing is what captivates people’s interest and emotions. From a young age, I have been fascinated by settings where creativity rules supreme, especially the artistic-artisan world where things are hand-crafted. I like materiality, colour, light. I later discovered that these are precisely the elements involved in industry also. It profits from them and I also try to draw my own personal satisfaction. I like my work and I work very hard, even managing to ‘support my family’ thanks to a job that is also a passion, and this makes me happy.

R.G.: If my original conviction was that working on the theme of stone design at present could work, now the facts demonstrate it. Thanks to the economic return of past projects, investments are possible that were not possible before. Essentially, there is an attitude of greater trust in design.

V.D.B.: Beside the logistical proximity, what interests have brought you to the industries of the stone sector?

V.D.B.: More specifically, how is the dialogue between the Lithos Design and the figure of Raffaello Galiotto formed and distributed?

R.G.: I have always been fascinated by marble as it relates with an immense array of shapes accumulated over time, related to the figurative culture, to sculpture and architecture. It is an extraordinary, unique material, a matrix of absolute masterpieces. Designing and working it calls for a different attitude in a contemporary sense also, more precisely of respectful ‘regard’. As a native of Valle del Chiampo, I could not have refrained from repeatedly trying to offer my services to the companies of this sector.

R.G.: Companies are made of people and respect and mutual trust allow the relationship to function, as well as leading to the actual success of the company. I meet regularly with the Bevilacqua brothers, Alberto and Claudio, and the strategies for the future are identified step by step. Let’s not forget that almost always, each product entails some investment in specific machinery, which may even be designed ad hoc, so we share projects from their very beginnings on paper, through to the many trials thanks to their availability.

V.D.B.: Your experience of working together with Lithos Design has seen you achieve the creation of many, original and moving collections. How has this relationship marked and influenced your path now? R.G.: Design is not only about the person who conceives it, but also about the person who makes it. Lithos Design immediately believed in design as an instrument for innovation and has consequently continuously invested in new projects. This adventure that has been ongoing for a number of years allows me to grow as a designer: each time, I can draw experience from previous creations and the market responses.

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V.D.B.: How much research, dedication and attention does the study of a new product line require?

V.D.B.: When and how does the issue of environmental sustainability come into your research?

R.G.: It is a considerable undertaking that involves all aspects of the creative, productive, and commercial process... each new line is the result of a thorough investigation into investments and the real commercial potential. In the end, however, the conviction of the contractor is the deciding factor. It could be called a ‘hunch’. Every true innovation breaks the moulds and fortunately escapes marketing predictions.

R.G.: The theme of the environment it seems to me that in some cases this is only translated into an exterior label even though it will play a vital role in our future. It is an aspect that is to be dealt with, regardless of temporary incentives or propaganda slogans. In projects using stone materials in particular, attention is always directed at the material, not only for its availability but also in the production phase. The reduction of the scrap material, almost to its elimination, is a crucial aim that always shapes my projects.

V.D.B.: How did the ‘Le Pietre Incise’ project come about and, in particular, how has it evolved? R.G.: I had already been developing elaborations about surfaces for some years, contemplating experimenting with their plastic rendering on stone, when Claudio Bevilacqua asked me to develop a research study precisely in that same vein. I couldn’t believe my luck, it was too much of a coincidence. Then, from the first prototypes, it went on to become a real project, with investments in machinery and an in-depth research on the design and form that is still evolving. Then we came to ‘Le Pietre Incise Curve’, an important passage from the surface to the three-dimensional shape and, therefore, to the relationship with the light element. It is certainly a new aspect, a sort of fourth dimension that can be fine-tuned and developed further. V.D.B.: Focus on formal configurations that take on the shapes found in ‘nature’ or the ‘classic’ shape, all the while using cuttingedge production technologies: how are these two planning aspects merged in your activity? R.G.: We are well aware how classic beauty is inspired by nature; what fascinates me even more is the underlying geometric-mathematical bond to these relations which is timeless. It is a sort of fundamental hidden order. Perhaps this is where the greater scope for investigation lies at the moment, in order to create products that also accommodate the needs of the contemporary market.

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V.D.B.: You hold an official role within the ADI (Association for Industrial Design), specifically for the Veneto and Trentino Alto Adige jurisdiction. From this privileged position, what reflections do you have in regards to the current conditions of design in Italy, and in particular in the north-east sector? R.G.: I believe that the current situation has clearly shown that our competitiveness plays on the ability to bring out the positive side of the country, the knowledge that it is produced with great skill in Italy. The recent past, especially in the north-east, has seen investment in quantity production, as it was easier and more profitable. Now the scene has changed and quality and design are notably more important. I believe that today it is necessary to urge greater dialogue between the industry and the world of design and research, also involving university institutions. On one hand, design is not considered a cost but rather a value, on the other, designers need to understand the real needs of the industry or the craftsmen by producing tailor-made products, not hand-me-down, adhering to the false myth of the designerstar. Our task is to disseminate a design culture as a system that involves all aspects, from the way of thinking, to producing, communicating, selling and recycling. V.D.B.: What do you think of the promotion of the culture of design implemented in this country? R.G.: I think there’s a great deal of confusion, where the term ‘design’ is often used to designate things inappropriately. I see many exhibitions and experiments funded or sponsored by public bodies that, let’s say, lead to nothing. I see many young people fall into the trap of the illusion of design as ‘art’ or a mere expression of themselves. I see a lack of serious promotion of a design that responds to the real needs of the user. A design that makes the product safer, more comfortable, more cost effective and environmentally friendly.


V.D.B.: What advice do you feel like giving Italian companies and industrial producers in this particular moment in history? R.G.: Put your trust in young designers; take them on by helping them to understand the productive and commercial work that few would have learned during their studies. In an ever-evolving context, they are the true resource.

Schizzi di studio e immagine di Organza, Drappi di Pietra

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When design meets the computerized stonemason Vincenzo Pavan

The roots of stone materials in the world of design are still uncertain and disputed. Even now stone materials seem to struggle to enter into markets dedicated to this sector and to enter into the design mentality that develops products and interior decors. A few contemporary masters investigated these materials in the nineteen sixties, seventies and eighties, making products that combined high aesthetic qualities with great creativity. But these efforts, more than a vocation, seemed to be approaches tied to brief and circumscribed, although for some not episodic, opportunities. It was as though strong barriers rose up to limit the expansion of this area of research. So strong that even extremely creative and professionally capable artists were discouraged from going forward and were ‘sidetracked’ towards more performing materials. Structural and contextual conditions undoubtedly bore down on this. The stone processing sector had little or no desire, independent from the economic and technological levels reached by individual firms, to be involved in the Italian design world, even though Italian design had been enjoying fortunate and almost unchallenged success on international markets ever since in the nineteen sixties. For decades the stone processing sector, having closed the books on its rich pre-modern crafting traditions and their systems for transmitting know-how, strove to exclusively cultivate a market dedicated to flat stone surfaces, whether horizontal or vertical, finished or rough but in all cases always two-dimensional and lacking any added value other than that of being stone: a material that was thought to contain ‘in itself’ the characteristics of luxury and value that the building market had assigned to it. And we also have a certain prohibitionism, backed by ethic motives, that dampened the desires of architects and designers to overcome this concept of stone as being able to do it ‘in itself’, resisting going beyond the simple sawn slab, squared and standardized in a few basic formats. And so we have had to wait several decades before the research efforts of past masters, interrupted, found a new burst of energy that permitted this ‘going beyond’: on the one hand the market developed computerized numerical control machines with specific applications for stone materials, leading the majority of companies to equip themselves with these new processing tools; on the other hand architects began working on computerized drawing tables with sophisti-

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cated three-dimensional modeling programs, opening up new prospects for stone projects. What made these new discoveries even more fertile, permitting their creative use, was the possibility of connecting digital three-dimensional projects with these new processing machines, creating an extremely efficient circuit between conception and finished object. Stone, in this extraordinary perspective, began being seen and investigated from a different standpoint. The design area, in particular, became keenly aware of the new creative potential for actions using the latest generation of software. It was able to simultaneously envision the possibility of transferring ancient handcrafting capacities to these machines and, at the same time, of having industrial processes that replicate, serially and at extraordinary speeds, even highly complex formal objects. This has opened up a new reality for stone activities, defined as that of the ‘computerized stonemason’, a phase when even stone products – which once required special manual crafting expertise to be made – could now be efficiently inserted into totally robotized production processes. This has been an area of study for over a decade by the school of Claudio D’Amato at the University of Bari, searching for stereotomic building components starting from classic architectural codes. Raffaello Galiotto’s stone path takes its beginnings from this context. Galiotto, backed by solid experience in the world of industrial design, precociously saw the advantages of transferring the methodological and technological know-how furnished by this discipline to stone materials. And this was not merely a question of expanding the use of computerized machines to a much larger and more open sector of services compared to the extremely limited use normally practiced in processing plants. Rather, and above all, it was a question of investigating the latent potential of stone materials in the precision processing world of these machines themselves. Quite different results, in fact, can come from in-depth engraving of the same pattern on stone or marble with different petrographic compositions. Fidelity of execution, on some lithotypes, is extremely close to the original project in terms of texture and calligraphic precision. On other types the margins for imprecision can generate uncontrolled effects that alter the meaning of the work. In yet other cases these eventual undesired alterations may give unforeseen tactile qualities to the stone surface. These same concepts apply to the machines as well: they are still instruments in development phases that can offer – by changing the tools that are used – extremely different effects. In the end the ‘computerized stonemason’ begins to act like his manual ancestor.


Designers, through this interaction of new techniques and new know-how, increasingly take direct control over all the operations required to make a product. But it remains clear, however, that final formal results are not achieved on the drawing table: they need an accumulation of in-the-field technical and creative experience, something that begs for creation of a new intellectual discipline. This is the direction taken by Raffaello Galiotto in his last five years as designer. A fundamental factor in his journey has been his roots in a stone production zone, the Chiampo Valley, which has both the ancient handcrafting traditions of this sector and also a substantial number of entrepreneurs who have reacted to the recent economic crisis by investing in innovation and research. Galiotto’s first experience in stone modeling involved a consortium of business in the Chiampo Valley and had, as its theme, a rethinking of Veneto’s great culture of the past. He then takes a cue from this and goes on to unfold an extremely efficient communication strategy on the new potential offered by digital design integrated with numerical control machines. His two exhibitions, ‘Palladio e il design litico’ in 2008 and ‘I Marmi del Doge’ in 2009 are aimed, firstly, at the stone processors themselves, who can concretely experiment with a new and unexpected technology for transforming their products. And, secondly, the exhibitions present high quality objects that

“Luce e Materia”, Marmomacc 2011, lastra di marmo Vigaria, Quadri, Solubema

permit businesses to present themselves to the international market with absolutely innovative and novel catalogues which are, at the same time, inspired by the prestigious classic culture of the Veneto territory. All of which becomes an operation of innovation and marketing that creates a solid base for the increasingly pregnant research path taken by its author. The exuberant creativity of Raffaello Galiotto, starting from these experiences, spreads out in many directions, experimenting with individual businesses, including, in particular, Lithos Design, cycles of works and products which meld art, design and architecture. The exhibition ‘Luce e Materia’ (Marmomacc, 2011) and the collections made with Lithos Design ‘Le Pietre Incise’, “Nuance” (with Il Casone, 2011), ‘Muri di Pietra’ and, most recently, ‘Drappi di Pietra’, are a series of steps forward in a wide ranging program of themes: modular wall coverings, three-dimensionality, lightness and intangibility, translucence, mirror reflection, stereotomic massiveness. Their declination, through different stone materials, indicates the starting points of many paths for exploration, investigation and continuation. One of the most fascinating of these themes is the change of scale of objects: the crucial passage from “the architecture of littleness to the architectural dimension” that all designers come to, sooner or later, and that Galiotto himself seems now to be preparing himself to confront.

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Bibliografia_Bibliography

Alfonso Acocella, “Mirabilia”, in Raffaello Galiotto (a cura di), Luce e materia, s.l., Solubema, 2011, pp. 96. Alfonso Acocella, “Il design litico contemporaneo”, in Raffaello Galiotto (a cura di), I marmi del Doge. Design e ospitalità, Vicenza, Consorzio Marmisti Chiampo, 2009, pp. 122. Alfonso Acocella, “Il design litico” pp. 49-54 in Raffaello Galiotto (a cura di), Palladio e il design litico, Vicenza, Consorzio Marmisti Chiampo, 2008, pp. 106. Alfonso Acocella, Sinuose metamorfosi litiche, architetturadipietra.it, 2 marzo 2011. www.architetturadipietra.it/wp/?p=4733 Alfonso Acocella, Il design litico contemporaneo, architetturadipietra.it, 22 febbraio 2011. www.architetturadipietra.it/wp/?p=4719 Veronica Dal Buono, Intervista a Raffaello Galiotto, architetturadipietra.it, 10 febbraio 2011. www.architetturadipietra.it/wp/?p=4707 Alberto Ferraresi, Le nuove collezioni Lithos Design: rivestimento, spazio, parete, architetturadipietra.it, 20 gennaio 2011. www.architetturadipietra.it/wp/?p=4673 Sara Benzi, I marmi del Doge tra design e ospitalità, architetturadipietra.it, 30 ottobre 2009. www.architetturadipietra.it/wp/?p=3239 Veronica Dal Buono, Incidere la superficie lapidea, naturale e non solo, architetturadipietra.it, 28 settembre 2009. www.architetturadipietra.it/wp/?p=3052 Veronica Dal Buono, La collezione “Palladio”. Opere per una esposizione e non solo, architetturadipietra.it, 15 gennaio 2009. www.architetturadipietra.it/wp/?p=2174 Alfonso Acocella, Il design litico, architetturadipietra.it, 9 gennaio 2009. www.architetturadipietra.it/wp/?p=2167 Veronica Dal Buono, Intervista al designer Raffaello Galiotto, architetturadipietra.it, 4 ottobre 2008. www.architetturadipietra.it/wp/?p=1927 Veronica Dal Buono, Il Chiampo: riunirsi verso nuovi orizzonti del design, architetturadipietra.it, 15 settembre 2008. www.architetturadipietra.it/wp/?p=1866 Davide Turrini, Il design in pietra riparte da Palladio, architetturadipietra.it, 4 settembre 2008. www.architetturadipietra.it/wp/?p=1837

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La collana LITHOS Da alcuni anni architetti e designer di rilievo internazionale hanno portato la materia litica da processo di formazione disciplinare al centro della loro poetica progettuale, sviluppando con originalità il tema dell’exhibit design in pietra, riattivando la ricerca all’interno di un particolare spazio dell’architettura legato alla tipologia allestitiva temporanea che nella tradizione moderna ha costituito un’emblematica rappresentazione delle linee di pensiero di maestri e protagonisti della ricerca architettonica; il riferimento al Padiglione di Barcellona di Mies van der Rohe è spontaneo e rappresentativo. Il processo di riattivazione di tali dinamiche sperimentali si è reso possibile in relazione alle occasioni progettuali della fiera internazionale Marmomacc di Verona e ha coinvolto la cultura architettonica contemporanea fertilizzando il mondo delle imprese del Made in Italy legate al settore lapideo. Durante le ultime edizioni dell’evento scaligero progettisti di fama internazionale quali Kengo Kuma, Claudio Silvestrin, Michele De Lucchi, Alberto Campo Baeza, Manuel Aires Mateus hanno progettato i padiglioni espositivi di importanti realtà produttive della pietra, approdando alla realizzazione di “opere-concept” litiche, sì temporanee, ma di elevatissimo valore innovativo. Il Laboratorio di ricerca MD_material design, da me diretto presso la Facoltà di Architettura di Ferrara, ha partecipato da protagonista al processo design driven e a quello produttivo dei padiglioni, promuovendo e mediando i rapporti tra architetti e aziende, ideando le fasi di sviluppo dei contenuti di conoscenza, coordinando i progetti di comunicazione innovativa crossmediale fra format a stampa e canali digitali istituzionali tematici (www.materialdesign.it, www.architetturadipietra.it). La collana LITHOS è parte integrante di questo processo dialogico e di mediazione fra interpreti del design discourse, università e mondo imprenditoriale, e si inscrive negli asset strategici dell’attuale economia della conoscenza. Il progetto editoriale, per i tipi di Libria, intende restituire tali esperienze - all’interno dello scenario economico competitivo globale - con una serie di volumi in italiano e in inglese, curati da ricercatori universitari e indirizzati principalmente al pubblico degli studiosi e dei progettisti. Giunta ormai al suo quarto volume, la collana si articola in contributi monografici, ognuno dei quali analizza i caratteri metaprogettuali e gli aspetti tecnico-costruttivi dei diversi padiglioni, proponendone una lettura critica che si svolge sullo sfondo dell’intera “poetica litica” degli architetti coinvolti. La collana intende progressivamente aprirsi all’orizzonte del Design litico - di prodotto e d’interior design affermatosi con forza negli ultimi anni. Su tale tema è stato avviato da anni un progetto di ricerca all’interno del web site tematico architetturadipietra.it (documentato nell’area Lithospedia_Interior Design); nel prossimo futuro il progetto sarà ri_portato sul format cartaceo di LITHOS, in forma più sistematica e scientificamente orientata aprendo una specifica sezione della collana.

Alfonso Acocella Direttore scientifico della collana LITHOS Scientific director, LITHOS line

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The LITHOS line For a few years, internationally recognised architects and designers have put the stone materials in a process of discipline education at the centre of their projecting poetics, recently developing with originality the theme of stone exhibit design and reactivating the research about a particular architectural space linked to the temporary exhibition typology which, in the modern tradition, has been a typical representation of the guidelines of masters and protagonists in the architectural research; the reference to Mies van der Rohe’s Pavilion in Barcelona is immediate and representative. The occasions offered at Marmomacc international fair in Verona made this process of re-activation of experimental dynamics possible, involving contemporary architectural culture and nourishing the world of Made in Italy firms linked to the stone domain. In the last editions of the event in Verona, internationally acclaimed designers as Kengo Kuma, Claudio Silvestrin, Michele de Lucchi, Alberto Campo Baeza, and Manuel Aires Mateus have projected the pavilions of relevant production realities in the Italian stone sector, creating stone-made concept works that are temporary yet extremely inventive. Research workshop MD_material design, directed by Alfonso Acocella at Ferrara Faculty of Architecture, has been a protagonist in this process - both for the driven design and the production of the pavilions, promoting and linking the relationships between architects and firms, planning the development of the knowledge contents, coordinating projects of innovative cross-media communication with printed formats and thematic digital channels (www.materialdesign.it, www.architetturadipietra.it). The editorial project, published by Libria, is aimed to communicate these experiences within the competitive global economical scenario, through a series of volumes edited by university researchers and directed to a target of designers and experts. Counting now four volumes, the line is articulated in monographic essays that analyze the meta-projecting characters and the technical aspects of the various pavilions, offering a critical analysis developed with the entire “stone poetics” of the involved architects on the background. Step by step, the LITHOS line wants to open the horizons of Stone Design - both product and interior design - that has been getting more and more successful in the past years. A project about stone design was already activated years ago with the thematic website architetturadipietra.it (documented in the ‘Lithospedia_Interior Design’ section); in the near future there are plans to transfer this project into the LITHOS printed format in a more synthetic and scientific form, inaugurating a dedicated section of the line.

Luigi Alini

Kengo KumA Liticità contemporanee. Da Stone museum a Stone Pavilion

Luigi Alini Kengo Kuma. Liticità contemporanee. Da Stone Museum a Stone Pavilion (Kengo Kuma. Contemporary stone lines. From Stone Museums to Stone Pavilions) with an essay by Alfonso Acocella 2008 supported by Il Casone

Alberto Ferraresi

CLAUDIO SILVESTRIN Liticità contemporanee. La verità ne La cava

Alberto Ferraresi Claudio Silvestrin. Liticità contemporanee. La verità ne La Cava (Claudio Silvestrin. Contemporary stone lines. The truth in La Cava) with an essay by Vincenzo Pavan 2009 supported by Il Casone

Davide Turrini

AlberTo CAmpo bAezA pietra, luce, Tempo

Davide Turrini Alberto Campo Baeza. Pietra, luce, tempo (Alberto Campo Baeza. Stone, light, time) with an essay by Antonio Pizza 2010 supported by Pibamarmi

Davide Turrini

MANUEL AIRES MATEUS

Un tempio per gli Dei di pietra

Davide Turrini Manuel Aires Mateus. Un tempio per gli Dei di pietra (Manuel Aires Mateus. A Temple for Stone Gods) with an essay by Alfonso Acocella 2011 supported by Pibamarmi

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Via Del Motto, 25 36070 San Pietro Mussolino (VI) Italy www.lithosdesign.com




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