L I T H O S Collana diretta da Alfonso Acocella
Alberto Ferraresi
Per Claudio Silvestrin la materia ha significato specialmente se integra, intatta per tutti i centimetri del suo spessore: la stabile compattezza del materiale induce infatti alla concentrazione ed alla quiete, e costituisce di per sé un valore. Ne discende che l’ornamento possa risultare destabilizzante elemento di discontinuità; ma per converso Silvestrin non trascura affatto il tema “superficie”. Essa assume valore parimenti al cuore del materiale se ugualmente considerata nella sua pura essenza: quella di pellicola sottilissima vocata ad esprimere e portare significato nel solo millimetro di profondità, o davvero poco oltre, in cui si gioca il contatto percettivo con l’uomo. L’indagine della poetica di un autore mediante i suoi scritti e le sue opere guadagna un fascino particolare nell’opportunità parallela dell’incontro diretto con la persona e con il suo modo di operare anche al di fuori dello stretto disciplinare. Emergono infatti rimandi importanti fra i due ambiti, in questo caso nel senso della continuità, dell’impegno, del rigore e della profondità della ricerca, non solo professionale dunque, ma personale. Questi aspetti, e la loro scoperta, sono quelli che più, fra i tanti legati strettamente ai contenuti, hanno reso l’esperienza del libro straordinaria anche per chi scrive; ma ancora maggiormente, se possibile, hanno contribuito i rapporti, in talune occasioni davvero oltre che lavorativi, instauratisi con tutti coloro che hanno partecipato al comune obiettivo dell’opera costruita in primis, poi di quella a stampa. Un particolare personale ringraziamento va dunque ad Alfonso Acocella e Roberto Bartolomei, con davvero sincera gratitudine che difficilmente a parole riesco integralmente a restituire. Ringrazio inoltre la famiglia Bartolomei de Il Casone, l’architetto Claudio Silvestrin ed i collaboratori Massimo De Conti e Laura Lupini di Claudio Silvestrin architects, Vincenzo Pavan per l’interpretazione critica, Giovanni De Sandre per la fotografia, Giovanni D’Angiolo e Luigi Mattiazzi per le informazioni tecniche, Antonio Carbone e Maria Teresa Quinto per i contributi finalizzati alla stampa, infine tutti i colleghi e collaboratori e familiari che con il proprio hanno sostenuto il mio lavoro.
CLAUDIO SILVESTRIN Liticità contemporanee. La verità ne La Cava
Alberto Ferraresi
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CLAUDIO SILVESTRIN Liticità contemporanee. La verità ne La Cava
Fotografie di_Photos by Giovanni De Sandre
Coordinamento Editoriale Editorial Coordination Antonio Carbone Progetto Grafico Graphic Design Maria Teresa Quinto manifesta@mtquinto.it Stampa Printing Grafiche Finiguerra Lavello / Italia Traduzioni Translations Localsoft Marbella / Spagna Crediti fotografici Photo credits © 2009 Giovanni De Sandre per le fotografie de La Cava © Claudio Silvestrin Architects © Malena Mazza (p. 8) © Matteo Piazza (p. 29) © Marina Bolla (p. 33) Collezione I Fiumi courtesy Boffi Prima Edizione Settembre 2009 First Edition September 2009 Casa Editrice Librìa Melfi / Italia ed.libria@gmail.com www.librianet.it ISBN XXXX XXXX XXXXX XX
Collana promossa da Production from Il Casone SpA Via Imolese 98 50033 Firenzuola Firenze / Italia www.ilcasone.it Tutti i diritti di riproduzione, anche parziale del testo e delle immagini, sono riservati.
La Cava Claudio Silvestrin 9 Simbologie materiche: la pietra è terra 11 Architetture 23 Design 34 La Cava fra astrazione artistica e capacità tecnica La ricerca dell’essenza Vincenzo Pavan 61
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La Cava Claudio Silvestrin 74 Matter’s symbology: stone is ground 75 Architectures 80 Design 84 La Cava between artistic abstraction and technical skill The search for the essence Vincenzo Pavan 91
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La Cava Claudio Silvestrin
Con il progetto “La Cava” intendo esprimere la forza, il valore, l’anima della roccia nella sua totalità, il suo spessore, il suo peso, il suo apparire come forma e come superficie. Superficie che è essa stessa co-essenza dell’essere roccia. Questo progetto ci fa percepire che la crosta non vuole separarsi dal cuore della roccia, che esiste invece un tutt’uno, un’unità. L’energia della roccia consiste in questa totalità materica.
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Simbologie materiche. La pietra è terra «La mancanza di ornamento è un segno di forza spirituale» Adolf Loos1
Filosofia, arte, architettura L’architettura raggiunge Claudio Silvestrin innestandosi sugli interessi primi di filosofia ed arte. Così accade, come quando si compone un testo su prima frase già data, che è impostata per così dire la direzione, è fissato il metro d’attribuzione dei significati a seguire. Nella storia dell’architettura quest’aspetto è capace d’accomunare progettisti dall’opera fondamentale che dall’orientamento fondativo non strettamente disciplinare hanno derivato sensibilità speciale ed inusuale prospettiva critico-operativa, com’è avvenuto per Le Corbusier o Rem Koolhaas. Il percorso di formazione di Silvestrin porta, negli anni di frequentazione dell’Istituto Statale d’Arte di Monza, all’incontro con A.G. Fronzoni - designer, conoscitore profondo d’architettura ed arte; egli orienta Silvestrin a completare gli studi all’Architectural Association di Londra, alla volta d’una visione internazionale e cosmopolita, non già d’una rimessa in discussione dei propri fondamenti. «Alla Architectural Association - afferma Claudio Silvestrin - non ho subito alcuna influenza architettonica, sapevo già cosa fare.»2 Due riferimenti teorici importanti per la comprensione dei contenuti alla base dei progetti, per dichiarazione stessa dell’architetto, sono sorprendentemente Seneca e San Bernardo. Una pubblicazione per i tipi di Tascabili Bompiani, a firma di Giovanni Reale, titola: La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima. A partire dall’osservazione dell’esistenza umana soggetta all’esperienza del dolore e della sofferenza, Seneca propone che la filosofia, intesa come conoscenza della natura dell’uomo e delle cose, possa intervenire ad alleviare in modo concreto il patimento esistenziale. Potremmo sostituire nel titolo la parola filosofia con architettura: i progetti di Silvestrin assumono essenzialmente la missione della creazione di spazi equilibrati e misurati, in cui l’uomo possa godere della condizione di quiete, di serenità, e da queste essere guidato al silenzio dello spazio ed alla contemplazione. 3 Adolf Loos, “Ornamento e delitto”, pag. 89, in Loos (a cura di August Sarnitz), Colonia, Taschen, 2004, pp. 96. “La formazione”, pag. 174, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Firenze, Octavo, 1999, pp. 240. Ci permettiamo in proposito un nuovo rimando di lettura. Nel novembre 2007 è infatti dato alle stampe da Edizioni Casagrande un breve e piacevole testo a firma di Nicola Emery: Progettare, costruire, curare. L’approfondimento, d’immediata accessibilità al non filosofo come al non tecnico, sostiene compiutamente la necessità di ridefinire i parametri della deontologia professionale nell’ambito del progetto e della pianificazione, a partire dall’idea fondativa dello spazio e del territorio quali beni comuni, al di là delle volontà particolari dei singoli. Punto di partenza è l’immagine proposta da Platone nel suo Repubblica, in cui la città è metaforicamente vista come pascolo, dalla cui qualità e salubrità derivano la qualità e la salute di chi se ne nutre e lo abita. Ebbene l’approccio progettuale che potremmo ridurre a slogan nei termini di “architettura come terapia” è per Emery il primo dei tre livelli - oltre a quello della volontà politica e quello della sincerità fra progetto e costruzione - su cui si gioca la possibilità di riconoscere lo spazio ed il territorio come bene comune. Tale approccio è considerato in questo volume nel suo senso più generale: del progetto quale strumento reale per il benessere fisico e psichico degli esseri umani. Abbiamo già avuto modo di vedere come per Silvestrin la terapia, per così dire, tradotta in progetto, è proposta particolarmente secondo l’accezione senechiana prima e cistercense poi, volta dunque al sollievo dell’anima umana mediante l’eliminazione del superfluo e la presa di coscienza dei significati primi delle cose. 1 2 3
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San Bernardo lascia tracce importanti di sé nell’architettura monastica medievale con vari scritti ed influenza determinante su oltre venti cantieri legati ad opere cistercensi: il monastero è luogo deputato alla conoscenza di Dio, al suo possibile raggiungimento interiore mediante la preghiera e la contemplazione. Il silenzio e la mancanza d’orpelli d’ogni natura sono condizioni necessarie e favorenti l’ascesi. Alcune tappe biografiche ed autobiografiche Nell’anno 1999 è data alle stampe la monografia su (e di) Claudio Silvestrin edita da Octavo, poi da Birkhauser, opera appunto di Fronzoni per la cura grafica, di Franco Bertoni per le interpretazioni critiche a completamento degli originali di Silvestrin. Il volume è materializzazione di un pensiero in “movimento”, non solo delle singole pagine illustrate, ma dell’intero libro al momento della consultazione, organizzato in successione di fogli alternativamente impostati in verticale ed orizzontale. Dinamico, il rimando, è anche forse al tipo d’approfondimento proposto: verticale, nel senso della profondità ascensionale, concettuale; descrittivo nella fruizione orizzontale. Se volessimo distinguere alcuni temi all’interno del volume, potremmo individuare: elementi, opere, progetti, scritti, dati. Il primo raccoglie ed esemplifica le parole essenziali, per così dire, del vocabolario progettuale di Silvestrin. A seguire opere e progetti si distinguono per la fase operativa, di cantiere concluso o di lavorazione in atto. Oltre infine agli scritti organizzati in forma di raccolta, sono riportati dati di cronologia, luoghi ed informazioni sul lavoro dell’architetto. Ad osservare attentamente le realizzazioni documentate nel volume, un particolare risalto litico emerge dal piano orizzontale dei calpestii, posti ad eleggere la pietra quale materiale principe tra i naturali. A riprova, nella riduzione ontologica agli elementi primari tenacemente perseguita da Silvestrin, non manca nel testo la specificità geologica dell’essenza lapidea prescelta: non ci si accontenta di dire “pietra” e di descriverla chiara o scura, ma spesso se ne indica il tipo, così come spesso se ne precisa la provenienza. Vale a dire che l’attore della scena architettonica è scelto accuratamente per il ruolo e l’espressività chiamati a rappresentare. Nel 2006 la rivista Interni ha dedicato il numero di fine anno alla presentazione estesa di opere recenti dell’architetto. Oltre all’aggiornamento delle realizzazioni, si offre lo spunto per considerazioni sul rimando ormai costante dell’opera di Silvestrin agli orientamenti disciplinari minimalisti. Se infatti di minimalismo si tratta nel suo caso, è questo la conseguenza diretta del personale pensiero sul significato della vita e delle cose; non, all’opposto, condizione di allineamento a cifre stilistiche di appeal contemporaneo. L’equivoco è probabilmente stimolato dagli oltre venticinque showroom per l’abbigliamento realizzati nel mondo, particolarmente per Armani. È possibile infatti che l’idea diffusa di moda come fenomeno effimero e temporaneo, per ricaduta transitiva nell’immaginario del pubblico si trasferisca agli spazi di progetto per la moda ed alle persone che vi si sono dedicate. Non è però il caso di Silvestrin, per il quale i negozi sono anzi solidamente connotati all’a-temporalità mediante spazi litici estesi, come scavati nella natura lapidea dei suoli locali. Un bel testo di Vittorio Magnago Lampugnani approfondisce l’argomento in Nuova estetica delle superfici, edito da Faenza Editrice
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nel 2005. “Malgrado (o forse proprio a causa di) una ricerca quasi ossessiva di forme, materiali e spazi a carattere universale, Silvestrin ha presto sviluppato una sua maniera riconoscibile e inconfondibile: proprio come Armani. Nella catena di negozi realizzati per quest’ultimo, situati un po’ ovunque nel mondo intero, Silvestrin ha optato, in perfetta coerenza con il proprio stile e quello della sua committenza, per spazi sobri e eleganti, il cui silenzio contemplativo si oppone sia al rumore delle strade cittadine sulle quali affacciano che a quello dei negozi dei suoi colleghi e concorrenti. Nelle semplici sequenze di nobili spazi le pareti e i pavimenti rivestiti in pietra naturale Saint-Maximin di colore chiaro formano un involucro omogeneo e caldo che contrasta con il bruno quasi nero dell’arredamento in ebano makassar. La luce, ora naturale che irrompe dall’esterno attraverso tagli accuratamente e sapientemente composti, ora artificiale e quasi sempre diffusa, esalta la materialità delle superfici e le qualità degli spazi. Altro non serve: l’unica decorazione concessa è rappresentata dai prodotti in esposizione, abiti ed accessori che diventano i protagonisti assoluti della mise en scène del negozio. Di più: diventano opere d’arte, sottratte al mondo che le ha prodotte e per il quale sono destinate; isolate, quasi lievitanti, in una sorta di vuoto seducente e inquietante al tempo stesso.” 4 Dieci anni dopo la prima opera a stampa di carattere monografico, è pubblicata nel 2009 Eye Claudio, con il sottotitolo fire water earth air geometry thought, edito da Viabizzuno. Il volume è pure opera grafica di Claudio Silvestrin architects e presenta nel corpo di pagine centrali, per parola di Mario Nanni, «una pausa, uno sguardo rappresentato da un foro quadrato al centro: il passaggio di uno sguardo architettonico fatto di carta e luce»5. Si tratta probabilmente proprio dello sguardo, l’occhio (eye) di Silvestrin, simbolicamente al centro fra immagini naturali ed astrazioni fissate in via scritta, a farsi sintesi. Il libro contiene appunto ai due estremi, simmetricamente collocati, una raccolta d’immagini ed una di scritti. Nell’attribuzione dei nomi agli oggetti, non secondaria ci pare la doppia possibilità di lettura della parola eye, procedendo da sinistra a destra e viceversa. Come nella monografia, la prefigurazione dei comportamenti del fruitore - il lettore - s’inserisce tra le componenti di progetto come si trattasse di un’architettura: le due sezioni sono infatti correttamente sfogliabili solo rigirando il volume in base all’intenzione indagativa rivolta all’una od all’altra parte, come già suggerito dal ribaltamento leggibile sul dorso, fra titolo e nome dell’autore. La copertina bianca di superficie rugosa, con le minime parole stampigliate, interpreta il pensiero dell’architetto in accordo alla filosofia dell’azienda che ora si fa editore, con cui Silvestrin ha concretizzato numerose esperienze di design di corpi illuminanti. È lo stesso autore in introduzione a precisare: l’occhio è la capacità ricevuta in dono dalla natura a cogliere la verità delle cose; i quattro elementi miscelati in differenti alchimie sono dunque materia prima d’ogni essere o cosa. Esiste realmente una distanza anche fisica fra immagini e pensieri; quando lo spazio fra loro sia chiaro, ben calibrato ed armonico, tale distanza si riduce. Pensieri
4 Vittorio Magnago Lampugnani, “Identità discrete. Osservazioni sui negozi di Claudio Silvestrin per Armani”, pag. 136, in Vincenzo Pavan (a cura di), Nuova estetica delle superfici, Faenza, Faenza Editrice, 2005, pp. 160. 5 Mario Nanni, “Preludio”, pag. 11, in Claudio Silvestrin, Eye Claudio, fire water earth air geometry thought, Bologna, Viabizzuno editore, 2009, pp. 1056.
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ed opere sono importanti in egual misura: per questo motivo il libro non individua un inizio ed una fine, cosicché immagini e riflessioni si pongano in relazione fra loro secondo successioni non gerarchiche. Fuoco acqua terra aria, ulteriormente arricchite da luce e legno, nelle forme astratte e simboliche di cui la geometria (ove geo- sta per “terra”) è capace sotto la guida vigile del pensiero, sono le parole chiave di riferimento per la corposa raccolta d’immagini. In essa entrano le realizzazioni di Silvestrin mostrate secondo la sequenza voluta dall’autore. Relativamente alla terra conoscevamo dalla prima monografia la trasposizione concettuale e progettuale diretta al materiale pietra. Risulta dunque particolarmente interessante l’apertura contenuta nelle parole introduttive di Silvestrin, pure ad argilla e legno. Sotto nuova luce accoglieremo dunque d’ora in avanti le presenze d’arredo in legno davvero frequenti sui suoli lapidei di Claudio Silvestrin, così come le pannellature verticali ad esempio della P penthouse di Montecarlo saranno per noi simbolicamente alberi su un piano d’argilla e roccia. L’internazionalità indubitabile dell’opera dell’architetto italiano da tempo residente a Londra, si traduce all’interno del libro nella preferenza per la lingua inglese, pur accompagnata per ampi tratti dalla versione italiana. Testi inediti dell’autore, esploranti con profondità i temi filosofici alla base del lavoro di progetto, s’accompagnano ad una selezione di suoi scritti del passato. Ricordiamo della prefazione di Clare Farrow soprattutto il parallelo con il mondo dell’arte e la nuova considerazione, con rilancio a quanto riprendevamo da Magnago Lampugnani, sull’opportunità di poter parlare di minimalismo in relazione all’opera di Silvestrin: «Non c’è alcunché di vuoto o meccanico negli spazi che crea, la sua architettura non esiste per se stessa, i suoi austeri edifici e bianchi interni galleggianti, che appaiono così moderni sulle pagine delle riviste di architettura, stanno in realtà continuando un percorso che può essere rintracciato in alcuni edifici del primo Rinascimento (...), nei monasteri medievali cistercensi (...) e anche oltre questo, fino alle antiche costruzioni e primitive dimore che avevano un’intuitiva, simbolica relazione alla terra e al cielo circostante.»6 Davvero prezioso è infine il Postscriptum di Francesco Alberoni: colloca precisamente l’opera di Silvestrin nella fase storica presente. Di più: la eleva a peculiare riferimento del tempo contemporaneo per quanto attiene lo specifico disciplinare dell’architettura. Si argomenta infatti che come in passato ad esempio l’opera pittorica da Kandinskij a Pollock può leggersi quale anticipazione degli eventi che avrebbero portato alla dissoluzione dell’uomo nei fatti bellici e nello spirito, così l’opera di Silvestrin può interpretarsi come concreta missione vocata alla ricostruzione dell’uomo, mediante uno spazio di quiete, di meditazione, costruito nell’evidenza dei quattro elementi di base. Qui l’uomo può ritrovare se stesso, i propri valori essenziali, e su questo poggiando ripartire.
Neuendorf Villa, Majorca, Spain, 1991 6
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Clare Farrow, “Prefazione”, pag. 21, in Claudio Silvestrin, Eye Claudio, fire water earth air geometry thought, Bologna, Viabizzuno editore, 2009, pp. 1056.
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I suoli Riprendiamo dalla monografia edita da Octavo il tema sul significato dei suoli nell’opera dell’architetto. Afferma Silvestrin: «Per me è molto semplice, il suolo ha il valore della terra. Non è che ci sia tanto da dire, io do valore alla terra. Nel mio lavoro ci deve essere la presenza della terra e non è un caso che, quando posso, uso materiali naturali come la pietra che non è un simbolo della terra, è terra... terra nel senso vero e proprio, la pietra è terra. È come in un paesaggio, c’è l’erba, c’è la terra... nel mio lavoro visivamente si deve leggere la presenza della terra, che si tratti di una casa al piano terra o di un appartamento al nono piano. Penso che faccia parte di questo aspetto di solidità e permanenza che è legato all’essere legato alla terra. Se io, per esempio, uso la pietra serena in un appartamento di Londra, c’è il senso della terra, il senso di camminare sul naturale... per me è importante.»7 Nei vari progetti realizzati da Silvestrin la scelta del materiale lapideo e della particolare finitura è sempre variabile, atto di sensibilità del progettista ad interpretare ed imprimere attraverso la quinta orizzontale un carattere specifico degli spazi. In ciascun caso le lastre in grande formato sono tessere di un mosaico omogeneo funzionali all’armonia complessiva creata dal progetto. Con questa consapevolezza, non è mai consentito all’esuberanza, per così dire, di un’essenza lapidea (ad esempio particolarmente venata o dal colore fortemente acceso), di introdurre un “tono alto” e troppo evidente alla visione d’insieme del progetto. I piani orizzontali risultano dunque sempre ben calibrati e controllati. Le pietre pavimentali non esauriscono però nel calpestio la forza propositiva: sono pure piedistalli per l’arte, sia essa scultorea, pittorica, d’alta sartoria, o come in questo caso quella del fare industriale. Ancor più, i suoli sono come palcoscenici per le estemporanee rappresentazioni poste inconsapevolmente in scena dai fruitori-attori dello spazio, unitamente agli oggetti esposti. La presenza del pubblico, pur imprevedibile in modo esatto, è importante elemento di progetto; Silvestrin, con i suoi tratti tipicamente minimi ed asciutti, ne riconduce le reazioni d’impatto con le scenografie costruite, a pochi comportamenti essenziali. Gli allestimenti alla Hayward gallery di Londra, la Donnelly gallery-residence, i numerosi Armani stores, ne sono un esempio. B House, Provence, 1992
Della direzionalità e delle linee La chiarezza della meta è tema esistenziale centrale della ricerca di Silvestrin. Si traduce concettualmente ed operativamente in spazi molto misurati, in cui il numero ristretto d’elementi - varchi verso specifiche inquadrature interne od esterne, fasci di luce, oggetti essenziali, sedute precisamente collocate, colori dosati - unitamente alla loro connotazione formale, facilita sempre al fruitore la lettura dimensionale e direzionale dell’ambito in cui si venga a trovare.
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1“Il suolo”, pag. 186, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Firenze, Octavo, 1999, pp. 240.
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Frequentemente la strategia prescelta è quella dei divisori bassi entro vani di grande dimensione, come a voler ammettere la comprensione immediata d’uno spazio ampio non appena vi si entri, ma pure concedendo di farlo successivamente in modo eventualmente statico, da seduti. Sovente una “seduta architettonica”, precisamente collocata e realizzata a disegno, suggerisce la sosta: per la contemplazione, per la meditazione, per la comprensione. Conseguente alla lettura dei flussi di deambulazione nello spazio, oltre a quella dei dosaggi della luce naturale/artificiale al suo interno, la linea curva è utilizzata da Silvestrin solo in occasioni davvero specifiche, in ossequio al monacale riduzionismo essenziale dei tratti. Se escludiamo infatti gli inserimenti curvi ad interpretare gli spazi voltati d’antichi edifici recuperati, nell’intera opera dell’architetto contiamo essenzialmente: la parete traslucida dell’appartamento londinese Barker-Mill, alcune quinte negli allestimenti alle opere di Mapplethorpe e Kapoor, infine taluni modi espositivi lapidei degli Giorgio Armani store, come avviene a Londra. Mai prima del progetto posto in opera al Marmomacc di Verona nel 2008, la linea curva è assurta a protagonista nei progetti di Silvestrin. Forse proprio dall’Armani store di Londra e passando per le esperienze di design litico - con particolare riferimento alle vasche ed ai lavabi scolpiti - si deve ripartire per approfondire questa tensione reciproca fra la pietra (con tutta la sua naturale predisposizione all’essere scavata, scolpita, modellata), la sinuosità della forma e Claudio Silvestrin. Sostanze materiche Il preciso atto del far corrispondere i materiali ai volumi ed alle superfici da principio solo immaginate, poi rappresentate graficamente ed infine idealizzate in modelli tridimensionali, è frutto della sensibilità più personale dell’architetto, legata intimamente al modo di vedere i colori, di percepire lo spazio, di come s’intende mostrarlo ai fruitori, di come li si voglia condurre entro le ambientazioni di progetto. Le scelte di Claudio Silvestrin in merito ai materiali sono improntate in modo totalizzante alla sincerità ed alla naturalità delle superfici, per le quali l’architetto spazia attingendo dal mondo dei lapidei ai legni, dai metalli alle terre miscelate negli impasti d’intonaco. I colori risultano solitamente omogenei, generalmente affiancati tono su tono. Gli accostamenti avvengono senza intermediazioni, pur nella diversità; è pure questo un modo sincero e discreto di coordinare la tavolozza cromatica di base. Portando lo sguardo velocemente sulle pagine seguenti dedicate alle realizzazioni dell’architetto, possiamo cogliere un’anticipazione inerente il tema della naturalità materica: più di una strategia di progetto, si tratta ancora una volta di una filosofia. Essa si estende oltre l’utilizzo a materia prima di quanto già presente e disponibile sulla terra, con solo rare escursioni a quanto sia invece prodotto artificialmente con significative ingerenze di procedimento industriale: l’idea di naturalità è capace d’orientare decisamente le preferenze cromatiche del progettista e pure ritorna nell’attribuzione dei nomi d’alcuni significativi oggetti di design firmati da Silvestrin. È il caso dei panifici Princi, in cui le specifiche tonalità dei porfidi sono scelte assumendo a riferimento le scor-
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Barker-Mill apartment, London, 1993
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ze dorate dei pani e le cromie delle farine. È inoltre il caso, sempre nei forni Princi, degli sgabelli “Le spighe” disegnati per Poltrona Frau, il cui nome e le cui fattezze empaticamente s’ispirano al mondo naturale. È ancora il caso delle collezioni di vasche e lavabi scavati nella roccia, per i quali il nome “I Fiumi” sigla la metaforica trasposizione del greto in sasso dei corsi d’acqua, nella riproduzione secondo le forme di progetto per gli spazi dedicati alla cura del corpo. In Silvestrin la ricerca di un determinato spessore, od a maggior ragione, all’opposto, la ricerca operata da molti alla volta della sottigliezza ad ogni costo degli elementi costituenti l’architettura fin’anche alla negazione delle opacità, in favore di trasparenze sempre più protagoniste dello spazio, non costituisce un valore di per sé; mentre invece condizioni emozionali quali la quiete e la serenità fissano precisamente l’obiettivo cui tendere. I bordi talvolta particolarmente generosi di tavoli e panche, così come di alcuni caratteristici oggetti per gli spazi più privati della casa, sono non solamente l’esito del calcolo e della valutazione tecnica di fattibilità degli oggetti stessi, ma una via percorsa volontariamente per trasmettere rassicuranti sensazioni di solida e tranquillizzante stabilità. Con riuscito effetto a sorpresa però questi spessori, recanti agli oggetti preciso valore materiale in virtù della pienezza intatta della materia naturale costituente, non impediscono al progettista d’incidere minuziosamente sulla loro superficie, vale a dire nei punti in cui si determina più direttamente il contatto visivo e tattile dell’utilizzatore, stabilendo una sorta di imprinting lorentziano nell’approccio fra persona e cosa. Pensiamo ai top delle scrivanie H_O per Poltrona Frau lievemente disegnati con rilievo a scacchiera, ma soprattutto al progetto per l’allestimento del padiglione “La cava” per Il Casone a Marmomacc 2008, che vale all’azienda di Firenzuola il premio dell’evento fieristico alla migliore comunicazione aziendale per il secondo anno consecutivo. Ancora una volta il nome attinge dal repertorio naturale, interpreta il tema della “pelle” assegnato dagli organizzatori della manifestazione, intervenendo sugli esiti percettivi delle superfici litiche, comunque solidamente realizzate in materia piena. Lo fa differenziando e valorizzando le tracce di levigatura e di lavorazione al filo, sia pur riconoscibili quasi solo alla distanza ravvicinata; ancora persegue questa linea scalfendo leggermente e regolarmente il calpestio ad ottenerne la trama come di una moquette, di un tappeto dalle annodature preziose dei fili. Ne scaturisce l’invito ad un rapporto tattile, sensuale, a contatto diretto con gli elementi dell’architettura. I progetti di Silvestrin ci restituiscono nel loro complesso un quadro in cui nessuna vena lapidea monopolizza mai solitaria il campo delle possibilità applicative: ritroviamo infatti i marmi, così come i graniti e le arenarie, di vari colori, formati e sistemi di posa. Nonostante ciò, possiamo comunque registrare dei ritorni forse più frequenti: ci riferiamo specialmente alla pietra di Lecce, al porfido, alla pietra di Saint-Maximin e certamente pure alla pietra serena. Ad introduzione dunque delle pagine a seguire, approfittando di una conversazione con l’architetto durante le giornate della fiera, riportiamo un brevissimo tratto in cui ci ha rivelato, su questa materia grigia arenaria: “è la pietra forse più enigmatica, quasi astratta, la più neutra, la più misteriosa, come se fosse priva di un ego suo proprio.”
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Giorgio Armani store, London, 2003
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A R C H I T E T T U R E
Villa Neuendorf, 1991 Un primo cimento lapideo davvero convincente di Claudio Silvestrin è in Villa Neuendorf, progetto per un’abitazione a Maiorca, giocata sul tema mediterraneo delle interconnessioni fra spazi interni e spazi aperti. Questi ultimi si articolano fra patii e superfici attrezzate per il tempo libero. Sono caratterizzati dalla presenza estesa di pietra Santanyi locale, capace di ben individuare i percorsi nel paesaggio con le sue tonalità crema e nocciola sulla terra bruna del luogo. Al limitare dei corpi di fabbrica il pavimento in Santanyi diviene panca continua per la contemplazione dell’intorno. Essa risolve così l’attacco a terra di una tripartizione classica delle verticalità che vede il corpo centrale degli elevati incarnato dalle masse murarie color terra bruciata ed infine la sommità marcata in alto dalla sola linea sottile di stacco dall’azzurro intenso del cielo. All’ingresso negli spazi coperti il pavimento in pietra locale si fa arredo, non solo panca ma tavolo, elevandosi definitivamente dal suolo ad interagire con gli abitanti della casa. Casa B, 1992 In un intervento residenziale di recupero di fabbricato esistente in Provenza, dove ancora una volta la pietra è primariamente piano orizzontale di calpestio, si fanno largo due delle più tipiche presenze di Silvestrin legate agli spazi per la cura del corpo ed il bagno: il piatto doccia inglobato nel pavimento ed i lavabi e le vasche scolpite. La rassicurante naturalità lapidea fa dunque il suo ingresso anche in questi ambiti della casa, in lastre di grande formato, posate con ordinata regolarità ad inscrivere gli elementi costituenti e sostituenti il più classico e convenzionale piatto ceramico per la doccia. I giunti in malta a tratti scompaiono e divengono sottili fessure per la raccolta dell’acqua, metaforicamente restituita alla terra da cui è stata attinta. Rotondeggiante, morbida nelle curve, non distesa ma appoggiata al suolo, campeggia nello spazio ampio una delle prime vasche interamente lapidee dell’architetto, ricavate per sottrazione di materia dal blocco pieno di cava. La pietra Burgundy Beauval molto bene risponde in termini di luminosità e diffusione naturale ai raggi solari entranti negli ambienti.
Appartamento Barker Mill, 1993
Giorgio Armani store, London, 2003
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L’appartamento Barker Mill ci porta a Londra, sulla riva sud del Tamigi, in un celebre edificio in cemento e vetro a firma di Sir Norman Foster. Fa il suo ingresso in scena la pietra serena, con ruolo di orizzonte fisico ed in questo caso anche visivo, a considerare le ampie vetrazioni a tutta altezza portanti il calpestio ad estendersi fino al vero bordo praticabile percepibile dall’interno del fabbricato. L’omogeneità con cui il colore grigio di questa pietra tipicamente italiana - resa famosa nel mondo dall’opera geometrica di Filippo Brunelleschi - si conferma e si distribuisce su tutti i millimetri quadrati della lastra pavimentale, la fa preferire in quest’occasione ad altri materiali lapidei dai tratti più appariscenti. L’idea di uniformità cromatica pressoché totale garantita dalla pietra serena interpreta nella direzione della continuità le trasparenze ed il carattere industriale dell’opera di Foster. Si determina una tavolozza con gamma tonale oscillante dai cristalli, ora opalescenti ora trasparenti, al bianco delle pareti di maggior spessore, fino alle varie tonalità di gri-
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gio dei cementi, dei profilati metallici ed appunto del calpestio. Di nuovo gli arredi principali del bagno sono realizzati su disegno con medesima materia dei piani pavimentali; i rimanenti arredi, sempre in materiale naturale, attingono questa volta alle possibilità del legno.
Giorgio Armani store dal 1999 (Londra 2003) Il sodalizio Armani - Silvestrin ha inizio nel 1999. Prosegue e si conferma negli anni alla volta della realizzazione di oltre venti showroom localizzati in tutto il mondo. Per lo stesso gruppo facente capo allo stilista, lo studio Claudio Silvestrin architects, con sedi a Milano e Londra, sta ora lavorando al resort di Aquapura in Brasile. I retail Armani si collocano come esperienza insostituibile nel percorso progettuale di Silvestrin, offrendogli l’occasione, tra le più continuative e significative, per portare a sintesi l’approccio artistico, assieme all’esperienza negli allestimenti d’interni, unitamente al rigore ed all’austerità d’approccio sia concettuale sia formale. La naturalità materica è qui declinata affiancando arredi in legni scuri e rivestimenti lapidei in pietra calcarea francese, assunti in abbinamento dialettico e cifra cromatica di tutti i negozi progettati. Si unisce e permane con costanza in ciascuno di questi allestimenti d’interni l’elemento acqua, purificatorio e simbolico in adiacenza agli ingressi. Nell’attenzione all’attribuzione dei nomi con cui tenere a battesimo le realizzazioni, non passerà sotto silenzio il nome prescelto per il progetto in corso in Brasile. Il materiale dominante in tutte le realizzazioni è la pietra di Saint-Maximin, un litotipo calcareo estratto in una località nel nord della Francia, a ridosso del fiume Oise. Prendendo ad esempio emblematico il grande intervento a Londra del 2003, il progettista differenzia leggermente la scelta fra soluzione litica preferita a parete e rispettivamente a pavimento: la Franche Fine di Saint-Maximin è applicata verticalmente (con spessori di 3 cm, pezzature variabili fra i 30 e 40 cm per il lato minore e differenti lunghezze tra i 40 ed i 90 cm per quello maggiore), mentre sul piano orizzontale si mette invece in opera la Liais di Saint-Maximin (con spessori fra i 2 ed i 3 cm, e dimensioni caratteristiche delle lastre quadrate di 40 x 40 e 60 x 60 cm). I circa 1000 mq di superficie di vendita sono posati tradizionalmente su malta. Per le pareti invece il progettista ci offre l’opportunità di apprezzare gli esiti di un’estesa applicazione a secco su intelaiatura metallica. Nonostante lo schema elementare di montanti e traversi non ammetta solitamente eccezioni all’esecuzione di rivestimenti con esiti formali bidimensionali, l’allestimento londinese riesce a scardinare questa regola ed a plasmare nelle tre dimensioni un percorso planimetricamente curvilineo. L’applicazione in verticale di conci rettangolari si caratterizza per un disegno tipico della posa a correre. I corsi sono irregolari nelle dimensioni d’altezza, i sormonti risultano sfalsati. Le lastre sono tagliate a sega e levigate; il colore è chiaro e caldo. L’impiego di questa pietra è documentato in Francia a partire dal medioevo. È un lapideo cui vengono conseguentemente associati valori di permanenza e di storicità, tanto da essere la più presente nei numerosi interventi di restauro nella capitale francese.
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Donnelly gallery - residence, Irish coast, 2002
Le sue superfici sono restituibili attraverso tratti morbidi, per sfumatura di colore e disegno esteriore. Ciò permette d’avvalersi di questo specifico materiale come strategia per mediare le differenze spesso profonde fra l’atmosfera interna dei retail e l’intorno, sia con riferimento all’immediato contesto degli edifici entro cui i retail si sviluppano (con l’eccezione d’un paio d’occasioni si tratta sempre di interventi in edifici esistenti), sia con riferimento alla città frequentemente inquadrata attraverso ampi squarci vetrati. Meglio faremmo a parlare delle numerose e differenti città anziché esprimerci al singolare, considerando il numero e l’internazionalità delle location Armani. Ad ogni metropoli mondiale Silvestrin sembra aver consegnato una scenografia che evolve tutta dall’interno verso l’esterno, in cui gli abiti sono opere d’arte ed i manichini paiono soldati alle proprie postazioni entro spazi interamente lapidei che ricordano silenziose atmosfere di rocche medievali.
Donnelly gallery - residence, 2002 La pietra di Lecce è materia prima anche dei piani pavimentali della galleria ed abitazione privata Donnelly in Irlanda, direttamente affacciata sull’Oceano. In un intervento dalle componenti grafiche e geometriche importanti per l’economia generale di progetto, la superficie orizzontale di base è lapidea e di colore bruno. La terra liticamente rappresentata supporta l’arte e gli strumenti candidi per l’allestimento.
Museo d’Arte Contemporanea - Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2002
Museum of Contemporary Art, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin, 2002
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Sono numerosi i progetti di design e d’architettura di Claudio Silvestrin che adottano la pietra leccese quale materiale principe. Oltre alla vivandiera Taglio Bowl, agli interni di un centralissimo appartamento veneziano, ai pavimenti per la Donnelly gallery-residence in Irlanda, l’importante intervento commissionato a Torino dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per spazi da dedicare all’arte contemporanea si dota esteriormente di una parete interamente concepita con questa pietra. Che si tratti di un rivestimento e non di muratura isodoma è denunciato senza nascondimenti dal disegno di posa, regolare, preciso, tutto giocato sulla sovrapposizione priva d’alcun sormonto di conci rettangolari aventi altezza visivamente pari a circa la metà della larghezza, dunque un rapporto di 1 a 2. L’intervento lapideo si concentra sulla caratterizzazione dell’esterno, monocromo, con precisazioni sottili visibili solo all’osservazione attenta. La dimensione tipica dei conci è variata in corrispondenza di lame alte e sottili: ci si riferisce a tagli di luce estesi dalla sommità del volume a circa i due terzi dell’intera altezza. Essi scandiscono un ritmo al partito di facciata, trovante conclusione alternativamente nel muro stesso o nelle aperture a grandi ante in legno di cedro. In corrispondenza di queste lame i conci si riducono notevolmente in larghezza, ugualmente alla destra ed alla sinistra dell’asola. Quando la lama scende alle porte d’accesso laterale al fabbricato, ne segna l’ideale prosecuzione della mezzeria; quando le ante siano quelle prescelte fra tutte a portale d’ingresso principale, sopravanzante la linea netta su cui s’attesta in pianta la facciata, la lama
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trova fra sé e le ante lignee l’incisione della stella stemma della fondazione. Il volume fuoriuscente dal muro replica il disegno discendente dai conci di facciata nella cornice, derivata dalla naturale composizione di stipiti ed architravatura. Il portale è unica eccezione aggettante rispetto al filo del muro assieme alla panca che corre orizzontale a risolvere, qui come in Villa Neuendorf, l’attacco a terra. Come in quella villa il coronamento, si potrebbe pensare, si risolve con la semplice netta linea di sommità a staccare dal cielo. A ben guardare la ritmicità delle lame verticali suggerisce l’astratta riproposizione sul prospetto delle merlature d’una roccaforte, pur ampiamente rimodulate nelle proporzioni. Per cui è in realtà questa sorta di merlatura d’ordine gigante a costituire concretamente il coronamento dell’edificio. L’interno definisce grandi aule, una in particolare, per le esposizioni artistiche. Da dentro a fuori, negli spazi espositivi, non si percepiscono aperture. Ne deriva spontaneamente una concentrazione tutta interiore negli ambienti confinati, senza possibili fughe d’attenzione del fruitore verso l’esterno. Solo dalle grandi porte cadenzate lungo il corridoio distributivo è possibile riguadagnare l’esterno, accedendo ad uno spazio laterale verde, da cui rigirarsi ad osservare il fronte parietale in pietra leccese. Questo si presenta come il fianco di una basilica, con un ingresso principale ed altri secondari serventi un chiostro laterale.
Forni Princi, 2004 e 2006 Quella dei forni Princi costituisce per Claudio Silvestrin una nuova occasione per indagare l’essenza dei materiali dell’architettura e mostrarla al pubblico; in parallelo al cliente è come offerta la possibilità di venire a contatto con gli ingredienti ed il processo di produzione del pane che s’accinge ad acquistare. Dei quattro punti vendita Princi a Milano, il primo ad essere ideato da Silvestrin è il forno di piazza XXV aprile nel 2004, cui è seguito il centralissimo intervento in via Speronari nel 2006. I due progetti possono essere considerati come allestimenti d’interni, in cui il solo vetro di totale trasparenza distingue lo spazio di lavoro dei panettieri dallo spazio fruito dai clienti. Visivamente gli ambienti rimangono unitari, percepiti nelle loro intere dimensioni. La scena è animata e continuamente diversificata dalle azioni dei diversi fruitori-attori dello spazio: impastare, mescolare, infornare da un lato; entrare, acquistare, assaggiare dall’altro. Campeggiano sui banchi i prodotti del forno, con le loro croste dorate ed i colori caldi degli impasti, a volte farciti, ottenuti da miscele rigorosamente naturali. A questi colori d’impasti e di farine si cerca - da parte del progettista - il giusto accostamento cromatico e materico con i porfidi, come seguendo il medesimo istinto verso la tavolozza dei colori caldi dei pellami e del legno della collezione H_O per Poltrona Frau. Nell’uno e nell’altro negozio, per scelta di Silvestrin, il materiale lapideo in grandi formati di lastra prende possesso primariamente del suolo. Da qui, posato con giunto sottile ed a ricorsi irregolari, risale, materializzando alcuni tavolini d’appoggio come una sorta di volumetrizzazione del suolo in senso verticale. Per piazza XXV aprile, il pavimento diviene muro basso a separare lo spazio pubblico da quello di lavoro dei panettieri, quindi è la colonna a sostegno del solaio superiore, ed
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Princi bakery Speronari Duomo, Milan, 2006
Princi bakery Piazza XXV Aprile, Milan, 2004
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infine scala. In via Speronari invece, oltre a tavolino d’appoggio, il pavimento si fa muro definendo con differente superficie le quinte di scena sui due lati del bancone, fino a costituirne il bordo sulla vetrina. In queste applicazioni verticali, il concio lapideo trova sempre occasione di mostrare il suo spessore generoso, a suggerire un sicuro senso di stabilità e solidità, anche aziendale. Eleggendo la pietra a materiale principe della realizzazione, il progettista prosegue il filone caratteristico della naturalità del suo messaggio, ben supportato in questo caso dalla naturalità del prodotto commercializzato. Sono sintetizzati nei due microcosmi Princi i quattro elementi generatori: aria, acqua, terra e fuoco. Sono essi pure e non secondariamente, tutti alla base della produzione del pane. Il fuoco è lasciato serpeggiare ben in vista nei forni a legna, oltre alla fiamma delle sette candele inserite nella spalla in conci a spacco di via Speronari. La pietra è terra. L’acqua sgorga in entrambi i negozi da asole con effetto di cascata dall’alto in un’ansa ritagliata nella medesima quinta a spacco di via Speronari. L’aria è presente nell’alchimia degli impasti dei panettieri, nella chimica che alimenta la fiamma, nella solida trasparenza frapposta tra cliente e fornaio per motivi di protezione del prodotto lungo le fasi di lavorazione. La pietra è il porfido ed è proposto in duplice veste: liscia e ruvida. Il porfido è più liscio in prossimità dei punti di contatto con le mani dei clienti, quali le superfici piane dei tavolini; è più liscio, inoltre, sulla parete di retrobanco e sull’affaccio verso strada pure per esigenze d’igiene ad evitare l’annidarsi di polveri e farine; ancora è liscio al calpestio pur mantenendo la corposità e la grana che ben si sposano idealmente con la consistenza degli impasti destinati al forno. Il porfido è invece proposto con finitura più organicamente a spacco nei sostegni per i tavolini, nell’intera parete degradante da soffitto a pavimento di via Speronari, nella sponda bassa a contenere l’ambito per la deambulazione dei clienti in XXV aprile. La parete di Speronari accresce l’interesse per la sezione caratteristica del negozio, diversamente indifferenziata e rettilinea per 19 metri di lunghezza; ingloba al suo interno una nicchia d’attesa per clienti e lo spazio per un operatore alla cassa, verso l’uscita. In XXV aprile particolarmente l’accenno al mondo Poltrona Frau risulta ancora più pertinente, poiché l’allestimento si completa degli sgabelli “Le spighe” in metallo e pelletteria artigianale disegnati da Claudio Silvestrin; posizionati a ridosso del banco di lavoro dei panettieri, essi accrescono il significato del fare artigianale, degno d’essere osservato, conosciuto, ricordato. Sono inoltre presenti i vasi “Le sabbie” di Venini sempre su progetto dell’architetto. Per parola dello stesso autore, questi per Princi sono progetti di svolta nella carriera di Silvestrin. Vi riconosciamo, con particolare riferimento alle applicazioni lapidee, un approccio alla naturalità in senso più organico e diretto anziché sublimato e trattenuto in lavorazione epidermica sottile, di superficie. Entrano inoltre in gioco i metalli con il pretesto di alcuni arredi fissi e di alcuni rivestimenti di parete, partecipanti alla tavolozza cromatica con finitura brunita.
staccare dalle cromie centrali dominanti. È nuovamente declinato il tema degli spazi per la cura del corpo e degli arredi fissi per il bagno. Ritroviamo allora specialmente la vasca, polo visuale delle percorrenze sopraggiungenti, quindi la doccia in cui il piatto è interpretato dalle lastre pavimentali, infine i lavabi sempre scavati dai blocchi della medesima pietra. Lapidee sono in questo caso anche porzioni di rivestimento di parete, eseguito in conci rettangolari posati a sormonto. Il vano scala circolare è posto ad assecondare l’elica della rampa, riprende il medesimo tema di posa e suggerisce con i propri spessori marcati un’idea di stabilità.
Kanye West loft, New York , 2007 Il filo rosso congiungente Montecarlo e Manhattan è proprio la Limestone. è sorprendente la quantità di luce entrante dalle ampie finestre verso e da città. Probabilmente anche in funzione di questo, gli spazi abitativi non sono delimitati nettamente, ma solo ritagliati con divisori entro l’unico ampio spazio dell’appartamento. Più grandi ancora delle estese lastre pavimentali, due piattaforme monolitiche campeggiano in questa sorta di open space, squadrate e lavorate lateralmente a spacco. Sono esse contemporaneamente sedute basse, tavolo, metafisici volumi nello spazio unitario. Dall’unico piano del calpestio anche si derivano i piani per le basi della cucina, ritornanti a terra con movenze lineari del tutto coerenti con il linguaggio proposto da Silvestrin in questo loft newyorchese.
P penthouse Montecarlo, 2006 L’interesse per le pietre calcaree, dopo i numerosi utilizzi di pietra di Lecce, si conferma con la preferenza accordata alla Limestone nella P penthouse di Montecarlo realizzata nell’anno 2006. La pavimentazione, particolarmente nel corridoio, s’arricchisce nel disegno con bordure chiare a
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P Penthouse, Montecarlo, 2006
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Kanye West loft, New York, 2007
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design
La ricerca progettuale condotta dall’architetto passa dal contatto diretto col fare artigianale, con l’esperienza ed i saperi pratici di lavorazione della materia. L’artigianalità è allora forse il punto d’incontro fra il gesto scultoreo e la funzione, laddove per gesto scultoreo s’intenda l’astrazione con le finalità espressive immaginate dal progettista, mentre per funzione si pensi all’utilità concretamente pratica di ogni oggetto collocato nello spazio. I prodotti di design di Silvestrin possiedono come una doppia valenza: da un lato costituiscono il punto d’arrivo della ricerca condotta entro i binari tracciati ogni volta dal programma dell’azienda produttrice, ma pure dall’altro rappresentano contemporaneamente momenti alti e liberi di rilancio a nuove sfide di progetto. Si notano infatti in nuce nei lavabi e nel piano per la sala da bagno per un’abitazione privata a Venezia in pietra di Lecce, nella lampada in arenaria rossa per Abitare il Tempo nel 2001, nei tavoli in arenaria rossa e giallo sottobosco per Abitare il Tempo del 2002, i tratti dei successivi lavabi per Boffi, del piano cucina per Minotti, della lampada “notte” per Viabizzuno, delle scrivanie ”H_O” per Poltrona Frau. Ha dichiarato Silvestrin: «La pietra è terra». Si tratta forse della terra su cui camminiamo, capace di rumore sotto le nostre suole e su cui poggiano le nostre case; si tratta della terra che ci attrae con i suoi frutti, che imprime nell’aria le fragranze a seconda di pioggia e tempo atmosferico, mentre agli occhi mostra la chimica dei suoi comportamenti. Se la chiave di lettura sensibile fosse la giusta via interpretativa, sarebbe via indagativa profondamente connaturata e radicata alla condizione umana. Si legherebbe strettamente al senso ed alla percezione del tempo di ciascuno. La terra ci precede e pure sopravvive a noi, come alle nostre quotidiane esperienze. Il suo è un tempo di durata, disteso ben oltre l’attimo. Ai nostri sensi trasmette solidità, sicurezza, stabilità: sono, queste, valenze tipiche raggiungenti in modo subliminale il fruitore come per irraggiamento, al solo contatto sensibile col design di Silvestrin. Dei fondamentali progetti per i lavabi e le vasche della collezione I Fiumi per Boffi ci occuperemo con maggiore dettaglio nella descrizione dedicata al progetto La Cava, valutando possibili legami d’approccio e di esito formale. Per Minotti cucine nel 2005 Claudio Silvestrin disegna la linea Terra. La ricercata a-temporalità espressiva dei volumi di questa cucina include comunque entro la propria sagoma anche elementi tecnici d’ultima generazione, introducendo così il tema di progetto dei sottili accostamenti antitetici. Riportiamo liberamente all’italiano la descrizione offertaci dall’architetto in lingua inglese. «La terra - le sue acque, foreste e montagne - è straordinariamente bella in se stessa, nella sua semplice, sola presenza. In contrasto con gli artefatti d’ogni giorno, in cui sono predominanti l’uso e la funzione, la terra è ciò che è, indipendente da ciò che noi siamo, da ciò che facciamo e dal senso che vi attribuiamo. Concependo la cucina Terra, ho immaginato un oggetto che fosse utile, funzionale e che fosse presente con la stessa forza della natura: solida, senza tempo ed astratta. Ho espresso l’immenso valore della terra con una forma geometrica rigorosa e materiali naturali - pietra e cedro.
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I fiumi collection, Boffi, 1999
Terra kitchen, Minotticucine, 2005
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Cucinare su di un piano di lavoro in porfido che ha ventotto milioni di anni, mi fa sentire allo stesso tempo riverente e felice. La cucina Terra è disponibile in differenti materiali e combinazioni: porfido chiaro o scuro, legno di cedro, e la più recente pietra Labradorite.»1 Un anno dopo Terra Kitchen Claudio Silvestrin disegna la collezione per ufficio direzionale H_O per Poltrona Frau. La solidità della proposta di Minotti cucine non viene meno in questi arredi da lavoro in cui, per vero, la durezza lapidea è ammorbidita dalle fasciature in pellame di lavorazione tipicamente artigianale di Poltrona Frau. La solidità è enfatizzata al punto, in alcuni pezzi della collezione, da far prevalere dimensionalmente il sostegno in porfido sulla superficie orizzontale del piano di lavoro in legno, sopravanzandola. Quest’ultimo - il piano - completa il mix d’elementi naturali del progetto e fa da ponte fra litica durezza e più soffice consistenza dei sostegni al lato opposto. Gli spessori, comunque generosi, s’accoppiano ai materiali in modo personalizzato: la gamba in porfido più massiccio, il piano di una consistenza capace di confortare con la propria altezza la presa ravvicinata del palmo d’una mano, le gambe sottili rivestite in pellami Frau. Oriente/Occidente è un tavolo da pranzo per Glas, del 2006. Anche in questo caso non troviamo gambe puntuali, ma piani della consistenza minima in spessore, quasi superfici. I due mondi s’incontrano con preciso incollaggio a 45 gradi, l’uno portatore di sincere trasparenze, l’altro d’opacità sfumate nelle vene grigie del marmo di Carrara.2 Visibile ed invisibile, duro e morbido, senza tempo e contemporaneo: nel design in particolare, Silvestrin è sensualmente ossimorico e sempre trae da questi accostamenti diretti il contenuto ulteriore alla semplice somma degli elementi costituenti.
H_O presidential office collection, Poltrona Frau, 2006
Oriente/Occidente dining table, Glas, 2006
Il brano attinge e liberamente traduce dalla relazione di progetto. Traduciamo dalla relazione di progetto: «I piani grigio-venati sono in marmo Statuario di Carrara e vetro trasparente ultra-sottile, di 19 mm di spessore. Il top vetrato è formato incollando i bordi rifilati a 45° di un cristallo centrale, ai bordi di due lastre marmoree laterali. I supporti, fissati al piano vetrato mediante piatti d’acciaio, sono costituiti da due lastre di vetro incollate assieme.» 1 2
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La Cava
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La Cava fra astrazione artistica e capacità tecnica
L’arancia La metafora visiva dell’arancia utilizzata da Silvestrin come concept di questo progetto ha almeno un precedente illustre. Bruno Munari infatti bene sostiene per l’arancia la candidatura ad oggetto di design, descrivendola nel breve, pionieristico scritto del 1963, contenuto in Good design, in prima edizione Scheiwiller, ora riproposto da Corraini Editore. Nel nostro caso però, anziché la corrispondenza precisa fra le parti - buccia, spicchi, semi - e l’oggetto di progetto, il senso della metafora è nel gesto di svestizione dagli strati esteriori del frutto alla ricerca della verità che porti al cuore del materiale. Il raggiungimento del centro del padiglione rappresenta dunque il metaforico atto conclusivo del percorso compiuto da chi si domandi della natura interiore delle cose; a chiedersi: quale l’origine della materia lapidea? Nell’intervista resaci dall’autore durante le giornate della fiera veronese l’intento e la risposta emergono chiaramente: nella pietra, concettualmente, non esiste vera differenza fra buccia e nocciolo come potrebbe essere in un frutto. La pietra è un’energia totale, un tutt’uno in ogni suo millimetro di spessore e di profondità. Sulla base rettangolare di 8 x 15 metri, a partire da un blocco naturale di cava alto 3 metri, si snoda allora un nastro di pietra arenaria che conquista la piattaforma con movenze spiraliformi evocanti in pianta quelle cristallizzate nelle conchiglie fossili e, dopo alcuni volteggi eseguiti senza toccare il suolo, finalmente si poggia, facendo della piattaforma proprio palcoscenico. Il piano litico omaggia, citandoli nella particolare finitura eseguita ora meccanicamente, i lastricati storici delle città fra Emilia e Toscana, come a definire l’ambito geografico tipico d’estrazione della pietra serena, materia prima del progetto. La medesima finitura vuole pure tentare di approfondire nuovamente al calpestio il messaggio generale dell’opera, incentrato sul rapporto fra mera superficie - messa qui ora in discussione - e profondità delle lastre. L’occasione del padiglione espositivo solo estende l’applicazione “a secco” del piano orizzontale cara al progettista nelle tipiche soluzioni puntuali per gli spazi intimi del bagno, dove particolarmente la doccia incarna ancora una volta il principio di riduzione essenziale degli elementi, l’annullamento d’ogni orpello accessorio: il piano è il medesimo del calpestio e l’acqua corrente è per così dire immediatamente ridata alla terra.
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Una volta raggiunta la terra, il nastro lapideo ha acquisito corpo e sviluppo verticale importante, distinguendosi in alte pannellature di 2 metri. L’inviluppo litico definisce una serpentina dai bordi solidi atta ad impedire il traguardo visivo fino alla meta. Risultano comunque da subito chiari il percorso e l’esistenza del suo arrivo centrale; ogni altra cosa è solo immaginabile, inducendo il visitatore al movimento e alla scoperta per questa via. Il senso di sorpresa e l’allestimento La meraviglia ha rappresentato da sempre strumento possibile per indurre alla conoscenza, consolidandosi come vera e propria strategia espositiva a partire dalla fine del Seicento. Scriveva Descartes al riguardo: «sorpresa improvvisa dell’anima, per cui essa si volge a guardare con attenzione quegli oggetti che sembrano rari ed eccezionali».1 Carattere proprio della tipologia del padiglione espositivo, la componente meraviglia è ingrediente anche del progetto di Silvestrin, pur misurata dalla volontà di farne attrice comprimaria e mai unica a discapito dei contenuti primi del progetto. In quest’opera, il senso di sorpresa è presente a vari livelli, da quella morfologica generale a quella delle soluzioni di finitura. Alla scala del dettaglio costruttivo, stupisce per l’esecuzione il tappeto lapideo rigato, la cui lavorazione è eseguita ricercando una continuità di finitura fra lastre normalmente non perseguibile con i modi della sola produzione meccanizzata. In questo modo è pure trasmesso il valore della filosofia aziendale, capace di recuperare l’artigianato all’industria. Ugualmente attrattivo, nell’avvicinarsi al cuore del padiglione, è lo spiccare da terra dei pannelli lapidei concentrici, quasi a voler eliminare il fattore ponderale a loro connaturato: la materia, assottigliata ai suoi minimi spessori, acquista leggerezza e si stacca dal suolo facendosi nastro, per ridiventare materia originaria, roccia allo stato naturale. L’elemento monolitico svettante al centro della piattaforma rettangolare s’impone per altezza; metaforica celebrazione dell’origine naturale della materia, è faro per il pubblico entro l’intero spazio espositivo di Marmomacc. Elementi di novità (e, quindi, di sorpresa), infine, se ne impongono nello specifico agli stessi conoscitori dell’intera opera di Silvestrin, ai quali potranno risultare insolite la rugosità del calpestio pavimentale da un lato e, dall’altro, il disvelamento del messaggio spaziale di progetto alla sola conclusione del percorso compiuto dal visitatore. È fatto salvo infatti l’atto contemplativo alla vista rivelatrice finale, ma questa, all’affacciarsi al padiglione, è lasciata solo intuire oltre la cinta lapidea, senza svelarsi completamente. Ars L’opera espositiva di Silvestrin per Il Casone a Marmomacc 2008 ripropone, nei limiti degli spazi fieristici concessi, il dispositivo del labirinto da sempre caro al mondo dell’arte. Sono numerosissimi i contributi su questo tema anche tra gli autori più noti: ci piace ricordare Mirò, per la vicinanza geometrica di alcuni suoi tratti celeberrimi alla spirale litica di Silvestrin, e particolarmente Kou1
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Renée Descartes, “Le passioni dell’anima”, art. 70, in Opere, Roma-Bari, Laterza, 1967, vol. II, pp. 444.
nellis per la significativa contemporaneità della sua opera. Il labirinto in ferro e carbone dell’artista italo-greco alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma è, per parole dell’autore, strumento personale per rifuggire la frammentarietà del mondo contemporaneo, alla volta del raggiungimento di una centrica unitarietà. Afferma, sul tema, nel 1993: «Nessuna scorciatoia risolve il problema, il viaggio all’interno del labirinto deve essere reale fino al cuore del problema e questo ti dà anche la misura del tuo destino».2 Il labirinto assume significato simbolico, nella storia, in parallelo all’arte, in ambito religioso: oltre a costituire citazione diretta dell’intrico materializzato nei camminamenti catacombali, il labirinto è metaforicamente trasposto ai calpestii di alcune cattedrali europee, come a Chartres, dove è rappresentazione del percorso di fede in avvicinamento a Dio situato al centro. Il movimento concentrico e contemplativo è del resto già presente, senza alcuna foggia labirintica, nel camminamento absidale dei fedeli attorno l’altare. «Problema di Dio a parte», come direbbe Silvestrin3, il labirinto concettualmente può rappresentare l’itinerario mentale dell’uomo verso la conoscenza. Racchiude in sé i temi dell’inconoscibilità certa della meta, nonchè della linearità logica dell’avvicinamento alla meta stessa. Il raggiungimento del centro, scopo del viaggio, risposta alla propria domanda esistenziale, sempre è associato ad un momento di catarsi, di conoscenza del mondo e di sé, conseguentemente anche di redenzione personale nel senso spirituale più ampio, non necessariamente cristiano. Ulteriori richiami all’espressività artistica contemporanea sono le sculture, quali ad esempio Band di Richard Serra, per forma, senso di compressione fra le pareti del percorso, attesa-incertezza sul punto d’arrivo: di fronte al labirinto infatti non esiste mai la sicurezza di riuscita, ma solo la sfida d’affrontare la prova, l’ingresso. Avvicinandoci all’architettura, ricordiamo il labirinto sulla collina vicino Messina ad opera dello scultore Italo Lanfredini; ancor più, ci pare infine suggestivo il richiamo al recente muro per la preghiera, opera dell’architetto Pietro Carlo Pellegrini al Monastero di Santa Gemma Galgani in Lucca, con il suo slancio verticale centrale in conclusione di percorso labirintico. Se dunque una delle ragioni dell’arte, se non la principale, è provocare il pensiero, Silvestrin per Il Casone sceglie di misurarsi con uno dei temi artistici più antichi ed intriganti, quello del labirinto, per stimolare ciascuno, nello straniamento provocato dall’arte collocata al di fuori dei suoi spazi canonici, ad un ragionamento sulla natura propria della pietra. Tékne La creazione del monolite svettante al centro è opera scultorea di Studio Arte Marmo. La sua realizzazione richiede, operativamente, la sovrapposizione di tre cilindri, tagliati “al filo” dal blocco originario di cava e poi scavati: il peso della materia, di circa 6.000 kg se non svuotata al centro, non sarebbe stato tollerato dal pavimento del padiglione della fiera. I tre rocchi sovrapposti han2 Per approfondire su Jannis Kounellis: B.Corà, Chiara D’Afflitto (a cura di), Esposizione di paesaggi invernali, catalogo della mostra Esposizione di paesaggi invernali, Palazzo Fabroni, Pistoia, 1993, Edizioni Charta, Milano 1993, pp. 184. 3 Claudio Silvestrin, “L’architettura cistercense”, pag. 219, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Firenze, Octavo, 1999, pp. 240.
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no diametro nominale di 160 cm ed altezze dal basso alla vetta rispettivamente di 100 cm, poi 80 cm, poi 150 cm. Il piano pavimentale realizzato con lastre assemblate a secco è sostenuto da piedini regolabili, appositamente studiati da Goldbach per l’installazione di Silvestrin; lo spessore dei moduli in pietra serena è 4 cm, utile alle forature per il passaggio di cavi d’alimentazione elettrica e telefonica; sono inoltre presenti alcuni fori di 11 mm per puntuali fissaggi delle pareti lapidee. La speciale finitura con rigatura continua sulle lastre di grande formato è ottenuta mediante macchina “rigatrice ad una testa”. La pietra fa spazio per 1 mq di superficie ad un varco quadrato, vetrato, per ammettere al pubblico la visione del sistema sopraelevato. I pannelli verticali, con spessori massimi di 8 cm, sono tutti monoliti unici differenziati sia per larghezza sia per rastremazione in spessore; taluni variano anche in altezza, nel tratto detto “volante” in cui spiccano dal calpestio. I due affacci di ogni pannello seguono curvature proprie e reciprocamente distinte. La variabilità della dimensione dei rispettivi raggi di curvatura è compresa fra i 10 ed i 40 cm rispetto al centro geometrico della figura. I pannelli danno riscontro ai fori per fissaggio a pavimento mediante ancoraggi metallici, in corrispondenza dei quali si trovano altrettanti fori svasati di 8 mm di diametro e 100 mm di profondità entro spessore dei singoli pannelli. I pannelli sono pure tagliati “al filo” direttamente dal blocco di cava, poi messi in prova. Per loro si calcola un peso di 450 kg/ml. Alle estremità di parete i pannelli sono lavorati ad ottenere stipiti secchi e lineari, pur nelle evidenti differenze di spessore visibili tra l’estremo più sottile verso esterno e l’apertura conducente al retropalco. Il progettista sceglie come lavorazione superficiale la sabbiatura sulla faccia esterna, invece la calibratura con mola all’interno del pannello. I segni di rigatura frutto della lavorazione sul lato interno sono lasciati a vista. I collegamenti fra i pannelli avvengono mediante spinotti in acciaio inox e zanche metalliche larghe 1 cm, verniciate in colore grigio a scomparsa. In pietra serena sono pure i banconi curvilinei d’accoglienza al pubblico. Complessivamente sono utilizzati circa 50 mc di pietra serena di Firenzuola. Lungo tutto il percorso di sviluppo e realizzazione del padiglione per Marmomacc 2008, interprete delle necessità di progetto dell’architetto Silvestrin e contemporaneamente delle esigenze tecnico-costruttive de Il Casone, Giovanni D’Angiolo ha svolto il complesso ruolo del coordinamento esecutivo, sovrintendendo ad ogni fase: dall’incipit dei primi schizzi ideativi del progettista, alla messa in opera dei singoli conci lapidei. Nelle occasioni della fiera D’Angiolo ha illustrato le specifiche soluzioni adottate, rendendo con le parole quasi elementare quanto in realtà ha richiesto l’impegno costante e l’affinamento continuo dell’idea in termini concreti di realizzazione. È emersa con maggiore evidenza la sottigliezza dei pannelli verticali, che assumono in rapida successione spessori sempre più sostenuti per ritornare infine sottili all’estremità del nastro lapideo. I punti d’ancoraggio e connessione reciproca fra i pannelli, tra loro in sommità e fra i pannelli ed il pavimento di base, sono a scomparsa; la forma ellittica, per legge geometrica, ha comunque sostenuto l’idea dell’autoportanza. La sopraelevazione dell’installazione su pavimen-
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to galleggiante ha richiesto un grado davvero elevato di sofisticazione: sia poiché i pesi propri degli elementi e le varie geometrie con cui ricalano in pianta hanno obbligato alla redazione di un vero disegno pavimentale a casellario cui attenersi assai precisamente, sia poiché la pendenza propria dei calpestii dei padiglioni fieristici ha dovuto essere rettificata a realizzare un piano di posa orizzontale perfetto. D’Angiolo ha confermato che quest’opera ha richiamato a sintesi pressoché tutte le famiglie d’applicazioni tecnico-progettuali del mondo lapideo: da quella specifica dell’abacizzazione e della rappresentazione grafica dei singoli conci per la produzione a misura, a quella dell’opera scultorea ad interpretare le fattezze della pietra naturale, quindi a quella dell’intervento delle macchine a controllo numerico per la gestione e la restituzione dei pannelli con affacci in doppia curvatura ellittica. Curvilineo e rettilineo nei progetti di Claudio Silvestrin La linea curva è protagonista dei progetti di Claudio Silvestrin in modo assai controllato. Il risultato, nelle rare occasioni in cui accade, è quello della maggiore forza, della maggiore espressività e significanza degli stessi elementi curvilinei della composizione, indipendentemente dalla scala urbana, architettonica o del dettaglio con cui l’architetto si confronta. Sempre nelle rare occasioni in cui accade, la presenza tridimensionale curva nello spazio mai prescinde dalla complice e simbiotica presenza bidimensionale degli estesi piani d’appoggio pavimentali orizzontali, quasi essi siano piattaforme specificamente funzionali all’allestimento d’arredo da porvi in scena, quand’anche abitativo. Sosteneva Vassilij Kandinskij nelle teorizzazioni dell’esperienza Bauhaus4 che l’elemento armonico di una composizione può essere anche costituito dal massimo contrasto fra due elementi. Tale contrasto, se usato in modo controllato, può a suo avviso influire in modo positivo, fino ad elevare l’opera al massimo livello dialettico. La linea retta e la linea curva costituiscono una coppia per così dire antagonistica; ma tra le due opposte rappresentazioni segniche poggia spesso l’efficacia espressiva dell’arte moderna, come si può ben notare nei tratti geometrici di base ad esempio de Il bacio di Klimt. La retta e la curva, in certo qual modo simboli estremi di spirito artistico rispettivamente apollineo e dionisiaco, raggiungono sintesi mai banali nei progetti di Claudio Silvestrin. Se interpretiamo mentalmente gli scatti fotografici della Maison B ed ipotizziamo per un attimo di eseguire a disegno una sezione attraversante la vasca lapidea nella sua mezzeria, per estrema semplificazione ci troveremmo di fronte ad una retta (il calpestio) e ad una curva pressoché pura che vi si appoggia sopra delicatamente, come uno spicchio di luna che lambisce la linea dell’orizzonte. In questo senso possiamo meglio approfondire il legame genetico esistente fra tre progetti a forte protagonismo lapideo: i lavabi e le vasche raccolte nella collezione I Fiumi per Boffi, l’articolazione interna dell’Armani Store di Londra, lo stand espositivo per Il Casone a Marmomacc.
4 Vassilij Kandinskij, “I corsi inediti al Bauhaus”, in Philipp Sers (a cura di), Tutti gli scritti. Vol. 1: Punto e linea nel piano - Articoli teorici - I corsi inediti al Bauhaus, Milano, Feltrinelli, 1989.
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Per Silvestrin non esiste differenza d’approccio nel cambio di scala; permangono i significati primi da cui l’architettura prende forma. Allora la pietra è terra. Ogni elemento che vi si innalzi sul suolo, quand’anche sia esso stesso lapideo, lo fa con leggerezza, una leggerezza normalmente inimmaginabile per la pietra. Per le vasche ed i lavabi litici le rotondità della forma nelle tre dimensioni rendono ombratile e quasi sospeso l’inevitabile contatto col suolo; per il percorso espositivo del negozio di Londra la parete dall’andamento avvolgente - quasi, in sezione, l’ingrandimento di un lembo della vasca - ha previsto nel disegno dei conci d’attacco al suolo uno stacco lieve e continuo fra il piano orizzontale di calpestio e quello verticale di parete; per lo stand spiraliforme a Marmomacc i pannelli in pietra serena massiccia, già non trovanti col suolo un contatto pieno per via della sua rugosità superficiale, si staccano definitivamente dal calpestio nella parte cosiddetta “volante” per abbracciare il monolite centrale. I legami fra i tre progetti non si esauriscono in tali aspetti di “contatto”. I due allestimenti di Londra e Verona mostrano le loro rassomiglianze genetiche con più evidenza nell’approccio al tema del percorso e delle aspettative visuali lungo gli andamenti curvolineari dei camminamenti, tema rispetto al quale gli oggetti di design contribuiscono solo indirettamente, partecipando a determinare in modo fluido i percorsi verso ed attorno a sé. Il padiglione di Verona e gli oggetti per il bagno mostrano invece legami nella consistenza tutta lapidea degli elementi tagliati e scavati direttamente dal blocco, e così posati al suolo, mentre questa volta per Londra si brevetta un sistema di sottostruttura metallica a svuotare la parete e rivestirla con tecnologie a secco in conci lapidei di 3 cm di spessore. Infine l’allestimento di Londra e le sale da bagno della Maison B (ma anche la più recente Penthouse di Montecarlo e gli elementi della collezione I Fiumi), sviluppano assonanze e dialogicità forti della presenza dell’elemento acqua. Costante componente d’iniziazione ai percorsi interni dei retail Armani, recante i significati propri di purezza e naturalità, l’acqua per un oggetto quale la vasca è protagonista certa del progetto al pari di ciò che la contiene. Silvestrin descrive così la collezione per Boffi: «I lavabi e la vasca in pietra sono una collezione: I Fiumi. Il loro disegno intende sposare gli elementi di acqua e terra, il senso di fermezza e resistenza della pietra con quello di movimento e mutabilità dell’acqua. Questi elementi sono espressi attraverso le forme più rigorosamente semplici e geometriche». 5 Il motivo dell’elemento naturale quale materiale principe dei progetti di design di Silvestrin pure risiede nella dinamica conducente l’arredo alla produzione: è talvolta capitato, per altro forse proprio per gli oggetti più celebri, che dal progetto d’arredo su disegno per uno specifico committente si sia passati solo successivamente alla serializzazione del medesimo prodotto per l’industria manifatturiera. È coerente dunque la traduzione, ovvero il passaggio per traslazione, dei caratteri propri del linguaggio dell’architetto dal progetto d’architettura a quello di design di prodotto. In un passaggio dell’intervista raccolta da Interni nel numero monografico di dicembre 2006 Claudio Silvestrin dichiara: «Quando faccio progetti d’architettura cerco di produrre una sensibilità verso 5
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Il brano attinge e liberamente traduce dalla relazione di progetto.
tutto ciò che è solido, ancorato e destinato a durare»6. Il rivolgersi ai materiali naturali, a maggior ragione alla pietra, allora ci sembra pure una difesa contro l’effimero, contro la moda e lo scorrere del tempo. Poco oltre, sempre nell’intervista, l’architetto afferma sulle significatività non meramente funzionali in architettura: «l’avere perso il valore simbolico della costruzione è secondo me una colpevole forma di riduzionismo culturale. Nel mio lavoro cerco sempre di valorizzare gli elementi della natura come l’acqua, il fuoco, la terra, lo spazio, che in un certo senso vogliono essere presenze quasi “divinizzate”, e per nulla decorative, proporsi come elementi forti del progetto complessivo»7. Torniamo così ai temi di tensione reciproca fra terra ed acqua, fissità e movimento, retta e curva. Le sperimentazioni futuriste di Balla in modo esemplare hanno sovrapposto i livelli della grafica a quelli della percezione; in “Linea di velocità” la replicazione spasmodica della curva è associata al rumore meccanico del motore e del progresso. All’opposto, con riferimento a Silvestrin, alla nettezza pura dei suoi tratti curvilinei, alle trasparenze liquide contenute dai solidi bacini in pietra, potremmo invece parafrasare Friedrich Kiesler ed affermare che il serpeggiare dell’acqua in un contesto naturale suscita silenzio8.
6 “Claudio Silvestrin”, pag. 5, intervista a cura di Matteo Vercelloni in Interni n. 12 dicembre 2006, pp. 1-29 e 70-73, numero monografico dedicato a Claudio Silvestrin, pp. 96. 7 “Claudio Silvestrin”, pag. 7, intervista a cura di Matteo Vercelloni in Interni n. 12 dicembre 2006, pp. 1-29 e 70-73, numero monografico dedicato a Claudio Silvestrin, pp. 96. 8 Per approfondire su Friedrich Kiesler: M. Bottero, Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente. Ultime opere e ricerche galattiche, catalogo della mostra Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente, Milano, Galleria della Triennale, 28 febbraio-10 aprile 1996, Milano 1996.
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La ricerca dell’essenza Vincenzo Pavan
«Per me è molto semplice, il suolo ha il valore della terra. Non è che ci sia tanto da dire, io do valore alla terra. Nel mio lavoro ci deve essere la presenza della terra e non è un caso che, quando posso, uso materiali naturali come la pietra che non è un simbolo della terra, è terra... terra nel senso vero e proprio, la pietra è terra. È come in un paesaggio, c’è l’erba, c’è la terra... nel mio lavoro visivamente si deve leggere la presenza della terra, che si tratti di una casa al piano terra o di un appartamento al nono piano. Penso che faccia parte di questo aspetto di solidità e permanenza che è legato all’essere legato alla terra. Se io, per esempio, uso la pietra serena in un appartamento di Londra, c’è il senso della terra, il senso di camminare sul naturale... per me è importante.» Claudio Silvestrin, “Il suolo”, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Firenze, Octavo, 1999
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Pochi e rari sono gli architetti che hanno scelto nel loro lavoro la ”strategia del silenzio”, una rinuncia al gesto spettacolare e gratuito come pratica gratificante, e pagante, del nostro tempo. Claudio Silvestrin è certamente uno di questi ma non trova collocazione adeguata in tale categoria, neppure nella schiera, pur esigua, dei minimalisti. Non tra coloro che hanno scelto il ruvido saio dei materiali poveri, sopra tutto quel cemento universale che, come una regola di castità, consente nella sua opaca sostanza materica di elevare l’architettura a rigore mentale assoluto. Neppure tra chi ha intrapreso l’algido percorso della “immaterialità” alla ricerca della trasparenza, della impalpabilità delle superfici, della inconsistenza materica come opzione oppositiva al greve frastuono di forme e materiali appariscenti. Tuttavia anche Silvestrin è partecipe di un’area culturale che ha come valori primari la sobrietà formale e il riferimento a figure archetipiche universali, ma l’originalità della sua ricerca risiede soprattutto nell’approccio concettuale verso la materialità dell’opera nelle due aree disciplinari a lui congeniali, il design di interni e l’architettura. Pur non ponendo preclusioni a priori alle potenzialità di ciascun materiale il suo interesse appare particolarmente insistito sulla pietra, da lui usata in numerose opere chiave del proprio percorso creativo. Alla pietra egli applica il concetto di energia come qualità intrinseca alla sostanza materica, che non ha un nocciolo e una scorza in cui si misuri una diversa intensità ma è un tutt’uno, un unico corpo energetico. E questa energia prodottasi per accumulo, aggregazioni e metamorfosi di diversi materiali in un tempo lunghissimo è la stessa che dà vita alla terra. Pertanto l’energia risiede sia nel blocco cavato dalla roccia sia nella lastra ritagliata dal blocco. Sta all’architetto riconoscerla, svelare la sua essenza e rivelarla nella propria opera. Riconoscere queste qualità della pietra, più che della disciplina fa parte della sensibilità, un sentire particolare che ti porta a scartare la superficialità e ti spinge alla sfida con la complessità e la profondità. La scelta di superfice ti porta a guardare la pietra per gli aspetti decorativi gratuitamente messi a disposizione dalla natura come meravigliose policromie, venature di grande ricchezza formale, e quanto può servire da mettere direttamente in opera, come un prezioso tessuto per confezionare un vestito. Silvestrin ama invece cimentarsi nella sfida ove è più difficile svelare la qualità e la forza della
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pietra, rivelarne la profondità, scegliendo spesso materiali litici monocromi, apparentemente inespressivi. Qui entra in gioco la techné nel senso della applicazione universale dei saperi che non trascura alcun aspetto della costruzione. Tuttavia la sua visione “energetica” non coinvolge l’aspetto tettonico e non implica un giudizio “ideologico” in tema di spessori, ovvero la coppia struttura-rivestimento, su cui oggi la cultura litica molto dibatte. Certo, la semantica costruttiva è ben chiara e presente nella sua opera ma la qualità comunicativa del materiale litico passa attraverso la capacità di far emergere, attraverso un complesso di operazioni tecniche, come sistemi di taglio, trattamenti abrasivi, lucidatura, fiammatura, acidatura ecc., qualità nascoste anche nelle pietre apparentemente più povere. Rendere la profondità in un rivestimento sottile, far percepire la risonanza della roccia viva in una superficie altrimenti amorfa non rappresenta soltanto una particolare abilità di rivelare l’essenza della materia, ma costituisce la condizione fondamentale per trasformare una astrazione formale o una semplice figura architettonica in architettura viva. In questo senso, volendo collocare l’opera di Silvestrin in un “sito” che ne rappresenti il contenuto profondo, più che nel minimalismo essa dovrebbe trovar posto nell’essenzialismo, una categoria che non si riferisce a uno specifico linguaggio formale ma a una condizione mentale, a una predisposizione dello spirito.
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La Cava
Matter’s symbology: stone is ground
Claudio Silvestrin «Lack of adornment is a sign of spiritual strength» Adolf Loos1
With the “La Cava” project, I mean to express the strength, the worth, the soul of the rock in its entirety, its thickness, its weight, its appearance as form and as surface. Surface that is, itself, the co-essence of the rock being. This project makes us realise that the crust does not wish to be separated from the heart of the rock, that it exists instead as a whole, a unity. The energy of the rock consists of this material totality.
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Philosophy, art, architecture Architecture came to Claudio Silvestrin by grafting itself onto his main interests of philosophy and art. This is how it happens, as when a text is composed on an initial, given phrase, that, so to speak, sets the direction, establishing a yardstick for attributing meaning to what follows. In the history of architecture, this aspect has been capable of bringing designers together over fundamental work that has drawn a peculiar sensibility or an unusual critical-operational outlook from a founding orientation not strictly within the discipline, such as happened with Le Corbusier or Rem Koolhaas. The path of Silvestrin’s development led him, during the years he attended the Istituto Statale d’Arte at Monza, to an encounter with A.G. Fronzoni, a designer with a profound knowledge of architecture and art; he guided Silvestrin towards completing his studies at the Architectural Association in London in order to gain an international and cosmopolitan vision, though not to question his own basic tenets. “I did not receive any architectural influence at the Architectural Association,” states Claudio Silvestrin, ”I already knew what to do.”2 Two important theoretical references in understanding the substance underlying the designs, as the architect himself declares, are, surprisingly, Seneca and St Bernard. A very recent publication in the Tascabili Bompiani series, by Giovanni Reale, is entitled: The philosophy of Seneca as therapy for spiritual malaise. Beginning with the observation of human existence as being subject to pain and suffering, Seneca argues that philosophy, in the sense of knowledge of the nature of man and things, may be used to alleviate, in a tangible way, existential torment. We could replace, in the title just quoted, the word philosophy with architecture: Silvestrin’s designs essentially take on the mission of creating balanced and measures spaces in which Man may enjoy conditions of quiet, of serenity, and be guided by them to the silence of the space and to contemplation. St Bernard left important traces of himself in the monastic architecture of the Middle Ages through various writings and a determinant influence on more than twenty buildings connected to Cistercian works: the monastery is the place designated for the knowledge of God, the possibility of interior attainment of the Divine through prayer and contemplation. Silence and the lack of frills of any type are necessary conditions for fostering the ascent.
Some biographical and autobiographical milestones In the year 1999, a monograph went to press about (and by) Claudio Silvestrin, published by Octavo, then by Birkhauser, the illustrations for which were edited by Fronzoni, with critical interpretations from Franco Bertoni complementing Silvestrin’s originals. The volume is the crystallisation of thought in “action,” not just in the individual, illustrated pages, but in the book in its entirety at the act of consultation, organised as a succession of sheets placed alternately along the vertical and the horizontal axes. The reference is to dynamism, and perhaps also to the analysis put forward: vertical, in the sense of upward, conceptual profundity, descriptive in its horizontal perusal. If we wish to identify certain themes within the volume, we could single out elements, works, projects, writings and facts. It first gathers, and gives examples with photographs and minimal textual supplements, the essential words, so to speak, of the vocabulary of Silvestrin’s projects. Next, works and projects are divided substantially into their operational stages, as completed constructions or works in progress. Finally, in addition to the writings, organised in anthology form, facts are given in chronological order, along with the places and salient information on the work of the architect. Closely observing the constructions documented in the volume, a special emphasis on stone emerges from the horizontal level of the floorings, placed in homage to stone as paramount among natural materials. In confirmation of this, in the ontological reduction to primary elements tenaciously pursued by Silvestrin, the geological specificity of the stone essence chosen is not lacking: is it not enough to say “stone” and describe it as clear or dark, often the type is given, and just as often the provenance. That is to say that the main player in the architectural scene is chosen carefully for the role and the expressiveness it is called upon to represent. In 2006, the magazine, Interni, dedicated its end of year issue to the extensive presentation of the architect‘s recent works. In addition to giving an update on the constructions, it provided the basis for consideration of the, by now, constant references in Silvestrin’s work to the orientation towards the minimalist discipline. If, indeed, in his case, it is minimalism that is encountered, this is the direct consequence of personal reflection on the meaning of life and things, not, on the contrary, a state of alignment to stylistic codes of contemporary appeal. The ambiguity was probably prompted by the more than twenty-five showrooms for clothes created around the world, especially for Armani. It is possible, indeed, that the widespread idea of fashion as an ephemeral and temporary phenomenon, is, by sequential effect, transferred in the public imagination to the spaces of the designs for fashion and to the people to whom
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they are dedicated. This is not, however, the case with Silvestrin, for whom the shops are, on the contrary, strongly suggestive of atemporality by means of the extensive stone spaces, as excavated from the natural stone of their districts. A fine article by Vittorio Magnago Lampugnani examines the subject in depth in Nuova estetica delle superfici (The new aesthetic of surfaces), published by Faenza Editrice in 2005. “In spite of (or perhaps because of) an almost obsessive search for form, materials and spaces of a universal nature, Silvestrin has swiftly developed his own recognisable and unmistakable manner: just like Armani. In the chain of shops created for the latter, scattered all around the world, Silvestrin opted, in perfect coherence with his style and that of his client, for sober and elegant spaces, whose contemplative silence stands in contrast both to the noise of the city streets onto which they face, and to that of the shops of his colleagues and competitors. In the simple sequences of elegant spaces, the walls and floors faced in clear-coloured, natural Saint Maximin stone form a homogenous, warm sheath that contrasts with the brown - almost black - Makassar ebony. The light, now natural, bursting in from outside through carefully and skilfully composed slits, now artificial and almost always diffuse, emphasises the materiality of the surfaces and the quality of the spaces. Nothing more is needed: the only decoration granted is represented by the products on display, the clothes and accessories that become the central players in the mise en scène of the shop. More: they become works of art, taken out of the world that produced them and for which they are intended; isolated, almost raised up, in a sort of void, seductive and disturbing at the same time.4 Ten years later, the first printed work of the monograph type was published in 2009, Eye Claudio, with the subtitle fire water earth air geometry thought, published by Viabizzuno. The volume was also an illustrative work, designed by Claudio Silvestrin architects, and presents, in the body of the central pages, in the words of Mario Nanni, “a pause, a glance represented by a squared hole at the centre; the passage of an architectural glance made of paper and light.”5 Probably, this really is a glance, Silvestrin‘s eye, symbolically at the centre of natural images and abstractions set in written form, in order to produce a synthesis. At the two extremes, the book really does contain, placed symmetrically, one collection of images and one of writings. In attributing names to the objects, the twin possibilities of reading the word eye, from left to right and vice versa, do not seem incidental. In this case too, as in the monograph, the prefiguration of the behaviour of the user - the reader - is inserted between the project’s components as if dealing with a work of architecture: the two sections are indeed properly browsed only by turning
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the book around, depending on the investigative intention given to one or another part, as already suggested by the reversal of the text on the spine of the title and author’s name. The cover, white from the rough surfaces, with the minimum words necessary stamped on it, interprets the thoughts of the architect in the sense of continuity, apart from being in line with the philosophy of the company now in the role of publisher, with which Silvestrin has made concrete many projects aimed at the design of luminaries. It is the author himself, in the introduction to the textual parts, who clarifies the choices of illustration and content: the eye has the ability, received as a gift from nature, to appreciate the truth of things; the four elements, mixed in various alchemies, are therefore the raw material of every being and thing. There really does exist an actual physical distance between images and thoughts; when the space between them is clear, well measured and balanced, this distance is reduced. Thoughts and works have importance in equal measure: for this reason, the book does not have a beginning and an end, therefore images and reflections position themselves in relation to one another according to a non-hierarchical succession. Fire water earth air, further enriched by the pages dedicated to light and wood, in the abstract and symbolic forms of which the geometry (where geo- stands etymologically for “earth”) is capable, under the watchful guide of thought, are the key reference words for the dense collection of images. In it, all the main creations of Silvestrin are included, displayed according to the particular reading and sequence wanted by the author. In it, all the main creations of Silvestrin are included, displayed according to the particular reading and sequence wanted by the author. With regard to the earth, we know from the first monograph, the conceptual and design transposition aimed at the stone material. The openness, even to clay and wood, expressed in the introductory words of Silvestrin, is therefore particular interesting. Under a new light, therefore, we take note, from now on, of the presence of wooden furnishings so frequently on the stone floors of Claudio Silvestrin, just as, for example, the vertical panelling of the Penthouse at Montecarlo will stand symbolically for us as trees on a plain of clay and rock. The by now indubitable internationality of the Italian architect, who has for some time lived in London, is translated within the book in the preference, though minimal, afforded to the English language, though, in any case, accompanied, for long stretches, by the Italian version. Unpublished texts by the author, exploring in depth the philosophical themes underlying the work of design, are accompanied
by a selection of his past writings. The organisation, we are reminded by Clare Farrow’s preface above all of the parallel with the world of art and the new consideration, with reference to what we understood previously from Magnago Lampugnani, offers the opportunity to be able to talk about minimalism in relation to the work of Silvestrin: “There is nothing empty or mechanical in the spaces he creates, his architecture does not exist for itself, his austere buildings and floating white interiors, which appear so modern on the pages of the architectural magazines, are, in reality, continuing a journey that can be traced back to certain buildings of the early Renaissance (….), in the medieval Cistercian monasteries (…) and also, beyond this, to the ancient constructions and primitive homes that had an intuitive, symbolic relationship with the earth and sky that surrounded them.” 6 Finally, the Postscriptum of Francesco Alberoni appear to us truly precious and illuminating: they accurately place the work of Silvestrin in the current historical phase. More: the work is elevated as a particular reference for contemporary times, in so far as it holds to the specific discipline of architecture. It is argued, indeed, that, as in the past, for example in paintings from Kandinsky to Pollock, one could read some foretaste of events that would have lead to the fragmentation and dissolution of Man, through the events of war, and of the soul, so the work of Silvestrin may be interpreted as a true mission, called to the restoration of Man by means of a space of quiet, of meditation, built as manifestation of the four base elements. Here Man can again find himself, his essential values, and on this found a new beginning. The floors Let’s pick up from the monograph published by Octavo the theme of the significance of floors in the architect‘s work. Silvestrin states: “For me, it’s very simple, the floor has the value of the earth. It isn’t that there’s much to say, I just place value on the earth. In my work, there has to be the presence of the earth, and it isn’t by chance, that, when I can, I use natural materials like stone, which is not a symbol of the earth, it is earth... earth in the real sense of the word, stone is earth. It’s like a landscape, there’s the grass, there’s the earth... in my work, the visible presence of the earth must be read, whether it’s a house on the ground floor or an apartment on the ninth floor. I believe it forms part of this aspect of solidity and permanence that is connected to being connected to the earth. If I, for example, use pietra serena in a London flat, there’s the sense of the earth, the sense of walking on something natural... for me, it’s important.” In the various projects created by Silvestrin, the choice of stone
Barker-Mill apartment, London, 1993
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material and the particular finish is always variable, a conscious act by the designer in interpreting and expressing the specific character of the spaces through the fifth horizontal. In each case, the large-sized slabs are the pieces of a homogenous mosaic upon which the overall harmony created by the project depends. With this awareness, that is, of being once again an instrument in an orchestra whose music is appreciated only through the best overall execution, the exuberance is never permitted, so to speak, of a stone essence (for example, particularly veined, or of too brilliant a colour), of introducing a “high note” that is too prominent in relation the entirety of the project. The horizontal planes are therefore well measured and controlled. The flooring stones do not, however, exhaust the propositional force in the ground surface: they are, rather, homogenous pedestals for the art, whether it be sculptural, painting or high fashion, or, as in this case, something connected with industry. Still more, the grounds are like stages for impromptu representations placed unknowingly in the scene by the users-actors of the space, together with the objects displayed. The presence of the public, although unpredictable in any exact way, is an important element of the project; Silvestrin, with his typically dry, minimal strokes, leads them back to reactions of impact with the constructed scenery, to a few essential attitudes. The settings at the Hayward Gallery in London, the private dwellings at the Donnelly Gallery, the numerous Armani stories, are examples of this. Of directionality and lines The clarity of the destination is the central, existential theme of Silvestrin’s search. This is translated conceptually and operationally into very measured spaces, in which the restricted number of elements – passages towards specific internal or external sequences, strips of light, essential objects, precisely placed settings, measured colours – are united with their formal reference, making it easier for the viewer the dimensional and directional reading of the ambit in which they find themselves. Frequently, the chosen strategy is that of low partitions between rooms of large dimensions, as if to allow the immediate comprehension of a large space as soon as it is entered, and yet allowing it to be done, where necessary, in a static way, from a sitting position. Often “architectural seating,” precisely placed and carried out to design, suggests a pause: for contemplation, for meditation, for comprehension. Consequent to the reading of the flows of walking about in the space, in addition to those of the levels of natural/artificial light at its interior, the curved line is used by Silvestrin only on really
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specific occasions, in deference to the monastic reductionism of the features. If, indeed, we exclude the curves inserted in order to interpret the vaulted spaces of ancient restored buildings, in the entire work of the architect, we essentially count: the translucent wall of the London Barker-Mill apartment, some timbers in the settings of the works of Mapplethorpe and Kapoor, and finally some stone fashion displays of the Armani stores, as happened in London. Before the project carried out for the Marmomacc of Verona in 2008 the curved line had never been the protagonist in Silvestrin’s projects. Perhaps one must really start again from the London Armani store, passing through the experiences of stone design – with particular reference to tubs and sculptured basins – to examine this reciprocal tension between the stone (with all its natural predisposition for being excavated, sculpted, modelled), the sinuosity of form and Claudio Silvestrin in depth. Material substances The precise act of matching the materials to the volumes and surfaces, from only imagined beginnings, then represented on paper or on computer and finally created in three dimensional models, is the outcome of the most personal sensibility of the architect, intimately linked to the way of seeing colours, of perceiving the space, of how it is intended to show this to the user, of what behaviour, what single movements are wanted within the acclimatisation of the project. Claudio Silvestrin‘s choices regarding materials are imprinted in an absolute way by the sincerity and naturalness of the surfaces, for which the architect draws from the world of stones to woods, from metals to the mixed earth of the plaster mixtures. The resultant colours are usually homogenous, generally aligned tone upon tone. The juxtapositions occur without mediation, yet in the diversity; this is still a sincere and discreet way of coordinating the basic colour palette. As the gaze is carried swiftly through the pages dedicated to the architect’s achievements that follow, we can sense an inherent anticipation of the theme of the naturalness of the material: more of a design strategy, this is once more a philosophy. It extends beyond the use as raw material of what is already there and available on the ground, with only rare excursions into that produced artificially with significant interference of industrial process: the idea of naturalness has the capacity to decisively steer the colour preferences of the designer and even reappear in the attribution of the names of some important design objects signed by Silverstrin. This is the case with the Panifici Princi, in which the
specific tonalities of the porphyry are chosen by taking as reference the golden crusts of the bread and the tints of the flour. It is, moreover, the case, still in the Princi ovens, with the “The wheat’s ear” stools designed for Poltrona Frau, whose name and whose features are emphatically inspired by the natural world. It is again the case with the collection of tubs and basins excavated in the rock, be they of artisan or industrial production, for which the name “The Rivers” stands for the metaphorical transposition of the actual stone gravel by courses of water, in the way they are reproduced according to the forms of design for the spaces dedicate to body care. With Silvestrin, the search for a certain width, or, for all the more reason, the contrary, the search carried out by many for fineness, at all costs, of the constituent architectural elements, even up to the negation of opacity, in favour of a transparency ever more the central actor of the space, does not constitute a value in itself; while emotional conditions, on the other hand, such as quiet and serenity, precisely fix the objective aspired to. The sometimes particularly generous edges, for example, of the tables and the benches, as with some characteristic objects for the more private spaces of the house and the bathroom, are not only the outcome of the calculation and the technical evaluation of the feasibility of the said objects, but a route pursued voluntarily to transmit reassuring sensations of solidity and calming stability. With surprisingly successful effect, however, these widths give to the objects precise material value by virtue of the intact completeness of the constituent natural material, that’s to say at the points in which the visual and tactile contact of the user is most directly decided, establishing a sort of Lorentzian imprinting in the approach between person and thing. Think, for example, of the top of the H&O writing desk for Poltrona Frau, lightly designed with checker board relief, but above all of the project for the setting of the “La Cava” pavilion for Il Casone at Marmomacc 2008, which brought the Firenzuola company the exhibition event’s prize for the best company communication for the second successive year. Once again the name derives from the natural repertory, interpreting the theme of the “outer skin” assigned by the organisers of the exhibition, intervening specifically on the perceptive outcomes of the stone surfaces, in any event solidly created in substantial material. He does it by differentiating and emphasising the traces of honing and polishing work, though it may be recognisable only at close distances; once again he follows this line; lightly and regularly scratching the surface of the ground to obtain the texture of a moquette, of a carpet of precious knots of yarn, in this case of stone. It issues an invitation to a tactile, sensual relationship, to direct contact with
the elements of the architecture. Silvestrin’s designs restore to us, in their entirety, a picture in which no stone grain alone monopolises the open field of many possibilities of application: indeed, we rediscover, in the various creations, marble, as with the granites and the sandstones, of various colours, shapes and systems of placement. Notwithstanding that, in some cases, we can, in any event, take note of perhaps more frequent recurrences: it seems to us possible to make very special reference to the stone of Lecce, to porphyry, to the stone of Saint-Maximin and certainly to pietra serena. In introduction therefore to the pages that follow, taking advantage of a conversation with the architect during the days of the exhibition, we report a very brief portion of which he revealed to us, regarding this grey sandstone material: “It is perhaps the most enigmatic, almost abstract, the most neutral, the most mysterious, as if devoid of its own ego.”
1 Adolf Loos, “Ornamento e delitto”, p.89, in Loos (edited by August Sarnitz), Cologne, Taschen, 2004, pp. 96. 2 “La formazione,” p. 174, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Florence, Octavo, 1999, pp. 240. 3 Let us permit ourselves, on this subject, a new literary reference. In November 2007, a brief and delightful text by Nicola Emery was sent to the presses of the Edizioni Casagrande: Design, construct, nurture. The in-depth exploration, immediately accessible to the non-philosopher just as to the non-technician, entirely sustains the necessity of redefining the parameters of professional deontology in the ambit of design and planning, beginning with the basic idea of space and territory as communal property, over and above the particular will of individuals. The point of departure is the image proposed by Plato in his Repubblica, in which the city is seen metaphorically as pasture land, from whose quality and salubriousness derive the quality and health of he who is harboured there and inhabits it. So the design approach that could be reduced to a slogan in terms of “architecture as therapy” is for Emery the first of three levels - in addition to that of the political will and that of the sincerity between design and construction - on which is played out the possibility of recognising the space and the territory as communal property. This approach is considered in this volume in its most general sense: of design as a real instrument for the physical and psychological wellbeing of human beings. We have already been able to see how for Silvestrin therapy, so to speak, translated into design, is put forward specifically according to first the Senecan sense and then the Cistercian, aimed therefore at the relief of the human soul through the elimination of the superfluous and becoming aware of the primary meaning of things. 4 Vittorio Magnago Lampugnani, “Identità discrete. Osservazioni sui negozi di Claudio Silvestrin per Armani”, p. 136, in Vincenzo Pavan (edited by), Nuova estetica delle superfici, Faenza, Faenza Editrice, 2005, pp. 160. 5 Mario Nanni, “Preludio”, p. 11, in Claudio Silvestrin, Eye Claudio, fire water earth air geometry thought, Bologna, Viabizzuno publishers, 2009, pp. 1056. 6 Clare Farrow, “Prefazione”, p. 21, in Claudio Silvestrin, Eye Claudio, fire water earth air geometry thought, Bologna, Viabizzuno publishers, 2009, pp. 1056. 7 “Il suolo”, p.186, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Florence, Octavo, 1999, pp. 240.
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A R C H I T E C T U R E S
Villa Neuendorf, 1991
Maison B, 1992
Giorgio Armani stores (London 2003)
The first really convincing experiment in stone by Claudio Silvestrin is in Villa Neuendorf, the design for a residence in Majorca, based on the Mediterranean theme of the interconnections between internal spaces and open spaces. The latter are laid out as patios and areas equipped for spending free time. They feature the extensive presence of local Santanyi stone, which is able to clearly mark out the course of the landscape with its cream and hazelnut hues against the brown earth of the location. Bordering the main parts of the construction, the Santanyi flooring becomes a continuous bench from which to contemplate the surroundings. In this way, the attachment to the ground of a traditional division of the vertical structures into three parts is resolved, with the central core of the elevations made substance by the bulk of the walls, the colour of burnt earth, and finally, the summit, marked on high by the single, narrow line of separation from the intense blue of the sky. At the entrance to the covered areas, the flooring, in local stone, is fashioned into furniture, not just a bench but also a table, decisively raising itself from the ground in order to interact with the inhabitants of the house.
In a residential construction to restore existing buildings in Provence, where, once again, stone is the primary horizontal plane of the ground surface, space is made for two of Silvestrin’s most typical features connected to the body care and bathing areas: the shower platform, incorporated in the floor, and the sculpted washbasins and bathtubs. The reassuring naturalness of the stone can therefore also be seen in these areas of the house, in large slabs, placed with ordered regularity, in order to give impact to the constituent elements, replacing the more classical and conventional ceramic shower platform. The mortar joints appear at intervals and become narrow crevices for collecting water, metaphorically restoring it to the earth from which it had been drawn. Rounded, with gentle curves, not recumbent but resting on the ground in the ample space, one of the architect’s first entirely stone tubs is a prominent feature, obtained by extracting the material from the quarry in a whole block. In terms of luminosity and natural diffusion, the Burgundy Beauval stone perfectly matches the sun’s rays entering into the surroundings.
The association between Armani and Silvestrin began in 1999. It has continued and has been consolidated over the years in the creation of more than twenty showrooms located all over the world. For the same group, headed by the fashion designer, the Claudio Silvestrin Architects’ studio, with offices in Milan and London, is now working on the Aquapura resort in Brazil. The Armani retail outlets stand out as an irreplaceable experience in the design journey of Silvestrin’s design career, offering him the opportunity, among the most continuous and important, to bring his artistic approach to a synthesis, together with the furnishing of the interiors, combined with the rigour and austerity of his approach, both conceptual and formal. The material’s naturalness is highlighted here by placing finishings in dark wood side by side with French limestone cladding, taking form in convincing combinations and colour codes in all the shops designed. The symbolic and purifying element of water is added to each of these interior settings, placed next to the entrances. Given the care taken over the attribution of the names with which he baptises his constructions, the name chosen for the project underway in Brazil cannot be ignored. The dominant material in all the constructions is the Saint-Maximin stone, a limestone lithotype excavated from a location in northern France, on the banks of the River Oise. Taking the major work in London in 2003 as an emblematic example, the designer made a slightly different choice between the solution of stone preferred for the walls and that, respectively, for the flooring: the Franche Fine of Saint-Maximin is applied vertically (with thicknesses of 3 cm, in variable sizes, with pieces between 30 and 40 cm on the smaller side, and different lengths of between 40 and 90 cm on the larger side), while on the horizontal plane, on the other hand, the Liais of Saint-Maximin is used (with thicknesses of between 2 and 3 cm, and characteristic dimensions of the squared slabs of 40 x 40 and 60 x 60 cm). The approximately 1000m2 surface area of the sales areas are traditionally set on mortar. For the walls, on the other hand, the designer offers us the opportunity to admire the results of an extensive dry-stone application on metal scaffolding. Notwithstanding the fact that the simple layout of uprights and transversals does not usually allow for exceptions in the execution of cladding with formal, bi-dimensional outcomes, the London setting succeeds in disproving this rule and in moulding a planimetric curvilinear course in 3D. The vertical application of rectangular ashlars is characterised by a typical longitudinal design. The paths are irregular in height, resulting in staggered overlaps. The slabs are saw cut and poli-
Barker Mill Apartment, 1993 The Barker Mill apartment takes us to London. It is on the South Bank of the Thames, in a famous cement and glass building designed by Sir Norman Foster. Pietra serena makes its appearance on the scene in the role of the physical, and in this case visible, horizon, considering the vast, full-length windows leading the ground surface to extend to the very edge that can be seen from inside the building. The homogeneity with which the grey colour of this typically Italian stone - made famous in the world by Filippo Brunelleschi’s geometric works - is seen distributed over every square inch of the paving slab, making it the preferred choice on this occasion over other stone materials with more gaudy characteristics. The idea of more or less total uniformity in the colour scheme, ensured by the pietra serena, carries through, in the direction of continuity, the transparencies and industrial character of Foster’s work. A palette is produced with a tonal range that varies from crystals, sometimes opalescent, sometimes transparent, to the white of the thickest walls, and to the varying grey tones of the cements, the piping and even the surface of the ground. Once again, the main bathroom furnishings are created as part of the design with the same material as the paved floors; the remaining furnishings, also in natural materials, this time exploit the possibilities of wood. Museum of Contemporary Art, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin, 2002
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shed, while the colour is clear and warm. The use of this stone is recorded in France from the Middle Ages onwards. Consequently, this stone is associated with values of permanence and historical authenticity, so much so that it is the most commonly used stone in the numerous restoration works in the French capital. It surfaces can be restored through soft strokes, resulting in shades of colour and exterior design. This allows this specific material to be used strategically to mediate between the often profound differences between the interior of the retail outlet and its surroundings, both in terms of the immediate context of the building within which the retail outlet is housed (with the exception of a couple of examples, the constructions are always in existing buildings), and with reference to the city, frequently framed by wide, glazed windows. We would do better to speak of many different cities rather than a single one, given the number and international nature of the Armani locations. In each world city, Silvestrin seems to have delivered a scenography that evolves entirely from the inside out, in which the clothes are works of art and the mannequins appear to be soldiers at their stations, within areas made entirely from stone, recalling the silent atmosphere of medieval fortresses.
Donnelly gallery - residence, 2002 Lecce stone is also the raw material of the paved floors of the Donnelly gallery and private residence in Ireland, directly facing the ocean. In a construction of graphical and geometrical components that are important to the general economy of the design, the basic horizontal surface is stone, and it is brown in colour. This representation of the earth in stone supports the art and the unconcealed instruments for the finishing.
Mueum of contemporary art Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, 2002 Many of Claudio Silvestrin’s design and architectural projects use Lecce stone as the primary material. In addition to the Taglio Bowl diner, the interiors of a very central Venetian apartment and the floors of the Donnelly residence in Ireland, the important construction commissioned in Turin by the Fondazione Sandretto Re Rebaudengo for spaces to be dedicated to contemporary art is endowed with an exterior wall entirely designed in this stone. That this is cladding and not isodoma masonry is stated without concealment by the design of the placement, regular, precise, all resting on the superimposition without any overlap of the rec-
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tangular ashlars with heights visibly equal to around half of the width, therefore a ratio of 1:2. The stonework is concentrated on the exterior features, in monochrome, with subtle specifications only visible on close observation. The typical dimensions of the ashlars are varied in correspondence with high, thin blades: this leads us to slats of light stretching from the top of the building to about two thirds of the entire height. They articulate a rhythm towards the façade, ending alternately in the wall itself, or in the openings of huge cedar wood doors. In correspondence with these blades, the ashlars are notably reduced in width, both to the right and left of the gap. When the blade descends to the side access doors of the building, it follows the perfect continuation of the centreline; when the doors selected are those at the portal of the main entrance, overhanging the clear line on which the plan shows the façade, the engraving of the foundation’s star crest is found between the blade and the wooden doors. The protruding volume of the wall replicates the descending design of the façade’s ashlars in the cornice deriving from the natural composition of jambs and entablature. The portal is the only exception, overhanging the edge of the wall, together with the bench that runs horizontally, here as in the Villa Neuendorf, in order to run into the ground. As in that Villa, the coping, one might think, is achieved with the simple clear line of the summit drawing away from the sky. A close look at the rhythm of the vertical blades suggests the reproposal in abstract, on the elevation, of the battlements of a fortress, though greatly altered in their proportions. It is in fact this sort of gigantic battlement that actually makes up the coping. The interior forms great halls, one in particular, for artistic exhibitions. From the inside looking out, in the exhibition spaces, openings cannot be seen. From this, a completely interior concentration is produced within the confined spaces, without any possibility of the user’s attention being diverted to the outside. Only from the great doors, placed at regular intervals along the connecting corridors, is it possible to gain access to the exterior, reaching a grassy area to the side, in which you can turn around and admire the front of the wall in Lecce stone. This is like the side of a basilica, with a main entrance and other secondary ones serving a lateral cloister.
Princi Bakeries, 2004 and 2006 The Princi bakeries constituted a new opportunity for Claudio Silvestrin to explore the essence of architectural materials and display it to the public; at the same time, the client was offered
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the possibility of coming into contact with the ingredients and the production process of the bread they were about to buy. Of the four Princi shops in Milan, the first to be created by Silvestrin was the bakery in Piazza XXV Aprile in 2004, which was followed by the very central construction in Via Speronari in 2006. The two projects may be considered as interior design, in which only totally transparent glass separates the bakers’ workspace from the area used by the clients. Visually, the areas remain as a single unit, perceived in their entire dimensions. The scene is busy and constantly varied by the actions of the diverse useractors of the space: kneading, mixing, putting the dough in the oven on one side; entering, buying and tasting on the other. The produce from the ovens dominates on the counters, with their golden crusts and the warm colours of the dough, sometimes with fillings, obtained from strictly natural mixtures. To these colours of dough and flour, the correct chromatic and material juxtaposition is sought - by the designer - with porphyry, just as the same instinct was followed in the palette of warm colours of the tanned hides and the wood in the H&O collection for Frau. In both shops, by Silvestrin’s choice, the stone material in largesized slabs takes possession primarily of the ground. From here, positioned with subtle irregularly spaced joints, it rises, taking the form of a few occasional tables as if meting out the ground in the vertical direction. For Piazza XXV Aprile, the floor becomes a low wall, separating the public space from that of the work of the bakers, then the support column of the upper floor, and finally a staircase. In Via Speronari, on the other hand, in addition to the occasional tables, the paving becomes a wall, defining, with different surfaces, the backdrops of the two sides of the counter, until it makes up the window frame. In these vertical applications, the stone ashlars are always able to display their generous widths, suggesting a secure sense of stability and solidity, which is also a reference to the company itself. In selecting stone as the main construction material, the designer pursued the characteristic thread of naturalness in his message, well supported in this case by the naturalness of the product being sold. In the two Princi microcosms, the four generating elements are synthesised: air, water, earth and fire. These are unadulterated, and not secondary, all underlying the production of the bread. The fire is left to snake around fully in view in the wooden ovens, as along with the flames of the seven candles inserted in the back of the split ashlars of Via Speronari. The stone is the earth. The water gushes out of small holes in both shops with the effect of a cascade from above, through a loop etched in the same fissured backdrop as Via Speronari. The air is present in the alchemy of the baker’s dough, in the chemist-
ry that feeds the flame, in the solid transparency placed between the client and the baker, so as to protect the product during the production stages. The stone is porphyry and is presented in twofold guise: smooth and coarse. The porphyry is smoothest close to the points of contact with the hands of the clients, that is, the level surfaces of the small tables; in addition, it is smoothest on the walls of the rear counter, and on the prospect facing out to the street as well, for hygiene reasons in order to avoid the collection of dust and flour; it is also smooth on the ground surface, though maintaining the density and grain which perfectly matches the consistency of the dough destined for the oven. The porphyry is presented with a more organically irregular finish, on the other hand, in the table supports, on the entire wall descending from the ceiling to the floor of Via Speronari, on the low border enclosing the area for clients walking about in XXV Aprile. The walls of Speronari increase interest in the characteristic section of the shop, otherwise undifferentiated and straight for 19 metres in length; it incorporates, within its interior, a niche for waiting clients and space for a cashier, towards the exit. In XXV Aprile, in particular, the hint of the Frau world is yet more apposite, since the finishing is completed with the “Wheat’s ear” stools crafted in metal and leather, designed by Claudio Silvestrin; placed behind the bakers’ work counter, they increase the significance of the craftsmanship, which is worthy of being seen, recognised and remembered. In addition, there are Venini’s “Le sabbie” vases, also designed by the architect. According the creator, the designs for Princi were turning points in Silvestrin’s career. We recognise here, with particular reference to the use of stone, an approach to naturalness in the more organic and direct sense, rather than being sublimated and kept to delicate, superficial workings on the surfaces. Moreover, metals come into play, on the pretext of some fixed furnishings and certain wall cladding, taking their place in the colour palette with burnished finishes.
in particular, the visual centre of the intervening space, then the shower in which the base is formed from the flooring slabs, and finally the washbasins, also bored from the same stone. Stone is, in this case, also used to form portions of wall cladding, achieved with overlapping rectangular ashlars. The circular stairwell is positioned in such a way as to follow through the helix of the flight of steps, restating the same composition of placement and suggesting an idea of stability by their pronounced thicknesses.
Kanye West loft, New York, 2007 The red thread linking Montecarlo and Manhattan is limestone itself. The amount of light filtering through the vast windows is surprising. Probably as a result of this, the living spaces are not strictly marked out, but only set apart by dividers within the single large space of the apartment. Still larger than the extensive paving slabs, two monolithic platforms stand out in this sort of open space, squared and laterally worked with clefts. They are simultaneously low seats and a table, metaphysical volumes in the unified space. The decks for the foundations of the kitchen are also derived from the single ground surface level, returning to the ground in linear movements completely coherent with the language established by Silvestrin in this New York loft.
P penthouse Montecarlo, 2006 The interest in limestone, after the widespread use of Lecce stone, is confirmed by the preference given to limestone in the Montecarlo Penthouse, constructed in the year 2006. The flooring, particularly in the corridor, is enriched in the design with light-coloured borders, breaking away from the dominant, central hues. The composition of spaces for body care and fixed furnishings for the bathroom is once again seen. We again find the bathtub,
P Penthouse, Montecarlo, 2006
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D E S I G N
Oriente/Occidente dining table, Glas, 2006
The design research carried out by the architect starts with direct contact with the craftsmanship, with the experience and knowledge of the processes involved in the materials. The craftsmanship is therefore perhaps the meeting point between the sculptural act and its function, where the term sculptural act signifies the abstraction of the imaginative expression that is the purpose of the designer, while function refers to the concrete, practical use of each object positioned in the space. Silvestrin’s design products possess a double value: on the one hand, they constitute the point of arrival of the research conducted within the tracks set out each time by the programme of the producing company, but yet, on the other hand, they represent at the same time exalted, liberated moments of rising to meet new design challenges. This is indeed seen in condensed form in the washbasins and the paving for the bathroom of a private dwelling in Venice in Lecce stone, in the red sandstone lamps for Abitare il Tempo in 2001, in the red sandstone and yellow shrub tables for Abitare il Tempo in 2002, the lines of the later washbasins for Boffi, the kitchen floor for Minotti, the “night” lamps for Viabizzuno and the “H&O” writing desks for PoltronaFrau. Silvestrin has stated: “Stone is earth.” This is perhaps the earth on which we walk, capable of rumbling beneath our feet and on which we place our houses; this is the earth which attracts us with its fruits, which fills the air with fragrance following rain and weather events, while showing our eyes the chemistry underlying its behaviour. If a sensitive reading was the key to the correct way of interpreting, it would be a way of inquiry that is inborn and rooted in the human condition. It should be read strictly in the sense and through the perception of the time of each one of us. The earth came before us and lives on after us, and after our everyday experiences. It endures for a long time, extending well beyond the moment. To our senses, it transmits solidity, security, stability: these are the values that are typically perceived sublimally by the user, as if through radiation, by only sensitive contact with Silvestrin’s design. From the fundamental designs for the washbasins and bathtubs of the I Fiumi collection for Boffi, we will go into more detail in the description dedicated to the project, La Cava, assessing possible connections in the approach and formal outcome. For Minotti kitchens in 2005, Claudio Silvestrin designed the Terra line. The sought-for expression of atemporality in the shapes of this kitchen in any event also includes state of the art technical
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elements within its profile, thus introducing the design theme of subtle antithetical combinations. We freely report in Italian the description offered to us by the architect in the English language. “The earth - its waters, forests and mountains - is extraordinarily beautiful of itself, solely through its simple presence. In contrast with everyday artefacts, in which use and function are predominant, the earth is that which is, independently of what we are, of what we make and of the sense we attribute to it. In conceiving the Terra kitchen, I imagined an object that was useful, functional and that was present with the same force of nature: solid, timeless and abstract. I expressed the enormous value of the earth in rigorous geometrical form and natural materials - stone and cedar wood. To cook on a work surface in porphyry that is twenty eight million years old makes me feel all at once reverential and happy. The Terra kitchen is available in different materials and combinations: light or dark coloured porphyry, cedar wood, and most recently Labradorite stone.”1 A year after the Terra Kitchen, Claudio Silvestrin designed the collection of the H&O management office for Poltrona Frau. The solidity of the proposal for Minotti kitchens was no less in these work furnishings in which, in truth, the hardness of the stone was softened by leather coverings of typical Poltrona Frau workmanship. The solidity is emphasised to the point that, in certain pieces in the collection, it makes the porphyry support prevail in size over the horizontal surface of the work level in wood, overhanging it. The latter - the floor - completes the mix of the natural elements of the project and makes a bridge between the hardness of the stone and the softer consistency of the support on the opposite side. The thicknesses, generous where necessary, are coupled with materials in a personalised way: the leg in more massive porphyry, the work level of a consistency able to accommodate by its height the approaching grasp of the palm of a hand, the thinner legs clad in Frau leather. East/West was a dining table for Glas, in 2006. In this case too, we do not find precision legs, but levels of minimum consistency in thickness, almost superficial. The two worlds meet with precise bonding at 45 degrees, one the bearer of genuine transparency, the other with a soft opacity in the grey veins of Carrara marble. 2 Visible and invisible, hard and soft, timeless and contemporary, in the design in particular, Silvestrin is sensually oxymoronic and always draws from these direct combinations additional substance beyond the simple sum of the constituent elements.
H_O presidential office collection, Poltrona Frau, 2006
The passage is drawn from and freely translates the design report. We translate from the design report: “The grey-veined surfaces are in Carrara statuary marble and ultra-fine transparent glass, 19 mm thick. The glazed top is formed by bonding the trimmed edges at 45° of a central crystal to the edges of the two lateral marble slabs. The supports, fixed to the glazed surface by steel plates, are made up of two glass slabs bonded together.”.
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La Cava between artistic abstraction and technical skill
The orange The visual metaphor of the orange, used by Silvestrin as the concept for this project, at least has an illustrious precedent. Indeed, Bruno Munari lent full support to the orange as a candidate for a design object, describing it in a brief, pioneering article in 1963, contained in Good Design, in the first Scheiwiller edition, now reprinted by Corraini Editore. In our case, however, rather than the precise correspondence between the parts - peel, segments, seeds - it is the object of design, the sense of the metaphor is in the gesture of peeling away the exterior layers of the fruit in search of the truth that leads to the heart of the material. Reaching the centre of the pavilion therefore represents the metaphoric, concluding act of the journey made by whomsoever enquires into the inner nature of things; to wonder: what is the origin of the stone material? In the interview the designer granted us during the days of the Verona exhibition, the reply emerged clearly: in stone, conceptually, no real difference exists between the skin and the nut, as there is in a fruit. Stone is a complete force, an entirety in every millimetre of its thickness and depth. On the rectangular base of 8 x 15 metres, starting from a natural quarry block 3 metres high, a band of sandstone then winds upwards to capture the platform with swirling movements, evoking by the layout those crystallised spirals in fossilised shells and, after some twirls achieved without touching the ground, finally comes to rest, making the platform its stage. The stone design pays homage to the historical paving stones of the cities between Emilia and Tuscany, making reference to them in the particular finishing, here carried out mechanically, as if to define the typical geographic area of extraction of the sandstone, the raw material of the project. The same finishing also seeks to once again attempt to explore the general message of the work in the ground surface, centred on the relationship between mere surfaces - here now put into question - and the depth of the slabs. The occasion of the exhibition pavilion only extends the application of dry-stone on the horizontal plane, so dear to the designer in the typically precise solutions for the private spaces of the bathroom, where the shower especially embodies once again the principle of the reduction of the elements to the essential, the annulment of all trimmings: the floor is the same as the ground surface and the running water is, so to speak, immediately returned to the earth.
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By the time it reaches the ground, the stone ribbon has acquired substance and a significant vertical development, standing out in tall 2 metre high panels. The stone integument follows a serpentine path with the solid edges designed to impede the visual gaze until the destination is reached. The course and the existence of its arrival at the central point are in any event immediately clear; everything else can only be imagined, encouraging the visitor to move around to discover its course. The sense of surprise and the setting Wonder has always represented a possible path to knowledge, establishing itself as a real strategy for exhibitions from the end of the 17th century onwards. In this regard, Descartes wrote: “Sudden surprise of the mind, which makes it turn to look with attention at those objects which seem rare and exceptional.”1 The real character of the typology of exhibition pavilion, the component of wonder is also the ingredient of Silvestrin’s design, though limited by the desire to make it the supporting actor and never so unique as to be to the detriment of the main contents of the project. In this work, the sense of surprise is present at various levels, from a general morphological one to that of the finishing solutions. At the scale of the construction details, it astounds by the execution of a ridged, stone carpet, whose processing is carried out in search of continuity of finishing between slabs, not normally achievable through methods of just mechanised production. In this way, the value of the company philosophy is also transmitted, able to recover the industry’s craftsmanship. Equally attractive, in approaching the heart of the pavilion, is the detachment from the ground of the concentric stone panelling, as if to eliminate the inherent weight factor: the material, thinned down to its minimum thickness, acquires lightness and detaches itself from the ground, becoming a ribbon, then returning to its original material, rock in its natural state. The monolithic element standing out at the centre of the rectangular platform is imposing for its height; metaphorical celebration of the natural origin of the material, it is a lighthouse for the public within the entire exhibition space of Marmomacc. Elements of novelty (and, therefore, of surprise), finally, assert themselves specifically to those familiar with the entire body of work by Silvestrin, who may find the roughness of the ground flooring unusual, on one hand, and, on the other, the revelation of the design’s spatial message only at the conclusion of the journey completed by the visitor. Indeed, the act of contemplating the final revealing vision is the whole point, but this, in looking at the pavilion, can only be guessed at beyond the stone backdrop, without being completely revealed.
Ars Silvestrin’s exhibition work for Il Casone at Marmomacc 2008 again offers, within the limits of the exhibition spaces granted, the device of the labyrinth, always so dear to the world of the arts. There are very many contributions on this theme even among the most noted artists: it is pleasing to recall Mirò, for the geometrical proximity of some of his most celebrated pieces to Silvestrin’s stone spiral, and especially Kounellis, for the significant contemporary nature of his work. The labyrinth in iron and coal by the Italo-Grecian artist at the National Gallery of Modern Art in Rome is, in the words of the artist, a personal instrument for escaping the fragmentary nature of the contemporary world, in order to reach a unified centricity. On this subject in 1993 he stated: “There is no shortcut to resolving the problem, the journey within the labyrinth must be right to the heart of the problem, and this also gives you the measure of your own destiny.” 2 The labyrinth assumed symbolic significance, in history, in parallel with art, in the religious field: in addition to constituting a direct reference to the maze created by the passageways of the catacombs, the labyrinth is metaphorically transposed to the floors of certain European cathedrals, such as Chartres, where it is the representation of the journey of the faithful approaching God, located at the centre. The concentric movement is contemplative and, moreover, is already present, without the labyrinthine form, in the passage of the faithful through the apses surrounding the altar. “The question of God apart,” as Silvestrin3 would say, the labyrinth may conceptually represent the mental journey of man towards knowledge. It encloses within itself the themes of the indubitably unknowable nature of the goal, in addition to the logical linearity of approaching that same goal. Reaching the centre, the purpose of the journey, the reply to one’s own existential question, is always associated with a moment of catharsis, of knowledge of the world and oneself, consequent also to personal redemption in the widest spiritual sense, not necessarily Christian. Further references to contemporary artistic expressiveness lie in the sculptures, such as, for example, Band by Richard Serra, creating, in the sense of compression between the walls of the passage, expectation-uncertainty over the point of arrival: facing the labyrinth, indeed, the certainty of success never exists, only the challenge of facing up to the test, by entering. Approaching the architecture, we recall the labyrinth on the hill near Messina, the work of the sculptor, Italo Lanfredini; still more, it indeed seems suggestive to us to recall the recent wall for prayer, the work of the architect Pietro Carlo Pellegrini at the Monastery of Santa Gemma Galgani in Lucca, with its central
vertical overhang at the conclusion of the journey through the labyrinth. If, therefore, one of the motives of art, if not the main one, is to provoke thought, for Il Casone Silvestrin chooses to wrestle with one of the most ancient and intriguing artistic subjects, that of the labyrinth, to stimulate each one of us, in the alienation provoked by art placed outside is canonical spaces, towards a consideration of the true nature of stone. Tékne The creation of the monolith standing out at the centre is the work of sculpture of the Studio Arte Marmo. Its construction required, operationally, the superimposition of three cylinders, “wire” cut from the original quarry block and then excavated: the weight of the material, which would be around 6,000 kg were it not hollow at the centre, could not have been borne by the paving of the exhibition pavilion. The three superimposed drums have a nominal diameter of 160 cm and a height from top to toe, respectively, of 100 cm, then 80 cm, and then 150 cm. The paved flooring constructed from dry-assembled slabs is supported by adjustable feet, specially created by Goldbach for Silvestrin’s installation; the thickness of the modules in pietra serena is 4 cm, ideal for drilling for the passing through of telephone and electricity cables; in addition, there are some 11 mm holes for the accurate fastenings of the stone walls. The special finishing with continuous ridges on the large-sized slabs is obtained through a ruling machine. The stone makes space for 1 square metre of surface for a squared opening, glazed to allow the public to see the system of banking. The vertical panels, with a maximum thickness of 8 cm, are all unique monoliths, varying both in width and the tapering of thickness; some also vary in height, in the section called “flying,” in which they emerge from the ground. The two aspects of each panel follow their own, reciprocally distinct curvature. The range in the size of the respective radiuses of curvature is between10 and 40 cm from the geometrical centre of the figure. The panels match the holes for fastening to the flooring by metallic retainers, in correspondence with which are found the same number of flared holes of 8 mm diameter and 100 mm of depth, within the thickness of the individual panels. The panels were also wire-cut directly from the quarry block, and then tested. A weight of 450 kg/ml is calculated for the panels. At the extremities of the wall, the panels are worked to obtain sharp, linear jambs, also in the evident differences of thickness visible between the thinnest extreme towards the outside and the opening leading backstage. The designer chose sandblasting for the surface processing on
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the outer face, but calibration by grindstone on the inside of the panel. The ridge marks created by the process on the inner side are left in view. The connections between the panels occur through stainless steel pins and metallic staples 1 cm wide, painted grey to conceal them. The curvilinear public reception counters are also in pietra serena. Overall, around 50 cubic metres of pietra serena from Firenzuola was used. Throughout the entire course of development and construction of the pavilion for Marmomacc 2008, in interpreting the design necessities of the architect Silvestrin and at the same time the technical-construction requirements of Il Casone, Giovanni D’Angiolo carried out the complex role of executive coordination, supervising each phase: from the beginning of the first creative spurts of the designer to construction of the individual stone ashlars. On the occasion of the exhibition, D’Angiolo illustrated the specific solutions adopted, framing in almost simple terms how much, in concrete terms of construction, the constant effort and continuous refinement that the idea had in reality demanded. The fineness of the vertical panels emerged with greater vividness, and the way that they take on in rapid succession evergreater thicknesses, to finally return to thinness at the extremity of the stone ribbon. The points of anchorage and reciprocal connection between the panels, between the panels themselves at the top and between the panels and the foundation paving, are concealed; the elliptical form, by geometrical law, in any event sustained the idea of their being self-supporting. The raising of the installation on the floating paving required a really high level of sophistication: both because the very weight of the elements and the various layouts with which they were to be placed made necessary the drawing up of a dovetailed paving design which had to be adhered to very accurately, since the actual gradient of the ground surfaces of the exhibition pavilion had to be adjusted to ensure a perfectly level horizontal placement. D’Angiolo confirmed that this work called upon a synthesis of practically all the groups of technical-design applications of the world of stonework: from that specific to the calculation and graphical representation of the individual ashlars for tailor-made production, to those of the sculptural work in interpreting the features of the natural stone, then to that of the intervention of machines under numerical control for the management and restoration of the panels with aspects of double elliptical curvature.
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Curvilinear and rectilinear in the designs of Claudio Silvestrin The curved line is becomes leading actor in the designs of Claudio Silvestrin in a very controlled way. The results, on the rare occasion in which it occurs, is that of greater force, greater expressivity and significance of the said curvilinear elements of the composition, independently of the scale of the urban, architectural or detail with which the architect is faced. Always on the rare occasions in which it occurs, the three dimensional curved presence in the space never excludes the complicit and symbiotic bi-dimensional presence of the extensive levels of horizontal supporting paving, these being almost specifically functional platforms for the setting of the furnishings to be placed in the scene, when these are also living spaces. Vassilij Kandinskij maintained in theorising about the Bauhaus4 experience that the harmonious element in a composition might also be constituted by the maximum contrast between two elements. This contrast, if employed in a controlled way, could, in his opinion, exert influence in a positive way, elevating the work to its maximum dialectic level. The straight line and the curved line form a couple that are, so to speak, antagonistic; between two opposing representational signs, the expressive force of modern art often lies, as can well be seen in the basic geometrical pieces, for example, of The Kiss by Klimt. The straight and curved, in a certain way extreme symbols of the artistic spirits respectively of Apollo and Dionysius, achieve a synthesis that is never banal in the designs of Claudio Silvestrin. If we mentally interpret the photographic shots of Maison B and hypothesise for a moment about designing a cross-section of the stone tub at its centre-line, by extreme simplification we find ourselves before a straight line (the ground surface) and an almost perfect curve that we delicately place above it, like a crescent moon touching the horizon. In this way, we can better explore the geometrical links that exist between three designs that heavily feature stone: the washbasins and bathtubs brought together in the I Fiume collection for Boffi, the interior design of the Armani Store in London, and the exhibition stand for Il Casone at Marmomacc. For Silvestrin, no difference in approach exists in the change of scale; the primary meanings by which the architecture takes form remain. Here the stone is the earth. Each element raises itself from the ground, even when it is itself stone, and does so with lightness, a lightness usually unimaginable for stone. For the stone bathtubs and washbasins, the roundness of the form in three dimensions renders indefinable, and almost suspended, the inevitable contact with the ground; for the exhibition gang-
way in the London shop, the wall of the encircling walkway - almost, in section, the enlargement of an edge of the tub - made provision, in the design of the ashlars connecting to the ground, for a slight, continuous gap between the horizontal plane of the ground surface and the vertical of the wall; for the spiral stand at Marmomacc, the massive pietra serena panels, finding no real contact with the ground due to its superficial coarseness, join definitively to the ground surface at the so-called “flying” part, in order to embrace the central monolith. The connections between the three designs are not confined to these aspects of “contact.” The two settings in London and Verona best show their genetic similarities in the approach to the theme of the journey, and of the visual aspects along the curvilinear progress of the gangways, a theme to which the design objects contribute only indirectly, participating in the determination, in a fluid way, of the courses towards and around themselves. The pavilion of Verona and the objects for the bathroom, on the other hand, show connections in the entirely stone consistency of the elements cut and excavated directly from the block, and positioned in such a way on the ground, while for London a system of substructure was commissioned to empty the wall and clad it with dry technologies in 3 cm thick stone ashlars . Finally the setting in London and the bathroom of the Maison B (but also the more recent Montecarlo Penthouse and the elements in the I Fiume collection), develop assonance and a strong eloquence from the presence of the element of water. A constant initiating component in the interior designs of the Armani shops, water, bearing its meaning of purity and naturalness, for an object such as the bathtub, is as much the central feature in the design as that which contains it. Silvestrin described in this way the collection for Boffi: “The washbasins and the bathtub in stone are a collection: I Fiumi. Their design is meant to unite the elements of water and earth, the sense of firmness and resistance of the stone with that of the movement and mutability of the water. These elements are expressed through the most rigorously simple and geometric forms.”5 The motive for the natural element as the main material in the design projects of Silvestrin also lies in the dynamic behind the furnishing of the production; it sometimes happens, not least perhaps for the most celebrated objects, that the design of the furnishing to order for a specific customer has occurred only after the mass production of the product in question for the manufacturing industry. It is coherent therefore for the translation, or rather the passage to translation, of the actual characters of the language of the architect from the architectural design to the design of the product. In a section of the interview conducted
by Interni in the monograph issue of December, 2006, Claudio Silvestrin declared: “When I do architectural projects, I try to create sensitivity towards all that is solid, anchored and destined to last.”6 The resort to natural materials, largely to stone, seems then to us to be a defence against the ephemeral, in opposition to fashion and the passage of time. A little further on in the same interview, the architect comments on the not merely functional significance of architecture: “To have lost the symbolic value of construction is, in my opinion, a reprehensible form of cultural reductionism. In my work, I always try to give value to elements of nature such as water, fire, earth, space, which in a certain sense aspire to an almost “deified” presence, not at all decorative, standing as strong elements in the overall design.”7 We thus return to the themes of reciprocal tension between earth and water, immobility and water, straight and curved. The futuristic experimentation of Balla, in an exemplary way, has superimposed the level of the graphic on that of perception; in “Linea di velocità” the spasmodic replication of the curve is associated with the mechanical noise of the engine and progress. In opposition, with reference to Silvestrin, to the strict purity of his curvilinear pieces, to the liquid transparencies contained in the solid basins in stone, we could on the other hand paraphrase Friedrich Kiesler and state that the snaking of water in a natural context invokes silence.8
1 Renée Descartes, “The passions of the mind”, art. 70, in Works, Rome-Bari, Laterza, 1967, vol. II, pp. 444. 2 For further reading on Jannis Kounellis: B.Corà, Chiara D’Afflitto (edited by), Esposizione di paesaggi invernali, exhibition catalogue Esposizione di paesaggi invernali, Palazzo Fabroni, Pistoia, 1993, Edizioni Charta, Milan 1993, pp. 184. 3 Claudio Silvestrin, “L’architettura cistercense“, p. 219, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Florence, Octavo, 1999, pp. 240. 4 Vassilij Kandinskij, “I corsi inediti al Bauhaus“, in Philipp Sers (edited by), Tutti gli scritti. Vol. 1: Punto e linea nel piano - Articoli teorici - I corsi inediti al Bauhaus, Milan, Feltrinelli, 1989. 5 The passage is drawn from and freely translates the design report. 6 “Claudio Silvestrin“, p. 5, interview by Matteo Vercelloni in Interni n. 12 December, 2006, pp. 1-29 and 70-73, monograph issue dedicated to Claudio Silvestrin, pp. 96. 7 “Claudio Silvestrin”, p. 7, interview by Matteo Vercelloni in Interni n. 12 December, 2006, pp. 1-29 and 70-73, monograph issue dedicated to Claudio Silvestrin, pp. 96. 8 To read more about Friedrich Kiesler: M. Bottero, Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente. Ultime opere e ricerche galattiche, exhibition catalogue Frederick Kiesler. Arte Architettura Ambiente, Milan, Galleria della Triennale, 28 February-10 April 1996, Milan 1996.
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The search for the essence Vincenzo Pavan
“For me, it’s very simple, the ground has the value of the earth. It isn’t that there’s much to say, I just place value on the earth. In my work, there has to be the presence of the earth, and it isn’t by chance, that, when I can, I use natural materials like stone, which is not a symbol of the earth, it is the earth... earth in the real sense of the word, stone is earth. It’s like a landscape, there’s the grass, there’s the earth... in my work, the visible presence of the earth must be read, whether it’s a house on the ground floor or an apartment on the ninth floor. I believe it forms part of this aspect of solidity and permanence that is connected to being connected to the earth. If, for example, I use Pietra Serena in a London flat, there’s the sense of the earth, the sense of walking on something natural... for me, it’s important.” Claudio Silvestrin, “Il suolo”, in Franco Bertoni, Claudio Silvestrin, Florence, Octavo, 1999
Architects, who have chosen the “strategy of silence” in their work, renouncing the spectacular and gratuitous gesture as the gratifying and lucrative practice of our time, are few and far between. Claudio Silvestrin is certainly one of them, but he doesn’t fit well in this category, nor among the ranks, small indeed, of the minimalists. Nor among those who have chosen the coarse cloth of humble materials, above all that universal cement which, like a regime of chastity, allows, in its opaque, material substance, to lift architecture to an absolute mental discipline. Nor even among those who have undertaken the icy cold path of “immateriality” in the search for transparency, for the intangibility of surfaces, for material inconsistency as a contrasting option to the weighty clamour of garish form and materials. Nevertheless, even Silvestrin is part of a cultural area that has, as primary values, formal sobriety and reference to universal archetypal figures. The originality of his search lies, above all, in the conceptual approach to the materiality of the work in the two disciplinary areas that appeal to him, interior design and architecture. While not precluding the potentiality of any material, his interest appears to lie particularly in stone, which he has used in numerous key works in his creative journey. He applies to stone the concept of energy as an intrinsic quality of the material substance. It does not have a core and outer skin in which different intensities are found, but is all of a whole, a single body of energy. This energy, produced by the accumulation, aggregation and metamorphosis of various materials over a very long period of time, is the same that gives life to the earth. Therefore, the energy lies both in the block excavated from the rock and in the slab cut from the block. It’s up to the architect to recognise it, uncover its essence and reveal it in his work. To recognise these qualities of stone is a function of sensitivity rather than discipline, a particular feeling that leads you to unpack the superficial and drives you to challenge complexity and profundity. The choice of surfaces leads you to look at stone for its decorative aspects, made freely available by nature, such as marvellous colour schemes, grain of great formal richness, and anything that can be put directly into the work, like a precious material used to weave a garment.
Silvestrin, on the other hand, loves to take on a challenge where it is difficult to reveal the quality and strength of stone, showing its depth, often choosing monochrome stone materials, seemingly inexpressive. Here, technique comes into play, in the sense of universal application of knowledge that does not neglect any aspect of the construction. Nevertheless, his “energy-giving” vision does not involve the construction aspect and does not imply an “ideological” judgement in terms of thickness that is the structure-finishing coupling, much wrestled with these days within the culture of stone. Certainly, the constructional semantic is very clear and present in his works but the communicative quality of stone material is emphasised by the ability to bring out, through a complex of technical operations, such as cutting systems, abrasion treatment, polishing, burnishing, acid etching etc., qualities hidden in even the seemingly most humble stone. To give depth to a thin finishing, to make the resonance of the living rock tangible in an otherwise amorphous surface, does not only represent a particular ability of revealing the essence of the material, but constitutes the fundamental condition for transforming a formal abstraction or a simple architectural figure into living architecture. In this sense, in the desire to place Silvestrin’s work in a “place” that represents its deepest content, rather than in minimalism, it should find its place in essentialism, a category that does not refer to a specific formal language but a mental condition, a predisposition of the spirit.
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