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SUSSIDIO MENSILE DI «LETTURA» DEI MEDIA E D’USO DEI LORO LINGUAGGI FONDATO DA P. NAZARENO TADDEI SJ
TERRAFERMA Crialese rivede il Lido
edito da
ROMA
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La vignetta di Del Vaglio
educazione
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La quinta edizione del Premio Padre Nazareno Taddei sj
SUSSIDIO MENSILE DI «lettura» dei media e d’uso dei loro linguaggI fondato da P. nazareno taddei sj
Hanno collaborato a questo numero: Olinto Brugnoli, VR; Adelio Cola, TO; Paolo Del Vaglio, NA; Andrea Fagioli, FI; Franco Sestini, FI; Luigi Zaffagnini, RA – per le ricerche: Gabriella Grasselli, CiSCS ed Edav sas
Chiuso in redazione: 25 agosto 2011 Mensile - Anno XXXIX, n° 392, agosto 2011 - Direttore Responsabile: Andrea Fagioli - Impostazione grafica: Ennio Fiaschi - Autorizzazione Trib. di Roma n. 13007 del 3/10/1969 con allegato n. 14632 del 14/7/1972 - Proprietario ed editore CiSCS, Roma - La collaborazione, sotto qualsiasi forma, è gratuita - Direzione: Via Giolitti 208, 00185 Roma (Italia), Tel. e Fax 06/7027212 - Redazione e Amministrazione: Via XX Settembre 78, 19121 La Spezia (Italia), Tel e Fax 0187/778147 - c.c.p. 33633009 - Sped. in abb. post. art. 2, comma 20/c, legge 662/96, La Spezia Finito di stampare nel mese di agosto 2011 dalla Tipografia Mori, Aulla (MS).
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premi collaterali Istituito nel 2007, in occasione del primo anniversario della morte di padre Taddei, il Premio ha avuto come madrina Claudia Koll ed è stato accolto positivamente dalla critica e apprezzato anche perché l’unico intitolato a un sacerdote, gesuita, che ha dedicato la sua vita allo studio del linguaggio cinematografico e dei media ed ha sostenuto con la sua presenza la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia fin dal suo inizio. L’idea del Premio è nata da un appunto di P. Taddei trovato tra i suoi scritti dove manifestava l’intenzione di fondare a Venezia un Premio Edav da assegnare al film in Concorso, capace di «esprimere autentici valori umani con il miglior linguaggio cinematografico». Patrocinio della Compagnia di Gesú «riconoscendo a P. Taddei il valore dei suoi studi nel campo dei linguaggi massmediali ... e lo spirito apostolico ... in una dimensione di grande rilievo nella cultura contemporanea». Patrocinio dell’Ufficio Nazionale per le Comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana «considerata la levatura culturale e morale del padre Taddei». Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il Premio Taddei, alla cui costituzione ha collaborato Gian Luigi Rondi, prevede quest’anno in Giuria, sotto la presidenza di Paolo Mereghetti (Corriere della Sera), Gianluigi Bozza (L’Adige), Gabriella Grasselli (presidente CiSCS - Edav), Gian Lauro Rossi (Edav), Franco Sestini (Edav on-line). Nelle edizioni precedenti il Premio è stato assegnato: nel 2007 a LA GRAINE ET LE MULET (COUS COUS) di Abdellatif Kechiche nel 2008 al film IL PAPÁ DI GIOVANNA di Pupi Avati nel 2009 al film LEBANON di Samuel Maoz nel 2010 al film OVSYANKI di Aleksei Fedorchenko.
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Tre italiani in concorso: Comencini, Crialese e il fumettista Gipi di FRANCO SESTINI Dal 31 agosto al 10 settembre, come «Edav» Vittoria Puccini sarà la madrina delle serate di saremo impegnati a Venezia per la sessantottesima apertura e chiusura della 68.Mostra. edizione della Mostra internazionale d’arte cinemaVentitre pellicole gareggeranno per il Leone tografica. d’oro e tra queL e m a c e r i e ste tre sono itadel «nuovo» Paliane: QUANDO lazzo del cineLA NOTTE di Cri ma sono grosso stina Comencini, modo allo stesso TERRAFERMA di BOX OFFICE 3D punto dell’anno Emanuele Crialese film preapertura scorso, stante e L’ULTIMO TER che i lavori sono RESTRE, opera pri stati interr otti ma di un simpatico per mancanz a pisano, il fumettista di fondi, ma soGian Alfonso Paci prattutto perché notti (conosciuto scavando si è come Gipi); se la scoperto che in vedranno con altri LE IDI DI MARZO Olmi sul set de passato quel luo film di apertura IL VILLAGGIO DI CARTONE 20 film tra i quali go era stato usato non guasta citacome discarica re alcuni registi di per l’amianto. Risanare il tutto chiara fama: dal canadese David è indispensabile, ma assai coCronenberg, al francese Roman stoso e quindi urge una pausa Polanski all’americano Abel Ferdi riflessione in particolare per rara, premiato al recente Festival quanto riguarda i conti. di Locarno. Di contro la direzione della Fuori concorso avremo una Mostra ha deciso di rinnovare vera e propria scorpacciata di DAMSELS IN DISTRESS quasi per intero la «Sala Gran grandi autori (speriamo anche di film di chiusura de», riportandola ai fasti degli grandi film), a cominciare da Al anni trenta; la sala verrà inau Pacino che presenterà sia come gurata il giorno precedente autore che come attore WILDE all’apertura della Mostra, il 30 agosto, con un film SALOME, per proseguire con Ermanno Olmi che di Ezio Greggio, dal titolo BOX OFFICE 3D, il primo porterà a Venezia il suo IL VILLAGGIO DI CARTOfilm italiano girato interamente in 3D. Inoltre sono NE e concludere questa sommaria elencazione con stati acquisiti alcuni spazi esterni, a cominciare da il film dell’americano Steven Soderbergh CONTAquello dell’Hotel Excelsior a quelli della Caserma GION che vanta una nutrita presenza di grossi divi Pepe. (Matt Damon, Kate Winslet, Jude Law e Gwyneth
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Paltrow) e col film di Madonna W.E.. Le voci di corridoio danno presente sul red carpet veneziano la rockstar Madonna, mentre Polanski non potrà esserci a causa dei suoi guai giudiziari. Il film di apertura della Mostra LE IDI DI MARZO di e con Gorge Clooney, il quale ci ha abituati a non sottovalutarlo, relegandolo soltanto tra i belli, ma stando bene attenti al talento che ha già mostrato, ad esempio con GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK. Il film di chiusura DAMSELS IN DISTRESS (Fuo ri Concorso), che segna il ritorno alla regia dello statunitense Whit Stillman è una nuova tappa del suo personalissimo viaggio nel mondo giovanile americano. Tra i film fuori concorso, spiccano – almeno in fase di partenza – il documentario di Alessandro Paris e Sibylle Righetti su Vasco Rossi dal titolo QUESTA STORIA QUA, in cui Vasco ha accettato di raccontarsi e questa potrebbe essere definita una
sua autobiografia filmica; l’altro lungometraggio for temente interessante è quello di Pietro Marcello su Marco Bellocchio che quest’anno riceverà il Leone d’oro alla carriera. La Giuria Venezia 68, presieduta dall’ameri cano Darren Aronofsky (autore del film d’apertura della 67 Mostra, BLACK SWAN, regista poco piú che quarantenne, già vincitore del Leone d’Oro nel 2008 con THE WRESTLER), è composta da Eija-Liisa Ahtila, David Byrne, Todd Haynes, Mario Martone, Alba Rohrwacher, André Téchiné. La speranza è che i giurati mantengano un doveroso equilibrio nelle scelte per premiare film e attori. Con questa edizione della Mostra scade il con tratto di Marco Muller con la Biennale di Venezia; per il futuro, sono in molti a sostenere che Muller riceverà un altro reincarico, specie se le cose doves sero andare bene come è prevedibile.
I film in corsa per i «Leoni» e per il «Premio Taddei sj» George CLOONEY THE IDES OF MARCH – USA, 98’
Abel FERRARA 4:44 LAST DAY ON EARTH – USA, 82’
Roman POLANSKI CARNAGE – Francia, Germania, Spagna, Polonia, 79’
Tomas ALFREDSON TINKER, TAILOR, SOLDIER, SPY – Gran Bretagna, Germania, 127’
William FRIEDKIN KILLER JOE – USA, 103’
Marjane SATRAPI, Vincent PARONNAUD POULET AUX PRUNES – Francia, Belgio, Germania, 90’
Andrea ARNOLD WUTHERING HEIGHTS – Gran Bretagna, 128’ Ami CANAAN MANN TEXAS KILLING FIELDS – USA, 109’ (opera seconda) Cristina COMENCINI QUANDO LA NOTTE – Italia, 116’ Emanuele CRIALESE TERRAFERMA – Italia, Francia, 88’ David CRONENBERG A DANGEROUS METHOD – Germania, Canada, 99’
Philippe GARREL UN ÉTÉ BRULANT – Francia, Italia, Svizzera, 95’ Ann HUI TAOJIE (A SIMPLE LIFE) – CinaHong Kong, Cina, 117’ Eran KOLIRIN HAHITHALFUT (THE EXCHANGE) – Israele, Germania, 94’ (opera seconda) Yorgos LANTHIMOS ALPIS – Grecia, 93’ Steve MCQUEEN SHAME – Gran Bretagna, 99’ (opera seconda) Gian Alfonso PACINOTTI [Gipi] L’ULTIMO TERRESTRE – Italia, 100’ (opera prima)
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Aleksander SOKUROV FAUST – Russia, 134’ Todd SOLONDZ DARK HORSE – USA, 84’ Sion SONO HIMIZU – Giappone, 129’ Te-Sheng WEI SAIDEKE BALAI – Cina, Taiwan, 135’ (opera seconda) Johnnie TO DUO MINGJIN (LIFE WITHOUT PRINCIPLE – DYUT MING GAM) – Cina-Hong Kong, Cina, 107’ + Film a sorpresa
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Europa, cinema e politica mediterranea di LUIGI ZAFFAGNINI Il Parlamento europeo, in concomitanza con la Mostra del cinema di Venezia, promuove una Conferenza Euromediterranea sul Cinema chiedendosi «come rilanciare la collaborazione tra l’Europa e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo e soprattutto se possano il cinema e i prodotti audiovisivi in generale essere d’aiuto per rafforzare il senso di cittadinanza». Da perfetti incompetenti di politica internazionale e di relazioni diplomatiche, ma da modesti e infaticabili indagatori della struttura dei media e del linguaggio dell’immagine, quali siamo, ci permettiamo qualche piccola riflessione senza spirito d’irriverenza e, tanto meno, di polemica. Proprio alcuni anni dopo l’esplosione delle banlieue francesi, e proprio in concomitanza con la sollevazione violenta di questi giorni di interi quartieri inglesi, verrebbe da suggerire di rivolgere tali domande ai diretti interessati. Infatti, sia quanti mettono a ferro e fuoco strade e negozi, sia quanti devono far fronte o subiscono la violenza, reattiva o meno che sia, non vengono da un altro pianeta, ma appartengono a una generazione che è andata al cinema, ha la televisione, ha i videogiochi, ha internet e social network. Dunque, se oggi ci chiediamo se da qui in avanti è possibile usare i media dell’immagine per rafforzare il senso di cittadinanza (ma di quale appartenenza, poi?), per onestà intellettuale dobbiamo almeno chiederci perché, allora, fino ad oggi non lo abbiano fatto o che cosa abbiano fatto per portare la situazione a questa frontiera della violenza. Condizioni materiali e sociali delle persone a parte (non è compito nostro discuterle in questa sede), quali contenuti e quali messaggi (quale insegnamento e modello, cioè) questi media hanno diffuso, quale mentalità hanno prodotto? A quali comportamenti hanno (dis)educato, additandoli
come possibili? Quanto è stato fatto per preparare la società civile a capire che è il linguaggio dell’immagine tecnica, abbinato a certi contenuti, quello che produce devastanti effetti sulla personalità, almeno tanto quanto l’alcol o la droga? Sicuramente per l’ultima domanda possiamo rispondere senza tema di smentita: - Poco!-. E quel poco che è stato fatto, è stato fatto, credendo che la conoscenza della tecnica o i risvolti sociologici bastassero a spiegare perché l’immagine mediatica produce i suoi condizionamenti. Per quanto riguarda il resto vorremmo, almeno, un esame di coscienza negli uomini di cinema, (sceneggiatori, registi, produttori ecc.) e negli intellettuali (critici, giornalisti, insegnanti ed educatori in genere, sacerdoti compresi) perché ripensassero alle linee di condotta del cinema, della fiction, dello spettacolo degli ultimi sessant’anni, nel mondo e in Italia in particolare. Lasciamo pur da parte i prodotti di bassa lega e alto consumo come i cine-panettoni (di cui però ci si dovrebbe chiedere perché spendervi tanti soldi a produrli); lasciamo pur da parte i prodotti cervellotici dei tanti registi nutriti di sessantottismo (di cui, però, almeno in Italia, ci si dovrebbe chiedere perché finanziarli con i soldi dei contribuenti) e prendiamo la grande «pancia» del mercato. Pur evitando il moralismo e tributando il giusto plauso al professionismo, alla maestria, alla creatività di tanti registi e alla dimensione artistica dei loro lavori, tuttavia qualche riserva in funzione dell’obiettivo «senso di cittadinanza» dobbiamo pur farla. Va da sé che è fin troppo facile accusare i media di esagerare in immagini di violenza, che spesso si mescola ad implicazioni gratuite di sesso, estraneo a qualsiasi forma di affettività. Non altrettanto facilmente, però, si può perdonare ai registi di rendere se non gradevoli, certamente, non oggetto di repul-
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sione quei comportamenti che poi ritroviamo nella violenza, anche gratuita, della quotidiana realtà. Quando questo accade, è perché le cosiddette Comunicazioni inavvertite, di cui i creatori di cinema sono ben consapevoli, lasciano il loro segno sulla personalità del pubblico. Ma non è nemmeno quest’aspetto ciò su cui vogliamo insistere. Preferiamo prendere qualche esempio meno ovvio e perciò assai meno discusso, anche se sicuramente altrettanto e forse piú incisivo nella mente di vasti pubblici. Chi non ricorda l’assunto di capolavori come LA BATTAGLIA DI ALGERI in cui l’autodeterminazione per il diritto di cittadinanza si realizzava in puro stile «lotta di popolo», ove si legittimava anche il terrorismo contro inermi, ma comunque «buono», perché adottato contro l’imperialismo coloniale francese? Chi dimentica la violenza maniacale e assurda, tanto dei singoli quanto del sistema bellico, celebrata con grandiosità di effetti in APOCALIPSE NOW? Chi può ignorare l’escalation di sceneggiature e di riprese che hanno portato a rappresentare in modo cosí caricato espressivamente, ma non disgustoso in senso morale, PULP FICTION? A questo doveroso esame e riesame dei film sfugge ben poco di ogni genere, tanto che ci si può chiedere come e chi abbia trasformato il genere western dei grandi maestri in una versione sadica e truculenta fatta da esasperati dettagli. E lo stesso dicasi perfino di alcuni film d’argomento nobile, come THE PASSION di Gibson o GIOVANNA D’ARCO di Besson, ove i registi non sono riusciti ad evitare di compromettersi con la rappresentazione del sangue a fiotti. E questi sono solo alcuni esempi fra i tanti di tutti i generi della migliore cinematografia e riguardano appena un paragrafo del capitolo sulla violenza di questo libro bianco, ancora tutto da scrivere, sulla cattiva coscienza del mondo del cinema! Quale senso di cittadinanza ha dato, dunque, questa nostra civiltà a coloro che l’hanno conosciuta attraverso il mondo dell’immagine e aspirano ora a farne parte perché vi vedono una via di rifugio e di riscatto, quando non un supermaket delle opportunità, se non, addirittura, un paese di Bengodi? La grande immigrazione albanese degli anni novanta fu favorita certo anche dalle antenne paraboliche che mostravano un paese di lustrini, d’inefficienze e d’inesistenti controlli. E siccome si parla di cinema, non dimentichiamoci di LAMERICA di Amelio e del biglietto da visita che presentava allora sugli italiani come faccendieri. D’altra parte, non c’è oggi nessun immigrato, regolare lavoratore in Italia, dall’est o magrebino, che, lontano dai microfoni, interrogato sulle infrazioni alla legge da parte di alcuni tra i suoi connazionali,
non ammetta candidamente che in Italia è permesso ciò che nel paese d’origine sarebbe punito duramente e con crudeltà. Se poi pensiamo ai fermenti che sull’altra sponda del mediterraneo coinvolgono oggi nuove generazioni, rispetto alle domande iniziali, c’è solo da augurarsi che non si percorra la strada fin qui fatta. Che si acquisisca con chiarezza che il senso di cittadinanza si misura sempre in rapporto alla propria cultura e che ciò vale sia per chi intende migliorare il proprio paese, sia per chi, emigrando, si stabilisce all’interno di altre culture e tradizioni. E sia permesso, allora, a questo punto, interrogarsi su quale specchio di cultura per il mondo esterno siano stati decenni di film che hanno dipinto, certamente con gran brio e simpatia, la società italiana, nei vari momenti della sua storia, alla stregua di un mondo di figure ridicole o patetiche o furbescamente cialtrone, dove piú spesso anche la piú piccola dose di furbizia levantina viene accreditata come intelligenza. Lo dicono le vicende, lo rappresentano i personaggi, lo esprimono le idee di un fiume di pellicole, interpretate da bravissimi attori, che hanno esportato anche all’estero la visione di una cultura debole, alla quale, oggi, il Parlamento europeo vorrebbe, di fatto, si chiedesse il rafforzamento di un senso di cittadinanza. Ci spiace davvero, ma non ce la sentiamo di chiedere di riconoscere in gran parte di questa cultura (cinematografica e non) uno strumento che può rafforzare il senso civico. Dopo che si è sistematicamente distrutto un assetto della società, delle sue tradizioni, privilegiando i suoi mille veri o presunti vizi, le sue storiche o inventate colpe, non si può d’un tratto chiedere di ignorare tutto questo e di proseguire sulla strada dell’ideologia fumosa che si appaga di formule come quelle del «senso di cittadinanza». Dopo anni di trionfi di critica e di botteghino della comicità che si è avvalsa delle caratterizzazioni di eccellenti attori, ma che ha diffuso superficialità, millanteria, provincialismo, sfiducia nelle istituzioni, ridicolizzazione della religione, antipatia tra le classi sociali piú che avversione, mediante vicende e ambientazioni che, se sono state comiche, certo non sono state umoristiche, quale credibilità può attendersi un paese e quali lezioni di civiltà può pretendere di dare? E questo solo per rimanere nell’ambito del cinema di cosiddetta evasione, perché, se dovessimo affrontare veramente l’argomento sotto il profilo della serietà, le domande iniziali le gireremmo volentieri a Marco Bellocchio, che, a partire dal suo interessante esordio de I PUGNI IN TASCA, ha dichiarato, consapevolmente, la guerra alla famiglia, perno di ogni senso di cittadinanza in ogni società che voglia definirsi tale.
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A Marco Bellocchio il Leone d’oro alla carriera Bernardo Bertolucci consegnerà il Leone d’Oro alla carriera a Bellocchio. La premiazione sarà preceduta dalla proiezione di MARCO BELLOCCHIO, VENEZIA 2011 di Pietro Marcello (12’) e seguita dalla nuovissima versione di NEL NOME DEL PADRE (1971) «rivisitato» (ripensato e rimontato/rimissato) da Marco Bellocchio stesso (80’). Per la prima volta, non un restauro ma una nuova opera inedita e «attuale», realizzata dal regista a partire dai materiali del film stesso. Un singolare Director’s Cut che invece di durare parecchi minuti di piú, risulta piú corto rispetto alla prima edizione: 80’ per questa nuova versione «redux» contro i 105’ del film uscito in sala nel 1971.
Due parole su questo autore italiano: è nato nel 1939 a Piacenza e cinematograficamente è esploso nel 1965 con I PUGNI IN TASCA e poco dopo con NEL NOME DEL PADRE, SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA e LA CINA È VICINA; non è la sede per fare una analisi delle tematiche del regista, ma sicuramente nei primi anni di attività ebbe a cuore le tematiche giovanili in controluce con la famiglia e successivamente si è impegnato sulla società e in particolare sul suo rapporto con religione e famiglia. Bellocchio è tutt’altro che «in pensione» e sta girando anche in questi giorni un nuovo film che uscirà presto, dal titolo provvisorio de LA MONACA DI BOBBIO: la voglia e l’entusiasmo sono quelli di una volta.
Filmografia
1977 1980 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1994 1996 1999 2002 2002 2003 2003 2005 2006 2009 2010
Tra il 1961 e il 1962 realizza i cortometraggi ABBASSO IL ZIO, LA COLPA E LA PENA, GINEPRO FATTO UOMO e si trasferisce poi a Londra dove frequenta la Slade School of Fine Arts. 1965 I PUGNI IN TASCA 1967 LA CINA E’ VICINA 1969 PAOLA 1969 VIVA IL PRIMO MAGGIO ROSSO 1968 AMORE E RABBIA (Discutiamo, discutiamo) 1971 NEL NOME DEL PADRE 1972 SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA (v. Edav n. 4) 1974 NESSUNO O TUTTI (poi noto come MATTI DA SLEGARE) (v. Edav n. 37) 1976 MARCIA TRIONFALE (v. Edav n. 38)
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IL GABBIANO VACANZE IN VAL TREBBIA (docu-fiction) SALTO NEL VUOTO (v. Edav n. 78) GLI OCCHI, LA BOCCA ENRICO IV IL DIAVOLO IN CORPO LA VISIONE DEL SABBA LA CONDANNA IL SOGNO DELLA FARFALLA IL PRINCIPE DI HOMBURG LA BALIA …ADDIO DEL PASSATO… L’ORA DI RELIGIONE (v. Edav n. 300) BUONGIORNO NOTTE (v. Edav n. 312) OGGI È UNA BELLA GIORNATA IL REGISTA DI MATRIMONI (v. Edav n. 340) SORELLE VINCERE (v. Edav n. 372) SORELLE MAI (v. Edav n. 389)
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E R U T T I LE D LM FI CORPO CELESTE di Alice Rohrwacher
regia, scenegg.: Alice Rohrwacher – scenogr.: Luca Servino – fotogr.: Hélène Louvart – mus.: Piero Crucitti – cost.: Loredana Buscemi – mont.: Marco Spoletini – interpr.: Yle Vianello (Marta), Salvatore Cantalupo (Don Mario), Pasqualina Scuncia (Santa), Anita Caprioli (Rita), Renato Carpentieri (Don Lorenzo), Maria Luisa De Crescenzo, Monia Alfieri, Licia Amodeo, Gianni Federico, Marcello Fonte – durata: 100 – produz.: Tempesta Film, Jba Production, Amka Films, Rai Cine-
ma, in coproduzione con Arte France Cinéma, Rsi Radiotelevisione Svizzera e Srg Ssr Idèe Suisse – origine: ITALIA / FRANCIA / SVIZZERA, 2011 – film riconosciuto di interesse culturale con il contributo della Direzione Generale per il Cinema, MIBAC, con la partecipazione di Arte France e Cineteca di Bologna, con il contributo della Calabria Film Commission - Regione Calabria, con il supporto del programma Media dell’Unione Europea – distrib.: Cinecittà Luce (27.05.2011).
È la storia di Marta, una ragazzina di 13 anni che – dopo dieci anni trascorsi in Svizzera – rientra in Italia e specificamente a Reggio Calabria, la città dov’è nata; la sua famiglia è composta dalla madre – che lavora in un pastificio – e da una sorella che ha già un fidanzato e che non la sopporta, come avviene sovente tra sorelle con un certo divario di età. Poco dopo il suo arrivo in città, si ritrova a frequentare la parrocchia per prepararsi alla Cresima: è l’età giusta ed è anche un modo per farsi nuovi amici e, infine, non dimentichiamoci che senza la Cresima non ci si sposa! La ragazzina trova un sacerdote, Don Mario, che gestisce la Parrocchia con totale indifferenza per le questioni religiose ed è invece indaffaratissimo a recepire votanti per le imminenti elezioni politiche nelle quali «deve vincere» un candidato che poi servirà
quiz televisivi di Gerry Scotti – «l’accendiamo?». Nonostante questo atteggiamento della parrocchia, Marta prosegue nella frequentazione del catechismo e si ritrova ad essere vicina al momento della Cresima: l’attesa, i vestiti, le luci, tutto questo la disturba talmente che la indice a tagliarsi i lunghi capelli biondi, ma – aiutata da una madre bravissima – continua in questa sorta di calvario. Il viaggio che compie insieme al parroco, casualmente, è destinato a cambiare la sua visione della religiosità ed a ridarle delle speranze: mentre Don Mario è impegnato nel trasporto di un crocefisso che era stato nella sua prima Chiesa e approfitta per integrare la gita con la solita attività di raccolta di consensi elettorali per il «suo» candidato, la ragazzina incontra un «altro» prete, una sorta di eremita, scontroso, anziano, il quale le rivela che Gesú
NASTRO D’ARGENTO 2011 ad ALICE ROHRWACHER Miglior Regista Esordiente al sacerdote per essere trasferito in una parrocchia piú grande e piú prestigiosa. Gli incontri di catechismo sono quindi demandati ad una signora, di nome Santa, tanto devota e volenterosa quanto incolta ed ignorante delle questioni religiose; ed è cosí che scopre i balletti delle bambine ispirate alla piú vieta televisione e frasi catechistiche che vengono private da qualsiasi senso religioso proprio per il modo di «porgerle»; bellissimo l’esamino alle fanciulle che dovranno fare la Cresima con la frase – presa di peso dai
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non è quel personaggio – bello, biondo e dai lunghi capelli – che tutti si aspettano, ma una figura di uomo arrabbiato, anzitutto con Suo Padre che l’ha cacciato in questa situazione (la crocifissione) e poi con gli apostoli che non lo capiscono e non lo aiutano. Il ritorno a Reggio Calabria è caratterizzato dal famoso crocifisso che – caricato in modo sbadato sull’auto – per una frenata di Don Carlo precipita in mare; inoltre la ragazzina – alla quale nel frattempo sono venute le prime mestruazioni, simbolo di maturità – decide di non partecipare alla cresima e si dirige verso una strada che gli era stata presentata come una via «che non porta da nessuna parte» e invece la porterà verso una sorta di spiaggia dove alcuni ragazzi hanno portato e sistemato diversi «rottami» fino a far diventare il tutto molto simpatico e accattivante; uno di loro mostrerà a Marta un «miracolo»: la coda di una lucertola che nonostante la morte del corpo dell’animale, continua ad agitarsi ed a mostrarsi vitale. Il film inizia con un treno nella notte che genera alcuni bagliori, i quali vengono integrati da molte torce in mano a persone che dirigono la luce verso una sorta di processione notturna; chiara la chiave tematica dell’autrice: parlerò della religione in questo contesto specifico del Sud Italia. Abbiamo poi due parti di narrazione, la prima che cerca di inquadrare la vita di Marta e della sua famiglia nella «novità» calabrese dopo i dieci anni trascorsi in Svizzera; in questo blocco emerge poderosamente la figura di Santa, la donna che si occupa del catechismo nella Parrocchia dove Marta farà la Cresima: è una donna piena di
entusiasmo e di buona volontà, con una ammirazione per Don Mario che sfiora la venerazione, ma con poca conoscenza sia della catechesi nella sua specificità che della religione in generale; accanto alla donna abbiamo il Parroco – appunto, Don Mario – che viene presentato come un «discreto» impiegato, con quel
poco di fede che è sufficiente a sbrigare l’incarico e con il grande desiderio di approdare ad una parrocchia piú grande in cui far valere le sue doti; per arrivare a questo, s’impegna in una indecorosa attività che dovrebbe fare eleggere un signore dal quale egli si augura potrà ricevere il sospirato trasferimento: siamo in presenza di una attività che ha un suo nome ben conosciuto, «voto di scambio», ed il sud Italia è pieno di queste realtà. Intanto la madre – sempre con il sorriso sulle labbra nonostante la dura realtà lavorativa (si alza alle tre di notte per andare a infornare pane e paste in una pasticceria) cerca di fare andare
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d’accordo le due sorelle, ma la maggiore – compie diciotto anni – non vede di buon occhio la ragazzina, almeno fino all’ultima parte del film, dove prende le sue difese con le donne della Parrocchia. La seconda parte del film ci mostra la ragazzina, Marta, che affronta le lezioni di catechismo indispensabili per poter fare la Cresima; è chiaramente molto diversa da tutti gli altri che vengono descritti come dei giovani schiavi della televisione della quale conoscono tutto a menadito. Le uniche «distrazioni» di Marta sono attraverso la finestra e la parte superiore della casa – di proprietà della Parrocchia ed ancora da terminare – da dove vede la città con le sue tante abitazioni, le sue strade e, in lontananza il mare; ma piú vicina alla sua casa Marta assiste ad una situazione particolare: c’è una discarica abusiva dove la gente si reca a gettare mobili vecchi ed altre cianfrusaglie e, periodicamente, un piccolo gruppo di giovani, con un motocarro, si reca in quel luogo e porta via questa roba; dove la porterà? Il film ce lo svela solo nel finale, quando assistiamo al viaggio di Marta lungo la strada e la pozza d’acqua «che non porta da nessuna parte» e che invece sfocia sulla spiaggia, dove è in costruzione una sorta di piccola struttura fatta dai giovani con i rifiuti della gente prelevati nella discarica abusiva. Dopo il prologo con l’illuminazione delle persone che partecipano alla funzione notturna e le due parti narrative che ho detto qui sopra, abbiamo l’epilogo, rappresentato dal viaggio di Don Mario – a cui partecipa per puro caso anche Marta – per recuperare un crocifisso che si trova in
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una Chiesa abbandonata, in un villaggio interamente abbandonato. In questa parte di film abbiamo due elementi importanti: il primo è rappresentato dalle mestruazioni che arrivano nel gracile corpicino di Marta e che stanno ad emblematizzare l’acquisizione di una maturità piú che fisica, direi psicologica; la seconda parte è l’incontro con il vecchio sacerdote che è rimasto nel villaggio abbandonato: è un vecchio amico di Don Mario e sarà quello che svela a Marta la realtà della religione, presentando la figura di Gesú non come il «solito» biondo dagli occhi cerulei e dalle braccia allargate per accogliere le pene di tutti, ma come un uomo arrabbiato perché si accorge di essere stato abbandonato anche da Suo Padre e di avere ancora tante cose da fare, con tutta la gente che gli chiede miracoli, solo miracoli e con quei dodici apostoli che non capiscono proprio niente e che gli sono solo di ostacolo. E mentre nella Chiesa della Parrocchia si celebrano le Cresime, con il Vescovo – un burbero e scostante vecchio che non parla con nessuno – che viene accolto da un applauso in perfetto stile «televisivo», anche Don Mario sembra «toccato» da quel viaggio e durante la cerimonia si comporta con una sorta di ritrosia fino a giungere alla balbuzie; Marta intanto compie quel «viaggio» in quella strada che non porta da nessuna parte e che invece le rivela quel mondo di giovani che cercano di «ripulire il mondo» dalla sporcizia e che, cosí facendo, mostrano il miracolo della coda della lucertola. Fin qui la struttura narrativa; da qui alla significazione è difficile procedere in quanto mancano
– a mio giudizio – alcune cose che sarebbero utili ai fini di un minimo di universalizzazione del discorso: la prima è il fatto che Marta venga vista solo in casa (con madre e sorella) e in Parrocchia (con la catechista ed i piccoli cresimandi), senza cioè che la ragazzina abbia una sua vita «sociale», per esempio in una scuola oppure con delle amiche o amici per andare a divertirsi; c’è poi la particolare collocazione della vicenda in un Sud presentato come un anfratto di arretratezza sociale
e culturale e questo incide sulla significazione della vicenda stessa che è difficile portare a livello di racconto. Comunque, per quel poco che si può ricavare sul piano narrativo, l’autrice – dichiaratasi atea, ma soprattutto antiTV – cerca di narrare i turbamenti di una ragazzina allo sbocciare del suo corpo, nei confronti della vita; attraverso questo «miracolo» la regista ci mostra una malsana commistione tra catechismo e veline in stile televisive, mostrando una netta preferenza verso una religione «autentica» come quella impersonata dal vecchio sacerdote eremita, l’unico che la ragazza ascolta con vero interesse e l’unico che porta a Marta la bellezza e la verità del Verbo cristiano; però, diciamolo chiaro, per arrivare a questa conclusione, dobbiamo metterci del nostro, viste le lacune della struttura.
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Il film è comunque abbastanza ben fatto sotto il profilo cinematografico – e questo per una esordiente non è un complimento da poco – anche se privilegia i silenzi della ragazzina rispetto a tutto quello che la circonda; è chiaro che usare un personaggio «minorenne» è già un grosso vantaggio a fini spettacolari, ma in questo caso l’autrice ce la mostra in controtendenza con i suoi coetanei, tutti dediti al «velinismo» e cresciuti a pane e televisione: Marta per queste realtà materialiste non mostra il minimo interesse, anche se è preoccupata della scarsa crescita del suo seno. Se posso dare un piccolo consiglio alla Rohrwacher che è alla sua opera prima, gli direi di tenere in maggior conto la struttura narrativa del suo prossimo film, in modo che non ci siano delle crepe che vadano ad incidere sulla tematica che ella vorrà comunicare; è giovanissima e ne avrà di tempo per mettersi in luce: partire con un film come questo, se da una parte può sembrare pretenzioso, dall’altra ci mostra un carattere ed una tenacia che le servirà in futuro. Ben recitato – prima di tutto da Yle Vianello nel ruolo di Marta – e da un misurato e sempre attento Salvatore Cantalupo nel ruolo di Don Mario, oltre a Pasqualina Scuncia che rende il personaggio di Santa assai motivato, sia pure con tutte le incrostazioni materialistiche di cui ho già parlato; una parola finale per Renato Carpentieri che ci regala un meraviglioso cammeo nel ruolo del parroco eremita: l’intensità e la fisicità della sua interpretazione sono proprio in chiave con il ruolo «decisivo» che il copione gli assegna nei confronti della ragazzina. (Franco Sestini)
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IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA (tit. orig.: Le gamin au vélo)
di Jean-Pierre e Luc Dardenne regia, sogg.: Jean-Pierre e Luc Dardenne – fotogr.: Alain Marcoen – scenogr.: Igor Gabriel – cost.: Maïra RamedhanLévy – mont.: Marie-Hélène Dozo – interpr. princ.: Cécile de France (Samantha), Thomas Doret (Cyril), Jérémie Renier (Guy Catoul), Fabrizio Rongione (Libraio), Egon Di Mateo (Wes), Olivier
Gourmet (proprietario del bar) – durata: 87’ – colore – produz.: Jean-Pierre & Luc Dardenne, Denis Freyd e Andrea Occhipinti per Les Films Du Fleuve, Archipel 35, Lucky Red, France 2 Cinéma, Rtbf, Belgacom – origine: BELGIO / FRANCIA / ITALIA, 2011 – distrib.: Lucky Red (18-05-2011)
La coerenza tematica e stilistica dei fratelli Dardenne è esemplare. Da sempre impegnati nella denuncia di un mondo disumanizzato e arido che schiaccia le persone, creando marginalità e degrado, i due registi belgi sono alla costante ricerca di quei valori che possano ridare dignità e speranza a coloro che sono vittime di tale mondo, i piú deboli, i piú indifesi. Cosí, dopo L’ENFANT e IL MATRIMONIO DI LORNA che rappresentano un inno alla vita e all’amore, eccoli alle prese con i problemi di un’infanzia abbandonata a se stessa a causa dell’egoismo e della mancanza di responsabilità da parte degli adulti.
Il racconto. La struttura è semplice e lineare, con la presenza di alcune ellissi temporali tipiche del linguaggio dei registi belgi. Il film può essere diviso in due grosse parti che si contrappongono strutturalmente dando origine all’idea centrale.
La vicenda. Cyril è un ragazzino di circa dodici anni che il padre ha affidato ad un istituto, non potendo e non volendo piú prendersi cura di lui. Il bambino non può credere che il padre intenda sbarazzarsi di lui e fa di tutto per ritrovarlo. Scappa dall’istituto, chiede informazioni, ricorre a mille espedienti. Finalmente, con l’aiuto di Samantha, una donna che fa la parrucchiera e che si interessa a lui, riesce a rintracciarlo. L’uomo è imbarazzato e cerca di tergiversare, ma alla fine è costretto a dirgli la verità. Cyril si dispera e tenta di farsi del male. Samantha si prende cura
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GRAND PRIX
(ex-aequo con BIR ZAMANLAR ANADOLU’DA di Nuri Bilge Ceylan)
di lui e lo accetta come «famiglia d’appoggio» nei fine settimana. Ma Cyril, non ancora sicuro dell’affetto della donna, si lascia adescare da un pusher, capo di una piccola banda di spostati, che si serve di lui per rapinare un giornalaio. Le cose però si complicano e Cyril si ritrova solo con il bottino. Cerca di portarlo al padre, che lo rifiuta. Non gli resta che tornare da Samantha che lo aiuta a fare i conti con la giustizia e gli manifesta tutto il suo affetto. Ancora una prova da superare che potrebbe essergli fatale, ed eccolo infine dirigersi verso quella donna che, con il suo amore, rappresenta per lui l’unica via di speranza e di salvezza.
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Prima parte: la ricerca del padre. La prima immagine è sonora: mentre scorrono i titoli di testa si sentono delle voci indistinte in sottofondo. Si capisce che ci si trova in un ambiente dove vivono dei ragazzi in comunità. Poi il primo piano di Cyril, il protagonista, che, con il telefono in mano, aspetta ansiosamente che qualcuno risponda. Un educatore gli dice che il numero è inesistente, ma Cyril non si fida, pensa che l’uomo abbia sbagliato a comporre il numero e vuole rifarlo lui. A nulla valgono le ragioni dell’educatore: «Tuo padre non abita piú lí, se n’è andato». Cyril ribatte: «Se fosse vero mi avrebbe ridato la bici… chiamiamo il portiere, gli devo parlare». Dopo aver riprovato invano, Cyril, in preda alla disperazione, come un animale ferito, morde il braccio dell’educatore e scappa. Si arrampica sulla rete di recinzione per fuggire dall’istituto, ma viene bloccato. Tenta ancora di scappare finché viene definiti-
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vamente fermato. Una musica extradiegetica (che tornerà altre tre volte durante il film) sottolinea questo momento cruciale e continua sull’immagine di Cyril a letto, ripreso dall’alto, in preda allo sconforto1. Già qui emerge un elemento tematico importante: Cyril è un ragazzo che scappa e che corre. Lo si vedrà anche in seguito, ripetutamente. Cyril continua a scappare perché si sente in gabbia, privo com’è di ogni affetto, e corre verso quel padre di cui ha prepotentemente bisogno. Il giorno dopo, a scuola, Cyril finge di andare al gabinetto e scappa. Si reca nel condominio dove abitava con il padre. Con un espediente riesce a farsi aprire il portone d’ingresso e va a bussare alla porta del suo appartamento: «Papà, sei in casa?». Ma nessuno gli risponde. Un vicino lo allontana. Cyril scappa ancora e si rifugia in uno studio medico, dove però arrivano gli educatori che cercano di riportarlo all’istituto. Mentre sta per essere portato via si aggrappa con tutte le sue forze ad una donna che si trovava nello studio: «Voglio stare con mio padre… c’è anche la mia bici». La donna, Samantha, risponde semplicemente: «Puoi starmi vicino, ma non stringermi cosí forte». Finalmente il portiere gli apre la porta dell’appartamento e Cyril può constatare che questo è vuoto. L’immagine indugia sul ragazzo che vaga per le stanze vuote, sconsolato. L’indomani Cyril è a letto e sembra non volersi alzare. Le coperte lo avvolgono completamente, nascondendolo all’occhio della cinepresa. InaspettatamenSi tratta di brani dal concerto per pianoforte N. 5 in mi bemolle maggiore opera 73 “Imperatore” di Behetoven. 1
te arriva Samantha che è riuscita a recuperare la sua bicicletta. Dice di averla ricomprata da un ragazzo a cui suo padre l’aveva venduta. Ma Cyril non può credere che il padre abbia venduto la bici («Non l’avrebbe mai fatto») e pensa che gli sia stata rubata. Comunque il ragazzo è felice di poterla riavere e si esibisce
in una serie di esercizi di fronte alla donna. È importante notare come il ragazzo guardi quella donna che, senza conoscerlo, ha fatto qualcosa per lui. E infatti subito dopo Cyril la insegue e le chiede di poter andare da lei per i weekend («L’istituto cerca sempre famiglie di appoggio»). La donna accetta. Ora vediamo Cyril, ospite di Samantha, che si aggira per le vie del quartiere. Va in un bar e cerca di conoscere il nuovo indirizzo del padre. Qualcuno tenta di rubargli la bici, ma lui, rabbiosamente, riesce a recuperarla. Chiede informazioni anche in una pasticceria, fingendo di essersi dimenticato l’indirizzo. Poi finalmente chiede in un’autorimessa e viene a scoprire da un annuncio che il padre aveva cercato di vendere la sua moto e anche la bici del ragazzo. Subito dopo lo vediamo nel salone di Samantha muto e triste. La donna lo interroga. Vuole sapere che cosa gli è capitato e lui è costretto a ricono-
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scere che il padre gli ha venduto la bicicletta. Per il ragazzo è una grossa delusione: non avrebbe mai immaginato che il padre sarebbe arrivato a tanto. Adesso Cyril vorrebbe sapere dal ragazzo che ha comperato la bici se sa qualcosa del padre, ma invano. Nel frattempo Cyril fa conoscenza di Gilles, il compagno di Samantha. È interessante notare il comportamento del ragazzo nei confronti dell’uomo: sulla giostra non vuole la sua compagnia («Non ti ci voglio») e poi lo va a spiare nella camera da letto di Samantha. Certamente una sorta di gelosia, ma anche il rifiuto di una figura maschile che non sia quel padre che sta cercando con tutte le sue forze. Cyril ritorna nel suo letto e, sconsolato, si rannicchia. Samantha va da lui: «Che cos’hai?» Il ragazzo risponde: «Voglio mio padre». Poi esprime tutto il suo bisogno di affetto, notando il respiro caldo della donna, che è molto tenera con lui. Samantha riesce a scoprire dove vive il padre del ragazzo e ad ottenere da lui un appuntamento. Mentre si reca nel luogo concordato con Cyril, la donna lo mette in guardia per evitare che il ragazzo resti deluso se le cose non vanno secondo i suoi sogni. Significativa la risposta lapidaria del ragazzo: «Non sogno mai». Poi i due scherzano e, per la prima volta, vediamo il ragazzo sorridere a fianco di quella donna che potrebbe essere sua madre, una madre di cui nel film non si parla mai. Ma all’appuntamento il padre non si presenta. Finalmente riescono a trovarlo in un ristorante dove lavora come cuoco. Il locale è chiuso e l’uomo sta lavorando in cucina da solo con una musica a tutto volume. Bussano ai vetri, ma la musica è troppo forte: l’uomo non può sentire. Samantha allora solleva
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il ragazzo che riesce a vedere il padre al di là del muro del cortile. È importante notare quella musica frastornante che il padre sta ascoltando, segno di un «rumore» che distoglie dai propri doveri e dai valori della vita. Cosí come può avere un valore simbolico quel gesto della donna che solleva il ragazzo, permettendogli di vedere il padre. Il colloquio tra padre e figlio è molto significativo. Cyril gli chiede quando lo andrà a riprendere all’istituto: «Hai detto che ci restavo un mese». Ma l’uomo avanza scuse: «È difficile per me… non posso tenerti, devo avere dei soldi, un appartamento». Il ragazzo allora gli dà il numero del suo cellulare e si fa promettere che gli telefonerà nei weekend. Ma è con Samantha che l’uomo rivela le sue vere intenzioni: «Non sono venuto all’appuntamento perché non ce la faccio. Dopo che è morta la nonna sono rimasto solo io: non ce la faccio; il solo pensiero di vederlo mi stressa: ci pensi lei». E alla donna che obietta: «È lei che vuole vedere, non me», l’uomo cinicamente risponde: «Mi dimenticherà». Samantha e Cyril stanno per andare via, ma improvvisamente la donna decide di tornare indietro. Tornano a bussare (ancora la musica a tutto volume) e finalmente Samantha mette l’uomo di fronte alle proprie responsabilità: «Spetta a lei dirglielo, non a me; glielo dica». L’uomo è costretto a dire la verità che avrà un effetto devastante. Ritornati in macchina Cyril viene ripreso di fianco, con la testa china e lo sguardo triste. Samantha cerca di accarezzarlo, ma il ragazzo si sottrae. Poi, come un animale, si graffia in faccia e sbatte la testa contro la portiera. Samantha lo
prende tra le braccia e lo stringe: «Calmati, calmati». Mentre la donna lo tiene stretto si sente ancora quella musica extradiegetica dell’inizio. La significazione di questa prima parte è chiara: la perdita del padre, degli affetti piú cari e vitali non può che produrre sconforto e disperazione.
Seconda parte: l’affetto ritrovato. È passato un altro po’ di tempo. Troviamo Cyril che sembra fare una vita normale: va a fare la spesa per Samantha, guarda dei ragazzi che giocano a calcetto e viene invitato ad unirsi a loro. Ma ancora una volta i fratelli Dardenne mettono in risalto l’ambiente degradato che caratterizza il mondo dei loro personaggi. Ed ecco entrare in campo una banda di spostati che adocchia il «nuovo» ragazzo. Il capo della banda, conosciuto come il pusher della città (guarda caso anche lui dice di aver passato tre anni all’istituto), cerca di irretire Cyril. Si fa suo amico, lo porta a casa sua, gli offre da bere, lo fa giocare con la play station. Finalmente gli propone di fare un colpo: si tratta di rapinare il giornalaio colpendolo
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con una mazza da baseball per poi sottrargli i soldi delle giocate del lotto. Per conquistarlo meglio, il pusher gli dice di fidarsi ciecamente di lui e gli propone di cambiare famiglia d’appoggio: potrebbe andare a vivere da lui. È significativo che durante questo adescamento suoni due volte il cellulare di Cyril: è Samantha che lo cerca, preoccupata perché non lo ha visto ritornare. La prima volta Cyril risponde trovando una scusa; la seconda volta, su invito del capobanda, non risponde e spegne il telefonino. Ma Samantha riesce a rintracciarlo e se lo porta via. In macchina Samantha e Gilles lo rimproverano per non aver risposto. Ne nasce una discussione durante la quale Cyril offende Gilles. L’uomo esige delle scuse, ma invano. L’uomo allora sbotta con Samantha: «Oggi passiamo due ore a cercarlo perché non risponde… ti rigira come vuole… sabato scorso non ho potuto venire perché ha avuto una crisi di nervi… o lui o me». Dopo un attimo di esitazione, sorprendentemente, la donna risponde: «Allora lui». L’uomo se ne va. Cyril resta nell’auto a testa china, nella semioscurità, ma lancia un’occhiata a quella donna che lo ha scelto. A casa Samantha lo rimprovera e lo mette in guardia sulla pericolosità di quel capobanda. Cyril risponde in modo evasivo, ma ad un certo punto le pone una domanda: «Perché hai voluto che venissi da te?». La donna risponde: «Sei tu che me l’hai chiesto». Ma il ragazzo insiste: «Sí, ma perché hai detto di sí?». Samantha risponde semplicemente: «Non lo so».
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Nonostante le premure e le cure ricevute forse Cyril voleva una risposta diversa, voleva che la donna gli dicesse chiaramente ed esplicitamente che gli voleva bene, voleva essere sicuro del suo amore. Il ragazzo subisce il fascino di quel giovanotto che gli ha dato fiducia e che lo tratta alla pari. Al punto che si dice disposto a fare il colpo non per avere dei soldi, ma per lui. Alla sera Cyril vuole uscire, ma Samantha glielo impedisce. Il ragazzo allora tenta di scappare dal bagno. Ne nasce una colluttazione durante la quale Cyril ferisce ad un braccio Samantha. Poi scappa: «Tu non sei né mio padre né mia madre…voglio tornare all’istituto… non voglio piú stare con te». La donna piange amaramente; non le resta che chiamare l’istituto. Cyril mette in atto il colpo, ma le cose si complicano. È costretto a stordire anche il figlio del giornalaio che però fa in tempo a vederlo in faccia. Quando lo viene a sapere, il capo non vuole piú i soldi e lo minaccia: deve dire che l’idea del colpo è stata sua, altrimenti lo ucciderà. Lo fa scendere dalla macchina e lo lascia solo in mezzo alla strada. Cyril pensa bene di portare il denaro al padre, che sta per accettarlo. Ma poi ci ripensa e, per paura di andare in galera, non lo prende e manda via il ragazzo. I soldi cadono per terra. Cyril si trova solo. Ancora una volta la musica di Behetoven sottolinea questo momento cruciale della vita del ragazzo. In una lunga sequenza gli autori rappresentano il loro protagonista che corre ansimando con la sua bici verso l’unico luogo dove si può rifugiare, da Samantha. Il ragazzo, già ricercato dalla polizia, si affida a lei, le chiede scusa per averla ferita e dichiara: «Vorrei venire a vivere con
te… per sempre». La donna risponde: «D’accordo…dammi un bacio». Poi lo accarezza e gli sorride: è un momento di grande tenerezza. La cosa viene risolta di fronte ad un giudice di pace. Samantha si impegna a pagare i danni; Cyril chiede scusa. Ma il figlio del giornalaio non è presente perché non è disposto ad accettare le scuse del ragazzo.
In un clima di grande serenità Samantha e Cyril corrono in bici lungo il fiume. Si scambiano le biciclette e sorridono, in un ambiente pieno di luce. Mangiano i panini, programmano la serata, scherzano. Il film potrebbe finire qui. Ma gli autori aggiungono un episodio, che rende meno idilliaco e piú problematico il finale, evitando un lieto fine forse un po’ semplicistico. Mentre Cyril si trova da solo (è andato in un negozio a comperare della carbonella per un barbecue), incontra il figlio del giornalaio che lo insegue. I due si azzuffano. Cyril scappa, va a rifugiarsi nel luogo dove si ritrovavano i membri della banda e si arrampica su un albero. Ma l’altro giovane gli tira dei sassi. Colpito da uno di questi, Cyril cade dall’albero e sembra morto. Il giornalaio e suo figlio stanno per chiamare l’ambulanza, ma improvvisamente si sente suonare il cellulare di Cyril. Quasi
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risvegliato da quel suono amico, Cyril si rialza, prende il suo sacco di carbonella, monta sulla bici e va verso casa. Le ultime immagini mostrano Cyril in bicicletta ripreso di spalle. Ad un certo punto gira a sinistra e scompare dietro le case. La musica di Behetoven suggella una storia drammatica che però lascia aperta la strada alla speranza di una vita migliore. È significativo che il luogo dove Cyril cade rischiando la vita sia quella boscaglia dove si riuniva la banda degli spacciatori: un luogo di morte. Cosí come è opportuno sottolineare l’importanza di quel suono del cellulare che sembra assumere un valore emblematico: è la voce di Samantha, una donna che istintivamente e gratuitamente si prende cura del ragazzo. L’idea centrale del film nasce dalla giustapposizione delle due parti che si sono analizzate: la perdita del padre, cioè degli affetti piú cari, non può che portare alla disperazione e al desiderio di autodistruzione; solo il ritrovamento degli affetti, del calore umano e dell’amore può riaprire alla speranza di una vita autenticamente umana. Il film non possiede quella pregnanza tematica e quel rigore formale de IL MATRIMONIO DI LORNA, ma riesce comunque, in modo dignitoso ed efficace, a denunciare un mondo tutto orientato verso i valori materiali e ad affermare con forza la necessità di recuperare i veri valori della vita. Che gli autori vedono presenti soprattutto nelle belle figure femminili che sono presenti nei loro film: dalla Sonia de L’ENFANT, a Lorna, a questa solare Samantha che, con il suo istinto materno, riesce a salvare una giovane vita. (Olinto Brugnoli)
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THE TREE OF LIFE di Terrence Malick
regia, sogg., scenegg.: Terrence Malick – fotogr.: Emmanuel Lubezki – mus.: Alexandre Desplat – mont.: Hank Corwin, Jay Rabinowitz, Daniel Rezende, Billy Weber, Mark Yoshikawa – scenogr.: Jack Fisk – arredamento: Jeanette Scott – cost.: Jacqueline West – effetti: Dan Glass, Prime Focus, Method Studios, Double Negative – interpr. princ.: Brad Pitt (O’Brien), Sean Penn (Jack), Jessica Chastain (Sig.ra O’Brien), Fiona Shaw (Nonna), Joanna Going (Moglie di Jack), Hunter McCracken (Giovane
Jack), Laramie Eppler (RL), Tye Sheridan (Steve), Jessica Fuselier (Guida), Irene Bedard (Fattorina) – durata: 139’ – colore – produz.: Sarah Green, Bill Pohlad, Brad Pitt, Dede Gardner, Grant Hill, Nicolas Gonda per Plan B Entertainment, River Road Entertainment – origine: INDIA / GRAN BRETAGNA, 2011 – esclusiva per l’Italia Rai Cinema – distrib.: 01 Distribution (18.05.2011) Malick aveva iniziato a lavorare a questo progetto, con il titolo Q, già nel 1978.
Il film è diviso in due parti, [in alcune città è distribuito con un cortometraggio, che lo introduce, su LA VITA DI FAMIGLIA], che sembrano extravanti e indipendenti l’una dall’altra. Nella prima, piuttosto lunga nella sua ripetitiva insistenza su spettacoli naturali, assistiamo a tempeste di fuoco e trionfi di luce. Dal magma di luce e fuoco siderale e vulcanico si «separano» (il film non dice «si generano») simboli di cellule con nucleo, che riempiono lo spazio dello schermo girando in ogni dimensione e direzione. Casualmente s‘incrociano nella vorticosa danza disordinata e altrettanto casualmente alcune si fondono con altre. Lo spettacolo è affascinante ma non è fine a se stesso, perché è inanimato e con il tempo prende forma di vita vegetale ed animale. Foreste marine e terrestri ospitano inaspettatamente esseri viventi d’ogni genere, natanti, volanti e ambulanti. Mostri, che noi identifichiamo come antidiluviani, si guadano attorno quasi smarriti e indecisi in un ambiente per loro assolutamente «nuovo», in cui unica «finalità» è vivere, difendersi, predare. Dopo tanto furoreggiare di fuoco e gareggiare di luce sul nuovo «mondo»caotico,
indipendenti da tutti. Quando ne perde uno, «questa è la vita!» commenta un congiunto, si scopre al mondo solo e smarrito. Gli fa contrasto, unica gratificazione per i figli, la dolce presenza in famiglia d’una moglie affettuosa e «sottomessa», che lo accetta anche nelle circostanze difficili e prossime alla violenza. Anche lei resta inguaribilmente ferita dalla perdita del figlio. «Questa è la vita», e…non si sa e non si capisce perché sia cosí! I membri di quella famiglia, che sembrano non aver nulla da spartire con la prima parte del film, sono tutti «travolti» anch’essi da tempeste di fuoco e luce: gratificazioni innocenti di consolazioni materne e paterne, gioiosi spensierati giochi fantasiosi dei bambini, alternati da contrasti nelle relazioni interpersonali degli adulti e inevitabili litigiosi scontri e baruffe occasionali degli innocenti. L’occhio della cinepresa registra ogni minima reazione del figlio maggiore, undicenne: in casa, a scuola, nel gioco con i fratelli e gli amici, in chiesa quando prega («prega»?), quando si rifugia in se stesso e quando si apre agli altri scorazzando tra i boschi, a caccia di rane e sparando non si sa a che cosa con il fucile ad
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PALMA D’ORO ora finalmente ordinato, inizia improvvisamente la seconda parte del film. Ecco una famiglia umana contemporanea. Padre, ex ufficiale e attuale magnate dell’industria, che «ha girato tutto il mondo», ha raggiunto ogni meta e realizzato ogni sogno ambizioso e che, all’età … della pensione, riconosce di essere «nulla»: ha perso il lavoro, la ditta è fallita, resta soltanto «l’unica cosa che è riuscito a fare, i suoi figli». Ma come ha «tirato su» i tre rampolli? Con rigida determinazione e militaresca disciplina. Si è fatto chiamare «signore», ha insegnato loro a non dire mai «non sono capace, ma: non ho ancora finito», ad essere ambiziosi fino a non sentirsi mai soggetti a nessuno, a diventare
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aria compressa… Il suo volto è costantemente soprapensiero e triste, scontento e scontroso anche in famiglia, «rivoluzionario» di fronte alla despotica educazione paterna, interpretata come persecuzione («tu mi vuoi uccidere!»). Non ama quel padre che si fa chiamare «signore» (metafora del «Signore» nel contesto del film?!...), del quale desidera e aspetta gesti d’accogliente affetto, che non ottiene. Se mai arriva qualche raro compatimento, mai spontaneo e gioioso. Insomma la vita, secondo il regista, è un insieme di malinconia e desolata solitudine frustrante per esseri che casualmente si trovano al mondo anelando alla felicità. Notevole è una specie di inclusione del film tra il raggio di luce iniziale, al quale tutto segue (non ho detto: dal quale tutto deriva, perché il film non lo dice), e l’ultimo che lo chiude quasi a suggerisce un simbolico filo di speranza. Ma di che cosa e fondata su che cosa?... Ogni tanto i personaggi pronunciano nelle circostanze tragiche del lutto «Oh, Dio!». Ma quelle sono esclamazioni tradizionali, non sembrano invocazioni d’aiuto, anche se le parole suonano in quel modo. Quello del film non mi sembra il Dio personale in cui noi crediamo, ma un’entità che non si capisce chi sia e che cosa c’entri con il mondo che ci ospita e soprattutto con noi che lo abitiamo… Il ragazzo che abbiamo sempre visto triste e minacciosamente malinconico, nella parte
finale del film è adulto e vaga incerto e smarrito, in cerca di non sa neppure lui che cosa, arrampicandosi tra paesaggi aspri, rocce scoscese, salite pericolose, avanzando verso la luce
tenebra, giorno e notte, nebbia e fumo, acqua (quanta acqua nella seconda parte del film!). Alcuni sono leggibili nel loro rimando a realtà simboleggiate, facilmente rintracciabili dal contesto e dal sapiente montaggio, altri fanno parte del generico pressapochismo d’una tesi nebulosa fondata sulla domanda. «Ma questo Dio, del quale molti parlano e nel quale molti credono, c’è?» E se c’è, cosa sa di noi? E noi, e prima di noi il Tutto che esiste l’ha fatto lui? Sembra che Tutto esista per Caso. Noi vaghiamo incerti e malinconici e ‘storditi’. Ma c’è un altro perché senza risposta, che è mistero insondabile: la Morte. Cos’è la Morte? E quel vagare nell’ambiente notturno silenzioso, in cui tutti gli ex vivi si ritrovano e si rappacificano e si abbracciano e si riconoscono e si perdonano e camminano e camminano senza mai arrestarsi, cos’è? Sogno, illusione? Dov’è quel «là» dove il padre ritrova i figli, tutti e tre, la madre li stringe di nuovo a sé, dove il ragazzo malinconico conosce se stesso adulto malinconico, dove il fratellino morto è ancora vivo? Cos’è questo «Tutto», che il film, secondo la sua natura, documenta allo spettatore ? Le domande che il regista si pone sono numeda Corriere della Sera, 8 giugno 2011 rose e tutte dipendono da una che da sempre l’essere umano riflessid’un sole lontano. È solo, solo e vo si pone interrogandosi su se ‘scontento’ ma cammina, sale, stesso, sulla sua origine, sullo sperando…Il regista fa largo uso scopo della vita, sulla spiegaziodi simboli, non soltanto luce e ne (c’è?) del dolore e il mistero
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del dopo termine della vita. Sotto tale profilo il film è religioso. Le risposte che esso offre possono coincidere o scontrarsi con quelle correnti e soprattutto con quelle personali d’ogni singolo spettatore. Il modo con il quale l’autore le ha proposte non lascia indifferente chi segue con pazienza il lungo film, che talvolta può stancare a causa di ripetute presentazioni di «cose» che tutti conosciamo (rapporti famigliari e scontri generazionali…), che però vanno ricordati non come film sulla famiglia ma come ‘metafora’ che prende significato dal confronto con la prima parte del film. Questa, a sua volta, può essere presa, e non è un gioco di parole!, come anticipata ‘metafora’ di situazioni realistiche delle quali tutti siamo testimoni nelle famiglie normali. Caos e scontri, dunque, in quello che chiamiamo il grande universo «uscito» da luce e fuoco, confusione e problemi nel piccolo universo domestico causati dalle relazioni umane egoistiche e altruistiche che li generano.
impercettibile, una voce f.c.: è commento (spiegazione? Anticipazione finalistica? Questa non sarebbe logica con il contesto!) di
Una parola sulla colonna musicale. Nella prima parte sono i ‘casi’ naturali che si autocommentano musicalmente: scoppi e fragori del fuoco ‘vitale’ in associazione alla misteriosa silenziosa sorgente di luce feconda, dall’incontroscontro dei due elementi dai quali esce misteriosamente la prima forma di vita. Durante la prima parte del film ogni tanto arriva allo spettatore, molto incerta e quasi
quanto sta succeden do o sta per succedere? Il fatto di non avere ben percepite quelle brevissime espressioni, non mi permette di riferirle. Forse erano importanti al fine delle risposte alle domande che il film suscita attraverso la fiction d’apertura. Sono uscito dalla sala di proiezione con l’impressione d’aver assistito ad un film molto ma molto costruito, cioè a un film a
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tesi, illustrativo e a modo suo didattico. Ho ammirato le frequenti belle fotografie e le frequentissime belle cose fotografate. Ho apprezzato la musica, spesso tesa su note tenute, altre volte aperta a sontuose melodie classiche di carattere popolare facenti parte d’un repertorio di frequente consumo, la misteriosa impressionante esibizione del requiem che chiude il film. Non mi è piaciuta la musica consumistica che accompagnava il lungo svolgimento del cast finale, che pochi spettatori hanno seguíto, e che pure aveva il suo significato semiologico di inatteso banale… (ma perché?) commento sonoro. Non è il primo regista che illustra temi cosí profondi, che coinvolgono la nostra esistenza. Piace ricordarne uno in particolare, GENESIS di Claude Nuridsany e Marie Pérennou, che dànno la loro risposta, chiara anche se discutibile, alle religiose domande con la confessione di nichilismo, che corrisponde a professione indiretta di ateismo. Lo ricordo per lo splendore fotografico che lo caratterizza nella fiction dell’origine dell’universo e della sua inarrestabile evoluzione verso la morte, dalla quale non è esonerato l’uomo, che non trova risposta alle sue inchieste su origine e finalità della vita, e che sembra esistere soltanto per dare origine con la sua morte ad altra vita senza conoscere la meta alla quale il caso lo condurrà. (Adelio Cola)
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Nel vuoto dell’estate un bilancio della tv dell’inverno di FRANCO SESTINI Il «calendario» delle televisioni – sia pubbliche che private – è montato in modo diverso da quello canonico: l’attività ha inizio a settembre e dura fino a giugno, mentre i due mesi restanti, luglio e agosto, vengono utilizzati per riflessioni, costruzioni nuovi palinsesti e analisi dell’annata; ovviamente le TV non si spengono in questi due mesi, ma mettono in onda quasi tutte «repliche», il tutto però infarcito di pubblicità; e ti pareva!! Dato che siamo in uno dei mesi di «riflessione e di comparazione», muoviamoci in questo senso e analizziamo quello che è emerso dalla quarta edizione di «Un anno di zapping», ricerca realizzata dal MOIGE (Movimento Italiano Genitori), sui programmi presentati dalle TV nella scorsa annata televisiva. I peggiori, per volgarità, esibizionismo e litigiosità, sono risultati «Amici», «Domenica cinque», «Grande Fratello 11»,”L’isola dei famosi 8»,”Pomeriggio cinque» e «Uomini e donne»; come si può notare, la scuderia della brava Maria De Filippi è assai rappresentata fra le cose «piú trash»; sarà contenta la signora in questione che ha già raggiunto il potere superando quello del marito Maurizio Costanzo?!!
Nel panorama televisivo è stata rilevata anche una grave inadempienza: diversi spettacoli che non avrebbero dovuto essere proiettati «in fascia protetta», sono invece andati liberamente in onda; tra questi vengono segnalati : «The Call», «Chi ha incastrato Peter Pan» e «Wild Oltrenatura».
Altri prodotti televisivi sconsigliati dal MOIGE sono «I Cesaroni», «La ladra» e «Terra Ribelle», mentre tra le produzioni che avevano chiaramente finalità ed esigenze di share, hanno mostrato anche una buona qualità: «Chi vuol essere milionario», «Tg ragazzi» e «Ballando sotto le stelle». Da parte mia potrei aggiungere «Forum», quasi tutti i talk show di natura sociale e politica e i tanti telefilm e TV Movie riferiti a problemi polizieschi, con particolare riferimento alle strutture
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scientifiche: vi assicuro che la veridicità di tantissime immagini riguardanti autopsie, sono fortemente sconsigliate per giovani e comunque per persone facilmente impressionabili. Ed ora passiamo alle «eccellenze», a quei prodotti cioè che sono la dimostrazione di come la televisione possa coniugare spettacolo e qualità; per il MOIGE sono «Zelig» (perché fa ridere senza scadere nello squallore), «Hanna Montana» (esempio di vita semplice, quotidiana e famigliare) e «Mezzogiorno in famiglia». Nella sezione «fiction», buone segnalazioni per «Atelier Fontana», «Un passo dal cielo» e «Sotto il cielo di Roma», ma prima posizione per «La storia di Laura»; da aggiungere che anche i talk show hanno la loro classifica; ha vinto «Tv talk». Nella relazione dell’attività 2010/2011, quest’anno ci sono anche i cartoni animati, prodotti che finora non venivano considerati; si è registrato un OK dell’associazione a cartoni classici, come i «Puffi», «Barbapapà» e «ScoobyDoo», a cui si sono aggiunti l’italiano «Geronimo Stilton» e gli stranieri «Caillu», «Pingu» e i «Baby Looney Tunes». Il materiale televisivo di cui si parla è tantissimo e quindi non sono certo in grado di valutarlo
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alla stregua di quello che è stato fatto dall’associazione; mi limito ad approvare le secche bocciature della tragica accoppiata «Amici» e «Uomini e Donne», oltre alla stroncatura dei due reality in voga da noi (Grande Fratello e Isola dei famosi); per le «promozioni», approvo incondizionatamente quella di «Zelig», un programma che seppure a volte scivoli in qualche volgarità, ha una struttura ed una costruzione cosí intelligente che si fa ampiamente perdonare. Anche alcune trasmissioni aventi finalità scientifica – tipo quelle di Angela (padre e figlio) - si meritano un bollino di qualità, in quanto sempre tese a fare divulgazione in una materia che è assai difficile accostarsi senza una guida. E adesso facciamo un discorso un po’ piú generalista di quello riferito ai singoli prodotti televisivi; per un gioco di cerchi concentrici, la TV è diventata ormai da molto tempo, il fulcro della nostra società; nel cerchio piú ampio c’è la produzione, che è il motore dell’intero meccanismo, ma in una società complessa, vasta, articolata, oserei dire globalizzato come la nostra, la produzione per essere commercializzata ha un bisogno vitale di fondi, di soldi cioè di pubblicità; sappiamo tutti che la TV è il mezzo in assoluto piú efficace per far conoscere un prodotto alla platea dei consumatori e quindi possiamo schematizzare: produzione-pubblicità-tv. La televisione usa l’immagine – come il cinema – cioè «fa vedere», come il cinema, ma per usufruire di quest’ultimo bisogna «uscire di casa», anche solo per andarsi a comprare un DVD, mentre la TV è già «piazzata» nella nostra casa, come una sorta di «totem»: gli ultimi dati ci dicono che il piccolo
schermo è presente nella quasi totalità delle nostre abitazioni (tra il 96 e il 100%); possiamo quindi affermare che la sua forza sta nella capillarità della distribuzione e dell’organizzazione. È proprio questa «forma» del mezzo che direttamente o indirettamente ci costringe a subirlo; è
quali è realizzata da uno stuolo di professionisti molto bravi nel loro mestiere; possiamo quindi affermare che ci vogliono alcune qualità per «stare» in TV; di contro, non ne occorrono nessuna per guardarla. Altri «segni» che investono le nostre comunicazioni – parola scritta e parlata – vogliono attenzione e vigilanza critica da parte di chi la legge o la ascolta; la TV, invece, è innanzitutto «immagine» e anche una scimmia può sapere accendere il televisore e guardare un’immagine, rimanendone colpita. Spetta a noi, se diversi dalle scimmie, non dimentiZelig 2011 carci mai che l’immagine è riproduzione di contorni in altrettanti contorni, eseguita da «qualcuno» in un certo modo per esprimere la «sua idea» circa una determinata cosa o evento. Quindi, accipicchia se bisogna stare all’erta quando vengono presentate delle immagini!! È tramite loro che vengono immesse nel nostro mondo tutte quelle idee che poi si disperdono tra la gente e diventano modi di essere e di agire; ma non ci Geronimo Stilton dimentichiamo da cosa siamo partiti e cioè che stiamo usando idee di altri che diventano nostro ipocrita sostenere – come spesso patrimonio e quindi ci conducono si fa – che nessuno ci obbliga a ad agire come coloro che hanno guardare certi programmi e che creato l’immagine iniziale: in soin definitiva siamo tutti «uomini stanza, si tratta di «pensare con le liberi». idee di altri». Nel momento in cui la TV con È assurdo dire «io tanto non la forza di un suo programma la vedo» oppure trincerarsi dietro si rivolge a milioni di spettatori, lo slogan «i giovani se ne fregano crea per ciò stesso un «evento» a della TV e guardano il WEB»: in cui non possiamo sottrarci se non tutti i casi siamo in presenza di vogliamo essere tagliati fuori in comunicazioni fatte con l’immaquesto «villaggio globale» in cui gine e quindi necessitano di una paiono sempre piú indistinguibili «lettura» (decodificazione del sei generi delle trasmissioni e quindi gno) se si vuole essere veramente assai arduo «scegliere» secondo i liberi; altrimenti continueremo nostri gusti. ad ingrossare l’esercito composto Nella prima parte di questo da uomini e donne «massificati», mio articolo, ho citato il titolo di cioè colonizzati ad essere come svariate trasmissioni, ognuna delle altri vogliono che siano.
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LIBRI
ARCHIVI Alla Cineteca di Bologna altro materiale prezioso di Fellini «Un cantore della grazia perso»
Paolo Padova, Manlio De Min, Il cinema in Italia. Catalogo-repertorio delle A.M. Italiane dei cento film più famosi degli anni ‘50 e ‘60, pp. 110, ed. AICAM, Cassina Dé Pecchi (MI), 2010, s.p. Quindici anni fa, nel mettere insieme la pubblicazione su “1500 affrancature meccaniche sul tema CINEMA”, scoprimmo l’esistenza di oltre sessanta rosse italiane, prevalentemente degli anni ‘50 e ‘60, che pubblicizzavano pellicole che, a distanza di tempo, si ricordano ancora per il loro successo. Nacque allora l’idea di una catalogazione più accurata e, soprattutto, più completa, dato che eravamo certi dell’esistenza di molte altre affrancature che non ci erano note. (gli autori)
Ritrovato da Cecilia Mangini, moglie di Lino Del Frà, un dattiloscritto pieno di correzioni con una semplice intestazione «Soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli». Un soggetto di un film mai nato che da una parte si lega a LA STRADA e dall’altra anticipa immagini del CASANOVA. Oltre a questo soggetto anche altri materiali molto interessanti sono stati ritrovati nell’archivio Del Frà-Mangini come: un trattamento incompleto della STRADA; novantotto pagine del soggetto de IL BIDONE con parecchi appunti scritti a mano; la scaletta de LA DOLCE VITA con un paio di sequenze; soggetto, episodi e prima stesura della sceneggiatura di 8 E MEZZO con un sottolineato «Il film eccolo qui» scritto da mano misteriosa; nove pagine dell’abbozzo di GIULIETTA DEGLI SPIRITI con scritta «Flaiano» in alto a destra. E tanto altro. Un servizio su L’Espresso n. 10 del 10 marzo 2011 a cura di Alessandra Mammì.
Antonio Costa (a cura di), Vachel Lindsay, L’arte del film, pp. 256, ed. Marsilio, Venezia, 2008, euro 22,00 È il primo libro di teoria del cinema uscito negli Stati Uniti (1915). Significativo che a scriverlo sia stato un poeta, un visionario. Offre profonde intuizioni sulla natura del cinema e sull’intimo legame tra il cinema e i miti fondatori della civiltà americana. Un’idea di cinema come arte figurativa, accompagnata però dalla coscienza che il movimento ha la capacità di mutare quelle arti cui il cinema viene di volta in volta assimilato. Le intuizioni di Lindsay sul valore del primo piano e sulle capacità del cinema di cogliere i dati più espressivi del paesaggio naturale e urbano anticipano i teorici francesi della fotogenia.
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Padre Busa, i due dinosauri, la globalizzazione e la Chiesa di tutti Padre Roberto Busa, gesuita e pioniere dell'informatica linguistica, è morto martedì 9 agosto all'Aloisianum di Gallarate. Era nato a Vicenza il 28 novembre 1913. Uno dei suoi compagni di studi fu Albino Luciani (futuro Giovanni Paolo I), mentre lui fu insegnante di filosofia di gesuiti cone Carlo Maria Martini e Nazareno Taddei, che paragonò a due dinosauri. Lo fece il 17 giugno 2000 a Bocca di Magra (La Spezia) in occasione della presentazione del libro intervista di Andrea Fagioli, Nazareno Taddei, un gesuita avanti (edizioni Edav). Di quella presentazione, come ricordo del legame di padre Busa con questa rivista (che lo ha avuto come prestigioso collaboratore) e con il Centro internazionale dello spettacolo e della comunicazione sociale, pubblichiamo di seguito la sbobinatura.
Io ho insegnato filosofia ai gesuiti per quasi 30 anni: dal 1941 al 1969. Era una cosa bellissima, perché erano tutti giovani dopo il liceo e il noviziato, fra i 20 e i 25 anni, vivaci, intelligenti e disposti a tutto fuorché a giurare «in verbo magistri». Infatti, piú Dio è presente in un’anima, piú la personalità di quest’anima si sente se stessa e indipendente. E l’insegnante veniva aiutato dai suoi allievi, perché non gli perdonavano nessuna espressione che non fosse documentata e non fosse palatabile dalla loro mente. Oggi questi giovani, che erano meravigliosi perché avevano capito il valore di vivere facendo del bene invece che facendo soltanto dei soldi, sono sparsi un po’ dappertutto. Alcuni piccoli, alcuni grandi. Tra i due grandi piú grandi che ricordo, ci sono il cardinale Martini e padre Taddei. Li paragono a due dinosauri di tipo diverso. Il cardinale Martini, di
fatto, si è dimostrato un locomotore elettrico capace di tirarsi dietro le mille parrocchie di Milano, però su dei binari classici e tradizionali che c’erano già. Il padre Taddei mi è sembrato un «quattro-ruotefuori-strada». Il paragone del dinosauro mi serve anche per dire che i suoi collaboratori, cosí intelligenti che hanno capito che dinosauro era quest’uomo, hanno con ciò già pagato lo scotto dei pestoni e gli spintoni che un leprotto, un capretto, un cagnolino ricevono quando vanno a lavorare insieme con un dinosauro. Lui se n’é accorto. Questo libro l’ho letto tutto, da capo a fondo, ancora in bozze. Vi si dice che padre Taddei forse ha un brutto carattere: cancellate quel «forse». Ho cercato di interpretare la struttura di questo libro come film di una storia di un’anima, perché qui c’è effettivamente la storia di un’anima. Ho detto che è un film della storia di un’anima perché vi porto un paragone: si dice che un albero, supponete una qualsiasi pianta, quanto ha di rami, foglie, fiori e frutti fuori all’aperto nella luce, altrettanto ha di radici nell’amaro buio sotto terra. In un’anima, non bisogna guardare solo quello che fa, ma anche le forze con cui lo fa. E quest’anima si è dimostrata
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sempre un’anima che è andata avanti (secondo una certa struttura, dice lui. Io direi secondo una certa vocazione o strategia di cui vi dirò) nonostante tutto, brontolando magari, ma sempre avanti, come dice il titolo. La storia di un’anima è la storia, diciamo cosí, di una struttura, che io chiamerei strategia, che è l’idea della vita di una persona concepita dal regista e che bisogna saper interpretare nelle vicende di questa vita, dove l’inopinato, l’impensabile, il completamente nuovo si snocciola scena dopo scena, quasi all’improvviso. Perché? Perché è uno che va fuori strada. Questo concetto è vecchio. San Tommaso, nel commento al secondo «Libro dei Fisici» di Aristotele, al capitolo undici, ha pescato una frasetta «hapax», della quale San Tommaso si è innamorato cosí da citarla piú volte. Faccio bella figura se ve la dico in greco, perché me la ricordo: «Anthropos gar anthropon ghennà kai elios ». San Tommaso usa la traduzione latina: «Homo generat hominem et sol» («L’uomo genera figli in forza di tutte le forze del sistema solare, ossia del cosmo»). C’è tutto, Dio e mondo, dietro questa coscienza computerizzata che si chiama l’intelligenza di ogni persona, perché nel film della sua vita renda un servizio che non essa ha programmato. Per cui quest’anima è un po’ un’interfaccia, un ripetitore. Uso terminologie informatiche, magari un server, se non altro in senso piú banale un provider, agli ordini di qualcuno che gli fa fare quello che fa, cosí che sia lui responsabile meritevole di quello che fa, che sia lui il titolare di quello che fa e non Colui, il regista, che ne ha programmato la vita, facendogli fare la sua gimkana attraverso le leggi dei casi della vita. Nella «Lumen Gentium» c’è un’altra frase: «Unicuique datur manifestatio spiritus ad utilitatem»: lo spirito, che è la forza che muove tutto dal principio alla fine, si manifesta, ossia si esprime, per il bene degli altri, per il bene di tutti. Si esprime attraverso questo spirito individuale, di questa persona.
Padre Taddei ha avuto l’intelligenza di stare attaccato a questo spirito, lasciarsi portare da questo spirito, nonostante tutto, per tutta la vita. Io applico a lui, come si vede qui, alcune frasi del Signore nel Vangelo. La prima: «Nemo profeta in patria sua». È il Signore che l’ha detto. Io immagino (non posso dire d’avere autorità, se non per esprimere un’opinione in fatto di esegesi) che il Signore con questo non abbia voluto esprimere la sua volontà, ma abbia fatto un’affermazione storica di statistica, cioè che nella vita è comune, ordinario, è legge fisiologica di tutti, di avere difficoltà proprio tra i propri cari e dalla sua famiglia. Lui ha detto che perdona. Io avrei amato che dicesse: «Si capisce! Capita sempre cosí». Bisogna accettare che il superiore umano qualche volta sbagli. È di fede che bisogna accettarlo. È San Paolo che ai Galati dice che San Pietro era «reprehensibilis». A me farebbe meraviglia che qualcuno se ne meravigli. La domanda che faccio: in quale famiglia non ci sono incomprensioni, litigi, battibecchi, animosità? Io non ne ho conosciuta manco una, neanche la mia. Seconda frase: il Signore dice che «nessuno accende una candela e la mette dentro un cassetto, un pancone, ma la mette in alto perché illumini». Questo vuol dire che il Signore ad alcuni dà una funzione di illuminare gli altri. Questa funzione di illuminare gli altri, sotto altre sfaccettature, si chiama notorietà, pubblicità, gloria, essere riconosciuti, ecc. Ma quanto e presso chi? Non so dire di quella di padre Taddei. Certo non tanta quanto quella di Gorbaciov o dei calciatori o degli artisti del cinema: quelli hanno una notorietà molto piú grande. Però quella di padre Taddei è sempre stata presso persone che cercano di vivere in grazia di Dio e leggendo questo libro si vede come quelle che non fossero in Grazia di Dio egli cercava sempre di tirarle all’amore del Signore Gesú. Il Signore ha detto anche una frase dura, di cui bisogna pure tener conto perché sono i principi secondo i quali egli regola la politica della salvezza:
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ossia il sistema antropico con il quale il Signore programma vita e storia. La frase è questa: «Se il seme non cade per terra e non muore non porterà frutto, se muore porterà molto frutto». Il che vuol dire che il Signore ogni tanto manda qualcuno a far nascere qualche idea nuova per dare un colpo di sterzo a quello che chiamiamo progresso umano. Questo colpo di sterzo di solito non è violento. Le rivoluzioni sono colpi di sterzo violenti, che solo a lunga scadenza, in lunghi termini e a costo di tante rovine, hanno lasciato un segno buono e duraturo. Ma è piuttosto come in uno scambio ferroviario, dove la seconda direzione comincia con uno scarto di pochi millimetri e poi, piano piano, si allontana e prende un’altra direzione. Quando il Signore dà l’incarico a qualcuno, comincia cosí, con questo seme, e il fatto che ci si lamenti che pochi oggi, anche tra i superiori della Chiesa, i superiori civili, abbiano capito, inteso il suo insegnamento è buon segno. Buon segno perché vuol dire che questo continuerà piano piano e magari si verificherà quello che il Signore ha detto alla samaritana: «C’è uno che semina e un altro che miete»: ci sono di quelli che mieteranno dopo che altri hanno fatto la fatica di seminare. In una delle pagine del libro, padre Taddei dice che ci sono di quelli che avranno inventato l’acqua calda. Inventare l’acqua calda è un sintagma, una locuzione lombarda, per dire guarda che era già stata inventata da tanto tempo. Però gli altri si pavoneggeranno e diranno: «L’ho inventata io». Ho da fare una domanda a padre Taddei per sapere se io ho indovinato la struttura del film della sua vita e della sua missione nella vita, ma prima voglio ricordarvi le splendide lettere che Sant’Ignazio d’Antiochia scrisse, nel 116 d.C. sotto l’imperatore Traiano, in viaggio verso Roma dove sarebbe stato sbranato dai leoni per far divertire i Romani nel circo. Sono una meraviglia. Ve ne leggo una frase in greco: «Ou peismonés to érgon, allà meghéthous estìn o Xristianismòs». Il latino è: «Non suasionis opus sed magnitudinis est Christianismus». Lo traduco cosí:
«La vita cristiana, gli ideali cristiani non sono opera di notorietà, di pubblicità ma sono opere di grandezza». La parola «peismonés» si trova anche nella lettera ai Galati, capitolo 5, versetto 7, e viene da un raro verbo greco difficile da tradurre. Nella lettera ai Galati, il senso è questo: il latino dice: «persuasio haec non est ex eo qui vocat vos». I Galati volevano farsi circoncidere e San Paolo li avverte che questa opinione pubblica, pur allora diffusa, non era da Dio. Quindi questa parola «persuasio» sembra poter avere anche un significato derogatorio, cioè non bisogna nella vita valorizzare la celebrità, ma la grandezza effettiva e reale. Questo è il senso della frase, che applico come struttura, come significato valore, al film che è la vita di padre Taddei. Una vita che non va tanto valorizzata per la celebrità grande o piccola che ha ottenuto, quanto per la grandezza della sua missione. Adesso faccio la mia domanda. La esprimo anche questa come un’opinione. L’informatica oggi porta alla globalizzazione. Parallelo alla globalizzazione c’è l’ecumenismo. La globalizzazione è un linguaggio civile, l’ecumenismo è un linguaggio sacro nella bocca del nostro Santo Padre: è uno di quegli spintoni che egli sta cercando di dare alla Chiesa. So però che parlo di cose piú grandi di me. Per me l’informatica trascina con sé gli effetti collaterali della diluizione, della neutralizzazione, e (sono parole di padre Taddei) della confusione delle idee: fondo minimo di informazione, che corre su tutti e in tutto il mondo, ha ridotto oggi la Chiesa, che una volta era Chiesa di massa, a Chiesa di gruppi, a isole e non piú a continenti. Il pensiero di imbarcare l’evangelizzazione sulla globalizzazione della informazione attraverso i mass media, questo, secondo me, è segno che il Signore vuole che la Chiesa cerchi continuamente anche adesso di tornare ad essere Chiesa di massa, ossia Chiesa di tutti, perché il Signore il Paradiso lo ha aperto a tutti quelli che non lo rifiutino fino all’ultimo momento. (Roberto Busa sj)
w w w. e d a v. i t tutti i giorni, dal 31 agosto al 10 settembre, le letture dei film della 68. Mostra del cinema di Venezia
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PREMIO PADRE e mensile
NAZARENO TADDEI sj 2011
Quinta edizione patrocini
alla 68 ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia
da assegnare al film in Concorso, che C.E.I. – Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
sostegno
«esprime autentici valori umani con il miglior linguaggio cinematografico».
Il Premo Taddei alla cui costituzione ha collaborato Gian Luigi Rondi prevede in Giuria sotto la presidenza di Paolo Mereghetti (Corriere della Sera), Gianluigi Bozza (L’Adige), Gabriella Grasselli (presidente CiSCS), Gian Lauro Rossi (Edav), Franco Sestini (Edav on-line).
anno 39 SOMMARIO n° 392 settembre 2011
LA QUINTA EDIZIONE DEL PREMIO PADRE NAZARENO TADDEI SJ la mostra TRE ITALIANI IN CONCORSO: COMENCINI, CRIALESE E IL FUMETTISTA GIPI di Franco Sestini I FILM IN CONCORSO PER I LEONI E PER IL PREMIO TADDEI il commento EUROPA, CINEMA E POLITICA MEDITERRANEA di Luigi Zaffagnini riconoscimento A MARCO BELLOCCHIO IL LEONE D’ORO ALLA CARRIERA di Franco Sestini Filmografia letture di film CORPO CELESTE di Alice Rohorwacher (Franco Sestini) IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA di Jean-Pierre e Luc Dardenne (Olinto Brugnoli) THE TREE OF LIFE di Terrence Malick (Adelio Cola) televisione NEL VUOTO DELL’ESTATE UN BILANCIO DELLA TV DELL’INVERNO di Franco Sestini cinema Archivi: Cineteca di Bologna altro materiale di Fellini Libri: Padova e De Min, Il cinema in Italia – Antonio Costa (a cura di), Vachel Lindsay, L’arte del film il ricordo PADRE BUSA, I DUE DINOSAURI, LA GLOBALIZZAZIONE E LA CHIESA DI TUTTI la vignetta di Paolo del Vaglio
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