M.T.P. 2

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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

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DELLA PROGETTAZIONE 1


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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE Il corso mostra allo studente tutti gli aspetti legati alla composizione di un progetto e lo guida attraverso l’intero processo creativo, dalle fasi preliminari di analisi e ideazione fino alle problematiche legate alla realizzazione delle forme. A tal fine si studieranno gli strumenti di rappresentazione artistica e tecnica, i principi e gli elementi della composizione, gli aspetti strutturali e tecnologico-costruttivi, necessari alla generazione di spazi ed oggetti. Si porrà in evidenza come fine ultimo del progetto l’opera compiuta e la sua natura al tempo stesso materiale e immateriale, fisica e simbolica e che dunque si presenta come sintesi di spazio, forma, materia e luce e dei significati e valori che le si attribuiscono o le si riconoscono. Si tratterà il tema della progettazione come sistema complesso, non strutturato nell’ambito di un unico campo di conoscenza ma come area di congiunzione di molteplici esperienze e saperi.

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CHIASMO

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F. JULLIEN

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CONFINI

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UOMO E NATURA

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FIGURA RETORICA Il chiasmo o chiasmo è la figura retorica in cui si crea un incrocio immaginario tra due coppie di parole, in versi o in prosa, con uno schema sintattico di AB, BA.

ETIMOLOGIA La disposizione contrapposta delle parole può essere raffigurata mediante la lettera greca (“chi”) dell’alfabeto greco, corrispondente a “chi” aspirata, da cui origina il termine “chiasmo”.

ESEMPIO Un classico esempio è il famoso incipit dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, che presentiamo spezzato in due righe per visualizzare meglio l’incrocio dei concetti.

«Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,...» (Ludovico Ariosto. L’Orlando furioso)

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ANATOMIA Chiasmo dei nervi ottici Lamina di sostanza bianca, formata dalle fibre ottiche, ben visibile in corrispondenza della base del cervello, subito avanti al tuber cinereum. Ha forma rettangolare: al livello degli angoli anteriori è in continuità con i nervi ottici, al livello dei posteriori si continua nelle banderelle ottiche. Rappresenta un punto nodale di incrocio delle vie ottiche. I segni di lesione del chiasmo, quali si osservano, per esempio, nei tumori dell’ipofisi, consistono soprattutto in disturbi del campo visivo.

BIOLOGIA Punto di contatto, singolo o multiplo, che si osserva in meiosi tra cromosomi omologhi. Secondo la teoria della genetica detta chiasmatipia, il chiasmo corrisponde ai punti in cui si è verificato uno scambio, il crossing over di regioni cromosomiche, con conseguente ricombinazione di geni.

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RIFLESSIONI Avendo assodato il concetto di chiasmo ci siamo soffermati su quella che è l’etimologia di alcune parole che saranno fondamentali per lo svolgimento del corso. Le parole in questione sono: PRO Prefisso verbale e nominale di molte parole derivate dal latino o formate modernamente, con varia funzione e diversi significati, in origine però il significato che le era attribuito è quello di AVANTI. INTER Prefisso di parole composte, derivate dal latino (specialmente verbi) o formate modernamente (soprattutto sostantivi e aggettivi), nelle quali ha in genere i significati della preposizione. tra, indicando quindi condizione, posizione intermedia fra due oggetti, fra limiti di spazio o, meno comunem., di tempo TRA Prefisso che entra in composizione di molte parole derivate dal latino o formate modernamente. Indica movimento, passaggio al di là di qualche cosa, quindi passaggio da un punto a un altro

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Abbiamo ragionato in seguito sul chiasmo che avveniva al ineterno del Bauhaus, considerato come un punto di scambio, in cui mettere in interazione più materie di insegnamento. ORIGINI DEL BAUHAUS La storia del Bauhaus ha inizio il 1° aprile del 1919 quando, in un volantino di 4 facciate, fu reso pubblico il programma di una nuova scuola, il Bauhaus statale di Weimar, nato dalla fusione dell’ex Scuola granducale di arti e mestieri e l’Accademia di Belle Arti di Weimar. Fondatore e direttore della scuola l’architetto tedesco Walter Gropius. Suo obiettivo principale era un concetto radicale: re immaginare il mondo materiale per riflettere l’unità di tutte le arti. Gropius spiegò questa visione dell’unione tra arte e design nella Proclamation of the Bauhaus (1919), che descriveva una Scuola che combinava architettura, scultura e pittura in un’unica espressione creativa L’11 aprile del 1933 la Gestapo mette sotto sequestro le aule del Bauhaus allestite nel sobborgo berlinese di Steglitz. Finisce così la storia della leggendaria istituzione culturale che, nonostante abbia alle spalle solo 14 anni di attività, è diventata un fondamentale punto di riferimento (ancora oggi) per tutti i movimenti nel campo del design, dell’arte e dell’architettura. Tutto inizia nel 1919 quando Walter Gropius fonda la scuola a Weimar, nel cuore della Germania. L’idea di base è la formazione di un nuovo tipo di designer capace di sviluppare oggetti nati da una fusione ideale tra creazione artistica artigianale e produzione industriale. Gli studenti frequentano seminari e laboratori sul lavoro del metallo, del legno, del vetro, della tipografia e della tessitura poiché il progettista è posto come fulcro dell’intero iter ideativo e creativo: dove essere in grado di controllare la

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creazione di un prodotto dalle prime fasi al risultato finale studiando nuovi materiali e tecniche di produzione. Nel 1921 Theo Van Doesburg si trasferirsi nella città per tenere un corso privato impostato sui principi del De Stijl che viene frequentato da molti allievi provenienti dal Bauhaus. L’influenza del movimento si fa sentire sulla scuola di Gropius spingendola fino al cambiamento che si concretizza nell’abbandono della fase espressionistica e nell’avvicinamento alla sfera dell’industria. La vittoria alle elezioni locali dell’estrema destra obbliga il movimento a lasciare nel 1925 la sua città natale e a trasferirsi a Dessau. Nel 1928 il passaggio del testimone dal fondatore a Hannes Meyer il cui motto sarà: “i bisogni del popolo invece delle ragioni del lusso”, mettendo così l’uomo al centro del progetto. Il Bauhaus passa poi nelle mani di Mies van der Rohe che ne fa una scuola di architettura. I nazisti chiudono la sede di Dessau nel 1932, ma il movimento resiste a Berlino ancora per un anno.

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NEW BASIC DESIGN SCUOLA DI ULM(1) Il New Basic Design non è una espressione del linguaggio comune come la parola “arte” o, ormai, la parola “design” da solo. E certamente non è una nozione notissima. Quindi se noi volessimo dare una definizione di Besic Design questa sarebbe: il Basic Design è il luogo ideale dove convergono e si concatenano di fatto ricerca formale e espressiva, progetto e, appunto, insegnamento. Il sapere si forma e cioè si formula laddove c’è bisogno di trasmetterlo. Esistono due diverse modalità di trasmissione una diretta ed una indiretta, De Saussureè un esponente della trasmissione diretta, quella che riguarda l’insegnamento, Vitruvio o di Hogart a differenza trasmettono il sapere sotto forma di libri e manuali. La grande novità nell’insegnamento di quel tipo di competenze che si definiscono definire comunemente come le competenze creative e progettuali è rappresentata senza equivoci dal Bauhaus. La nascita della disciplina è attribuita alla scuola tedesca ma prima di essa è nata l’ attività, che ha origine nella rivoluzione tipografica di Gutemberg o con la rivoluzione industriale di Watt. E invece la nascita del Design in quanto disciplina avviene in quel settore propedeutico che si chiamava Grundkurs a Weimar e Dessau, che si chiamò Grundlehre a Ulm e che e che fu tradotto nei paesi anglosassoni con l’espressione Basic Design (Grund=base)

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FRANCOIS JULLIEN François Jullien ha elaborato il proprio lavoro a partire dai pensieri di Cina ed Europa. Più che un lavoro di comparazione Jullien ha sviluppato una nuova problematizzazione che, decostruendo dal di fuori i partiti presi dell’ontologia europea, permette di riconsiderare, attraverso una visione obliqua, i campi della strategia, dell’etica e dell’estetica. Una tale riflessione interculturale l’ha portato a riproporre la questione dell’universale, affrancandola sia da un universalismo facile (etnocentrico) sia da un relativismo pigro (culturalista), per proporre invece un dia-logo tra culture affrontato non più dal punto di vista della loro identità fantasmatica, ma da quello delle risorse che i loro scarti differenziali (écarts) fanno apparire per promuovere un comune. La filosofia che ne emerge, passando dal pensiero dell’Essere al pensiero dell’Altro, tenta di svincolarsi, nella sua scrittura concettuale, dalla presa identitaria del concetto che occulta e ottunde la vita. In tal modo, Jullien intende sviluppare una filosofia dell’esistenza in quanto promozione di risorse.

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ESSERE O VIVERE (2) FRANCOIS JULLIEN

Pochi pensatori come il sinologo e filosofo François Jullien sono più fecondi nel fornirci la scatola di attrezzi concettuali per pensare la nostra epoca globalizzata e frammentata. Da più di trent’anni naviga nelle acque in cui la cultura dell’Occidente incontra quella cinese, dove la filosofia greca (e la sua variante cristiana) si confronta con la tradizione di matrice confuciana. Dal faccia a faccia deriva in primo luogo una chiarificazione dei presupposti, degli a priori, su cui le nostre convinzioni si fondano, delle rive in cui scorrono i nostri pensieri, secondo l’immagine del Wittgenstein di Della certezza. Il confronto con una forma d’intelligibilità costituitasi in piena autonomia (a differenza di quella indiana o araba) rispetto all’Occidente produce un effetto di spaesamento: la lingua cinese ha ignorato alcuni delle nozioni basilari della nostra filosofia (Essere, Verità, Dio, Libertà, Tempo …), ne ha sviluppate altre che non hanno attecchito nell’“Europa dagli antichi parapetti” (Rimbaud). Siccome il pensiero non può che sfruttare le risorse che la lingua mette a disposizione, emergono scarti concettuali, non differenze, che ci consentono di abbandonare l’universalismo pigro con cui l’Occidente continua a guardare il resto del mondo. Il libro ora tradotto per le edizioni Feltrinelli, Essere o vivere, ci fa accedere al cantiere sempre aperto della riflessione di Jullien: venti capitoli, dai titoli disposti in forma oppositiva (un concetto versus un altro), aprono nuove direzioni di ricerca nella terra che si stende “tra” le culture.

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Il lavoro di “decostruzione” dall’esterno (forse, il solo efficace) accresce la consapevolezza delle nostre mancanze, ma le mancanze non sono di per sé difetti. Così, da noi la filosofia, a partire da Parmenide, ha pensato il reale in termini di Essere; le cose sono enti isolabili dotati di proprietà distinte, ogni entità è sostanza, argomenta Aristotele, composta di materia e forma (eidos, l’idea di Platone diventata principio immanente), ed è la forma ad assegnare le caratteristiche agli enti. Si apre qui una diramazione del pensiero, si produce una “piega” che traccia i solchi nel campo del pensabile: a venire esclusa è la possibilità di pensare il reale come processo di continua trasformazione, come fa invece la cultura cinese. Quel che è apprezzabile del Saggio si presenta in negativo: non il possesso di facoltà o la pratica di virtù, ma la disponibilità, cioè il fare vuoto in se stessi per mantenersi aperti, “insapore”, così da restare in sintonia con il processo in corso, con le possibilità che la via, il tao, offre. In Cina, il pensiero della disponibilità ha fatto dello svuotamento della mente la condizione stessa della

conoscenza, senza bisogno di ricorrere al dubbio per eliminare idola: il “conoscere” cinese non è tanto farsi un’idea di, quanto rendersi disponibile. L’Europa ha misconosciuto la risorsa della disponibilità proprio perché ha sviluppato, rileva Jullien, un pensiero della libertà.

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VIVERE DI PAESAGGIO (3) FRANCOIS JULLIEN

La nostra prima dimora è stata un giardino. Così raccontano i testi fondativi delle religioni del libro e del deserto, la Bibbia ed il Corano, ed è tema che si ritrova nell’India antica. Quando, nel III secolo a.C., venne compiuta la traduzione del Pentateuco che diciamo dei Settanta, per il giardino dell’Eden si preferì ricorrere al termine paradeisos di origine iranica piuttosto che al greco kepos, in cui si conserva anche il senso di grembo materno. Paradeisos indica un luogo recintato, chiuso da mura, con significato analogo all’indoeuropeo ghorto, da cui deriva hortus. Nel luogo che Dio ha affidato ad Adamo perché desse un nome ad animali e piante e ne fosse custode e padrone, la natura è messa al riparo e perfezionata. Il confine che separa l’interno dell’abitare protegge dalla natura selvaggia, dalla foresta senza limiti, luogo delle tenebre e dei pericoli: il giardino rappresenta la serenità delle origini, l’infanzia colpevolmente perduta dall’umanità, ribelle alla legge del padre. Lo spazio chiuso del giardino è congruente all’esigenza greca di tracciare un limite per sfuggire al terrore dell’illimitato; horos, in origine la pietra che segna il confine, che assume poi significato di “definizione”. Il giardino, ancor più quando nella modernità si offre allo sguardo sovrano del soggetto, compiaciuto di avere imposto il suo ordine geometrico alla Natura, obbedisce ai canoni della razionalità dell’Occidente.

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L’IDENTITÀ CULTURALE NON ESISTE FRANCOIS JULLIEN (4)

L’Occidente ha scoperto l’esigenza di dialogare con le altre civiltà da quando non è stato più in grado d’imporre con la forza la propria ragione. Ha giustificato il suo predominio con il possesso di valori assoluti come i diritti umani, che pretende di incarnare e che si sente in obbligo di diffondere. Crede che questi principi universali debbano venire accolti da ogni essere dotato di ragione, ma questa ragione è in realtà lo specifico risultato della sola storia intellettuale europea, come lo è la nozione stessa di universale. Il filosofo e sinologo François Jullien ha mostrato ne L’universale e il comune (Laterza) come allo sguardo genealogico tale nozione riveli una stratigrafia composita ed eterogenea. Il pensiero filosofico greco affida al logos la conquista di una verità stabile; con Socrate si cerca attraverso il dialogo una definizione su cui tutti possano concordare, l’autentico sapere che coglie la realtà “secondo il tutto” (kath’olou). Abbandonando il singolare della sensazione, lo spirito insegue il concetto che restituisca il quid che si ritrova identico in tutti gli esempi di Virtù o di Bellezza, l’essenza invariabile sotto la variazione empirica. Per compensazione, spetterà alla letteratura (o alla filosofia che si modella su di essa, in Kierkegaard o in Nietzsche) recuperare l’individuale che l’universale ha tralasciato, evocando un’emozione e raccontando l’ambiguo che è inerente alla vita e che sfugge all’astrazione del concetto.

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GLI OPPOSTI Anche i greci avevano gli occhi fissi sugli opposti determinati, ma hanno osservato l “tra” e stabilito che non può esserci alcun opposto individuabile come soggetto, hanno quindi pensato lapresenza o l’assenza di uno o dell’altro. In Cina, “Xing” sta per “attualizzazione fisica” e non può essere chiamata corpo, in quanto essendo separato dallo spirito. Per capire meglio come funziona il pensiero della cultura cinese, nell’ultimo capitolo SCARTO viene tradotto come GAP che è uno spazio vuoto in un punto e contrapposto alla parola COMUNE, mentre la parola TRA viene accostata alla parola ALDILA’, intesa come destinazione metafisica. Il celebre concetto yin e yang è la rappresentazione più estesa del chiasmo, una situzione in cui tutto è regolato dai propri opposti, senza creare interferenze, ma trovando l’equilibrio indissolubile che regola la vita.

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L’ANIMA

FRANCOIS CHENG (5) Dalla primavera all’autunno: nella magnificenza delle stagioni più rigogliose François Cheng scrive queste sette lettere che mettono in risonanza paesaggi del presente, tradizioni di pensiero orientali e occidentali, ricordi di una giovinezza in Cina, affetti ritrovati. La destinataria è un’amica ricomparsa a distanza di decenni, un’artista che gli confessa di essersi accorta tardi di possedere un’anima, invitandolo a parlarne insieme. Dapprima esitante di fronte alla parola desueta «anima», Cheng risponde all’appello con la stessa grazia con cui in passato si è sporto su altri concetti abissali, come la bellezza e la morte. La «temerarietà» di accostarsi, oggi, a un simile argomento, si rivela una benedizione, per lui, per la sua interlocutrice e per i lettori, perché lascia riaffiorare in ciascuno qualcosa che sembrava perduto da tempo, il «sentimento intimo di un’autentica unicità e di una possibile unità». Agli occhi di Cheng, ancora pieni di meraviglia dopo una lunga esistenza, null’altro è l’anima se non il «segno indelebile» di quell’unicità incarnata, che sfugge al

rigido dualismo corpo-mente e partecipa dell’universo vivente. Nel suo procedere a lieve arabesco, la scrittura indugia su taoismo e patristica, buddhismo e Simone Weil, ma si concede anche gli abbandoni della memoria: tutto – dottrine, filosofie e sprazzi di storia personale – converge verso l’anima, inesauribile aspirazione alla vita.

IL SOFFIO La vita inizia con un “soffio” – il primo “vagito”- e l’attività ritmica del polmone la sostiene e l’accompagna silenziosamente per tutta la sua durata fino alla conclusione, alla fine dei giorni, esalando l’ultimo “respiro”. D’altra parte il polmone è l’unico organo ad avere il suo “debutto” alla nascita perché nel feto, all’interno dell’utero materno, il cuore già batte, il rene drena, il fegato metabolizza, mentre il polmone deve aspettare il parto per inaugurare con il primo vagito il suo “respiro” così fondamentale per la vita. Questo fenomeno è così vero, così evidente che da sempre tutte le antiche tradizioni associano l’inizio ed il perpetuarsi della vita al “respiro”, al “soffio”

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VUOTO E PIENO FRANCOIS CHENG (6) Comprendere la pittura cinese significa coglierne il senso filosofico: immergersi in una cultura dove arte e sapere sono un tutt’uno irriducibile ai modi di comprensione occidentali. Interprete d’eccezione ne è Francois Cheng per la sua duplice identità, cinese d’origine e francese di adozione. Nella prima parte del volume la sua analisi si concentra sulla nozione di Vuoto come principio originario, dal punto di vista filosofico e semiologico: evocando il suo opposto - il Pieno - esso è un “segno indiziale”, pittorico ma anche calligrafico, da cui discende una pluralità di significati; transita nelle forme ma non si fissa in esse. La seconda parte verte sull’opera del pittore e maestro Shitao (1642-1707), dove pratica e teoria si integrano reciprocamente. L’idea di Vuoto rinvia a una concezione razionale e spirituale dell’universo, una dinamica vitale e figurativa di assenza e presenza che si riflette nella via della saggezza orientale

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CINQUE MEDITAZIONI SULLA BELLEZZA FRANCOIS CHENG (7) François Cheng, studioso di origine cinese, membro dell’Accademia di Francia, è considerato il più importante e acuto mediatore culturale tra la Cina e l’Europa. I suoi studi sono un punto di riferimento per chiunque voglia accostarsi e comprendere la cultura dell’Oriente. Ma il suo merito più grande è quello di aver innovato e arricchito la filosofia occidentale di elementi provenienti da un mondo apparentemente molto diverso e lontano. Essendosi dovuto confrontare sin da giovane con il male e la bellezza per esser stato frequentatore, da un lato, di quell’incredibile luogo che è il Monte Lu, nella sua provincia natale, e dall’altro spettatore del terribile massacro di Nanchino, perpetrato dall’armata giapponese, Cheng ci rende partecipi delle sue riflessioni sulle questioni esistenziali più radicali che non hanno mai smesso di tormentarlo.

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I CONFINI

Il Sole 24 Ore (8) Ci sono parole poco usate finché la cronaca o la Storia impongono di rispolverarle. Allora non solo le si usa, ma si discute della loro accezione, si operano distinguo, ci si confronta sulla latitudine del loro significato. L’immigrazione di massa (l’invasione, secondo alcuni) ha riacceso l’interesse intorno al termine «confine». Il tema è tra i più complessi, non solo perché impone di maneggiare diverse discipline, circostanza che dunque non consente risposte semplici, ma anche per la portata del fenomeno, davvero drammatica. E per una volta, il termine non è usato metaforicamente. Cominciamo con due domande legate tra loro: l’ingresso massiccio nel nostro territorio di appartenenti a culture diverse costituisce solo un problema o può diventare pure un’opportunità? E, in questa stessa ottica, l’idea di «confine» richiama maggiormente quella di «barriera» o quella di «soglia»? Confessiamo subito che questa suggestione è presa in prestito da Massimo Cacciari. Quest’ultimo, riflettendo a proposito di confini e migrazioni, propone l’alternativa tra «limen» e «limes». Il primo termine significa “porta” da cui per definizione si entra e si esce; il secondo indica viceversa una barriera, dunque, più nettamente, richiama una chiusura. Oggi, prosegue Cacciari, «siamo obbligati a decidere se il confine è limen o limes, soglia o barriera, luogo dove ci trinceriamo o dove arriva lo sguardo, la volontà e il desiderio». Il primo punto di vista, che un tempo si sarebbe detto reazionario e ora è definito populista, individua la – vera o presunta – identità di un popolo come un valore assoluto e perciò addita il migrante come un nemico dentro casa. L’immigrazione, specie se di massa, è considerata una

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calamità: l’iniezione nel tessuto sociale di stranieri rende infatti instabile il popolo, elemento costitutivo dello Stato. Qui non c’è spazio per il diverso, di conseguenza è inevitabile la costruzione di muri che separino e difendano oppure, al massimo, una spinta forte all’assimilazione, ovvero all’annullamento delle differenze. In una prospettiva liberale, individualista ed empirica, invece, non esiste alcuna ostilità preordinata nei confronti dello straniero. I nuovi individui potrebbero portare con sé nuove idee, nuove culture che arricchiscono il free market of ideas e la società. Per non dire, poi, che è proprio del saggio adattarsi e non opporsi a fenomeni non arginabili. In tale ottica, dunque, il concetto di confine non si identifica con quello di muro, metafora dell’ostacolo posto nel tentativo di separare. Nemmeno però si può ipotizzare un mondo fatto di spazi senza frontiere. Il confine delimita un luogo definito (si chiami città, Stato o anche Unione europea) ma non impedisce l’osmosi tra chi sta dentro e chi sta fuori. Così, al concetto di «confine» si accompagna quello di «soglia», di ingresso disciplinato da regole. Anzi, proseguendo nell’immagine, per varcare un passaggio, usa chiedere permesso, che ben potrebbe essere concesso, a fronte dell’accettazione di alcuni principi basilari di convivenza riguardo ai quali anche una società aperta e pluralista come ambisce ad essere la nostra, non può fare sconti. Anzitutto quello di tolleranza, ovvero il rispetto del pluralismo ideologico, l’accettazione che tutte le credenze possano essere discusse e finanche dissacrate, soprattutto quando rappresentano tra l’altro un potere, sia esso politico, religioso o culturale. E poi, naturalmente, il principio di uguaglianza e il rispetto della dignità della persona.

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Per fare qualche esempio tratto dalla cronaca: nessun divieto all’uso del burqini, purché sia una libera scelta di chi lo indossa, ma nessuna tolleranza per violenze o mortificazioni nei confronti della donna: ovviamente le mutilazioni genitali ma a nostro avviso pure il burqa o il matrimonio poligamico, specie se consentito solo all’uomo. Vi è poi un secondo interrogativo: chi traccia il confine e soprattutto chi definisce i presupposti per il suo attraversamento? Tale potere, oggetto di contesa tra gli Stati nazionali e l’Unione europea, ci sembra che debba essere attribuito principalmente a quest’ultima, benché forse gli istinti parrebbero condurre nella direzione opposta. Come ha ricordato Emma Bonino, da sempre nei momenti di crisi i cittadini si rivolgono alle istituzioni loro più vicine, «illudendosi tragicamente che possano risolvere problemi che hanno portata e cause internazionali». Vi è poi una ragione ancor più profonda per affidare all’Europa il compito di definire le frontiere: non dover arretrare rispetto alle libertà fondamentali figlie proprio dell’integrazione europea, in primis quelle di movimento e di libero scambio e, tutto sommato, progredire nella ricerca di una comune matrice culturale. Prendendo a prestito alcune considerazioni di Augusto Barbera, l’idea – che ci sentiamo di condividere – è che o riparte il processo di costruzione di una Europa politica o l’Europa sarà solo “u-topia”, non luogo, «malinconica zona di libero scambio». E se ciò avverrà, senza un soggetto forte e coeso, in grado di affrontare un evento epocale con la tranquilla forza dell’accoglienza, condizionata al rispetto dei diritti, temiamo che a prevalere sarà la paura del diverso e, con essa, la logica nazionale delle barriere e dell’innalzamento di muri sempre più alti tra Stati che pure si erano proposti di costruire insieme un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa.

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Colgo l’occasione per citare MASSIMO CACCIARI (Venezia, 5 giugno 1944), filosofo, politico, accademico e opinionista italiano, non che ex sindaco di Venezia, che espone una considerazione rilevante, indotta da due principali interrogativi: L’ingresso massiccio nel nostro territorio di appartenenti a culture diverse costituisce solo un problema o può diventare pure un’opportunità? E, in questa stessa ottica, l’idea di “confine” richiama maggiormente quella di «barriera» o quella di “soglia”?

LA FILOLOGIA La filologia è un insieme di discipline che studia i testi di varia natura (letterari, storici, politologici, economici, giuridici, ecc.), da quelli antichi a quelli contemporanei, al fine di ricostruire la loro forma originaria attraverso l’analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano e pervenire, mediante varie metodologie di indagine, ad un’interpretazione che sia la più corretta possibile.

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I CONFINI DELLA FORMA DAL CUCCHIAIO ALLA CITTÀ

1919. In Germania, una scuola d’arte è destinata a divenire laboratorio per una nuova cultura architettonica. Parliamo di Bauhaus, e a dirigerla c’era Walter Gropius (architetto). In questa scuola Gropius chiamò ad insegnare quelli che poi saranno alcuni degli artisti più significativi del panorama europeo: Mies van der Rohe, Kandinsky, Klee, Feininger, Moholy-Nagy, Oud, Van Doesburg, ed altri. Tante personalità costituirono un clima particolarmente fecondo per la definizione di una nuova metodologia progettuale. La Bauhaus, infatti, Showbox App Download non era solo una scuola d’architettura, ma anche una scuola d’arte applicata. In essa si cercava un metodo che consentisse di arrivare al progetto e al design, tramite una rigorosa analisi funzionale degli oggetti e degli edifici. Sintomaticamente la scuola affermava di non avere affatto uno stile, ma di basarsi solo su scelte motivate razionalmente. «Dal cucchiaio alla città» divenne il nuovo slogan, ad indicare come il metodo era comune sia alla progettazione di piccoli oggetti, sia alla progettazione di intere città. Non a caso, questa architettura prese il nome di «funzionale» o di «razionale», in quanto esprimeva l’intento di progettare unicamente in base a considerazioni di carattere funzionale e non estetico. La cultura tedesca tra le due guerre affrontò da un pun-

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to di vista architettonico, per la prima volta, anche il problema delle abitazioni popolari od operaie. A questo tema furono dedicati numerosi studi e realizzazioni, che costituirono la base per la quasi totalità dei quartieri popolari che in seguito sorsero in Europa, in particolare nella Russia comunista, ma anche in Italia. Tuttavia, furono proprio i regimi totalitari degli anni Trenta a costituire il maggior ostacolo alla diffusione della nuova architettura. La Russia di Stalin, l’Italia di Mussolini, la Germania di Hitler, bandirono questi fermenti innovativi, preferendo affidarsi ad un’architettura neoclassica, pomposa, magniloquente, ma soprattutto ideologicamente frigida, che si basava su pretestuose continuità di tradizioni. La Bauhaus fu chiusa dai nazisti, e la maggior parte degli insegnanti ed allievi emigrò negli Stati Uniti, portando qui il frutto delle esperienze europee maturate in un ventennio quanto mai intenso e rivoluzionario per l’architettura.

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RAPPORTO TRA UOMO E NATURA LA MORFOGENESI La morfogenesi (greco morfè=forma; -genesi) è il processo che porta allo sviluppo di una determinata forma o struttura. In biologia la morfogenesi è lo sviluppo della forma e della struttura di un organismo, sia da un punto di vista evolutivo, sia dal punto di vista dello sviluppo ontogenetico del singolo organismo a partire dalla cellula fecondata (sviluppo embrionale); in quest’ultimo caso, il processo è favorito dall’azione dei morfogeni. In geologia la morfogenesi è la formazione delle strutture e dei rilievi della crosta terrestre, dovuti a cause diverse. Nel caso delle coltura in vitro di cellule vegetali la morfogenesi è un processo di differenziazione di strutture organizzate a partire da un espianto (cellule, tessuto o organo) o da callo.

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LA FORMA DELLE FOGLIE(9) Le foglie nelle piante rappresentano l’organo addetto alla fotosintesi clorofilliana. Per poter attuare in modo efficiente questo processo la forma delle foglie è spesso appiattita, in modo da esporre più superficie possibile ai raggi solari e permettere agli stessi di penetrare nei tessuti. Altre funzioni delle foglie sono la respirazione, la traspirazione e la guttazione, tutti processi di vitale importanza per le piante.La forma delle foglie è definita essenzialmente dalla loro lamina ma altri fattori possono concorrere a distinguere una foglia dall’altra, per esempio la loro base, le loro nervature, il loro margine o il loro picciolo.Nello specifico, la lamina, che viene chiamata anche lembo, è la parte con la superficie maggiore della foglia, quella che vediamo subito quando osserviamo una pianta e che viene descritta usando diversi aggettivi. Senza pretendere di essere esaustivi, elenchiamo alcuni degli aggettivi che descrivono la lamina delle foglie.Aghiforme: che ricorda un ago, sottile e appuntita; ellittica: a forma di ellisse, con apice e base tonda e con larghezza maggiore al centro; ovata: che ricorda la forma di un uovo, con larghezza massima in basso; obovata: a forma di uovo ma con larghezza massima in alto; lanceolata: lamina che ricorda la forma di una lancia; ob-lanceolata: a forma di lancia ma con la punta dalla parte oppsta; romboidale: con la forma che assomiglia ad un rombo; cuoriforme: lamina rotondeggiante a forma di cuore; ob-cordata: cuoriforme ma invertita; reniforme: che ricorda la forma di un rene; spatolata: larga in mezzo e all’apice; falcata: somigliante ad una falce; palmata: che ricorda un ventaglio.

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LA FILLOTASSI Fillotassi è un termine che deriva dal greco phyllon=foglia + taxis=ordine. È una branca della botanica preposta allo studio ed alla determinazione dell’ordine con cui le varie entità botaniche (foglie, fiori, etc.) vengono distribuite nello spazio, conferendo una struttura geometrica alle piante. Da semplici osservazioni botaniche che mirano ad individuare il numero di foglie presenti su ciascun nodo e l’orientamento di queste rispetto alle foglie del nodo superiore, oggi la fillotassi si è potuta avvalere di studi incrociati di matematici e botanici, i quali hanno rivelato un sistema assai semplice (ma incredibilmente efficace) adottato dalle piante per generare non solo strutture semplici ma anche morfologie complesse a spirale, quali quelle delle pigne o del broccolo romanesco. Nel gioco della morfogenesi (il processo di costruzione delle piante e delle loro parti) molte piante manifestano preferenza per leggi riconducibili alla successione numerica di Fibonacci e della correlata sezione aurea

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BOSCO VERTICALE(10)

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CONCEPT Il concept del Bosco Verticale, l’essere cioè “una casa per alberi che ospita anche umani e volatili”, definisce non solo le caratteristiche urbanistiche e tecnologiche ma anche il linguaggio architettonico e le qualità espressive del progetto. Sul piano formale, le torri sono infatti caratterizzate principalmente dai grandi balconi tra loro sfalsati e a forte sbalzo (circa tre metri), funzionali a ospitare le grandi vasche perimetrali per la vegetazione e a permettere la crescita senza ostacoli degli alberi di taglia maggiore, anche lungo tre piani dell’edificio. Nello stesso tempo, la finitura in gres porcellanato delle facciate riprende il colore bruno tipico della corteccia, evocando l’immagine di una coppia di giganteschi alberi da abitare, ricca di implicazioni letterarie e simboliche. Il contrasto con una serie di elementi in gres bianchi – i marcapiani dei balconi e alcuni moduli sul fronte dei davanzali – introduce un ritmo sincopato nella composizione, che spezza e “smaterializza” la compattezza visiva dei corpi architettonici, amplificando, ancor di più, la presenza vegetale. Più che come superfici, le facciate possono essere osservate come spazi tridimensionali: non solo per lo spessore e la funzione della cortina verde, ma anche sul piano estetico-temporale, in ragione della ciclica mutazione policromatica e morfologica nei volumi delle piante. Nelle varie stagioni, le variazioni nel colore e nelle forme della struttura vegetale generano un grande landmark cangiante, fortemente riconoscibile anche a distanza: caratteristica che ha generato in pochi anni l’immagine del Bosco Verticale come nuovo simbolo di Milano. Questo principio di variazione agisce anche in relazione ai diversi trattamenti sui lati delle torri e ai vari piani, dove la scelta e la distribuzione delle essenze rispecchia criteri sia estetici sia funzionali all’adattamento agli orientamenti e alle altezze delle facciate. Risultato di tre anni di studi condotti insieme a un gruppo di botanici ed etologi, lo sviluppo della componente vegetale ha preceduto la stessa vita edilizia del complesso. A partire all’estate 2010, le piante destinate a essere impiantate sulle torri sono state infatti pre-coltivate in una speciale “nursery” botanica – allestita al vivaio Peverelli, vicino a Como –, al fine di abituarle a vivere in condizioni simili a quelle finali.

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SPECIE VEGETALI PRESENTI ALL’INTERNO DEL BOSCO VERTICALE (11) AUTUNNO

LECCIO QUERCUS ILEX

KOELREUTERIA KOELREUTERIA PANICULATA

PERO SELVATICO PYRUS PYRASTER

CORBEZZOLO ARBUTUS UNEDO

PERO CORVINO AMELANCHIER LAMARCKII

BIANCOSPINO CRATAEGUS MONOGYNA

IPERICO CALICINO HYPERICUM CALYCINUM

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INVERNO

ESTATE

PRIMAVERA


METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

AUTUNNO

INVERNO

ESTATE

PRIMAVERA

LECCIO QUERCUS ILEX

ROVERELLA QUERCUS PUBESCENS

ORNIELLO FRAXINUS ORNUS

CORBEZZOLO ARBUTUS UNEDO

GINESTRA DEI CARBONAI CYTISUS SCOPARIUS

CEANOTO CEANOTHUS SPP

PLUMBAGO BLU CERATOSTIGMA PLUMBAGINOIDES

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(12) PLANT REVOLUTION (13)

STEFANO MANCUSO

Spesso ricorriamo all’uso del termine “vegetale” in senso negativo; diciamo “Si è ridotto ad essere un vegetale” per riferirci a una persona che vive in uno stato di passività e ai limiti della sopravvivenza. Ancora, in medicina, si parla di “stato vegetativo” per definire quella condizione di coma persistente o permanente caratterizzata da incoscienza e da inconsapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. Queste espressioni basterebbero da sole a denunciare la presenza nell’uomo di un vecchio preconcetto, ossia quello di associare al mondo vegetale l’idea di una categoria di esseri banali, passivi, persino privi di intelligenza. Se l’approccio al mondo animale è già di per sé fortemente viziato da una nostra supposta superiorità rispetto agli altri animali, verso le piante esso è ancora più ingeneroso, negando a queste la facoltà di possedere tutti quegli elementi che di solito associamo a una forma di vita complessa e intelligente. La verità – come ci mostra il neurobiologo Stefano Mancuso nel suo ultimo libro Plant revolution (Giunti, 2017) – è ben diversa. Certo, a differenza degli animali, le piante non hanno niente di simile a noi; non posseggono arti, né faccia, né qualunque altro organo che possa rendercele più riconoscibili e familiari; questo le rende in effetti ai nostri occhi quasi degli esseri invisibili, o tutt’al più, solo degli elementi ornamentali. Per quanto ci riguarda, le piante sono in definitiva tanto diverse da noi e da tutte le altre forme di vita sulla Terra, da poterle considerare quasi una forma di vita aliena, che, oltretutto, sembra con-

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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

traddire le leggi della dinamica e del movimento sottese alla vita stessa. Eppure, fin dalla loro comparsa, esse sono un modello di modernità, e il fine del libro di Mancuso è proprio quello di rendere evidente questo concetto. Seicento milioni di anni fa la vita emergeva dalle acque per conquistare la terraferma; fu allora che le strade di animali e piante si separarono. Entrambi svilupparono delle strategie di conquista e di sopravvivenza sulla terraferma; mentre i primi si organizzarono per muoversi e stabilire l’habitat più appropriato alle proprie esigenze, le seconde scelsero di adattarsi al nuovo ambiente restando radicate al suolo. Quella che sembrava una scelta evoluzionisticamente controcorrente e penalizzante si rivelò invece per le piante una strategia vincente: oggi non esiste angolo del nostro pianeta che non sia colonizzato dai vegetali; si stima addirittura che ben l’80 per cento in peso di tutto ciò che è vivo sulla Terra è costituito da vegetali. Nell’ultimo decennio ne sono state scoperte nuove specie, al ritmo di circa duemila per anno. Contro ogni aspettativa, insomma, quell’apparente immobilismo è stato la carta vincente che le ha rese capaci di sviluppare strategie di sopravvivenza e di diffusione molto raffinate e, soprattutto, intelligenti. Attraverso un’ammirata osservazione della loro complessa struttura anatomica, Mancuso ci illustra in modo avvincente le straordinarie capacità adattative e mimetiche che le piante hanno sviluppato per sopravvivere agli ambienti più disparati, per difendersi dagli attacchi dei predatori e

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per riprodursi. Tutte quelle funzioni che negli animali sono demandate a organi specifici come cervello, polmoni, occhi ecc., nelle piante sono distribuite su tutto il corpo; questo le rende meno vulnerabili, molto più resistenti e moderne degli animali (e persino di noi stessi). L’apparato radicale funziona come una sorta di cervello collettivo, vero e proprio modello di intelligenza distribuita. L’architettura modulare priva di centri di comando fa della pianta uno straordinario esempio di come flessibilità e solidità possano coniugarsi, ovvero la quintessenza della modernità. Non ultimo – ed è questo un punto cardine del libro di Mancuso – le piante hanno una loro memoria, sebbene molti scienziati facciano ancora fatica ad ammetterlo. Del successo del mondo vegetale l’uomo non può che gioirne, dal momento che, insieme agli altri animali, egli ne è il vero beneficiario: respiriamo grazie all’ossigeno prodotto dalle piante, l’intera catena alimentare – e quindi il cibo di cui si nutrono gli animali – si basa sulle piante; gas, petrolio e tutte le energie rinnovabili altro

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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

non sono che una forma diversa di energia solare fissata dalle piante milioni di anni fa; per non parlare poi di tutte le applicazioni a base vegetale in medicina o dell’impiego di materiali come il legno nell’edilizia e nell’arredamento. Gli esempi di bioispirazione, poi, non mancano: si pensi a internet, traduzione tecnologica dell’apparato radicale delle piante, ma anche alla robotica e all’architettura sempre più rivolte al mondo vegetale. La nostra vita (come di tutti gli animali) dipende in definitiva proprio dal mondo vegetale. Il nostro futuro è scritto in queste straordinarie forme di vita aliena.

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VEGETAL

DI ERWAN E RONAN BOUROULLEC(14) L’intuizione iniziale era quella di una sedia che germoglia come una pianta. Una sedia vegetale, i suoi rami si incurvano dolcemente per formare il sedile e lo schienale. La sedia deriva proprio da questo fascino: ispirazione vegetale. Quasi tutti i mobili antichi hanno una ispirazione vegetale: le sedie da giardino di origine inglese, strutturate in rami di ghisa, vari oggetti formati usando rami reali o anche quelle poltrone disegnate negli Stati Uniti durante la prima metà del secolo scorso, usando cespugli la cui crescita era stata limitata fino a quando non assumevano la forma di una sedia. Oggetti che, in breve, ci riportano a un tempo in cui le forme erano forse un pò ingombranti, meno lisce o levigate di oggi. In questa sedia c’è stato quindi, sin dall’inizio, il desiderio di creare una struttura originale, basata su una forma di costruzione complessa e narrativa. Accoppiato con un’inclinazione per tecniche altamente avanzate, come lo stampaggio a iniezione di materie plastiche, che apre la strada alla distribuzione di massa. L’interesse di Ronan e Erwan Bouroullec per le forme organiche si è già manifestato nel 2004 con il design di Algues per Vitra. Sulla base di queste esperienze, i due fratelli hanno collaborato con Vitra per un periodo di quattro anni per sviluppare Vegetal.

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Il processo ha coinvolto innumerevoli prototipi e un’intensa esplorazione della tecnologia dello stampaggio a iniezione. L’obiettivo era creare una sedia che aspirasse ad assomigliare alla vegetazione naturale e allo stesso tempo incorporasse la forza necessaria, la stabilità e il comfort. Le costole piatte e ramificate sono asimmetricamente intrecciate su tre livelli per formare il guscio del sedile, che è sagomato come un cerchio irregolare e sostenuto da quattro gambe che sembrano spuntare dal terreno. Vegetal è disponibile in sei colori insoliti per le sedie in plastica, sottolineando il concetto di base delle strutture replicanti presenti in natura.

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Il sogno del giardino dei segni Arte pubblica è il tema che mi ha proposto Rossella Maspoli, lo penso a qualcosa che viene prima dell’arte, ignoro se l’Arte ne sia traguardo. Nella vita di una città porzioni di superficie muraria in relazione visiva con percorsi pedonali, ad esempio il muro che, costituendone per ‘un lungo tratto il lato Opposto ai portici, separa via Sacchi dalla ferrovia, sono soggetti a processi di degrado come accade ai luoghi di cui esse sono parte. Sogno che il Politecnico e l’Accademia Albertina divengano promotori dell’individuazione e della cura di porzioni di tessuto murario selezionandole in sequenza secondo un ritmo che nasca dalle architetture di cui esse sono espressione come dalla relazione con i percorsi pedonali di cui sono scena urbana. Iconizzare una sequenza di spazi a disposizione per raccontare storie visuali e o verbali: destinazione che vorrei apparisse evidente a chi cammina. Chi accederebbe a quelle lavagne o pagine murali per istoriarle? Come sarebbe disciplinato l’accesso? Come? La relazione con la proprietà: mediazione da parte del Comune di Torino? Accordi e permessi. I cicli temporali in cui istoriare le superfici: La dimensione tecnica, i costi la comunicazione. Chi? (il concetto di disambiguazione) Due istituzioni responsabili della formazione all’arte e all’ar-

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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

chitettura, di concerto con i settori preposti dell’amministrazione comunale e le proprietà delle porzioni murarie selezionate creerebbero uno o più percorsi urbani, via Sacchi potrebbe essere il numero zero, cadenzati da superfici delimitate rese disponibili a essere ciclicamente istoriate da disegni, pitture, fotografie o scritture, Il territorio su cui la proposta qui descritta insisterebbe è quello dei graffitisti i quali lavorano per generazione spontanea e tendenzialmente protestataria o almeno non istituzionale. Individuare una sequenza di superfici istoriabili, comunicare e rendere iconica tale destinazione disciplinerebbe, attraverso un patto istituzionale, la pratica di segnare di sé il tessuto murario: Da un Iato esiste la generazione spontanea di segni sui muri, dall’altro l’idea che alcune porzioni di tessuto murario possano essere predisposte e offerte per cicliche azioni grafico-pittoriche. Pensando i segni come organismi vegetali quella descritta corrisponderebbe alla differenza tra il giardino all’italiana e le piante pioniere. Il giardino all’italiana e le piante pioniere sono portatori di necessità irriducibili l’una all’altra: il disegno di un giardino può tener conto di ciò che è altro da sé? Gestire questa relazione... Calice Ligure, sabato 21 settembre 2019

Fabrizio Sibona,

Metodologia della progettazione, Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino

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SITOGRAFIA 1)

http://www.newbasicdesign.com/

2) https://www.doppiozero.com/materiali/francois-jullien-essere-o-vivere 3) https://www.doppiozero.com/materiali/jullien-vivere-di-paesaggio 4) https://www.doppiozero.com/materiali/jullien-lidentita-culturale-non-esiste 5) https://www.ibs.it/anima-sette-lettere-a-amica-libro-francois-cheng/e/9788833929057 6) https://www.ibs.it/vuoto-pieno-linguaggio-pittorico-cinese-libro-francois-cheng/e/9788837229856 7) https://www.ibs.it/cinque-meditazioni-sulla-bellezza-libro-francois-cheng/e/9788833917597 8) https://st.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-09-16/-dialettica-confini--162858.shtml?uuid=ADXmT4IB&refresh_ce=1

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METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE

9) https://www.funghiitaliani.it/botanica/morfologia3_ foglie.html 10) https://www.stefanoboeriarchitetti.net/project/bosco-verticale/ 11) https://it.wikipedia.org/wiki/Bosco_Verticale#Disposizione_delle_specie_e_policromia 12) h t t p s : //w w w. g i u n t i . i t /c a ta l o g o /p l a n t - r e vo l u tion-9788809831360 13) https://it.wikipedia.org/wiki/Stefano_Mancuso 14) https: //sbandiu.com/2017/ 12/03/la-sedia-vege tal-di-ronan-erwan-bouroullec/

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MATTEO VAJRA CORSO DI LAUREA: PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA ANNO ACCADEMICO: 2019/2020 CORSO: METODOLOGIA DELLA PROGETTAZIONE 2

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