Maxartis Magazine 1

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MAXAR T I S magazine

numero anno I estate 2012

profili

clara ravaglia tiziano banci il reportage di

pietro collini

selezione foto

landscape a cura di marco carnevali

rubriche di:

foto:

t. banci r. beneduce m. fagni u. verdoliva

storica selection

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M A X A R T I S M A G A Z I N E

NUMERO giugno 2012

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Coordinamento immagini: Adolfo Fabbri Coordinamento testi: Mario Mencacci, Flavia Daneo Grafica: Mario Mencacci

Copertina: jogging (Mario Mencacci, 2011)

Le foto pubblicate sono di proprietĂ dei singoli autori. Chiunque copi testi o immagini di questa pubblicazione sarĂ perseguibile legalmente. Thanks to Siegfried Hansen for the courtesy.

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editoriale

B

di Massimo Fagni

en ritrovati, amici fotoamatori, come promesso nel precedente numero zero, questa edizione sarà la prima stampabile su carta grazie ad un servizio di stampa online.

La primavera è passata tra alti e bassi meteorologici che si sono alternati per tutto il periodo, adesso andiamo incontro alla stagione fotografica per eccellenza, l’estate! Il mondo fotografico è sempre in fermento, vengono presentate nuove macchine fotografiche, nuove ottiche e nuovi programmi per la post produzione. Sembra che il mercato degli apparecchi digitali si stia spostando sempre più verso la ripresa cinematografica, le aziende prestano molta attenzione al settore video progettando apparecchi fotografici che strizzano sempre più l’occhio alle videoriprese, consapevoli della grande qualità che esse possono avere rispetto a telecamere a sensore ccd da pochissime frazioni di pollice. Penso che a noi fotoamatori interessi poco la registrazione video, salvo alcuni rari casi, credo molto fermamente che, quando ben pensata e realizzata, una fotografia può raccontare molto di più e meglio di qualsiasi ripresa video. Ma a parte questa mia piccola divagazione, adesso vi do un piccolo sunto sui contenuti di questo numero del Maxartis Magazine. Bene, si parlerà di colore in un bell’articolo di Tiziano Banci, poi tanto per non farci mancare nulla, il buon dottor Collini ci illustrerà con dovizia di particolari, un bel reportage scattato in uno dei suoi avventurosi viaggi nel continente nero. Avrete il piacere di conoscere qualcosa di più intimo su di un paio di Maxartisti, e infine in questo numero troverete pubblicate un gran numero di immagini paesaggistiche, molto gustose, realizzate da grandi autori del genere presenti sul sito. Non potevamo non omaggiare il baffone nazionale, nostra guida fotografica per eccellenza, con una rubrica che prende il nome proprio dai suoi caratteristici mustachi: si chiamerà “una foto coi baffi” e l’autore, Tiziano Banci, prenderà in esame sotto la propria lente una immagine di un utente iniziando, in questo numero, proprio con il nostro Adolfo Fabbri. Il gustoso menù di questo primo numero del Magazine è ricco di tutto quello che un buon fotoamatore possa desiderare, per cui vi lascio alla scoperta e buona lettura di questo Magazine 1. ■

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in questo numero:

3 il colore 5 profili: clara ravaglia 8 profili: tiziano banci 10 il reportage 12 l’infinito istante 17 foto: maxartis storica 19 foto: maxartis selection 29 parlare di paesaggio 49 foto: maxartis landscape 51 una foto coi baffi 61 editoriale

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autori adamo GIANNINO 25 adolfo FABBRI 61 alessandro GUADAGNI 46 alfredo CARIDI 47 angelo FACCHINI 54 antonino PRESTIANNI 33 antonio COTUGNO 37 bertilla CASETTA 33 bruno FAVARO 41 bruno TORTAROLO 24 carlo CAFFERINI 37 caterina ROMEO 44 clara RAVAGLIA 8, 9, 40 daniele TATTINI 7 dino LUPANI 58 edmondo SENATORE 59 enrico LORENZETTI 43 enzo CASILLO 35 fabio VITALI 34 fabio VITTORELLI 39 fabrizio PIZZOLORUSSO 27 francesca FASCIONE 24 francesca PARITA’ 23 francesco FRATTO 5, 46 giovanna GRIFFO 22 ivo PANDOLI 32 livio PRANDONI 31 lorenzo LINTHOUT 20 luca LASCRIPA 45 marco CALESSO 42 marco CARNEVALI 52 marco MORANDOTTI 34 mariano SCANO 43 mario MENCACCI C, 6 marisa PASQUALI 36 martino BALESTRERI 57 massimo CAVALLETTI 53 massimo FAGNI 4 maurizio BERNI 44 maurizio CAPORALETTI 45 mauro MAIONE 54 paola LORENZANI 35 paolo BERGAMELLI 60 paolo FERRERA 48 pietro COLLINI 14, 15, 16 primo D’APOTE 53 raffaele LEPORE 28 roberta BENEDUCE 48 roberto BIANCHI 31 roberto CARNEVALI 56 roberto LANZA 28 santo ALGIERI 30 sergio BORSELLI 40 silvia BARONI 42 silvio FAGOTTO 49 simona RIZZO 30 stefano MISERINI 23 stefano VENTURI 55 tina FIORENZA 38 tiziano BANCI 6, 10, 11, 38 tore SERRA 25 umberto VERDOLIVA 17, 26 walter SCAPPINI 21 ■ foto di Massimo Fagni 4


sul linguaggio della fotografia

il

di Tiziano Banci

colore

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infatti capaci di distinguere un maggior numero di sfumature di colore rispetto ad altre, oppure certe sfumature di colore che per esempio possono essere annoverate per alcuni nella fascia dei verdi, per altri sono considerate invece appartenenti alla fascia dei celesti. Quindi i confini della percezione del colore sono estremamente soggettivi e dunque relativi così come per talune persone la reazione emotiva rispetto ad un colore può essere diversa e anche una stessa persona può rilevare sensazioni diverse rispetto ad un colore se osservato in momenti e stati d’animo diversi.

ul numero zero del Magazine vi ho parlato del bianco e nero e delle caratteristiche specifiche dello stesso per quanto attiene al linguaggio della fotografia.

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n questo numero, come normale susseguirsi di un itinerario composto, il secondo passo sarà dedicato alla tecnica del “colore” in fotografia e alla sua valenza.

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ome detto, la fotografia nasce in bianco e nero ma in seguito e ben presto si evolve nella sua rappresentazione a colori. Il passaggio trova motivo sicuramente nell’esigenza di interpretare e aderire anche in fotografia alla visione naturale umana che riesce a percepire la realtà a colori.

T

S

u questo punto credo sia però importante soffermarsi un attimo sulla percezione del colore nel cervello umano attraverso lo strumento della vista che è l’occhio.

C M

francesco fratto, @I-, 30 novembre 2010

ome detto già, il primo colore percepito dall’uomo nella sua evoluzione è stato il rosso. Poi via via gli altri colori. a la percezione del colore non avviene per tutte le persone nella stessa maniera. Ci sono persone

all’immagine e alla visione.

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ornando alla fotografia dunque possiamo dire che oggi la maggior parte delle immagini che vediamo e che produciamo è a colori. Ma resiste sempre una certa ricerca del bianco e nero come forma espressiva, sia in fotografia che in altre discipline artistiche legate

n questa sede però a mio avviso non è importante parlare tanto della fotografia a colori che è equivalente per tutti gli autori, quanto piuttosto all’uso del colore che si fa nella 5


realizzazione di una fotografia. Nel senso che un conto è fare una fotografia semplicemente a colori e un conto è fare del colore il motivo trainante di una fotografia.

E

’ questa una separazione concettuale molto importante che determina l’impegno e la ricerca di un autore e anche il valore di un opera fotografica.

N

egli esempi delle fotografie che accludo a questa dissertazione scritta vedremo quanto sia fondamentale il ruolo del colore per attribuire uno specifico significato visivo all’immagine o un punto di forza che sostiene e determina la chiave di lettura stessa dell’immagine. Sono fotografie infatti che, private della rappresentazione a colori e del colore scelto come base strutturale delle stesse, perderebbero praticamente tutto o gran parte del loro significato visivo. Se trasposte in bianco e nero subirebbero una privazione determinante alla loro riuscita e al loro scopo.

P

er mio conto le fotografie così fatte nell’ottica della fotografia a colori sono quelle di maggior valore artistico e importanti per la ricerca didattica di tale valenza.

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pesso cercare un solo punto di colore nell’inquadratura che altrimenti ne è priva e farlo assurgere a soggetto stesso della fotografia diventa un processo difficile e raro e, in quanto tale, sicuramente avvalorante. Così come usare le diverse sfumature dello stesso colore che si esplicano fra luce e ombra diventa un percorso visivo che intriga anche sul piano psicologico percettivo e sancisce in maniera tangibile la “relatività” dello stesso. Infatti in fin dei conti il colore è determinato dal diverso assorbimento della luce da parte di una superficie materica. In altri casi il colore rappresenta pura emotività e diventa l’argomento che sostiene tutto lo scenario visivo contenuto nell’immagine scattata. In altri casi ancora e per finire con gli esempi, la pienezza e l’unicità di un colore in una foto diventa praticamente il suo impatto visivo dominante senza il quale la foto stessa diverrebbe altrimenti più banale.

tiziano banci, un punto di rosso, 12 novembre 2011

mario mencacci, festa di luci, 3 gennaio 2012

L

’inciso finale dunque di questo intervento è un chiaro invito ad un uso ragionato e artistico del colore in fotografia. ■

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daniele tattini, bandiera..., 12 aprile 2012

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profili/1

di Roberta Beneduce

clara

ravaglia

- Chi è Clara donna? E la Ravaglia fotografa? Contraddittoria e fantasiosa, un po’ imprevedibile e in fondo sempre allegra? Chi lo sa, difficile dare una connotazione agli altri, figuriamoci a noi stessi. Chi mi conosce poco mi trova aperta, magari anche simpatica. Da ragazzina facevo un po’ da “pesce guida” nella mia compagnia. Ma chi mi conosce a fondo invece sa che sono esattamente il contrario: non disposta a dare subito la mia fiducia. Sarà che vengo da una generazione, quella subito successiva alla generazione del 68, che ora non sempre si riconosce nel prossimo con cui si si trova ad interagire. E poi si cresce, si matura: chi mette su famiglia, chi si trasferisce dopo l’università, chi per un motivo o per un altro si perde di vista. La vita, col tempo, ci cambia davvero, si diventa un po’ più esigenti: certe mattine ci si sveglia storti, pure un po’ scorbutici. Ho capito che per me allora conta solo la sincerità, che conduce alla immediatezza e soprattutto a non perdere per strada la giusta sensibilità. Talvolta esco di casa in tante piccole cose affaccendata, eppure non mi nego mai una sosta di osservazione, se qualcosa riesce ad attirare il mio sguardo. Davvero un po’ fotografa nell’animo, curiosa, e credo che abbiate capito cosa intendo. A dispetto dei dati anagrafici, sono una “vecchia ragazza” negli anta... ora serenamente single, e professionalmente con 30 anni di attività medica nella odontoiatra. La medicina l’ho sempre professata con tutto l’impegno che ho potuto, ma non ha mai completamente colmato la mia

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vita. Ho cercato di fare sempre bene, ma al ritorno a casa la sera la stanchezza e le responsabilità non le lasciavo mai fuori della porta di casa. Soprattutto quando si sono sovrapposti problemi di salute e poi problemi familiari. Nulla di misterioso: a 30 anni mi è stato diagnosticato il morbo di Chron o enterite regionale, una malattia cronica del tratto digerente, un volta più rara, ora diffusissima, soprattutto nei giovani, su cui praticamente avevo sostenuto due esami universitari. Due anni di entrate ed uscite dall’ospedale, con i problemi che potete immaginare per chi ha uno studio professionale da gestire. Però poi, nel tempo la malattia si è stabilizzata e certe volte ora mi dimentico di averla e devo ammettere che sto bene e, con i dovuti controlli, non sono mai finita sotto i ferri. Dal 2002 in avanti, fino a tre anni fa, mi sono trovata, come capita a tanti, essendo poi figlia unica, ad affrontare invece la malattia di mia madre: un morbo di Parkinson; e ho preso lei, già vedova, a vivere con me. E’ stato il periodo più bello e più brutto insieme della mia vita. Perdere la mamma è sempre un salto nel buio, per tutti: le proprie radici che si spezzano. E vedere una persona cara spegnersi lentamente nel fisico, anche se non nella mente, anzi, a dispetto della permanenza del senso di sofferenza, è cosa che prosciuga lentamente, e mette alla prova. Ti leva e ti dà. Per cui, proprio quest’anno ho cambiato un po’ di cose e mi sono presa un anno sabbatico, in cui sto occupandomi finalmente di tutto quello che avevo tralasciato negli anni, compreso un cambio di abitazione... - Il tuo percorso fotografico, anche passando attraverso l’attrezzatura fotografica? Una frequentazione assidua della fotografia per me è arrivata tardi, in pratica con il passaggio al digitale è diventata una compagna costante e quotidiana. Non ho frequentato nessun corso ufficiale, anche se ho sempre letto e studiato nel tempo le basi… e ho seguito un corso trimestrale di fotografia e uso photoshop tenuto da un fotografo professionista, organizzato dal CRAL della Cassa di Risparmio di Ravenna, di cui mia madre era


pensionata… che in realtà mi è stato molto più utile di quanto sperassi per entrare nel mondo del digitale. Però devo dire che la macchina fotografica per me non è mai stata un oggetto estraneo, infatti mio nonno materno era un grande appassionato di fotografia e anche se non poteva permettersi apparecchi particolarmente costosi, cercava sempre di procurarsi il meglio per le sue tasche diciamo… ed aveva anche un amico fotografo in città con cui passava parecchio tempo a scambiasi consigli e conoscenze… Talvolta sfoglio ancora i suoi vecchi album di istantanee e mi rendo conto che, in altri tempi e altre circostanze, avrebbe fatto forse la sua figura….Certamente in me ha una fan sfegatata.. forse la passione l’ho avuta da lui… E, da bimba, nelle vacanze estive o nei viaggi con i genitori, i miei mi facevano provare la fotocamera di famiglia, una Ferrania che ho ancora, raccomandandomi di fare la massima attenzione... Poi, fattami più grande, cominciai ad andare in vacanza estiva in un luogo preciso, in Toscana… e giocavo anche a tennis a livello agonistico, anche se non con risultati poi così strabilianti. Mi feci una bella comitiva di amici e uno di loro aveva una bellissima macchina Rolleiflex... a me piaceva lui… e tutto quello che lo riguardava… e quindi anche le foto che mi faceva con quella. Poi il ragazzo passò... ma la passione per la fotografia rimase… e mi regalarono la prima macchina, la mitica Canon ftb con il 50ino (non mi sono mai perdonata di averla poi venduta). Un mondo nuovo. Col tempo poi la sostituii con la mia prima Canon autofocus, la Eos 650 che ancora possiedo. A parte le due Canon analogiche di cui ho detto sopra possiedo ancora la mia prima digitale, la sony Dcs 85 da 4,1 megapixel e 3x zoom, ottima quando ancora non si correva la pazza corsa numerica dei sensori, che ha un bellissimo obiettivo Carl Zeiss. Poi ho avuto la prima reflex digitate Canon350D, il mio corpo macchina di riserva… e ora in borsa sta una Canon 40D che non mi fa sentire la mancanza del sensore FF e una piccola, si fa per dire, Canon G9 che scatta anche in RAW e ultima arrivata la powershot S95, di cui sono letteralmente innamorata e che, se non le si chiede l’impossibile, può dare parecchi punti a qualche reflex più blasonata. E’ luminosa e piccolissima. Ho un treppiede Manfrotto 190Xpro con testa a sfera che cerco di non farmi mancare se ne ho bisogno. Il mio obiettivo preferito è il 24-105 L F4 stabilizzato che copre il 70% delle mie esigenze e ha colori bellissimi; al restante 30% provvedono gli altri, primo fra tutti il grandangolare 10-22, poi il fisso 35L 1.4 per la luminosità e il bianchino Canon, non stabilizzato, come tele 70-200. - Come definisci il tuo genere fotografico?

Io sono nata... paesaggista. Il mio modo di scoprire il mondo e persino le persone ha sempre viaggiato su binari paesaggistici, magari anche urbani. Ma mi accorgo che nel tempo, tramite il confronto con gli altri fotografi, sia reale che virtuale, ho affinato se così si può dire, la mia attenzione; e mi calo sempre di più nei particolari, cercando un respiro segreto anche nella sfumatura più minuta, persino in intrecci grafici. E viaggio sempre di più con il naso anche all’insù, cosa che un tempo trascuravo. Certamente amo il colore più di tutto, anche se un bianco e nero talvolta può capitarmi. Ma credo che un vero, intenso bianco e nero vada visto in fase di scatto. Difficilmente mi addentro in conversioni per un puro piacere estetico. 5-6 anni di frequentazione del web, mi hanno davvero aperto gli occhi fotograficamente. Sono “nata” su di un altro portale, in cui sono tuttora, a cui non rinuncio e a cui collaboro nello staff, e lì ho partecipato a raduni, fatto conoscenze, ed anche delle vere amicizie che mi accompagnano tuttora, persino in vacanza. Solo dopo ho conosciuto Maxartis , che ora frequento quasi ogni giorno appena posso: un “amico” vero per parole ed immagini, una buona addiction.. eheh, che trovo davvero grande, arricchente, una seconda casa. Ho imparato a conoscere anche qui tanti dei frequentatori e le loro foto me li raccontano moltissimo. - Cos’è per te la fotografia? Per me FOTOGRAFARE oltre che un divertimento è così piacevole che quasi si tratta di un dovere morale verso me stessa… L’unica regola in fotografia, cosa che consiglio a tutti gli appassionati, è di usare il cuore oltre alla mente e alle conoscenze e alle attrezzature… scattare quando si ha voglia di farlo e si è motivati soprattutto emozionalmente… il che non necessariamente va contro gli eventuali impegni lavorativi di chi fotografa per mestiere. E poi leggere con curiosità, visitare mostre e osservare il mondo che ci circonda. Ogni periodo della vita ha le sue foto, e basta scoprire qual è la zona dove l’occhio della nostra personalità sa meglio scandagliare... senza preoccuparci troppo delle attrezzature: nell’ambito del ragionevole, non usiamole come alibi per i nostri scatti mal riusciti… ;) - Il tuo motto? In generale: (ma vale anche in fotografia che della vita è un capitolo vivo...) Impariamo ad essere più esigenti con noi stessi ma più indulgenti verso gli altri. Solitamente si ha la ingenerosità di invertire questi due fattori. E la vita è troppo breve, per fare la sciocchezza di non imparare dai propri errori. ■ foto dell’articolo di Clara Ravaglia

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profili/2

di Roberta Beneduce

tiziano

banci cerco di tradurre in immagine. - Il tuo linguaggio fotografico, eminentemente signico, sembra essere un linguaggio che esula dalla parola e dalle lettere ma che volge direttamente alla mente e al cuore dell’uomo...

- Tiziano e la fotografia; come, quando, perché? La fotografia per me è un piacere e una passione imprescindibile nella mia vita. Si può dire che ho sempre fotografato anche quando non avevo ancora la macchina fotografica. Mi sono accorto dell’influenza che la fotografia aveva su di me, quando avevo quattro anni e mia madre durante una gita mi comprò a una bancarella una di quelle macchinette di cartone dove si girano le diapositive raffiguranti scorci di una città come Venezia per esempio. Ne rimasi folgorato, fu una vera e propria rivelazione per me. Poi a 19 anni, con fatica misi via i soldi per comprare la mia prima macchina fotografica, la Pentax MX che porterò con me anche quando passerò ad altra vita per fotografare il “mondo di luce” che mi aspetta, almeno così credo. Fotografo sempre con gli occhi, costantemente, mentre cammino, mentre viaggio ecc. Poi spesso lo faccio con la macchina fotografica fra le mani. Mi piace fotografare e spaziare in ogni genere e lo faccio in tutte le occasioni che mi capitano. Perché lo faccio? E’ un bisogno, una spinta interiore che non si placa mai, che mi permette di esprimere anche all’istante ciò che formulano i miei pensieri del cuore e della mente mentre vivo il presente, l’attimo della vita che sto percorrendo. Per farlo utilizzo alternativamente tutta l’attrezzatura che posseggo e non è poca, e attingo da tutte le conoscenze tecniche e dall’esperienza che nel tempo ho maturato, ma alla fine mi affido sempre a ciò che sento e

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Nella mia vita di fotografo ho sempre dato molta importanza alla forza del segno e delle forme, alla loro simbologia significante che offre spesso una sintesi di concetti e contenuti anche emozionali. Nel logo personale che appongo come marchio sul retro delle mie stampe è raffigurato un rombo crociato, che è un disegno che istintivamente ho cominciato a fare nei miei giochi infantili, quando tracciavo con un legnetto la polvere secca della terra. Una delle mostre che ho fatto si intitolava “Percorsi: forme e segni come parole”. Era uno studio piuttosto grafico sul segno e sulla forma come valenza portante in fotografia, una serie era a colori e l’altra in bianco e nero. Ma sempre e anche in tempi più recenti ricorro all’astrazione e alla forza dei segni nelle mie foto. Cerco l’essenziale. Le foto poi possono smuovere letture diversificate in colui che ne diviene il lettore attingendo dalla personale e peculiare esperienza e conoscenza e dalla propria emozionalità. Con ciò, si, cerco di inviare messaggi che possono parlare al cuore e alla mente dell’osservatore. Ma per primo devono parlare anche a me e rivelarmi o confermarmi ciò che riesco a comprendere attraverso l’osservazione tradotta in fotografia. - Giacomelli ha detto: “ Il mondo è costituito da segni che l’uomo ruba e lascia come storie”. Qual è stata la storia più bella tra i “segni” che hai fotografato? Giacomelli è un grande della fotografia ed ha colto con questa affermazione sicuramente un significato importante. Mi permetto e forse non dovrei di dissentire su un punto. Più che “rubare” l’uomo secondo me impara ad attingere ad essi


e a comprenderli in un percorso di vita che può essere diverso per ognuno. Facendo così traccia la sua storia personale (misera o grande che sia) e lascia dei segni che altri in futuro potranno riscoprire e usufruire. Tutto è scritto in tutto. Sta a noi imparare a leggerlo e a decodificarlo. La mia foto signica che più mi ha segnato? Vidi da lontano un tronco d’albero tagliato. In un piccolo frammento della sua superficie era disegnato casualmente dalle lame un angelo coi capelli lunghi e le ali raccolte, visto di spalle. E’ in bianco e nero e una copia 100x70 cm l’ho donata ad una clinica dove operano sugli occhi.

affinarsi, non si smette mai di imparare e non ci si deve mai sentire arrivati. Secondo, valutare o rivalutare il bianco e nero che credo sia il ceppo più vero della fotografia. Terzo, seguire la propria strada, i propri moti dell’anima, cercare se stessi attraverso la fotografia, in uno scambio e un dialogo continuo con altri autori e modelli dell’arte fotografica che vanno sempre tenuti presenti ma che vanno filtrati a modo nostro. E’ tutto. ■

- Rimanendo sempre in tema mi viene da dire che la fotografia in fondo è un segno e va letta. Ecco, che parametri usi nel leggere le tue e le immagini degli altri? La fotografia è sicuramente un linguaggio, scritto invece che con le parole, proprio con le immagini, i colori o l’assenza di colori, con il segno e la percezione degli stessi. Per scrivere e leggere bene un testo scritto in un immagine bisogna conoscerne le regole della sua grammatica che c’è e va usata finalizzandola a ciò che vogliamo esprimere. Nell’epoca attuale credo che il linguaggio dell’immagine stia divenendo dominante e non so se sia un bene. C’è bisogno di recuperare anche l’uso della parola e la sua lentezza, il suo indugio, per non perdere valori importanti contenuti in esso. Per leggere le mie foto e quelle altrui, al di là dell’aspetto tecnico, cerco di immedesimarmi nel percorso di pensiero che ha indotto l’autore a produrre l’immagine. A volte questo processo si fa poesia. - Sogno nel cassetto? Il mio sogno nel cassetto è quello di potermi dedicare a tempo pieno alla fotografia. Sono sempre stato ad un bivio e non ho mai saputo scegliere in tal senso. Forse ho sempre sacrificato il mio più ultimo ego in favore di una vita condivisa con altri, i familiari, gli amici. Ma c’è ancora tempo. L’altro è che mia figlia prosegua, come pare, questa mia passione anche se desidero che nella vita faccia quello che vuole. - Tiziano Banci consiglia... I miei consigli? Tre. Studiare tantissimo la fotografia e foto dell’articolo di Tiziano Banci

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reportage

il

di Pietro Collini

reportage

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ono rimasto molto colpito, leggendo l’editoriale di Emanuele Costanzo sul numero di giugno 2009 di Foto Cult, dalla descrizione puntuale che egli riporta sulla situazione attuale di tutti i circoli fotografici virtuali e non, in cui afferma che: “…non tutti i generi godono delle stesse preferenze da parte dei fotografi. Quelli più gettonati sono la fotografia di viaggio, il paesaggio, la macro e la fotografia naturalistica. Solo una piccola percentuale si dedica con costanza e profitto ai generi di fotografia sociali, ovvero il reportage e la street photography.” 1 a lettura di questa constatazione mi ha spinto a proporre una mia dissertazione sulla fotografia di reportage sociale, alla quale mi sento particolarmente vicino.

L

SIGNIFICATO

I M

l reportage nasce lontano nel tempo quando Jacob Riis, già a metà dell’800, riprese una serie di immagini per documentare la povertà a New York. a la vera nascita si colloca, secondo me, quando Walker Evans, ai primi del ‘900, inizia ad utilizzare la macchina fotografica per documentare la grande crisi e con Dorothea Lange e altri, scatta immagini documentando la cruda realtà della povertà del popolo americano per conto della FSA (Farm Security Administration), un ente federale statunitense il cui intento era quello di sottolineare lo stato di grande povertà e disagio della popolazione rurale del sud degli States, mettendo per la prima volta a nudo differenze e contraddizioni tra due mondi Nord e Sud. n questo periodo la fotografia fa un salto generazionale di fondamentale importanza nella sua storia: si passa da una fotografia passiva, dove la ripresa di persone, cose o monumenti ne fanno la “parente povera” della pittura, talora ad essa asservita come mero strumento di lavoro, a una fotografia di movimento in termini di ricerca e denuncia sociale, politica, antropologica o semplicemente etnografica.

I

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(prima parte)

Finalmente nasce una musa a sé stante.

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are del reportage sociale comporta una scelta di campo umana e filosofica, ma non necessariamente politica. De Paz sostiene che : “ Con l’espressione fotografia sociale non si indica tanto un preciso genere fotografico quanto piuttosto una sensibilità e un atteggiamento di fronte alla realtà storico-sociale contemporanea. La fotografia sociale cerca di stimolare nell’osservatore il risveglio di una coscienza e quindi una reazione critica e partecipata verso le ingiustizie, le oppressioni, la povertà, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e, in genere, verso condizioni umane che coinvolgono precise responsabilità individuali e istituzionali. Nell’ambito di tale fotografia sociale è possibile individuare, grosso modo, due grandi direzioni operative. Una direzione sociologica e una direzione ideologicopolitica o di testimonianza in cui, spesso, la descrizione obiettiva si accompagna o lascia parzialmente il posto al messaggio ideologico che il fotografo, tramite la propria Weltanschauung (“visione del mondo” ndr), vuole comunicare al pubblico.” 2 mio modo di vedere, soprattutto in Italia siamo abituati a dividere tranchanne ciò che è di destra da ciò che è di sinistra, ma non è così. La sensibilità individuale viene messa in gioco nel saper porre l’accento su problematiche che sono di pura umanità e che non hanno connotazione politica. Si diventa di destra o di sinistra quando si vuole strumentalizzare la fotografia a fini diversi da quello che dovrebbe essere una seria onestà intellettuale. l vero reportage sociale è quanto di più democratico si possa immaginare: porta a conoscenza di tutti, poveri e ricchi, situazioni di vita reale, di persone, di vissuti quotidiani filtrati attraverso l’occhio del fotografo, che può decidere cosa inquadrare, scattare o evitare, dandoci segno di una sua reale sensibilità e correttezza. Pertanto nell’accezione “sociale” dobbiamo comprendere non solo il condividere racconti di miseria, povertà o morte, ma anche di gioia, opulenza e colpevole indifferenza e quindi la distinzione di De Paz non mi pare completamente pertinente.

A I


N

ei nostri paesi spesso s’incontrano serie difficoltà a pubblicare immagini in cui vengono mostrate delle verità scomode, come in un suo scritto sostiene David Levi Strauss: “ La tendenza anti-estetica può facilmente diventare anestetica, una mancanza di consapevolezza indotta artificialmente per proteggersi dal dolore, per proteggere le “ipocrite frontiere” della proprietà e del privilegio. È indecoroso guardare la fame dritta negli occhi, fare in modo che anche gli altri siano obbligati a guardarla allo stesso modo. È un’atrocità, un’oscenità, un crimine ideologico. uando si cerca di rappresentare l’altro, di “farne il ritratto” o raccontarne la storia”, ci si butta a capofitto in un terreno minato di problemi politici reali. La prima domanda da porsi è: che diritto ho di rappresentare te? Ogni fotografia di questo tipo dev’essere una negoziazione, un complesso atto di comunicazione. Come spesso accade in questi casi, le probabilità di successo sono davvero remote, ma forse questo significa che non bisogna provarci? ” 3 a qui il motivo che spesso induce molti, in particolare in ambito fotoamatoriale, a giudicare sbrigativamente le immagini di reportage, soprattutto quando esprimono gravi disagi sociali, povertà estrema o sofferenza, come scattate per “fare colpo”, quando va bene, altrimenti ti accusano addirittura di essere uno sfruttatore senza “etica” o, infine come mi è capitato su un sito dove abitualmente pubblico, che sono tristi e quindi non devono essere presentate perché turbano chi le guarda.

Q D

A

proposito di etica, vi sottopongo questo estratto da un saggio su etica e fotogiornalismo di Scianna: “Ma c’è un’altra storia, che mi ha raccontato il fotografo Mare Riboud, in cui le cose hanno avuto un ben più in-quietante sviluppo. Mare era in Bangladesh con altri fotografi nel pieno dei disordini rivoluzionari del 1972. A un certo punto si trovarono in mezzo ad alcuni soldati indiani che avevano occupato il paese, i quali avevano arrestato e stavano portando via alcuni aguzzini del regime precedente. C’era intorno a questi soldati una piccola folla che urlava contro gli arrestati, come sempre le folle urlano in tutte le piazze Loreto della storia e del mondo contro quelli che osannavano il giorno prima, pur odiandoli. Riboud a un certo punto si rese conto che siccome c’erano i fotografi che fotografavano la scena gli stessi soldati erano entrati nella parte dei giustizieri e cominciavano a picchiare ferocemente quei due disgraziati. La cosa sgomentò Mare che partì di corsa a cercare un colonnello con il quale era entrato in contatto per andargli a dire che i suoi soldati stavano linciando delle persone. Non lo trovò, tornò indietro di corsa ma quei due disgraziati erano già stati massacrati. I due fotografi che erano rimasti hanno avuto il premio Pulitzer per le fotografie di quel linciaggio. Uno dei due, tra l’altro, sarebbe morto poco tempo dopo in Cambogia. C’è da aggiungere un dettaglio che aumenta l’ambiguità di tutta la faccenda. Indira Gandhi, allora primo ministro dell’India, avendo visto quelle foto sulla stampa americana emanò ordini rigorosissimi al fine di evitare che si ripetessero episodi simili. Quelle immagini, quindi, che mostravano un linciaggio probabilmente favorito, se non determinato dalla presenza dei fotografi, hanno contribuito forse a salvare la vita ad altre persone. Forse. Però io considero Mare un fotografo e una

persona rispettabile e non mi piace affatto che abbiano avuto il premio Pulitzer fotografi che hanno assistito, partecipando, sia pure non volontariamente a quel linciaggio che, in un modo o in un altro, hanno finito col favorire.” 4 ersonalmente sono portato a pensare che i soldati avrebbero comunque massacrato quei poveretti, anche se i giornalisti non fossero stati presenti, se non altro per scoraggiare gli astanti ad acuire la protesta e così tutto sarebbe caduto nell’oblio. Al contrario, sono convinto che proprio la documentazione di quel sopruso abbia contribuito a salvare altre vite umane e che i fotografi non abbiano certamente agito in funzione del premio Pulitzer, tenuto conto che hanno messo a repentaglio la loro vita, tanto è vero che uno dei due morirà successivamente sul campo. Al contrario sono certo che abbiano svolto fino in fondo il loro dovere di fotogiornalisti: vedere, registrare e mostrare. el reportage, quindi, etica non vuol dire non scattare una fotografia, ma significa estetizzare l’immagine rendendola fruibile attraverso la propria interpretazione, che non deve distorcere il contenuto di fondo della realtà vissuta piegandola a un puro strumento di propaganda, cioè creando un falso. na chiarificazione esemplare di quanto ho espresso sopra lo troviamo in Salgado, quando in un articolo descrive così le sue esperienze in un’Etiopia, piegata dal flagello della siccità e della fame: “Quello che trovai era al di là della mia immaginazione. Nel primo campo che visitai c’erano 80.000 persone. Stavano morendo di fame. Si vedevano i resti dei cadaveri, corpi di uomini e donne e molti, molti bambini. Ogni giorno morivano più di cento persone. primi giorni era impossibile fotografare questi campi a causa della situazione emotiva. Troppo sbalordito per scattare. Ma dopo qualche giorno smetti di piangere e qualche giorno dopo ancora capisci che hai un lavoro da fare. È un lavoro proprio come quello dei medici che sono venuti per curare i malati o gli ingegneri arrivati per costruire case.” 5

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ra i significati del reportage, vorrei portare la vostra attenzione a considerare che la peculiarità delle immagini di macro, di paesaggio, di ritratto in studio, di cui siamo ormai abbondantemente pervasi, è quella di esaurire il racconto in una sola immagine: il fotografo riprende l’oggetto/soggetto e tutto finisce con la comunione che egli fa della sua fotografia; in essa è contenuto tutto il messaggio, come riempire un bicchiere e tutto finisce lì. a fotografia di reportage non si esaurisce in una singola immagine icona di sé stessa, ma quella singola foto va concepita come una frase estrapolata da un lungo racconto, il cui significato vero e profondo può essere colto solo arrivando a leggere il libro fino alla fine.

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arlare di reportage sociale o, se vogliamo, di fotogiornalismo, significa trattare di quella fotografia che, attraverso l’immagine, vuole raccontare particolari aspetti della società in cui viviamo; oppure testimoniare dell’esistenza di situazioni altrimenti sconosciute o lontane. Non necessariamente il fotografo deve proporre situazioni di degrado, violenza o sofferenza: la scelta dipende dalla sua sensibilità o “vocazione sociale”.

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omunque sia, il reportage non s’improvvisa. Occorre seguire delle fasi ben precise, una volta scelto l’obiettivo da raggiungere e, nello specifico, tratterò del reportage sociale filtrandolo attraverso le mie esperienze sul campo.

occasione dell’inaugurazione ufficiale del poliambulatorio dell’associazione “CEU & TERRAS” per la cura e prevenzione dell’AIDS che, in Paesi come questo, rappresenta un vero flagello.

AL LAVORO

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ome ho accennato sopra occorre predisporre di un’adeguata preparazione culturale prima di affrontare il viaggio vero e proprio. A tale scopo, diversi mesi prima, incomincio a documentarmi sulla cultura, la religione, gli usi, i costumi delle popolazioni e, anche se non antropologicamente fondamentale ma utilissimo per me come medico, anche in ordine alle patologie mediche che potrò trovarmi ad affrontare. uesto lavoro è di rilevante importanza per cominciare a previsualizzare nella mia mente quelle situazioni che diventeranno il filo conduttore del reportage. In mancanza di una valutazione seria, si rischia di arrivare sul luogo e di cominciare a fotografare “random”, senza una meta precisa, sperando di ottenere, alla fine, solo delle buone fotografie di soggetti casuali, che magari posso far colpo su coloro che osserveranno le mie fotografie, ma che non esprimono certamente il significato vero e profondo del reportage. ’ quindi sulla base di una attenta valutazione antropologica che si può estrapolare il cuore del reportage, il filo conduttore che deve collegare le immagini trasformandole in un vero e proprio racconto. Questa narrazione, illuminata da un background culturale, non può comunque prescindere dalla propria soggettività. Come diceva W. Eugene Smith: “Quelli che credono che il reportage fotografico sia “selettivo ed oggettivo, ma non possa decifrare la sostanza del soggetto fotografato dimostrano una completa mancanza di comprensione dei problemi e dei meccanismi propri di questa professione. Il foto-giornalista non può avere che un approccio personale ed è impossibile per lui essere completamente obiettivo. Onesto sì, obiettivo no.” 6 osì, dentro di me, cominciano anche a nascere sensazioni, convinzioni e aspettative situazionali che mi forzeranno la mano durante il viaggio vero e proprio.

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i soffermo ora a raccontarvi le mie esperienze in Camerun e in Guinea Bissau. In quest’ultimo Paese mi sono recato recentemente con altri sei amici in

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Vale più la pratica della grammatica”, racconta un vecchio adagio pregno di saggezza. Ciò viene sperimentato quotidianamente sul campo. rrivato con un pieno di nozioni e di aspettative, devo confessarvi che, viverle giorno per giorno, comporta passare, in un attimo, dalla gioia di incontrare quello che ti aspettavi e fotografare con grande forza, alla delusione di non poter esprimere fotograficamente un concetto che avevi in mente per motivi tra i più disparati. ’aspetto che, in ogni caso, ti arricchisce moltissimo è la possibilità di entrare in intimo contatto con la gente.

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ntri nella loro intima quotidianità, sei accolto come uno di loro.


all’albero sacro e nel luogo dove esercitano la liturgia dei loro riti più segreti; quando mi spiegano come fanno a placare l’ira dello spirito dell’antenato o quando mi consentono di entrare nella loro riserva, dove nemmeno le autorità sono ammesse.

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angi allo stesso desco, condividi le loro emozioni e le fai tue: in una parola ti arricchisci dentro. Ecco che allora le immagini che riprendi non sono più una fredda documentazione situazionale, documentale o ambientale, ma divengono parte intima anche del tuo vissuto emozionale più profondo. L’immagine prende vita dentro di te e diventa parte di te chiudendo in un abbraccio ideale anche chi ti sta vicino. razie alla collaborazione dei missionari ho potuto dialogare, farmi raccontare e capire. Capire quanto grande sia l’onore che mi fanno quando mi accompagnano

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n queste situazioni scattare una fotografia diventa quindi quasi un rito che ti incide dentro, come uno scalpello nella pietra. Ecco quindi che nella mente mi appare la fotografia finita, in BN, con i suoi chiaro/scuri, i tagli di luce, l’inquadratura adatta a sottolineare le parole del racconto.

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l BN è il mio linguaggio preferito, ben strutturato. Vedo il mondo in BN. he tristezza, molti penseranno. In realtà la gamma tonale è così ampia da trascendere il colore, da poter creare continui e variati accostamenti tali da dar vita ogni volta a parole nuove o, come nella musica, ad armonie nuove. Pensare che nella musica vi sono solo sette note mentre la

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gamma tonale del BN gioca su 12 note (al minimo): quanta possibile creatività abbiamo nelle mani, anzi negli occhi! n altro discorso riguarda anche la scelta dell’inquadratura. A tutti sono note le regole auree della fotografia, chiamiamola così, canonica: la sintassi dei 2/3, dei pesi delle masse ed altre amenità del genere. Personalmente mi ritengo un anarchico: ho un’avversione profonda per le regole, anzi le studio tutte per infrangerle. Amo la rottura della simmetria, la caduta dei pesi e me ne frego della linea dell’orizzonte che dovrebbe essere sempre e tristissimamente diritta e orizzontale. Amo l’asimmetria, la ricerca dell’asimmetria che, come sottolinea Augusto Pieroni: “…consistendo nel rompere svariate regole conservando però il rigore sufficiente a creare una nuova regola fatta di infrazioni…la sua riformulazione della dinamica e della geometria classica in una ritmica dispara e serpentina.” 7. I cui antesignani furono Paul Strand, Rodchenko, MoholoyNagy e Umbo, oppure come raccontava Diane Arbus: “... La questione è che non si eludono i fatti, non si elude la realtà com’essa è veramente ... è importante fare delle brutte fotografie. Sono le brutte che mostrano qualcosa di nuovo. Esse possono farvi conoscere qualcosa che non avevate visto, in una maniera che ve le farà riconoscere quando le rivedrete. ... Detesto l’idea della composizione. Non so cosa sia una buona composizione. In verità, probabilmente devo saperne qualcosa perché ci ho lavorato parecchio, cercando di scoprire quello che mi piace. Talvolta per me la composizione è collegata a una certa luminosità o a una sensazione di calma, e altre volte è il risultato di certi curiosi errori. Si possono fare le cose in modo giusto o in modo sbagliato, e alle volte mi piace il modo giusto, altre volte quello sbagliato. Questa è la composizione . ... Per me il soggetto di una fotografia è sempre più importante della fotografia. È più complicato. La stampa è per me importante,

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ma non è una cosa sacra. Penso che la foto sia importante per ciò che rappresenta. Voglio dire che dev’essere una foto che rappresenta qualche cosa. E ciò che essa rappresenta è più importante di quello che essa è.” 8

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cco quindi che alcune mie inquadrature escono dai canoni, talvolta creando nell’osservatore disorientamento, irritazione e sconcerto. uttavia seguendo un’attenta lettura della fotografia appare chiaro che lo stravolgimento dell’inquadratura è funzionale a sottolineare la drammatica sofferenza e lo stato di profonda oppressione in cui si trovano le donne ritratte: dall’alto verso il basso in obliquo, come una sciabola che sta per abbattersi su di loro. Come appare evidente in questo esempio:

(fine prima parte)

(le foto dell’articolo sono di Pietro Collini) Note bibliografiche 1. Emanuele Costanzo “Ritratto di una società” Foto Cult N° 55 giugno 2009 2. Alfredo De Paz “Fotografia e società” Editore Liguori 2001 3. David Levi Strauss “Politica della fotografia” Editrice Postmedia 2007 4. Ferdinando Scianna “Etica e fotogiornalismo” Editrice Electa 2010 5. Sebastiao Salgado “The Sight of Despair” American Photo gennaio-febbraio 1990 6. Nathan Lyons “Fotografi sulla fotografia” Agorà Editrice 1990 7. Augusto Pieroni “Leggere la fotografia” Editrice EDUP 2008 8. Diane Arbus “Fotografie” Editrice Milano 1982 16


street photography

l’

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di Umberto Verdoliva

infinito istante

i ricollego al discorso iniziato nel precedente numero zero, e in particolare sulla definizione di “sguardo puntato sull’ordinario”, principale caratteristica della street photography.

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olti di noi, soprattutto chi si avvicina a questo genere, ha spesso, grande difficoltà nel capire che tipo di approccio avere e con quale intensità espressiva, in termine

di stile, raccontare l’ordinario.

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questo, si aggiunge, la non facile attività del cogliere l’attimo significativo e unico che è la cosa più attesa e ricercata da chi fa fotografia di strada.

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l panorama è di fatto molto vasto con espressioni rilevanti e allo stesso tempo diverse ed ugualmente valide proposte

foto di Siegfried Hansen

foto di Umberto Verdoliva

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da tanti autori.

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lcuni di essi hanno stili e approcci ben definiti e riescono a tracciare nel “collettivo visuale” segni condizionanti in chi osserva e studia i loro lavori, spesso influendo, anche notevolmente, sulla propria visione personale.

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opo un iniziale momento di euforia e di gioia nel provare un esercizio di stile più o meno simile al riferimento che ti sei posto, ci si accorge che forse sarebbe più gratificante scoprire una strada personale o quanto meno più tendente a raccontare in maniera originale, secondo un tuo punto di vista, la vita intorno a te. otografare in strada, fotografare la gente e il loro fare, non è soltanto cogliere con intelligenza e grande sensibilità degli aspetti comuni che i più non notano, trasformandoli o evidenziandoli agli occhi di chi osserva, ma è anche mostrare una parte di te, di quello che sei, di come vedi e senti la vita. rendiamo ad esempio le foto di Henry Cartier Bresson, esse mostrano non solo una grande intelligenza e vivacità di pensiero dell’autore, ma anche il suo desiderio di estetizzare attimi e forme in un contenuto che negli ultimi anni della sua vita si è trasformato ed espresso attraverso la pittura, le foto di Elliott Erwitt, confermano il suo carattere fatto di uno spiccato senso d’ironia e positività, le foto Diane Arbus mostrano ancora il suo disagio interiore nel comprendere il limite tra normalità e anormalità che l’ha accompagnata fino al suo suicidio. li esempi sono tantissimi, basta studiare con attenzione i lavori fotografici di un autore per capire una parte del suo carattere e del suo pensiero, un riflesso di se che arriva a noi sotto varie forme.

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ssimilare il proprio sguardo a quello di altri è, inizialmente utile a chi si avvicina alla fotografia per testare le proprie capacità tecniche ma, subito dopo riduttivo, se si vuole reinterpretare con uno sguardo personale quello che accade intorno a noi. Non sarai mai identificato per quello che sei ma sempre riportato al tuo punto di riferimento iniziale e cioè a quello a cui ti sei ispirato. dentica cosa è l’avvicinarsi contemporaneamente a più generi fotografici, un modo di fare molto usuale tra i fotoamatori attratti da quasi tutto, ma che allontana, disperde e rallenta la formazione di uno stile personale e la riconoscibilità dell’autore e quindi del suo pensiero.

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rendere coscienza di questo, ti spinge a fare un passo più in là della semplice applicazione di un modo di vedere frutto d’influenze altrui. , quando ti rendi conto di essere davanti a questa soglia, prendi consapevolezza di come sia notevole e laborioso oltrepassarla. L’atto del fotografare, improvvisamente, diventa una finestra attraverso la quale, mostri te stesso. i piace molto riportare tale atto allo scrivere una poesia, cosa c’è di più intimo e personale delle parole che nascono dal tuo animo tradotte in rima? Scrivere una poesia è mostrare una tua visione ornata da tanti elementi, primo su tutti la sensibilità. ei solo tu, forte nella convinzione che stai esprimendo il tuo stato d’animo, diventi quasi invincibile, superato il

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coraggio di mostrare i tuoi versi. ulla è più profondo di questo, ma ne sono certo, nascerebbe un disagio in te se ti rendessi conto che quello che hai scritto non proviene dal tuo animo, ma solo da incondizionati riflessi altrui. ono convinto che sia così anche con la fotografia, sia in termini di approccio sia di sviluppo, dove è necessario scrutare il proprio animo e significarlo prima di fotografare.

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i sono fotografie però, che restano impresse dentro di te, immagini viste per caso, o perché ti piace un autore, immagini più o meno forti, più o meno icone, più o meno significative che fai fatica a dimenticare. Penso capiti a tutti vedere quello che anche altri hanno visto, questa è una cosa molto bella e significativa per la fotografia. n istante infinito che si ripete passando da un occhio ad un altro, un attimo dopo l’altro che torna alla vita, che si rigenera improvvisamente e ciclicamente in epoche diverse o anche contemporaneamente in luoghi diversi e distanti tra loro. Un pensiero, questo, che mi ha sempre affascinato. ■

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maxartis

storica

adamo giannino

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bruno tortarolo

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fabrizio pizzolorusso

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francesca fascione

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francesca paritĂ

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giovanna griffo

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lorenzo linthout

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raffaele lepore

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roberto lanza

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stefano miserini

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tore serra

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walter scappini

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autore: lorenzo linthout titolo: io sono nelle parole pubblicazione: 8 febbraio 2011

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autore: walter scappini titolo: il bosco e l’inverno pubblicazione: 11 ottobre 2008

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autore: giovanna griffo titolo: guggenheim ark pubblicazione: 17 novembre 2011

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autore: stefano miserini titolo: untitled - 3 seconds series pubblicazione: 22 ottobre 2011

autore: francesca paritĂ titolo: evocazione pubblicazione: 2 giugno 2011 23


autore: bruno tortarolo titolo: il primo dentino pubblicazione: 16 gennaio 2009

autore: francesca fascione titolo: autoreggenti pubblicazione: 26 gennaio 2012 24


autore: tore serra titolo: dadaumpa pubblicazione:12 febbraio 2012

autore: adamo giannino titolo: spiga di grano con pane pubblicazione:28 novembre 2011 25


autore: umberto verdoliva titolo: alla fine è solo un muro... pubblicazione: 13 novembre 2011

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autore: fabrizio pizzolorusso titolo: mr chair and miss armchair pubblicazione: 5 giugno 2009

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autore: roberto lanza titolo: il frate pubblicazione: 18 ottobre 2010

autore: raffaele lepore titolo: benedetta giovent첫 pubblicazione: 29 settembre 2006

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maxartis

selection selezione delle foto pubblicate fra il 21/2 e il 21/5/2012

alessandro guadagni alfredo caridi antonino prestianni antonio cotugno bertilla casetta bruno favaro carlo cafferini caterina romeo enrico lorenzetti enzo casillo fabio vitali fabio vittorelli ivo pandoli livio prandoni luca lascripa marco calesso marco morandotti mariano scano marisa pasquali maurizio berni maurizio caporaletti paola lorenzani paolo ferrera roberta beneduce roberto bianchi santo algieri sergio borselli silvia baroni simona rizzo tina fiorenza 29

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autore: simona rizzo titolo: st pubblicazione: 14 maggio 2012

autore: santo algieri titolo: n첫 pubblicazione: 18 aprile 2012

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autore: roberto bianchi titolo: l’uomo che scrive ancora a macchina pubblicazione: 24 aprile 2012

autore: livio prandoni titolo: corri a casa pubblicazione: 12 aprile 2012 31


autore: ivo pandoli titolo: macaone pubblicazione: 24 aprile 2012

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autore: bertilla casetta titolo: un solito papavero pubblicazione: 9 maggio 2012

autore: antonino prestianni titolo: ...lilium! pubblicazione: 24 aprile 2012 33


autore: fabio vitali titolo: golf (green) pubblicazione: 30 aprile 2012

autore: marco morandotti titolo: III[]I pubblicazione: 19 aprile 2012 34


autore: enzo casillo titolo: optical pubblicazione: 26 marzo 2012

autore: paola lorenzani titolo: il secondo gatto guardiano pubblicazione: 12 aprile 2012 35


autore: marisa pasquali titolo: pied Ă terre pubblicazione: 30 aprile 2012

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autore: carlo cafferini titolo: scheda perforata pubblicazione: 7 aprile 2012

autore: antonio cotugno titolo: mentre andavo pubblicazione: 22 aprile 2012 37


autore: tiziano banci titolo: sei nel mio sguardo pubblicazione: 6 maggio 2012

autore: tina fiorenza titolo: galassie pubblicazione: 14 aprile 2012

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autore: fabio vittorelli titolo: la casa di pacman pubblicazione: 5 aprile 2012 39


autore: clara ravaglia titolo: transit... pubblicazione: 23 aprile 2012

autore: sergio borselli titolo: la pensione pubblicazione: 28 marzo 2012

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autore: bruno favaro titolo: prima del buio 3 pubblicazione: 14 aprile 2012

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autore: silvia baroni titolo: pascolo volterrano pubblicazione: 7 maggio 2012

autore: marco calesso titolo: z pubblicazione: 29 marzo 2012

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autore: mariano scano titolo: con figura... pubblicazione: 27 marzo 2012

autore: enrico lorenzetti titolo: fuori dal fiore pubblicazione: 24 marzo 2012

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autore: caterina romeo titolo: geranio sotto la pioggia pubblicazione: 7 maggio 2012

autore: maurizio berni titolo: il cuore del tulipano pubblicazione: 14 aprile 2012 44


autore: luca lascripa titolo: morimus asper pubblicazione: 16 aprile 2012

autore: maurizio caporaletti titolo: early morning of may pubblicazione: 5 maggio 2012 45


autore: alessandro guadagni titolo: suspension pubblicazione: 9 maggio 2012

autore: francesco fratto titolo: senza titolo pubblicazione: 23 marzo 2012

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autore: alfredo caridi titolo: olio su tela pubblicazione: 3 aprile 2012

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autore: roberta beneduce titolo: un padre, un figlio. saggezza, orgoglio... pubblicazione: 12 maggio 2012

autore: paolo ferrera titolo: quanti ricordi pubblicazione: 11 aprile 2012

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landscape

parlare di

di Marco Carnevali

paesaggio

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arlare del paesaggio significa ragionare su come l’uomo si pone verso l’ambiente che lo

ma ci viene incontro la luce con le sue implicazioni fotografiche che fa aprire i cassettini delle memorie ancestrali, quelle che ci fanno percepire queste sensazioni, quasi fisicamente, solo stimolate dalla visione. E’ la luce la variabile che fa cambiare le cose, ed il suo mutamento determina in fotografia la scelta di alcuni parametri dei quali il fotoamatore deve tener conto.

circonda. Lo ha sempre fatto, fin dai suoi albori quando, nel buio delle caverne, rappresentava se stesso e gli animali che cacciava circondati da tratti stilizzati ma che, inequivocabilmente, rimandavano ad alberi, vallate, montagne, fiumi, ecc. Nessun artista ne è rimasto silvio fagotto, canottieri sile, 5 aprile 2012 Parliamo, brevemente di alcuni “immune”, basta osservare la di questi. pittura dei grandi del Rinascimento e, per citarne uno solo, il grande Leonardo ed i bellissimi e ) la scelta del luogo e dell’orario. curatissimi sfondi dei suoi capolavori. Spesso il fotoamatore conosce già i luoghi dove scatterà le sue immagini ma quando questo non Ma rimaniamo nell’ambito della passione che ci accomuna, avviene è sempre bene fare dei sopralluoghi fotografici, la fotografia. anche solo con la semplice osservazione (abbiamo un Produrre immagini di paesaggio è semplice, ma non così cervello che è un’ ottima fotocamera). semplice come potrebbe sembrare. Questo ci aiuterà a conoscere il posto, capirlo, sentirlo, al fine E’ semplice perchè tutti, più o meno, abbiamo a portata di di scegliere l’ora giusta in cui decideremo di immortalarlo. click panorami degni di essere immortalati, la nostra bella Le prime ore del giorno ed il tramonto, con le loro luci Italia è generosa in tal senso. radenti, aiutano molto a dare la giusta dinamicità allungando Meno semplice è riuscire a scattare facendo sì che lo le ombre e creando profondità di lettura alla scena. spettatore provi la stessa emozione che noi abbiamo Ciò non toglie che se vogliamo fotografare, ad esempio, una provato osservando la scena. Se, ad esempio, ci troviamo giornata estiva e dare la percezione del sole e del caldo sulla sulla cima di una collina la mattina presto ed abbiamo di pelle, anche le ore di maggior insolazione possano essere fronte una scena che ci affascina, il nostro cervello sarà appropriate. “investito” da un insieme di percezioni non solo visive, ma ) L’uso del diaframma, quel piccolo foro attraverso il sentiremo anche i profumi, i rumori, la sensazione di caldo/ quale passa la luce. freddo a seconda che il sole splenda in cielo o per l’umidità Aprendolo o chiudendolo decidiamo se vogliamo avere data dalla brina mattutina, tutti aspetti che influiscono sulla la minima (aperto) o la massima (chiuso) profondità di campo nostra emotività. Più complesso è tradurre tutto questo in pixel bidimensionali, e quindi influiamo su come e quanto lo spettatore leggerà

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della nostra immagine. Questo vuol già dire “interpretare”.

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) La composizione. Qui si va molto sui gusti personali e quindi l’interpretazione che scaturirà dalla scelta effettuata influirà su quanto avremo voluto trasmettere. E’ mia opinione che sia sempre meglio non avere molti elementi nell’immagine, facendo attenzione a scegliere quelli che caratterizzano ciò che abbiamo di fronte. Qui la selettività del nostro cervello ci viene incontro, basta non scattare subito, ma osservare ed attendere che sia il nostro organo cognitivo a farci notare le peculiarità della scena che inizialmente facevano solo parte dell’insieme, portandocele all’attenzione. Noi, a questo punto, dobbiamo solo cercare di disporle all’interno del frame in modo armonico e semplice, seguendo delle piccole regole che ci vengono dal disegno e dalla pittura, sfruttando quindi i punti forti, le diagonali e le linee di fuga in modo da rendere facile e piacevole il percorso di lettura di chi osserva. Anche questo vuol dire interpretare !!!

4

) La scelta dell’attrezzatura. E’ relativamente importante, in quanto è sempre bene avere a disposizione sia ottiche grandangolari per ampie panoramiche che teleobbiettivi per stringere sui particolari salienti. I moderni obbiettivi ad ottica variabile ossia gli zoom, con il grande salto di qualità, permettono di avere più possibilità in merito senza grandi decadimenti qualitativi. Il cavalletto è sempre bene averlo a disposizione, il suo uso o meno dipenderà dalle condizioni logistiche o di luce del punto di ripresa che avremo scelto, altro elemento importante per far sentire lo spettatore partecipe, a volte attore stesso, dell’immagine che proponiamo. Si potrebbe continuare col dire tante altre cose... Queste parole non vogliono essere una lezione, cosa che per altro non mi compete per capacità, ma hanno il solo scopo di offrire qualche spunto di riflessione e introdurre alla visione di una serie di immagini di alcuni dei bravissimi paesaggisti che hanno arricchito le gallerie di Maxartis. Credo che osservando le foto di questi maestri del genere e “leggendole” con attenzione si possa meglio capirne le scelte e, al tempo stesso, “carpire” qualche insegnamento per poter crescere in questo affascinante genere fotografico. ■

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maxartis

landscape a cura di marco carnevali

angelo facchini

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dino lupani

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edmondo senatore

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marco carnevali

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martino balestreri

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massimo cavalletti

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mauro maione

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paolo bergamelli

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primo d’apote

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roberto carnevali

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stefano venturi

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autore: marco carnevali titolo: omaggio a bruegel pubblicazione: 6 febbraio 2008

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autore: massimo cavalletti titolo: pontecosi pubblicazione: 13 novembre 2011

autore: primo d’apote titolo: un mattino di marzo pubblicazione: 19 febbraio 2011 53


autore: mauro maione titolo: il mattino ha l’oro in bocca pubblicazione: 2 dicembre 2011

autore: angelo facchini titolo: bard pubblicaz.: 29 maggio 2009

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autore: stefano venturi titolo: dipinto toscano pubblicazione: 28 maggio 2012 55


autore: roberto carnevali titolo: il battito dell’oceano pubblicazione: 12 aprile 2008

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autore: martino balestreri titolo: mattinata d’autunno in valdorcia pubblicazione: 28 ottobre 2008

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autore: dino lupani titolo: gemelli diversi pubblicazione: 17 febbraio 2012

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autore: edmondo senatore titolo: dunes pubblicazione: 6 aprile 2012

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autore: paolo bergamellii titolo: st. michael’s mount pubblicazione: 17 febbraio 2012

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una foto coi baffi

di Tiziano Banci

“ultimo sole” di Adolfo Fabbri

foto pubblicata il 28 marzo 2012

Ultimo sole”, ha titolato così il nostro Adolfo Fabbri questa bella immagine, che sono convinto sia una di quelle che egli stesso ama di più nel contesto della sua vasta e pregevole produzione. E’ una foto che unisce due aspetti ricorrenti nella

fotografia di questo autore. Il primo è la ricerca estrema della luce in contrapposizione alle masse in ombra, che mette in evidenza spettacolarizzazioni visive di forte impatto. L’altro è l’inserimento di pochi elementi e figure umane nella scena ripresa e scarnificata dall’annerimento di gran parte delle

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zone del fotogramma. L’elemento unificante dei lavori di Adolfo, infine, è la location delle situazioni che ci mostra, il campo di battaglia delle sue interpretazioni fotografiche; l’humus su cui sbocciano i suoi “piccoli capolavori”, che ovviamente, ma non banalmente è la sua città, la storica e medievale Lucca, quasi Papale, quella cinta dalle sue bellissime mura e punteggiata da un corteo di chiese e chiesette che si intervallano quasi a distanze regolari in un dedalo di stradine dove la luce si incanala creando spesso quelle condizioni ideali per la realizzazione di certi tagli di luce che sono alla base delle fotografie del genere di questa che andiamo analizzando. Fotografie che nascono dalla sua personale metabolizzazione delle zone della città. Se guardiamo bene la costruzione visiva di questa immagine ci accorgiamo ben presto che le zone illuminate sono meno di un quarto del fotogramma. Tutto il resto versa nell’ombra, nel buio anche assoluto, dove però sembra comunque di vedere e immaginare qualcosa. Sfruttando il nostro immaginario visivo, quello costruito dall’esperienza e dalla conoscenza dei luoghi cittadini a noi più noti, per altro simili a quelli da egli ripresi, ecco intessersi una struttura urbana che nel fotogramma è pressoché inesistente perché oscurata, ma sottesa e presente tanto da farci sentire e avvertire più di quello che vediamo. E’ questo il grande “trucco”, la grande forza espressiva a cui ricorre la tecnica della pittura “metafisica”, quella pittura che ci rappresenta una qualsiasi situazione ambientale oltre la soglia del reale andando a scavare e a cogliere quelle essenze eteree ed esistenziali, spesso anche frammiste ad una certa ascesi spirituale, che ammiriamo nelle opere di grandi pittori come De Chirico. In tal senso la fotografia di Adolfo per certi versi scivola nel contenuto pittorico ma resta ancorata alla matrice fotografica, secondo il mio punto di vista, per la forte componente estemporanea della quotidianità che permea le sue immagini, quasi sempre attimi distaccati dal flusso temporale attraverso il fermo immagine dello scatto dell’otturatore e rifacendosi alla grande teoria Bressoniana del cogliere l’attimo fuggente che ha dominato per vari decenni la tendenza della fotografia contemporanea stessa, come forma d’arte. Analizzando l’immagine, dunque, ci appare chiara anche la costruzione visiva dell’immagine e la sua chiave di lettura tutta imperniata su quella striscia di luce che, non solo fa da linea guida allo sguardo, ma diventa forza rivelatrice del contenuto dell’immagine stessa. E’ infatti quella fessura di luce che va a colpire e rivela la presenza delle due figure a destra dell’immagine, una maschile e l’altra femminile. Figure che con la direzionalità del loro sguardo indicano e rendono protagonista del fotogramma la parte finale dello stesso, sull’estrema sinistra, dove nella zona in luce compare una terza figura, rappresentata da un probabile giovane ragazzo che sembra guardare estasiato verso un panorama, (più immaginato che visto) che si apre oltre la 62

cortina delle oscure masse e delle sagome in silhouette dei pini che riempiono la zona di cielo sovrastante. Ne deriva alla fine un senso generale di contemplazione dell’ultima luce del giorno che si fa parabola di vita e poesia espansa.■


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