Simona Baldanzi
Pietra Pane e il mondo che c’è
introduzione Paola Zannoner illustrazione di copertina Manfredi Ciminale
Il Quaderno Ready Made
Simona Baldanzi
Pietra Pane e il mondo che c’è introduzione Paola Zannoner illustrazione di copertina Manfredi Ciminale
la bambina che voleva crescere
“Tutti i bambini crescono tranne uno” è uno dei più famosi incipit della letteratura. Si tratta di Peter Pan di James Matthew Barrie, una fiaba moderna che ha incantato lettori di ogni età e di ogni tempo. Peter Pan, il bambino che non cresce mai e vola e vive in un’isola che “non c’è”, è il simbolo dell’infanzia felice piena di mistero, avventura e magia, l’infanzia sempre rimpianta anche da chi, divenuto grande, è un adulto realizzato. Simona Baldanzi, scrittrice realista e intrepida, lavora su questo archetipo, decide di rovesciarlo e affida a una bambina il racconto di una storia che si sviluppa nel mondo “che c’è”, perché è qui che avvengono le sfide, è in questa realtà di ogni giorno che si possono operare cambiamenti, anziché demandarli a una consolatoria fantasia ancorata al passato. Peter diventa Pietra, Pan diventa Pane. E già nel nome c’è la concretezza dell’esistenza: la durezza della terra rocciosa e la morbidezza del prodotto umano, in grado di sfamare il mondo.
Pietra è figlia del popolo, ben lontana dalla ricca dimora londinese in cui Peter Pan incontrava Wendy per trasportare lei e i suoi fratellini dentro una notte incantata. Nasce sulle pietre del lavatoio, figlia della levatrice e del fabbro, che sparisce lasciandole in eredità una piccola lama, grigia come i suoi occhi. Si tratta dunque di una storia che ha sentore antico, con i luoghi e i mestieri di un tempo, capaci di riverberare echi nella nostra contemporaneità: Pietra cresce con la madre single che deve cavarsela da sola e fin da piccola impara a lavorare, cosciente che in natura sia sempre “la femmina a darsi da fare”. Così diventa una ragazza esperta a recidere ombelichi alla perfezione e osa affrontare il temibile pirata Capitan Barat. Ma soprattutto affronta la paura collettiva ingenerata da annunci allarmistici, gonfiata da notizie false e propaganda subito guerrafondaia. Il cuore della storia è il centro propulsivo da cui nascono tutte le storie di Simona Baldanzi: parlare degli “ultimi” o degli umili, raccontare la vita di chi è nascosto, dimenticato, sfruttato, schierandosi dalla sua parte, perché Simona, come la protagonista della sua fiaba, è fieramente figlia del popolo: dalla terra d’origine ha tratto non solo le storie ma soprattutto la lingua e la scrittura per testimoniare
sia una memoria legata al territorio e al lavoro, sia un cambiamento sociale che ha favorito maggiore anziché minore disuguaglianza. In più, Simona sa sempre intravedere nelle contraddizioni odierne le possibilità presenti e future, che ci offre nei suoi libri, siano essi romanzi, saggi, guide o, come in questo caso, una storia per ragazze e ragazzi. La sua risposta a un Peter Pan che non vuol crescere per non diventare un orribile adulto è una proposta carica di significato e speranza: crescere con consapevolezza, con progetti di pace e solidarietà, di collaborazione, affetti sinceri e forti legami, rispetto della natura e degli animali. Detto così, suonerebbe didascalico e anche un po’ ingenuo. Ma Simona Baldanzi non ama le “lezioncine” e all’ingenuità preferisce l’innocenza. Per questo ha deciso di rivolgersi alle bambine e ai bambini, accogliendo il loro bisogno di riconoscersi in una realtà dove crescere significa incontrarsi, completarsi, immaginarsi e realizzare il proprio disegno esistenziale. Paola Zannoner
A Emilia e ad Alma. Al Collettivo di Fabbrica GKN di Firenze e a tutti i “veligibili” che insorgono.
Nel nome dell’Ape E della Farfalla E della Brezza - Amen! Emily Dickinson, Poesie La tua dimora è un’arnia fatata narcisi lontani ti mandano il loro miele (…) tu sei la fiaba estrema. Elsa Morante, Alibi
C’è sempre un orizzonte da qualche parte. Non scompare mai l’orizzonte. Massimo De Nardo, Maffin
tutte le bambine crescono
Tutte le bambine crescono, ma alcune crescono più velocemente di altre. Pietra Pane era una di queste. Sua mamma l’aveva svezzata dopo pochi mesi, c’era poco tempo da perdere e tanto lavoro da fare e anche la bambina, con quel caratterino, ci aveva messo del suo. Lo aveva capito subito che doveva crescere alla svelta, e non le dispiaceva affatto. Se non fosse nata a quel modo, se non avesse imparato a camminare e poi a saltare e poi a pescare, se non avesse avuto un pennuto come amico, se non si fosse fatta delle domande e non le avesse affidate al fiume, se non avesse avuto quel coltello in tasca, se non fosse stata curiosa del “Mondo che c’è” non staremmo qui a interessarci a lei. Insomma, se non fosse cresciuta, non avrebbe vissuto tutta quest’avventura e ci dispiacerebbe perchè oggi non ci sarebbe niente da raccontare. Pietra Pane sta distesa sotto un albero a dormire. La maglietta le copre l’ombelico. Che forma ha il suo ombelico? Nessuno lo ha mai visto. Poco prima di addormentarsi sotto l’ombra dell’albero, 15
Pietra Pane ha ripiegato un pezzo di carta dentro una bottiglia. Sogna suo padre e quando le capita la lama che tiene in tasca brilla, pulsa d’argento. Questa cosa magica accade da quando è piccolissima, ma lei non la sa, perché succede sempre quando dorme. Un giorno quella lama smetterà di pulsare. Però quando accadrà? Anche le storie nascono e poi crescono, ma non così in fretta, sennò che gusto c’è? Quindi ripartiamo dall’inizio, da come Pietra Pane arrivò nel “Mondo che c’è”.
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tra la pietra e il pane
Quella mattina la donna si recò al fiume con la cesta dei panni da lavare. Salutò le compagne, stese una tovaglia sulla pietra e iniziò a sfregare il pezzo di sapone. Poi alzò il capo e disse: «Ci siamo». Aveva sempre aiutato a far nascere i bambini degli altri, ma ora era lei con la pancia gonfia sotto il poncio di lana. Non avrebbe fatto in tempo a tornare a casa, se lo sentiva. Le altre donne distesero un po’ di lenzuola e altri panni sull’argine del fiume e l’aiutarono. Erano i primi freddi e il fiato che si alzava da quelle gonne diventava un cerchio di vapore. Sulle pietre del lavatoio, ai piedi del fiume, si alzò un pianto. E urla di gioia. La partoriente indicò alle donne il cesto dei panni dove custodiva un piccolo coltello col manico di corno. Serviva per tagliare il cordone ombelicale. Dalla strada sopra l’argine passò il fornaio col suo carretto. Una delle lavandaie gli urlò agitando il braccio: «È nata la figlia della levatrice. Aiutaci!».
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L’uomo diede una mano alla donna con la bambina in fasce a salire sul retro del carretto. In mezzo alle balle con dentro il pane ancora caldo, la bambina si attaccò al seno della madre. In quel momento la donna decise che l’avrebbe chiamata Pietra Pane. Il “Mondo che c’è”, duro come la roccia e morbido come il pane, aveva accolto un’altra bambina pronta a crescere.
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la scomparsa dei ferri taglienti
Pietra Pane aveva la pelle color del miele e gli occhi grigi come le rocce lungo il fiume o come l’acciaio del coltello che teneva sempre in tasca. Suo padre era il miglior artigiano di lame dell’intera vallata. La sua bottega era sempre affollata di signori che venivano anche dalla città per acquistare i suoi ferri taglienti. Pietra Pane però quel grigio se lo portava negli occhi, nella tasca e anche un po’ nel cuore perché suo padre non lo aveva conosciuto. Non si era ancora gonfiata la pancia alla levatrice, che suo marito scomparve. La bottega fu trafugata e sparirono tutti i coltelli e gli attrezzi del mestiere. La donna ritrovò solo un piccolo coltello. Lo accarezzò con cura e pianse il suo amore perduto, abbracciata solo da quelle pareti nude e fredde. Le ricerche non condussero a niente. La donna, caduta in miseria, oltre a far nascere i bambini, si recava al fiume a lavare i panni, anche per le case degli altri. Con sé, sempre appresso, portava il piccolo coltello col manico di corno venato come il 19
marmo. Lo stesso che quel giorno servì a staccarla da sua figlia. Lo stesso che poi, crescendo, Pietra Pane avrebbe custodito in tasca. Quella lama che nei suoi sogni vibrava di luce e pareva cosa viva.
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l’amore a filo di lama
La levatrice s’era innamorata da giovane dell’uomo che sapeva lavorare le lame. Si spiavano ogni giorno. Lui la guardava dal vetro sporco della bottega. Riconosceva il rumore dello strascico della sua gonna e aveva imparato a sentire il suo respiro, più forte e deciso quando si recava ad aiutare le altre donne a partorire, più leggero e scanzonato quando rientrava dal fiume con i panni lavati. Un giorno lei si affacciò alla bottega per chiedere una lama per tagliare i cordoni ombelicali e arrossì. A lui parve che quel viso fosse un cielo intero e che le guance rigonfie fossero colline dove si adagiava il sole al tramonto. Si disse che mai avrebbe dimenticato il cielo nel suo volto e ci avrebbe volentieri volato sopra con le labbra. Successe nei giorni seguenti, quando la lama sbattendo sulla pietra si era un po’ rovinata. La donna entrò nella bottega spazzando via la polvere sul pavimento con la gonna e sembrò pulire in un colpo anche l’anima dell’uomo. Mentre il maestro delle lame affilava il coltello dal manico di corno, la don21
na guardava quel grigio sfregarsi e brillare. L’uomo si fermò con la lama sospesa in aria, la girò dalla parte del manico e lo porse alla donna. La levatrice pensò che avesse finito il lavoro, e quando stava per mettere il coltello nella tasca del grembiale lui le fermò il polso. La lama era indirizzata dritta alla pancia dell’uomo, stretta nella mano di lei. La donna, spaventata da quel potere nelle sue mani e dal cuore che le batteva forte, lasciò cadere il coltello. Lui si chinò, raccolse la lama in silenzio e gliela porse di nuovo. Poi le prese la mano e la portò al suo viso. Baciò la lama e baciò la mano che la teneva. La donna capì. Lui la guardò e, sotto la minaccia di ciò che più amava creare, la baciò.
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un sorriso sotto una gonna che striscia
Da quando il suo amato era scomparso nel nulla, la gonna della levatrice pareva strisciare in un lamento continuo. L’attesa angosciante sotto una trina di dolore. Eppure c’era quella vita che le premeva nel ventre e allora l’orlo si alzava giorno dopo giorno. Nel paese avevano smesso di parlare del coltellinaio scomparso. Tutto l’amore e il ricordo sembravano raccolti solo sotto quella gonna. Un fiore che si era dovuto richiudere anziché sbocciare almeno fino a quando non era nata Pietra Pane. La bambina era stata un’esplosione di vita con quegli occhi così simili a quelli del padre. Due biglie d’argento preziose e disarmanti, che parevano anche lame, acciaio, ferro, roccia. Lei rimaneva incantata dalla forza di quella luce. La donna non aveva nessuno a cui affidare la bambina, così se la portava appresso sempre. Se la fasciava sulla schiena mentre portava i panni al fiume, la teneva in un cesto di vimini quando si chinava fra le gambe delle donne che aiutava a partorire. Era sua figlia, ma era anche un amuleto, una magia, una contagiosa allegria. 23
Perché quella bimba non smetteva mai di sorridere e non piangeva quasi mai? Rimaneva un mistero per la levatrice. La guardava e se ne stupiva ogni volta. Quando la sera le capitava di piangere davanti al camino, la bambina le prendeva il lembo della gonna, la strattonava e rideva. Doveva smettere di piangere e di soffrire. Pietra Pane l’avrebbe aiutata più di quanto potesse immaginare.
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la pescatrice leggera come una foglia
Per aiutare sua madre, Pietra Pane aveva imparato presto a darsi da fare. Al fiume le passava i panni da lavare, la aiutava a cucinare, a pulire la casa e a tenere in ordine l’orto. Aveva sempre un gran da fare e non aveva tempo di stare con gli altri bambini a giocare. Si divertiva a guardare le lumache quando coglieva le verdure, gli insetti in casa quando puliva, gli uccelli in volo quando era al fiume. Dentro la sua testa ci parlava, inventava delle storie con loro. La tenevano allenata a farsi degli amici. Ben presto Pietra Pane iniziò a saltare sulle pietre, anche quelle più piccole e traballanti, leggera come una foglia e veloce come un gatto. Prima di trovare quell’equilibrio magico che la faceva volare da un ciottolo a un altro, si potevano contare le tante cadute guardando i segni delle cicatrici sulle piccole ginocchia. Immobile sui sassi, sapeva prendere i pesci con le mani e poi li ripuliva ben bene con il coltello. Da tutto il paese venivano a vederla muoversi lungo il corso d’acqua con la sporta di pesce e prelibati 25
gamberi di fiume. Dicevano che era una bambina speciale proprio come il suo nome, con un carattere forte e intraprendente come suo padre e morbido e friabile come sua madre.
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