Crateri d’impatto
CIRELLI ILARIA D’OCCHIO ALICE FALATO SIMONA MASSARO ANASTASIA MASSARO ERICA 1C2
a.s. 2018/2019
Il Sole e i pianeti non sono gli unici componenti del Sistema Solare. Esso comprende una miriade di altri corpi più piccoli. Questi corpi minori del Sistema Solare si suddividono in asteroidi, piccole masse rocciose concentrate principalmente in una fascia tra Marte e Giove; comete, masse principalmente ghiacciate che diventano visibili nel momento in cui si avvicinano al Sole generando una scia luminosa; meteoroidi, a loro volta suddivisi in meteore e meteoriti. Sebbene facciano parte di una stessa categoria c’è una differenza importante che le allontana:
Una meteora viene definita tale nel momento in cui sta solcando l’atmosfera del nostro pianeta. Per intenderci, si tratta delle “stelle cadenti”, che brillano lasciando una scia luminosa nel cielo, visibile di notte e causata dell’attrito provocato durante il passaggio violento negli strati dell’atmosfera. Nelle notti d’estate, quando molti di questi oggetti sono avvistati nel cielo, si parla di “pioggia di meteore”.
Un meteorite diventa tale se il corpo, essendo più grande, non viene completamente consumato dall’attrito e quindi arriva al suolo con un impatto violentissimo. Si parla così di tre età differenti che lo stesso oggetto può assumere: 1. Età assoluta: indica il tempo trascorso dal momento in cui la formazione dei minerali che costituiscono la meteorite si è completata 2. Età di esposizione: indica il tempo trascorso dalla meteorite nello spazio e decorre da quando essa si è staccata dal corpo celeste di cui faceva parte 3. Età terrestre: indica il tempo trascorso da quando la meteorite è caduta sulla Terra
CLASSIFICAZIONE DEI METEORITI Le meteoriti vengono classificate in base alla loro composizione in: SIDEROLITI (meteoriti Ferrrocciose), rappresentano le meteoriti a composizione intermedia, sia silicatica che ferrosa, ulteriormente suddivise in Si dividono in: – Pallasiti: il Fe-metallico fa da cemento ad altri aggregati (cristalli di olivina); – Lodraniti: composte da Fe-Ni, olivina e pirosseno; – Mesosideriti: circa 50% di Fe-Ni e 50% di silicati quali pirosseno e plagioclasi. SIDERITI (meteoriti Ferrose) In queste meteoriti ferrose troviamo una miscela di 2 specie mineralogiche: Camacite (Fe + Ni tra il 5 e il 10 %) e Taenite (Fe + Ni tra il 20 e il 65 %) con strutture cristalline differenti. Nelle sideriti povere di Nichel (siamo quindi nel campo della Camacite) non si sviluppano le figure di Windmanstatten, le strutture caratteristiche delle sideriti, ma si formano delle “linee di Neumann” (che sono linee di sfaldatura). Le sideriti si distinguono in: – Ottaedriti: presenza delle fig. di Windmanstatten, (c’è sia taenite che kamacite) . – Ataxiti: non presentano fig. di Windmanstatten, (c’è sia taenite che kamacite ma quest’ultima in maggiore quantità) presenza delle linee di Neumann. – Esaedriti: presenza delle linee di Neumann, (quasi completamente kamacite) e bassi valori di Nichel. AEROLITI (meteoriti rocciose) si differenziano per la presenza od assenza di aggregati di cristalli detti “condrule”; le meteoriti che le contengono sono dette “condriti”, quelle che non le contengono sono dette “acondriti” (quest’ultime ricche di olivina e molto simili alle rocce del mantello terrestre; fatte esclusivamente da silicati). – età delle condriti: circa 4 – 4.5 miliardi di anni – età delle acondriti: circa 1 miliardo di anni
SIDEROLITI
SIDERITI
AEROLITI
STORIA DEI CRATERI D’IMPATTO
Il Meteor Crater in Arizona, USA
Come detto in precedenza quindi nel momento in cui un meteorite arriva al suolo l’impatto è tanto forte da generare crateri d’impatto, depressioni a forma circolare sulla superficie. Daniel Barringer fu uno dei primi a identificare una struttura geologica come un cratere da impatto, ma al tempo (fine Ottocento- inizio Novecento) le sue idee non furono accettate, e anche quando lo furono, non si riconobbe il fatto che i crateri siano piuttosto comuni, almeno in termini geologici. La questione rimase materia di speculazione fino agli anni sessanta. In questi anni, molti geologi, tra cui spicca Gene Shoemaker, condussero studi dettagliati sui crateri, trovando una chiara evidenza del fatto che erano stati creati da impatti, identificando gli effetti di metamorfosi a effetti generati da shock dei minerali, che sono unicamente associati a siti di un impatto. A questo punto alcuni frequentanti del Dominion Observatory in Canada, e dell'Università di Tubinga in Germania cominciarono una ricerca metodica di "strutture di impatto". Nel 1970, erano arrivati a identificarne più di 50. Il loro lavoro grazie agli atterraggi americani sulla Luna, che si stavano verificando in quegli stessi anni, portarono prove del numero dei crateri da impatto sulla Luna. Poiché su questa i processi di erosione sono quasi assenti, i crateri persistono quasi indefinitamente o massimo sono cancellati da un altro cratere. Poiché ci si può aspettare che la Terra abbia subito all'incirca lo stesso numero di impatti della Luna, divenne chiaro che il numero dei crateri identificati era molto inferiore a quelli effettivamente subiti dal nostro pianeta proprio a causa dell’erosione che invece sulla Terra è presente. L'età dei crateri terrestri conosciuti va da alcune migliaia fino a quasi due miliardi di anni, anche se sono molto pochi quelli più vecchi di 200 milioni di anni. Le stime correnti del numero di crateri sulla Terra suggeriscono che ogni milione di anni vengono formati da uno a tre crateri con un diametro superiore ai 20 chilometri. In base a questo numero, dovrebbero esistere numerosi giovani crateri non ancora scoperti.
LA FORMAZIONE DI UN CRATERE D’IMPATTO La formazione di un cratere, è un fenomeno estremamente rapido e si svolge completamente in tempi che vanno da frazioni di secondo a pochi minuti. Nella necessità di dover descrivere il meglio possibile un fenomeno dal decorso talmente veloce, si è soliti ricorrere a una sorta di scomposizione degli eventi fatta separando nella genesi del cratere d’impatto varie fasi. FASE 1: Compressione Durante la prima fase il meteorite colpisce la superficie planetaria e si innesca un sistema di onde d’urto che trasferiscono energia cinetica (è infatti questa l’origine del contenuto energetico associato ad ogni evento impattivo) non solo dal proiettile al bersaglio, ma anche all’interno dello stesso corpo impattante. La pressione che si viene a generare nel momento dell’impatto è elevatissima: si calcola, infatti, che nella formazione di un tipico cratere di 10 km a seguito di un urto con un oggetto dotato di velocità entro valori standard (dell’ordine, cioè, di 15 km/sec) si possono raggiungere picchi di 5000-10000 kbar (500-1000 Gpa). Questo significa che diventa molto più di una ragionevole ipotesi il pensare al violento sgretolarsi del meteorite (una vera e propria esplosione) e la quasi istantanea sua vaporizzazione, destino che necessariamente deve coinvolgere parte del materiale superficiale planetario presente nella zona dell’impatto (figura A).
L’oggetto proveniente dallo spazio è riuscito ad eludere la protezione offerta dall’atmosfera e sta per concludere il suo viaggio sulla superficie. L’indicazione della traccia dell’oggetto (1) vuole schematizzare i possibili effetti luminosi e sonori associati all’avvicinamento. E’ possibile, inoltre, la presenza di una prima onda d’urto (2) dovuta alla violenta compressione dell’aria che il corpo incontra nella sua discesa.
Fase 2: Escavazione Le onde d’urto generate dall’evento si propagano nel terreno (la loro velocità iniziale è di circa 10 km/sec) e questa compressione (associata all’espulsione di materiali dal luogo dell’impatto) origina la cosiddetta "cavità transiente", l’enorme voragine iniziale destinata, in seguito, a trasformarsi nel cratere vero e proprio (figura B).Il cratere, pertanto, (tranne nel caso di cadute meteoritiche caratterizzate da un più basso livello energetico) non è mai identificabile come un fenomeno di scavo meccanico originato da un oggetto solido (il meteorite) che, per così dire, si apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie planetaria), cercando di mantenere la direzione originaria del suo moto; si tratta, invece, del trasformarsi istantaneo in una regione limitatissima di enormi quantitativi di energia cinetica in energia meccanica e termica.Dal punto di vista fisico l’evento è paragonabile a ciò che si verifica nel caso dell’esplosione di una bomba: le differenze risiedono fondamentalmente nel quantitativo di energia coinvolta (fatto già più volte ribadito e che viene ulteriormente approfondito nell’Appendice 2) e nel tipo di energia iniziale, cinetica quella del meteorite, chimica quella del TNT (o altro esplosivo) che origina lo scoppio. Una fondamentale conseguenza suggerita direttamente da tale paragone è che, nel caso di un impatto astronomico come quelli che stiamo considerando, diventano completamente irrilevanti sia la forma dell’impattore che la direzione di provenienza del suo moto ed il risultato che si ottiene è in ogni caso un cratere circolare (che è quanto si può comunemente osservare).Unica eccezione potrebbe essere costituita da un impatto radente, un impatto cioè con un angolo di non più di qualche grado rispetto all’orizzonte, situazione che potrebbe originare un cratere ellittico (o anche una serie di crateri allineati a causa della disgregazione del proiettile in più oggetti distinti) dal momento che l’energia non verrebbe più liberata in un unico punto, ma piuttosto lungo una linea.
Il proiettile è ormai esploso a causa dell’elevata pressione originando una potentissima onda d’urto (1) che spazza la zona circostante l’impatto. L’onda d’urto si propaga anche nel terreno (3) ed inizia la creazione della cavità transiente con fenomeni di fusione e vaporizzazione delle rocce presenti nel luogo dell’impatto (2)
FASE 3: Espulsione dei materiali Inizialmente l’espulsione dei materiali avviene a velocità molto elevate (anche qualche km/sec), ma poi si attenua stabilizzandosi su valori dell’ordine di 100 m/sec.I materiali (ejecta) vengono scagliati verso l’alto e verso l’esterno ricoprendo in tal modo una vasta area circostante il luogo dell’impatto e vanno a formare le caratteristiche raggiere tipiche di alcuni crateri lunari (si pensi, ad esempio, a quelle evidentissime nel caso del cratere Tycho), ma che sulla Terra verranno ben presto mascherate dall’opera erosiva dei fenomeni atmosferici e molto spesso completamente cancellate, assieme a tutta la struttura craterica, dall’azione distruttiva dei fenomeni geologici (figura C).La forma delle raggiere originate dalla ricaduta degli ejecta ha la sua importanza poiché ci può fornire preziose informazioni sul tipo di terreno presente nella zona dell’impatto.Se si esamina, ad esempio, la morfologia degli ejecta dei crateri lunari e la si confronta con quella dei crateri sulla superficie di Marte, si può vedere come nel secondo caso la coltre originatasi dai materiali espulsi al momento dell’impatto abbia un caratteristico profilo multilobato, e proprio questa particolare disposizione ci porta a suggerire la presenza di sostanze liquide sul luogo d’impatto. L’interpretazione corrente di queste strutture, infatti, considerando l’azione di escavazione e di brusco riscaldamento nel momento dell’impatto e la forte presenza di acqua incorporata nel terreno marziano (permafrost), suggerisce che, anziché il descritto meccanismo di espulsione su traiettorie balistiche,
si inneschi un movimento dei materiali quasi a ondate, che obbligano gli ejecta a mantenersi radenti al terreno, quasi si trattasse di una esondazione. La superficie del nostro satellite, invece, è completamente priva di quella componente liquida e dunque la formazione del caratteristico manto costituito dai materiali espulsi presenta un aspetto più polveroso, con i materiali (più chiari) provenienti dal sottosuolo che si distribuiscono (talvolta secondo direzioni privilegiate) all’intorno del cratere ricoprendo la superficie originaria di colore più scuro (perché da lunghissimo tempo esposta all’azione arrossante dei raggi cosmici).
Prosegue il meccanismo di escavazione della cavità transiente ed una grande quantità di materiale (ejecta) viene lanciata lontano dalla zona dell’impatto (1)I blocchi più grandi potranno, ricadendo al suolo, originare a loro volta crateri secondari.Prosegue ancora anche l’azione dell’onda d’urto nel terreno (2) innescando fenomeni di modificazione strutturale delle rocce (shock metamorphism).
FASE 4: Modificazione La fase di modificazione della struttura craterica iniziale creatasi a seguito dell’impatto può essere vista in una duplice prospettiva:, si possono considerare sia i fenomeni immediatamente successivi all’evento e ad esso direttamente correlati sia altri processi che, sebbene non direttamente innescati dall’impatto sono cause di mutamenti non meno importanti per l’intera struttura (figura D).Il più importante tra i processi direttamente innescati dall’evento impattivo e che si manifestano negli istanti immediatamente seguenti al suo verificarsi è l’assestamento isostatico della struttura. È evidente, infatti, che non appena diminuisce l’azione di compressione sulle rocce sottostanti la zona della caduta queste tendono a ritornare nella posizione iniziale (un vero e proprio rimbalzo elastico) riducendo in parte la profondità della cavità. Non è automatico, infatti, che i crateri da impatto abbiano la caratteristica forma "a scodella" e non è detto che le strutture più complesse siano riscontrabili unicamente sulla Luna o sugli altri pianeti. Anche sulla Terra esistono crateri da impatto caratterizzati da un picco centrale e strutture multi-ring ovvero ad anelli, anche se queste ultime sono certamente di più difficile "lettura" rispetto a quelle sulla Luna. Tornando ad occuparci della modificazione di un cratere dobbiamo ricordare anche l’inevitabile ricaduta della terra intorno la zona stessa dell’impatto, contribuendo ulteriormente a ridurre la profondità della struttura. A questo punto si potrebbe pensare che la morfologia della struttura possa considerarsi ormai definitiva e duratura, invece bisogna cominciare a fare i conti con altri tipi di modificazioni quali sono i mutamenti indotti dai fenomeni atmosferici e da quelli geologici .E’ chiaro che le modificazioni di questo tipo possono riguardare solamente la Terra ed i corpi celesti ancora geologicamente attivi (un esempio in tal senso può essere Europa, satellite di Giove) oppure dotati di una atmosfera (ad esempio Venere), mentre non sono evidentemente presenti sul nostro satellite o sugli asteroidi.Giorno dopo giorno, la lenta azione di livellamento degli agenti atmosferici e lo sconvolgimento superficiale caratteristico dei fenomeni geologici porta inevitabilmente alla cancellazione di questi crateri lasciati dagli impatti e questo lo si può notare in modo molto semplice ed immediato confrontando una fotografia della Terra ed una della Luna come già detto in precedenza. È pur vero però che anche sui corpi i geologicamente non attivi le tracce dei crateri vengono eliminate: poiché la superficie di tali corpi conserva i crateri di tutti gli impatti avvenuti nel corso dell’intera storia geologica, si può giungere alla cosiddetta saturazione di craterizzazione , il che significa che ogni nuovo cratere deve necessariamente distruggere (parzialmente o completamente) una struttura preesistente.
E’ ritornata la quiete sul luogo dell’impatto e la voragine nel terreno è l’unico e terribile promemoria di ciò che è appena accaduto.Il cratere (1) è già stato ricoperto dalla ricaduta di parte degli ejecta e dal cedimento delle pareti (2) che, franando, concorrono a limitarne la profondità.Non infrequente è la presenza di zone (3) in cui si è verificata una inversione degli strati geologici.
ASPETTO ECONOMICO DEI CRATERI D’IMPATTO: SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE Succede spesso che all’interno di crateri d’impatto si possano ricavare risorse o minerali molto importanti e preziosi per l’uomo. Un esempio è quello dei lonsdaleites, inizialmente ritenuti super cristalli ma, dopo studi, identificati come diamanti schiacciati, modellati, pigiati durante l’impatto di un meteorite sulla Terra. Una storia iniziata durante le analisi presso il gigantesco cratere da impatto nell’Arizona settentrionale, il Meteor Crater, quando furono raccolti campioni di una nuova forma di diamante dalla struttura esagonale. Descritto come un minerale originatosi durante il violento impatto del meteoroide a Terra, venne classificato come lonsdaleite in onore della celebre cristallografa Dame Kathleen Lonsdale.Da allora la lonsdaleite è stata ampiamente utilizzata in ricerca: come indicatore nello studio dei crateri da impatto, compresi quelli legati alle teorie di estinzione di massa. Si è anche pensato avesse proprietà meccaniche superiori a quelle del diamante comune, cosa che gli ha fatto guadagnare molto nell’ambito delle applicazioni industriali. Un vero e proprio caso di studio che ha appassionato geologi, ricercatori, esperti, senza che però il cristallo allo stato puro fosse mai stato trovato fra i reperti analizzati. A seguito di ciò fu Peter Nemeth a ritenere che fosse un semplice diamante spiaccicato che però confermava le sue straordinarie capacità meccaniche, una durezza eccezionale in confronto a quella di un comune diamante il che lo rende anche più prezioso economicamente.
Un altro esempio di risorse sfruttate dall’uomo è quello dei giacimenti minerari, è questo il caso del Cratere Sudbury, in Canada il quale, riempito di magma ricco di nichel, rame, platino, palladio, oro e altri minerali, è diventato una delle principali aree minerarie di metalli del Mondo: la regione è una delle principali aree di estrazione di rame e nichel; la maggior parte di questi giacimenti sono situati nella parte esterna del bordo del bacino del cratere, in seguito allo spostamento conseguente all'impatto. Un altro giacimento, in questo caso petrolifero, è quello presente nel cratere di Red Wing Creek, in North Dakota. Il cratere non è visibile dalla superficie del suolo in quanto totalmente sepolto. Nel 1972 vi fu scoperto un giacimento di petrolio, attualmente in esercizio, a 3.000 metri di profondità, dello spessore di quasi 1 km e un diametro di circa 3 km. Bakken Shale, il principale serbatoio di greggio dello Stato, da solo contiene 18 miliardi di barili. Grazie all’immensa riserva di Bakken, che si estende fra gli Stati Uniti e il Canada, all’inizio del 2014 il Nord Dakota è diventato il secondo Stato produttore di petrolio della nazione, superando Alaska e California. In meno di 10 anni, le trivelle si sono moltiplicate a perdita d’occhio e la produzione di petrolio è decuplicata, passando dai 100 mila barili al giorno del 2005 a 1 milione nel 2014.
L’EFFETTO DEGLI IMPATTI SULLA BIOSFERA Le conseguenze a seguito dell’impatto di un meteorite vanno naturalmente a influenzare la vita degli esseri viventi che abitano il luogo dell’impatto. Un meteorite di grandi dimensioni potrebbe persino portare a un’estinzione di massa, già avvenuta circa 65 milioni di anni fa nel caso dei dinosauri. A questo evento è stato collegato l’impatto del meteorite di Chicxulub nel Golfo del Messico e attraverso gli studi avvenuti ai resti del suo cratere si è scoperto che l’asteroide responsabile aveva un diametro di circa 10 km. Restano ancora oggi, di questo terribile evento, tre anelli del diametro di 80,100 e 170 Km. Per comprendere meglio quanta energia sprigioni l’impatto di un meteorite si è assunto il MegaTon, la stessa unità di misura utilizzata per le esplosioni nucleari. Un Megaton (abbreviato in MT), è l’energia rilasciata dallo scoppio di un Milione di tonnellate di Nitroglicerina. Per capire meglio basta pensare che le famigerate bombe su Hiroshima e Nagasaki ebbero la potenza di 0,01 MT , mentre l’impatto di un meteoroide del diametro di 30 metri rilascerebbe un’energia di 2 MT, ovvero duecento volte quella delle suddette bombe.. L’effetto dell’impatto varia, in funzione delle dimensioni elencate nella tabella qui affianco in cui la frequenza degli impatti è una stima piuttosto incerta.
DIAMETRO DEL CORPO IMPATTANTE (METRI)
160
350
700
1700
Se questi sono gli effetti causati da meteoriti con diametri fino ai 1700 metri, viene da sé il perché di una conseguenza apocalittica come un’estinzione di massa quando si è trattato di un diametro di 10.000 metri
ENERGIA SVILUPPATA (MEGATONI)
100 – 1.000
1.000 – 10.000
10.000 – 100.000
100.000 – 1.000.000
CONSEGUENZE
L’impatto distrugge un’area vasta quanto una metropoli (New York, Tokyo).
L’impatto sulla terraferma distrugge un’area vasta quanto un piccolo stato; l’impatto negli oceani produce piccoli maremoti.
L’impatto sulla terraferma distrugge un’area vasta quanto uno stato medio (come la Virginia); l’impatto negli oceani genera grandi maremoti.
L’impatto sulla terraferma solleva grandi quantità di polveri con conseguenze a livello globale; viene distrutta un’area vasta quanto un grande stato (California, Francia).
DISTRIBUZIONE DEI CRATERI D’IMPATTO SULLA TERRA