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www.unicef.org/emergencies/childrenonthemove www.medecinsdumonde.org
MANUALE OPERATIVO PER LA PRESA IN CARICO PSICOSOCIALE DEI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
Anche loro sono persone in transito, alla ricerca di una terra, di un luogo nel quale ritrovare l’appartenenza, in cui sentirsi coinvolti, dove potersi realizzare come individui e costruire qualcosa di bello per sè e per gli altri. Persone ancora in viaggio - cosi come Enea prima di Roma. Enea, l’immigrato per antonomasia, tra mille dubbi e preoccupazioni, tra desideri e aspettative spesso frustrate, confuse, scoraggiate dall’incontro-scontro con la nuova realtà.
ENEA
La storia di Enea ci racconta di una “perdita” e di una “conquista”. Ed entrambe sono riassumibili in un solo termine: “casa”. Costretto a una vita da esule, egli, infatti, ha rotto i legami (fisici, materiali) con ciò che gli apparteneva: la propria casa, la famiglia, la patria. Ma nonostante queste perdite, non si è abbandonato alla disperazione, non si è fermato. Tutt’altro, ha intrapreso un viaggio, un percorso alla volta di una nuova casa. E ciascuno di noi sa che Enea l’ha trovata. Anzi, ha fatto di più: Enea l’ha costruita, l’ha inventata. Ed ecco l’obiettivo, la speranza dei veri protagonisti di queste pagine: i minori soli
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ENEA
MANUALE OPERATIVO PER LA PRESA IN CARICO PSICOSOCIALE DEI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
ENEA MANUALE OPERATIVO PER LA PRESA IN CARICO PSICOSOCIALE DEI MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
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Il progetto è stato realizzato da Médecins du Monde France e UNICEF - Programma a sostegno dei Migranti e Rifugiati in Italia La stesura del Manuale è stata curata da Alberto Polito, e coordinata da Maria Luisa Rioli Hanno collaborato alla redazione: Federica Amatori Yodit Estifanos Afewerki Sergio Bertolino Roberta Laganà Foto di Nicola Marfisi
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INDICE Prefazione Introduzione Definizioni
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CAPITOLO 1: RIFERIMENTI TEORICI E APPROCCIO METODOLOGICO MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI IN ITALIA: LE SFIDE DI UN’ADOLESCENZA “MIGRANTE” • Perché sviluppare attività psicosociali nei centri di prima accoglienza? • La doppia assenza • Aspetti psicologici di un’adolescenza migrante Costruzione dell’identità e formazione della personalità in adolescenza • Identità e narrazione • Processi acculturativi e processi trasformativi SALUTE MENTALE E SUPPORTO PSICOSOCIALE: PRENDERSI CURA E RIDARE UMANITÀ • La presa in carico sociale, educativa e pedagogica dei MSNA nei centri di accoglienza: dal trauma alla dignità • Difficoltà e disagi psicologici processo migratorio • Il trauma nel processo migratorio • Stress e stress acculturativo • Diritto alla partecipazione • Resilienza, Flourishing e Crescita post-traumatica
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CAPITOLO II: DALLA TEORIA ALLA PRATICA
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• Paradigma psicosociale, attività psicosociali e colloqui di gruppo • Costruire relazioni con MSNA: presa in carico psicologica individuale e di gruppo • Gestire un gruppo di MSNA: prevenire il burn-out degli operatori CAPITOLO III: LE ATTIVITA’ PSICOSOCIALI
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ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI BREVE DURATA Attività di accoglienza e orientamento, conoscenza reciproca e coesione di gruppo
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ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI MEDIA DURATA Attività di terapia narrativa Attività di sociodramma
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ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI LUNGA DURATA Attività per la gestione dello stress Attività di educazione emozionale Attività per gruppi mamma-bambino Attività di sviluppo delle proprie competenze Glossario Bibliografia Linkgrafia 3
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PREFAZIONE
Secondo i dati forniti dalle autorità italiane, su più di 119.300 persone giunte in Italia nel 2017 attraverso la rotta mediterranea, il 14,7% erano minori: oltre 17.500, di cui 15.540 non accompagnati, provenienti per la maggior parte da Nigeria, Gambia, Guinea, Costa d’Avorio, Bangladesh ed Eritrea. Se guardiamo agli anni precedenti, possiamo notare che dal 2014 il numero di minori soli è aumentato esponenzialmente, passando da 13.226 nel 2014 raggiungendo il picco di 25.846 nel 2016, quasi il doppio rispetto ad appena due anni prima.
aver subito violenze, molestie o aggressioni ad opera di adulti durante il viaggio dall’Africa Subsahariana. Essi sono esposti a rischi crescenti di abusi e sfruttamento, legati anche ai debiti che contraggono e alla dipendenza dai trafficanti lungo le rotte migratorie e sono soggetti a detenzione e a respingimenti alle frontiere di numerosi Paesi europei. Nel rapporto si stima che in Libia vi siano 34 centri di detenzione, in cui vengono trattenuti tra i 4.000 e i 7.000 detenuti, mentre diversi gruppi armati trattengono migranti in un numero sconosciuto di centri di detenzione non ufficiali. Tali centri non sono altro che campi di lavoro forzato, fattorie, magazzini e prigioni improvvisate gestite dalle milizie. Per le migliaia di minori e donne migranti che vi sono detenute si tratta di veri e propri luoghi infernali in cui si è trattenuti per mesi, senza alcuna forma di giusto processo, in condizioni di degrado e in spazi angusti.
Significativo è inoltre il fatto che, mentre negli anni 2014/2015 la percentuale di minori non accompagnati sul totale dei migranti si attestava sul 7,8% nel 2016 e 2017 questo dato raddoppia: ciò significa che sempre più bambini/e e ragazzi/e hanno lasciato il proprio Paese e si sono messi in viaggio da soli. I dati sono importanti, perché danno conto della portata di un fenomeno, aldilà delle percezioni o delle interpretazioni. Ma dietro ogni numero vi è la storia di un bambino o di una bambina, di un giovane ragazzo o ragazza che ha lasciato i suoi affetti, i suoi amici e parenti o che li ha persi lungo la strada. Si tratta di storie di sofferenza e resilienza allo stesso tempo, storie che mostrano quanto sia attuale il fenomeno migratorio a livello globale e contemporaneamente ci pongono davanti la tenacia, la forza e la determinazione di quanti desiderano costruire un futuro migliore per sé stessi e contribuire positivamente alle società di accoglienza.
Il viaggio in mare verso l’Italia è un altro evento che può avere un impatto devastante sulla vita dei bambini/e e ragazzi/e, una esperienza tra la vita e la morte in cui può accadere di vedere persone, incluse i propri cari, morire davanti ai propri occhi, essere sottoposti a violenze da parte dei trafficanti, rimanere stipati per giorni in anguste imbarcazioni in condizioni disumane. Anche se il numero di coloro che arrivano in Italia tramite la rotta orientale (che coinvolge il Bangladesh, l’Afghanistan il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia) si è notevolmente ridotto negli ultimi anni, molti minori non accompagnati continuano a percorrerla, soprattutto in considerazione dei conflitti che interessano l’Afghanistan e la Siria. Si tratta di minori che lasciano Paesi in conflitto anche da molti anni – si pensi all’Afghanistan – a volte in età molto giovane e che possono impiegare anche molti
Il rapporto dell’UNICEF sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale rileva che 3/4 dei bambini migranti intervistati hanno dichiarato di 1 A Deadly Journey for Children. The Central Mediterranean Migration Route – UNICEF Child Alert Report, 28 Feb 2017
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anni prima di completare il viaggio. Anche per quanto riguarda questa rotta i rischi di sfruttamento rimangono elevati e preoccupanti, così come gli effetti a lungo termini su bambini che hanno conosciuto guerre e persecuzioni.
del supporto tecnico e operativo dell’UNICEF all’Italia. L’accordo ha avviato una nuova collaborazione diretta a migliorare cure e protezione dei bambini e degli adolescenti migranti e rifugiati presenti in Italia, attraverso l’implementazione di specifici programmi. In particolare, il sostegno si sta concretizzando nell’implementazione degli standard di accoglienza e nell’implementazione di programmi di supporto per l’inclusione sociale dei minori non accompagnati, assicurando che entrambi siano in linea con quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia.
A livello globale, l’UNICEF invita tutta la comunità interazionale a concentrarsi su sei azioni fondamentali che favoriscano politiche volte a proteggere tutti i bambini rifugiati e migranti e a garantirne il benessere: 1.intraprendere azioni che abbiano effetto sulle cause che spingono i bambini a lasciare il proprio Paese; 2.consentire ai bambini rifugiati e migranti di studiare e garantire l’accesso ai servizi sanitari e a tutti gli altri essenziali; 3.tenere unite le famiglie, come migliore soluzione per proteggere i bambini e dare loro il riconoscimento di uno status legale; 4.porre fine alla detenzione dei bambini rifugiati o migranti creando delle valide alternative; 5.promuovere misure che combattano xenofobia, discriminazioni e emarginazione nei Paesi di transito e di destinazione; 6.proteggere i bambini rifugiati e migranti, in particolar modo quelli non accompagnati, da sfruttamento e violenza.
C’è poi l’arrivo in Italia e la relativa accoglienza. Nonostante gli sviluppi positivi dell’ultimo anno, in primis l’approvazione della Legge 47/2017 (cosiddetta Legge Zampa) tesa ad innalzare gli standard di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, molto resta da fare per assicurare a tutti i minori migranti soli protezione e accesso sicuro e di qualità ai servizi essenziali, indispensabile per facilitarne l’inclusione sociale. La mancanza di strutture d’accoglienza appropriate sia in termini numerici che di capacità di tutelare ed accompagnare i minori nei loro percorsi rimangono tra i punti più critici. I minori vengono tenuti per periodi notevolmente lunghi presso i centri di prima accoglienza, in alcuni casi senza informazioni chiare sui propri diritti, su opportunità e tutele legali, senza il necessario supporto da personale qualificato e senza che vengano avviati percorsi per l’inserimento sociale. Quello che si verifica è una situazione di sospensione che diventa causa di ansia e frustrazione e che si va a sommare ad una condizione psicologica già provata dalle esperienze passate.
In Europa, l’UNICEF sostiene i Paesi dove il flusso dei migranti è maggiore e il numero di minori più alto, oltre a garantire assistenza e protezione a questi ultimi e alle loro famiglie durante il loro tragitto. Il supporto si concretizza in una combinazione di interventi adattati ai diversi contesti nazionali, che includono assistenza tecnica ed erogazione diretta di aiuti e servizi, attività di advocacy, informazione e sensibilizzazione, formazione del personale e delle capacità di risposta istituzionali e delle organizzazioni partners. In tutte le circostanze, l’UNICEF opera a stretto contatto con i Governi, le altre agenzie ONU, le Ong partners e altre organizzazioni che forniscono assistenza. Il 27 maggio 2016 l’UNICEF e il Governo italiano hanno ufficialmente finalizzato un accordo di collaborazione per l’estensione
Per questi motivi il supporto psico-sociale è fondamentale, per sostenere questi bambini/e e adolescenti a far fronte ad esperienze difficili e dolorose, passate e presenti. È noto come l’esposizione a violenze, disastri, perdita o separazione dai familiari e amici, il deterioramento delle condizioni di vita, l’incapacità di provvedere a sé stessi e alla famiglia e la mancanza di accesso ai servizi possono avere conseguenze immediate e a lungo termine quindi un lavoro di prevenzione e trattamento è importante per evitarle o minimizzarle.
2 Per conoscere nel dettaglio l’agenda UNICEF riguardante i bambini rifugiati e migranti si prega di visitare la pagina https://www.unicef.org/emergencies/childrenonthemove/ 90514_94936.html
Médecins du Monde è uno dei partner UNICEF 5
per l’implementazione del programma a favore dei minori non accompagnati in una delle regioni di intervento prioritarie, la Calabria, la quale ha dovuto gestire un notevole numero di MSNA negli ultimi anni diventando in poco tempo territorio di sbarco e di accoglienza allo stesso tempo. Médecins du Monde ha quindi messo a disposizione la sua solida esperienza internazionale in situazioni di emergenza ed in campo medico, di salute mentale e psicosociale. L’approccio privilegiato è stato quello teso a sviluppare le capacità degli operatori che lavorano a vario titolo all’interno del sistema di accoglienza – in particolare nella più critica, quella di primo livello - nella provincia di Reggio Calabria. Il presente prezioso manuale è il frutto di questo intervento e raccoglie le numerose attività psico-sociali svolte insieme agli operatori dei centri di accoglienza, che hanno favorito la capacità di resilienza già presente nei minori, le loro life skills e la loro partecipazione nel contesto di accoglienza e, più in generale, nel determinare i loro percorsi di inclusione sociale. Si tratta di dare consistenza ai principi fondamentali citati nella Convenzione ONU
sui diritti dell’infanzia, dal diritto alla vita alla sopravvivenza (art. 27) e allo sviluppo al diritto all’ascolto e alla partecipazione (art. 12), dal diritto al gioco e alle attività ricreative (art. 31) al diritto al recupero fisico e psicologico e al reinserimento sociale (art. 39)
Il manuale è pensato come contributo ulteriore a disposizione di chiunque voglia sviluppare attività con le suddette finalità per promuovere il benessere psico-sociale dei minori non accompagnati e offrire loro opportunità in più per continuare i loro percorsi di vita.
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Anna Riatti Coordinatrice UNICEF Programma Rifugiati e Migranti - Italia
INTRODUZIONE L’Italia, negli ultimi anni e in particolare a partire dal 2011, è diventata territorio di arrivo e transito di molti minori migranti che sbarcano sulle nostre coste dopo viaggi estremi. Nove su dieci sono soli.
2016 oltre 2000 MSNA e circa 300 operatori di centri di accoglienza, rappresenta un intervento pilota che mira a costituire un modello olistico ed efficace in risposta ai bisogni dei minori soli, fin dalle prime fasi dell’accoglienza.
Essi arrivano spesso dopo aver vissuto esperienze di violenza, lutto, deprivazioni ed abusi e con alle spalle un percorso migratorio che comporta la perdita dei riferimenti culturali di appartenenza e della rete sociale, senza un contesto di familiarità che possa alleviare tali perdite. Se non sostenuti adeguatamente possono essere soggetti a traiettorie evolutive a rischio, spesso con un bagaglio di problematiche psicosociali rilevanti che tendono ad esacerbarsi progressivamente.
Il modello metodologico adottato e sperimentato mette al centro il vissuto del minore, attraverso un approccio psicosociale integrato volto alla promozione dell’inclusione sociale, lo sviluppo di servizi di sostegno, il coordinamento dell’assistenza sanitaria, la fornitura di informazioni sui diritti e i servizi disponibili, il rafforzamento delle competenze degli operatori. Il “Manuale operativo per la presa in carico psicosociale dei minori stranieri non accompagnati” è frutto delle esperienze e dei risultati di programma, con il duplice obiettivo di: sensibilizzare le istituzioni e i policy makers ad un approccio olistico della presa in carico del benessere psicofisico dei minori migranti non accompagnati; migliorare e facilitare il lavoro degli operatori attraverso uno strumento operativo innovativo e pratico
Appare evidente dunque come i Minori Stranieri non Accompagnati (MSNA) costituiscano una popolazione particolarmente sensibile ed esposta ai rischi e come tale essa richieda risposte specifiche e qualificate già dalla prima accoglienza. Prima accoglienza che tuttavia spesso si presenta ancora strutturalmente e professionalmente inadeguata, nonostante i recenti progressi legislativi della legge 47/2017 che dovrebbe correggere le disfunzioni ed omogeneizzare il sistema di accoglienza attuale, che costringe a lunghe permanenze in strutture idealmente “di transito” non pronte a fornire una reale presa in carico della persona.
A differenza di altre pubblicazioni e linee guida sull’argomento infatti, il presente manuale è strutturato in modo estremamente fruibile attraverso pratiche schede operative dettagliate, i contenuti delle attività sono ideati in modo da essere adattabili a diversi contesti e tipologia di utenti. Uno strumento concreto insomma, che favorisce un utilizzo partecipativo e condiviso, e che favorisca lo scambio attivo tra operatori e minori coinvolti.
Dal 2016 Médecins du Monde grazie alla partnership con Unicef implementa un programma in supporto alla presa in carico psicofisica e all’accesso ai servizi dei migranti nella provincia di Reggio Calabria. Il progetto Minori non accompagnati che ha coinvolto dal
Chiara Lizzi Coordinatrice Generale Missione Italia Médecins du Monde France
3 UNHCR Regional Office for Southern Europe, Italy UASC Dashboard – December 2017. 4 https://terredeshommes.it/comunicati/nuova-guidaper-il-sostegno-alla-salute-mentale-dei-msna/
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DEFINIZIONI
PSICOSOCIALE
a soddisfare i bisogni sociali e psicologici di individui, famiglie e comunità. Queste azioni mirano a rafforzare i legami sociali o, dove necessario, a ripristinarli e, al contempo, ad aiutare le persone a imparare a “proteggersi” e a “proteggere gli altri”.
Con il termine psicosociale si intendono le dinamiche relazionali che intercorrono tra gli aspetti “psicologici“ e quelli “sociali” di ogni individuo, per le quali ogni sfera influenza l’altra e dove ogni aspetto è sempre in interazione con l’altro.
Le azioni di supporto psicosociale mirano quindi, nel pieno rispetto degli individui e delle comunità e dei loro metodi per far fronte alle crisi, ad adottare una posizione volta a incoraggiare il ripristino della coesione sociale e i meccanismi tradizionali già esistenti all’interno della comunità.
Per aspetti psicosociali intendiamo i processi interni individuali, siano essi cognitivi (pensieri) o emozionali (sentimenti, emozioni e riflessi istintivi). Gli aspetti sociali includono invece le relazioni con la comunità in cui viviamo, i legami familiari, i valori sociali e le pratiche culturali entro cui siamo immersi.
SALUTE MENTALE
Dagli anni ‘50, la salute mentale non è più stata limitata ai campi della psichiatria e della psicopatologia e il modo in cui trattiamo i problemi di salute mentale è cambiato in modo sostanziale, per concentrarsi sulla promozione di cure più appropriate a quegli individui che manifestano problemi psicologici. Ad oggi individuiamo tre aree di salute mentale, quali:
RESILIENZA
In psicologia, con il termine resilienza, si indica la capacità di far fronte in maniera positiva e di resistere senza spezzarsi a eventi traumatici, mantenendo e potenziando le proprie risorse sul piano personale e sociale. La resilienza si sviluppa e si rafforza grazie a fattori di protezione che possono trovarsi nell’ambiente in cui si vive o nelle relazioni che si sperimentano (ad es. famiglia e reti sociali), così come attraverso le risorse proprie di ogni persona e i suoi punti di forza.
- Il disagio psicologico e psicosociale; - Problemi mentali o psicopatologici clinici; - Salute mentale positiva. Come sottolinea l’OMS, la salute mentale è uno “stato” di benessere in cui un individuo mediante le proprie abilità, può far fronte alle normali tensioni della vita, può lavorare in modo produttivo ed è in grado di dare un contributo alla sua comunità. In questo senso, la salute mentale è il fondamento del benessere di una persona e della capacità della comunità di funzionare correttamente”.
SUPPORTO PSICOSOCIALE
La Croce Rossa Internazionale definisce il supporto psicosociale come “un processo volto a sostenere la resilienza di individui, famiglie e comunità”. L’obiettivo del sostegno psicosociale è quindi quello di aiutare i gruppi sociali e gli individui colpiti da una crisi a recuperare ed essere in grado di affrontare eventi di questo tipo usando le proprie risorse.
La salute mentale positiva si riferisce quindi a uno stato positivo di benessere, resilienza e autorealizzazione. La salute mentale positiva non è solo l’assenza di problemi di salute mentale, ma anche la presenza permanente di sentimenti di autonomia e un equilibrio
I programmi di supporto psicosociale dell’unità di emergenza MdM sono basati su azioni volte 8
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armonioso tra le strutture psicologiche dell’individuo e quelle dell’ambiente in cui si muove. Questa nozione potrebbe indurci a pensare che i termini “salute mentale” e “salute psicosociale” abbiano definizioni quasi identiche. Queste due definizioni sono in effetti strettamente collegate, ma richiedono anche l’uso di approcci diversi.
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Le domande legate alla salute mentale si riferiscono principalmente a problemi psicopatologici o clinici lievi, moderati o gravi; mentre le domande legate alle questioni psicosociali sono più strettamente collegate al benessere e possono essere considerate come una questione trasversale che copre diversi settori. Questo ci porta a prevedere azioni su diversi livelli, quali:
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- Azioni psicosociali che riguardano azioni volte a creare, ripristinare o consolidare l’equilibrio emotivo e sentimentale di un individuo, all’interno di un ambiente sociale e dinamico; queste azioni hanno la priorità poiché hanno un impatto positivo sul maggior numero di persone in situazioni di emergenza e crisi. - Azioni cliniche o di “salute mentale” che riguardano azioni rivolte agli individui più “vulnerabili” da un punto di vista psicologico.
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Capitolo 1
RIFERIMENTI TEORICI E APPROCCIO METODOLOGICO Amo ciò che vedo, amo ciò che sento, Amo ciò che faccio, la vita va avanti. Amo le persone che sono solidali, Amo le persone che incoraggiano, Amo le persone giuste, Amo le persone che amano.
Denis, 17 anni, minore straniero non accompagnato originario della Nigeria
La storia di Enea ci racconta di una «perdita» e di una «conquista». Ed entrambe sono riassumibili in un solo termine: «casa». Costretto a una vita da esule, egli, infatti, ha rotto i legami (fisici e materiali) con ciò che gli apparteneva: la propria casa, la famiglia, la patria. Ma nonostante questa perdita, non si è abbandonato alla disperazione, non si è fermato. Tutt’altro, ha intrapreso un viaggio, un percorso alla volta di una nuova casa. E ciascuno di noi sa che Enea l’ha trovata. Anzi, ha fatto di più: Enea l’ha costruita, l’ha inventata. Ed ecco l’obiettivo, la speranza dei veri protagonisti di queste pagine: i minori soli. Anche loro sono persone in transito, alla ricerca di una terra, di un luogo nel quale ritrovar l’appartenenza, in cui sentirsi coinvolti, dove potersi realizzare come individui e costruire qualcosa di bello per sé e per gli altri. Persone ancora in viaggio – così come Enea prima di Roma. Enea, l’immigrato per antonomasia, tra mille dubbi e preoccupazioni, tra desideri e aspettative spesso frustrate, confuse, scoraggiate all’incontro-scontro con la nuova realtà.
1.1 1.1 MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI: LE SFIDE DI UN’ADOLESCENZA “MIGRANTE” Sono 23.370 i migranti che nel 2018 hanno raggiunto le coste italiane con un calo del 80,42% rispetto al 2017 (119.369) e un -87,12% rispetto al 2016. Di questi 3.536 sono minori stranieri non accompagnati (MSNA) arrivati nell’arco del 2018 rispetto ai 15.779 giunti nel 2017. La grande maggiornaza sono maschi, oltre il 92% e ha un’età compresa tra i 15 e i17 anni. I principali Paesi di provenienza dei MSNA attualmente presenti in Italia sono l’Albania (1.550), Egitto (930), Gambia (892), la Guinea (802), Eritrea (770), la Costa d’Avorio (769). “per minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano”. Legge Zampa (47/2017, art.2)
La Calabria ha rappresentato la seconda regione per arrivi dopo la Sicilia. Da Giugno 2017, per effetto della diminuzione degli sbarchi e il contestuale progressivo raggiungimento della maggiore età dei minori presenti nei centri di accoglienza, la percentuale di MSNA ospitati nei centri di accoglienza della Calabria 10
Altri si sono allontanati dal sistema di accoglienza in Italia non immediatamente dopo lo sbarco ma solo dopo aver trascorso alcuni mesi all’interno dei centri (REACH, 2017). La decisione di partire è maturata quindi dopo un periodo in cui il sistema di accoglienza non si è reso capace di rispondere alle aspettative del minore, di dare adeguato tempo e ascolto per la comprensione dei suoi bisogni. Un sistema disfunzionale che invece di essere un meccanismo di protezione per la tutela del superiore interesse del minore è diventato incentivo di fuga. In questo contesto un lavoro di equipe multidisciplinare per un’efficace presa in carico psicosociale del migrante può rendere effettivo il diritto all’accoglienza previsto dal quadro normativo italiano ed europeo e prevenire i rischi che il far perdere le tracce può portare, come diventare vittima di reti di criminalità e sfruttamento più o meno organizzate. Il manuale nasce dall’esperienza di Médecins du Monde all’interno soprattutto di C.A.S. per MSNA del territorio calabrese ma non per questo può diventare uno strumento utile anche per la prima in carico più a lungo termine tipica del sistema SIPROIMI (ex SPAR).
6 Ibidem 7 Ministero del Lavoro, Report mensile Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) in Italia, 31 Dicembre 2018
PERCHÉ SVILUPPARE ATTIVITÀ PSICOSOCIALI NEI CENTRI DI PRIMA ACCOGLIENZA? Sviluppare attività psicosociali può diventare l’occasione di creazione e promozione di relazioni funzionali e non conflittuali tra operatori e i minori accolti. Una risorsa tra altre per prevenire oppure mitigare le fatiche degli operatori date dal carico emotivo e professionale del proprio lavoro. Le attività psicosociali non possono però essere viste come singoli interventi avulsi da una progettualità più ampia che abbia come obiettivo l’accompagnamento dei MSNA nella definizione e avvio di un percorso orientato all’autonomia e in particolare:
• accompagnare il ragazzo/a nel suo percorso evolutivo di crescita; • supportare il ragazzo/a nell’individuare e incrementare concretamente il suo percorso di integrazione seguendo le sue inclinazioni e le sue aspettative. Progettare in ambito psicosociale ha così la funzione centrale di promuovere un lavoro d’équipe flessibile ma definito, partendo dai problemi e dalle criticità individuali che si vogliono affrontare e che il/la ragazzo/a in primis desidera imparare a gestire. Iniziando con la triplice analisi preliminare di capacità, risorse e bisogni del minore insieme alla mappatura delle risorse e servizi che il contesto che accoglie può offrire, si procede con la definizione di obiettivi e risultati attesi legati alle diverse sfere di vita (siano esse parte della dimensione socio-emotiva del/la ragazzo/a, della sfera dell’autonomia e integrazione che si vuole promuovere, delle competenze linguistiche e comunicative da sviluppare, ecc.). Affinché la progettazione diventi un percorso di accompagnamento individuale efficace e che sia reale occasione di crescita e miglioramento personale, gli obiettivi e i risultati attesi che si vanno a individuare devono essere valutabili e riformulabili periodicamente in un percorso di costante scambio e restituzione di quanto avviato. 11
CAPITOLO I
continua a diminuire mese dopo mese: dal 9,8% del totale di Giugno 2017 si è scesi al 6,9% di Gennaio 2018, fino a una progressiva riduzione al 5,4% di Settembre 2018 rendendo oggi la Calabria la sesta regione di accoglienza di MSNA dopo Sicilia, Lombardia, Emilia Romagna, Lazio e Friuli Venezia Giulia. Oltre ai minori presenti in accoglienza ci sono migliaia di minori considerati oggi irreperibili (5.828 stimati al 31 Dicembre 2017), perchè hanno abbandonato i centri dopo essere stati registrati all’arrivo per continuare il loro viaggio o per spostarsi altrove. Alcuni sono diventanti invisibili nel tentativo di attraversare le frontiere con i paesi europei per raggiungere familiari o conoscenti.
La progettazione per la presa in carico psicosociale implica quindi un approccio integrato e multidisciplinare che preveda la mediazione culturale, l’assistenza giuridica e amministrativa, l’assistenza socio-psicologica unitamente a quelle relative all’erogazione di servizi di affiancamento e tutoraggio. Strumenti necessari e ineludibili definizione del percorso sono:
per
la
• il bilancio delle competenze; • la stesura del Piano Individualizzato (P.E.I.);
Educativo
• il tutoring e counselling orientativo e di monitoraggio degli obiettivi intermedi definiti. Il bilancio di competenze e il P.E.I. serviranno in particolare agli operatori per: - raccogliere le informazioni sulla storia individuale del minore, comprese le sue origini familiari, le ragioni/cause della migrazione e il suo itinerario; - individuare eventuali rischi particolari; - porre in risalto le motivazioni, le aspirazioni e le aspettative del minore; - aiutare il minore ad acquisire consapevolezza delle proprie competenze; - orientare il minore verso obiettivi che abbiano un valore intrinseco o durevole sul piano sociale ed educativo; - fornire al minore i mezzi per sviluppare le competenze necessarie per la realizzazione del proprio progetto personale; - individuare l’assistenza di cui il minore ha bisogno e le strutture che possono offrirla; - suddividere gli obiettivi a media e lunga scadenza in tappe realistiche; - tener traccia dei progressi compiuti per poi rivedere o adattare il PEI.
LA DOPPIA ASSENZA
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Siamo spesso abituati a pensare ai migranti concettualizzandoli come una categoria univoca, ben definita e con caratteristiche precise. I ragionamenti in merito si basano principalmente sull’uso di categorie nazionali e sul concetto di nazionalità fondata sulla cittadinanza. In tal modo tendiamo a separare, a demarcare i confini che separano i “nazionali” dai “non-nazionali”. Ciò avviene poiché, come afferma il sociologo algerino Sayad (2002), lo stato nazionale deve delimitarsi per definirsi, costruendo un confine tra un “noi” e un “loro”. L’identità del migrante si costituisce così in base a ciò che il migrante “non è” e si struttura quindi come una “non identità”: il migrante è un “non-nazionale”, è un “non-soggetto sociale”. Il migrante subisce un processo di depersonalizzazione, divenendo, così come viene definito dal sociologo Alessandro Dal Lago (2004), una “non-persona, un essere umano cui vengono revocate – di fatto o di diritto, implicitamente o esplicitamente – la qualifica di persona e le relative attribuzioni”. La categoria dei migranti è quella che più si presta a tale definizione, ad essi infatti, come detto precedentemente, ci si riferisce solo per negazione (i migranti sono noneuropei, non-cittadini, extra-comunitari), non per l’affermazione di una loro caratteristica intrinseca. Il migrante diviene così il luogo di una “doppia assenza”, sospeso tra due mondi in cui è allo stesso tempo assente. Difatti, egli è al contempo assente dalla società d’origine e dalla società di destinazione; è escluso dall’ordine sociale di entrambi i luoghi divenendo ovunque straniero. La società d’origine può infatti accusare l’emigrato di “fuga”, lasciando in lui un profondo senso di colpevolezza o può divenire, per motivi personali o sociali, irraggiungibile. Al medesimo tempo, però, il migrante è “atopos”, cioè una “persona fuori luogo” (Sayad, 2002), un soggetto non classificabile e privo di un proprio spazio all’interno della società di destinazione. Egli non è né cittadino né straniero. I migranti subiscono così una doppia esclusione e un doppio isolamento. Lo spazio sociale e culturale che si sono lasciati alle spalle, spesso non è più accessibile ed il nuovo spazio sociale in cui fanno ingresso è disposto ad una
significherebbe quindi escludere tutte le risorse e le potenzialità che nascono dall’incontro tra le diversità.
L’incontro/scontro con la nuova società e la nuova cultura ha, inoltre, un forte impatto sul migrante che deve affrontare diversi fattori stressogeni, quali:
Attraverso i flussi migratori nascono nuove culture in seno alle società: possiamo affermare, infatti, che ogni migrante porta con sé una nuova cultura che trova fondamento nella sua cultura di origine ma si modifica profondamente grazie al confronto costante con nuove esperienze e nuovi incontri durante il processo migratorio. Attraversando diversi territori e diversi contesti, i migranti danno forma ad appartenenze ed identificazioni multiple, mettendo in crisi l’idea di un’identità unitaria ancorata a un territorio e una nazione. In quest’ottica, il discorso sull’identità appare indissolubilmente legato a quello sulle differenze interpersonali e interculturali. Le domande “Chi sono io?” “Chi siamo noi?” nascono dalla presa di consapevolezza di essere esseri separati e diversi dagli altri e che ogni grande cambiamento identitario nasce per “contrarietà”. Difatti, molto di ciò che conosciamo di noi stessi e della nostra cultura è relativo a ciò che di diverso abbiamo rispetto agli altri individui e alle altre molteplici appartenenze culturali.
- fattori sociali (separazione forzata o meno dalla famiglia e dagli amici e conseguente necessità di ricreare una rete sociale); - fattori linguistici e culturali (necessità di apprendere una nuova lingua, ma anche di apprendere un nuovo linguaggio informale, nuovi modi di scherzare e nuovi usi; rischio di autoghettizzazione, cioè di chiusura all’interno della comunità di origine presente nel paese di arrivo); - fattori ambientali (differenze climatiche, eventuale passaggio da una società rurale ad una metropolitana); - fattori psicologici (stress psicosociale e stress da transculturazione).
ASPETTI PSICOLOGICI DI UN’ADOLESCENZA MIGRANTE
COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ E FORMAZIONE DELLA PERSONALITÀ IN ADOLESCENZA
In una società di persone in movimento (244 milioni di migranti nel mondo, di cui 65,3 milioni di persone costrette a migrazioni forzate – dati UNHCR, 2016), l’idea di un’identità basata sull’appartenenza territoriale o sulla nazionalità inizia ad essere un’idea limitante e fuorviante (si veda l’ampio dibattito politico sullo Ius Soli – Savino, 2014). Delineare un confine netto, fisico e culturale, tra noi e gli altri non appare possibile, i confini diventano labili e le frontiere interscambiabili; tracciare una linea divisoria 8 Per un maggiore dettaglio e per visionare un fac-simile di PEI e bilancio di competenze si rimanda al “Manuale Operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza integrata in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria”del sistema SPRAR disponibile al sito: http://www.meltingpot.org/ IMG/pdf/sprar_-_manuale_operativo_2015-2.pdf
L’identità gioca un ruolo fondamentale nella psiche umana poiché ci permette di essere riconosciuti, di avere un posto legittimato nella totalità, ci permette di essere qualcuno. L’adolescenza è un periodo particolarmente delicato per la costruzione dell’identità poiché essa è il periodo in cui ci si distacca dalla propria famiglia alla ricerca di una propria “forma identificativa”. Questo progressivo distanziamento non è però un percorso lineare ma è fatto di tentativi, scoperte, perdite e dubbi. Anche dal punto di vista dello sviluppo cerebrale vi sono interessanti risultati delle recenti ricerche che mettono in luce come esso non interessi solamente i primi tre anni di vita – come precedentemente ritenuto – ma anche gli anni dell’adolescenza. Il cervello, infatti, durante l’adolescenza sarebbe soggetto ad una serie di riorganizzazioni che lo renderebbero particolarmente recettivo. In particolare, le aree più interessate sono quelle relative alle emozioni e alle relazioni sociali. Durante questo periodo di maturazione, ci sono diverse parti 13
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tolleranza, ma non ad una reale accoglienza, né tantomeno ad attivare un mutuo processo di modificazione.
del cervello che si sviluppano a velocità diverse: - le aree responsabili della produzione di forti emozioni si sviluppano presto e vengono attivate dagli steroidi sessuali rilasciati durante la pubertà; - le aree responsabili della regolazione delle emozioni, della soppressione degli impulsi, della calibrazione del rischio e della ricompensa e della pianificazione futura complessa, si sviluppano per ultime. Questo significa che vi è una temporanea discrepanza negli adolescenti tra le forti emozioni, l’impulsività, la ricerca di sensazioni e lo sviluppo delle strutture neurali che li controllano e li regolano. Gli antropologi e gli storici hanno ampiamente mostrato come l’esperienza e il concetto di adolescenza variano ampiamente a seconda dei contesti storici e socio-culturali (Ariès 1968, Cunningham 2017, Honwana e De Boeck 2005). Ricondurre questa diversità, però, a una semplice differenza fra culture sarebbe riduttivo: è necessario, infatti, cogliere l’importanza dei fattori politici, sociali ed economici che producono povertà, diseguaglianza e guerre e che plasmano l’esperienza dell’adolescenza. Difatti, se per la maggior parte degli adolescenti occidentali è assolutamente normale astenersi dal lavorare, frequentare la scuola ed essere impegnati in numerose attività ricreative, in altre parti del mondo le cose vanno ben diversamente. L’esperienza adolescenziale è, inoltre, di per sé un passaggio, un ingresso nel mondo degli adulti e una legittimazione alla partecipazione piena alle dinamiche societarie, perciò, culture diverse intendono l’adolescenza, in quanto fase di passaggio e cambio di status sociale, in modi molto diversi fra loro. Lo psicologo e psicoanalista Erickson (1998) posiziona in adolescenza il “quinto stadio evolutivo”, quello appunto della costruzione dell’identità. Egli sostiene che la formazione dell’identità sia un processo ben diverso dai processi di identificazione che avvengono nell’età infantile ed è soltanto quando il soggetto è in grado di selezionare alcune fra le sue identificazioni infantili eliminandone 14
altre, in accordo con i propri interessi, talenti e valori che giunge a sviluppare pienamente la propria identità. Se però il bisogno di trovare una propria identità, si trasforma in una ricerca frenetica di diversi modelli in cui identificarsi, l’adolescente rischia di cadere in una cosiddetta “confusione di ruoli” che consiste nel passare da un’identificazione ad un’altra, provando ruoli sociali diversi in una sorta “di turismo psicologico” senza mai riuscire a costruire una propria sintesi originale. In altre parole, la formazione dell’identità per l’adolescente non consiste soltanto nello strutturare un’identità sicura, autonoma ed originale, ma richiede anche che il soggetto costruisca un “Io” sensibile ai propri bisogni e talenti, che lo renda capace di occupare un proprio spazio nel contesto sociale circostante. La sfida ulteriore dell’adolescenza migrante è quella di integrare nella propria identità le diverse “matrici” del processo migratorio (Terres des Hommes, 2017). Le principali matrici ed i fenomeni ad esse collegati, che spesso possono coesistere, sono: I riti di passaggio permettono di legare Matrici Politico-Economiche e Strutturali: frutto di politiche economiche fallimentari che generano voglia di riscatto individuale, sociale e collettivo. Il migrante diviene così il mezzo mediante cui un’intera famiglia o addirittura un intero gruppo sociale possono riscattare le proprie sorti economiche e sociali; Matrici Rappresentazionali: fortemente influenzate dai mass media e dai nuovi mezzi di comunicazione, attraverso cui nel paese di origine arrivano idee distorte rispetto alle condizioni di vita dei connazionali emigrati ed alle possibilità economiche nei paesi di destinazione. L’Europa viene vista come una grande potenzialità, in cui tutto è possibile e dove facilmente ci si può arricchire o divenire famosi e importanti. Questa visione dell’Europa è fortemente influenzata anche dai lasciti culturali ed identitari legati ai processi coloniali e post-coloniali che hanno fatto dello stile di vita occidentale un’ideale sociale, economico e culturale a cui tendere;
Viaggio come rito di passaggio: così come succede nel caso dell’inversione generazionale, spesso il viaggio migratorio può comportare un cambiamento dello status socio-culturale. l’individuo al gruppo (nel caso del processo migratorio soprattutto quando sono attive delle matrici strutturali), ma anche di strutturare la vita della persona che migra secondo tappe precise, che permettono all’individuo di mantenere un rapporto con la sua temporaneità e con la sua mortalità. White (1992) identifica tre fasi attraverso cui si sviluppano i riti di passaggio: fase di separazione, fase di margine, fase di re-incorporazione. Nella prima fase l’individuo viene separato dal contesto in cui si trova (contesto di origine), nella seconda attraversa un passaggio simbolico che rappresenta il culmine del rito (viaggio), nella terza viene reintegrato nella società e nella sua identità con un nuovo status sociale (nuova identità all’interno del nuovo contesto sociale). Per quanto riguarda specificatamente la fase di margine (anche detta fase liminale) che caratterizza la fase di transizione in un rito di passaggio (rappresentato in questo caso dal viaggio migratorio), è stata analizzata dall’antropologo scozzese Victor Turner (Van Gennep, 1981) che considera in particolare il particolare cameratismo che si crea tra coloro che sperimentano tale condizione. Turner chiama “communitas” questa modalità d’interazione sociale egualitaria fondata su un reciproco adattamento empatico anziché su un sistema di regole e interazioni stabilite
dalla norma sociale. In questa fase ci si trova in una condizione di ambiguità, in un momento di transito caratterizzato dall’assenza di una chiara definizione dei ruoli dei soggetti coinvolti. Essa relega l’individuo ai margini della società nell’attesa del suo ingresso in un nuovo status sociale. Secondo Turner essa assicura il “riconoscimento di un legame umano generico ed essenziale, senza il quale non potrebbe esistere alcuna società” (ibidem). Questo è ciò che osserviamo tra i MSNA ospiti dei centri di prima accoglienza, soprattutto tra coloro i quali si trovano a rimanere per lungo tempo in centri di primissima accoglienza o in centri emergenziali, isolati dal resto della comunità locale e senza progetti di integrazione e autonomia strutturati. In questi casi la fase liminale dura molto più a lungo del previsto e, a causa della permanente mancanza di punti di riferimento, può degenerare in disagi o disturbi psicopatologici.
IDENTITÀ E NARRAZIONE Le identità sono il risultato di storie che entrano in contatto con altre storie e si modificano reciprocamente, pur mantenendo di base un senso di coerenza con il passato. L’identità nasce dall’incontro di ciò che noi scegliamo di raccontare di noi stessi e delle nostre esperienze (le nostre narrazioni) con ciò che gli altri scelgono di raccontare di loro stessi e delle loro esperienze (le loro narrazioni). Pertanto, le nostre narrazioni, quindi ciò che vogliamo tramandare di noi e del nostro essere ed il significato che diamo al mondo e alle cose del mondo, costituiscono la nostra identità. Seguendo quanto scritto da Hall et al. (2006), “le identità sono processi che costituiscono e ricreano i soggetti che agiscono e parlano negli universi sociali e culturali”. La sola base su cui esse poggiano è costituita dalle rappresentazioni e dai simboli attraverso cui si presentano agli individui nella vita quotidiana. La narrazione appare un utile strumento che ci consente di prendere coscienza della nostra simbologia e delle nostre rappresentazioni e di conoscersi, confrontarsi e interscambiarsi con le simbologie e le rappresentazioni di altri. Perciò la narrazione gioca un ruolo fondamentale nella nostra vita, soprattutto per chi è 15
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Fenomeno dell’inversione generazionale e adultizzazione: i minori stranieri non accompagnati diventano il nuovo sostentamento delle famiglie di origine e, da sostenuti si trasformano in sostentatori, invertendo così i ruoli con i propri genitori. Sono costretti così ad assumersi - o assumono di propria spontanea volontà per seguire aspirazioni personali in un percorso verso l’autonomia tipico nell’adolescenza - responsabilità e ruoli propri dell’età adultà in maniera precoce, rinunciando alla dimensione di cura e dipendenza tipica dell’infanzia;
costretto ad affrontare situazioni traumatiche e destabilizzanti: ri-narrandosi, infatti, si ha la possibilità di vedere con nuovi occhi dolorose parti di sé e della propria esperienza per modificarle acquisendo al contempo nuove competenze, nuove capacità, nuovi saperi e imparando a gestire maggiormente le proprie emozioni e le situazioni difficili. Utile a tal fine appare l’approccio narrativo proposto dallo psicoterapeuta australiano White (1992) che ha come obiettivo quello di separare sè stessi e le proprie relazioni dai problemi, offrendo una possibilità di descrivere sé stessi e le proprie relazioni da una prospettiva nuova e non saturata dai problemi stessi. L’azione psicologica e psicosociale diviene così costruzione di un nuovo logos, scoperta di nuovi significati che cambiano il modo di osservare gli accadimenti della vita. Congelare una definizione, ridefinire, cambiare punto di osservazione, permettono di distaccarsi dal problema come se le difficoltà e gli eventuali sintomi avessero vita propria e non fossero in nessun modo sotto la volontà della persona. Attuando questo cambiamento si può riuscire a: - attenuare la conflittualità improduttiva tra le persone; - ridurre il senso di fallimento e aprire nuove possibilità di agire; - preparare il terreno per la collaborazione tra persone; - mettere le persone nella condizione di assumere un atteggiamento più leggero, più efficace e meno ansioso; - presentare possibilità di scelta di dialogo, invece che di monologo sul problema e sulla propria vita, attraverso il confronto con gli altri e la sperimentazione di punti di vista diversi sui problemi.
PROCESSI ACCULTURATIVI E PROCESSI TRASFORMATIVI Le migrazioni modificano non soltanto le persone che migrano, ma anche le società che accolgono, determinando profondi processi di métissage (meticciamento, ibridazione) che trasformano l’identità collettiva (Glissant, 16
1996). Questi processi sono simili a quelli che attraversano, in modo individuale e collettivo, gli stessi migranti: si confrontano con rappresentazioni, con modi di pensare, di dire, di fare che li cambiano. La loro identità si modifica attraverso un processo lungo, a volte doloroso, ma sempre creativo. Questo processo è definito “processo di acculturazione” per i migranti e “processo di trasformazione” per le società che li accolgono, benché si tratti dello stesso processo a specchio che genera il métissage dei gruppi, degli individui e delle culture che li compongono. Questo riguarda coloro i quali vivono il viaggio migratorio e, ancor di più, i loro figli i quali si trovano a vivere in prima persona il contesto che ne risulta (Moro, 2002). I processi acculturativi e quelli trasformativi si muovono su di un continuum che vede ad un estremo società divise tra loro e all’altro società ibride, meticce. Questo continuum prevede quattro livelli possibili entro cui ogni società ed ogni individuo possono porsi (Pandolfi, 2005):
1.2 SALUTE MENTALE E
Distanza culturale: disinteresse e distanza dalle culture altre. Le culture non si guardano né si mischiano, la conoscenza dell’altro si basa su stereotipi e pregiudizi. Multiculturalità: accettazione delle altre culture che però rimangono divise a compartimenti stagni. Le culture si conoscono, si accettano con distacco ma non si mischiano. Interculturalità: prevede una trasformazione, guardandosi, tollerandosi e prendendo parte dell’altro. Le diversità sono ben integrate ed accettate. È il livello del métissage. Transculturalità: prevede un processo d’ibridazione che avviene dopo un incontro significativo capace di modificarci. Bisogna riscrivere i termini, i concetti, i modi di fare terapia, i modi di relazionarsi dopo aver incontrato l’altro. Si creano nuove culture con elementi caratteristici nuovi che non provengono da nessuna delle culture originarie. È il livello della creolizzazione.
I minori stranieri non accompagnati possono, in questo quadro, svilupparsi seguendo quattro modelli identitari possibili (Berry, 1990), quali:
Cosmopolitismo (marginalizzazione): ci si immagina in futuro in giro per il mondo, non in un luogo specifico, senza sentire di avere un luogo che può essere chiamato casa e sentendo di avere pochi legami sia con le proprie origini che con la cultura del paese ospitante. Il rischio è l’isolamento e/o la marginalità, il percepirsi diversi da tutti, senza alcun punto di contatto e senza radici;
Ritorno alle origini (separazione): ci si identifica completamente nella cultura e nelle tradizioni del paese di origine, frequentando esclusivamente persone appartenenti alla stessa comunità. Il rischio è la radicalizzazione, intesa come accettazione indiscriminata ed esaltazione di un’idea e/o un’identità considerata l’unica via possibile; Mimetismo (assimilazione): costituisce esattamente l’opposto rispetto al ritorno alle origini. Gli individui si percepiscono appartenenti al 100% alla cultura del paese di accoglienza, non parlano la loro lingua di origine e non frequentano connazionali. Il rischio è la perdita di una parte fondamentale della propria identità, cioè quella legata al proprio contesto di origine e alle proprie radici; Modello biculturale (integrazione): differenti aspetti delle culture identitarie con cui si è entrati in contatto sono integrate con successo. Le appartenenze plurali, e spesso contradditorie, che strutturano la nostra identità (appartenenze rizomatiche) si intrecciano e si sviluppano, permettendoci di avere ottime competenze in diversi universi culturali. Questo è il modello che maggiormente può generare benessere psicologico e una sana evoluzione.
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1.2
SUPPORTO PSICOSOCIALE: PRENDERSI CURA E RIDARE UMANITÀ
LA PRESA IN CARICO SOCIALE, EDUCATIVA E PEDAGOGICA DEI MSNA NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA: DAL TRAUMA ALLA DIGNITÀ
Nel contesto italiano secondo quanto definito dal quadro normativo del decreto legislativo 142/2015 e dalla Legge Zampa (47/2017) ai minori stranieri non accompagnati è garantito il diritto all’accoglienza in centri di prima accoglienza dove gli operatori con un approccio olistico sono chiamati a contribuire alla valutazione del Superiore Interesse del minore nelle modalità definite dall’art.3 comma 1 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) attraverso una “considerazione preminente con riferimento a ogni decisione che riguardi il minore”. La fase di valutazione così come la fase di determinazione del superiore interesse del minore deve essere guidata da operatori specializzati parte di un’equipe multidisciplinare che possa vedere nelle figure di riferimento educative, pedagogiche e psicologiche, i professionisti capaci di sviluppare un piano individualizzato per ogni minore per lo sviluppo delle proprie potenzialità e aspirazioni. Le esperienze traumatiche vissute nei Paesi di origine, durante il viaggio e nell’arrivo come minori soli in un contesto completamente altro dai propri riferimenti di appartenenza, devono essere prese in carico dagli operatori che quotidianamente condividono e hanno la responsabilità dell’accoglienza dei minori, con l’intento di superare la categorizzazione di “vittima” per una ridefinizione in positivo del sè, restituendo dignità all’individuo. L’intervento psicosociale si inserisce nella gestione dei centri di prima accoglienza proprio in questa duplice valenza: 1. garantire l’effettivo e funzionale ascolto del minore per determinarne il suo superiore interesse; 2. farsi carico delle esperienze e vissuti traumatici al fine di attivarne le capacità resilienti per una nuova raffigurazione della propria individualità e progetti di vita. 18
I tempi prolungati della prima accoglienza, ancora ben lontani dai 30 giorni previsti dalla legge, obbligano un ripensamento della propria azione di operatori in termini progettuali e non solo emergenziali. L’avviamento delle necessarie procedure legali e l’accudimento di base dei minori con la risposta ai bisogni psicofisici primari diventano così il punto di partenza e non il completamento della protezione dei minori – secondo quanto definito dalle linee guida IASC. Con questo cambio di prospettiva, i centri di prima accoglienza diventano luoghi di ascolto e di sostegno psicologico che possano consentire ai giovani accolti un primo ma indispensabile aiuto alla riorganizzazione della propria identità, dei propri vissuti e della propria storia come risultato di un sostegno/vicinanza/ supporto al complesso e doloroso processo di confronto/rivisitazione con le proprie esperienze traumatiche. In questo senso, un approccio olistico e sistemico unito a un intervento di comunità possono diventare essenziali fattori riparatori e protettivi rispetto ai rischi psicopatologici derivanti dalla non rielaborazione dei traumi vissuti da parte dei minori non accompagnati (Bastianoni, Taurino, 2008) e allo stesso tempo rispondere alla richiesta del “pensami adulto” che i ragazzi/e rivendicano sulla base del proprio vissuto e/o per le responsabilità investite dalle comunità invianti. L’accoglienza parte infatti da un principio di tutela del minore rivolto a chi spesso però minore non si sente per ordini di motivazioni differenti. Da un lato, la linea di demarcazione che segna il confine tra bambino, infanzia ed età adulta è culturalmente e socialmente determinata e perciò non universalmente identificata con i 18 anni; d’altro canto, dopo mesi o anni di viaggio soli nei quali hanno dovuto prendersi cura di loro stessi, molti ragazzi e ragazze faticano a comprendere che gli operatori dei centri di accoglienza hanno degli obblighi di tutela nei loro confronti. Questi possono portare ad interventi di cura che possono però essere anche percepiti come limitanti o legati ad una funzione di controllo, deresponsabilizzazione o sostituzione. È necessario inoltre, al fine di approntare il minore nel modo più opportuno, efficace e adeguato rispetto ai suoi bisogni
DISAGI PSICOLOGICI NEL PROCESSO MIGRATORIO Una vasta letteratura scientifica (Cantor-Graee E., Selten J.P., 162:12-24, 2005) ha messo in luce quanto le esperienze vissute durante il processo migratorio e la percezione della propria esperienza migratoria siano correlate alla salute psico-fisica delle persone che sono migrate. Infatti, se da un lato la migrazione può rappresentare una possibilità di crescita personale, dall’altro espone il migrante a diversi fattori di rischio. Difatti, la perdita delle proprie relazioni sociali e familiari, le differenze linguistiche e culturali, i probabili traumi esperiti prima e durante il processo migratorio, lo stress vissuto nel doversi relazionare costantemente con un contesto “estraneo” e, spesso, anche la presenza di atteggiamenti discriminatori e xenofobi, fanno si che i migranti siano considerati come un gruppo sociale “fragile e portatore di bisogni specifici che possono generare vulnerabilità e facilitare lo svilupparsi di forme di disagio mentale” (Aragona M., Pucci D., Mazzetti M., Maisano B., Geraci S., 2013). Reazioni acute da stress, Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD), depressione maggiore e disturbi d’ansia sembrano essere le patologie psichiatriche più frequenti. I sintomi più frequentemente riscontrati sono invece: ricordi e incubi angoscianti riguardo i traumi subiti, a cui si associano reazioni emotive e fisiche, disturbi del sonno, dell’alimentazione, della memoria, dell’attenzione e della concentrazione. Possono essere presenti anche sintomi depressivi, irritabilità e labilità emotiva. Alcune delle precedenti sintomatologie traumatiche descritte (deficit dell’attenzione e della memoria fra tutti), possono, inoltre, essere responsabili delle contraddizioni o lacune nella narrazione della propria storia personale, e
che potrebbero influenzare l’esito della propria domanda di protezione internazionale. Può accadere, infatti, che si possa dubitare di sé stessi e delle esperienze vissute o che vi sia difficoltà a ricostruire una sequenza spaziale e temporale a causa dell’impossibilità di rendere conscie le violenze subite. Primo Levi in “Se questo è un uomo” (1947, p. 106) afferma: “Oggi, questo vero oggi in cui sto seduto a un tavolo e scrivo, io stesso non sono convinto che queste cose siano realmente accadute”. Particolarmente importante appare essere, inoltre, il processo di somatizzazione, cioè la presentazione di sintomi fisici in assenza di patologia organica o l’amplificazione di disturbi fisici concomitanti a malattie organiche, al di là di una possibile connessione fisiogena (Kirmayer, 1984). Le manifestazioni organiche non sono prodotte intenzionalmente né tantomeno sono il frutto di simulazione, ma sono disagi reali che contengono una forte componente affettiva, cognitiva e comportamentale. Questo quadro è ulteriormente accentuato da oggettive difficoltà ad esprimere i propri stati d’animo in una lingua straniera e con persone che non condividono la propria cultura di origine, soprattutto in una condizione di sfiducia generica nell’uomo e nell’umanità che spesso è il risultato dei traumi subiti durante il viaggio e/o effetto di difficoltà post-migratorie. Inoltre, come messo in luce dal DSM V, l’aver subito precoci esperienze traumatiche e la presenza di norme culturali e sociali che svalutano e stigmatizzano la sofferenza psicologica rispetto alle sofferenze fisiche, costituiscono fattori che possono contribuire all’insorgenza di processi di somatizzazione.
IL TRAUMA NEL PROCESSO MIGRATORIO L’Enciclopedia di Psicoanalisi definisce il trauma come “un evento della vita della persona caratterizzato dalla sua intensità, dall’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla viva agitazione e dagli effetti patogeni durevoli che esso provoca nell’organizzazione psichica. Il trauma è caratterizzato da un afflusso di eccitazione (arousal) che è eccessivo rispetto alla tolleranza del soggetto e alla sua capacità di dominare ed 19
CAPITOLO I
che spesso dietro alla richiesta – implicita o esplicita – di e essere trattati come adulti c’è la necessità di contribuire economicamente alla famiglia rimasta nel Paese di origine, quindi di poter lavorare.
elaborare psichicamente queste eccitazioni” (Laplanche J., Pontalis J. B., 2008). Lo stesso trauma, pertanto, può incidere diversamente sulla vita di differenti individui, potendo questi fare affidamento su risorse personali più o meno ricche e solide (fattori di resilienza). D’altro canto, lo stesso individuo può subire più o meno danni a seconda del tipo di evento con cui si confronta. Quando un trauma è dovuto, ad eventi “naturali”, ci si dovrà confrontare con conseguenze materiali come la povertà, dei lutti, problemi economici ma si avrà ancora a disposizione fiducia e speranza in sé stessi e nel resto dell’umanità, poiché si avrà, nonostante tutto, la possibilità di contare sugli altri (Lalli, 1997). Viceversa, quando l’evento non è dovuto a fattori naturali ma alla violenza dell’uomo, il trauma diviene più grave e più difficilmente sopportabile poiché la fiducia di fondo nella solidarietà tra gli esseri umani crolla. La perdita della fiducia nel genere umano e nella prevedibilità degli eventi esterni, genera angoscia di morte e della distruzione della propria persona e della propria personalità. L’esperienza di violenza antropogena – cioè perpetrata intenzionalmente da un uomo su un altro uomo - intacca certezze e convinzioni che fino a quel momento erano date per scontate e può incidere a lungo e in modo sostanziale sulla salute psico-fisica dell’individuo. Ciò avviene frequentemente nei migranti vittime di torture nei quali facilmente si sviluppano significativi cambiamenti della personalità (transitori o duraturi che essi siano) tali da modificare a loro volta le modalità attraverso cui la persona percepisce, ragiona e si pone in relazione con con sè stesso e con gli altri (Aragona et al., 2012). Mediante il concetto di “trauma psicosociale” con il quale viene indicata l’insieme di condizioni stressanti che generano reazioni emotive intense e disturbanti e che si verificano in risposta ad un processo sociale distruttivo che supera la soglia di tolleranza umana, abbiamo la possibilità di concentrarci non solo sul vissuto dell’individuo, ma anche sulle caratteristiche sociali e culturali in cui si sono verificati gli eventi traumatici e sulle conseguenze che portano a livello sociale. In quest’ottica, 20
dunque, il trauma è il risultato dell’interazione tra contesto sociale e caratteristiche dell’individuo (Santone G., Gnolfo F., 2008). Assumere la prospettiva psicosociale ci sarà utile a definire progetti di intervento che considerino risorse e criticità non solo personali ma anche sociali, mettendoci nelle condizioni, così di considerare all’interno dello stesso modello anche le risorse e le criticità della comunità, dei gruppi e del tessuto sociale circostante. Il trauma psicosociale non è costituito da un solo evento traumatico, ma dall’azione di episodi traumatici multipli verificatisi prima (violenza estesa nel territorio di origine), dopo (stress da transculturazione e rischio di respingimenti, detenzioni o altre perdite della libertà personale) e durante il processo migratorio (violenze, torture, perdita di compagni di viaggio, detenzione, rischio continuo per la propria incolumità). Partire dal concetto di trauma psicosociale da un lato ci permette di non concentrarci solo sulla sintomatologia specifica individuale, dall’altro ci obbliga a definire le coordinate socioculturali entro cui i traumi si sviluppano poiché queste possono fungere da moderatrici o moltiplicatrici del trauma stesso. Ci permette, inoltre, di porre le basi per il superamento della categoria nosologica di Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD), di cui già diversi autori (Baldwin S .A., Williams D. C., Houts A. C., 2005) hanno messo in luce i principali limiti quali: - l’uso eccessivo di questo costrutto nell’esame della condizione psicologica dei migranti; - la validità dell’uso di questo concetto con persone provenienti da contesti socio-culturali diversi da quello europeo o nordamericano; - il rischio di patologizzazione psichiatrica; - l’eccessiva semplicizzazione della situazione traumatica, riportando ad un solo o a pochi eventi chiave l’origine dei disagi psichici esperti; - scarsa considerazione delle coordinate socio-culturali che hanno influenzato lo sviluppo della situazione traumatica;
La letteratura (Schweitzer, R., Melville, F., Steel, Z., & Lacherez, P., 2006), inoltre, è ormai ricca di evidenze secondo cui le cosiddette post-migration living difficulties (difficoltà esistenziali post-migrazione), cioè le condizioni di vita che i migranti trovano nel paese ospitante, giocano un ruolo paragonabile (e in alcuni casi anche maggiore) all’entità stessa dei traumi migratori e pre-migratori nel determinare la salute psichica. Migranti con traumi gravi che trovano buone condizioni di accoglienza sperimentano maggiore benessere psicologico rispetto a chi subisce traumi di minore entità ma trova situazioni di vita sfavorevoli nel paese ospitante. Difatti, condizioni di accoglienza inadeguate agiscono come fattore moltiplicatore dei disagi psicologici esperiti da chi migra (Aragona et al., 2012).
ACCULTURATIVO Lo stress è una risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi. A partire dalle osservazioni compiute durante il nostro lavoro nei centri di accoglienza per MSNA, possiamo affermare che le condizioni di stress he interessano questi ultimi si manifestano principalmente con: - sintomi fisici: stanchezza, mal di testa, mal di schiena, indigestione, tensione al collo e alle spalle, mal di stomaco, tachicardia, sudorazione delle mani, alterazione del ciclo sonno-veglia, iperfagia o ipofagia. - sintomi comportamentali: alimentazione compulsiva, atteggiamento critico verso gli altri, comportamenti prepotenti e aggressivi. - sintomi emozionali: tensione, rabbia, nervosismo, ansia, pianti improvvisi, umore depresso, senso di impotenza, predisposizione ad agitarsi o sentirsi sconvolti.
In particolare, sono tre gli elementi del Post-Migration Living Difficulties (PMLD) che appaiono essere particolarmente ritraumatizzanti (Aragona M., Geraci S., Mazzetti M., 2014): - vivere in un contesto deculturalizzante, in cui il soggetto migrante non viene percepito come portatore di una propria cultura, di cui è riconosciuta il valore, ma come oggetto passivo i cui elementi culturali non sono riconosciuti; - solitudine sociale ed esclusione sociale, processi accentuati spesso dalla mancanza di Progetti Educativi Individualizzati e di Progetti di Integrazione chiari e ben definiti; - esposizione a stimoli scatenanti, come violenza diretta o indiretta, episodi di razzismo subiti od osservati, mancanza di un clima familiare ed accogliente.
STRESS E STRESS
- sintomi cognitivi: problemi nella presa di decisione, preoccupazione costante, perdita del senso dell’umorismo, mancanza di creatività, difficoltà di attenzione e di concentrazione. Chi migra, di fatto, deve affrontare diversi compiti stressanti: deve apprendere una nuova lingua, deve adattarsi a un nuovo contesto socio-culturale e deve conoscere nuove regole e norme sociali. Questi compiti vengono affrontati, inoltre, senza più alcune importanti risorse disponibili nel paese di origine (il proprio status sociale, il proprio ruolo all’interno della comunità e la rete di rapporti sociali fra tutte). Il trovarsi in una situazione di incontro-scontro, tra modelli culturali differenti, sottopone il migrante ad un continuo sforzo per la ridefinizione della propria identità; sforzo che risulta essere ancora più intenso quando si affronta il processo migratorio in una fase delicata della propria vita per il proprio sviluppo identitario, come nel caso degli adolescenti e pre-adolescenti migranti. 21
CAPITOLO I
- uso di un’etichetta passivizzante che si concentra molto sui deficit, poco sulle risorse e sui fattori di resilienza dei soggetti coinvolti.
Tale situazione si configura come stress da transculturazione o stress acculturativo, una particolare condizione di stress psicologico che chi migra si trova a dover gestire nello sforzo di adattamento al nuovo contesto. Fondamentale, in questa fase è il ruolo di chi accoglie nel facilitare il percorso di inclusione sociale tra persone con appartenenze culturali differenti, facendo da “cuscinetto sociale” attraverso il riconoscimento della dignità personale e culturale e la ridiscussione partecipativa di regole, significati e modi di entrare in relazione. Il rischio è quello descritto da Foucault (1969): “quando l’uomo rimane estraneo a ciò che passa nel suo linguaggio, quando non può riconoscere significati umani e vitali nelle produzioni delle sue attività, quando si trova costretto entro le determinazioni economiche e sociali senza poter sentire questo mondo come una patria, allora egli sta vivendo in una cultura che consente il prodursi di patologie”. Lo stress acculturativo viene definito dall’Istituto di Educazione Internazionale di Chicago (Institute of International Education, 2015) come “una diminuzione dello stato di salute” e “la percezione del paese ospitante come ambiente ostile e negativo”. Si intende quindi come stress acculturativo, il disorientamento mentale, la fragilità emotiva, la sensazione di smarrimento sociale nella quale si trova il migrante una volta immerso in un’altra cultura, quando accade che si ponga in discussione il fondamento dell’identità e del riconoscimento di sé nei nuovi contesti culturali di riferimento. Chi si trasferisce in un nuovo Paese deve lottare per adattarsi, socialmente e psicologicamente, ad una nuova cultura e maggiori sono le differenze tra norme, politica, costumi sociali e standard di formazione tra paese d’origine e paese ospitante, maggiore sarà l’incidenza dello stress acculturativo. Recenti ricerche hanno messo in luce, infine, la correlazione esistente tra stress acculturativo e comparsa di sintomi depressivi e/o ansiosi (Thoman, L. V., & Suris, A., 2004).
DIRITTO ALLA PARTECIPAZIONE 22
Diverse disposizioni della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia riguardano il diritto alla partecipazione dei minori. La partecipazione è uno dei principi-guida della Convenzione, nonché una delle sue sfide fondamentali. L’articolo 12 afferma che i minori hanno diritto a partecipare ai processi decisionali che hanno rilevanza nella loro vita e ad influenzare le decisioni prese nei loro confronti, all’interno della famiglia, della scuola o della comunità. Il principio afferma che i minori sono persone a pieno titolo che hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni su tutte le questioni che li riguardano e richiede che tali opinioni siano ascoltate e che venga dato loro il giusto peso in conformità con l’età e la maturità del minore. La partecipazione è fondamentale per l’autosviluppo. Gli adolescenti non si sviluppano se relegati in ruoli passivi, ridotti a semplici spettatori che devono solamente ascoltare verità già decise. Al contrario, attraverso la partecipazione i giovani sviluppano abilità, costruiscono competenze, formano aspirazioni, acquisiscono sicurezza ed aumentano la loro capacità di resilienza. Più uno partecipa in modo significativo, più diventa esperto, competente e fiducioso, più riuscirà a sua volta a partecipare in maniera ancora più efficace. (UNICEF, 2001). Questa esperienza contribuisce al benessere psicologico, incrementando il senso di controllo sulla propria vita. Inoltre, la partecipazione assicura una maggiore riuscita dei progetti di vita: è ormai risaputo infatti che i ragazzi e le ragazze che hanno un ruolo attivo nel definire e gestire i propri progetti non solo contribuiscono con idee ed inputs significativi, ma finiscono col percepirsi come co-protagonisti. Essi diventano maggiormente responsabili delle proprie azioni e sono più motivati ad agire, vendendo come essi posso portare ad un cambiamento reale. La partecipazione inoltre favorisce l’apprendimento, sviluppa le life skills e consente l’auto-protezione. Gli adolescenti che sono incoraggiati ad esprimere le loro opinioni e ad essere assertivi hanno più probabilità di avere una maggiore stima e fiducia in se stessi. Essi sapranno gestire meglio situazioni offensive, di minaccia o ingiuste, perché avranno a disposizione più strumenti per chiedere consiglio, uscire da
RESILIENZA, FLOURISHING E CRESCITA POST-TRAUMATICA II termine resilienza, coniato all’interno del mondo della fisica e della biologia, viene usato dalla psicologia e dalla sociologia per indicare “la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando le proprie risorse sul piano personale e sociale” (Oliverio Ferraris, 2003). I principali studiosi sembrano trovare accordo sulla definizione di resilienza intesa come “la capacità di una persona o un gruppo di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi anche severi (Malaguti, 2005). Questa definizione mette in luce la stretta relazione tra l’individuo e il contesto sociale nel determinare le caratteristiche di resilienza. La resilienza, infatti, è il risultato dell’interazione tra la soggettività dell’individuo, il suo vissuto e il contesto in cui vive, con tutte le sue caratteristiche economiche, sociali, politiche e culturali. Il concetto di resilienza è studiato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità (resilienza comunitaria) per indicare una condizione che, in situazioni di emergenza o difficoltà collettiva, aumenta la coesione fra i membri del gruppo e le risorse vitali dei singoli partecipanti (Di Blasio, 1995). Lo sviluppo dei fattori di resilienza può essere influenzata negativamente dalla presenza di alcuni fattori di rischio quali: la presenza di una situazione familiare compromessa, fattori sociali e ambientali sfavorevoli (povertà, assenza di lavoro, emigrazione, isolamento relazionale), problemi di salute, presenza di minacce vitali (guerre, catastrofi naturali, deportazioni forzate, torture).
Ovviamente, un singolo fattore di rischio non è sufficiente a determinare un disadattamento dell’individuo. Difatti, a contrastare gli effetti negativi delle circostanze avverse vi sono molteplici fattori di protezione, divisibili in tre grandi aree (Ius, Milani, 2010): - Fattori protettivi individuali: temperamento positivo, intelligenza, socievolezza, competenze comunicative, empatia, locus of control interno, senso di coerenza, ottimismo (disposizione a cogliere il lato buono delle cose), coping orientato ai problemi, umorismo, hardiness (convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante e visione dei cambiamenti come possibili opportunità di crescita). - Fattori protettivi familiari: clima familiare facilitante (collaborazione e condivisione di esperienze positive), calore emotivo e coesione familiare, struttura educativa adeguata (equilibrio tra aspetti affettivi e normativi), relazioni di attaccamento positive, modelli organizzativi familiari flessibili, disponibilità di risorse sociali ed economiche, processi comunicativi tesi alla comprensione reciproca in momenti di crisi, incoraggiando l’espressione aperta delle emozioni e un approccio collaborativo alla risoluzione dei problemi. - Fattori protettivi extrafamiliari e sociali: supporto sociale, ambiente sociale non punitivo, ambiente scolastico attento e adeguato e successo scolastico, presenza di un adulto significativo al di fuori della famiglia, buone relazioni informali e presenza di una rete significativa di relazioni tra pari, partecipazione ad una struttura sociale positiva, presenza di un senso collettivo di gruppo. Cercando di riassumere, potremmo affermare, cosi come sostiene Gilligan (1997), che lo sviluppo della resilienza si basa su tre elementi imprescindibili: 1) la sensazione di possedere una base sicura, 2) una buona stima di sé, 3) il sentimento di efficacia personale. A completare il concetto di resilienza vi è 23
CAPITOLO I
una situazione negativa, o far fronte in modo creativo quando non c’è uscita (UNICEF, 1999a: 3.2). In questo senso la partecipazione è fondamentale per la protezione. Al contrario, un’eccessiva protezione può far sentire gli adolescenti impotenti, dipendenti e impreparati a fronteggiare le nuove sfide della vita.
quello di flourishing e quello di crescita post traumatica. Il flourishing, concetto coniato dallo psicologo statunitense Seligman (2012) può essere definito come ciò che accade quando si creano tutte le condizioni affinchè ciascuno possa sviluppare pienamente il proprio sé, agisca per il proprio fiorire, coltivando i propri talenti e costruendo relazioni profonde e durature. La capacità personale di rifiorire mediante il contatto con gli altri e con il proprio ambiente si sviluppa intorno a 5 aspetti principali: 1) vivere emozioni positive; 2) coinvolgimento attivo; 3) comprensione del significato del proprio essere nel mondo e delle proprie priorità; 4) realizzazione in armonia con sé stessi e gli altri; 5) costruzione di buoni rapporti sociali. Tedeschi e Calhoun (2004) hanno osservato alcune persone vittime di traumi, le loro reazioni e il loro stato psicologico in seguito agli eventi vissuti. Analizzando i dati emersi dalle loro osservazioni, hanno maturato delle considerazioni relative ad un’inaspettata tendenza di alcune di queste persone, che non solo hanno mostrato di resistere alle circostanze, ma che avevano anche intrapreso un cambiamento positivo. Indagando la natura di questi processi di cambiamento, i due autori hanno coniato il termine “crescita post traumatica” (Posttraumatic Growth), definibile come “un cambiamento psicologico positivo come risultato di una lotta contro circostanze di vita altamente impegnative e sfidanti”. (Tedeschi e Calhoun 2004). Si individuano generalmente tre aree principali in cui avvengono i positivi cambiamenti posttraumatici: la percezione di sé, le relazioni interpersonali e la visione della propria vita. La crescita post-traumatica può quindi assumere forme diverse: l’individuazione di nuove possibilità per la propria esistenza, una maggiore riconoscenza verso la vita, relazioni interpersonali più gratificanti e consapevoli, una vita spirituale più ricca, un maggiore senso di forza interiore.
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2
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Capitolo 2
DALLA TEORIA ALLA PRATICA Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo
2.1
2.1 PARADIGMA PSICOSOCIALE, ATTIVITÀ PSICOSOCIALI E COLLOQUI DI GRUPPO
Nella presa in carico dei minori stranieri non accompagnati, le attività psicosociali si costituiscono come un’importante metodologia terapeutica centrata sull’uso dell’immaginazione, sulla scoperta delle proprie risorse e potenzialità e sulla possibilità di ripensarsi e riconcettualizzare le esperienze vissute. Al centro di questo processo terapeutico vi è l’idea che la creatività sia un’inesauribile fonte di benessere per la persona. L’obiettivo è quello di incrementare il sapere e il saper fare (conoscenze e tecniche) dei beneficiari delle attività, assegnando un ruolo di primaria importanza alle disposizioni individuali (motivazioni, tratti di personalità, immagine di sé, conoscenze e abilità). Le azioni di supporto psicosociale, grazie alla loro capacità di incrementare la resilienza, favorire l’analisi del proprio passato e la costruzione di progetti per il futuro, sono indispensabili per accompagnare i migranti nella realizzazione del proprio progetto migratorio. Le attività psicosociali permettono, infatti, da un lato di riscoprire, valorizzare e ridare senso alla propria cultura di origine, alla propria simbologia e alla propria “cosmologica” (Coppo, 2008), dall’altro riducono lo stress acculturativo, favorendo l’incontro con la cultura e la popolazione del paese d’arrivo. L’aggettivo psicosociale, inoltre, ci obbliga a non concentrarci esclusivamente sulla “sintomatologia”, ma a definire le coordinate socio-culturali dei disagi psichici esperiti.
uno strumento estremamente duttile che permette di superare molti dei limiti del setting psicologico classico che spesso si dimostrano nelle terapie all’interno dei centri di accoglien za (ad es. assenza di domanda esplicita da parte dei beneficiari, impossibilità di strutturare un setting standard, impossibilità di pensare terapie a lungo termine), dando ai minori stranieri non accompagnati maggiori possibilità di incontro e comprensione con i professionisti della salute mentale europea (Polito, 2017). Esse appaiono pertanto indispensabili per accompagnare i migranti nella realizzazione del proprio progetto migratorio, valorizzando risorse individuali, familiari e sociali presenti sul territorio, nonché i rischi cui possono essere esposti in quanto migranti e minorenni. Il paradigma psicosociale presenta alcune peculiarità che lo caratterizzano e che permettono di differenziare le attività psicosociali da quelle ludico-ricreative e dai gruppi prettamente psicologici. Le principali peculiarità sono:
la centralità delle relazioni interpersonali, della loro ristrutturazione, del fare insieme e del recuperare fiducia negli altri e, più in generale, nella “bontà dell’uomo” riconoscendo – come dice De Martino (1959) – il “fondo comune di umanità”;
Le attività psicosociali, inoltre, appaiono come 25
CAPITOLO II
Paulo Freire
italiani, gli svizzeri, i tedeschi etc…), ma anche perché omettono il contesto in cui le persone vivono e agiscono. Queste generalizzazioni e semplificazioni diventano pregiudizievoli nel momento della costruzione di relazioni, tanto più quando la relazione va a costruirsi con operatori specializzati come psicologi e assistenti sociali per la presa in carico dei minori e il loro supporto psicosociale.
l’importanza primaria assegnata alle disposizioni individuali del soggetto (capacità, competenze, problemi emergenti, interessi e motivazioni); permettere che i partecipanti si autoriconoscano la capacità di sapere e di saper fare, mediante l’acquisizione di conoscenze, interessi e tecniche nuove. Gli obiettivi principali psicosociale sono quindi:
del
paradigma
valorizzare le strategie di resilienza;
L’approccio alla cura così come si è sviluppato nei Paesi Europei e nord-Americani può incontrare diverse difficoltà nella sua applicazione con i minori stranieri non accompagnati. La prima difficoltà si ha nello strutturare un “setting terapeutico”. Lo psicologo è una figura terapeutica nata all’interno di contesti occidentali e quindi socialmente, culturalmente e storicamente determinata a cui molti migranti incontrati nei centri di accoglienza non sono familiari. I dispositivi di cura sviluppati in molti dei contesti di origine dei migranti in Italia raramente prevedono il solo coinvolgimento del paziente e del terapeuta ma spesso a essere coinvolta è l’intera famiglia d’origine o l’intera comunità. Tutto ciò fa sì che, anche in situazioni d’importante disagio, vi sia un’assenza di domanda esplicita da parte del singolo MSNA, in considerazione anche della difficoltà tipica dell’adolescenza nel formulare richieste di aiuto specifiche.
riattivare i legami con i diversi sistemi di appartenenza positivi (affettivi, culturali, religiosi, ecc.); offrire spazi di confronto personale e interpersonale e spazi di simbolizzazione e di ri-simbolizzazione, permettendo di rinarrare la propria storia e moltiplicando i punti di vista su fatti e situazioni importanti; riflettere assieme su aspettative e progetti futuri offrendo risorse piuttosto che schemi; cucire la frattura identitaria dovuta alla perdita dei propri legami e delle proprie sicurezze.
COSTRUIRE RELAZIONI CON MSNA: PRESA IN CARICO PSICOLOGICA INDIVIDUALE E DI GRUPPO Come ben sintetizzato in “Accogliere rifugiati e richiedenti asilo. Manuale dell’operatore critico” (Faso, Bontempelli, 2017) “molti operatori dell’accoglienza attribuiscono i comportamenti degli ospiti alla ‘cultura’, di solito pensata in modo semplicistico come cultura nazionale. Abbiamo sentito spesso frasi del tipo «si sa che i nigeriani sono indisciplinati e ingovernabili», o «lo sanno tutti che i ragazzi del Bangladesh sono miti e collaborativi». Si tratta di stereotipi infondati: non solo perché si basano su generalizzazioni quanto mai arbitrarie e banalizzanti (i nigeriani non sono tutti uguali, come non lo sono gli 26
La seconda difficoltà si ha nell’impossibilità spesso di programmare terapie a lungo termine ed instaurare relazioni di aiuto strutturate. La permanenza dei minori all’interno dei centri generalmente non può essere stabilita a priori e spesso si trovano ad abbandonare i progetti di accoglienza in modo abbastanza repentino. Pertanto, l’intervento psicosociale, individuale o di gruppo, deve necessariamente strutturarsi in un clima di sensibilità culturale e di conoscenza e studio di altre visioni del mondo. Al centro dell’intervento terapeutico va posto l’individuo e la sua peculiare identità personale e culturale, consapevoli di incontrarlo in un luogo a metà.
2.2 GESTIRE UN GRUPPO DI MSNA: PREVENIRE IL BURN-OUT DEGLI OPERATORI
Tante volte, parlando e incontrando gli operatori dell’accoglienza e tanto più coloro che lavorano nelle primissime fasi, ci è stato manifestato il disagio di sentirsi percepiti dai MSNA come i responsabili di tante mancanze e ritardi che incontrano lungo il loro percorso, che creano sentimenti di frustrazione generalizzata. Ovviamente, la maggior parte di queste criticità non dipendono dai singoli operatori ma sono lacune e problematiche di sistema, legate a procedimenti burocratici lunghi ed estenuanti, o ad un meccanismo di ritardi non propri ma delle istituzioni (basti pensare ai tempi per l’ottenimento dei documenti). A queste si aggiunge il disagio di lavorare spesso in contesti dove non vi è una chiara qualificazione delle proprie mansioni e competenze, con un conseguente svilimento e non riconoscimento del proprio ruolo anche agli occhi di chi si accoglie. E’ partendo da questo disagio che abbiamo voluto sviluppare un paragrafo affrontando anche il tema del burn-out degli operatori. Perché la relazione e inequivocabilmente binaria e per essere funzionale deve accogliere il benessere di entrambe le parti che si incontrano. La psicologa americana Maslach (1981) definisce il burn-out come “una reazione alla tensione emotiva cronica del contatto continuo con esseri umani, in particolare quando essi hanno problemi o motivi di sofferenza”. Il burn-out è una sindrome che comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione e si manifesta principalmente in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate (infermieri, medici, insegnanti, assistenti sociali, educatori, psicologi, ecc.) e spesso può essere adottato come meccanismo di difesa per contrastare lo stress causato da uno squilibrio tra richieste lavorative e risorse disponibili. Esso
I principali effetti del burn-out sono: mancanza di tono e di energia vitale (sentirsi molto stanchi anche appena svegli con una mancanza di entusiasmo nell’affrontare la giornata, apatia generalizzata in ogni ambito della vita, affaticamento cronico sono il primo campanello di allarme); difficoltà di ascolto, attenzione, di apprendimento e di memoria (le capacità di concentrazione cominciano a vacillare sempre più, la difficoltà nel ricordare diventa un problema ricorrente e implica uno scarso rendimento scolastico e/o lavorativo). Si possono presentare problematiche come tachicardia, extrasistoli e irregolarità di vario genere nel battito cardiaco, dolore nella zona toracica e ipertensione, asma bronchiale e iperventilazione con respiro rapido e superficiale con conseguenze anche posturali. Lo stress è strettamente legato anche a problemi digestivi (disturbi addominali e cattiva digestione), difficoltà a riposare e insonnia (la tensione cui si è sottoposti in periodi stressanti non permette al corpo, ai muscoli e al sistema di rilassarsi completamente; questo risulta molto pesante a livello organico perché impedisce al corpo di recuperare e resettarsi durante la notte con un accumulo giorno dopo giorno di stanchezza fisica e mentale), problemi cutanei con eccessiva sudorazione specialmente al palmo delle mani e alla pianta del piede, iperidrosi che può colpire anche il sistema endocrino con una influenza sulle attività secretorie delle ghiandole periferiche (surrenali, pancreas, reni, tiroide). Possiamo distinguere 4 fasi del burn-out (Edelwich, Brodsky, 1980): fase dell’“entusiasmo idealistico”: l’operatore si sente motivato dalla sua scelta di svolgere una professione di tipo assistenziale, con aspettative di “onnipotenza”, di successo, di miglioramento del suo status e di quello dei suoi utenti. In questa prima fase l’operatore comincia però ad entrare in contatto con i bisogni degli utenti e spesso tralascia o 27
CAPITOLO II
2.2
diventa patologico quando non si risponde in maniera adeguata a carichi eccessivi di stress e comporta in questo caso sia un decadimento di risorse psicofisiche che un peggioramento significativo delle prestazioni professionali, manifestandosi principalmente con atteggiamento di indifferenza, cinismo e scarsa motivazione lavorativa.
trascura i propri bisogni profondi e le proprie motivazioni. - fase di “stagnazione”: l’operatore continua a lavorare, ma si accorge che il suo lavoro non lo soddisfa del tutto e i risultati dei suoi sforzi lavorativi cominciano a risultare inconsistenti. Comincia a farsi strada un sentimento di profonda delusione. Da una precedente immagine di salute, bontà, potere, l’operatore diventa vittima del dolore, del disagio e dei bisogni, espressi dall’ utente, come se fosse difficile distinguere sé stesso dall’ altro. - fase della “frustrazione”: l’operatore comincia a credere di non essere più in grado di aiutare nessuno. Il suo vissuto è di perdita e svuotamento. Inoltre la frustrazione deriva anche dallo scarso apprezzamento che derivano dai superiori o dagli utenti stessi. In questa fase il soggetto frustrato potrebbe mettere in atto atteggiamenti aggressivi, verso sé o gli altri o atteggiamenti di fuga e ritiro. - quarta fase: è quella in cui il graduale disimpegno dell’operatore che potrebbe portarlo ad una vera e propria “morte professionale”, cioè ad un abbandono della sua professione. La prevenzione o il superamento di una situazione di burn-out va quindi ricercata: in un’adeguata dell’ambiente lavorativo;
organizzazione
- nella creazione di un clima lavorativo positivo, che sostenga la motivazione al lavoro; - in una corretta formazione e informazione degli operatori (ad esempio attraverso costanti supervisioni, incontri con figure professionali esterne all’ equipe); - garantendo un clima gratificante per l’operatore, aiutandolo a gestire il suo carico emotivo personale a favore della promozione del benessere psicofisico e prevenire problematiche relative allo stress lavoro correlato. 28
Con le premesse di questi primi due capitoli che hanno guardato alle fatiche e risorse dei minori stranieri non accompagnati così come a quelle degli operatori dell’accoglienza, le prossime pagine vogliono essere un insieme di spunti e possibilità per guidare i professionisti che lavorano con MSNA nella definizione della progettazione psicosociale garantendo l’effettiva e centrale partecipazione del minore in ogni sua fase.
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Capitolo 3
LE ATTIVITÀ PSICOSOCIALI C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato. Danilo Dolci
Le prossime pagine vogliono rappresentare lo spunto e il punto di riferimento per gli operatori dei centri di accoglienza di MSNA per sviluppare attività di supporto psicosociale. Le attività sono state suddivise pensando ai tempi di permanenza dei minori all’interno delle strutture, nel breve, medio e lungo periodo, dall’ingresso, fino all’uscita del minore o al suo trasferimento. Per ogni attività, si è voluto soffermarsi sugli obiettivi e le finalità e in particolare sulle life skills che con quanto proposto possono essere rafforzate e/o sviluppate. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) si definiscono life skills le “competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni” e possono essere suddivise in tre aree specifiche: abilità emotive, abilità relazioni e capacità cognitive. Come riferimento teorico, parlando di MSNA e tantopiù di adolescenti migranti, si è deciso di rifarsi alle 10 life skills individuate da Unicef nell’Adolescence Toolkit qui riassunte: Identità e autostima: capacità di riflettere e analizzare i propri punti di forza, gli obiettivi raggiunti, le proprie debolezze, ruoli e responsabilità; comprendere il rispetto per gli altri; cogliere le diverse identità di gruppo; valorizzare come gruppi diversi condividano aspetti comuni.
Comunicazione ed espressione: abilità di comprendere i punti di forza e i punti di debolezza individuali, ascoltare gli altri, capacità di esprimere idee e opinioni con la scrittura; capacità di esprimere verbalmente idee e opinioni, capacità di comunicare in maniera efficace e non violenta. Creatività e innovazione: abilità di esplorare idee e pensieri con la scrittura, musica, teatro e altre arti; sperimentare soluzioni innovative e creative per la gestione dei problemi, capacità di assumersi rischi e saper trarre beneficio dalle opportunità che possono presentarsi. Gestire lo stress e le emozioni: abilità di esprimere le diverse emozioni in modo costruttivo, riconoscere e comprendere le risposte emotive allo stress, utilizzare strategie funzionali per ridurre lo stress e gestire le emozioni, riconoscere come le emozioni e lo stress possano influenzare gli altri, reagire con modalità costruttive alle emozioni e stress altrui. Cooperazione e lavoro d’equipe: riconoscere le diverse capacità come un bene prezioso per un team , ascoltare idee e opinioni altrui e trovare soluzioni cooperative, essere inclusivo, trovare compromessi con un gruppo o team, creare relazioni sane, rispettose e cooperative con gli altri.
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Pensiero critico e capacità decisionale: capacità di ponderare rischi e benefici di possibili azioni, raccogliere e verificare informazioni per effettuare scelte consapevoli, supportare le decisioni con prove e argomentazioni fondate, riconoscere gli stereotipi (genere, cultura, razza). Leadership e influenza: abilità di riconoscere, perseguire un piano fino al raggiungimento degli obiettivi e superando gli ostacoli; capacità di aiutare sè stesso e gli altri; abilità di gestire conflitti/problemi con la famiglia, amici e gruppi di pari. Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti: abilità di comprendere le cause dei problemi e conflitti, esplorare multiple soluzioni per la gestione di un conflitto, stimolare gli altri nel comprendere e rispettare le visioni di ciascuno, capacità di utilizzare tecniche di negoziazione in conflitti interpersonali, tenere in considerazione e rispettare le diverse posizioni di ognuno all’interno di un conflitto, disaccordo o problema. Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi: abilità di immaginare un futuro positivo per sè stessi, la propria famiglia e comunità, comunicare e condividere speranze e obiettivi per il futuro con altri, individuare gli obiettivi e un piano per raggiungerli, adoperarsi e agire con gli altri per raggiungere gli obiettivi identificati. Al termine di ogni attività si è deciso di dedicare uno spazio per note, commenti o altro che l’operatore potrà utilizzare per i propri appunti e scritti, per le proprie modifiche e come spazio nel quale annotarsi come riadattare ai propri contesti e gruppi di ragazze/i presenti in struttura quanto proposto. L’intento è di
lasciare questo manuale come uno strumento aperto, che ogni operatore con le competenze specifiche del proprio ruolo, potrà rendere suo.
DOVE REALIZZARE LE ATTIVITÀ Le attività di seguito proposte sono il frutto di quanto sviluppato dal team psicosociale di MdM all’interno dei C.A.S. nell’area di Reggio Calabria ma non devono essere pensate come limitate alla prima accoglienza. In particolare le sezioni di media e lunga permanenza possono essere proposte anche in contesti di seconda accoglienza come gli S.P.R.A.R. o all’interno di centri di aggregazione giovanile (C.A.G.) che accolgono minori stranieri non accompagnati e che puntino allo sviluppo delle life skills tra gli obiettivi del proprio piano educativo. Tutte le attività possono essere realizzate in uno spazio interno o esterno alla struttura, abbastanza capiente da accogliere tutti i partecipanti e in una posizione del centro di accoglienza che possa garantire la giusta tranquillità e isolamento durante la realizzazione, riducendo le distrazioni esterne e non essendo luogo di passaggio per altre attività.
I FACILITATORI DELLE ATTIVITÀ Le attività di gruppo per potersi inserire all’interno del percorso di progettazione individualizzata per ogni ragazzo/a dovrebbero sempre vedere la conduzione da parte di almeno un operatore specializzato, sia esso educatore, assistente sociale, o psicologo. Per garantire l’effettiva partecipazione dei migranti risulta inoltre centrale il coinvolgimento dei mediatori culturali durante la realizzazione delle attività e nella fase di restituzione delle riflessioni raccolte. Spesso, soprattutto i contesti di prima accoglienza, si trovano a operare in scarsità di risorse, con limiti di budget e di personale, e con la difficoltà di reperire mediatori culturali qualificati per le varie provenienze dei minori stranieri accolti. Per questo motivo è possibile prevedere la realizzazione delle diverse attività garantendo almeno la comunicazione nella maggioranza delle lingue presenti nel centro e con il seguire della permanenza dei minori nel centro e l’apprendimento della lingua italiana, valutare quando sarà possibile realizzare le attività anche utilizzando l’italiano come lingua veicolare. Ruolo fondamentale dei mediatori culturali sarà anche quello 31
CAPITOLO III
Empatia e rispetto: capacità di ascoltare e comprendere i pensieri e i sentimenti degli altri, riconoscere e rispettare somiglianze e differenze tra le persone, costruire relazioni positive con famiglia, amici e tra pari.
di riportare a educatori, assistenti sociali o psicologi presenti nel centro, osservazioni specifiche raccolte durante lo svolgimento delle attività per poter identificare reazioni e/o comportamenti dei minori che possano magari suggerire di sviluppare una presa in carico più individualizzata, qualora venga considerata necessaria. Le attività, anche se svolte in un contesto di gruppo, potrebbero infatti far emergere esperienze e ricordi traumatizzanti che richiedono un adeguato follow-up individuale del ragazzo/a da parte degli operatori e dei servizi specializzati.
LA DURATA La maggioranza delle attività proposte hanno una durata di massimo un paio d’ore ciascuna per garantire una partecipazione e attenzione continuativa dei ragazzi/e coinvolti. Oltre a queste, alcune schede prevedono la realizzazione di attività multisessione, sviluppate in più giornate e di maggior durata. In questo caso sarà importante cercare di mantenere alto l’interesse e garantire la partecipazione continuativa dei ragazzi/e e valutare se e come modificare le varie sessioni per garantire un effettivo coinvolgimento del gruppo.
UNA PREMESSA Prima dell’avvio di un percorso di supporto psicosociale che veda al suo interno la proposta di attività di gruppo come quelle sotto elencate è importante che gli operatori e i facilitatori responsabili spieghino chiaramente il senso e gli obiettivi di quello che si andrà a fare, verificando che sia stato compreso dai ragazzi/e il perché ultimo di queste attività. Non si vuole far scadere i momenti di gruppo che verranno condivisi come semplici spazi ludico ricreativi ai quali si può liberamente aderire o meno. Non essendo infatti le prossime attività in rapporto uno a uno, ma al contrario attività che vogliono tra i vari obiettivi anche rendere il gruppo tra pari uno spazio protetto e una risorsa per i singoli che decidono di aderirvi, è importante che venga spiegato in premessa quello che si vorrà realizzare e con 32
quale intento di supporto e presa in carico. Allo stesso tempo, sarà importante invitare i ragazzi/e il più possibile a garantire una partecipazione continua e attiva in modo da vivere tutto il percorso come un cammino di crescita personale e relazionale.
FREQUENZA Si consiglia di sviluppare le seguenti attività con una cadenza di almeno due volte a settimana, alternando negli altri giorni momenti dedicati ad attività maggiormente ludico-ricreative. Le attività psicosociali saranno realizzate con l’obiettivo di sviluppare e rafforzare le life skills dopo una valutazione dei diversi bisogni da parte degli operatori. Molteplici sono le attività proposte (attività di orientamento, di scambio culturale, attività creative, di gestione delle emozioni, ecc.) e per ogni categoria sarà possibile sceglierne un paio e alternarle, al fine di realizzare un programma di supporto psicosociale che risponda alle necessità e i bisogni del gruppo specifico.
3
3.1
3.1 ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI BREVE DURATA ATTIVITÀ DI ACCOGLIENZA, ORIENTAMENTO, CONOSCENZA RECIPROCA E COESIONE DI GRUPPO TITOLO ATTIVITÀ: WELCOME ON BOARD Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Cooperazione e lavoro d’equipe
Finalità e obiettivi
Presentazione e orientamento nella struttura di accoglienza Coinvolgimento degli ospiti nella vita quotidiana del centro, far comprendere regole e orari.
N. partecipanti
Tutti i beneficiari ospiti nel centro
Durata
1 ora 30 minuti
Materiali
Penne, pallina, frasari, quaderno
Svolgimento
1. Si inizia l’attività con un breve momento di ice breaker game. Ci si dispone tutti in cerchio e a turno si lancia la pallina ad un compagno/a dicendo il proprio nome e una attività che gli/le piace molto fare. Una volta che ogni partecipante si sarà presentato, si ricomincia il giro, ma questa volta il ragazzo/a che riceverà la pallina dovrà dire il nome della persona alla propria destra e/o sinistra. 2. Si continua descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste. Si tratta della prima attività da proporre immediatamente dopo l’arrivo nel centro di nuovi ragazzi/e. Si condividerà con loro quindi l’obiettivo di questo primo momento insieme per presentarsi, conoscersi, comprendere il luogo in cui sono arrivati, capire le regole del centro e le attività che vengono proposte. 3. Ad ogni beneficiario verrà presentato il centro, e tutti coloro che vi lavorano, sottolineando i vari ruoli ricoperti. Verranno consegnate e appese al muro le regole e gli orari, tradotti nelle varie lingue. 4. Infine verrà consegnato un piccolo frasario, per permettere agli ospiti di cominciare ad avvicinarsi alla lingua italiana, un quaderno e una penna. 5. Si concluderà l’attività con una discussione nella quale i ragazzi/e possono condividere se vi sono aspetti poco chiari e fare domande sul centro in cui sono arrivati
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Breve Durata
INDOVINA CHI Life Skills
Creatività ed innovazione, Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Presentazione dei minori ospiti nella struttura Aumentare la conoscenza reciproca e la coesione di gruppo
N. partecipanti
Tutti i beneficiari ospiti nel centro
Durata
1 ora 30 minuti
Materiali
Penne, cartoncini, scotch
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste. 2. Ad ogni ragazzo/a viene consegnato un cartoncino e un pennarello e gli si chiede di scrivere una parola per lui/lei importante che non deve fare vedere agli altri. La parola può riguardare un luogo, una persona cara, un sogno, un’aspirazione, o uno stato d’animo del minore. 3. Dopo che tutti hanno scritto sul proprio foglio, si inizia in cerchio con un primo ragazzo/a che attaccherà sulla fronte della persona seduta alla sua destra il cartoncino facendo in modo che la persona che riceve la parola non la legga. 4. La persona con il cartoncino in testa può iniziare a fare domande agli altri per indovinare la parola. Alle domande è possibile rispondere solo con “si’” o “no”. 5. Una volta indovinata la parola, la persona che l’ha scritta racconta agli altri il perché ha scelto quella parola e come mai è importante per lui/lei in questa fase di vita.
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Attività Breve Durata
TITOLO ATTIVITÀ: 5 IO PER 5 DITA Life Skills
Identità e autostima, Comunicazione ed espressione, Creatività ed innovazione, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Facilitare la conoscenza dei minori ospiti nella struttura Aumentare la coesione di gruppo Iniziare a riflettere sulle proprie capacità e competenze
N. partecipanti
Tutti i beneficiari ospiti nel centro
Durata
1 ora 30 minuti
Materiali
Penne, cartoncini
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste. 2. Ad ogni minore viene consegnato un cartoncino e un pennarello e gli si chiede di disegnare la sagoma della propria mano sul foglio. 3. Per ogni dita della mano viene chiesto di scrivere o disegnare all’interno una caratteristica di sé, una qualità, o se si vuole anche un proprio difetto. 4. Una volta che tutti hanno finito di completare e o colorare la propria mano, liberamente la si presenta agli altri, raccontandosi. Tutte le mani vengono poi ritagliate e incollate su un cartellone con disegnato un albero, e ogni mano andrà a comporre le foglie dell’albero. La stessa attività si può proporre anche in una fase successiva all’accoglienza iniziale dei minori dove a ognuno viene chiesto di scrivere e completare la mano di un compagno/a indicando 5 elementi che, secondo lui/lei, lo/la caratterizzano.
CAPITOLO III
Note
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AttivitĂ Breve Durata
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Attività Breve Durata
LE 3 H (HEAD, HEARTH, HANDS) Identità e autostima, Comunicazione ed espressione, Creatività ed innovazione, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Facilitare la conoscenza dei minori ospiti nella struttura Aumentare la coesione di gruppo Iniziare a riflettere sulle proprie paure e aspettative per il proprio futuro
N. partecipanti
Tutti i beneficiari ospiti nel centro
Durata
1 ora 30 minuti
Materiali
Cartelloni bianchi di grandi dimensioni, pennarelli, pennelli, tempere, matite
Svolgimento
1. Si inizia l’attività descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste. 2. Ci si dispone in cerchio e si consegna ad ognuno un cartello in grande formato e a coppie si chiede di aiutarsi per disegnare la propria sagoma sul cartellone. È importante avere a disposizione per ciascun ragazzo/a un cartellone abbastanza ampio da poter contenere la sagoma reale di almeno il busto e la testa di ogni partecipante. 3. Una volta terminato di disegnare la sagoma del proprio corpo sul cartellone, ognuno/a in forma autonoma e ricavandosi il proprio spazio, disegna o scrive nella sagoma nella zona della testa (head) che cosa lo preoccupa, nell’area del cuore (heart) che cosa ama e gli piace fare, nelle mani (hands) che cosa vorrebbe avere e stringere tra le mani. 4. Si conclude l’attività quando tutti hanno finito di dipingere il proprio sé sul cartellone e ritornati in gruppo, ogni ragazzo/a può presentare il proprio lavoro spiegando quello che ha deciso di rappresentare.
CAPITOLO III
Life Skills
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AttivitĂ Breve Durata
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Attività Breve Durata
ATTIVITÀ INTERCULTURALE Empatia e rispetto, Creatività ed innovazione, Identità e autostima, Comunicazione ed espressione, Leadership e influenza
Finalità e obiettivi
Sviluppare lo scambio tra le diverse culture e tradizioni degli ospiti presenti nel centro. Favorire un clima di armonia tra gli ospiti, supportando l’idea che la diversità è ricchezza.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Cassa audio e microfono, fogli e pennarelli, bandiere dei paesi d’origine dei partecipanti
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Veniamo tutti da Paesi diversi, conosciamoci, e conosciamo da dove arriviamo”). 2. Ai partecipanti viene chiesto di dividersi in vari gruppi secondo le diverse nazionalità (circa 6/7 persone per ciascun gruppo e se necessario si può valutare anche di realizzare gruppi misti o dividere persone della stessa nazionalità). 3. Si chiede a ciascun gruppo di salutarsi utilizzando 3 espressioni diverse in 3 lingue locali differenti parlate nel proprio paese d’origine. 4. In seguito, a ogni gruppo viene chiesto di scegliere e cantare una canzone famosa nel proprio paese di origine. 5. Ad ogni gruppo viene inoltre chiesto di disegnare una casa tradizionale e di mostrarla agli altri. 6. Infine, ogni gruppo dovrà preparare e ballare una danza tradizionale insegnandola agli altri. 7. Con l’aiuto dei mediatori culturali si concluderà l’attività sottolineando l’importanza della conoscenza reciproca, dei propri contesti di origine, come base per l’inizio di una vita comune all’interno del centro di accoglienza.
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Breve Durata
Life Skills
Empatia e rispetto, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Creatività ed innovazione, Identità e autostima, Comunicazione ed espressione
Finalità e obiettivi
Condivisione del proprio processo migratorio e di quanto si conosce dell’Italia e dell’Europa Condivisione delle aspettative e della volontà di rimanere in Italia o di spostarsi in altri paesi europei
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Cartelloni, pennarelli, cartine Italia, Europa, Africa e Mondo, cartine tagliate per puzzle e mappe mute di Italia ed Europa
Svolgimento
- Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Oggi capiamo insieme dove ci troviamo, il percorso che abbiamo intrapreso prima di arrivare qui, e cosa vogliamo sapere sull’Italia e sull’Europa e sulla città/paese dove ci troviamo”). - Si inizia l’attività mostrando una cartina del mondo in grande formato e si chiede a ogni partecipante di disegnare il tragitto del proprio viaggio, partendo dal paese di origine fino all’arrivo in Italia. - Dopo questa prima condivisione, i ragazzi/e si dividono in due o più gruppi per iniziare una sfida/gioco sulle conoscenze geografiche che già possiedono: 1. Si consegnano i pezzi di una cartina dell’Europa insieme allo scotch e un cartoncino. Alle squadre viene chiesto di ricomporre le cartine nel minor tempo possibile. 2. Si continua chiedendo a ogni squadra di eleggere un portavoce che dovrà indovinare le capitali dei diversi stati europei annunciati dal facilitatore. Per ogni città indovinata viene assegnato un punto alla squadra. 3. Su una cartina muta dell’Italia si chiede infine a ogni squadra di collocare nella corretta posizione 10 foglietti con ciascuno il nome delle principali città. 4. Si riprendono insieme le conoscenze apprese durante il gioco e si approfondisce infine la posizione geografica della struttura (regione, provincia e comune) dando informazioni sui luoghi rilevanti e che possono essere di interesse per i ragazzi/e (ad es. postazioni wi-fi gratuite, biblioteche pubbliche, scuole, fermata dell’autobus più vicina, ecc.). 5. Alla fine dell’attività si può decidere di consegnare un piccolo premio alla squadra vincitrice, per riconoscere il merito nell’impegno dedicato e della partecipazione. Se necessario, il facilitatore e i mediatori spingeranno i ragazzi/e alla condivisione del premio con tutti i partecipanti.
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CAPITOLO III
“DOVE SIAMO E DA DOVE VENIAMO”
AttivitĂ Breve Durata
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Attività Breve Durata
Life Skills
Creatività ed innovazione, Empatia e rispetto, Identità e autostima, Comunicazione ed espressione, Gestire lo stress e le emozioni
Finalità e obiettivi
Permettere ai ragazzi/e di esprimere la propria passione per la musica, fornendo loro uno spazio di distress impegnando le proprie abilità. Sviluppare la creatività e la capacità di costruire oggetti (come gli strumenti musicali) promuovendo la consapevolezza del proprio saper fare. Creare un punto di contatto con le loro radici e con il simbolismo e i riti tipici di ogni contesto di origine attraverso il suono e la danza.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
4 ore (2 sessioni da 2 ore ciascuna)
Materiali
Scatole di cartone, elastici, fermacampione, bicchieri di cartone, riso (o altri semi), piatti di plastica, tappi, vari strumenti musicali, cassa audio, microfono
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 2 sessioni:
Note
Sessione I
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Oggi potrete costruire il vostro strumento musicale personale, che poi potremo utilizzare per danzare e cantare insieme”). 2. Per tutti i partecipanti vengono messi a disposizione vari materiali e si mostrano alcuni esempi di strumenti che è possibile riprodurre. Ogni partecipante ha la possibilità di scegliere quale strumento realizzare e utilizzare i materiali necessari. 3. Si lascia il tempo necessario per dedicarsi alla costruzione di strumenti musicali con materiali di riciclo e di uso comune, individualmente o a piccoli gruppi con il supporto dei facilitatori e mediatori culturali.
Sessione II
1. Ci si dispone in cerchio e si mettono al centro gli strumenti musicali, sia quelli costruiti dai ragazzi/e sia quelli messi a disposizione dagli operatori. Ogni ragazzo/a può scegliere uno degli strumenti. 2. Si scelgono alcuni ragazzi/e che, insieme ai facilitatori, dirigeranno la sessione musicale e si mette a disposizione il microfono per chi volesse cantare. 3. I ragazzi/e che dirigono la sessione scelgono una sinfonia, la spiegano e cercano di metterla in musica. 4. Di volta in volta si cambiano i direttori e ognuno può scambiarsi lo strumento musicale. 5. Si può chiedere ai ragazzi/e anche di creare un gruppo che inizi a ballare seguendo la musica che viene suonata. 6. Al termine dell’attività si propone un momento di condivisione e ognuno può, attraverso un aggettivo, dire agli altri come si è sentito durante la sessione musicale. Per lo svolgimento dell’attività si consiglia di cercare la collaborazione di associazioni locali e/o volontari che possano mettere a disposizione gli strumenti musicali necessari e prendano parte alle sessioni musicali. Le sessioni musicali possono essere ripetute più di una volta se i ragazzi/e manifestano un particolare interesse e se ne vede l’opportunità.
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CAPITOLO III
E ORA...MUSICA!
AttivitĂ Breve Durata
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Attività Breve Durata
ART ATTACK Creatività ed innovazione, Identità e autostima, Comunicazione ed espressione, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi
Finalità e obiettivi
Riscoprire e ripensare le proprie radici, la propria identità e il proprio percorso di vita. Il disegno permette di raccontarsi senza parole, di esprimere le proprie emozioni e le parti più profonde.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Fogli, cartelloni, tele da dipinto, pennelli, tempere, colori a matita
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Ognuno di voi avrà modo di rappresentare sé stesso prima e dopo il viaggio migratorio”). 2. Si lascia a ognuno/a il tempo di pensare al proprio passato e al proprio presente, cercando di creare un ambiente raccolto ed empatico magari grazie all’utilizzo di una musica di sottofondo adeguata. 3. A ogni ragazzo/a, in forma autonoma e ricavandosi il proprio spazio, viene chiesto di rappresentare su un foglio/cartellone/tela due diverse scene della sua vita, prima e dopo il viaggio. 4. Una volta che tutti hanno terminato, si ritorna in gruppo e ogni ragazzo/a, a turno, può presentare il proprio elaborato spiegando cosa rappresenta per lui. Il facilitatore con l’aiuto dei mediatori culturali faranno delle restituzioni di gruppo per analizzare, comprendere e affrontare quanto disegnato. Se necessario è possibile continuare l’attività con un momento di colloquio individuale nel caso sia emerso qualche elemento di particolare vulnerabilità nella fase di rappresentazione e racconto dei propri disegni.
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Breve Durata
FILM CLUB Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Comunicazione ed espressione, Empatia e rispetto, Identità e autostima
Finalità e obiettivi
Offrire spunti di riflessione, modelli positivi e stimolare le capacità resilienti e di risposta alle crisi legati alla propria vita personale, il processo migratorio, la costruzione del futuro, le differenze tra i contesti di origine e di arrivo.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 fino a un massimo di tutti gli ospiti del centro
Durata
2 ore
Materiali
Proiettore, casse audio, film multilingue (sottotitolati) e una scheda di presentazione del film
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo brevemente la trama e il motivo per il quale si è scelto quel particolare film. 2. Si proietta il film affiancando i ragazzi/e in modo da verificare che riescano a comprendere i dialoghi e le scene grazie al supporto dei mediatori culturali. 3. Dopo la visione, ci si dispone in cerchio e si apre una riflessione su quanto visto (cosa li ha colpiti, quali emozioni ha suscitato, qual è il messaggio più bello che per loro gli ha trasmesso il film). Questa fase può essere facilitata, soprattutto nelle prime sessioni, dall’operatore che può preparare una lista di spunti sulle tematiche che si vogliono condividere.
Note
La scelta dei film da guardare deve essere pensata in base alle tematiche di interesse per i ragazzi/e come ad esempio il viaggio, l’impegno per vedere realizzati i propri sogni, l’integrazione in nuove realtà diverse dai propri contesti di origine, ecc. Alcuni titoli di film che possono essere di particolare interesse per MSNA di età compresa tra i 14-18 anni sono: - Queen of Katwe; - Non sposate le mie figlie; - Samba; - Quasi Amici; - Africa United.
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Breve Durata
LABORATORIO DI FOTOGRAFIA “I VOLTI DELLA CITTÀ” Life Skills
Comunicazione ed espressione, Creatività ed innovazione, Identità e autostima, Leadership e influenza, Cooperazione e lavoro d’equipe
Finalità e obiettivi
Permettere ai ragazzi/e di acquisire nuove competenze e aumentare la consapevolezza sul loro “saper fare”. Aumentare la conoscenza del territorio ospitante. Sviluppare un percorso introspettivo centrato sul presente, riscoprendo la città che li ospita in questo determinato periodo del loro percorso.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
8 ore (4 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Macchine fotografiche usa e getta, cartoncini neri formato A4, bombolette spray di colore nero, righelli, matite, forbici, nastro adesivo nero, lattine da 33 cl, puntine, carta, pennarelli, carta fotografica, liquidi fotografici, bacinelle, video Proiettore, scanner per supporti a pellicola.
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 4 sessioni:
Note
Sessione I
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività (ad esempio: “Oggi vestiremo i panni di un fotografo. Attraverso gli scatti che realizzerete vedremo la realtà e il mondo che ci circonda attraverso i vostri occhi”) 2. Si continua con una presentazione introduttiva offrendo cenni storici della fotografia, primi rudimenti, descrizione delle strumentazioni che verranno utilizzate (es. macchina fotografica, camera oscura, camera chiara, foro stenopeico). 3. Dopo la prima parte, si procede costruendo una vera camera a foro stenopeico e si prova a utilizzarla facendo fare ai ragazzi/e pratica di scatto, sviluppo e trattamento dei materiali.
Sessione II
1. Si inizia la seconda sessione consegnando a ogni ragazzo/a una macchina fotografica usa e getta e si condivide insieme il progetto che dovranno realizzare (es. cosa fotografare e in quale spazio, cosa decidere di rappresentare e per quale motivo, ecc.). 2. Si comunica il tempo limite per effettuare tutti gli scatti, finire i rullini e riconsegnarli e si lascia i ragazzi/e liberi di esplorare il centro di accoglienza e il quartiere circostante per realizzare le fotografie.
Sessione III
1. Si inizia l’ultima sessione con l’editing del progetto e si condivide in gruppo un momento di restituzione per analizzare sentimenti, emozioni e vissuti emersi durante il lavoro. 2. Si procede con la stampa di tutti gli scatti realizzati dai ragazzi/e si selezionano insieme i migliori scatti realizzati, finalizzando il lavoro per essere mostrato al pubblico.
Sessione IV
1. Si realizza una vera e propria esposizione delle foto realizzate, ideando e allestendo una piccola mostra con gli scatti fotografici selezionati. Per il buon esito del laboratorio, è importante coinvolgere e lasciar condurre le attività a un fotografo professionista, che possa trasmettere le sue conoscenze e la passione per il suo lavoro. In base all’interesse dimostrato dai ragazzi/e e alla qualità delle foto realizzate si può inoltre valutare di contattare qualche associazione locale o luogo pubblico della zona in cui si trova il centro di accoglienza per realizzare una vera e propria esposizione.
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CAPITOLO III
Attività Breve Durata
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Attività Breve Durata
LETTERE PER L’AFRICA Life Skills
Comunicazione e espressione, Gestire lo stress e le emozioni, Creatività ed innovazione, Identità e autostima, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Pensare ai propri legami sociali, sia quelli creati in Italia sia quelli che si sono interrotti a causa della migrazione. Riflettere sulla vita nel proprio paese e quella in Italia, confrontando le diverse situazioni e prendendo coscienza degli aspetti positivi e negativi di ciascun luogo
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
1 ora
Materiali
Fogli, penne, colori, post-it colorati
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi tutti in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività. 2. Si consegnano ai partecipanti 4 post-it, dove si chiede di scrivere le cose più belle e più brutte che secondo loro caratterizzano l’Italia e il proprio paese d’origine. 3. In gruppo si continua con un momento di condivisione nel quale si invita alla restituzione di quanto scritto, dei pensieri emersi e si riflette sulle ragioni che li hanno spinto a scriverli. 4. Si propone infine ai ragazzi/e di scrivere una lettera ad una persona importante nel proprio paese (il Presidente per esempio) raccontando cosa vedono quotidianamente in Italia. I partecipanti sceglieranno di conseguenza se proporre dei cambiamenti nel proprio paese o se raccontare il motivo per cui sono partiti, ma anche di raccontare i motivi per cui rimpiangono la vita precedente alla migrazione. 5. Infine, le lettere scritte saranno usate per creare delle piccole barche di carta da abbandonare in mare, perché intraprendano un simbolico viaggio verso le loro destinazioni.
Note
Si possono pensare diverse alternative (in base alla collocazione del centro) alle barchette nel mare, per esempio l’invio delle lettere tramite palloncini con l’elio o lanterne cinesi.
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Attività Breve Durata
Life Skills
Creatività ed innovazione, Comunicazione ed espressione, Cooperazione e lavoro d’equipe
Finalità e obiettivi
Attraverso il disegno, raccontare, senza parole, esprimere le proprie emozioni e sentimenti. Condividere con gli altri i propri vissuti relativi alla permanenza in Italia. Mettere in gioco e sviluppare le proprie competenze manuali e la propria creatività. Rendere il centro di accoglienza uno spazio proprio da sentire come casa.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
12 ore (4 sessioni di 3 ore ciascuna)
Materiali
Pannelli di legno, colori a tempera, smalto, pennelli, acqua ragia, pennarelli e fogli A4
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 4 sessioni:
Sessione I
1. Si inizia la prima sessione disponendosi tutti in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività (ad esempio: “Ognuno di voi potrà rappresentare il proprio viaggio o la permanenza in Italia per creare collettivamente un murales”). 2. Ci si dispone in cerchio e si lascia ad ognuno/a il tempo di pensare al proprio viaggio e alla permanenza in Italia, cercando di creare un ambiente raccolto ed empatico. Ognuno, in forma autonoma e ricavandosi il proprio spazio, continua disegnando una bozza di ciò che vorrebbe realizzare. 3. Ritornati in gruppo, ogni ragazzo/a può presentare il proprio disegno spiegando cosa rappresenta per lui/lei. Il facilitatore insieme ai mediatori culturali faranno, delle restituzioni per analizzare, comprendere e affrontare quanto rappresentato. 4. Si conclude la sessione scegliendo tra tutti, gli elaborati che si vorranno dipingere per realizzare i murales.
Sessione II
1. Si consegna il materiale e si fa una bozza a matita dei disegni scelti. 2. Si ricalca il disegno su uno o più pannelli in legno (o se possibile su una parete del centro) e si colora insieme.
Sessione III e IV
1. Si continua ultimando i disegni, facendo attenzione di favorire la cooperazione tra i ragazzi/e e garantire la partecipazione attiva di tutti. Una volta ultimati tutti i pannelli/murales, a ogni partecipante viene chiesto di lasciare la sua firma sull’opera. 2. Si conclude l’attività con un momento di condivisione in gruppo, dove ognuno/a può restituire agli altri come ci si è sentiti, se si è soddisfatti del lavoro svolto, se il disegno realizzato lo/la rappresenta e perché. Si decide infine insieme dove esporre i pannelli in modo che rimangano in forma stabile all’interno del centro di accoglienza.
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CAPITOLO III
PAINT THE WALLS DOWN
AttivitĂ Breve Durata
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Attività Breve Durata
“QUESTO SONO IO” Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Pensiero critico e capacità decisionale, Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti, Comunicazione ed espressione
Finalità e obiettivi
Ripercorrere il proprio percorso di vita per riscoprire le proprie origini e quel che siamo ora e come il viaggio ha cambiato le vite dei ragazzi/e. Analizzare le proprie vite in Italia e gestire le aspettative precedenti alla partenza.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
1 ora
Materiali
Cartina dell’Africa, dell’Asia e del mondo
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività. Si introduce l’ospite del giorno che può essere un ragazzo/a arrivato/a nella stessa città di sbarco della maggioranza dei MSNA ospiti nel centro, già da tempo in Italia e con un percorso di integrazione avviato (ad es. un mediatore, un ospite di uno Sprar o una persona che abbia ultimato il percorso di accoglienza e possa rappresentare un modello positivo di integrazione). 2. Si lascia il tempo necessario all’ospite per parlare della sua esperienza personale, della vita nel suo paese di origine e per raccontare la sua storia di migrante in Italia. 3. Si invita poi ciascun ragazzo/a a parlare di sé: delle cose e degli affetti che ha lasciato nel suo paese, delle aspettative prima della partenza, dell’esperienza del viaggio, della sua attuale vita in Italia, delle paure del proprio percorso di integrazione, dei suoi sogni per il futuro. 4. Il facilitatore insieme ai mediatori culturali hanno un ruolo chiave nello stimolare il momento di condivisione con domande e interventi, ma anche nel riconoscere la sensibilità dell’argomento e far sentire ascoltato e rispettato chi parla. 5. Con l’aiuto dei mediatori e della persone ospite del giorno, il facilitatore può infine sottolineare che anche se la vita all’interno dei centri di prima accoglienza non rispecchia le aspettative che i MSNA avevano prima del loro arrivo, si tratta solo di una fase del percorso personale dei ragazzi/e che non rappresenta il termine ultimo del loro stare in Italia.
CAPITOLO III
Life Skills
53
Attività Breve Durata
ITALIA QUIZ Life Skills
Cooperazione e lavoro d’equipe, Leadership e influenza, Comunicazione ed espressione
Finalità e obiettivi
Condivisione di nozioni di riferimento sull’Italia Stimolare la curiosità rispetto al nuovo luogo di vita dei partecipanti per favorire una loro integrazione nel territorio.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
1 ora
Materiali
Lista di domande sull’Italia, palla, palloncini, cartellone, pennarello
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Che cosa sapete già dell’Italia?”) e si comunicano le “regole del gioco”. 2. Si dividono i partecipanti in 2 squadre. 3. Ogni membro a turno sarà portavoce della sua squadra e dovrà battere l’avversario in una piccola sfida (ad es. corsa di velocità, fare canestro o scoppiare un palloncino) prima di poter rispondere alla domanda. 4. Il conduttore farà una serie di domande circa la geografia, la storia, la cultura e la grammatica italiana. I ragazzi/e potranno consultarsi con gli altri membri della squadra e, quando saranno certi della risposta, il caposquadra potrà correre verso l’operatore. Nel caso in cui la risposta dovesse essere sbagliata, l’altra squadra potrà rispondere a sua volta. 5. Al termine di tutte le domande, l’operatore, con l’aiuto dei mediatori culturali e con metodo partecipativo, farà un riepilogo delle nozioni apprese durante il gioco, sottolineando quelle di maggior utilità e interesse per l’orientamento dei ragazzi/e sul territorio. 6. Alla fine dell’attività si può decidere di consegnare un piccolo premio alla squadra vincitrice, per riconoscere il merito nell’impegno dedicato e della partecipazione. Se necessario, il facilitatore e i mediatori stimoleranno i ragazzi/e alla condivisione del premio con tutti i partecipanti.
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CAPITOLO III
Attività Breve Durata
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Attività Breve Durata
3 ROOTS – EROI AFRICANI
Life Skills
Cooperazione e lavoro d’equipe, Empatia e rispetto, Leadership e influenza, Comunicazione ed espressione, Identità e autostima
Finalità e obiettivi
Condividere e approfondire la conoscenza dei personaggi più significativi per l’Africa e per il percorso di decolonizzazione dei paesi africani Stimolare la conoscenza reciproca attraverso la condivisione di informazioni relative ai propri Paesi di origine
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
1 ora 30 minuti
Materiali
Cartellone, stampe di citazioni e foto dei principali “eroi” africani
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio tutti attorno alle immagini e alle citazioni stampate e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste (Chi sono i grandi personaggi che hanno segnato la storia dei vostri paesi? Non dimentichiamo mai da dove veniamo e chi siamo). 2. I ragazzi/e vengono poi divisi in gruppi omogenei per nazionalità; 3. Ad ogni gruppo vengono consegnate delle frasi di illustri personaggi africani. Ogni gruppo deve leggerle, commentarle sul significato e il perché sono state dette e, successivamente, collegarle al nome e alla foto del personaggio in questione. 4. Si continua chiedendo a ogni gruppo di presentare agli altri il proprio personaggio e il suo pensiero, esponendo quanto è emerso durante la discussione. 5. Il conduttore sintetizza le riflessioni sviluppate da ogni singolo gruppo e quelle nate in plenaria. È importante sottolineare come parte della propria identità sia legata alle proprie origine e anche alla storia dei contesti di provenienza. 6. Si conclude l’attività costruendo un cartellone con i nomi, le foto e le citazioni, a ricordo dell’attività e degli eroi di ciascuno dei partecipanti.
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3.2
Attività Media Durata
3.2 ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI MEDIA DURATA LA TERAPIA NARRATIVA
Life Skills
Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Empatia e rispetto, Gestire lo stress e le emozioni
Finalità e obiettivi
Ridare un ruolo attivo ai ragazzi/e che vivono un momento di stasi e di attesa del proprio percorso migratorio. Permettere di condividere, in un contesto protetto, esperienze traumatiche che possono così essere ripensate, riscoprendo mediante l’ascolto la propria identità. Permettere ai partecipanti di creare una storia alternativa e sviluppare una migliore compressione con gli altri.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
6 ore (3 sessioni di 2 ora ciascuna)
Materiali
Fogli, penne, gomitolo di lana, forbici, stampa di alberi genealogici
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 3 sessioni:
Sessione I
1. Si inizia la prima sessione disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste e le regole (come ad esempio: questo è uno spazio di condivisione neutro dove ognuno può esprimere il proprio pensiero e raccontare di sé, sedersi in cerchio, rispettare i turni di parola). 2. Si continua con un momento di ice breaker game: si chiede a ognuno dei partecipanti di presentarsi dicendo il proprio nome, paese d’origine e tre qualità di sé stesso. 3. A ogni ragazzo/a viene consegnato un pezzo di carta con scritto un argomento del quale parlare (come ad esempio amore, soldi, documenti, lavoro, famiglia). Ognuno ha 2 minuti per pensare a cosa raccontare e a turno, ogni ragazzo/a a seconda dell’argomento che ha ricevuto parlerà avendo così l’opportunità di raccontare qualcosa del proprio passato, presente o futuro. I partecipanti avranno poi occasione di fare domande o chiedere più dettagli ai propri compagni/e.
Sessione II
1. Si inizia consegnando ai ragazzi/e una serie di domande dettagliate preparate dai facilitatori con l’aiuto dei mediatori culturali. Viene lasciato qualche minuto ad ogni partecipante per poter leggere le domande e pensare a come rispondere. 2. Con l’aiuto di un gomitolo di lana ogni partecipante, dopo averne legato un pezzo al dito, dovrà leggere le domande e rispondere, dopodiché dovrà lanciare il gomitolo a qualcun’altro. Alla fine dell’attività ogni partecipante sarà legato/ connesso l’uno all’altro per far comprendere come siamo tutti collegati e per questo motivo è importate cercare di comprendersi. 3. Si conclude l’attività con un piccolo gioco. Il gomitolo verrà tagliato a pezzetti e ogni partecipante dovrà creare un dono da regalare ad un altro compagno.
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CAPITOLO III
TERAPIA NARRATIVA DI GRUPPO
Attività Media Durata
TERAPIA NARRATIVA DI GRUPPO Sessione III
1. Si comincia con un momento di ice breaker game: ad ogni partecipante viene dato un pezzo di carta sul quale dovranno scrivere un pensiero negativo o un problema che li disturba. Si raccolgono tutti i pezzi carta e si mettono in un cestino, che viene posizionato al di fuori del cerchio. Con questa breve attività introduttiva si vuole chiedere ai ragazzi/e di lasciare simbolicamente al di fuori dell’attività tutti i pensieri negativi 2. Si continua distribuendo a ogni partecipante un albero genealogico vuoto da compilare, inserendo più dati possibili sulla propria famiglia. Si lascia a tutti il tempo necessario per compilarlo. 3. Si chiede poi ad ogni ragazzo/a di riflettere sulla relazione con un membro della sua famiglia con il quale è/era particolarmente legato. A questa persona si chiede di scrivere una lettera nella quale hanno l’opportunità di raccontare qualcosa che non gli avevano detto prima. 4. Una volta che tutti i ragazzi/e hanno finito di scrivere le lettere, si piegano e si mettono all’interno di vari palloncini a elio e le si fanno volare.
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Attività Media Durata
“TÉRANGA” GIORNALINO MIGRANTE Comunicazione ed espressione, Cooperazione e lavoro d’equipe, Creatività e innovazione
Finalità e obiettivi
Rievocare immagini ed esperienze positive e negative per lenire e stimolare la memoria. Attraverso la narrazione della propria storia, riguardare il proprio passato trasmettendolo ai lettori, scegliendo come raccontarsi e discantandosi dai numerosi stereotipi che spesso si vivono nei contesti di arrivo Distribuire il giornalino a tutti coloro che sono in contatto con i ragazzi/e del centro come azione di informazione e sensibilizzazione sui migranti e i contesti di origine.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25 ragazzi/e
Durata
3 ore
Materiali
Fogli, penne, matite colorate, pennarelli, materiali di pittura, computer e scanner
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste (come ad esempio: si desidera realizzare un giornalino di informazione che raccolga le loro testimonianze e racconti da diffondere al di fuori del centro di accoglienza). 2. A ogni partecipante viene chiesto di scrivere e/o disegnare qualcosa per loro significativo sul proprio paese d’origine, come ad esempio alcuni momenti di feste tradizioni, la geografia, la musica, la situazione politica, ecc. Si lascia ognuno libero di scrivere anche storie personali ricordando che l’intento è condividere il giornale con altri italiani che vivono vicino al centro di accoglienza e ai quali loro vogliono raccontare qualcosa di importante. 3. Si lascia o ognuno il tempo necessario di riflessione e di confronto nel quale gli operatori e i mediatori culturali possono aiutare i ragazzi/e nel decidere che cosa scrivere e/o disegnare. Si lascia poi circa un’ora di tempo per lavorare individualmente o in piccoli gruppi. 4. Si conclude poi creando un piccolo gruppo editoriale tra i ragazzi/e maggiormente interessati all’attività con i quali si procede all’impaginazione, alla traduzione in italiano delle storie e alla realizzazione grafica del giornalino. Il gruppo editoriale deciderà anche a chi distribuire le copie che verranno stampate
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Media Durata
IL CLUB DEGLI AUTORI Life Skills
Comunicazione ed espressione, Cooperazione e lavoro d’equipe, Creatività e innovazione
Finalità e obiettivi
Rafforzare le capacità espressive attraverso la narrazione Sviluppare le capacità di resilienza attraverso l’uso dell’immaginazione Stimolare una maggiore autoconsapevolezza attraverso l’elaborazione d’idee e messaggi da trasmettere Sviluppare le capacità di visualizzazione e progettazione del futuro
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 20
Durata
2 ore
Materiali
Fogli, penne, colori, scotch, disegni, materiale stampato (testi e disegni)
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e presentando una favola di Esopo alla quale è stato tagliato il finale, chiedendo ai partecipanti di completarla utilizzando l’immaginazione e facendo riferimento anche a esperienze vissute direttamente 2. Una volta terminata questa prima fase, viene letto a tutti i partecipanti il finale della favola originale e si chiede ai ragazzi di condividere a turno il proprio finale dicendo il perché si è scelto di fare continuare la storia in quel modo 3. L’attività termina con un momento di gioco dove a partire da alcune parole chiave legate alla morale della favola si chiede ai ragazzi/e di riflettere su elementi e messaggi positivi che loro pensano possano essere utili anche per la propria vita all’interno del centro di accoglienza.
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Attività Media Durata
Life Skills
Comunicazione ed espressione, Creatività e innovazione, Cooperazione e lavoro d’equipe, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi
Finalità e obiettivi
Rafforzare le capacità espressive attraverso la narrazione. Mantenere il legame con la cultura di origine attraverso la rielaborazione delle storie trasmesse oralmente. Sviluppare le capacità di resilienza attraverso l’uso dell’immaginazione. Stimolare la capacità di pensare e pensarsi diversamente, di modificare la percezione del passato, del presente e del futuro. Sviluppare nuove capacità e competenze al fine di gestire le emozioni e le criticità.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 20
Durata
12 ore (6 sessioni da 2 ore ciascuna)
Materiali
Materiale online (esempi di favole e disegni), libri, fogli, penne e matite colorate
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 6 sessioni:
Sessione I
1. Si inizia la prima sessione presentando l’idea alla base del progetto e lo svolgimento dei vari incontri. 2. Si continua illustrando la struttura e le principali finalità del genere favolistico e stimolando i partecipanti a pensare a un messaggio che vorrebbero trasmettere ai lettori attraverso le favole che svilupperanno. 3. Si dividono inoltre i partecipanti in due gruppi: il primo che raccoglie gli autori delle favole, il secondo invece gli illustratori delle stesse.
Sessione II
1. Si inizia la seconda sessione con un momento di brainstorming, raccogliendo idee generali sui personaggi e i meccanismi della narrazione favolistica. 2. Si chiede ai ragazzi/e di raccontare per grandi linee una favola appresa durante l’infanzia. 3. I ragazzi sono invitati a riflettere su un messaggio che vorrebbero condividere con gli altri: si procede con un lavoro individuale seguito da una discussione di gruppo. 4. Si elabora un piano generale del progetto sulla base delle idee proposte.
Sessione III
1. Nel terzo incontro i ragazzi/e presentano le bozze e i primi elaborati: si tratta di favole incentrate su immagini, personaggi e temi legati al proprio paese d’origine. 2. I ragazzi/e vengono invitati a leggere i propri elaborati: successivamente, per ogni storia, si avvia una discussione di gruppo. 3. In riferimento ai commenti e alle proposte venute fuori dalla discussione, si propone ai ragazzi/e di lavorare individualmente, approfondendo, modificando, migliorando la propria favola e di presentarla nella sessione successiva.
Sessione IV
1. Nel quarto incontro i ragazzi/e presentano le prime illustrazioni relative agli elaborati discussi nella precedente sessione. 2. Si inizia ad analizzare i testi secondo il punto di vista della scrittura, suggerendo alcune tecniche del genere favolistico (ad esempio l’uso del discorso diretto), stimolando a utilizzare uno stile semplice e sintetico. 3. Si propongono ai ragazzi/e alcuni specifici obiettivi narrativi da perseguire entro la sessione successiva e si evidenziano alcuni momenti topici delle favole da illustrare.
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CAPITOLO III
MIGRANS IN FABULA
AttivitĂ Media Durata
MIGRANS IN FABULA Sessione V
1. Nel quinto incontro si procede con le correzioni finali dei testi. 2. Si chiede ai ragazzi di definire un titolo per ciascuna favola. 3. Vengono infine finalizzate le illustrazioni.
Sessione VI
1. Nell’ultimo incontro vengono condivise tutte le favole elaborate, creando un momento di lettura accompagnata e animata sulla base delle illustrazioni prodotte dai ragazzi/e. 2. Si comincia con il lavoro di editing e di impaginazione. 3. Si definisce il piano generale del libro, che verrà successivamente stampato e consegnato a ciascun partecipante.
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Attività Media Durata
“PICCOLE LIBRERIE PER MIGRANTI” Cooperazione e lavoro d’equipe, Leadership e influenza, Creatività e innovazione
Finalità e obiettivi
Stimolare la creatività dei ragazzi mediante dei laboratori manuali e restituire competenze che facciano sentire i MSNA nuovamente capaci di saper fare, elemento essenziale in un momento di stallo della loro crescita personale come può essere quello di una lunga permanenza in un centro di prima accoglienza. Fornire strumenti di socializzazione e mettere a disposizione libri multilingue per approfondire la conoscenza della lingua italiana e la propria cultura personale, scoprendo o riscoprendo il valore della lettura. Favorire momenti di condivisione di emozione e di stimolazione delle capacità empatiche.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Legno, viti, pittura, pennelli, libri in diverse lingue, cassette di legno, registro
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “Oggi costruiremo una libreria dove riporremo dei libri che potrete utilizzare quando e come volete”) 2. Tutti i partecipanti vengono divisi in tre piccoli gruppi: uno che si occuperà della catalogazione dei libri, uno che costruirà la struttura della libreria e l’ultimo che dovrà dipingerla e decorarla. 3. Ad ogni gruppo viene consegnato il materiale necessario e si assegnano i compiti con l’aiuto di un operatore/facilitatore per gruppo 4. Una volta completato il lavoro, si sistemano i libri nella libreria e si individuano dei responsabili (uno francofono e uno anglofono e altri se presenti ragazzi che parlano altre lingue) che gestiranno la consegna/prestito dei libri. 5. In cerchio, si conclude con un momento di restituzione finale e si propone l’attività del “club del libro” per il prossimo incontro. Si organizzano due gruppi di lettura (uno anglofono e uno francofono) e si chiede a ogni gruppo di leggere lo stesso libro per poi ritrovarsi insieme a commentarlo
Note
Per la buona riuscita dell’attività è importante chiedere il supporto di associazioni culturali del paese/quartiere, della biblioteca di zona, di alcune scuole, ecc. per la raccolta di libri e la partecipazione anche di giovani artisti per la costruzione stessa della libreria.
CAPITOLO III
Life Skills
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AttivitĂ Media Durata
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Attività Media Durata
Life Skills
Pensiero critico e capacità decisionale, Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Sviluppare il pensiero critico, in particolare riguardo la condizione di migranti, i pregiudizi, gli stereotipi sui migranti e più in generale sugli stranieri di ieri e oggi. Conoscere i principali organi di stampa europei e le loro posizioni sui migranti. Fornire uno spazio di approfondimento sulle principali notizie di attualità e sul funzionamento del “sistema Europa”.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 15
Durata
6 ore (3 sessioni da 2 ore ciascuna)
Materiali
Articoli di giornale/quotidiani/siti web, penne e fogli
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 3 sessioni:
Sessione I
1. Si inizia la prima sessione disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività e in cosa consiste (ad esempio: “cercheremo di approfondire le principali notizie di attualità presenti sulle principali testate italiane ed europee”) 2. Si dividono i partecipanti in gruppi omogenei per lingua parlata. 3. Si consegna ad ogni partecipante un articolo della stampa italiana o europea relativo a tematiche legate ai migranti e alle migrazioni. 4. A ognuno viene chiesto di leggerlo e a turno di condividerne il contenuto con gli altri, riassumendolo. 5. Si continua con una discussione aperta stimolata con domande relative agli articoli letti fatte dagli operatori e mediatori culturali (es. quanti migranti pensi siano sbarcati in Italia nell’ultimo anno, che percentuale sono rispetto alla popolazione italiana, perché pensi che gli italiani possano avere paura dei migranti, quali affermazioni dell’articoli pensi non vi rappresentino, ecc.). 6. I punti emersi durante la discussione vengono infine raccolti su un cartellone, riassunti e utilizzati per scrivere, in forma collegiale, un contro articolo di risposta agli articoli letti.
Sessione II
1. Si inizia l’attività chiedendo ai partecipanti di pensare a delle domande da fare agli italiani su atteggiamenti, affermazioni, eventi vissuti o visti in tv che non hanno compreso (es. Perché gli italiani di solito non rispondono se qualcuno li saluta per strada? Perché pensano che gli immigrati siano delle minacce per le proprie donne? Perché dicono che rubano il lavoro? ecc.) 2. Si raccolgono tutte le domande e si dividono i partecipanti in piccoli gruppi da 3-4 persone l’uno e con un operatore/facilitatore e l’aiuto dei mediatori culturali si esce dal centro e si vanno a realizzare le interviste direttamente a persone italiane che vivono vicino. Si possono scegliere luoghi vicino al centro di accoglienza particolarmente affollati come ad esempio un bar, la piazza, un circolo ricreativo, una scuola, ecc.
Sessione III
1. Ogni gruppo dopo aver realizzato le proprie interviste riporta agli altri quanto raccolto e si discute sulle risposte ricevute e in particolare su quelle che hanno colpito maggiormente i ragazzi/e e che non si aspettavano
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CAPITOLO III
IL CONTRO GIORNALE
AttivitĂ Media Durata
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Attività Media Durata
ATTIVITÀ DI SOCIODRAMMA
Gestire lo stress e le emozioni, Cooperazione e lavoro d’equipe, Pensiero critico e capacità decisionale, Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Empatia e rispetto, Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti
Finalità e obiettivi
Aumentare le competenze sociali, espressive e comunicative dei ragazzi. Rafforzare la capacità comunicativa, relazionale ed emozionale dei partecipanti, stimolando la creatività e l’espressività. Promuovere uno spazio per i beneficiari in cui sia possibile ripensare e narrare la propria storia di vita, ridandole umanità e dignità.
N. partecipanti
Tutti i beneficiari ospiti del centro
Durata
8 ore (4 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Vestiti di scena, pennarelli, figli, cartelloni
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 4 sessioni:
Sessione I
Improvvisazione teatrale 1. Come prima sessione si chiede ai ragazzi/e e agli operatori di mettere in scena improvvisando degli episodi legati ai loro vissuti a partire dai contesti più vicini (situazioni accadute nel centro di accoglienza, scuola, gruppo dei pari, relazioni operatori-beneficiari, ecc.). 2. Si continua dividendo i partecipanti in due sottogruppi che si alterneranno in scena. Il gruppo osservatore avrà il compito di dare un rimando rispetto alla scena rappresentata. 3. Dopo ogni scena, si apre un momento di condivisione e confronto e di gestione di eventuali conflitti emersi.
Sessione II
Circo sociale e Teatria 1. La sessione inizia con una prima parte in cui si presentano le principali tecniche circensi e di giocoleria lasciando spazio a ognuno di sperimentarsi ed acquisire competenze artistiche. 2. Nella seconda parte, invece, si continua con una sessione di teatro psicologico con giochi di presa di coscienza e di gestione delle proprie emozioni (“stanza delle emozioni”) e del rapporto con la propria fisicità (“gli occhi della fiducia”). La “stanza delle emozioni” si realizza dividendo lo spazio dell’attività in quattro angoli. Per ogni angolo si identifica un’emozione e viene assegnato un numero (es.: gioia 1, tristezza 2, rabbia 3 e apatia 4). Quando il facilitatore chiama il numero, tutti i partecipanti devono correre verso l’angolo indicato e mettere in scena l’emozione assegnata. Al termine dell’attività si dividono infine i ragazzi/e a coppie per “gli occhi della fiducia” e si benda uno di loro, mentre l’altro dovrà fargli da guida in un percorso ad ostacoli creato con sedie, tavoli, scatole, e altri materiali a disposizione nella stanza. Al termine del percorso i ragazzi invertono i ruoli e ripetono il percorso al contrario.
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CAPITOLO III
TUTTI IN SCENA Life Skills
Attività Media Durata
TUTTI IN SCENA Sessione III
Il mio personaggio, chi sono? 1. Si inizia l’attività chiedendo ai ragazzi/e di scegliere tra i diversi costumi di scena disponibili, e di rappresentare chi sono oggi, specificando quali sono i propri elementi caratterizzanti. 2. Si continua consegnando a ognuno/a una maschera bianca, chiedendo di disegnar la propria maschera, rappresentando gli elementi che adottano comunemente nella relazione con gli altri. 3. A ogni ragazzo/a viene infine chiesto a turno di presentare la propria maschere e condividere con gli altri il lavoro realizzato.
Sessione IV
L’io che vorrei 1. Si inizia l’attività sviluppando una sessione di teatro nella quale ognuno mette in scena la propria machera, rappresentandola come fosse una maschera del Teatro dell’Arte 2. Successivamente si chiede ai ragazzi/e di scambiarsi le maschere e recitare sperimentando l’essere “nei panni degli altri” 3. Si conclude chiedendo a tutti di togliere la maschera scegliendo una caratteristica imprescindibile di sé stesso e mettendola in scena.
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CAPITOLO III
AttivitĂ Media Durata
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3
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Attività Lunga Durata
3.3
3.3 ATTIVITÀ PER MSNA IN ACCOGLIENZA DI LUNGA DURATA ATTIVITÀ DI GESTIONE DELLO STRESS GIOCHI SENZA FRONTIERE Cooperazione e lavoro d’equipe, Comunicazione ed espressione, Identità e autostima, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Condivisione di tradizioni sportive diverse Scaricare le tensioni presenti fra i ragazzi/e Favorire il benessere fisico, mentale e l’integrazione attraverso la partecipazione.
N. partecipanti
Da un minimo di 15 fino a tutti gli ospiti del centro
Durata
1 ora e 30 minuti
Materiali
Mazze da cricket, palloni da calcio o basket, guanti, palla da cricket
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività, in cosa consiste e quali sono le “regole del gioco” (come si partecipa, come si interviene, come funziona il gruppo di lavoro, qual è lo spazio ed i materiali utilizzabili, quali sono i tempi previsti). 2. Viene consegnato il materiale necessario per giocare e si prepara il campo da gioco ad esempio per il cricket o calcio. 3. Ci si divide in squadre e si organizza un torneo con squadre con componenti di diverse nazionalità. 4. Con l’aiuto dei mediatori, si chiede ai ragazzi di spiegare le regole del gioco ai ragazzi che non le conoscono. 5. Successivamente al torneo si procede con una premiazione. 6. Si fa una restituzione in gruppo per condividere il valore di stare insieme, di accettare ed aprirsi alle diversità e condividere le proprie tradizioni.
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Lunga Durata
COME CREARE GIOCHI DA TAVOLO? Life Skills
Creatività e innovazione, Comunicazione ed espressione, Cooperazione e lavoro d’equipe
Finalità e obiettivi
Stimolare la creatività dei ragazzi mediante dei laboratori manuali e restituire competenze, in un momento di stasi della crescita personale come può essere quello di una lunga permanenza in un centro di prima accoglienza. Fornire strumenti di socializzazione.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Pannelli di compensato, truciolato, tappi di plastica, smalto, pennelli, pennarelli, righello, pittura, un telo grande bianco, piatti, bicchieri
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività, in cosa consiste (ad esempio: “oggi costruiremo dei giochi da tavolo che potrete usare nel centro per trascorrere del tempo insieme”). 2. Ci si divide in piccoli gruppi: uno che preparerà il domino, uno le pedine della dama, uno la scacchiera, uno il twister. 3. Si consegna ad ogni gruppo il materiale necessario e si assegnano compiti specifici a coppie di partecipanti. 4. Una volta completato il lavoro, si organizzano un torneo con i giochi realizzati. 5. Si conclude l’attività definendo in gruppo le regole di utilizzo dei giochi in modo che possano essere fruibili a tutti all’interno del centro di accoglienza e che la gestione sia partecipata tra i ragazzi/e.
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Attività Lunga Durata
CUCINE DAL MONDO Cooperazione e lavoro d’equipe, Leadership e influenza, Gestire lo stress e le emozioni
Finalità e obiettivi
Supportare i beneficiari nello scoprire le loro capacità e interessi. Promuovere sentimenti positivi e la condivisione di cibi e tradizioni con i propri compagni e operatori. Promuovere il lavoro di gruppo, superare barriere linguistiche attraverso il cibo.
N. partecipanti
Da un minimo di 10 a un massimo di 25
Durata
2h (una volta al mese)
Materiali
Ingredienti necessari, computer, mappe, musica
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività, in cosa consiste (ad esempio: “Oggi cucineremo tutti assieme, conoscere usi e costumi dei propri compagni di paesi diversi”). 2. Si continua con un momento di ice breaker game: con il supporto di un video si chiede ai ragazzi del paese di provenienza del quale si cucinerà il piatto tipico di insegnare a tutti e ballare insieme una danza tradizionale (ad esempio Coupé Decalé, Zouk) 3. Prima di iniziare a cucinare è importante condividere qualche nozione sul paese scelto e si chiede ai ragazzi/e cuochi per un giorno di condividere alcune informazioni sul proprio paese (come ad esempio quante lingue si parlano, le etnie, la geografia) tutto con il supporto di computer e mappe. 4. Poi ci si muove tutti in cucina, ogni partecipante avrà un ruolo attivo nella preparazione dei piatti e tutti saranno supportati dagli chef della giornata (come ad esempio: come tagliare la carne, le cipolle, quali spezie usare, ecc.) 5. Una volta preparato tutto, imbandire i tavoli e mangiare tutti assieme.
Note
L’attività può risultare molto utile per favorire l’integrazione di ragazzi che sono in minoranza linguistica all’interno dei centri. È importante la presenza di un adulto della stessa nazionalità dei cuochi.
CAPITOLO III
Life Skills
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Attività Lunga Durata
SING OUT Life Skills
Comunicazione ed espressione, Creatività e innovazione, Gestire lo stress e le emozioni, Identità e autostima
Finalità e obiettivi
Aumentare le capacità espressive attraverso la musica. Sviluppare le capacità di resilienza attraverso l’uso dell’immaginazione. Stimolare una maggiore autoconsapevolezza attraverso l’elaborazione d’idee e messaggi da trasmettere. Sviluppare le competenze narrative e musicali attraverso l’approfondimento e lo studio di tecniche specifiche. Introdurre tecniche basilari di registrazione ed elaborazione musicale.
N. partecipanti
Da un minimo di 4 a un massimo di 10
Durata
8 ore (4 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Materiale online (testi e musiche), fogli, penne, impianto stereo, microfono, laptop, scheda audio, cuffie
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 4 sessioni:
Sessione I
1. Nel primo incontro si condivide l’idea alla base del progetto, illustrando le possibilità di espressione in ambito musicale (scrivere testi, lavorare sul ritmo e sugli arrangiamenti, ecc.). 2. Si chiede ai ragazzi/e di scegliere il genere musicale che preferiscono e condividere (facendolo ascoltare agli altri) un brano in particolare, cui sono legati. 3. Si crea un momento di improvvisazione musicale: accompagnando i ragazzi alla tastiera e con l’aiuto di un ritmo elaborato con un software musicale, si invitano i ragazzi/e a cantare liberamente.
Sessione II
1. Nel secondo incontro si organizza un momento ludico e di gioco in cui si chiede a tutti i ragazzi/e di esibirsi da soli o in gruppo, organizzando una piccola gara in modalità talent-show, chiedendo agli operatori del centro di fare da giuria. 2. I ragazzi identificano una base musicale, tra varie proposte, su cui esibirsi. 3. Si parte con la gara: i ragazzi si esibiscono e vengono valutati dalla giuria. 4. Ai tre ragazzi vincitori della gara viene data la possibilità di scegliere il tema e lo stile del brano musicale che verrà creato e registrato insieme.
Sessione III
1. Nel terzo incontro viene presentata la base musicale che verrà utilizzata per la registrazione del brano: se ne discute in gruppo e, se necessario, si apportano modifiche. 2. I ragazzi presentano i propri testi (scritti nella lingua che preferiscono) e li cantano sulla base. 3. Infine si crea un momento in cui gli autori sottolineano i concetti e le idee più importanti dei testi e il perché li vogliono comunicare agli altri. Si discute e si propongono eventuali modifiche.
Sessione IV
1. Durante il quarto incontro si procede a incidere il brano realizzato dai ragazzi/e con tutta la strumentazione necessaria. 2. Si inizia a registrare il ritornello, creando delle armonie eseguite dagli stessi ragazzi: il risultato sarà una parte coerente, una melodia realizzata in coro. 3. Si incidono le strofe (registrate individualmente da ciascun ragazzo). 4. Infine si passa al mixaggio della traccia finale, che verrà poi consegnata a tutti i partecipanti.
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CAPITOLO III
Attività Lunga Durata
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Attività Lunga Durata
ATTIVITÀ DI EDUCAZIONE EMOZIONALE GESTIONE DELLA RABBIA Life Skills
Gestire lo stress e le emozioni, Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti, Pensiero critico e capacità decisionale, Empatia e rispetto
Finalità e obiettivi
Promuovere il benessere psicologico e socio-affettivo dei MSNA attraverso la gestione delle emozioni, l’abilità di riconosce le proprie e quelle altrui
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
6 ore (3 sessioni da 2 ora ciascuna)
Materiali
Cartellone, pennarelli, fogli A4
Svolgimento
L’attività si divide in 3 sessioni:
Sessione I
Riconoscere la rabbia e i segnali di allarme 1. Si inizia l’attività consegnando a ogni ragazzo/a un foglio con una lista di situazioni e atteggiamenti che possono farli arrabbiare e viene chiesto di identificarne tre che sono particolarmente sensibili per loro. Si chiede poi a turno di condividere con gli altri quello che hanno scelto e spiegarne il motivo. 2. Si continua con un role-play nel quale si chiede a ogni partecipante di identificare una parola che esprima ed esemplifichi la loro rabbia e come se ognuno di loro fosse parte di una tastiera di un pianoforte, in cerchio quando vengono indicati dal facilitator/pianista al centro devono urlare la parola scelta. 3. La sessione termina infine chiedendo a ognuno di imitare/simulare una situazione che li aiuta a ritrovare la calma.
Sessione II
Esprimere la rabbia, gestire la rabbia 1. L’attività inizia chiedendo a ogni ragazzo/a di scrivere in un biglietto una situazione che hanno vissuto direttamente all’interno del centro di accoglienza che li ha fatti arrabbiare/sentire umiliati o delusi e si chiede di condividere a turno quello che hanno scritto e perché per loro è stata una situazione che li ha irritati. 2. Si raccolgono i cartoncini e vengono estratti tre fra tutti. Per ogni cartoncino si chiede al ragazzo/a che l’ha scritta di mettere in scena la situazione rappresentando la persona che li ha fatti arrabbiare e chiedendo ad altri di essere parte della rappresentazione. 3. Agli spettatori viene chiesto di intervenire per proporre un nuovo finale che potrebbe portare a non generare rabbia e risolvere la situazione in modo non violento.
Sessione III
Gestione dei conflitti all’interno dei centri di accoglienza 1. Con un gioco di ruolo si chiede agli operatori di scegliere una situazione reale avvenuta nel centro di accoglienza che li ha fatti arrabbiare nell’ultimo mese. 2. Si chiede ai ragazzi/e di mettere in scena l’episodio che gli operatori hanno raccontato cambiando il finale, proponendo situazioni che non avrebbero generato rabbia e conflitti. 3. Si conclude l’attività condividendo in gruppo tra operatori e ragazzi/e possibili tecniche e metodologie per prevenire situazioni conflittuali e gestire episodi di rabbia che possono generarsi nella vita quotidiana del centro di accoglienza.
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CAPITOLO III
Attività Lunga Durata
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Attività Lunga Durata
I CARE Life Skills
Gestire lo stress e le emozioni, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi, Identità e autostima, Comunicazione e autostima
Finalità e obiettivi
Promuovere il benessere psicologico e socio-affettivo dei MSNA attraverso la gestione delle emozioni, l’abilità di riconosce le proprie e quelle altrui Stimolare sentimenti di cura dei minori; dare uno spazio per ragionare sulle proprie aspettative e sui propri progetti per il futuro
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
2 ore
Materiali
Pennarelli, tempere, fogli A4 colorati, bottiglie di plastica, semi, terra
Svolgimento
1. Si inizia l’attività disponendosi in cerchio e descrivendo brevemente lo scopo dell’attività, in cosa consiste. 2. Ci si dispone in cerchio e si chiede ad ognuno di scrivere i propri pensieri negativi di cui ci si vuole liberare e di strapparli e buttarli in un grande contenitore posto al centro del cerchio a simboleggiare il voler lasciare al di fuori dell’attività i sentimenti che incupiscono e preoccupano. 3. Si chiede a questo punto ad ognuno di alzarsi e trovare il proprio posto nella struttura, un posto tranquillo e rilassante dove poter pensare a quale sia il proprio sogno nel cassetto per il futuro e si chiede di scriverlo o rappresentarlo con un disegno su un nuovo foglio. 4. Una volta che tutti hanno terminato di scrivere i propri desideri, si consegna la terra, i semi e le bottiglie tagliate a metà utilizzando il fondo come vaso e si chiede così ad ognuno di “piantare i propri sogni” in modo che possano crescere insieme al seme. Ognuno disporrà il foglio in fondo alla bottiglia buttando sopra la terra e i semi. 5. Si chiede a ciascuno di dipingere e decorare la bottiglia come meglio crede e di trovare il posto giusto per far crescere la pianta. 6. Si torna in gruppo e il conduttore da una restituzione finale sul lavoro svolto. Liberamente i ragazzi possono condividere i sogni che hanno deciso di piantare e che vorrebbero vedere crescere per il loro futuro.
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Attività Lunga Durata
PREVENZIONE ALLA VIOLENZA DI GENERE Life Skills
Empatia e rispetto, Identità e autostima, Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti, Comunicazione ed espressione, Gestire lo stress e le emozioni
Finalità e obiettivi
Aumentare la consapevolezza della distinzione tra sesso, genere e ruoli di genere, esplorando in particolare le aspettative e le percezioni di genere imposte dalle famiglie, dalla società e dalla cultura del Paese d’origine, dai media, ecc. Prevenire gli stereotipi femminili e maschili socio-culturalmente imposti. Analizzare l’impatto dei ruoli di genere sulla costruzione dell’identità e identificare i collegamenti tra i ruoli di genere, la discriminazione e la violenza. Far comprendere il diritto di ognuno di essere rispettato e la responsabilità di valutare e rispettare gli altri in modo equo. Distinguere i diversi tipi di violenza di genere tra cui la violenza fisica, psicologica e sessuale. Riconoscere i collegamenti tra i ruoli di genere e la violenza di genere, ponendo particolare attenzione alla violenza all’interno delle relazioni intime. Prevenire e combattere la violenza di genere attraverso la conoscenza del fenomeno e la promozione di comportamenti responsabili. Analizzare casi in cui il proprio comportamento o le proprie azioni potrebbero essere offensive nei confronti di qualcun altro e innescare dinamiche di violenza.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
6 ore (3 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Cartelloni, cartoncini, colori, colla, mappa su cartellone, immagini di diversi Paesi, proiettore, video sulla violenza psicologica
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 3 sessioni:
Sessione I
1. Si inizia l’attività con un momento di brainstorming, dove si chiede ai ragazzi/e di identificare le caratteristiche che distinguono maschi e femmine e si scrivono su due cartelloni con disegnate le sagome di un uomo e una donna, raccogliendo gli elementi che ritengono rappresentino maggiormente ciascun genere. 2. Si continua con il supporto di una cartina del mondo e immagini di culture differenti, si mostra come tali caratteristiche varino da un Paese all’altro, riflettendo sugli stereotipi socio-culturali. 3. Si conclude riflettendo su come i ruoli di genere, definiti culturalmente, influenzino lo sviluppo dell’identità. Infine, utilizzando delle piccole sagome, i ragazzi si rappresentano come sarebbero se fossero nati in differenti parti del mondo e dell’altro sesso.
Sessione II
1. Durante la seconda sessione si inizia chiedendo ai ragazzi/e di analizzare il concetto di violenza, distinguendone le varie tipologie. 2. Si focalizza poi l’attenzione e la discussione sulla violenza psicologica, con il supporto di video tematici esemplificativi di casi tipo (es. scende di film che rappresentino la violenza psicologica esercita da un marito nei confronti della moglie, scene di violenza verbale in ambito professionale, scene di violenza psicologica nell’educazione dei figli, ecc.). Si analizza ogni video per comprenderne le dinamiche. 3. Infine si riflette sulle conseguenze degli atti violenti e sul diritto di ognuno di essere e sentirsi rispettato.
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Attività Lunga Durata
PREVENZIONE ALLA VIOLENZA DI GENERE 1. Attraverso un role playing su situazioni-target legate a esperienze di violenza si chiede ai ragazzi/e di metterle in scena a gruppi, mentre chi osserva può intervenire per cambiare il finale di quanto viene rappresentato. 2. Si continua riflettendo in gruppo sul diritto a essere rispettati e a rispettare l’altro, immaginando azioni differenti nelle diverse situazioni e riflettendo su circostanze in cui non si è rispettato l’altro. 3. La riflessione si sposta, ancora con l’aiuto di situazioni-tipo, sul rispetto all’interno delle relazioni di coppia, confrontandosi su come si son vissute in passato, si vivrebbero in futuro, si è visto viverle, eventuali modi in cui non si è rispettato il partner o non si è stati rispettati dal partner.
CAPITOLO III
Sessione III
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Attività Lunga Durata
ROMPERE LE RETI DELLA TRATTA Life Skills
Empatia e rispetto, Identità e autostima, Risoluzione dei problemi e gestione dei conflitti, Comunicazione ed espressione, Pensiero critico e capacità decisionale
Finalità e obiettivi
Incrementare la conoscenza del fenomeno della tratta e dello sfruttamento sessuale dei beneficiari MSNA. Riconoscere la tratta quale sistema criminale di sfruttamento. Promuovere la consapevolezza riguardo gli aspetti problematici e i rischi del fenomeno e sui possibili sistemi di fuoriuscita.
N. partecipanti
Da un minimo di 5 a un massimo di 25
Durata
6 ore (3 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Cartelloni, cartoncini, colori, colla, mappa su cartellone, immagini di diversi Paesi, proiettore, video sulla violenza psicologica
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 3 sessioni:
Note
Sessione I
1. Si inizia l’attività chiedendo alle ragazze di disegnare su dei cartoncini i lavori promessi o desiderati in Europa e, a seguire, si incollano tutti su un cartellone e si discute di quelli che ritengono essere i più svolti dalle donne migranti in Italia. 2. Si conclude l’attività presentando i dati reali dell’occupazione delle donne migranti in Italia e in Europa, ponendo il focus su quante donne e anche minori una volta arrivate diventino vittime dello sfruttamento sessuale.
Sessione II
1. Si inizia la seconda sessione mostrando alle ragazze testimonianze in vivo o in video di ex vittime di tratta. Grazie ai video-stimolo si analizzano le dinamiche che portano le vittime a cadere nella rete della tratta e le cause che rendono difficile uscirne. 2. Si approfondisce in particolare il percorso della tratta dal momento del reclutamento, ivi comprese le strategie utilizzate facendo leva sulla necessità di una vita migliore. Inoltre viene analizzato come la tratta si sviluppi su una rete internazionale e non solo locale.
Sessione III
1. Riprendendo le problematiche individuate nella sessione precedente, si chiede alle ragazze di individuare possibili soluzioni al fenomeno, soffermandosi in particolare sulla validità o meno dei riti. 2. Sono presentati, infine, i programmi di protezione ai quali le ragazze possono chiedere aiuto. È importante coinvolgere associazioni e referenti locali dell’anti-tratta presenti sul territorio in modo da condividere i riferimenti e contatti dei canali di protezione ai quali chiedere aiuto in loco.
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CAPITOLO III
Attività Lunga Durata
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Attività Lunga Durata
ATTIVITÀ PER GRUPPI MAMMA-BAMBINO
Comunicazione ed espressione, Empatia e rispetto, Gestire lo stress e le emozioni, Identità e autostima
Finalità e obiettivi
Favorire il legame di attaccamento mamma – bambino/a. Rafforzare la relazione mamma – bambino/a. Stimolare le capacità di cura delle madri per il benessere e lo sviluppo dei figli. Consolidare la percezione del ruolo educativo da parte delle madri. Incrementare il benessere psico-fisico dei bambini. Stimolare la crescita dei bambini.
N. partecipanti
Da un minimo di 2 a un massimo di 8 coppie mamma-bambino/a
Durata
6 ore (3 sessioni di 2 ore ciascuna)
Materiali
Materassini yoga, olio di mandorle, bambola, materiali di riciclo, materiali naturali, utensili, oggetti di uso quotidiano
Svolgimento
L’attività si sviluppa in 3 sessioni:
Sessione I
1. Il primo incontro si focalizza sul momento del parto, come evento nel quale oltre alla nascita del figlio, nasce anche la madre stessa nel suo ruolo. 2. Si chiede alle madri di condividere i loro pensieri e ricordi sull’inizio del rapporto madre-figlio e a turno di scrivere su un cartellone gli aspetti positivi e gli aspetti negativi/fatiche di questa nuova esperienza di donna-madre. 3. Si conclude l’attività con un focus sulle paure prima del parto e sulle paure che avrebbero per un futuro secondo parto e si chiede di condividere un momento/ricordo positivo e bello che portano con sé relativo alla nascita del loro primo figlio.
Sessione II
1. Il secondo incontro viene totalmente incentrato sul contatto e la relazione madre-figlio/a. 2. Attraverso la guida di un’insegnante di massaggio infantile, le madri apprendono e sperimentano con i propri figli le tecniche del massaggio neonatale come attività piacevole e rilassante per costruire la giusta comunicazione e conoscenza tra mamma e bambino. 3. In base all’interesse dimostrato dalle madri si possono sviluppare più sessioni dedicate all’apprendimento di diverse sequenze in base alle varie zone del corpo del bambino, dai piedi fino alla testa.
Sessione III
1. L’ultima attività prevede la costruzione con le madri di una cesta sensoriale, contenente oggetti composti da diversi materiali naturali, colorati, profumati, rumorosi che i bambini possano mettere in bocca, annusare, maneggiare e odorare. La cesta dei tesori è stata inventata dalla psicopedagogista britannica Elinor Goldschmied, ed è adatto ai bambini che sanno stare seduti da soli (intorno ai 6 mesi di vita), senza l’appoggio con le mani, e quindi in grado di manipolare gli oggetti che gli si mettano a disposizione. Il cesto dei tesori offre la possibilità di agire in uno spazio esclusivo, dove soddisfare la crescente necessità di entrare in relazione con gli oggetti del mondo reale e sperimentarli attraverso tatto, vista, gusto, olfatto, udito e movimento.
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CAPITOLO III
RELAZIONARSI TRAMITE I SENSI Life Skills
AttivitĂ Lunga Durata
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Attività Lunga Durata
ATTIVITÀ DI SVILUPPO DELLE PROPRIE COMPETENZE LABORATORI PROFESSIONALI Identit e autostima, Leadership e influenza, Cooperazione e lavoro d’equipe, Sperare nel futuro e fissare degli obiettivi
Finalità e obiettivi
Aumentare le conoscenze e le competenze manuali, artigianali e professionali.
N. partecipanti
Tutti i ragazzi/e ospiti nel centro
Durata
4 moduli composti ciascuno da 4 incontri di 3 ore
Materiali
Strumenti per la lavorazione del legno e della creta, stoffa, macchina da cucire, legno creta.
Svolgimento
I laboratori possono variare a seconda delle opportunità offerte dalla rete territoriale e delle inclinazioni personali dei ragazzi. Alcuni esempi di laboratori che possono essere proposti a MSNA sono: lavorazione della creta, falegnameria, sartoria, riciclo creativo della carta, creazione di una web-radio. La durata media dei laboratori può essere mensile con la realizzazione di 4 incontri (1 a settimana): 1. Primo incontro: Descrivere lo scopo del laboratorio e in cosa consiste e i principali strumenti che verranno utilizzati. 2. Secondo e terzo incontro: attività manuale di acquisizione delle tecniche base e delle competenze. Le attività dovranno essere guidate da una progettazione precisa (es. presentazione del mobile da realizzare durante il laboratorio di falegnameria). 3. Incontro conclusivo: sensazioni e suggestioni sul laboratorio, punti di forza e di debolezza del laboratorio e aspettative su laboratori futuri.
CAPITOLO III
Life Skills
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AttivitĂ Lunga Durata
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GLOSSARIO
ADULTIZZAZIONE: acquisizione dei comportamenti tipici dell’adulto.
APPROCCIO OLISTICO: si riferisce alla teoria dell’olismo, paradigma filosofico basato
sull’idea che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite le sue singole componenti poiché la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore/ differente dalla somma delle prestazioni delle parti prese singolarmente.
BILANCIO DELLE COMPETENZE: strumento per la messa a punto di un progetto
professionale attraverso l’analisi sistematica delle caratteristiche personali, condotta con l’utilizzo di materiali strutturati quali test e/o schede di autovalutazione.
CATATONIA: Sintomatologia psicotica caratterizzata dal persistere in un atteggiamento corporeo assunto spontaneamente o per imposizione.
C.A.S.: Centri di Accoglienza Straordinaria (D.L.142/2015). Nascono al fine di sopperire temporaneamente alla mancanza di posti nelle strutture ordinarie di accoglienza, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti asilo.
COUNSELING: Consulenza, in particolare a proposito dell’orientamento professionale. CREOLIZZAZIONE: Fenomeno di ibridazione di lingue e culture. DEPERSONALIZZAZIONE: Stato patologico caratterizzato dalla perdita della padronanza
delle proprie azioni, per cui la persona ha l’impressione di essere completamente estraneo a sé stesso e all’ambiente che lo circonda.
DEREALIZZAZIONE: sintomo dissociativo consistente nella sensazione di percepire in
maniera distorta il mondo esterno al soggetto e, a volte, di percepire gli individui conosciuti come estranei.
MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI (MSNA): per minore straniero non
accompagnato presente nel territorio dello Stato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano (L. 47/2017 art. 2).
IPERFAGIA: aumento della sensazione di fame o dell’appetito. IPERIDROSI: Eccesso di secrezione da parte delle ghiandole sudoripare. IPOFAGIA: diminuzione o perdita della sensazione di fame o dell’appetito. 89
IUS SOLI: espressione giuridica che indica l’acquisizione della cittadinanza di un dato paese
come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.
MÈTISSAGE: ibridazione, incrocio fra culture diverse. PARADIGMA PSICOSOCIALE: Modello teorico che coniuga elementi psicologici e sociologici per spiegare la realtà.
PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO (P.E.I.): programma individualizzato di
accoglienza integrata che vede come protagonisti il minore straniero non accompagnato, gli operatori della struttura, l’assistente sociale del Servizio Sociale del Comune di riferimento e il tutore.
RADICALIZZAZIONE: esaltazione di un’idea e/o un’identità considerata l’unica possibile. SINTOMI SOMATOFORMI: sintomi fisici che inducono a pensare a malattie di natura somatica.
SOMATIZZAZIONE: presentazione di sintomi fisici in assenza di patologia organica o
amplificazione di disturbi fisici concomitanti a malattie organiche, al di là di una possibile connessione fisiogena.
SISTEMA DI PROTEZIONE PER RICHIEDENTI ASILO E RIFUGIATI (SPRAR): è il primo
sistema pubblico di accoglienza integrata per titolari e richiedenti di protezione internazionale, costituito dalla rete degli enti locali. A livello territoriale gli enti locali, con il supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
STRESS: risposta psicofisica a compiti anche molto diversi tra loro, di natura emotiva, cognitiva o sociale, che la persona percepisce come eccessivi.
STRESS ACCULTURATIVO: il disorientamento mentale, la fragilità emotiva, la sensazione
di smarrimento sociale nella quale si trova il migrante una volta immerso in un’altra cultura, quando accade che si ponga in discussione il fondamento dell’identità e del riconoscimento di sé nei nuovi contesti culturali di riferimento.
SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE: Il principio, sancito dall’art. 3 della Convenzione
Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l’interesse superiore del/della bambino/a deve essere una considerazione preminente.
TRAUMA: un evento della vita della persona caratterizzato dalla sua intensità, dalla sensazio-
ne d’incapacità del soggetto a rispondervi adeguatamente, dalla viva agitazione e dagli effetti psicologici durevoli che esso provoca nell’organizzazione psichica.
TRAUMA PSICOSOCIALE: condizione stressante che genera una reazione emotiva che
si manifesta in risposta ad un processo sociale distruttivo che supera la soglia di tolleranza umana. In quest’ottica, dunque, il trauma è il risultato dell’interazione tra il contesto sociale e la condizione psichica dell’individuo. L’aggettivo “psicosociale” ci obbliga a non concentrarci esclusivamente sulla sintomatologia, ma a definire le coordinate socio-culturali dell’evento traumatico.
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