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Don Puglisi: «Insieme possiamo»

A trent’anni dall’omicidio

di Francesco Maria Capitanio

il Meeting ripropone l’attualità del messaggio e dell’opera del parroco del quartiere Brancaccio comunità in cui era nato, cresciuto e in cui era tornato in veste di parroco.

Le etichette sono sempre riduttive: definire il beato don Pino Puglisi un prete antimafia significa confinarlo in una cornice agiografica che ne limita la figura e l’opera.

A trent’anni dal suo martirio, nell’incontro che oggi si terrà alle ore 17 presso l’Auditorium Isybank (padiglione D3), la vera dimensione del sacerdote palermitano verrà riproposta da monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, da Antonio Balsamo, magistrato e autore di “Mafia. Fare memoria per combatterla”, da Vincenzo Morgante, direttore di TV 2000, e infine da Salvatore Taormina, della redazione culturale del Meeting riminese.

“3P”, come simpaticamente si faceva chiamare don Pino, aveva a cuore soprattutto il suo essere sacerdote attraverso l’adesione libera e consapevole al Vangelo; la sua era una presenza più che un progetto, una carnale alternativa alla mentalità mafiosa che permeava la

«La bellezza dell’impostazione pastorale di don Puglisi non sta nell’essere un prete antimafia – ha dichiarato l’arcivescovo Lorefice –. Forte dell’eredità del Concilio, aveva compreso nel concreto che il Vangelo doveva tradursi in posizione umana, facendo fino in fondo quanto è chiamato a compiere ogni sacerdote: conoscere la sua gente e il territorio, leggerli alla luce della Parola di Dio, spronare la comunità affinché il messaggio di salvezza di Cristo diventi una proposta totale di vita, che riguarda lo spirito e il corpo, quindi anche la convivenza umana».

La proposta di una concreta alternativa umana, a partire da una passione educativa, sottraeva di fatto i giovani alla malavita con la conseguenza che il sacerdote palermitano finiva con il diventare fatalmente un obiettivo della mafia.

Pur nella consapevolezza del pericolo che regolarmente incombeva sulla sua vita, don Pino Puglisi non smise mai di pensare che al fondo di ognuno, anche del criminale più incallito, ci dovesse essere una corda di bene che poteva essere toccata. Tanto è vero che, già più volte minacciato, don Pino non esitò, durante una delle sue vibranti omelie, a rivolgersi agli autori delle intimidazioni da lui subite dicendo: «Parliamoci, spieghiamoci, vorrei conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli al rispetto reciproco».

«Se ognuno fa qualcosa, allora insieme si può fare molto», soleva ripetere don Puglisi, che alla cultura del malaffare contrapponeva, in maniera semplice e diretta, quella dell’amore alla persona. E proprio il valore dell’amore alla persona, di qualsiasi persona, era da lui anteposto a tutto, fino al consapevole sacrificio della sua vita, drammaticamente testimoniato da quel “Me l’aspettavo” con cui sorridendo si rivolse al suo carnefice, Nel giorno del suo martirio. Un sorriso che avrebbe segnato anche l’inizio della conversione di quest’ultimo.

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