STUDI DI
MEMOFONTE Rivista on-line semestrale 4/2010
FONDAZIONE MEMOFONTE Studio per l’elaborazione informatica delle fonti storico-artistiche www.memofonte.it
COMITATO REDAZIONALE
Proprietario Fondazione Memofonte onlus
Direzione scientifica Paola Barocchi Miriam Fileti Mazza Cura redazionale Irene Calloud, Martina Nastasi
Ristampa ottobre 2015 Segreteria di redazione Fondazione Memofonte onlus, via de’ Coverelli 4, 50125 Firenze info@memofonte.it ISSN 2038-0488
INDICE P. Barocchi, Editoriale
p. 1
A. Camarlinghi, Diego Martelli e Lamberto Vitali: cento anni in Marucelliana
p. 2
A. Cecconi, M. Nastasi, Il carteggio Diego Martelli: metodologie di analisi e possibilità di ricerca informatica
p. 6
I. Calloud, Sulla digitalizzazione dell’archivio di Adriano Cecioni nel Fondo Lamberto Vitali
p. 22
S. Roncucci, L’Esposizione Artistica Nazionale di Torino (1880) nelle carte del Fondo Vitali
p. 31
E. Miraglio, «È un lavoro semplice che più somigliante non poteva riuscire»: la poetica celebrativa di Adriano Cecioni
p. 41
M. Fileti Mazza, Emporium e i Macchiaioli
p. 54
P. Agnorelli, Il carteggio Mussini-Piaggio: esempio di didattica a distanza
p. 66
Paola Barocchi _______________________________________________________________________________
EDITORIALE Alla prefazione della Storia dell’impressionismo di John Rewald (1949) risale probabilmente l’interesse di Roberto Longhi per Diego Martelli. Da qui la sua iniziativa di affidare ad Antonio Boschetto il volume sansoniano Scritti d’arte di Diego Martelli (1952). Evidentemente era in atto la rivalutazione di uno storico che aveva conosciuto e ammirato gli impressionisti e la pittura fiorentina del Quattrocento, ma al tempo stesso aveva vissuto le vicissitudini dei Macchiaioli e le loro esperienze artistiche. La cultura figurativa di Diego Martelli si rivelò complessa, i suoi rapporti con i contemporanei meritavano quindi una ricognizione puntuale e globale nel ricco carteggio della Biblioteca Marucelliana. Da tali presupposti nacque la proposta della Memofonte alla Fondazione Marchi di Firenze di intraprendere, grazie ad un adeguato cofinanziamento, una esplorazione per il trattamento informatico del copioso materiale martelliano, che potesse offrire a tutti gli studiosi del settore una consultazione agevole ed esaustiva. Un progetto così impostato può abilitare ad accertamenti di una critica militante e di una storia dell’arte estranea alle accademie locali. Al tempo stesso può orientare a comprendere la nascita di una consapevolezza analitica che ebbe anche riflessi sulle arti applicate, grazie soprattutto alla prima Mostra Nazionale fiorentina del 1861, che considerò un orizzonte italiano e non più regionale. Il carteggio Martelli dunque, di solito affrontato in relazione agli artisti salienti e quindi limitato a selezioni talvolta condizionate da scopi di mercato, potrà oggi svelare interessi culturali di vasta portata correlandoli a multiple tipologie di fonti. Questo numero della rivista accoglie anche i risultati di ricerche parallele quali l’informatizzazione del carteggio di Adriano Cecioni del fondo Vitali della Marucelliana, quello di Luigi Mussini di proprietà privata, con una verifica della fortuna anche visiva dei Macchiaioli in Emporium.
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Diego Martelli e Lamberto Vitali: cento anni in Marucelliana _______________________________________________________________________________
DIEGO MARTELLI E LAMBERTO VITALI: CENTO ANNI IN MARUCELLIANA Nei quindici anni trascorsi dall’arrivo del legato Vitali alla messa a disposizione degli studiosi, le richieste di consultazione dei documenti ivi contenuti si sono susseguite senza sosta e la pazienza degli interessati a questo fondo preziosissimo che, assieme alle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano, delineano le linee fondamentali di sviluppo della storia della fotografia, è stata sicuramente ripagata prima con le manifestazioni in onore di Giovanni Fattori per il centenario della morte, che hanno attinto in gran parte alla raccolta Marucelliana, ed oggi dal magnifico lavoro svolto dalla Fondazione Memofonte, cui va il nostro più sincero ringraziamento per avere realizzato un sogno che la Biblioteca Marucelliana da sola mai avrebbe potuto realizzare. Particolarmente felice la scelta di accostare le due raccolte, il Fondo Diego Martelli e il Fondo Lamberto Vitali, i cui intestatari, se pur vissuti in due secoli diversi, hanno in comune tante cose. Il caso a volte ha un particolare peso nell’esistenza delle persone, il caso ha fatto sì che Vitali nascesse due giorni dopo la morte di Martelli, solo due giorni. Ed è come se un sottile filo li abbia uniti: la passione che Diego aveva riposto nel suo mecenatismo macchiaiolo, Lamberto l’ha trasformata nel grande interesse per la pittura e la scultura ottocentesca, attraverso la raccolta di lettere di Macchiaioli, gli stessi Macchiaioli scoperti e cresciuti (vogliamo dire creati?) al desco di Martelli nella suggestiva cittadina di Castiglioncello. Sono note a tutti, studiosi, addetti ai lavori, appassionati di arte, amanti del ‘bello’, le vicende che hanno accompagnato la donazione Martelli alla Biblioteca Marucelliana. Il passo del testamento olografo «Lego la mia biblioteca ed i miei autografi alla Biblioteca Marucelliana della Città di Firenze…» è stato citato numerose volte nelle opere edite in onore di questo personaggio ed anche la pubblicazione del Progetto Memofonte non poteva esimersi da questa citazione nell’introduzione al programma di ricerca. Martelli si scontrò con le procedure burocratiche ministeriali che ritardarono l’attuazione della sua volontà, ed anche quella di Lamberto Vitali, espressa ancora una volta per testamento olografo, ha incontrato difficoltà nella sua attuazione, di altra natura, ma che pur sempre ne hanno rimandato l’attuazione nei tempi e nei modi conosciuti. Arrivato in Biblioteca nel 1993, il legato Vitali, è stato acquisito dalla Marucelliana solo nel 2003 in seguito alla risoluzione di problemi giuridici legati al testamento ed è stato messo a disposizione degli studiosi nel 2008. Quasi ad integrare e completare le raccolte del legato Martelli, Lamberto Vitali ha lasciato l’archivio di Adriano Cecioni, l’opuscolo di Whistler con la dedica di Telemaco Signorini, i cataloghi delle esposizioni tenute nell’Ottocento dalla Società Promotrice di Belle Arti di Firenze, l’album di fotografie già di Telemaco Signorini ed altro ancora. Tra i manoscritti di Cecioni si trovano, come sempre accade negli archivi familiari, effetti personali, autografi di articoli editi, appunti di pensieri sull’arte, sulla politica, sull’esistenza dell’uomo editi solo in parte. Oltre alla corrispondenza dei familiari con Adriano, l’ampio carteggio annovera minute di Cecioni e lettere di Cristiano Banti, Adolfo Bartoli, Thomas Gibson Bowles, Vincenzo Cabianca, Giuseppe De Nittis, Louis Martin, Federico Rossano, Telemaco Signorini ed altri. Tra le circa 455 fotografie dei Macchiaioli che Vitali aveva collezionato, eccelle il celebre Album di Telemaco Signorini rilegato in cuoio marrone scuro, con puntali, medaglione sul piatto anteriore e fermagli metallici. Le fotografie, per lo più formato carte de visite, spesso recano nel verso oltre al nome dello stabilimento fotografico, annotazioni manoscritte, dediche a Signorini e indicazioni sul mittente. Affianca la raccolta fotografica di Signorini, quella proveniente dall’archivio di Adriano Cecioni: una galleria di busti di Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, e di contemporanei famosi 2
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Adriana Camarlinghi _______________________________________________________________________________
come Carducci, Lamarmora, Cadorna, Sella, di personaggi di famiglie reali e della nobiltà italiana, francese e inglese, di esponenti di spicco dell’alta società londinese. Proviene invece, quasi per intero, da Telemaco Signorini la raccolta di cataloghi di esposizione racchiusi in cofanetto che, a partire da quelli delle opere esposte dalla Società Promotrice delle Belle Arti in Firenze del 1849, arrivano, se pure con alcune lacune, fino al 1900. A questi si aggiungono cataloghi di esposizioni prevalentemente di Firenze, ma anche di Milano, Roma, Londra, Venezia, Livorno, Napoli e Torino; alcuni di questi recano nota di possesso del Signorini, altri sono invece annotati. Nell’ambito delle celebrazioni in onore di Giovanni Fattori promosse dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, anche la Biblioteca Marucelliana ha dato il suo contributo prima collaborando con la Fondazione Fratelli Alinari per la Storia della Fotografia in un ampio lavoro di indagine sul rapporto fotografia e ricerca pittorica alla base della esposizione I Macchiaioli e la fotografia che la Fondazione intendeva allestire e che non poteva prescindere dall’esame dei documenti conservati nel Legato Diego Martelli e nel Legato Lamberto Vitali, poi allestendo all’interno dei suoi locali una mostra promossa da Carlo Sisi e curata da Monica Maria Angeli1 e Silvio Balloni privilegiando i documenti significativi dei rapporti dei Macchiaioli con la cultura europea, attraverso lettere e manoscritti editi e inediti, affiancata da una ampia documentazione fotografica proveniente dall’archivio Signorini e da quello di Adriano Cecioni.2 Per accentuare la complementarità con il fondo Martelli è stata fatta una scelta editoriale che nel formato e nella copertina richiamasse alla memoria quegli opuscoli che hanno accompagnato a metà degli anni Settanta le mostre dedicate dalla Biblioteca al legato Diego Martelli, tutte edite dalla Casa Editrice S.P.E.S. (Studio per Edizioni Scelte) diretta dalla Prof.ssa Paola Barocchi, fondatrice della Fondazione Memofonte. Nel 1976 la Biblioteca Marucelliana inaugurò la serie di pubblicazioni dedicate a questa corrente artistica con il volumetto Macchia e cultura a Firenze intorno al 1860 a corredo di una mostra curata da Giancarlo Gentilini, cui seguì, nel dicembre dello stesso anno, il piccolo catalogo della esposizione Diego Martelli e i Macchiaioli, sempre allestita nella bellissima ‛saletta delle mostre’ nei locali della biblioteca, catalogo curato da Alba Del Soldato e Valeria Masini con la prefazione di Piero Dini. In quella occasione, l’allora direttrice Anna Lenzuni tratteggiò un quadro quanto mai ricco ed allo stesso tempo sintetico della raccolta pervenuta alla biblioteca attraverso il Legato Martelli3. Il 4 marzo 1897, per Regio Decreto, la Biblioteca Marucelliana entrava ufficialmente in possesso della raccolta, che risultava costituita in tre nuclei: 55 manoscritti, circa 5000 lettere sciolte e circa 3000 fra opuscoli e volumi appartenuti alla sua biblioteca4. Il primo nucleo della raccolta era costituito da libri manoscritti e lettere di interesse foscoliano appartenuti a Quirina Mocenni Magiotti e da lei lasciati in eredità alla nipote Ernesta, madre di Diego. In Marucelliana giunsero i libri della biblioteca del Foscolo, alcuni da lui stesso postillati, ricomprati da Quirina tramite Silvio Pellico, oltre a quelli a lei donati con dedica autografa, le lettere del Foscolo copiate dalla Magiotti, numerosa corrispondenza di vari a lei diretta e soprattutto una raccolta di lettere di Silvio Pellico dal 10 gennaio 1816 al 30 maggio 1847, con l’elenco dei libri del Foscolo giacenti ancora presso il Pellico.
Direttrice della Biblioteca Marucelliana e responsabile del settore manoscritti che si è occupata della schedatura del Legato Viatali. 2 DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008. 3 DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976. 4 Le opere appartenute alla biblioteca di Diego Martelli, di cui la Biblioteca Marucelliana possiede il catalogo, sono state inserite nel Catalogo Generale Opere a Stampa della Biblioteca. 1
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Diego Martelli e Lamberto Vitali: cento anni in Marucelliana _______________________________________________________________________________
A questi si aggiunsero le carte relative alle famiglie Mocenni, Martelli e Manteri e i volumi contenenti le numerosissime composizioni di Diego, manoscritte e stampate in articoli di giornali ed opuscoli. La parte più importante è però costituita dagli autografi, 4844 lettere di Diego alla madre, a Teresa Fabbrini, a Matilde Gioli, agli amici Macchiaioli e di questi a lui, contenenti interessanti pensieri sull’arte, critiche, avvenimenti familiari parte importante per la cultura fiorentina dell’epoca. La biblioteca del Martelli elenca accanto agli autori classici molti autori francesi e i maggiori rappresentanti delle letterature inglese e tedesca e innumerevoli opuscoli e cataloghi di mostre che costituiscono oggi una rarità. In particolare attraverso le lettere del suo vasto carteggio si ha l’esatta misura di quanto fu determinante l’opera del Martelli nell’ambito del movimento ‘macchiaiolo’, a testimonianza che egli fu l’unico fra i critici d’arte italiani, e fra i pochi stranieri, ad avere una visione europea dell’arte contemporanea negli anni 1860-1880 e quindi l’unico che «tentò d’inserire in questo contesto più ampio i germogli di rinnovamento e le idee di avanguardia che nascevano e proliferavano nella tumultuosa terra di Toscana»5. La direzione, nel 1867, del «Gazzettino delle Arti del Disegno» gli permise di schierarsi apertamente al fianco di quei pittori nella polemica antiaccademica e riformatrice. Le sue carte sono testimonianza della sua intuizione del ‛fenomeno impressionisti’: amico di Manet, Degas, Pissarro, Desboutin, Zola, tentò di far comprendere ai suoi Macchiaioli l’importanza del movimento francese, ma, come sostiene Piero Dini, critico d’arte che tanto si è occupato di Martelli e dei pittori Macchiaioli, forse «non fu sufficientemente capito»6. Lo hanno invece sicuramente compreso i tanti studiosi e studenti che si sono avvicinati alle sue carte ed ai suoi libri, arricchendo la propria cultura e l’interesse dei bibliotecari che gli hanno assistiti nelle loro ricerche, ieri ed oggi per Diego, oggi e in futuro per Lamberto. Ma i tempi cambiano, si evolvono e con loro le tecnologie che offrono, come in questo caso, aggiornati strumenti di ricerca e di archiviazione: siamo molto felici che le nostre raccolte possano essere rese visibili anche al di fuori delle belle sale della Biblioteca e ci auguriamo che la collaborazione con la Fondazione Memofonte prosegua oggi a completamento dei Fondi Martelli e Vitali, in futuro per altre raccolte di interesse storico artistico presenti nei depositi del nostro istituto.
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DINI 1976, p.7. DINI 1976, p. 7.
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Adriana Camarlinghi _______________________________________________________________________________
BIBLIOGRAFIA DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976 Diego Martelli e i Macchiaioli, Catalogo della mostra, a cura di A. Del Soldato, V. Masini, Firenze 1976. DINI 1976 P. DINI, Diego Martelli ed i Macchiaioli, in DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976, pp. 7-10. DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008 Documenti dei Macchiaioli dal Fondo Vitali. Carte edite ed inedite, Catalogo della mostra, a cura di M.M. Angeli e S. Balloni, Firenze 2008.
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Carteggio Diego Martelli _______________________________________________________________________________
IL CARTEGGIO DIEGO MARTELLI: METODOLOGIE DI ANALISI E POSSIBILITÀ DI RICERCA INFORMATICA Lego la mia Biblioteca ed i miei autografi alla Biblioteca Marucelliana della Città di Firenze […] Quanto ai miei manoscritti ed autografi da me posseduti ed ai libri della mia biblioteca saranno subito consegnati, e gli autografi saranno posti in buste sigillate che si apriranno soltanto venticinque anni dopo la mia morte1.
Il 31 dicembre 1894, Diego Martelli2 destinava alla Marucelliana i suoi libri e le sue carte, che costituiscono oggi un fondo suddiviso in 55 manoscritti, la biblioteca (circa 3000 tra opuscoli e volumi) e lo straordinario carteggio con familiari, intellettuali e amici Macchiaioli (circa 5000 lettere)3. Su questo ultimo nucleo documentario si è incentrato un progetto triennale della Fondazione Memofonte, reso possibile dal finanziamento della Fondazione Carlo Marchi di Firenze e dalla collaborazione della Biblioteca Marucelliana. Tale progetto ha previsto la completa digitalizzazione del carteggio4, attraverso riproduzioni fotografiche delle lettere, unita alla creazione di un database che restituisse non solo le informazioni basilari proprie di un inventario (data, mittente, destinatario, collocazione archivistica) ma anche quelle di natura storico-artistica, presenti all’interno dei testi. A completamento del progetto, sono stati indagati gli altri fondi della Biblioteca Marucelliana alla ricerca di ulteriori missive martelliane: il carteggio Martelli, infatti, ha probabilmente subito varie vicissitudini dal momento dell’ingresso nella Biblioteca fino alla sua completa inventariazione, compreso un probabile spostamento di documenti nelle diverse sezioni della stessa istituzione. Per questo sono state consultate in primis le altre parti del fondo Martelli, rintracciando circa 80 lettere all’interno dei manoscritti5; in seguito i due fondi a carattere generale della Marucelliana, gli Autografi e le Nuove Accessioni6, che conservano rispettivamente
Un sentito ringraziamento ad Annamaria Petrioli Tofani, Presidente della Fondazione Carlo Marchi di Firenze, per aver creduto e sostenuto questo progetto, e alla Direzione della Biblioteca Marucelliana che ha messo a disposizione il prezioso fondo Martelli, con un riconoscimento particolare ad Adriana Camarlinghi. Biblioteca Marucelliana, fondo Martelli, carteggio Martelli, documento «C.Ma.310.testamento». Per la consultazione on line della scheda e relativa fotografia del documento vedi nota 4. 2 Per l’ampia bibliografia su Diego Martelli (1838-1896) si veda la monografia di DINI 1996 con bibliografia precedente (in appendice al testo si trova anche l’elenco dettagliato degli scritti di Martelli); L’OPERA CRITICA DI DIEGO MARTELLI 1996; DIEGO MARTELLI 1996; DISEGNI DELLA COLLEZIONE DIEGO MARTELLI 1997; MONTI 1997; DEZZI BARDESCHI 1997; L’EREDITÀ DI DIEGO MARTELLI 1999; RINALDI 2000; DINI 2005; GALLO 2005; CONTI 2007. Per la storia generale e la suddivisione del fondo Martelli si rimanda a DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976 e DEL SOLDATO 1999. 3 Il carteggio Martelli è suddiviso per mittenti (556) ordinati alfabeticamente; nel 1950 la figlia di Matilde Gioli donò alla Marucelliana le lettere di Martelli a Matilde e al marito Francesco (inserite all’interno del carteggio Martelli con il numero 557). All’interno del carteggio sono state inoltre collocate numerose fotografie con ritratti di amici, artisti e familiari o riproduzioni di opere d’arte (inventariate con il numero 558). 4 Il carteggio Diego Martelli è consultabile gratuitamente all’indirizzo www.memofonte.it. Cliccando sulla voce «Macchiaioli» nella homepage, e successivamente «Carteggio Martelli», l’utente visualizza una maschera di ricerca del database, che permette una ricerca veloce di tutti i record immessi. Nel corso dell’articolo, verranno indicate le varie collocazioni dei documenti citati, rintracciabili immediatamente inserendo il numero di collocazione della lettera nel campo COLLOCAZIONE. 5 Le circa 80 lettere rinvenute nella sezione Manoscritti sono conservate nella maggior parte nei volumi D II, D XIII, D XIV, cucite insieme ad una miscellanea di scritti e opuscoli martelliani. Probabilmente tali missive, che vedono Martelli sia come mittente che come destinatario, sono state inglobate nella sezione manoscritti per afferenza al tema trattato dai documenti e dagli opuscoli ai quali sono uniti. 6 Gli Autografi conservano lettere di vari mittenti fino al 1990, mentre nelle Nuove Accessioni sono presenti i documenti giunti attraverso donazioni o acquisti dal 1991 in poi. Si segnala inoltre che all’interno del fondo 1
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il primo 3 lettere a Diego Martelli e il secondo il celebre nucleo delle missive di Giovanni Fattori a Diego. Della storia del carteggio, è poi noto lo smarrimento di corposi nuclei di lettere: tra questi, due gruppi sono stati ritrovati e pubblicati tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Il primo, di natura eterogenea sia per temi che per destinatari, si integra perfettamente con i documenti della Marucelliana: si trova in collezione privata, ed è stato pubblicato da Marabottini e Quercioli nel 1978. Il secondo, ritrovato e pubblicato da Piero Dini, che lo ha poi donato alla Marucelliana, è costituito dalle missive di Fattori a Martelli sopra accennate, collocate nelle Nuove Acccessioni7. Uno degli obiettivi fondamentali del progetto è stato dunque quello di ricostruire idealmente il carteggio di Diego Martelli, permettendo la consultazione simultanea di documenti appartenuti ad uno stesso fondo e oggi sparsi in luoghi diversi. Nonostante la ricostruzione storica delle predette vicende, l’analisi globale delle lettere induce a pensare che probabilmente altre potrebbero essere rintracciate: infatti, l’assenza o la scarsità di corrispondenza con persone molto vicine al critico, potrebbe essere causata da possibili smarrimenti. Il trattamento informatico di un carteggio così ampio e ramificato ha comportato in prima istanza uno studio sulla tipologia dei documenti da inserire nel database, una definizione delle caratteristiche del fondo e la scelta del livello di analisi da applicare alle fonti: il carteggio Martelli, infatti, non presenta caratteristiche di omogeneità come quello di Adriano Cecioni nel Legato Vitali, in quanto la sua peculiarità è quella di abbracciare un numero ingente di temi, questioni culturali e sociopolitiche, rispecchiando pienamente il poliedrico intellettuale fiorentino. Gli oltre 500 corrispondenti, che si alternano nelle diverse fasi della sua vita in un arco temporale che va dal 1854 al 1896, appartengono a panorami culturali molto diversi: dagli amici macchiaioli a personalità come Giosuè Carducci, Enrico Nencioni, Ferdinando Martini, i fratelli Alinari, Ernesto Teodoro Moneta, Antonio Fradeletto, Angelo De Gubernatis; da esponenti politici quali Agostino Bertani, Felice Cavallotti, Sidney Sonnino, Francesco Guicciardini, ad alcune delle più importanti famiglie toscane come i Guerrazzi, i Gioli, i Ginori. Una casistica così diversificata di mittenti e destinatari comporta non solo una varietà nella tipologia di missive, ma anche la presenza di registri differenti, in cui gli eventi pubblici si intrecciano spesso con la sfera strettamente privata e quotidiana. All’interno di un notevole numero di lettere di natura essenzialmente privata, è possibile rintracciare preziose informazioni di interesse artistico-culturale, spesso perse nel tessuto di una corrispondenza più anonima e ordinaria, legata a personaggi del mondo degli affetti di Martelli e ai piccoli eventi giornalieri. Proprio questa particolarità rende il carteggio ricco di nuovi spunti di ricerca, nonostante sia stato già ampiamente indagato e in parte pubblicato a partire dagli anni Cinquanta, quando la nuova attenzione rivolta al panorama della pittura macchiaiola comportò un interesse anche verso le fonti8. La selezione delle lettere operata in vista delle varie pubblicazioni, ha monografico di Enrico Nencioni, presente sempre in Marucelliana, sono conservate due lettere di Diego Martelli a Nencioni e alla moglie Talia datate 1896. 7 MARABOTTINI-QUERCIOLI 1978; DINI 1983b. 8 La prima pubblicazione di un piccolo ma significativo nucleo di lettere del carteggio Martelli è datata al 1953, ad opera di Lamberto Vitali (VITALI 1953), all’interno di una miscellanea di missive di pittori macchiaioli reperite anche in altri fondi privati. L’anno precedente, Antonio Boschetto aveva curato la pubblicazione di alcuni manoscritti artistici di Diego Martelli conservati nella Biblioteca Marucelliana (B OSCHETTO 1952), seguito poi da Alessandro Parronchi (PARRONCHI 1963). L’attenzione rivolta al patrimonio documentario di cultura macchiaiola è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni, producendo volumi monografici dedicati esclusivamente alla pubblicazione di lettere e trovando ampio spazio nelle attività espositive dedicate ai singoli pittori. Si segnalano alcune fra le raccolte più significative: BACCI 1969; DINI 1975 (in questo volume il curatore, Piero Dini, integra la selezione pubblicata nel 1953 da Vitali, con una nuova scelta dal carteggio Martelli e da altri fondi); DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976 (catalogo della mostra su lettere e documenti macchiaioli della Biblioteca Marucelliana); MARABOTTINI-QUERCIOLI 1978; DINI 1983a e DINI 1983b; DINI 1996 (monografia completa su
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Carteggio Diego Martelli _______________________________________________________________________________
ovviamente rispettato il livello di interesse legato ai nomi dei mittenti e dei destinatari e la fortuna goduta negli ultimi decenni dal movimento macchiaiolo: edite infatti quasi integralmente le missive di Giuseppe Abbati, Giovanni Boldini, Odoardo Borrani, Nino Costa, Serafino De Tivoli, Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Federico Zandomeneghi9. Si tratta in tutti i casi di una ricerca effettuata sulla base di nomi, individuati attraverso l’Inventario cartaceo della Marucelliana, impostato alfabeticamente per mittenti e con indicazione del destinatario, del luogo dello scrivente e della data. Tale inventario, che fino ad oggi ha permesso agli studiosi di muoversi agilmente in un carteggio così corposo, garantendo una selezione razionale fra i circa 5000 documenti, non può tuttavia segnalare l’infinità di nomi e informazioni presenti all’interno delle lettere legate a corrispondenti minori, che possono sfuggire effettuando un’ovvia scelta di carte da leggere in una mole così ampia. L’impostazione del database del carteggio Martelli è stata quindi studiata non solo con l’intento di digitalizzare le note archivistiche già fornite dall’inventario cartaceo, ma anche con quello di operare una suddivisione delle lettere da un punto di vista tematico e di recuperarne tutte le informazioni artistiche. Con tali criteri, che a breve verranno illustrati nel dettaglio, si è cercato di rispecchiare la natura, la complessità e la varietà proprie del fondo, e di offrire allo studioso la possibilità di effettuare ricerche trasversali nei testi su nomi, luoghi e temi specifici della disciplina, unita alla visione diretta del documento originale attraverso le riproduzioni fotografiche.
Diego Martelli all’interno della quale sono state inserite le trascrizioni di molti documenti); DIEGO MARTELLI 1996 (catalogo della mostra fotografico-documentaria con ampia trascrizione di lettere e scritti); D INI 1999; DINI 2005; GIUDICI 2008 (selezione di lettere conservate in fondi diversi: tutte quelle provenienti dal carteggio Martelli sono state riprese dalla pubblicazione del Vitali); DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008. 9 La pubblicazione delle lettere di tali artisti è stata effettuata in primis da Vitali e Dini (vedi i riferimenti nella nota 8); le raccolte epistolari successive hanno riproposto quasi integralmente la scelta effettuata dai due studiosi. Tra le lettere inviate a Martelli dai principali artisti del periodo, ve ne sono ancora molte inedite: quelle dei mittenti più celebri si contraddistinguono per la mancanza di una datazione o il carattere essenzialmente privato; mentre altre, legate a corrispondenti meno in vista nella pittura di macchia, sollecitano spunti di ricerca, come quelle di Domenico Morelli, Cesare Fantacchiotti, Giuseppe Cassioli, Plinio Nomellini, Francesco Gioli. La corrispondenza tra Diego Martelli e Niccolò Cannicci è stata indagata da Laura Lombardi, nella sua monografia dedicata al pittore (LOMBARDI 1995).
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Alessia Cecconi, Martina Nastasi _______________________________________________________________________________
Impostazione e descrizione del database Martelli. Primo importante passo per la definizione del database Martelli è stato quello di individuare il modo migliore per rendere accessibili, oltre alle informazioni inventariali, anche quelle all’interno dei documenti. Il metodo indubbiamente più oggettivo sarebbe stato quello della trascrizione integrale dei testi, in cui il livello di discrezionalità degli studiosi rimane legato essenzialmente all’applicazione di precise norme trascrittive. L’ingente quantità del materiale da elaborare, ma soprattutto l’eterogenea struttura dei contenuti e la mutevolezza di un apparato linguistico ordinario, rendeva la trascrizione difficilmente applicabile e poco efficace nel ‘far parlare’ i documenti. È stato dunque necessario un lavoro di analisi più approfondita, finalizzata all’individuazione di nomi e temi rintracciabili in maniera trasversale nell’intero database, in modo da svincolare la ricerca dall’apparato testuale e veicolarla attraverso strade predefinite e uniformi. Appare evidente che una scelta metodologica di questo genere comporta sempre una perdita di oggettività rispetto alla fonte, in quanto il filtro applicato fra l’utente e il documento viene strutturato con criteri scientificamente validi ma che mantengono inevitabilmente un margine di soggettività. La possibilità di fornire, abbinata alla scheda del database, una riproduzione fotografica di tutte le lettere ha sciolto ogni riserva, offrendo la preziosa opportunità di creare uno strumento di ricerca efficace, ma che allo stesso tempo rimane imprescindibilmente legato alla visione diretta dei documenti. Stabilito tale criterio, il primo passo è stato quello di creare la scheda del database, composta da 11 campi, per i quali sono stati individuati criteri unitari di compilazione.
DATA
MITTENTE
LUOGO MITTENTE
DESTINATARIO
LUOGO DESTINATARIO
TIPO DOCUMENTO
AREA TEMATICA
ARGOMENTO
NOTE
COLLOCAZIONE
IMMAGINE
I primi 5 campi sono dedicati ai dati più strettamente anagrafici della fonte, atti a collocarla nello spazio e nel tempo, oltre che a legarla ai nomi specifici di mittenti e destinatari. La varietà tipologica dei documenti conservati nel carteggio e, soprattutto, la presenza di più ambiti tematici, ha reso indispensabile un intervento di classificazione sia per TIPO DOCUMENTO (se si tratta ad esempio di una lettera, una cartolina postale, un telegramma, un appunto, una sottoscrizione ecc., in modo da identificarne immediatamente la natura fisica) che per AREA TEMATICA. Quest’ultimo campo è stato inserito per suddividere il carteggio in base alla preminenza del tema trattato nei singoli documenti e in conformità con gli interessi
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Carteggio Diego Martelli _______________________________________________________________________________
intellettuali e personali di Diego Martelli. Sono state quindi scelte 4 aree tematiche10: politicosociale, culturale, privata e storico-artistica, in modo da effettuare una prima scrematura e permettere l’individuazione dei documenti contenti informazioni specifiche per i differenti ambiti di ricerca. Essendo il progetto di natura prevalentemente storico-artistica, le competenze degli studiosi sono state impiegate nell’approfondimento ulteriore di tutti i documenti di tale area, giungendo ad una soggettazione capillare sviluppata nel campo ARGOMENTO, in grado di segnalare indicazioni su luoghi, protagonisti e temi specifici della disciplina11. La quantità delle informazioni da salvare e la loro variegata natura hanno reso necessario un lungo periodo di studio e di elaborazione di criteri validi ed efficaci, capaci di rispondere a tutte le esigenze e allo stesso tempo di mantenere un’imprescindibile uniformità di base. In questa fase è stata fondamentale la possibilità di un confronto diretto con studiosi alle prese con esperienze simili, in modo tale da comprendere meglio le problematiche e affrontarle con una metodologia ragionata e mirata12. La progressiva conoscenza del carteggio nella sua totalità, unita ad una maggiore e sempre più approfondita familiarità con nomi, eventi, modalità di scrittura, ha permesso di stabilire alcuni fondamentali criteri di lavoro: recuperare e segnalare in maniera specifica nomi e luoghi creare delle etichette in grado di restituire i temi della trattazione La scelta dei lemmi deputati alla ricerca dei temi affrontati è stata complessa e soggetta a continue variazioni. Il primo elenco di possibili etichette è stato redatto sulla base degli ipotetici e plausibili argomenti individuabili in un carteggio di cultura ottocentesca, considerando la possibilità di creare dei contenitori anche per le istituzioni e i luoghi di interesse storico-artistico – i cui nomi sono stati soggetti a continue variazioni – ma anche per libri, riviste e giornali, preferendo in questo modo una ricerca ad ampio raggio, capace di scendere nel particolare attraverso la lettura del documento. Il confronto costante durante la schedatura delle fonti ha permesso l’aggiornamento del primo elenco, aggiungendo voci non previste, come «Inaugurazioni», «Conferenze» o «Luoghi di ritrovo», legate ad eventi e costumi propri dell’epoca, o alla scelta di voci più specifiche seppure simili, come nel caso della distinzione tra «Esposizioni» e «Promotrici», al fine di evidenziare una particolarità specifica dell’ambito storico-culturale affrontato.
Effettuare la classificazione di una lettera non è immediato: essa può racchiudere una molteplicità di argomenti di diverso genere, che si intrecciano continuamente seguendo il filo dei pensieri di chi scrive. In questi casi la ‘multitematicità’ di un documento è stata registrata segnalando le due aree tematiche (ad esempio: «culturale/privata» o «privata/politico-sociale»). Ulteriore difficoltà si è presentata nel caso di lettere non esplicitamente di area tematica storico-artistica, ma comunque contenenti brevi informazioni di pertinenza della disciplina, dalla presenza di nomi di artisti alla fugace menzione di un’esposizione piuttosto che di un’opera d’arte: nell’impossibilità di classificare questi documenti come storico-artistici, è stato usato come marcatore delle informazioni utili un asterisco accanto all’area tematica (ad esempio: «culturale*» o «privata*»), riportando poi nel campo ARGOMENTO la normale soggettazione usata. 11 Gli ultimi due campi, COLLOCAZIONE e IMMAGINE, sono dedicati alle indicazioni archivistiche e digitali, cioè la collocazione del documento nel fondo della Biblioteca Marucelliana e il link di riferimento delle singole immagini che compongo il documento digitale. Si tratta di una striscia alfanumerica nella quale sono racchiuse tutte le informazioni necessarie per l’identificazione d’archivio: ad esempio: «C.Ma.1.A1-c.1v» è composta dal fondo di appartenenza (C.Ma. = Carteggio Martelli); cartella (1); codice alfanumerico del documento (A1); numero di carta, con il recto senza la «r» e il verso con l’indicazione della «v» (c.1 e c.1v). Se nel campo relativo alla collocazione è indicato il nome dell’intero documento, in quello dell’immagine sono elencate le singole carte, collegate direttamente alle relative riproduzioni digitali. 12 Sono stati organizzati presso la Fondazione Memofonte dei seminari di studio sull’informatizzazione dei carteggi, in modo da permettere un dialogo e un confronto proficui sulle diverse esperienze di lavoro in corso. 10
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Al fine di offrire una panoramica completa dei temi evidenziati nel campo ARGOMENTO, la tabella seguente elenca ed esemplifica tutti i casi affrontati e le scelte applicate: NOMI e LUOGHI I nomi presenti nelle lettere sono stati tutti salvati secondo lo schema ‘cognome nome’ e sono indicati fra parentesi quadre quando non esplicitati nel testo o seguiti da un punto di domanda nei casi di incertezza identificativa. Stesso criterio è stato adottato per i luoghi, inserendo la toponomastica in lingua italiana. Nonostante l’applicazione delle etichette, rimane sempre come principio generale quello di dare priorità a nomi e luoghi, mantenendo, qualora si renda necessario, i legami sia fra le persone e la loro produzione artistico-letteraria, sia fra i luoghi e gli eventi. Tale collegamento è esplicitato attraverso l’unione dei nomi con le etichette: se, ad esempio, si parla di un’opera pittorica di Fattori, il dato è segnalato con: «Fattori Giovanni, opere»; mentre se è menzionata genericamente la sua attività artistica le due informazioni resteranno separate: «Fattori Giovanni; Pittura». TEMI/ETICHETTE RIVISTE/GIORNALI
Racchiude titoli di riviste o giornali, senza ulteriori specifiche di titolazione o denominazione.
LIBRI
Racchiude libri dell’autore.
EDITORIA
Sono ascrivibili a tale categoria tutti i problemi legati a pubblicazioni di varia natura (bozze, impaginazioni, ecc.).
genericamente
citati
senza
indicazione
L’unione del nome al lemma «scritti» è prevista in tutti i casi in cui oltre al libro o all’articolo è citato anche l’autore. COGNOME NOME, SCRITTI
COGNOME NOME, OPERE
Se, in caso di articoli, oltre all’autore e al titolo compare anche il nome della rivista, le informazioni sono state salvate con le rispettive etichette: «Riviste/Giornali; Martelli Diego, scritti». Nel caso di artisti collegati alla loro produzione figurativa è stata salvata l’informazione legando al nome l’etichetta «opere».
I testi biografici o autobiografici sono stati segnalati attraverso il nome del biografato seguito dal lemma «biografia». Il COGNOME NOME, BIOGRAFIA contenuto della biografia è stato poi sciolto normalmente indicando luoghi, nomi, istituzioni, ecc. - ESPOSIZIONI - PROMOTRICI - INAUGURAZIONI - CONFERENZE
Ciascun evento è stato inserito nella categoria di appartenenza, associandolo alla città e alla data in base alla disponibilità delle informazioni dichiarate nella lettera.
- CELEBRAZIONI - MUSEI - ACCADEMIE - FONDAZIONI
Tutte le istituzioni e i luoghi di interesse artistico-culturale sono stati racchiusi in una delle categorie indicate a lato, senza ulteriori specifiche.
- BIBLIOTECHE
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Carteggio Diego Martelli _______________________________________________________________________________ - ARCHIVI - LUOGHI DI RITROVO - PALAZZI/DIMORE - EDIFICI RELIGIOSI - TEATRI - COLLEZIONE
Il lemma è seguito dal nome proprio quando esplicitato o, in caso contrario, dall’aggettivo ‘privata’.
CONSERVAZIONE/RESTAURO
Rientrano in tale categoria le informazioni riguardanti esecuzioni, progetti o valutazioni inerenti la conservazione e il restauro del patrimonio storico-artistico.
MUSEOGRAFIA
Categoria che segnale tutto ciò che riguarda progetti espositivi, valutazioni e descrizioni di musei.
PROGETTI
Sono state inserite tutte le informazioni relative all’ideazione e alla progettualità di un’opera d’arte.
DIDATTICA
L’etichetta segnala tutte le informazioni di ambito didattico, dalle programmazioni degli Istituti d’arte alle lezioni private svolte dagli artisti.
CONCORSI
Sono incluse tutte le tipologie concorsuali, da quelle scolastiche a quelle per l’assegnazione dell’esecuzione di monumenti pubblici.
CRITICA D’ARTE
Etichetta generica dedicata all’espressione di pensieri, valutazioni, riflessioni e pareri di ambito storico-artistico.
MERCATO D’ARTE
Segnalazione di vendite e acquisti, pubblici e privati, di opere d’arte; valutazioni sul valore monetario delle opere.
COMMISSIONI
Sono state inserite sotto questa etichetta le informazioni riguardanti commissioni artistiche, da quelle pubbliche alle richieste private.
MONUMENTI
Racchiude le notizie riguardanti i monumenti.
- FOTOGRAFIA - PITTURA - SCULTURA - FOTOSCULTURA - ARCHITETTURA - ARTI GRAFICHE
Queste etichette generiche sono state inserite ogni volta che nella lettera si trovano riferimenti, sia da un punto di vista concettuale che pratico (tecniche, strumenti, materiali, ecc.), ad una precisa attività artistica.
- EPIGRAFIA - ARTI DECORATIVE E INDUSTRIALI
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La quantità eccessiva di ‘rumore’ all’interno delle lettere e la natura mista delle informazioni, ha comportato quindi una soggettazione cadenzata su una progressiva specificità delle indicazioni. In altre parole, partendo dalla distinzione delle aree tematiche, che fornisce una prima scrematura, si passa a quella degli argomenti, nei quali i nomi e i luoghi vengono restituiti nel dettaglio, mentre tutte le altre informazioni sono racchiuse in piccoli e settoriali contenitori costituiti dalle etichette, scelte in modo tale da salvaguardare le peculiarità proprie della cultura figurativa del tempo. Documenti del carteggio Martelli
POLITICO-SOCIALE
STORICO-ARTISTICA
NOMI E LUOGHI
CULTURALE
PRIVATA
ETICHETTE
Foto digitale: lettura diretta del documento.
Al fine di rendere quanto più possibile esaustive le schede, è stato creato un generico campo NOTE, una voce libera ma con vocabolario controllato, compilata per annotare elementi relativi alla forma del documento o del supporto – se, ad esempio, è frammentario o illeggibile, se è presente una carta intestata, ecc. – e l’esistenza di legami tra le fonti, come lo status di copia o di allegato di un altro scritto13. Si tratta di dettagli apparentemente secondari, ma che in realtà restituiscono notizie interessanti sui corrispondenti, compensando in alcuni casi la mancanza di informazioni dirette nel testo. Le carte intestate, infatti, offrono la possibilità di sciogliere i nomi dei mittenti quando le firme sono indecifrabili, e allo stesso tempo possono specificarne la professione o l’eventuale istituzione di appartenenza, così come la possibile città di riferimento: al fine di renderle facilmente rintracciabili, la trascrizione dell’intestazione è stata legata alla stringa ‘Carta intestata’. Oltre alla segnalazione di dati funzionali alla fase interpretativa, come la presenza di grafie di difficile interpretazione, è apparso fondamentale dare notizia dei legami esistenti tra le lettere, in modo tale da mantenerne i collegamenti e allo stesso tempo dare a ciascun documento, a prescindere dalla sua natura di copia, appunto o allegato, una sua autonomia attraverso la schedatura separata. Molti sono i casi, infatti, di carte registrate insieme ad un allegato, un appunto piuttosto che una lettera o un certificato, che nell’inventario cartaceo non hanno una voce a sé stante. Nel database le lettere allegate sono state schedate separatamente Si precisa che all’interno di questo campo si trovano anche tutte le annotazioni riguardanti gli interventi dei curatori non segnalabili con le tradizionali parentesi quadre. 13
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rispetto a quelle principali, segnalando proprio nel campo NOTE l’esistenza di un legame reciproco fra i documenti14. Casi analoghi ai precedenti, sono quelli in cui più lettere sono state scritte sugli stessi fogli, con una distinzione di data, di mittente o di destinatario. Per questa casistica la soluzione applicata è stata, in linea di massima, quella di schedare separatamente le missive restituendo loro autonoma identità informativa. Sono state lasciate in un’unica scheda le lettere che presentano solo piccole aggiunte, come un fugace saluto con firma diversa, oppure quelle che, scritte in più giorni da un’unica persona, seguono un racconto unitario e continuo: in tutti i casi se ne trova però segnalazione15.
I campi NOTE e ARGOMENTO sono gli unici a non avere compilazione obbligatoria, nella misura in cui non sempre una lettera deve essere soggettata o presenta caratteristiche da segnalare. Al fine di lasciare le schede quanto più libere da elementi di disturbo e renderle chiare e immediate, entrambi i campi compaiono solo nei casi in cui sono stati riempiti. Nella scheda del documento principale: «In allegato: appunto C.Ma.311.D12-c.5». In quella dell’allegato: «Allegato di C.Ma.311.D12-c.1; C.Ma.311.D12-c.2v; C.Ma.311.D12-c.3; C.Ma.311.D11-c.4v». 15 Ad esempio, quando il documento C.Ma.311.X17 presenta due lettere autonome, queste avranno una scheda ciascuna, perciò la prima C.Ma.311.X17-c.1 avrà nel campo NOTE la segnalazione: «Due lettere in un documento: cfr. C.Ma.311.X17-c.1v», così come la seconda C.Ma.311.X17-c.1v: «Due lettere in un documento: cfr. C.Ma.311.X17-c.1». Nei casi in cui non sono state separate, si possono trovare segnalazioni come «Con saluto autografo di Giovanni Fattori»; «Due lettere in un documento». 14
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Possibilità di ricerca attraverso il database: alcuni esempi L’accesso alle schede dei 5000 documenti è filtrato attraverso la maschera del database, che consente più tipologie di ricerca. Un primo livello d’indagine permette all’utente di selezionare le lettere interessate sulla base di criteri cronologici, nominali (legati ai mittenti e destinatari16), o di collocazione archivistica. In questo caso si tratta di una ricerca di base trasversale, che facilita lo studioso con risposte immediate e frutto di un’indagine integrale, comprensiva anche degli allegati in calce ai documenti segnalati dall’inventario.
La compilazione delle schede ha registrato, con il progredire del progetto, più fasi di approfondimento rispetto all’inventario cartaceo del carteggio: la mancanza della datazione in molte lettere ha sollecitato indagini bibliografiche, archivistiche o di interrogazione del database in fieri, arrivando ad offrire, in molti casi, una possibile indicazione cronologica17. I mittenti dubbi sono stati ricontrollati attraverso il confronto delle varie grafie, mentre l’interpretazione dei destinatari, spesso indicati dal solo nome di battesimo, è stata sottoposta
Il destinatario più frequente è ovviamente Diego Martelli; tuttavia all’interno del carteggio vi sono più di 1000 minute scritte dallo stesso ai vari corrispondenti, che permettono spesso di ricostruire con completezza i vari scambi epistolari. 17 La maggior parte delle lettere di cui si è fornita una datazione sono quelle che vedono come corrispondenti Diego Martelli e la madre Ernesta. L’interpretazione della datazione della lettera è stata segnalata nel campo NOTE con la seguente dicitura: «Data desunta»; nello stesso campo sono stati registrati i casi in cui l’interpretazione di una voce sia dovuta a un collegamento con un’altra lettera, mantenendo il legame tra i due documenti. 16
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al vaglio di ricerche incrociate di ambito tematico o cronologico18. In entrambi i casi si è scelto di normalizzare il nome del corrispondente, orientando la query attraverso liste alfabetiche nei menù a tendina del campo MITTENTE e DESTINATARIO. Un secondo livello d’indagine all’interno del database, unito alla possibilità di selezionare l’area tematica predominante di una missiva, è offerto dal campo ARGOMENTO, che restituisce nomi, luoghi e temi chiave della disciplina attraverso una voce di ricerca libera e una guidata. Come nel caso della compilazione dei campi MITTENTE e DESTINATARIO, la registrazione dei nominativi di ambito artistico ha comportato un lavoro di interpretazione e confronto 19: anche in questo caso la scelta di sciogliere e normalizzare tutte le occorrenze attraverso il «Cognome Nome» del personaggio individuato, permette un’agile ricerca per nome nella voce libera del campo ARGOMENTO. La query per nomi restituisce risultati mirati selezionando più filtri all’interno del database (come un arco cronologico prestabilito) o addizionando due o più nominativi nello stesso campo ARGOMENTO; tuttavia, come segnalato nella tabella del precedente paragrafo, può essere affinata unendo il nome interessato alle parole chiavi «opere», «conferenze», «scritti», «biografia», «autobiografia» attraverso una stringa racchiusa da virgolette (es: “Cognome Nome, opere”), creando un esplicito grado di subordinazione gerarchica. Con tale modalità avremo un ulteriore zoom trasversale sull’artista richiesto: le centinaia di lettere dove è nominato Fattori, ad esempio, arrivano a poche decine selezionando i documenti dove sono citate e descritte anche le opere dell’artista. Tale opzione di ricerca è particolarmente interessante se legata al personaggio chiave del carteggio. Come è noto, nella vita di Diego Martelli l’attività di critico ed esperto d’arte si concretizza in una mole considerevole di scritti e pubbliche conferenze, molti di questi editi. Indagando parallelamente gli articoli o le pubblicazioni delle conferenze con le lettere di riferimento (inserendo nei filtri del campo ARGOMENTO “Martelli Diego, scritti” o “Martelli Diego, conferenze”), siamo spesso in grado di ricostruire la cornice dell’evento: l’origine, le reazioni, i personaggi coinvolti, le eventuali ripercussioni. La selezione delle lettere relative a uno o più artisti, può essere effettuata non solo unendo il nome in questione alle parole chiavi sopra accennate, ma anche attraverso un’addizione in sintassi multiple del «Cognome Nome» con le etichette tematiche segnalate dalla voce guidata del campo ARGOMENTO. Come già introdotto, l’ampiezza ed eterogeneità del fondo ha imposto la definizione di una lista nutrita ma limitata di temi chiave, attraverso lemmi che abbracciassero questioni e peculiarità proprie della cultura figurativa del periodo. Inserendo nella voce libera un’etichetta, ad esempio «Esposizioni», e il nome dell’artista, come «Fattori Giovanni», il taglio tematico dato alla ricerca può restituire documenti utili sull’attività espositiva del pittore; con lo stesso criterio si ottengono risultati significativi aggiungendo, al nome dell’artista, «Mercato d’arte»: lo zoom concettuale offre informazioni sulle quotazioni delle opere, sulle possibili vendite, sulle richieste dei committenti. Andando ad analizzare, nello specifico, la ricerca per temi chiave scissa da qualsiasi abbinamento con nomi o luoghi, ad un vaglio quantitativo delle occorrenze le etichette Tra i destinatari corretti, si segnalano due lettere scritte da Martelli al pittore Domenico Morelli, indicato dall’inventario come Domenico Guerrazzi (C.Ma.311.LL3 e C.Ma.311.LL5), una scritta sempre da Martelli a Gian Francesco Guerrazzi (indicato invece come Francesco Gioli, C.Ma.311.OO5). Tra i mittenti modificati, si ricorda tra gli altri lo scrittore Giuseppe Conti, segnalato invece come Giuseppe Cocchi (C.Ma.125.A1). 19 Infinti «Nanni», «Cecco», «Ghigo», «Beppe» popolano le missive del carteggio Martelli e la questione si complica quando anche altri personaggi, di ambito completamente diverso, sono indicati con lo stesso vezzeggiativo. Esemplare a tal proposito il caso di Giovanni Fattori, a periodi alterni compagno quotidiano di vita di Martelli e citatissimo come «Nanni» nelle lettere con altri corrispondenti; tuttavia con «Nanni» Martelli non indica solo l’artista, ma anche gli amici Giovanni Morandini e Giovanni Montepagani. I nomi interpretati sono stati inseriti tra parentesi quadre; nei casi di incertezza e impossibilità di esatta identificazione è stato inserito vicino al nome probabile tale segno: «[?]». 18
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«Mercato d’arte» ed «Esposizioni» sono proprio tra le più frequenti in tutto il carteggio, anche perché tali temi trovano ampio spazio nelle comunicazioni quotidiane tra Diego e la compagna Teresa o la madre Ernesta. La parola chiave «Esposizioni», oltre ad abbracciare una casistica diversificata di eventi, stimola numerose riflessioni sulle mode dell’epoca, sulla complessa macchina organizzativa dell’avvenimento, sull’importanza delle riviste come vetrina promozionale e palcoscenico di dibattiti sull’arte, nonché sulle impressioni suscitate da alcune opere nel vasto pubblico o negli ambienti più accademici. Le risposte della query segnalano risultati aspettati, come le cronistorie delle mostre francesi visitate dal critico o dagli amici residenti a Parigi, con descrizioni, commenti e parallelismi con la pittura coeva italiana20, ma anche corrispondenze meno note, che arricchiscono il bagaglio informativo sull’attività espositiva dei macchiaioli e naturalisti21 o tracciano genesi e background degli eventi artistici più rilevanti dell’epoca. Un esempio di estremo interesse è la corrispondenza, negli ultimi anni di vita del critico, con Antonio Fradeletto22, Segretario generale della Biennale di Venezia, con informazioni sulla prima edizione dell’esposizione nel 1895 e l’organizzazione della successiva; la mostra sarà poi visitata direttamente da Martelli, ospite di Fradeletto alla fine di ottobre, e condurrà all’articolo (in due puntate) sul «Corriere Italiano» L’esposizione Internazionale di Venezia-appunti in punta di penna. Se alcuni commenti a caldo sull’evento sono già registrati nella lettera a Matilde Gioli del 28 ottobre 189523, una missiva di Cesare Fantacchiotti, dal timbro familiare ma con puntuali giudizi e annotazioni, regala una descrizione critica e appassionata delle opere esposte e del carattere ‘internazionale’ dell’esposizione24. Il desiderio di affinare i risultati restituiti dal tema «Esposizioni», se da un lato ha comportato, come già sottolineato, la creazione di un’etichetta separata per le «Promotrici», dall’altro ha condotto all’unione (quando possibile) del lemma con la città sede dell’esibizione e talvolta anche della data, permettendo ricerche topografiche o mirate ad un singolo evento. In quest’ultimo caso, come nella ricerca per opere o conferenze di un artista, l’interrogazione nella voce libera del campo ARGOMENTO deve avvalersi dell’unione dei due lemmi, separati da virgole, racchiuse dalle virgolette: es. “Roma, esposizioni”, oppure “Roma, esposizioni, 1868”. Anche l’etichetta «Mercato d’arte» restituisce risultati interessanti e variegati, che offrono un vivo spaccato culturale dell’epoca, sollecitando spunti di ricerca. Oltre alle note e pubblicate lettere di Fattori, Signorini e De Tivoli, il database ne seleziona molte decine, inedite o pressoché sconosciute, dove sono registrati eventi quotidiani legati proprio al commercio delle opere d’arte o a commissioni d’artisti. La ricerca segnala le numerose lettere scritte e ricevute da Diego durante i suoi soggiorni parigini, con informazioni sulla Galleria Goupil, sugli artisti più quotati, sulle vendite degli impressionisti e gli affari di Zandomenghi25, nonché sull’intenzione del critico di assumere la direzione della sede romana della Galleria Pisani, con conseguente ipotesi di un viaggio in Inghilterra per poter imparare la lingua utile Le lettere sull’argomento sono rintracciabili utilizzando più filtri; oltre all’etichetta «Esposizioni», è utile selezionare all’interno del campo DATA gli anni in cui Martelli si trova a Parigi, nonché orientarsi su particolari mittenti, come Diego stesso, De Tivoli, Zandomeneghi, la madre Ernesta. Per risultati più diretti è necessario unire, all’interno del campo ARGOMENTO, i lemmi Parigi ed Esposizioni in un legame di subordinazione (“Parigi, esposizioni”). 21 Per consultare direttamente tali lettere, oltre all’etichetta «Esposizioni», è utile selezionare come mittente, oltre ai nomi più conosciuti dei macchiaioli, Matilde Bartolommei Gioli e il marito Francesco, Niccolò Cannicci, Cesare Fantacchiotti, Plinio Nomellini. 22 Vedi la decina di lettere inviate da Fradeletto a Martelli, C.Ma.212.A1 e sgg. 23 Vedi la lettera, parte del corpus di missive donate dalla figlia della Gioli alla Marucelliana nel 1950, C.Ma.557.O53. 24 Vedi la lettera C.Ma.189.A1: è priva di data, ma nello stesso documento Fantacchiotti parla anche del terribile terremoto che causò, proprio nel 1895, molti danni nella città di Firenze. 25 Come le lettere C.Ma.311.W23; C.Ma.311.O3; C.Ma.311.A139. 20
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per gli affari26. Interessanti le decine di missive collegate all’attività di Martelli come intermediario tra artisti e committenti, dove si registrano sia banali richieste di consigli su acquisti artistici (comprensive di indicazione sul valore monetario delle opere citate)27, sia vere e proprie imprese culturali in cui il critico media tra committente e artisti, suggerendo temi, modalità di esecuzione e prezzi, come nella lunga e intricata vicenda della commissione di una cappella nel cimitero di Livorno da parte di Gian Francesco Guerrazzi28. La figura di critico-intermediario emerge da numerose altre lettere, come il ricco epistolario intercorso con Angelo Sommaruga, circa un commercio di quadri macchiaioli, cornici e oggetti d’arte da spedire a Buenos Aires, denso di note sul prezzo delle opere, sui nomi degli artisti o dei soggetti più richiesti in Argentina 29. Curioso lo scambio con l’allora direttore del Museo Britannico per l’acquisto di sculture di Giovanni Dupré da far confluire nei vari musei di Londra30 o ancora con Carlo Lotti, nel dicembre del 1882, su una compravendita di quadri di Salvator Rosa, per la quale il mittente chiede a Martelli di collaborare, in quanto «per questa alienazione […] occorre un intermediario, occorre l’uomo ad hoc e quest’uomo sarebbe stato ravvisato in lei, in lei che è artista e amico d’artisti» 31. L’etichetta «Mercato d’arte» segnala anche le informazioni sulle politiche d’acquisto museali, rintracciabili persino in alcune lettere della madre Ernesta, sempre attenta e partecipe alle vicende del mondo culturale fiorentino: dall’interesse del conservatore delle Gallerie della Baviera per un quadro del rinascimento veneto nella collezione Mocenni-Martelli32, alla querelle sull’acquisto da parte degli Uffizi di un presunto ritratto di Foscolo, collegato erroneamente alla zia Quirina, «donna gentile» del poeta. Anche il carteggio con la famiglia Gioli (il pittore Francesco e la moglie Matilde Bartolommei), intimo e quotidiano, è ricco di spunti sulle dinamiche del mercato, sulle politiche museali e la fortuna alterna delle opere dei macchiaioli e naturalisti, grazie anche alla vicinanza e al sostegno mostrato ad artisti quali Lega, Cannicci, Fantacchiotti, Ferroni, Cecconi. Tra le altre, si segnalano le lettere di Matilde, che riporta con sollievo il successo commerciale di alcuni quadri di Cannicci33, e quelle di Francesco per far acquisire un’opera di Lega al Ministero, attraverso l’intercessione di Augusto Rivalta o Adolfo Venturi34. Il metodo di marcatura adottato per la restituzione dei temi chiave della disciplina, garantisce anche la segnalazione di problematiche artistiche meno dibattute all’interno del carteggio, che tuttavia certificano l’attenzione e il gusto ottocentesco per ambiti culturali specifici, non assoggettabili all’interno di etichette di più ampio respiro come quelle sopra accennate. Anche la presenza di occorrenze meno frequenti come «Archeologia», «Fotoscultura», «Arti decorative e industriali», «Orificeria», «Epigrafia», aggiunte per salvaguardare canali informativi legati al lessico peculiare delle tecniche artistiche, o Vedi la corrispondenza tra Diego, la madre Ernesta e l’amministratore Dario Golini: C.Ma.311.W30; C.Ma.238.A1. 27 Vedi la lettera di Diego Martelli a Gian Francesco Guerrazzi (C.Ma.311.KK21), che aveva chiesto al critico un consiglio su un dipinto da regalare in occasione di un matrimonio. 28 Vedi le numerosissime lettere inviate da Guerrazzi a Martelli (C.Ma.254.A5 e sgg.) e quelle di Giuseppe Cassioli (C.Ma.98.A1 e sgg.), l’artista preposto alla realizzazione della decorazione della cappella funeraria in onore di Niobe Guerazzi. Sul tema in questione è in corso uno studio da parte delle scriventi. 29 Le lettere e i documenti su questa attività specifica di Martelli sono raccolti in un fascicolo nel volume D XIII della sezione manoscritti del fondo Martelli. La corrispondenza copre gli anni dal 1887 al 1892 ed è comprensiva delle missive di alcuni artisti, come Fattori, Gioli e Cannicci, che parteciparono alla spedizione con alcuni loro quadri. Per consultare velocemente le lettere in questione, è utile una ricerca per collocazione: D.XIII.47.1 e sgg. Sull’argomento vedi anche le lettere di Martelli a Teresa: C.Ma.311.F37 e sgg. 30 Vedi la lettera C.Ma.311.KK10. 31 Vedi C.Ma.278.A4 e C.Ma.278.B1. 32 Vedi C.Ma.312.BB16 e C.Ma.312.BB17. 33 Lettera di Matilde Bartolommei Gioli a Diego Martelli: C.Ma.237.A19. 34 Lettera di Francesco Gioli a Diego Martelli: C.Ma.235.F1. 26
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monitorare il flusso di mode altalenanti, assicurano un recupero globale e rigoroso del repertorio artistico presente, registrando nello stesso tempo l’eclettismo culturale dell’epistolario. Le possibili query del database, esemplificate attraverso i casi paradigmatici presentati, evidenziano un utilizzo duttile dei filtri, che può portare sia a criteri di selezione standard, facilitando ricerche mirate al reperimento di singole informazioni, sia a distinzioni di più ampio respiro, permettendo un livello di esplorazione critica all’interno delle lettere. In quest’ultimo caso, la creazione di filtri tematici, studiati nello specifico per le peculiarità del carteggio, permette nuovi percorsi di lettura, sottolineando come il valore del fondo risieda anche e soprattutto nella ricchezza di problematiche artistiche emerse sia nelle lettere più note, che nelle corrispondenze più quotidiane. Non solo i documenti legati ai grandi nomi della ‘macchia’, infatti, ma anche le centinaia di missive apparentemente più ordinarie offrono osservazioni di estremo interesse sulla storia del gusto, sulle politiche d’acquisto e formazione delle collezioni pubbliche e private, sugli interessi figurativi per il Trecento e Quattrocento, sull’utilizzo e la validità di strumenti di informazione e divulgazione artistica come le conferenze pubbliche e i giornali, sull’attenzione per le arti decorative e industriali e la fortuna della fotografia, alla quale è associato un lessico specifico, nonché l’emergere di un interesse storico per l’arte e di una figura professionale, più volte rivendicata da Diego Martelli, di critico d’arte. Proprio l’importanza di una lettura trasversale per temi e problematiche artistiche, segnalate anche da un’analisi complessiva delle lettere, ha rafforzato l’attenzione per ulteriori testimonianze testuali legate a Martelli e al milieu culturale dell’epoca. In questa direzione è stato varato dalla Fondazione un programma che comprende la digitalizzazione di due tra le riviste più vivaci dell’epoca, il «Gazzettino delle Arti del Disegno» e «Il Giornale artistico», la trascrizione dei manoscritti artistici inediti di Martelli35 e la creazione di un database con gli scritti pubblicati del critico. L’elaborazione di tali fonti, di prossima pubblicazione nel sito, mira non solo a una consultazione di esse più agile e diretta, ma anche alla possibilità di indagini comparate e trasversali con le lettere del carteggio che, all’interno di un compendio di referenze testuali più ampio, ricreano con immediatezza e veridicità la trama di tessuti relazionali, storici e culturali nel ricco mosaico della letteratura artistica macchiaiola.
Gran parte degli scritti martelliani di argomento artistico sono stati pubblicati (vedi riferimenti bibliografici alle note 2, 9, 10); tuttavia all’interno dei volumi D XIII e D IV della sezione manoscritti del fondo Martelli si trovano numerosi fascicoli, inframmezzati a lettere, ancora inediti. Sulle pubblicazioni di Martelli e sull’elenco dei manoscritti (artistici, politici e letterari) non pubblicati al 1996 si veda Dini 1996, pp. 449-455. 35
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Carteggio Diego Martelli _______________________________________________________________________________
BIBLIOGRAFIA BACCI 1969 B.M. BACCI, L’800 dei Macchiaioli e Diego Martelli, Firenze 1969. BOSCHETTO 1952 Scritti d’arte di Diego Martelli, a cura di A. Boschetto, Firenze 1952. CONTI 2007 S. CONTI, Silvestro Lega e Diego Martelli: amicizia, arte, passioni politiche, in SILVESTRO LEGA 2007, pp. 333-337. DEL SOLDATO 1999 A. DEL SOLDATO, Il fondo Martelli presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, in L’EREDITÀ DIEGO MARTELLI 1999, pp. 13-34.
DI
DEZZI BARDESCHI 1997 M. DEZZI BARDESCHI, Su Cosimo Conti, «restauratore colto» a Firenze negli anni di Diego Martelli, «Anagke», 17-18, 1997, pp. 38-42. DIEGO MARTELLI E I MACCHIAIOLI 1976 Diego Martelli e i macchiaioli, Catalogo della mostra, a cura di A. Del Soldato, V. Masini, Firenze 1976. DIEGO MARTELLI 1996 Diego Martelli: l’amico dei macchiaioli e degli impressionisti, Catalogo della mostra, a cura di P. e F. Dini, Firenze 1996. DINI 1975 Lettere inedite dei Macchiaioli, a cura di P. Dini, con la collaborazione di A. Del Soldato, Firenze 1975. DINI 1983a Giovanni Fattori. Lettere ad Amalia, a cura di P. Dini, Firenze 1983. DINI 1983b Giovanni Fattori. Lettere a Diego, a cura di P. Dini, Firenze 1983. DINI 1996 F. DINI, P. DINI, Diego Martelli: storia di un uomo e di un’epoca, Torino 1996. DINI 1999 F. DINI, Martelli e il Gazzettino, in L’EREDITÀ DI DIEGO MARTELLI 1999, pp. 81-96. DINI 2005 P. DINI, Lettere di Diego Martelli a Giosuè Carducci, «Nuova antologia», 594, 2005, pp. 8-35.
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Alessia Cecconi, Martina Nastasi _______________________________________________________________________________
DISEGNI DELLA COLLEZIONE DIEGO MARTELLI 1997 I disegni della collezione di Diego Martelli, Catalogo della mostra, a cura di S. Condemi e A. Del Soldato, Firenze 1997. DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008 Documenti dei Macchiaioli dal Fondo Vitali. Carte edite ed inedite, Catalogo della mostra, a cura di M.M. Angeli e S. Balloni, Firenze 2008. GALLO 2005 S. GALLO, Diego Martelli e Jules Laforgue: uno snodo della cultura artistica di fine Ottocento, «Confronto», 3-4, 2005, pp. 149-167. GIUDICI 2008 L. GIUDICI, Lettere dei Macchiaioli, Milano 2008. L’EREDITÀ DI DIEGO MARTELLI 1999 L’eredità di Diego Martelli: storia, critica, arte, Atti della giornata di studi (Montecatini Terme, 12 ottobre 1996), a cura di C. Sisi e E. Spalletti, Firenze 1999. L’OPERA CRITICA DI DIEGO MARTELLI 1996 Dai macchiaioli agli impressionisti: l’opera critica di Diego Martelli, Catalogo della mostra, a cura di F. Dini e E. Spalletti, Firenze 1996. LOMBARDI 1995 L. LOMBARDI, Niccolò Cannicci, Soncino 1995. MARABOTTINI-QUERCIOLI 1978 Diego Martelli: corrispondenza inedita, a cura di A. Marabottini e V. Quercioli, Roma 1978. MONTI 1997 R. MONTI, Diego Martelli e la voce segreta delle amate pietre, «Anagke», 16, 1997, pp. 6-8. PARRONCHI 1963 A. PARRONCHI, Scritti d’arte di Diego Martelli, «Approdo», 2, 1963, pp. 60-64. RINALDI 2000 S. RINALDI, Diego Martelli e la conservazione dei dipinti del Camposanto pisano, «Kermes», 13, 2000, pp. 43-51. SILVESTRO LEGA 2007 Silvestro Lega: i Macchiaioli e il Quattrocento, Catalogo della mostra, a cura di G.Matteucci, F. Mazzocca e A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2007. VITALI 1953 L. VITALI, Lettere dei Macchiaioli, a cura di L. Vitali, Torino 1953.
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Digitalizzazione del Fondo Vitali _______________________________________________________________________________
SULLA DIGITALIZZAZIONE DELL’ARCHIVIO DI ADRIANO CECIONI NEL FONDO LAMBERTO VITALI Nel corso del 2009 la Fondazione Memofonte ha promosso e finanziato un progetto di digitalizzazione e indicizzazione delle carte di Adriano Cecioni conservate presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze nel Fondo Lamberto Vitali, composto nella sua interezza anche dal prezioso album di fotografie di Telemaco Signorini, dall’opuscolo di J.A. MacNeill Whistler con dedica a Telemaco Signorini e da un certo numero di cataloghi delle esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti di Firenze. La storia del Fondo, già ben delineata da M. Monica Angeli1, ha come date principali il 1938, quando il gruppo dei documenti fu acquisito da Lamberto Vitali a Firenze tramite la libreria antiquaria Luigi Gonnelli, e il 1993, momento in cui passò per testamento olografo alla Marucelliana, istituzione che già dal 1898 possedeva importanti testimonianze documentarie del mondo macchiaiolo nell’imponente Legato Diego Martelli. L’idea di digitalizzare le carte di Cecioni è nata in parallelo all’avvio del più corposo lavoro sul Fondo Martelli2, del quale si dà notizia in questo stesso numero della rivista. I progetti sono stati entrambi sollecitati dal desiderio di proporre agli studiosi la lettura diretta di due archivi complementari e unici, trattati ognuno secondo la propria specificità e consistenza, come primi passi per una ricostruzione, anche virtuale, dei rapporti artistici e biografici dei protagonisti del movimento della ‘macchia’, dei luoghi d’incontro e i temi d’ispirazione della cultura figurativo-letteraria italiana ed europea dell’Ottocento. Nell’archivio di Cecioni3 si conservano lettere, bozze di articoli, appunti manoscritti e pensieri vari sull’arte, sulla politica, sulla vita privata e familiare dell’artista, documenti eterogenei per un totale di circa un migliaio. Come noto, già nel 1905 Gustavo Uzielli, in seguito alla volontà della famiglia di Cecioni di mandare alla stampa alcuni scritti dell’artista, aveva curato la pubblicazione di una parte del carteggio e di una serie di articoli, alcuni dello stesso Adriano e altri di personaggi della cultura del tempo. Tutti i documenti andarono a costituire il primo volume monografico sullo scultore, divenendo a lungo un punto di riferimento per gli studi su Cecioni4 anche per l’importanza delle missive selezionate che evidenziavano i rapporti con Giuseppe De Nittis, Giosuè Carducci, Telemaco Signorini, Federico Rossano e Ferdinando Martini. A Lamberto Vitali si deve l’aver evitato la dispersione di tali materiali quando, nel 1938, acquisì tutto il gruppo di documenti presso la libreria dell’antiquario fiorentino Gonnelli, grazie all’aiuto e ai suggerimenti di Anthony de Witt e della figlia di Ugo Ojetti, Paola5. Studi recenti hanno approfondito la personalità di Vitali (Milano 1896-1992), facendo luce sul ruolo di collezionista d’arte nel corso della seconda metà del Novecento, appassionato Un quadro archivistico del Fondo Vitali è stato tratteggiato dalla Angeli, direttrice della Biblioteca Marucelliana, sia in occasione del catalogo dell’esposizione sui Macchiaioli e la fotografia, sia nell’opuscolo pubblicato nell’ambito della mostra dedicata agli autografi di Cecioni e ad alcune fotografie appartenute a Telemaco Signorini: ANGELI 2008; DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008; I MACCHAIOLI E LA FOTOGRAFIA 2008; cfr. anche articolo di Adriana Camarlinghi in questo numero di «Studi di Memofonte». 2 La Fondazione Memofonte ha curato un progetto di digitalizzazione e indicizzazione del Fondo Martelli, finanziato dalla Fondazione Marchi di Firenze. La consultazione della banca dati, in fase di conclusivi accrescimenti, è accessibile dalla sezione «Macchiaioli» nel sito www.memofonte.it. 3 Per una nota biografica sullo scultore e pittore Adriano Cecioni (Fontebuona 1836-Firenze 1886): GIUDICI 2008, p. 168. 4 CECIONI 1905. 5 Nel corso della stessa asta Vitali comprò anche l’album di fotografie di Signorini, l’opuscolo di Wistler e i già citati cataloghi delle esposizioni fiorentine. Sulle vicende relative all’acquisto dell’archivio Cecioni: MATTEUCCI 1991; cfr. anche: PAOLI 2004; VITALI 2004; ANGELI 2008, p. 207. 1
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raccoglitore di pittura, grafica e fotografia, nonché di critico attento, capace di cogliere il valore di opere e documenti. Nato a Milano da genitori livornesi, seguì l’attività commerciale di famiglia lavorando per la ditta Vitali & Vitali, rappresentante di coloniali e caffè6; fin da piccolo nutrì la passione per l’arte e già dagli anni Venti diede inizio alle collaborazioni con quotidiani e riviste d’arte («Domus», «Emporium», «Il Caffè», «L’Ambrosiano», «Le Arti Plastiche»), rivelandosi una figura intellettualmente curiosa e con grandi capacità di storico dell’arte. Lo stesso senso pratico già sviluppato nelle questioni lavorative lo caratterizzò nel precoce accostarsi al collezionismo, instaurando con l’opera d’arte un rapporto «basato sulla conoscenza sensibile, intuitiva e guidata dal gusto»7. Sebbene la storia del collezionismo del primo trentennio del Novecento sia legata anche ad altri esempi di personaggi provenienti dal mondo del commercio - come ci ricordano le esperienze coeve della formazione della raccolta fiorentina Contini Bonacossi o di quella torinese di Riccardo Gualino8 - Vitali si distinse quale appassionato cultore sempre sostenuto da capacità filologiche e critiche, dall’abilità di cogliere il valore delle opere e dal contatto con un clima culturale prolifico. Elementi tutti che concorsero ad autonome, precoci e colte riflessioni sull’arte moderna e contemporanea, con sensibilità verso i nuovi apparati documentari, la grafica e la fotografia9. Se per la fotografia gli si riconosce a pieno il merito di essere stato tra i primi ad averla considerata un’arte con un linguaggio autonomo e specifico10, minor interesse ha suscitato per il momento la riflessione sul Vitali collezionista e studioso di documenti d’archivio. In questo campo egli dimostrò una passione antiquaria e letteraria inusuale, guidata da un indubbio intuito personale e dal profondo interesse per la scultura e pittura ottocentesca italiana, che stimolarono il collezionista milanese a raccogliere negli anni che precedettero la guerra «in archivi privati e pubblici testi di lettere d’artisti del secondo Ottocento, dal Fontanesi al Morelli, dai Macchiaioli agli Scapigliati e ai Divisionisti»11. Il nucleo delle carte Cecioni acquistato nel 1938, costituì per Vitali il punto di partenza per il lavoro di riordino, trascrizione e successiva stampa delle Lettere dei Macchiaioli, la celebre antologia del movimento uscita nel 195312. Come ha ultimamente ricordato il figlio di Vitali, Enrico, la selezione di epistole fatta dal padre era stata pensata fin dalla metà degli anni Venti: i materiali, scelti all’interno del vasto archivio personale e dotati di note e apparati critici già da Per un quadro biografico su Vitali si confrontino PIROVANO 2001 e il più recente ricordo del figlio Enrico: VITALI 2004. 7 PAOLI 2004, p. 24. 8 Riccardo Gualino (Biella 1879-Firenze 1964), tra le opere in suo possesso, godette anche di un bel numero di testimonianze macchiaiole: LAMBERTI 1980; CHIAPPARINO 2003. Su Alessandro Contini Bonacossi (Ancona 1878-Firenze 1955) e la sua collezione: SALMI 1967; CAPUTO 1983. 9 Nella sua cerchia di amici e conoscenti, si ricorda il legame con Paolo D’Ancona, professore di Storia dell’arte dell’Università di Milano, e i rapporti di amicizia con Giorgio Morandi, Carlo Carrà, Marino Marini e Achille Funi, il quale lo ritrasse in una tela seduto accanto alla moglie America Compagnani. 10 Una recente mostra milanese ha posto le basi per una riflessione sul percorso di Vitali nel campo della fotografia, da collezionista ad abile critico, nonché pioniere di un nuovo approccio esegetico con cui seppe rinnovare gli studi di settore: VITALI E LA FOTOGRAFIA 2004. La collezione fotografica di Vitali, costituita da più di tremila fototipi, è oggi conservata presso il Civico Archivio Fotografico di Milano. Notevoli furono anche i contributi apportati da Vitali nello studio dell’incisione di Otto-Novecento, ambito nel quale dette il giusto peso alla valenza documentaria ed espressiva in rapporto alla tecnica e all’autore dell’opera, aspetti ancora poco tenuti in considerazione all’epoca; nel 1927, con l’intento di diffondere l’opera grafica di pittori italiani contemporanei, egli fondò, insieme a Giovanni Scheiwiller, la rivista «Graphica Moderna», poi «Nova». 11 Cfr. introduzione di Vitali in SEGANTINI 1970, p. 17. Ludovici è stato tra i pochi a sottolineare la propensione di Vitali alla raccolta di documenti autobiografici degli artisti a fine soprattutto «propedeutico», senza avere con essi la pretesa di spiegare l’arte: LUDOVICI 1946, pp. 382-383. 12 VITALI 1953. Oltre alle lettere del fondo Cecioni, l’antologia macchiola ne comprendeva numerose altre provenienti da archivi privati, come quelli degli eredi Cabianca, Signorini, Costa ecc. 6
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prima del conflitto mondiale, furono presentati e accettati da Einaudi solo nel 1953, suggellando quella collaborazione tra Vitali e l’editore torinese iniziata qualche anno prima, nel 1950, con la proposta di pubblicazione del Diario di Eugène Delacroix in versione integrale13. Entrambi i lavori si inseriscono in un momento intellettuale particolarmente prolifico della vita di Vitali, guidato da un grande entusiasmo per la ripresa seguita alle tristi vicende belliche che, non solo avevano bloccato la fortunata attività commerciale, ma avevano al contempo inferto un duro colpo alla famiglia, livornese di tradizioni israelite, divenuta vittima delle feroci leggi razziali14. Benché il proposito iniziale di Lamberto fosse quello di pubblicare i documenti dei quali era in possesso «in un corpus più o meno completo sugli esempi illustri del Bottari e del Gaye», egli si limitò poi «a pubblicare soltanto le lettere dei Macchiaioli, rinunziando a tutte le altre»15. Delle carte di Cecioni, Vitali selezionò ventitre lettere, sulla base di un orientamento cautamente guidato dall’interesse biografico ed artistico e dai contenuti espressi16. Riproposte nella loro esatta lezione e nel pieno rispetto dei testi originali, tra i destinatari figuravano Telemaco Signorini, Gustavo Uzielli, Giuseppe De Nittis, Cristiano Banti, Giosuè Carducci, Odoardo Borrani, missive che accanto agli aspetti artistici mettevano in luce anche le note più personali e intime «gli unici testi veridici […] che resuscitino gli uomini nella loro interezza e aiutino a intendere meglio quelle stesse opere cui il loro nome è legato»17. Il valore della lettura diretta del documento, non rielaborato da interventi del curatore, fu rimarcato da Vitali anche nell’introduzione degli scritti segantiniani quando, nel 1970, pubblicò la prima lezione originale di venticinque lettere di Giovanni Segantini18, superando le polemiche suscitate dalla stampa edulcorata della figlia di Segantini, Bianca, che aveva proposto una selezione e rielaborazione dei testi, aspramente criticate da Scipio Slataper prima e da Ardengo Soffici poi19. Nel caso delle lettere di Cecioni, il periodo selezionato da Vitali intendeva mettere in luce gli aspetti culturali dell’ambiente artistico nel quale si mosse l’artista toscano negli anni tra il 1870 e il 1886. L’aver voluto dare alle stampe tali documenti, il tipo di scelte seguite e l’apparato critico a corredo delle Lettere dei Macchiaioli, denotano ancora una volta la spiccata sensibilità personale di Vitali nell’individuare relazioni e livelli d’importanza all’interno delle trame dei contenuti, come pure la capacità di inserirli nei loro precisi contesti culturali. Indubbiamente la pittura della ‘macchia’ rientrava nei gusti personali del milanese, ma sempre sostenuti da una coscienza scientifica che inserì a pieno Vitali nel mondo della critica dell’epoca grazie ad articoli usciti su varie riviste, come in «Emporium» negli anni in cui egli ne fu direttore20, con scritti rivolti soprattutto al rapporto tra fotografia e ricerca pittorica nelle vicende dell’arte figurativa del secondo Ottocento21. La conoscenza diretta del mercato d’arte, rafforzata dalla fitta trama di rapporti instaurati con le più illustri personalità della cultura italiana ed internazionale, modellarono la sua capacità di collezionista selettivo, raffinato e profondamente sensibile alle vicende di cronaca sulla dispersione all’asta di alcune grandi collezioni d’arte italiane. In più occasioni DELACROIX 1954. Sul trasferimento forzato in Svizzera, il blocco delle attività commerciali e la conseguente cessazione di ogni attività culturale pubblica, cfr.: PIROVANO 2001, p. 36. 15 Cfr. in particolare la prefazione di Vitali in SEGANTINI 1970. 16 VITALI 1953. 17 VITALI 1953, p. 13. 18 SEGANTINI 1970. 19 SEGANTINI 1970, p. 17. In queste pagine introduttive Vitali traccia la polemica tra Bianca Segantini, Scipio Slataper e Soffici, apparsa su «La Voce»: SEGANTINI 1910; SLATAPER 1909; SLATAPER 1910; SOFFICI 1910. 20 In particolare cfr. VITALI 19335; VITALI 1936a, b; sul rapporto tra «Emporium» e i Macchiaioli si veda l’articolo di Miriam Fileti Mazza in questo numero di «Studi di Memofonte». 21 Tra gli scritti di Vitali su questi argomenti si ricordano in particolare: VITALI 1957; VITALI 1959; VITALI 1960. 13 14
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espresse il suo rammarico in tal senso e, in particolare, in una serie di articoli su «Le Arti Plastiche», lamentando ad esempio la sorte a cui sembrava destinata la raccolta di Enrico Checcucci, ricca di quadri macchaioli, e auspicando che la Galleria d’Arte Moderna di Milano potesse intervenire per impedire che i dipinti più significativi non venissero acquisiti da musei stranieri22. La stessa premura fu dimostrata da Vitali nei confronti dei problemi espositivi, proponendo nuove idee per la modernizzazione dei musei milanesi e suggerendo di dare maggior valore ad una corretta politica degli acquisti. Nell’articolo pubblicato su «Il Caffè», il 15 novembre 1924, sollecitava le istituzione all’acquisto di opere dei Macchiaioli, in quanto a suo parere ancora troppo scarsamente rappresentati nei musei della sua epoca, esortando ad usare una parte dei fondi annualmente dedicati dal Comune all’incremento della galleria per acquisti al di fuori delle esposizioni d’arte23. La volontà testamentaria di Vitali di cedere le opere d’arte della sua collezione personale alle istituzioni aperte al pubblico, si comprende dunque proprio nell’ottica di questa strenua volontà di evitare la dispersione di documenti, fotografie e pitture legate alle figure più illustri della cultura di Otto e Novecento: la raccolta fu destinata, con testamento datato 15 luglio 1987 e pubblicato il 14 gennaio 1993, alla Pinacoteca di Brera, al Comune di Milano, alla Pinacoteca Ambrosiana, alla Raccolta Bertarelli del Castello Sforzesco, alla Galleria degli Uffizi e alla biblioteca Marucelliana. Il fondo costituito dalle carte Cecioni arrivò in Marucelliana nel 1993 e fu acquisito definitivamente nel 2003, in seguito allo scioglimento di complessi nodi giuridici. Di queste carte, nel 2009, la Fondazione Memofonte ha proposto la digitalizzazione, consapevole del fatto che l’archivio ben si prestava ad una più moderna fruizione digitale per il valore storico-artistico da esso rivestito e per essere tuttora inedito nella sua interezza. Una volta approvato il progetto, la Memofonte ha dunque preso in considerazione la totalità delle carte conservate, edite ed inedite e, tra queste, anche i documenti esclusi dalle pubblicazione di Uzielli e di Vitali, relativi soprattutto alle vicende personali di Cecioni, alle perenni difficoltà economiche e al malessere artistico di un uomo dai profondi conflitti esistenziali24. In accordo con i responsabili della Biblioteca è stato scelto di pubblicare on line l’archivio sul sito della Memofonte (www.memofonte.it), nella sezione dedicata ai Macchiaioli, ad uso di quanti abbiano necessità di interrogare i materiali senza dover necessariamente ricorrere agli originali. Il lavoro della Memofonte si è concretizzato in un elaborato programma di strutturazione e indicizzazione dei contenuti per dare pieno risalto ai mittenti, ai destinatari, ai variegati temi d’interesse e ai rapporti tra i personaggi. A ben vedere, scopo della pubblicazione integrale è stato offrire agli studiosi il recupero di un vivace tessuto informativo volto alla conoscenza dell’esperienza privata di Cecioni e degli artisti a lui vicini, nel rispetto della volontà di Vitali di far conoscere e divulgare un archivio così prezioso. Lo stesso collezionista, tra l’altro, fu consapevole che la sua raccolta di lettere fosse «incompleta» e che, soprattutto, avesse «lo scopo di preparare il materiale per gli storici che verranno»25. L’utilizzo dello strumento informatico ha permesso la creazione di un rapporto dinamico tra i contenuti dei documenti e l’immagine diretta di questi ultimi, procedendo ad una vera e propria ricostruzione virtuale del fondo a favore della lettura del documento originale accompagnata dall’indicizzazione di nomi, luoghi e temi, che permette l’orientamento nel reperire informazioni settoriali.
VITALI 1928. Si veda anche: IATO 2001, pp. 23-24. VITALI 1924; cfr. IATO 2001. 24 MATTEUCCI 1991, p. 15 e sgg. Si ricorda che alcune lettere pubblicate da Vitali sono state riproposte in GIUDICI 2008 con un ulteriore apparato critico. 25 VITALI 1953, p. 21. 22 23
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Il gruppo di lavoro, costituito dagli studiosi Irene Calloud, Elena Miraglio, Silvia Roncucci e Roberto Viale sotto la direzione di Miriam Fileti Mazza e coadiuvati, per la parte informatica, dalla ditta RedNoodles di Firenze, fin dai primi mesi di lavoro ha proceduto all’acquisizione digitale delle carte, ognuna delle quali è stata successivamente corretta con un programma di elaborazione immagini e ritagliata per essere adeguata al formato prescelto per la futura messa on line delle lettere. La connessione tra scheda di soggettazione e immagine digitale ha seguito un sistema da tempo testato dalla Memofonte. In questa prima fase di attività è stata definita la struttura informatica, progettata sulla base di un campione rappresentativo di lettere individuato dall’équipe scientifica. La banca dati, caratterizzata da un unico archivio elettronico, è stata strutturata allo scopo di produrre un mezzo agevole e pratico per la gestione e la ricerca del materiale manoscritto, che ne permettesse al contempo l’inventariazione, l’ordinamento e il reperimento dei contenuti. Esito di questo lavoro è stato la definizione dei principali campi della banca dati:
DATA MITTENTE DESTINATARIO LUOGO MITTENTE LUOGO DESTINATARIO TIPO DOCUMENTO ARGOMENTO RIFERIMENTO IMMAGINE COLLOCAZIONE NOTE
Terminata questa prima parte del progetto, che ha offerto un prodotto finito e un modulo operativo sul quale muoversi con sicurezza, il gruppo di lavoro si è impegnato in incontri seminariali per la creazione di norme da adottare nella compilazione dei campi, studiando di volta in volta i casi problematici e le eccezioni, in modo da evidenziare i contenuti delle carte in una sintassi chiara e formalizzata. La compilazione del campo DATA, munito di menù a tendina per ricerche facilitate, ha messo in evidenza un lungo arco cronologico che dal 1857 arriva al 1933, oltre a due lettere recenti indirizzate a Vitali, una del 1957 e l’altra dell’anno successivo. Molto variegato anche il quadro che emerge dalle liste dei mittenti e dei destinatari, per la compilazione dei quali è stato scelto di attenersi alla normativa RICA, servendosi anche delle indicazioni presenti nell’inventario generale redatto a cura della Biblioteca Marucelliana, seppur approfondito e corretto laddove siano state riscontrate evidenti mancanze. Tra i corrispondenti compaiono con maggior frequenza i nomi dei familiari di Cecioni (tra i quali quello della moglie Luisa e dei figli Giorgio, Giulia e Flora) che mostrano uno spaccato della vita intima dell’artista e dei suoi dissidi personali; sono legati invece alla sfera artistica le corrispondenze con i suoi compagni scultori e pittori (Cristiano Banti, Giuseppe De Nittis, Telamaco Signorini, suo amico e confidente, Vincenzo Cabianca ecc.) e con i componenti del gruppo napoletano (Marco De Gregorio, Federico Rossano e De Nittis). Con loro Cecioni discute in modo animato sulle sue partecipazioni ai concorsi e alle esposizioni internazionali e sulle complesse questioni legate alla sua nomina a docente all’Istituto Superiore di Magistero Femminile a Firenze (1884). Tra gli altri corrispondenti, compaiono i personaggi della cultura del tempo, letterati e politici, come le più note lettere scambiate con Giosuè Carducci e quelle con Ferdinando Martini; si conserva inoltre una copia dattiloscritta di una parte delle lettere di Giovanni Fattori alla giovane tedesca Amalia Nollenberger, la cui versione originale è
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conservata nel Fondo Martelli26. Numerosi poi anche gli scambi epistolari con personalità straniere, come quelli con il fonditore parigino Louis Martin, quelle scritte tra Cecioni e Thomas Gibson Bowles connesse ai rapporti di collaborazione tra i due nell’ambito della rivista «Vanity Fair» o quelle con il mercante Frédérich Reitlinger che, insieme ai Goupil, controllava il mercato artistico europeo. La tipologia dei documenti ha rivelato, accanto alle missive, appunti manoscritti, pensieri sparsi e bozze di articoli, legati all’attività di critico d’arte del macchiaiolo, autore di contributi dalla vigorosa vena polemica sul «Giornale Artistico» e «Il Fanfulla della Domenica»; si aggiungono a questo grande nucleo anche certificati e attestati dell’artista che illustrano le tappe di vita di Cecioni dalla carriera militare alla formazione accademica. Il lavoro di soggettazione e compilazione del campo ARGOMENTO, si è basato sul criterio di indicizzazione di quelle parole chiave in grado si restituire i temi della trattazione e che ha permesso, nella sua complessità, di creare grandi aree tematiche. Tali aree costituiscono allo stesso tempo un sistema per la ricerca che permette di svolgere un’interrogazione specifica per ciascuna tipologia di fonte e di ottenere risultati puliti e mirati, grazie alla possibilità di selezionare tematiche già impostate sul menù a tendina, scelte sulla base delle ricorrenze più comuni dei contenuti: luoghi e istituzioni, persone, opere, mostre ed esposizioni, collezioni private, libri, opere, articoli e riviste ecc. Sempre assicurata all’utente è poi la ricerca libera che consente di effettuare un’indagine tra i contenuti dei documenti, immettendo nel campo dell’interrogazione il termine o più termini ricercati, posti in relazione con l’uso di operatori booleani. In totale, i record inseriti sono circa un migliaio, tra i quali si possono consultare le lettere trascritte da Vitali con il rimando agli originali, spesso contrassegnati dal collezionista con note e appunti in matita blu o rossa. Tra i molteplici temi di studio suggeriti dall’elaborazione informatica si presentano, in questo IV numero di «Studi di Memofonte», i contributi di Elena Miraglio e Silvia Roncucci, esempi applicativi di nuove suggestioni d’indagine nate dall’utilizzo di un archivio versatile che orienta su temi, artisti, tempi ed eventi. Ulteriori possibili sviluppi del progetto sul Fondo Vitali fanno auspicare di proseguire il lavoro di digitalizzazione sull’archivio fotografico, sui cataloghi delle mostre e sui ritagli di giornali conservati sempre presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze. Tali fondamentali integrazioni garantiranno una diffusione sempre più completa degli scritti dei maggiori protagonisti dell’arte italiana tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Le lettere tra Fattori e Amalia, già pubblicate in DINI 1983, sono consultabili in versione originale nella banca dati di Diego Martelli sul sito della Fondazione (www.memofonte.it). 26
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Digitalizzazione del Fondo Vitali _______________________________________________________________________________
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Silvia Roncucci _______________________________________________________________________________
L’ESPOSIZIONE ARTISTICA NAZIONALE DI TORINO (1880) NELLE CARTE DEL FONDO VITALI Un numero cospicuo di testimonianze del Fondo Lamberto Vitali della Biblioteca Marucelliana di Firenze si sofferma sull’attività espositiva dello scultore Adriano Cecioni1, tra cui la significativa partecipazione all’Esposizione Nazionale di Belle Arti svoltasi a Torino nel 1880. Sebbene in parte conosciute e documentate in altri scritti relativi ai Macchiaioli, tra cui quelli dello stesso Vitali2, le vicende della mostra torinese sono ulteriormente chiarite da alcune carte della raccolta fiorentina. Nell’ambito del progetto di digitalizzazione3 del Fondo Cecioni, curato dalla Fondazione Memofonte, l’analisi dei contenuti trattati nei documenti, seguita alla fase di schedatura dei materiali fotografati, ha portato all’individuazione di alcuni fili conduttori a livello tematico. In tal modo sono stati messi in luce una serie di argomenti che, vista la loro notevole frequenza, devono aver ricoperto un ruolo importante per lo scultore fiorentino e gli altri esponenti della ‘macchia’. Fra di essi sono numerosi i riferimenti alle rassegne d’arte, che, come è noto, tra Ottocento e Novecento costituirono per gli artisti un mezzo di promozione imprescindibile, essendo frequentate non solo dai rappresentanti della categoria e dai critici, ma anche da una larga base di acquirenti, sia pubblici che privati. Tra le esposizioni citate nella documentazione del Fondo Vitali compare un ampio nucleo di carte relative proprio alla rassegna torinese. Tale occorrenza, emersa già al momento dello spoglio delle fonti, risulta ancora più evidente andando alla ricerca dell’indicazione «Torino, esposizione». Vediamo, infatti, che, nel campo dedicato agli argomenti trattati, questa dicitura ricorre ben trenta volte, su circa centotrenta epistole inerenti al tema delle mostre d’arte. Un quantitativo non trascurabile, che ci suggerisce l’effettiva importanza di questo evento per la biografia dell’artista, e non solo. La rassegna di Torino vide Cecioni impegnato inizialmente solo come artista, anche se la sua vis critica non tardò a manifestarsi. Lo scultore si presentò con ben tre opere, vale a dire i gruppi La madre e l’Incontro per le scale – noto anche come Il bambino col cane4 – e una figurina di Adriano Cecioni (Fontebuona 1836-Firenze 1886), formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze con lo scultore Aristodemo Costoli, nel 1863 vinse il concorso per il pensionato artistico fuori Toscana che lo portò a Napoli, dove rimase fino al 1869. Qui incontrò Giuseppe De Nittis e Federico Rossano e nel 1866 espose alcuni lavori alla Promotrice delle Belle Arti, tra cui la scultura Il suicida. Inviata a Firenze l’anno successivo ed esposta presso l’Accademia di Belle Arti, l’opera non fu unanimemente apprezzata dall’ambiente accademico, che si dichiarò contrario ad una traduzione in marmo. Nel 1870 Cecioni si recò a Parigi e al Salon espose con successo Il bambino col gallo. Tra il 1871 e il 1878 viaggiò tra Nizza, Londra e a Roma, dove si aprì una sottoscrizione per la realizzazione del busto di Giacomo Leopardi. Nel 1879-1880 strinse rapporti con Giosuè Carducci, di cui ebbe sempre una grande stima. Nel 1883 fu a Roma per l’esposizione artistica e l’anno successivo fu nominato maestro di disegno presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile. In merito cfr. CECIONI SCULTORE 1970, Regesto. 2 VITALI 1953. 3 Le carte di Adriano Cecioni conservate nel Fondo Vitali e digitalizzate dalla Fondazione Memofonte sono consultabili sul sito www.memofonte.it, nella sezione «Macchiaioli». 4 Una riduzione in bronzo dell’opera sarebbe stata esposta tre anni dopo in occasione dell’Esposizione Artistica Internazionale di Roma. Presso la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Pitti a Firenze (GAM) è conservato il marmo scolpito (alt. 116 cm, inv. Giornale 3666, 1932) datato 1884-1886, recante sulla base a sinistra l’iscrizione «A. Cecioni» e proveniente dalla collezione di Umberto Quintavalle di Milano. Già nel 1881 Cecioni aveva cercato di organizzare una sottoscrizione, coinvolgendo anche Giosuè Carducci, i cui proventi sarebbero serviti per la traduzione in marmo del gesso originale. Tuttavia, a parte la fusione in bronzo, poi acquistata dallo Stato per la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, all’epoca della morte dell’artista non è citata nessuna traduzione marmorea. Una versione in marmo è indicata presso le figlie dell’artista nel 1905 (cfr. CECIONI 1905, p. 423) e una è erroneamente collocata dal Somarè presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma nel 1932 (CECIONI 1932, p. 37, tavv. 13-14). L’opera della collezione Quintavalle comparve sul mercato antiquario nel 1953 e fu allora che Ettore Spalletti, direttore della GAM di Firenze, ne richiese l’acquisto. Non sappiamo però se si tratti di una traduzione marmorea di mano del Cecioni stesso oppure di una riproduzione 1
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cane in terracotta, intitolata La sortita del padrone, una piccola scultura di gusto animalier che dovette piacere molto ai frequentatori della mostra, visto che Cecioni in seguito ne eseguì delle copie in bronzo e terracotta per diversi committenti5. Riferimenti a queste opere, tra le più significative nell’intera produzione dell’artista fiorentino, ricorrono spesso nei materiali del Fondo Vitali, dimostrando il successo di critica e pubblico di cui godettero. Si tratta principalmente di lettere, per lo più inedite, scritte da Cecioni stesso o da altri personaggi che furono in contatto con lui. In una quarantina di documenti sono testimoniati, ad esempio, gli scambi epistolari tra Cristiano Banti e altri esponenti della cerchia macchiaiola. Di particolare interesse è una lettera inviata a Banti nell’aprile del 18806 dal pittore e intellettuale torinese Ernesto Bertea, in cui sono riportate le opinioni manifestate dai commissari dell’esposizione relativamente all’operato di Cecioni. Si tratta di pareri espressi in privato che Bertea riferisce all’amico Banti «credendo forse che ciò possa interessare voi e lui». L’artista piemontese fa sapere che «le sue [di Cecioni] statue sono trovate bellissime e molto apprezzate» e che a detta di alcuni «il Cecioni e il d’Orsi [sono] gli artisti che meglio dimostrino un grande ingegno unito ad uno studio accuratissimo e profondo». Nella missiva seguono poi giudizi sulle opere di alcuni pittori che presero parte alla rassegna piemontese, tra cui Giuseppe De Nittis7, Niccolò Barabino8, e i piemontesi Quadrone, Gilardi e Pittara9. Quest’interessante epistola dimostra quanto le opere di Cecioni fossero apprezzate, non solo dai protagonisti della corrente macchiaiola, ma anche da altri frequentatori della mostra. Del resto non va trascurato che la testimonianza è dovuta a Bertea, pittore paesaggista di formazione fontanesiana e intellettuale di rilievo nella cultura italiana dell’epoca, che svolse un
ottenuta dal gesso venduto dalle figlie dello scultore nel 1920 a Ermando Fanfani, che ottenne anche il diritto di trarne delle riproduzioni in bronzo. Non è certo neanche se vada identificata con quella individuata presso le figlie di Cecioni nel 1905 e poi citata da Somarè nel 1932 (in merito all’opera cfr. scheda ministeriale 09/00342189). Secondo Piero Dini esiste anche un’altra versione del soggetto in una collezione privata a Viareggio (DINI 1975, p. 150). Nella Collezione Aldo Gonnelli di Firenze si trova invece una versione in bronzo, alta 115 cm, recante di lato l’iscrizione «Sgradito incontro/Adriano Cecioni», forse prodotta da Ermando Fanfani. In merito cfr. CECIONI SCULTORE 1970, scheda n. 31. 5 Una terracotta grande al vero, alta 47 cm, è conservata nella Collezione Aldo Gonnelli di Firenze, mentre presso la GAM di Firenze troviamo una fusione in bronzo acquistata nel 1942 da Aldo Gonnelli (alt. 47 cm, inv. Giornale 2387) e realizzata dalla fonderia Primo Capecchi di Pistoia a partire da un originale in terracotta di Cecioni (cfr. scheda ministeriale 09/00342202). Dalle lettere dello scultore si deduce che una copia in bronzo apparteneva anche alla Sig.ra Giovanna Bertola, moglie del Cav. Bertola, Direttore delle RR. Cacce in Piemonte, e un’altra versione in terracotta ad Angiolo Orvieto: in merito cfr. Firenze, Biblioteca Marucelliana, Fondo Lamberto Vitali (BMFV), 944458, 944460 e 943884 e CECIONI SCULTORE 1970, scheda n. 17. Maria Teresa Balzar afferma che una copia in bronzo si trovava, almeno fino al 1955, presso il Prof. Nardini di Firenze (cfr. tesi di laurea Maria Teresa Balzar su Adriano Cecioni, relatore Prof. Lionello Venturi, discussa a Roma nel 1955, p. 78). Per notizie in merito vd. anche: BMFV, 943972 e 944486. 6 BMFV, 94452. 7 De Nittis ottenne il premio di pittura di genere con il dipinto Ritorno dalle corse (cfr. DINI 1975, nota 14 p. 144). 8 Niccolò Barabino, artista ligure formatosi presso l’Accademia Linguistica di Genova e perfezionatosi tra Roma e Firenze, affiancò alla pittura ufficiale, finalizzata alla decorazione di chiese, teatri o edifici privati soprattutto liguri, una produzione minore, influenzata dalla ‘macchia’ e dal Realismo. A Torino espose due dipinti di tema storico, Cristoforo Colombo deriso a Salamanca e Galileo in Arcetri. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 675. 9 Giovanni Battista Quadrone e Pier Celestino Gilardi furono due pittori di genere formatisi presso l’Accademia Albertina di Torino, mentre Carlo Pittara fu uno dei maggiori animatori della cosiddetta Scuola di Rivara, che ebbe il suo acme nel 1862-1872, insieme ad Alfredo D’Andrade, Ernesto Rayper, Ernesto Bertea, Federico Pastoris, Lodovico Raimond e Vittorio Avondo. A Torino Pittara espose La fiera di Saluzzo nel secolo XVIII (Torino, Galleria Civica di Arte Moderna), opera qualitativamente discutibile, che risente degli interessi storici e locali che animarono la scuola di Rivara. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, pp. 825, 967 e 980.
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fondamentale ruolo di mediazione tra la cerchia macchiaiola toscana e la pittura piemontese di ispirazione verista10. I lavori dello scultore fiorentino dunque, assieme a quelli del napoletano Achille d’Orsi – che proprio a Torino aveva presentato il celebre Proximus tuus11 – ebbero da subito una buona riuscita sul pubblico, nonostante l’effetto generale delle opere fosse compromesso dall’allestimento errato e dalla cattiva illuminazione della sala. In una lettera del 27 aprile 188012, un altro significativo esponente della cultura macchiaiola, Telemaco Signorini13, riferisce, infatti, all’amico Cecioni che il locale in cui ha luogo l’esposizione è vastissimo, forse anche troppo e la luce arriva stanca sui quadri, illuminati, una parte dall’alto, e una altra da luce di finestrone laterale; la scultura è tutta illuminata da luce di lanterna che arriva stanchissima sulle sculture la maggior parte appoggiate quasi al muro. La tua figura perde un poco come linea decorativa dello spazio che occupa, e non si presenta troppo bene. La base presentando al pubblico il lato stretto mostra il ragazzo di schiena quando gli siamo davanti e allora fa molto meglio. Non ho domandato nulla per migliorare il collocamento di questo tuo lavoro. Se togli il gruppo di Ximenes14 che fa bene collocato dov’è, non vi è una scultura che abbia contentato uno scultore solo per la sua collocazione. Ad onta di questa scontentezza generale degli scultori, e la maggior parte napoletani, non ve ne è uno che abbia osato protestare, sapendo da aver che fare con gente inamovibile e dura come il sasso
E poco dopo aggiunge che vicino alla tua madre vi è ritratto il ragazzo col cane e poco più distante il cane solo. Quello che prevedevo è accaduto, i tuoi tre lavori guadagnano ogni giorno più nell’opinione degli artisti e per conseguenza nell’interesse che si va prendendo il pubblico.
Signorini parla poi della visita di re Umberto I, il quale, tra gli scultori, conobbe personalmente solo il D’Orsi, scatenando così le invidie del senese Emilio Gallori15 – che già Ernesto Bertea, dopo aver ottenuto la laurea in giurisprudenza, si dedicò alla pittura e nel 1857 si iscrisse al Circolo degli Artisti di Torino. Personaggio di cultura internazionale, soggiornò spesso all’estero, in Francia, Spagna, Regno Unito, e fu amico di Vittorio Avondo, con cui nel 1861 difese le opere dei toscani esposte a Torino. Fu anche collezionista di arte esotica e studioso della tradizione artistica pinerolese. Per la biografia di Bertea cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 689. 11 Achille D’Orsi fu l’iniziatore della corrente di stampo sociale nella scultura napoletana. Con il lavoro presentato a Torino nel 1880, raffigurante un contadino seduto a terra e distrutto dal faticoso lavoro nei campi, ottenne un premio ed ebbe tali consensi che decise di riproporre l’opera l’anno successivo a Venezia. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 69. 12 BMFV, 944524. 13 Alla Esposizione Nazionale di Torino Telemaco Signorini aveva presentato il dipinto Il Ponte Vecchio che l’anno successivo fu venduto al negoziante Visart di Bath. In merito cfr. VITALI 1953, nota 2 p. 45. 14 Ettore Ximenes a Torino esibì il bozzetto del Ciceruacchio, raffigurante il capopopolo e patriota risorgimentale Angelo Brunetti, affiliato alla Giovine Italia e collaboratore di Mazzini e Garibaldi. In seguito lo scultore avrebbe tradotto l’opera in un grande monumento collocato a Roma nel 1900. In merito cfr. PANZETTA 1989, p. 214. 15 Emilio Gallori studiò dapprima presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e proseguì la sua formazione a Napoli e Roma. Dal 1874 al 1878 fu a Londra e in seguito tornò a Roma dove si dedicò alla modellazione di statuette di genere, ritratti e busti di gusto verista. Nel 1883 partecipò con successo al concorso per il monumento a Garibaldi a Roma sul Gianicolo. All’esposizione di Vienna del 1873 fece scandalo con Nerone vestito da donna, mentre la sua statua Tristitia ebbe successo alla esposizione di Parigi del 1900 (in merito cfr. PANZETTA 1989, p. 80). La figura di Emilio Gallori si era già presentata nella vita di Cecioni all’epoca della fine della sua amicizia con De Nittis. Come testimoniato da un’epistola del Fondo Vitali datata 2 luglio 1879, la chiamata di Gallori a collaborare con De Nittis per la realizzazione di un monumento causò una violenta reazione del Cecioni, che avrebbe desiderato essere coinvolto personalmente dall’amico al posto dello scultore senese, tanto più che all’epoca l’artista si trovava in una condizione di estrema necessità economica. Lo sdegno di Cecioni per la scelta 10
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Signorini aveva definito «idrofobo per la collocazione del suo gruppo» – e del piemontese Augusto Rivalta16. A Torino i due scultori avevano presentato rispettivamente La sorella di latte e Il fumo negli occhi, riproposte l’anno seguente alla mostra di Milano17. Ulteriori dettagli sugli eventi che segnarono la rassegna di Torino ce li fornisce Cecioni stesso nelle missive inviate agli amici all’epoca del soggiorno torinese, una ventina di epistole in cui l’artista dispensa verso alcuni dei partecipanti giudizi decisamente aspri che anticipano quelli degli scritti polemici che avrebbe pubblicato di lì a poco. In una lettera a Banti del 24 maggio18, ad esempio, esorta l’amico a recarsi all’esposizione, informandolo che a Torino vedrai le strampalerie del Michetti, che ha fatto molto, ma molto peggio di quel che non fece a Napoli; vedrai il De Chirico, vedrai il Dalbono vedrai gli sforzi e le civetterie artistiche di questi pittori bucaioli. Vedrai l’arte ruffiana di Milano, l’arte puttana di Napoli, l’arte cialtrona (morelliana) l’arte triviale, di Roma, l’arte stupida di Maccari e compagni, e l’arte fiorentina che si distingue per la sua onestà gentilezza e sincerità. Tutti i lavori di Firenze fanno in questa esposizione una bella figura perché sono i soli che rappresentano un’arte sana
E in una successiva del 29 maggio19, stavolta diretta a Signorini, rincara la dose affermando che l’esposizione non mi pare nulla di meglio di quella di Napoli. Le solite strampalerie del Michetti il quale, in questa esposizione, fa peggior figura di quel che non faceva a Napoli. È un talento senza base e la fatica che dura per imitare Fortuny lo condurrà a fare la pittura più schifosa che si sia mai visto e che egli, per il primo, non potrà più tollerare: i soliti sforzi di grazia e di chich del Di Chirico il quale ha messo a questa esposizione al nudo tutta la sua povertà; e il Dalbono che ha esposto per farci vedere come si finisce a fare la pittura come fanno Michetti, di Chirico e tutti i seguaci di Fortuny. Poi la solita arte ruffiana e svenevole di Milano; le solite cialtronaggi di Napoli, la solita trivialità romana, la solita arte stupida dell’ufficialità, e l’arte fiorentina che si riconforta, che si distingue per la sua gentilezza e sincerità; tutti, o quasi tutti i lavori di Firenze fanno una bella figura ed hanno una grande importanza perché sono i soli che rappresentano un’arte sana […]. Un artista che in questa esposizione mi è piaciuto infinitamente è un certo Calderini torinese che ha esposto molti quadri di paesi che saranno piaciuti, ne sono certo anche a te. Il D’Orsi mostra sempre la sua potenza, ma con queste statue mi pare che da Napoli a ora non si sia confermato, e ciò mi ha fatto dispiacere perché credevo avesse progredito. Il mio bambino col cane se era in marmo l’ avrei venduto un paio di volte.
Si delinea fin dal primo contatto con l’esposizione una dicotomia, nell’ottica del Cecioni, fra il linguaggio «sincero e onesto» degli artefici fiorentini e tutte le altre espressioni artistiche, che nulla di nuovo aggiungono all’arte italiana. Una concezione che ritroveremo nell’articolo La premiazione all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880, dove lo scultore fiorentino fa una distinzione fra «arte buona» e «arte cattiva», identificando la prima, appunto, con l’«arte per l’arte», l’«arte pura» incarnata dai toscani, e la seconda con le altre scuole regionali20. del Gallori fu tale che non volle mai più entrare in contatto con De Nittis. In merito cfr. BMFV, 944810, trascritta da Lamberto Vitali (944570). 16 Augusto Rivalta fu allievo della Accademia Ligustica di Belle Arti e dal 1857 si trasferì per il perfezionamento a Firenze dove studiò con Duprè. Fu professore al Collegio Accademico di Belle Arti dal 1870, nel 1883 vinse il concorso per il Monumento a Vittorio Emanuele II a Livorno e per la stessa città realizzò il monumento a Garibaldi (1889). Fu autore di numerosi monumenti funebri, celebrativi, ritratti e partecipò a diverse esposizioni. PANZETTA 1989, p. 191. 17 PANZETTA 1989, p. 80 e 191. 18 BMFV, 943824, parzialmente trascritta da Lamberto Vitali (943870-3 e 943870-3v). 19 BMFV, 943821, trascritta da Lamberto Vitali (94395). 20 Cfr. CECIONI 1932, p. 82.
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Nella missiva del 29 maggio21 si scaglia in particolare contro i rappresentanti della cultura artistica meridionale, influenzati dallo storicismo di Mariano Fortuny e Domenico Morelli e caratterizzati da un gusto folklorico: tra questi Eduardo Dalbono22, Francesco Paolo Michetti23 (lo «strampalato» Michetti che a Torino presenta ben cinque opere, I pescatori di telline, L’Ottava, Un’impressione sull’Adriatico, La domenica delle palme e I morticelli24) e Giacomo Di Chirico25, molte opere del quale furono acquistate dal Duca d’Aosta26. Cecioni non risparmia critiche neanche alla produzione di stampo accademico, agli artisti dell’ufficialità, come il senese Cesare Maccari – che dopo la vittoria del concorso con il dipinto La deposizione di papa Silverio ebbe l’incarico di decorare la Sala del Senato di Palazzo Madama (1882-1888)27 – mentre mostra di apprezzare lo scultore D’Orsi, pur con delle riserve, e il pittore Marco Calderini28, con cui successivamente entrerà in rapporto epistolare. Alle critiche si affianca però la soddisfazione per l’effetto prodotto dalle proprie opere, rivelata chiaramente in una serie di lettere del fondo. Tra di esse la citata epistola a Signorini del 29 maggio, dove, oltre a ricordare le problematiche relative alla collocazione delle tre sculture – causate soprattutto dall’opposizione dello scultore piemontese Pietro Della Vedova29– l’artista afferma BMFV, c. 943821, trascritta da Lamberto Vitali (94395). Eduardo Dalbono, figlio del critico e letterato Carlo Tito, ebbe una precoce educazione letteraria ed artistica e seguì soprattutto la lezione di Morelli e Fortuny. Dal 1863 partecipò a tutte le esposizioni della Promotrice di Belle Arti di Napoli e dal 1878 al 1888 soggiornò a Parigi dove il suo stile decorativo ebbe grande successo e, grazie alla conoscenza di De Nittis, ebbe stretti rapporti con il mercante d’arte Goupil. Tornato in Italia, partecipò a molte esposizioni nazionali e internazionali, ed ebbe numerosi incarichi ufficiali e titoli onorifici. Cfr. LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 783. 23 Francesco Paolo Michetti si formò presso il Reale Istituto di Belle Arti sotto la direzione del Morelli, ma seguì anche gli insegnamenti del Palizzi, frequentò Dalbono e i pittori della Scuola di Resina. Dal 1871, grazie alla mediazione di De Nittis, stabilì un contatto con il mercante Frédéric Reitlinger, che riuscì a farlo ammettere ai Salon parigini del 1872 e del 1875. Attraverso i contatti con Goupil e Seeger molte sue opere confluirono verso canali stranieri. Dal 1874 fu influenzato dal Fortuny, mentre dal 1877 iniziò a fare uso del pastello, sotto l’influenza di Dalbono e De Nittis che a Parigi ne aveva inaugurato la moda. Nel 1877-1878 divenne professore onorario all’Istituto d’Arte di Napoli e da quel momento prese parte a tutte le esposizioni nazionali e internazionali. Importante fu il fascino esercitato su di lui dall’arte giapponese e soprattutto dal folklore abruzzese. Cfr. LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 917. 24 DINI 1975, nota 11 p. 144. 25 Giacomo Di Chirico studiò al Regio Istituto di Belle Arti di Napoli. Dopo un soggiorno a Roma dal 1868 al 1871, aprì uno studio a Napoli e iniziò a frequentare Palizzi e Morelli. Esordì come pittore di storia alla Promotrice del 1869. Poco dopo iniziò ad interessarsi ai soggetti folklorici che spesso espose e commerciò anche con la Francia grazie all’intercessione di Goupil che conobbe a Napoli nel 1876. All’esposizione di Napoli del 1877 nacque una competizione con Michetti, che si occupava dello stesso genere, ma con uno stile di superficie e non accurato come quello del Di Chirico. Di Chirico espose Lo sposalizio, Michetti La processione del Corpus Domini, ambedue attrassero la critica, ma Goupil apprezzò maggiormente il primo, mentre Cecioni preferì Michetti (di cui tuttavia non condivideva molte scelte). Fu anche professore onorario dello Istituto di Belle Arti di Napoli. Cfr. LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 805. 26 Tra queste Il primo figlio, Sequestro, Angelus, Le figlie del colono, Dammi la mano mamma, Alla messa e I nomadi. 27 Cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 890. 28 Marco Calderini fu un pittore ed intellettuale piemontese formatosi presso la facoltà di Lettere di Torino e l’Accademia Albertina, dove il contatto con Antonio Fontanesi lo spinse ad interessarsi alla pittura di paesaggio di stampo verista, con un linguaggio però più cauto e dettagliato di quello fontanesiano. Proprio in occasione dell’esposizione torinese vinse il premio con il paesaggio Mattino di luglio. In seguito partecipò con successo ad altre esposizioni nazionali e internazionali. Nel 1881 fu membro della Commissione di Belle Arti presso il Ministero della Pubblica Istruzione e nel 1884 partecipò al Comitato per la Esposizione Nazionale di Torino. Fu anche critico d’arte e giornalista, scrisse per la Gazzetta piemontese, Le serate italiane, la Gazzette des Beaux-Arts. Nel 1901 pubblicò una monografia su Fontanesi. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, pp. 724-725. 29 Cecioni scrive infatti: «non mi è ancora riescito di modificare, se non in parte, la collocazione del mio gruppo La madre. Tutti quelli del comitato erano e sono dispostissimi a compiacermi, un solo individuo si oppone a 21 22
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Quanto a me m’accorgo di farci una buona figura, e ti confesso francamente che non sono punto scontento di me stesso: qui tutti gli artisti tanto di fuori che di questa città mi fanno degli elogi tanto sentiti e tali ch’io non posso ripetere, a questi si unisce il pubblico; è possibile che siano tutti finti?
Di nuovo, in una lettera alla sorella Erminia, datata 2 giugno 188030, Cecioni sostiene Sono soddisfattissimo degli effetti che producono i miei lavori: il gruppo grande è considerato come un lavoro molto serio e di una scultura piena d’avvenire. Se il bambino col cane fosse stato in marmo l’avrei venduto più volte […] É qui il Monteverde il quale ha dichiarato che io e il D’Orsi siamo i migliori dell’esposizione. Duprè visitando l’esposizione fece la medesima dichiarazione31 e più specialmente per me, giacché scrivendo a questa direzione disse che lui non avrebbe accettato la nomina di giurato, ma se avesse accettato avrebbe premiato il Cecioni, siccome l’autore di una scultura promettente un sano avvenire […] Infine tutti quelli con i quali ho parlato, e sono molti, si trovano d’accordo nel dire ch’io sono il migliore della scultura […]
Ma già nel testo del 29 maggio a Signorini iniziano le accuse di Cecioni alla corruzione della giuria: Ma il male si è, caro Telemaco, che tutti noi di Firenze abbiamo poco da sperare, se vero è quanto ho inteso dire. Pare che si sia organizzato una forte camorra fra romani e napoletani, e se fra gli otto giurati che deve nominare il Governo non esce un discreto numero di toscani siamo tutti bell’e fritti. Dalle vendite particolari c’è poco da sperare la gente di qui, anche milionaria, compra soltanto ciò che costa poco32
E anche nella missiva alla sorella Erminia, dopo aver riportato l’elenco di lodi riscosse dal suo operato, aggiunge: Quanto è il dolce, ma dopo il dolce vien l’amaro. La camorra napoletana e romana darà dei dispiaceri a tutti […] Nel Giury io ci ho parecchi nemici come Cecioni e come fiorentino33.
Le accuse alla mancanza di trasparenza da parte della giuria diventeranno una costante nelle lettere successive. Ecco cosa scrive il nostro artista a Signorini il 20 giugno del 188034: Gli apprezzamenti del Giury sono regolati da passione regionale e rancori personali […] Esiste una forte camorra fra romani, napoletani e piemontesi allo scopo di mettere i fiorentini fuori di combattimento: l’intrigo è bene ordito e la vittoria per loro sarà completa. Bisognerebbe alzar la voce, e come? Siamo danneggiati indegnamente ed avremmo il diritto di difenderci, ma come? A voce ti racconterò tutto35.
rendermi soddisfatto e questi è il Della Vedova, scultore idiota e di un carattere eccessivamente duro. Questa cosa mi ha molto disgustato e se non mi riuscirà di spuntarla ci vorrà pazienza […]»: BMFV, 943821. 30 BMFV, 944643. 31 È noto che altrove Cecioni aveva criticato proprio colui da cui ora si vanta di ricevere elogi. Non si dimentichi, infatti, che Cecioni aveva dedicato a Duprè lo scritto polemico uscito sul «Giornale artistico» il 31 dicembre 1873 e nato dall’insuccesso del monumento a Cavour. In merito cfr. CECIONI SCULTORE 1970, Introduzione. 32 BMFV, 943821. 33 BMFV, 944643. 34 BMFV, 943822. 35 Nella lettera segue un elenco degli artisti premiati all’esposizione. Da notare la stretta somiglianza con l’incipit dell’epistola inviata il giorno successivo a Giovanni Costa e riportata in VITALI 1953, pp. 180-182 e GIUDICI 2008, pp. 87-89.
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Le dure critiche ai meccanismi fasulli che avevano regolato le premiazioni della mostra torinese sfociarono nei libelli La premiazione all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880 e I critici profani all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880, quest’ultimo pubblicato sotto lo pseudonimo di Ippolito Castiglioni, ambedue editi nel 1880 dalla Tipografia del Vocabolario di Firenze e poi ristampati nel volume Opere e scritti. Nel primo opuscolo Cecioni denuncia l’incompetenza del pubblico, ma soprattutto quella della giuria, a suo dire non all’altezza del compito, e usa parole critiche e sarcastiche verso molti protagonisti della mostra torinese, come il «purista» Luigi Mussini e lo scultore Ettore Ferrari36. Nel successivo articolo si scaglia contro i cosiddetti «critici profani» , vale a dire i non addetti ai lavori che pretendono di giudicare le opere degli artisti – «i soli competenti nella questione» 37 – e usa parole sprezzanti nei confronti di numerosi esponenti della cultura italiana e internazionale che assistettero alla rassegna torinese ed espressero il loro giudizio in merito, tra cui l’architetto Camillo Boito, il giornalista Enrico Panzacchi38, e specialmente l’odiato Tullo Massarani, Presidente della Commissione Giudicatrice39. I testi polemici del Cecioni scaturirono sicuramente da un’autentica denuncia di ingiustizia, ma contemporaneamente furono influenzati dalla decisione della giuria di non attribuire alcun riconoscimento all’artista, che tanto aveva sperato in una vittoria, soprattutto per il celebre gruppo de La Madre. Eseguita tra il 1878 e il 1879 e tradotta in marmo solo nel 188440, la scultura – con la quale Cecioni si era proposto di rendere l’idea della maternità, piuttosto che un’immagine di madre ideale – non riuscì ad ottenere infatti alcun riconoscimento a Torino. E questo nonostante i numerosi apprezzamenti in occasione della manifestazione e l’ammirazione di un personaggio del calibro di Giosuè Carducci che ad essa dedicò addirittura un componimento poetico – intitolato appunto La madre (Gruppo di Adriano Cecioni) 41 – sia pure esaudendo le esplicite richieste in tal senso dell’amico Adriano. Nel Fondo Vitali rimangono numerose epistole dello scultore dirette proprio al poeta lucchese, a dimostrazione del rapporto che li legava, molte delle quali proprio sul tema della rassegna torinese42.
Lo scultore romano Ettore Ferrari, autore del celebre monumento a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma (1887), fu anche un uomo politico, presidente della Accademia di Belle Arti di Roma e deputato per tre legislature dal 1882 al 1892. Anche questo spiega perché Cecioni si sia rivolto più volte al Ferrari nel periodo in cui era in corso l’organizzazione dell’esposizione di Roma del 1883. Un corposo epistolario tra Ferrari e Cecioni è conservato nel Fondo Vitali della Biblioteca Marucelliana di Firenze, ora in www.memofonte.it. 37 CECIONI 1932, p. 82. 38 CECIONI 1932, pp. 101-107. 39 Massarani, membro di una ricca famiglia ebrea, in gioventù aveva studiato pittura con Domenico Induno. Successivamente alternò l’impegno politico alla produzione di ritratti, paesaggi e opere in tema orientalistico. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, p. 910. 40 Alla GAM di Firenze è conservato il gesso originale, già proveniente dall’ex monastero femminile benedettino di S. Niccolò a Cafaggiolo e poi passato in deposito presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze (alt. 182 cm, cat. gen. 718, Dep. 62, Dep. Accademia n. 4364. Prov. 1924, cfr. scheda ministeriale 09/00342191) e un bozzetto in gesso (alt. 105.5 cm, cat. gen. 651, inv. Giornale 293, Comune 648, dono al Comune di Firenze di Alfonso Cianfanelli, 1937), ambedue datati 1878-1879. Non è certo se il bozzetto, simile ad una terracotta di medesimo soggetto appartenuta alla raccolta di Emanuele Rosselli, coincida con il primo eseguito da Cecioni, ma indubbiamente si tratta di un’opera mirabile e assai più immediata del gesso definitivo e soprattutto del marmo del 1884: questo il giudizio del conte Arturo John Rusconi che nel 1837 ricevette dal soprintendente Giovanni Poggi il compito di esaminare il gesso presso la collezione Cianfanelli prima di accettarne la donazione. I caratteri stilistici dell’opera, in cui dettagli assai finiti si alternano a parti appena sbozzate, riportano in modo evidente allo stile del Cecioni (cfr. scheda ministeriale 09/00342192). Nella collezione Gonnelli di Firenze è conservato il disegno preparatorio dell’opera recante in basso a sinistra l’iscrizione «La Madre gruppo in marmo scolpito da nostro padre Adriano Cecioni G.F. Cecioni». In merito cfr. CECIONI SCULTORE 1970, scheda n. 14. 41 La poesia comparve la prima volta in «Fanfulla della Domenica», II, 17, 25 aprile 1880. 42 BMFV, 944413, 944771, 944772, 944776, 944779 e 944793. 36
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Il toni aspri usati dall’artista negli scritti citati, non furono però condivisi da tutti. Sono note, ad esempio, le risposte di Enrico Panzacchi e Ferdinando Martini43, mentre sono probabilmente meno conosciuti i pareri di altri intellettuali con cui Cecioni ebbe legami epistolari e di cui rimane testimonianza nel Fondo Vitali. Interessante in merito è il carteggio con il pittore e giornalista Marco Calderini, di cui sono conservate alcune lettere che documentano le relazioni fra i due, iniziate all’epoca della rassegna e continuate successivamente. Dall’epistolario si deduce che lo scultore fiorentino chiede all’artista piemontese di leggere i suoi opuscoletti polemici e di provvedere a smaltirne una ventina a Torino; da parte sua Calderini promette di intercedere in favore di Cecioni presso il direttore della «Gazzetta Piemontese»44, ma da quest’ultimo non ottiene nient’altro che la promessa di tenere gli opuscoli in vendita, senza acquistarli direttamente. Calderini garantisce però di rimandare indietro a Cecioni le copie invendute, a meno che lo scultore non decida di destinarle a qualche biblioteca locale45. Si propone poi di parlarne personalmente nella rivista torinese, anticipando però che i suoi giudizi non sarebbero stati solo lusinghieri, e che al sostegno di idee comuni, «verità solenni che nessuno ha osato ancora pronunziare»46, avrebbe affiancato la critica di affermazioni a suo dire improprie47. Degne di attenzione sono anche le opinioni espresse da Michele Tedesco48, pittore napoletano e figura centrale per i contatti tra i macchiaioli e la cultura partenopea, che con Cecioni collaborò a «Il Giornale Artistico». In una lettera inviata da Portici il 13 novembre del 188049, Tedesco dichiara all’amico fiorentino la propria convinzione che i suoi scritti polemici non avrebbero recato alcun vantaggio all’arte e che con tutta quella sagacia, quella onestà, quel coraggio che metti nel denunziare la purulenza della critica dei ciacchi, degl’incompetenti, dei disgraziati; con tutta la giustificata amarezza che dimostri per le conseguenze del giudizio emesso a Torino, tu non ci porti alcun conforto.
Secondo Tedesco inoltre l’artista si sarebbe limitato a una critica sterile, senza sostenere fermamente le convinzioni dei «realisti», senza spronarli a confidare nelle loro capacità, mentre essi avrebbero avuto piuttosto bisogno di ripetere con molto coraggio, e sicuro convincimento che crediamo ed aspettiamo di rivedere il firmamento di Masaccio e di Benozzo Gozzoli, che lavoriamo per paralizzare le capriole dei saltimbanchi e dei pagliacci che si tingono il viso e arrotondano il culo onde provocare le compiacenze, e per dire e ripetere senza paura e sanza iattanza che ci sentiamo di star bene a far magari li spazzini, pur di vivere abbastanza e far qualcosa in conformità dei nostri convincimenti. CECIONI SCULTORE 1970, Regesto. Gli articoli del Martini, intitolati Critici e artisti, furono pubblicati su «Fanfulla della Domenica», III, 6, Roma, 6 febbraio 1881 e III, 9, 29 febbraio 1881. In merito cfr. CECIONI SCULTORE 1970, nota 13, Introduzione. 44 In merito cfr. BMFV, 943969 e 943970. 45 BMFV, 944396. 46 Ibid. 47 BMFV, 944396, 944480 e 944481. 48 Michele Tedesco studiò con Morelli all’Istituto di Belle Arti di Napoli e nel 1860 si arruolò nella Guardia Nazionale con Garibaldi in Toscana. Durante il lungo soggiorno a Firenze, dal 1860 al 1874, collaborò con Diego Martelli alla rivista «Gazzettino delle Arti del Disegno» e insieme a Signorini e Abbati frequentò la tenuta di Diego Martelli a Castiglioncello. La collaborazione con il «Il Giornale Artistico» appartiene all’ultimo periodo fiorentino. Nel 1874 lasciò Firenze e si diresse dapprima a Roma e poi a Napoli dove nel 1892 ottenne la cattedra di figura presso l’Istituto di Belle Arti. Negli ultimi anni napoletani si dedicò alla pittura di genere e mostrò anche un ritorno alla tematica storico-letteraria e storico-mitologica. In merito cfr. scheda in LA PITTURA IN ITALIA 1991, vol. 2, pp. 1036-1037. 49 BMFV, 943886. 43
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Tedesco lo accusa poi di comunicare ai suoi lettori l’idea che solo ciò che «resta nei limiti del noto e cognito» possa avere dignità artistica. Le epistole del Fondo Vitali, citate nel presente scritto, arricchiscono la nostra conoscenza in merito alla rassegna torinese, fornendoci un gran numero di notizie relative ai giudizi espressi sugli artisti, all’allestimento, alle opinioni di Cecioni – dalle battute al vetriolo che ne evidenziano l’animo pungente, alle manifestazioni di soddisfazione per il successo riscosso inizialmente – e a tutto il retroscena di invidie e favoritismi che avvelenarono l’esposizione. Ma soprattutto rendono noto il dibattito creatosi prima e dopo la pubblicazione degli scritti polemici di Cecioni. Attestano che le accuse del nostro alla condotta della giuria furono certamente presenti e forti fin dagli inizi, ma non ancora cariche dei toni irruenti che avrebbero caratterizzato gli scritti successivi. Quasi che la mancata assegnazione di un premio, che aveva sperato di ottenere anche per l’ampio consenso manifestato da pubblico e critica nei riguardi delle sue opere, avesse generato nell’artista una frustrazione tale, da spingerlo a scagliarsi con eccessiva veemenza sui vincitori e sulla giuria. Un atteggiamento che, sebbene in parte comprensibile, come si è visto, non fu apprezzato da tutti, e che anche i sostenitori del Cecioni giudicarono giusto nei fondamenti, ma non nei toni, e addirittura controproducente per la causa della «vera arte». Ciò a dimostrazione del fatto che l’analisi approfondita delle testimonianze documentarie legate alla cultura macchiaiola rimane un aspetto imprescindibile per comprendere pienamente le relazioni che si crearono fra i protagonisti di questa corrente artistica e i loro interlocutori. Fortunatamente la messa rete sul sito della Memofonte di un corpus documentario di rilievo, come quello del Fondo Vitali, permette un accesso semplice e rapido a un carteggio altrimenti di difficile consultazione, consentendo a chiunque di approfondire agevolmente vari aspetti relativi a figure, temi ed eventi legati alla Macchia.
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BIBLIOGRAFIA CECIONI 1905 A. CECIONI, Scritti e ricordi, a cura di G. Uzielli, Firenze 1905. CECIONI 1932 A. CECIONI, Opere e scritti, a cura di E. Somarè, Milano 1932. CECIONI SCULTORE 1970 Cecioni scultore, Catalogo della mostra, a cura di B. Sani, Firenze 1970. DINI 1975 P. DINI, Lettere inedite dei Macchiaioli, Firenze 1975. GIUDICI 2008 L. GIUDICI, Lettere dei Macchiaioli, Milano 2008. LA PITTURA IN ITALIA 1991 La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di E. Castelnuovo, Milano 1991. PANZETTA 1989 A. PANZETTA, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento, Torino 1989. VITALI 1953 L. VITALI, Lettere dei Macchiaioli, Torino 1953.
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«È UN LAVORO SEMPLICE CHE PIÙ SOMIGLIANTE NON POTEVA RIUSCIRE»: LA POETICA CELEBRATIVA DI ADRIANO CECIONI Nel Fondo Lamberto Vitali1, acquisito dalla Biblioteca Marucelliana di Firenze nel 2003, si conserva un nucleo di documenti che costituiscono l’archivio di Adriano Cecioni (Fontebuona 1836-Firenze 1886): oggetto di un precedente lavoro di archiviazione da parte dell’istituzione ospitante, le carte dell’artista fiorentino sono state informatizzate mediante la riproduzione fotografica dei documenti e la creazione di un database. In questo modo ne è stata agevolata la consultazione, che procede non solo mediante l’utilizzo dei dati riportati dall’inventario cartaceo, ma anche attraverso una ricerca approfondita all’interno dei documenti: infatti, sono stati registrati tutti gli argomenti in essi contenuti, rintracciabili dall’utente mediante l’interrogazione libera o guidata2. Tra le tematiche evidenziate, quella relativa alla produzione scultorea di Cecioni emerge maggiormente: lettere, certificati, sottoscrizioni, ricevute di pagamenti che insieme permettono di ripercorrere la carriera artistica dello scultore fiorentino dagli anni Sessanta dell’Ottocento, quando era allievo di Aristodemo Costoli all’Accademia di Belle Arti di Firenze, fino al 1911, ben oltre la sua morte. I documenti, editi ed inediti, ricostruiscono in gran parte il catalogo delle sculture cecioniane: il Putto dormiente e Il suicida frutto del soggiorno napoletano, il Bambino col gallo, Primi passi, i soggetti parigini delle Cocottes, i gruppi La madre e l’Incontro per le scale, la Sortita del padrone con le cospicue varianti che il Cecioni dedicò alla figura del cane e molte altre ancora3. Ci viene restituito, dunque, quel mondo cecioniano popolato da immagini prese dalla vita quotidiana che rispondono al bisogno di trovare un argomento d’arte nel vero, privato dall’uso di toni sentimentalisti e retorici. Nei documenti del Fondo Vitali, la storia di molte di queste opere, per le quali è possibile indagare la fortuna commerciale e ripercorrere le vicende espositive di cui furono protagoniste4, corre parallela a quella relativa a lavori realizzati da Cecioni dalla fine degli anni Settanta e riconducibili al genere della scultura celebrativa che si palesa nella rappresentazione di uomini illustri, poeti, patrioti e politici5. Per la storia del Fondo si vedano gli interventi pubblicati da M. Monica Angeli, direttrice della Biblioteca Marucelliana: ANGELI 2008; DOCUMENTI DEI MACCHIAIOLI 2008. Cfr. anche l’articolo di A. Camarlinghi in questo numero di «Studi di Memofonte». 2 L’informatizzazione dell’archivio è stata curata dalla Fondazione Memofonte ed è consultabile sul sito www.memofonte.it. Sul progetto si veda l’articolo di I. Calloud in questo numero di «Studi di Memofonte». 3 L’archivio conserva una ricca documentazione anche sui busti di Ernesto Rossi, della signora Bertola e di Amelia Levantini-Pieroni; le caricature in terracotta di Yorick e di Lamarmora; le statue di Abramo, Isacco e Sara per il Duomo di Firenze; Il Solletico; e ancora la Popolana toscana; Donna alla moda e Donna che ride; le numerose varianti della Farfalla, Primavera e Ninfa. Le carte relative ad ogni singola scultura sono facilmente reperibili nel database attraverso la ricerca libera del campo ARGOMENTO inserendo il titolo dell’opera. Per le opere qui citate si veda: CECIONI SCULTORE 1970. Il volume, curato da Bernardina Sani in occasione della mostra antologica dedicata all’artista dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Firenze nel 1970, seppure datato, risulta ancora oggi l’unico catalogo delle opere scultoree dell’artista. La storiografia più recente si è focalizzata principalmente sulla produzione pittorica di Cecioni parallelamente agli studi dedicati alla pittura dell’Ottocento e a quella dei Macchiaioli. 4 Questi argomenti sono rintracciabili nel database utilizzando le parole chiave: «mercato d’arte» ed «esposizione». 5 L’artista esordì in questo genere scultoreo nel 1860 quando, allievo dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, vinse il concorso per la realizzazione della statua del re Carlo Alberto, di cui poi non ottenne la commissione. In proposito nell’archivio è conservato un certificato firmato da Aristodemo Costoli: «Il Signore Adriano Cecioni si è sempre distinto nel corso degli Studi da Esso fatti nella suddetta Scuola e segnalamente nel Disegno e nel Modellare in creta, per cui ha riportati diversi Premi, fra i quali ottenne ancora quello del grande Concorso che fece il Governo Provvisorio di Toscana rappresentando con un Bozzetto la Statua di Sua Maestà il Re Carlo Alberto, il quale Bozzetto era degno e meritevole dell’esecuzione in Marmo»: Firenze, Biblioteca Marucelliana, Fondo Vitali (d’ora in poi BMFV), 944532. 1
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Le carte dell’archivio, seppure non sempre esaustive6, si soffermano principalmente sui busti di Giacomo Leopardi e Giosuè Carducci7, per i quali è possibile ripercorrere le fasi riguardanti le iniziative delle sottoscrizioni indette affinché queste opere fossero tradotte in marmo o in bronzo, offrendoci la possibilità di ricostruire la portata di quella fitta rete di rapporti stabiliti dall’artista con il mondo culturale e politico italiano8. La partecipazione di Cecioni all’esaltazione delle glorie nazionali non si limita alla produzione di busti ma si estende alla dimensione del monumento, con cui si misurò partecipando ad alcuni dei concorsi che l’Italia unita aveva promosso, tra gli anni Settanta e Novanta, in onore della propria storia recente. La documentazione dell’archivio Cecioni, con una luce inedita, permette di ricostruire parte dell’attività artistica dello scultore che, tra il 1883 e il 1885, partecipò ai concorsi per il monumento di Giuseppe Garibaldi a Udine e di Quintino Sella a Roma9. L’idea di innalzare un monumento all’Eroe dei due mondi fu caldeggiata, tre giorni dopo la morte del famoso condottiero, dalla Società dei Veterani e Reduci dalle Patrie Battaglie di Udine che, mobilitando le autorità cittadine, costituirono un comitato per la raccolta di fondi e bandirono il concorso nel giugno del 188310. Nel Fondo Vitali sono presenti cinque documenti concernenti la vicenda udinese e l’ultimo in ordine di tempo attesta la partecipazione di Cecioni. Trattasi di una cartolina postale inviata dal presidente della commissione, Francesco Poletti e datata 29 maggio 188411: Onorevole Signore. Con Nota 10/3 p.p. N. 175 ho comunicato a Vostra Signoria l’esito del Concorso per il monumento a Garibaldi in Udine e La ho invitata a far ritirare il di Lei bozzetto a mezzo dello speditore C. del Pra e C°. Trascorso da diverso tempo l’epoca proscritta dal Programma La sollecito a ritirare il Suo lavoro onde non abbia a dolersi se a termine di programma la Commissione destinerà come crede del lavoro da Lei presentato. Se entro il 15 p. v. non avrò riscontro riterrò ch’Ella abbia rinunciato alla ricupera del bozzetto.
Il modello presentato era stato contrassegnato con il motto Italia e aperto dalle casse che lo contenevano nei primi giorni del gennaio 1884: Poca o nulla è la documentazione su i ritratti di Vittorio Emanuele II, Umberto I, Mazzini. A proposito del busto di Giuseppe Mazzini, si conserva una sola minuta di Cecioni all’ignoto committente dell’opera: «[…] mi è grato farle sapere che il busto del Mazzini è sotto la rubbia dello sbozzatore. Il marmo è sopraffine, una vera bellezza. E poiché le cose sono a questo punto sono certo che Ella non riceverà una brutta impressione se mi arrischio a scriverle ciò che finora non mi sono arrischiato a dirle, che cioè, secondo la consuetudine io potrei permettermi di chiederle un acconto come si usa fare specialmente con gli scultori che si trovano in una speciale condizione come la mia, affinché possano pagare il marmo e i lavoranti. Fra i busti che io ho avuto di commissione non ne ho eseguito uno solo al disotto dei millecinquecento lire che mi sono state pagate sempre in tre rate da 500 l’una, la prima all’atto della commissione, la seconda dopo la formatura in gesso la terza alla consegna. Ora io a Lei chiedo di rispettare questo prezzo, cosa che io non metto in dubbio, voglia avere la bontà di uniformarsi all’uso somministrandomi Lire quattrocento che con le seicento di cui Le sono debitore, faranno il secondo acconto»: lettera di A. Cecioni a ignoto senza data, in BMFV, 944317. 7 Per le due opere si vedano le schede pubblicate nel catalogo della mostra curato da Bernardina Sani: CECIONI SCULTORE 1970, schede nn. 12 e 16. 8 Il Fondo conserva la sottoscrizione a stampa per il Leopardi corredata da alcune firme e datata 1878 e quella per il Carducci indetta dagli amici del poeta per acquistare l’opera dagli eredi dello scultore: cfr. BMFV, 944473 e 944298. 9 Il database permette d’individuare i documenti relativi a questi due episodi effettuando una ricerca per tema, selezionando «Monumento» o «Concorso». Le vicende della partecipazione di Cecioni ai concorsi per i monumenti, sono attualmente oggetto di studio da parte della scrivente. 10 Per la storia del concorso e del monumento a Garibaldi, si vedano gli articoli pubblicati nel «Messaggero Veneto» il 27 agosto 2007, in occasione della mostra promossa dall’Archivio di Stato di Udine dal titolo «40.000 per i mille»: una mostra sul patriottismo risorgimentale degli udinesi e sul monumento a Garibaldi: cfr. CERNO 2007; CORBELLI 2007. 11 Cartolina postale di F. Poletti a A. Cecioni del 29 maggio 1884, in BMFV, 944348. 6
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In risposta alla Sua lettera del 3 corrente ora ricevuta dal Segretario mi pregio comunicarle che il Bozzetto col motto “Italia” è stato levato dalle casse e si trovò in buon stato e può comunicarlo all’artista autore del Bozzetto da lei rappresentato12.
La richiesta di notizie era stata inoltrata alla commissione da Tito Severi, destinatario della missiva sopra citata e personaggio non conosciuto, il cui nome ricorre tra le carte del Cecioni unicamente in questa occasione13. Purtroppo non è possibile ricavare ulteriori notizie sul bozzetto presentato, considerato che le restanti missive mettono in luce gli aspetti organizzativi del concorso e principalmente le fasi che portarono alla nomina della giuria giudicatrice, ripercorribili nella lettera inviata il 6 marzo 1884 da Poletti a un destinatario ignoto14: Quando noi aprimmo il concorso per un monumento a Garibaldi abbiamo fatto promessa ai concorrenti, che avremmo composto il Giurì scegliendo fra gli artisti, che ci fossero stati da essi indicati, e promettemmo inoltre che il giudizio del Giurì sarebbe stato pronunciato entro un mese dalla chiusura della pubblica esposizione dei bozzetti
La rosa dei nomi prescelti era composta dagli scultori Odoardo Tabacchi, Giulio Monteverde, Ercole Rosa, dal pittore fiorentino Stefano Ussi «che declinaro l’incarico», e da Camillo Boito, il quale comunicò in ritardo la sua adesione, ugualmente accettata dalla commissione in considerazione dell’importante ruolo che il critico ricopriva in quegli anni nei concorsi indetti in Italia e specialmente nella capitale15. La giuria poté formarsi solo dopo che la commissione, tra il 15 e il 16 febbraio, rivolse preghiera ai rimanenti artisti indicati in minor numero: Per nostra fortuna il giorno 18 giunsero le prime adesioni da Milano e da Venezia; nel dì successivo (19) ne giunsero anche da Roma e da Firenze cosicché nel mattino del 20 sopra le undici adesioni ottenute potemmo formare il Giurì, che risultò composto dai signori Boito, Borghi e Favretto.
Non furono accettate «cinque altre adesioni» che giunsero in ritardo, fra le quali ultime quella della Signoria Vostra e del suo collega Signorini. Però devo aggiungere, che il maggior numero delle adesioni all’invito era vincolato a condizioni di tempo per noi inaccettabili. Aggiungo che il termine ultimo assegnato per il giudizio dei bozzetti scadeva il 27 febbraio; il giorno appunto in cui Ella mi spedì la prima pregiata sua lettera.
In effetti Telemaco Signorini inviò a Cecioni una cartolina postale, in cui chiedeva d’incontrarlo prima di rispondere a una lettera spedita da Udine in proposito al concorso Cartolina postale di F. Poletti a Tito Severi del 5 gennaio 1884, in BMFV, 944510. Diversamente da come la prassi esigeva, Cecioni aveva nominato suo rappresentante al concorso una persona che non risiedeva nel luogo in cui questo si svolgeva. Infatti grazie all’intestazione della cartolina postale apprendiamo che Severi aveva fornito un recapito di Firenze, «Via Antonio Giacomini, n. 16», a pochi numeri civici di distanza dalla casa del nostro scultore. Attraverso la ricerca nel database è stato possibile riscontrare che tra le trentanove cartoline postali schedate, solamente tre riportano lo stesso indirizzo: quelle scritte da Gustavo Uzzielli, tra il 1894 e il 1895, e inviate ai fratelli dello scultore, Enrico ed Egisto e alla famiglia Cecioni. Gli indirizzi dell’abitazione e dello studio dello scultore sono da lui forniti in una lettera indirizzata al Carducci e pubblicata in Scritti e ricordi: cfr. CECIONI 1905, p. 406. 14 Lettera di F. Poletti a ignoto del 6 marzo 1884, in BMFV, 944397. 15 A Roma Camillo Boito prende parte alla commissione per il monumento a Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Quintino Sella: cfr. BERGGREN-SJÖSTED 1996, p. 270. 12 13
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per Garibaldi16. Confrontando le date si presume che la missiva udinese ricevuta dal pittore fosse proprio quella relativa agli inviti fatti dalla commissione tra il 15 e il 16 febbraio, solo dopo il rifiuto ottenuto dai quattro artisti sopra citati e prima che Boito accettasse l’incarico: Voglia, illustre signore, scusare l’incommodo che, fidati soltanto nella sua squisita gentilezza, Le arreco colla presente. E per non farle perdere tempo prezioso vengo senz’altro a fatto. In questa città si aperse un concorso per un monumento a Garibaldi con promessa ai concorrenti di scegliere il Giurì fra gli artisti da loro indicati. Ora fra i nomi dai medesimi designati figura quello della Signoria Vostra, a cui mi rivolgo pregandola di significarmi cortesemente se sarebbe disposto a formar parte del Giurì in discorso. Non aggiungo parola, Se dico solamente che della sua accettazione ci terremo grandemente onorati e gliene serberemmo infinita riconoscenza17.
Non conoscendo il destinatario non possiamo affermare con certezza che l’invito sia la «lettera da Udine» del Signorini a cui sicuramente non si può ascrivere la missiva del 6 marzo 1884. La necessità di arrivare ad una identificazione dei destinatari e di conoscere più approfonditamente questo episodio poco noto della carriera artistica di Cecioni, per cui già i documenti inediti del Fondo Vitali rappresentano un prezioso contributo per gli studi, ha spinto a ricercare maggiori notizie nella città in cui fu indetto il concorso. L’archivio di Stato di Udine conserva le carte comunali relative alla storia di questa iniziativa, durata quattro anni e terminata il 26 agosto 1886 con l’inaugurazione del monumento che, nella forma prescelta - quella del ritratto a figura intera - riflette una forte ambizione celebrativa mostrata nello stesso giro di anni dalle più importanti città italiane. Tra le carte udinesi, il verbale della seduta della commissione del 23 febbraio 1884 chiarisce ulteriormente la vicenda della giuria, mostrando l’impegno del Boito ad intercedere, a nome della commissione, presso gli altri artisti affinché accettassero l’incarico: s’incaricò occorrendo, come gli era stato detto, di trovare lo scultore che vi aderisse. Il Boito trovò favorevole il Borghi e lo officiava impegnandolo; non mancava che un pittore. Accettò tosto il Favretto da Venezia. Il Giurì adunque così composto di artisti noti e valentissimi quali i signori: Boito Commendatore Camillo Architetto di Milano; Borghi Cavaliere Ambrogio Scultore di Milano; Favretto Giacomo Pittore di Venezia18.
Nell’archivio di Udine, il nome di Cecioni ricorre nel prospetto dei dati relativi ai bozzetti presentati, compilato il 26 gennaio del 1884 a chiusura del concorso19. L’opera figurava tra altre 32, era contrassegnata dal numero 21 e dal motto Italia - come si evince dal Fondo Vitali - ed arrivò ad Udine nel dicembre del 1883. Di seguito nel prospetto sono indicati anche i nomi degli artisti prescelti dai partecipanti, suddivisi nelle categorie di Scultori, Architetti e Pittori, e grazie ad esso, apprendiamo che Cecioni indicò tra i scultori Odoardo Tabacchi, nessun architetto, mentre tra i pittori preferì Signorini e Cristiano Banti. Escludendo per certo l’artista torinese, che aveva declinato l’invito della commissione da subito e stando alla narrazione dei documenti vitaliani, precedentemente a «Caro Adriano. Ricevo in questo momento una lettera da Udine a proposito del Concorso. Avrei necessità di vederti prima di rispondere. Tuo Telemaco»: lettera di T. Signorini a A. Cecioni del 18 febbraio 1884, in BMFV, 944355. 17 Lettera di F. Poletti a ignoto del 16 febbraio 1884, in BMFV, 944547. 18 Verbale della commissione per il Monumento a Giuseppe Garibaldi del 23 febbraio 1884, in Archivio di Stato di Udine (d’ora in poi ASU), Comune di Udine, parte austro-italiana, b. 179. 19 Prospetto dei dati relativi ai bozzetti del 16 gennaio 1884, in ASU, Comune di Udine, parte austro-italiana, b. 179. 16
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quel 15 febbraio, è plausibile ritenere che l’invito del Poletti, fosse rivolto ad uno dei due pittori, mentre la missiva del marzo 1884 era sicuramente destinata a Banti, poiché in essa vi si nomina Signorini. Oltre a Cecioni, scorrendo l’elenco dei partecipati rintracciamo altri scultori provenienti da Firenze come Giovanni Magi, Raffaello Pagliaccetti, Urbano Lucchesi e Cesare Zocchi; da Milano, artisti già avvezzi alla pratica scultorea celebrativa, Ernesto Bazzaro, Enrico Braga, Egidio Pozzi e la coppia Francesco Bazzaghi e Luigi Pagani; da Roma, Enrico Chiaradia da lì a poco vincitore del concorso per la statua equestre di Re Vittorio Emanuele.20 Sempre dal medesimo prospetto apprendiamo che il bozzetto presentato da Cecioni raffigurava Garibaldi a piedi, soluzione adottata dalla maggior parte degli artisti 21, mentre controcorrente risulta la scelta dello scultore di privare da qualsiasi elemento allegorico e decorativo il modello22, per il quale non sono registrate le misure né del piedistallo, né della statua vera e propria. La dicitura Italia I e Italia II del bozzetto ci induce a pensare che lo scultore fiorentino propose due diverse versioni, come viene confermato dalla relazione di giuria: Il primo dei bozzetti del Generale Garibaldi, cioè quello che porta scritto accanto il motto Italia, il numero 1 è quello che deve essere posto sulla base. Il secondo, cioè quello segnato col numero 2 è un allegato. Il fine dell’autore fu quello di rappresentare il Garibaldi con semplicità e naturalezza, e a tale effetto lo concepì in ambedue i bozzetti, sebbene fra loro differenti, in una di quelle attitudini che suole avere un generale quando è in piedi; colla sola differenza che nel numero 1 è rappresentato il Gran Generale Garibaldi come uomo di pensiero e d’azione e per esprimere questo doppio aspetto credé l’autore che fosse sufficiente il porre il Generale in attitudine preoccupata e con ambedue le mani appoggiate sulla sciabola. Il secondo bozzetto, cioè in numero 2 rappresenta il Generale Garibaldi sotto l’unico aspetto dell’uomo in azione23.
L’atteggiamento prescelto da Cecioni per il condottiero, esclude con certezza la possibilità che quest’opera possa identificarsi con quella pubblicata da Enrico Somarè 24 e Bernardina Sani25 in cui Garibaldi, con lo sguardo assorto, poggia una mano sulla spada quasi in atto di sostenersi, mentre l’altra corre parallela al fianco. Nell’esaltazione dell’eroe risorgimentale, l’artista elude la retorica che spesso s’incontra in questo genere scultoreo, proponendo qualità formali ‘semplici’ e ‘naturali’, riconosciute ma non apprezzate dalla giuria che decretò vincitore il modello dello scultore veneziano Guglielmo Michieli26. Il gruppo prescelto, composto dalla statua del generale in posa severa a braccia conserte con la spada nella mano destra e da un garibaldino vittorioso che con il piede poggia sui resti di una barricata mentre solleva con la destra una tromba e con la sinistra la bandiera, rifletteva la volontà di esprimere il sentimento patriottico e i valori per i quali si era combattuto attraverso dettagli dalla resa fortemente veristica, ma con un’accentuata impostazione scenica27. Per la storia del concorso della statua equestre del Vittoriano: cfr. BRICE 1998, pp. 262-275. Tra tutti i concorrenti solo il Chiaradia e il Peduzzi presentarono il generale a cavallo, mentre il Michieli e il Pozzi, pur rappresentando Garibaldi a piedi, scelsero d’inserire l’eroe all’interno di un grande gruppo. 22 Scorrendo la colonna del prospetto relativa alla descrizione delle parti decorative dei bozzetti, colpisce la varietà dei simboli usati dagli artisti. Tra questi, il leone e l’aquila ricorrono un maggior numero di volte. 23 Bozzetto n. 21 col motto Italia. Relazione, in ASU, Comune di Udine, parte austro-italiana, b. 180. 24 CECIONI 1932, tav. 17. 25 CECIONI SCULTORE 1970, scheda n. 27. 26 Per una nota biografica su Guglielmo Michieli: cfr. FRATTOLIN 2006, pp. 22-23. 27 Il monumento poi realizzato, è il risultato di alcune modifiche dettate dalla Commissione come da lettera di Boito al presidente Poletti del 21 marzo 1884: «Ci siamo recati questa mattina allo studio dello scultore 20 21
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È plausibile ritenere che nel concorso udinese, la presenza del Boito tra la giuria giocò un ruolo rilevante nell’esclusione di Cecioni. Erano passati pochi anni dagli attacchi che i due reciprocamente si erano sferrati in occasione dell’esposizione torinese del 188028. Il critico aveva definito lo scultore «insulso» e la sua opera - La madre - vuota e volgare poiché «l’arte in grande dovrebbe […] presentare un concetto notevole ed una forma importante, ed anche la forma sola, ma una forma propriamente e nobilmente artistica»29. Cecioni, per mezzo dello scritto I critici profani, non tardò a replicare a quelle «ampollose insulsaggini» con le quali «il caro signor Camillo» aveva decretato una «sentenza da saccentucoli volgari», dimostrando così «d’imbarcarsi con la marmaglia anfibia di ciò che vi ha di più infimo e d’ottuso in fatto di critica»30. La querelle viene riassunta anche in un documento conservato nel fondo fiorentino e attribuibile allo scultore, seppure scritto in terza persona31, in cui si mettono in luce le ripercussioni a cui fu soggetto dopo la pubblicazione dell’opuscolo e gli eventi, non del tutto chiari, in cui il critico riuscì a danneggiarlo: Che fino da quel momento il Boito serbasse rancore al Cecioni, dimostrando ciò palesemente e vigliaccamente con due vendette una a Firenze, l’altra all’Esposizione di Roma del 1882-83 dove il Boito si è servito della qualità di Giurato per sfogare il suo rancore personale verso il Cecioni32.
La preoccupazione che Boito potesse intralciare gli affari dello scultore fiorentino, rappresenta il leitmotiv dei documenti riguardanti il concorso per il monumento a Quintino Sella indetto a Roma nel 188433, parte di quel complesso programma di celebrazione degli Michieli a vedere il bozzetto della figura di Garibaldi modificata secondo il desiderio della Commissione […] ci sentiamo lieti di annunciarle tosto che ne siamo rimasti soddisfatti. Le innovazioni non alterano le movenze né le linee principali della statua, la quale anzi è rimasta in gran parte identica a quella di prima. Infatti le modificazioni si restringono a queste tre. Prima: fu tolta dalla mano destra la spada sguainata per sostituire un cannocchiale e lasciare la spada pendere al fianco del glorioso Capitano. Seconda: furono sostituiti ai calzoni stretti negli altri stivali, i calzoni scendenti fino ai piedi. Terza: fu sollevato di poco il viso dell’eroe e reso orizzontale il suo sguardo. A noi sembra che questi secondarii mutamenti giovino alla naturalezza, alla nobiltà e alla grandiosità della figura»: ASU, Comune di Udine, parte austro-italiana, b. 185. 28 In merito cfr. articolo di S. Roncucci in questo numero della rivista. 29 BOITO 1880, pp. 257-258. Boito dedicò due articoli alla mostra di Torino, nel primo recensì la sezione dedicata alla pittura, nel secondo, dove sono contenute le critiche a Cecioni, il critico passava in rassegna le opere di scultura. 30 CECIONI 1905, p. 218. Il libello, titolato I critici profani all’Esposizione Nazionale di Torino del 1880, fu pubblicato dallo scultore sotto lo pseudonimo di Ippolito Castiglioni, edito nel 1880 dalla Tipografia del Vocabolario di Firenze. 31 Il documento, composto dalle carte contrassegnate con la sigla 944818-4 e 944818-4v, fanno parte di un gruppo di manoscritti cecioniani di non facile interpretazione tipologica. Durante la schedatura si è deciso di adottare una definizione neutra, denominandoli appunti, in quanto presentano caratteristiche tipiche della minuta: cancellature, aggiunte e interruzioni. Nell’inventario del Fondo, questo insieme di carte, tra cui un elenco di opere e di artisti, sono descritti come articoli e pensieri e possiamo forse ascrivere a quest’ultima categoria il documento sopra citato. 32 BMFV, 944818-4v. Per l’esposizione romana si conservano numerosi documenti, rintracciabili nel database attraverso la ricerca nel campo ARGOMENTO, mediante l’interrogazione per tema, indicando la voce «Esposizione» oppure a interrogazione libera usando l’etichetta «Roma, esposizione». Le 35 missive raccontano le vicende della mostra attraverso i giudizi di Cecioni, concorrente anch’esso con la versione in bronzo dell’Incontro per le scale. Le lettere testimoniano le aspettative dello scultore per la vendita dell’opera allo Stato, poi acquistata anche grazie all’intervento di Ettore Ferrari e di Ferdinando Martini, ad un prezzo ritenuto dall’artista poco rilevante e che non gli consentiva di ricoprire molte delle spese sostenute per la fusione realizzata dalla ditta Carradori di Pistoia. 33 Il Parlamento votò un monumento al Sella il giorno dopo la sua morte avvenuta il 14 marzo 1884. Il disegno di legge prevedeva che lo Stato stanziasse centomila lire e che il monumento fosse collocato in Palazzo Corsini, sede dell’Accademia dei Lincei di cui il politico era stato presidente, per rendere omaggio a
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ideali unitari e dei suoi protagonisti che la capitale aveva attuato sino dal 1870, in coincidenza al ruolo di rappresentanza nazionale che gli veniva affidato34 e in cui il critico rivestì un ruolo da protagonista35. I documenti relativi all’impresa romana mostrano come privilegiato interlocutore del Cecioni fosse all’epoca l’amico Orazio Ciacchi che, lavorando tra le fila del Ministero della Pubblica Istruzione, rappresentò in molte occasioni un valido aiuto per lo scultore36, fungendo da anello di congiunzione con il mondo burocratico, politico e culturale romano, composto anche da personaggi toscani come Ferdinando Martini, Guido Mazzoni, Adriano Lemmi, che insieme collaborano per sostenere e agevolare Cecioni. È lo stesso Ciacchi a informare sulla composizione della commissione del monumento al Sella37: E hai veduto chi sono i componenti la Commissione? Due Senatori, Tabarrini e Finali, tre Deputati (Odescalchi, Torlonia e De Renzis) due architetti (Rosso e Boito) un ingegnere (Perazzi) e due soli scultori, Tabacchi e Baltico. Per giudicare un’opera di scultura, si sono scelte otto persone che non se ne intendono; ed è entrato nel bel numero quel solito Boito che ha saputo guastare uno dei più bei monumenti antichi della Venezia!
e immaginando lo sconforto dell’artista nell’apprendere la notizia affermava: Ma in questa Commissione tu non hai, ch’io sappia, più nemici che amici; e certamente, quando avranno veduto il tuo modello, il Tabarrini e il Tabacchi (avvisali pure che quello è opera tua) si adopreranno per fare che non vinca l’imbroglio. Vè secondo le voci che qua girano sul valore degli altri concorrenti […] nessuno dè migliori ha concorso: e quand’anco fra quei che non si son fatti conoscere, ce ne fosse alcuno de’ buoni è certo, per me, che non potrebbe stare al paragone col tuo il suo lavoro.
Il consiglio esplicito di avvisare i due commissari, nonostante l’anonimato d’obbligo per il concorso, attesta la fiducia reciproca fra lo scultore e Ciacchi, così come il ruolo di guida che quest’ultimo ebbe nella partecipazione di Cecioni all’affare romano: informazioni, Sella portabandiera della scienza. Dopo varie controversie si deliberò che l’opera sorgesse nel tratto stradale tra Porta Pia e il Quirinale e di fronte al Palazzo delle Finanze, voluto ed edificato dal biellese, a riassunto dei suoi meriti politici: quello di risanatore delle finanze dello Stato e promotore della delibera governativa di occupare Roma nel 1870 liberandola dal papa. Per la storia del monumento e del concorso: cfr. BERGGRENSJÖSTED 1996, pp. 111-117. 34 Sulla vicenda dei monumenti di Roma, si veda in particolare PIANTONI 1984, pp. 221-227. 35 Commissario dei più famosi concorsi indetti in quegli anni e spesso autore dei bandi, Boito era un convinto assertore del principio che i monumenti più importanti fossero affidati tramite concorsi nazionali, la cui corretta ideazione e condotta avrebbero garantito la qualità dell’opera: «[…] e perché dai concorsi bene ideati e bene condotti dipende, in parte, la bontà dell’opera, e perché le opere pubbliche dell’architettura e della statuaria rimangono nelle piazze ad attestare per lunghi secoli la sapienza o l’ignoranza dei popoli, il problema dei concorsi ha una gravità singolare»: BOITO 1893, p. 178. 36 Nel fondo sono presenti ventinove lettere scritte da Ciacchi e inviate allo scultore, eccetto una risalente a dopo la morte dell’artista e indirizzata al figlio di lui, Giorgio. Le missive narrano l’interessamento fornito da Ciacchi sia nella realizzazione del busto di Giacomo Leopardi, di cui seguì le fasi relative alla sottoscrizione, sia nell’acquisto da parte dello Stato delle opere esposte dall’artista a Roma nel 1833. Si occupò poi della domanda inoltrata da Cecioni al Ministero per la carica d’insegnante di disegno presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Firenze e di quella di Giovanna, sorella dello scultore. 37 Lettera di O. Ciacchi a A. Cecioni senza data, in BMFV, 944380. La lettera in questione non è datata, ma dai riferimenti in essa contenuti, possiamo supporre che fu scritta dopo il 31 ottobre 1885, giorno in cui fu chiuso il concorso - «Caro Adriano non ti ho scritto nella settimana passata, perché non avevo da darti nessuna buona notizia. Speravo d’esser chiamato presto dalla Commissione pel monumento del Sella ad assistere alla scassatura del tuo modello» - e prima del 14 novembre 1885 in cui Ciacchi gli scrive: «Caro Adriano. Vedo dalla tua risposta quanto l’abbatè la notizia che ti diedi della nomina del Boito e del Rosso nella Commissione pe il monumento al Sella. Se avessi saputo che tu ignoravi ancora come fosse composta quella commissione avrei forse differito a scrivertene»: BMFV, 944375.
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valutazioni, indicazioni precise sulle mosse da fare e sulle carte da giocare per superare le difficoltà dovute ad una commissione ostile, si susseguono nelle lettere di questo periodo. In una missiva del 14 novembre del 1885, segnalando Boito e Rosso come nemici dello scultore, Ciacchi proponeva all’amico la via da percorrere per difendersi dagli impedimenti che i due architetti avrebbero posto alla sua partecipazione38: […] ora, avvisato che frà commissari hai due nemici, puoi provvedere in tempo alla difesa; e per me, hai cominciato, per senza volere, a provvedervi con lo scrivere, siccome hai scritto al Martini. Egli ha grandissimo potere sul Boito; e farà (se ti vuol giovare e vuole di certo) che questa volta il Boito non ti sia contrario tanto o almeno non metta su anche gli altri commissari contro di te. E se tu non avessi ancora scritto, in proposito della domanda di tuo fratello Enrico, al Prof. Mazzoni, io ti consiglierei di toccar quel tasto anco con lui, essendo certissimo che egli, parlandone poi al Martini, lo moverà ad adoperarsi per te.
Se Martini e Mazzoni fossero stati in grado di tener testa a Boito, Rosso poteva essere gestito direttamente da Ciacchi: «lascia fare a me, che ho modo di ridurlo a dovere, conoscendo io, anzi essendo amicissimo d’una persona a cui egli non può dire di no». Inoltre, anche al Tabarrini «sarà fatto sapere, o da me o da altri che abbia più elevatura di me appresso lui, tutto quello che mostra come il Boito ti sia nemico accanitissimo». Le parole confortanti dell’amico avevano lo scopo di convincere Cecioni a non ritirarsi dal concorso, a non lasciarsi abbattere dalla paura dei nemici: «sarebbe una pazzia. Tu sei ormai sul campo; devi combattere; né di buone armi ti mancano». Cecioni seguì in maniera puntuale le indicazioni ricevute, scrisse ed ebbe risposte da chi poteva essergli d’aiuto e di sprone. Così Mazzoni lo incoraggiò a non abbandonare il concorso, ricordandogli che la commissione giudicatrice non era composta solo da Boito e Rosso39. Ancora più interessante è la minuta di una lettera, che può essere ragionevolmente individuata come quella inviata al Martini40; in essa, infatti, lo scultore parla della sua partecipazione al concorso esprimendo il rancore nei confronti dell’architetto milanese, tanto da manifestare apertamente la sua intenzione di ritirarsi: Io sono fra i concorrenti del monumento al Sella e siccome devo aver disgrazia in tutte le cose in questa occasione ho avuto la disgrazia grande e ricca di vedere il nome del Boito fra i componenti della commissione giudicatrice. Sono quasi tentato di ritirare il mio lavoro, dichiarando pubblicamente che lo ritiro dal concorso perché a giudicare c’è il Boito il quale è da me considerato come un uomo che si serve della parte di giurato per vendicarsi contro quelli verso i quali nutre dei rancori personali.
E per la prima volta lo scultore descrive seppure sommariamente l’opera: Il mio lavoro è nelle mani della Commissione Reale fino dal 31 Ottobre ed è contrassegnato dal motto Terra. È un lavoro semplice, fatto in fretta e in furia, perché mi risolsi tardi. Tutti quelli che hanno conosciuto il Sella mi assicurano che più somigliante non poteva riuscire. Il piedistallo è rimasto scadente per mancanza di tempo, non ho potuto decorarlo come volevo e l’ho dovuto mandar così come si trova mentre poi i lavori dovranno rimanere chiusi nelle casse per mancanza di tempo. Lettera di O. Ciacchi a A. Cecioni del 14 novembre 1885, in BMFV, 944375. «Mio caro signor Cecioni pur troppo non ho tanta autorità da poterle rispondere subito. La cosa sarà fatta. Ma non sto a dirle che farò quanto è in me perché suo fratello sarà collocato convenientemente. A ritirarsi dal concorso del Sella, fa, secondo me, assai male. O gli altri commissari non conteranno per nulla?»: lettera di G. Mazzoni a A. Cecioni del 15 novembre 1885, in BMFV, 944509. 40 Lettera di A. Cecioni a F. Martini senza data, in BMFV, 94393. Nel fondo si conserva anche la trascrizione eseguita da Lamberto Vitali: cfr. BMFV, 943940. 38 39
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La tangibile somiglianza dell’opera con Sella è confermata più volte dallo stesso Ciacchi, che vide il bozzetto pochi giorni prima della data di scadenza del concorso: lo scultore era in ritardo con il lavoro, avendo eseguito sicuramente il modello della statua ma non ancora il basamento su cui dovevano comparire un bassorilievo e un’iscrizione, per la scelta della quale l’amico era intenzionato a collaborare: Avrò domani o domani l’altro, da uno dell’Accademia de’ Lincei, della quale il Sella era presidente, alcuni Discorsi, intorno alla vita di lui e vi troverò riportato qualche motto che possa star bene, come iscrizione, sulla base del monumento te ne scriverò subito41.
E pochi giorni dopo, in una cartolina postale del 18 ottobre 1885, «stasera finirò di leggere le biografie ma per ora non vi ho trovato nulla che sia a proposito per la iscrizione», e sarcasticamente affermava: «Eppure un’iscrizione ci sarebbe: senti un po’ il B.»42. Consigli diplomatici e strategici, aiuto sostanziale nel completamento del bozzetto, una nota di ironia e tanto sostegno, facevano di Ciacchi una persona di fiducia, che Cecioni nominò suo rappresentante nella procedura concorsuale, oltre che custode dei dubbi che nutriva intorno all’opera, dettati forse dal poco tempo rimasto per portarla a termine. E puntuale, nella stessa missiva, arriva l’incoraggiamento: Non c’era bisogno di domandarmi se accettavo di rappresentarti nel concorso. Accetto e ti ringrazio d’avere scelto me. E all’altra domanda che fai parlando del tuo lavoro: a [quoi] bono? rispondo: a vincere per l’arte e per la famiglia tua; a vincere si, poiché cotesti due potenti amori della famiglia e dell’arte ti centuplicheranno le forze nel dare l’ultima mano al lavoro.
Il giorno di chiusura del concorso Ciacchi scriveva subito allo scultore 43 per tranquillizzarlo e assicuragli di essersi presentato a Palazzo delle Esposizioni per accertarsi che le casse spedite da Firenze fossero arrivate: Mio Caro Adriano. Stamattina, alle 10, ho ricevuto la tua lettera raccomandata, e son ito subito al Palazzo delle belle arti per vedere se fra le casse mandate alla R. Commissione pel monumento al Sella dai concorrenti, v’erano le due spedite da te e contrassegnate col motto Terra; e visto che v’erano ho presentato alla Commissione la lettera con la quale m’incarichi di rappresentarti
E con il massimo riguardo per l’affare, continuava Io ho domandato se poi avrebbero proceduto all’apertura delle tue, e avendomi un di loro risposto che nessuna cassa era stata ancora aperta, e che m’avviseranno del giorno in cui saranno aperte quelle due col motto Terra, perché io assista all’operazione […] Il luogo dove sono collocate è sicurissimo; ma io finché non vengano aperte per levarne, alla mia presenza, il modello e il bozzetto, andrò ogni giorno a vederle; intanto ho raccomandato che non siano mosse.
La commissione giudicatrice e l’ostilità di Boito non erano, però, le uniche preoccupazioni dello scultore: nelle lettere scritte da Ciacchi, si avverte in maniera chiara un generale timore verso le capacità dei probabili partecipanti al concorso, che solitamente rimanevano nell’anonimato finché non veniva decretato il vincitore. Nonostante ciò, Lettera di O. Ciacchi a A. Cecioni del 14 ottobre 1885, in BMFV, 944372. Cartolina postale di O. Ciacchi a A. Cecioni del 18 ottobre 1885, in BMFV, 944373. 43 Lettera di O. Ciacchi a A. Cecioni del 31 ottobre 1885, in BMFV, 944374. 41 42
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compare più volte il nome di Ettore Ferrari, il quale all’epoca si era già accreditato diverse commissioni nel campo dei monumenti44. In una epistola del 15 dicembre 1885, avvertendo Cecioni di aver parlato con Adriano Lemmi del concorso poiché «essendo amicissimo del commissario Finali ed avendo assai potere sui giornalisti di qua, ti può giovare moltissimo», Ciacchi dichiarava che Ferrari «che è romano e deputato, s’ingegnerà, […] a tirar l’acqua al suo mulino» e rincuorava lo scultore riportando nella lettera le parole di Lemmi: «No, no mi rispose subito, il Ferrari non lo farà, ed occorrendo penserò io a metterlo a posto»45. Il carteggio s’interrompe con la missiva del 24 gennaio 1886, in cui l’amico avvertiva lo scultore che nei giorni seguenti sarebbero state aperte le casse e con Lemmi avrebbe assistito all’operazione, concludendo che anche Chiarini avrebbe fatto in modo che Boito non potesse nuocergli, perché «O che hanno sempre a trionfare i birbanti?»46. Il concorso fu vinto proprio da Ettore Ferrari che, seppure rivale di Cecioni in questa occasione, aveva dimostrato precedentemente di nutrire stima ed amicizia per lo scultore fiorentino partecipando alla raccolta delle firme per la sottoscrizione indetta per la realizzazione in bronzo del busto di Giacomo Leopardi e caldeggiando l’acquisto dell’Incontro per le scale all’Esposizione di Roma del 188347. In onore del sostegno dato, Cecioni gli scrisse congratulandosi per la vittoria riportata e Ferrari rispose: Grazie delle cortesi parole che mi rivolgi a proposito del concorso Sella. Sarai quanto me convinto che i concorsi poco differiscono dalle lotterie quindi in questo concorso ho avuto la fortuna d’indovinare il numero. Avrei avuto piacere di conoscere il tuo bozzetto ma lo vidi una sola volta e di corsa48.
I bozzetti presentati da Adriano Cecioni ai due concorsi, così descritti dalle fonti, appaiono accomunati dalla semplicità dell’impianto e dalla verosimiglianza con il modello. L’artista denudando le sue opere da tutti quei simboli ripescati dal passato, attraverso i quali si dovevano legittimare gli ideali del presente, dimostra di affidare unicamente alla rappresentazione ‘verista’, cioè al ritratto, il compito di celebrare il personaggio. Una poetica, già asserita anni a dietro nello scritto polemico sul Duprè 49 a riguardo del monumento a Cavour: «un’opera in cui la licenza e il lato adulatorio e cortigiano bisognava subordinarlo alle rime obbligate del ritratto»50, e dal momento che «in natura non esiste un solo tipo che sia uguale ad un altro», «dal punto di vista del carattere […] tanto dal lato fisico che morale», l’arte è destinata «a rendere tutte queste distinzioni con una particolare osservazione e la più sottile interpretazione»51. Le carte fin qui descritte permettono di approfondire due episodi poco noti della carriera artistica di Cecioni che gli studi fino ad oggi hanno taciuto. Il «monumento officiale
Tra il 1884 e il 1885 lo scultore realizza diversi monumenti a Giuseppe Garibaldi, a Forlì, Fidenza, Loreto, Macerata, Orbetello e Terni. Nel 1882 riceve il secondo premio per il Vittoriano come anche per il Garibaldi a Roma nel 1884. Per non dimenticare nel 1886 il monumento a Giordano Bruno a Campo dei Fiori: cfr. BERGGREN-SJÖSTED 1996, pp. 271-272. 45 Lettera di O. Ciacchi a A. Cecioni del 15 dicembre 1885, in BMFV, 944376. 46 Lettera di O. Ciacchia a A. Cecioni del 24 gennaio 1886, in BMFV, 944379. 47 Il carteggio tra i due scultori, raccoglie ventisette lettere scritte tra il 1879 e il 1886 seppure presentando ampie lacune. 48 Lettera di E. Ferrari a A. Cecioni del 26 febbraio 1886, in BMFV, 943861. 49 L’articolo di Cecioni su Duprè apparve su «Il Giornale Artistico» nel 1873 e poi ripubblicato in Scritti e Ricordi. 50 CECIONI 1905, p. 145 51 CECIONI 1905, p. 143. 44
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e apologetico», infatti, non permette d’indagare quelle qualità formali tipiche della scultura cecioniana dato che - come scrisse Signorini - «non era adatto alla sua fiera natura»52. L’incursione in questo genere scultoreo deve essere letta tenendo presente la vicenda umana dell’artista. Per tutta la sua esistenza Cecioni fu vessato da una pessima condizione economica e, come le lettere all’amico Carducci testimoniano, afflitto da un dolore profondo dell’animo diviso tra la volontà di non venire meno ai propri ideali artistici e il desiderio di riuscire a vivere della propria arte. Del resto fu proprio il suo amico Ciacchi a sottolineare che la sua partecipazione ai concorsi era finalizzata «a vincere per l’arte e per la famiglia tua; a vincere si, poiché cotesti due potenti amori della famiglia e dell’arte ti centuplicheranno le forze nel dare l’ultima mano al lavoro».53
«[…] e dove mostrò più la sua potenza artistica, fu appunto dove poté essere più concettoso e più analitico». Lo scritto di Signorini dal titolo Un ribelle in arte, fu pubblicato in Scritti e ricordi: cfr. CECIONI 1905, pp. 69-79 e in particolare p. 77. 53 Cartolina postale di O. Ciacchi a A. Cecioni del 18 ottobre 1885, in BMFV, 944373. 52
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EMPORIUM E I MACCHIAIOLI Quando nel 1895 uscì il primo numero di «Emporium»1 stava iniziando uno dei processi più interessanti per la cultura figurativa e in particolare per la storia dell’illustrazione del Novecento. La rivista voluta da Paolo Gaffuri e Arcangelo Ghisleri nella Bergamo di fine secolo, avrebbe consentito un’apertura senza precedenti sullo scenario della storia dell’arte internazionale. Nata in un momento cruciale per la diffusione del gusto Liberty in Italia, rispose alla precisa volontà di colmare un vuoto editoriale e commerciale, guardando al modello dei nuovi periodici europei, in particolare «The Studio», tentò di ripercorrere la linea lombarda del «Politecnico» di Carlo Cattaneo; dispose fin dai primi anni delle più aggiornate tecniche di stampa e riproduzione, vanto dell’Istituto di Arti Grafiche bergamasco. Quasi un decennio prima, Gaffuri aveva iniziato a promuovere contatti con altri editori anche d’oltre oceano recuperando clichés di immagini originali e impianti di produzione all’avanguardia degli standard del settore2. «Emporium», che aveva rischiato di chiamarsi Universo, Per terra e per mare, Nel tempo e nello spazio, Parole e figure, Mondo Antico e Moderno, Di tutto e per tutti, pubblicò i suoi fascicoli ininterrottamente attraversando due conflitti mondiali e registrando i mutamenti di ogni corrente artistica: dal più sommesso movimento nord europeo, alla consacrazione dei maggiori autori e dei contemporanei movimenti italiani del XX secolo. La multisettorialità della rivista, che sin dal suo nascere affiancò tematiche storicoartistiche a quelle di timbro letterario, musicale, pedagogico, scientifico e antropologico, unitamente ad un’eccezionale fototeca, hanno creato un linguaggio della comunicazione che può far parlare di un vero e proprio ‘lessico visivo’3. Le circa ottantamila immagini pubblicate, rappresentano una selezione dallo straordinario archivio di negativi dell’Istituto di Arti Grafiche, tra i più ricchi e preziosi d’Italia, che dal 1895 al 1964 sono state in grado di corredare le pagine di «Emporium» segnando un modello tra i più imitati per la divulgazione dell’illustrazione culturale. La volontà di valorizzare al massimo il rapporto tra testo e immagine, emerse già con chiarezza fin dal dicembre del 1894, quando in una circolare di propaganda che annunciava l’uscita del periodico, si leggeva come il proposito di «popolarizzare l’alta coltura, i risultati della scienza, il fior fiore delle arti», doveva trovare forma in pagine nuove dove testo e figure non sarebbero state invadenti ma si sarebbero completate reciprocamente «così da porgere al lettore le notizie nella forma meno pesante e più perspicua». Il valore documentario delle diverse tecniche fotografiche, la riproduzione dell’immagine, o come spesso si scriveva ‘la pittura incisa’ o ‘la fotografia dipinta’, iniziarono un percorso in continua crescita che aprì alla conoscenza e all’apprezzamento non solo della fotografia artistica, ma anche dell’artista fotografo. Quando nel 1911 William Ritter affidava alla premessa di un suo saggio dedicato al viaggio in Grecia, documentato attraverso le preziose immagini di Boissonnas, queste parole: «Vi sono fotografi e fotografi, come vi sono pittori ed artisti. Ed io preferisco Federico Boissonnas a molti artisti, anche notevoli! Fotografo di professione egli ha portato la varietà della tecnica della sua arte al più alto grado possibile di perfezione»4, dichiarava lucidamente come le due sfere della creatività potessero e dovessero sempre con maggiore interazione Per gli studi più recenti sulla rivista si veda EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009, con bibliografia aggiornata. Inoltre è possibile consultare la digitalizzazione completa della rivista (parte testuale e illustrativa) nel sito del Laboratorio delle Arti Visive della Scuola Normale Superiore, Progetti di ricerca: ILLUSTRAZIONI NELLE RIVISTE D’ARTE, www.artivisive.sns.it. 2 Per le testimonianze documentarie dell’archivio Gaffuri, dove sono conservate lettere e ricevute dei numerosi acquisti che avevano preceduto l’uscita della rivista, si veda MANCA 2009, pp. 155-202. 3 Sul valore del rapporto tra testo e immagine si veda in particolare BACCI 2009, pp. 95-155. 4 RITTER 1911, pp. 345-364. 1
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operare nella comunicazione del pensiero estetico5. E l’adesione della rivista a tali principi, si documenta anche dalle scelte editoriali di un impaginato ricchissimo di richiami illustrativi che seppero dare un giusto equilibrio anche nelle pagine delle pubblicità, accurate e con molte varianti iconografiche anche per reclamizzare uno stesso prodotto, prototipo di un designer che tanto influenzò il linguaggio del marketing contemporaneo. Un anello di congiunzione tra le peculiarità di «Emporium» e il tema di questo studio: l’intenzione di rintracciare come l’arte dei macchiaioli fosse utilizzata dalle sue pagine e quale fortuna visiva avesse acquisito tra fine secolo e i primi decenni del Novecento, lo fornisce con estrema chiarezza, il pensiero di Lamberto Vitali, critico d’arte, direttore per alcuni anni della nostra rivista e collezionista attento, che aveva riuniti molti archivi privati dei macchiaioli e della loro cerchia. Nel periodo da noi indagato, la cultura dell’immagine stava superando gli ambiti dell’arte figurativa, alleandosi con la fotografia e con i passaggi e le interazioni che questa aveva già compiuto nelle frequenti interferenze con la pittura e in particolare proprio con la pittura della ‘macchia’. Vitali, con spiccata sensibilità e adeguata conoscenza dell’argomento, partecipò con un linguaggio nuovo e di grande modernità al dibattito che già si stava consumando nell’ambiente della storia dell’arte figurativa, condizionandone la critica contemporanea6. Dal 1935 al 1938 dedica alcuni saggi proprio al rapporto tra fotografia e arte, realizzando uno dei contributi più incisivi nell’articolo Federico Faruffini fotografo del 19357, dove assistiamo ad un critico che si pose di fronte alla fotografia come fosse in presenza di una tela macchiaiola. Faruffini infatti possiamo considerarlo il ‘fotografo macchiaiolo’, colui che alternandosi tra l’uso dei pennelli, il bulino8 e la macchina da ripresa, nella tristezza di un’esistenza piena di difficoltà, realizzò stupende opere lontane «da ogni abbellimento, da ogni variazione fantastica», anche quando ormai padrone del procedimento tecnico, frenò ogni tentazione di manipolarne l’esito, rimanendo fedele a ciò che l’occhio vedeva e fermava. Nella foto l’Interno, presente a tutta pagina nel fascicolo di «Emporium», le due donne offrono una composizione ben studiata ed un «proposito narrativo» convinto come una tela di genere, con le parti di abito bianche colpite dalla luce che conducono l’osservatore verso l’effetto della pennellata e della biacca pittorica, in una simbiosi stilistica che rese queste illustrazioni un esempio d’arte fotografica assai significativo e di grande suggestione. Ma le convinzioni di Lamberto Vitali passano anche attraverso un altro stimolante articolo del 19389 sull’attività di acquarellista di Arturo Tosi. Qui, superato l’omaggio all’artista, ultimo maestro del naturalismo lombardo, affronta una difesa assai decisa delle arti grafiche rifiorite proprio grazie ai macchiaioli e agli impressionisti. Vitali assegna un valore artistico assoluto e talmente alto al processo disegnativo, da rammaricarsi come Giovanni Fattori avesse adoperato l’acquerello soprattutto per esercitazioni private e si conoscesse invece molto di più per la cifra dell’acquafortista. Precisa che forse solo Cabianca fu l’unico macchiaiolo che utilizzò l’acquerello «con computezza». L’analisi prosegue con interessanti riflessioni che lo FILETI MAZZA 2009, pp. 10-11. Vitali aveva riunito una straordinaria collezione di negativi, fototipi, riproduzioni fotomeccaniche (collotipie, fotoincisioni e woodburytipie) databili dal 1848 al 1943, anche se l’insieme più interessante, oltre che più consistente, riguarda l’Ottocento e il primo decennio del Novecento. Per lascito testamentario l’ingente raccolta passò nel 1995 all’Accademia di Brera (sezione grafica Bertarelli). Cfr. PAOLI 2004, con bibliografia precedente. 7 VITALI 1935, pp. 388-392. L’anno successivo ancora firmò un breve articolo sulla fotografia antica sottolineando nuovamente come questa non intendesse competere con la pittura, ma offrisse un’onesta traduzione della realtà soprattutto nel caso di questo preciso contributo per i ritratti che esprimono la purezza del processo fotografico e che la scelta delle illustrazioni documenta sapientemente. Vitali aveva assunto anche la direzione dell’altra grande collana promossa dall’Istituto di Arti Grafiche bergamasco, «I grandi cicli pittorici», dove la personale esperienza sulla cultura illustrativa trovò un ampio capo d’azione. 8 Per la grande sensibilità e competenza nel settore delle arti grafiche, cfr. GUIZZETTI 2004, pp. 8-19. 9 VITALI 1938, pp. 85-90. 5 6
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portano ad affermare come il rischio di un ‘infiacchimento’ della resa pittorica nel giocare con uno strumento così fragile (nel caso appunto dell’acquarello), potesse rappresentare un pericolo, che vede invece scongiurato in molti artisti ottocenteschi vicini ai macchiaioli. Questi, anche realizzando un impianto compositivo governato dal pastello o dai trasparenti tocchi acquerellati, erano stati in grado di rendere l’effetto di una cromia di macchia altrettanto convincente. Le immagini in bianco e nero che corredano l’articolo, completano sapientemente il testo, offrendo una selezione di iconografie che integra le altre numerose opere riprodotte nella rivista, mantenendo il grado d’attenzione e interesse del lettore, sempre alto e in continua sollecitazione percettiva della pagina. Lasciando questa breve parentesi, che sotto molti aspetti conferma il programma editoriale di Ghisleri e Gaffuri in contributi dove lo stesso contesto dell’articolo mirava a rafforzare il rapporto dell’immagine con la scrittura, può essere adesso interessante recuperare l’attenzione di «Emporium» per l’arte dei macchiaioli, l’incidenza che l’iconografia della ‘macchia’ ebbe nell’impostazione illustrativa delle sue pagine, quando l’utilizzo di immagini macchiaiole fu scelto anche per scritti non di critica ottocentesca. Ci renderemo conto che nonostante la rivista consacri soprattutto l’arte contemporanea, riservò alla corrente che era nata un trentennio prima al Caffè Michelangelo, un’attenzione devota che contribuì alla conoscenza di molte opere conservate in collezioni private e lontane dal grande pubblico che, agli albori del Novecento, aveva iniziato ad ammirarle solo nelle grandi Gallerie statali di Firenze e Roma. Tra i primi interventi citiamo quello di Vittorio Pica del 1898 su Telemaco Signorini10 che iniziava con queste pungenti parole: «Non credo vi sia stato in Italia, in questa seconda metà di secolo, alcun altro artista che abbia combattuto il tradizionalismo accademico, il convenzionale insegnamento ufficiale e le bottegaie abilità dell’arte leziosa e piacente, con maggiore costanza, con più completo disinteresse, con più vivace arditezza di Telemaco Signorini». Il saggio ripercorreva le tappe più importanti della sua vita non trascurando il momento fondamentale in cui la straordinaria tela del Ghetto di Firenze, mandata all’Esposizione di Torino del 1862, con la sua violenza di colore e la voluta eccessiva trascuratezza del disegno, suscitò un vero scandalo nell’ambiente artistico che «lo fece battezzare col nome di macchiaiuolo». Le pagine di «Emporium» costellarono il lungo articolo di Pica con moltissime illustrazioni che fornirono il giusto richiamo iconografico alla bella definizione del movimento di Adriano Cecioni: «L’arte loro consisteva, non nella ricerca della forma, ma nel modo di rendere le impressioni che ricevevano dal vero, col mezzo di macchie di colore, di chiari e di scuri [...] le figure non oltrepassavano mai la dimensione dei quindici centimetri, quella dimensione che assume il vero quando si guarda ad una certa distanza, a quella distanza cioè in cui le parti della scena che ci ha prodotto impressione, si vedono per masse e non per dettaglio». Toccando anche l’aspetto di Signorini grafico, si ammirano diverse fotografie di acquaforti e disegni preparatori dell’artista. Dopo pochi anni s’impongono alla nostra attenzione i saggi di Romualdo Pantini, firma di punta sulle pagine della rivista, dedicati questa volta a Vincenzo Cabianca e Giovanni Fattori. Il critico, che aveva collaborato nello stesso periodo proprio con un lungo articolo riservato al concorso internazionale indetto da Vittorio Alinari11, scrisse nel 1902 quello in ricordo di Cabianca12, morto nel marzo e per il quale «Emporium» scelse una galleria di illustrazioni assai copiosa, circa trentacinque e di grande fascino estetico. Pantini ricordava l’arrivo a Firenze dell’artista veneziano, utilizzando le parole di Cecioni dalle pagine della PICA 1898, pp. 323-340. Si trattava del concorso per il ‘risveglio’ dell’arte religiosa e devozionale che nel 1900 riunì tele, oleografie, acquerelli, disegni, pastelli e tempere di giovani artisti. Il saggio fu corredato da un ricchissimo apparato di fotografie (circa quaranta) provenienti dai cataloghi Alinari, cfr. PANTINI 1900, pp. 135-151. 12 PANTINI 1902, pp. 405-423. 10 11
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«Domenica del Fracassa» (luglio 1885), con le vacanze a Castiglioncello e l’immediata comprensione dei fondamentali principi macchiaioli: il ‘valore’ e il ‘rapporto’. Termini che nel tessuto informativo del saggio ritornano più volte decifrando il pensiero dell’autore che li coniuga con il concetto di macchia che, per suo dire, molti macchiaioli credevano significasse ‘abbozzo’, quale stato transitorio di un successivo affinamento. Si sofferma ancora sulla macchia dichiarando invece quanto essa sia la base che non deve essere affinata e «come tante macchie di colore e di chiaroscuro, ciascuna delle quali ha un valore proprio, che si misura col rapporto». Nelle parole del critico la macchia si identifica con la ‘scienza’, ferma la natura come uno scatto fotografico e commenta le opere riconoscendo in esse «effetti di chiaroscuro che più che arditi dovevano dirsi prepotenti». Il saggio riservato a Fattori del 190313, ebbe come tema la rappresentazione della vita militare; le immagini, che iniziavano in questi anni a riportare le proprie referenze fotografiche, tracciano un percorso visivo degli avvenimenti bellici in grado di emozionare coloro che le osservavano. L’incipit della scrittura usava la memoria delle grandi pitture di battaglia dal Cinquecento al Settecento, rammaricando come in età risorgimentale mancassero composizioni efficaci pur essendo stati alcuni artisti personalmente in guerra. Ecco a colmare il vuoto che si era creato nell’arte figurativa, il colore e la macchia di Giovanni Fattori che nell’iconografia del combattimento contemporaneo viene «riconosciuto il primo pittore militare d’Italia». Non manca il riferimento allo Staffato che l’impaginato di «Emporium» sceglie qui di ricordare non solo con la fotografia Alinari della celebre tela, ma la integra con quella ugualmente emozionante del suo disegno preparatorio. Affine scelta tematica per illustrare l’ultimo degli articoli di Roberto Papini su I pittori di battaglie in Italia14, uscito in tre puntate nella primavera-estate del 1915. L’opera macchiaiola, pur necessaria a documentare visivamente l’argomento trattato, suggerì al critico alcune riflessioni di stile sull’evoluzione di Fattori che prima di giungere all’asciutta e immediata cronaca della Battaglia di Custoza, aveva realizzato in gioventù quadri storici «alla maniera romantico-accademica». Ora per l’artista ritrarre la vita militare significava rendere il movimento di «masse d’uomini in mezzo alla campagna toscana azzurrognola e violacea, tra il polverio estivo delle bianche strade [...] Il colorismo tende talora ad un monocromato, ad un violento contrasto di bianchi e di neri». Nello Tarchiani, prolifico e vivace ispettore comunale, tra il 1920 al 1939, aveva prodotto una quindicina di contributi sulla rivista bergamasca toccando temi di varia natura, dai disegni di Raffaello alla Fiera internazionale del Libro; nel 1922 affida ad «Emporium» un breve saggio dal titolo La fiorentina primaverile di Belle Arti15, dedicata alla esposizione che si tenne nell’elegante sede della Società delle Belle Arti degli architetti Fantappié e Tognetti. La mostra offriva una rassegna delle tendenze dell’arte dopo la Guerra, con quadri, sculture, disegni, stampe e lavori di alta manifattura. Con due sale riservate a Signorini e Lega, si ricordava il passato dei «macchiaioli fiorentini che per un momento attrassero tanti pittori anche di fuori [...] sembrano tornare molti dei giovani dopo varie e diverse esperienze fatte dopo tentativi molteplici», e si affrontava la volontà di un superamento della tradizione. Le pagine si arricchiscono con nitide foto di Alinari e Barsotti dove le immagini, ancora una volta dell’ormai classica iconografia del Ghetto di Firenze di Signorini o della Ciociara di Lega della collezione Lazzeri, fanno di questo saggio un’interessante catalogo retrospettivo e allo stesso tempo un album originale per far conoscere nuovi artisti: Lloyd, Viner, Notte, Bacci, Checchi, Ferroni, Giachetti, Dani, Natali. Con sede nel fiorentino palazzo del Parterre, nel novembre del 1925 s’inaugurava una mostra per celebrare nuovamente Giovanni Fattori nel centenario della nascita. Rusconi scrive un lungo articolo su «Emporium» per svelare un artista che reputa ancora in parte sconosciuto PANTINI 1903, pp. 3-23. PAPINI 1915, pp. 323-337. 15 TARCHIANI 1922, pp. 281-290. 13 14
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al grande pubblico: «le voci di quel suo canto o vogliam dire discorso che ha celebrato senza stanchezze, senza monotonia, senza ripetizioni, il suo amore per il bello, per il vero, per la natura, così come egli la vedeva e proprio come la sentiva, con tutta l’ingenuità e la divina commozione di un animo puro che appare ogni volta in estasi davanti al vero, come davanti ad una rivelazione nuova»16. Dopo molti anni si riparlava di Fattori con un atto d’amore per l’artista toscano, con parole che a distanza di un secolo restano tra le più belle dedicate al maestro dei macchiaioli nel primo Novecento. Anche le illustrazioni, più di venti di cui due a colori (il Campo italiano dopo la battaglia di Magenta e la Battitura a Correggiato sull’aia), rubano in molti casi lo spazio al testo imponendosi con diverse fotografie a tutta pagina. In questo articolo furono gli scatti di Alinari, Brogi, Barsotti e Reali, i fotografi più attivi e conosciuti nell’editoria artistica non solo toscana, a siglare le opere fattoriane conservate nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, nelle raccolte private quali la Vannini-Parenti, Checcucci, Galli con due pezzi dal Municipio di Livorno che garantivano una corretta documentazione per l’appartenenza geografica dell’artista. Nello stesso anno Piero Torriano firma un breve scritto, ma ricco di fotografie di Barsotti e Zani, sulla mostra tenutasi a Milano nelle nuove stanze della rivista «L’Esame» dedicata ai pittori macchiaioli17. Enrico Somaré, che dirige il periodico, da esperto conoscitore dell’arte ottocentesca offre un catalogo interessante che oltre ai più visti e celebrati Signorini e Lega, tratta Abbati, D’Ancona, Sernesi, Borrani. Soprattutto per questi due ultimi artisti si parla di «temperamento toscano» che «ricompare purificato e inconfondibile, con austerità quasi primitiva», dove quest’aggettivo prelude come vedremo ad una precisa tendenza critica per il movimento macchiaiolo, ma in questo caso assume un particolare interesse se si considera la precoce cronologia. Torriano illustra Sarnesi con i Bovi al carro e Borrani con le atmosfere dorate di Castiglioncello e del paesaggio Monte alle croci, definiti «meditati e composti» e forse già precursori di una nuova stagione di un’arte più moderna. A distanza di pochi mesi «Emporium» offriva una nuova pagina ai macchiaioli proprio sulla scia degli studi di Somaré, pubblicizzando l’uscita della sua monografia su Signorini18. La sintesi dell’articolista riproponeva i tre momenti individuati dall’autore quali tappe principali del movimento con una scheda di carattere fortemente manualistico: Si iniziano nel 1848 gli studi del vero, riapparendo la natura ‘nuda e libera da qualunque influenza di scuola’. Le nuove ricerche diventano grado grado più ardite con le informazioni recate da Parigi nel 1855 dal Morelli, dall’Altamura e dal Tivoli e con le visite alla raccolta Demidoff, dando luogo alla cosidetta ‘macchia’ che fu ‘violenta di chiaroscuro e non altro’. Verso il 1862 infine, fondandosi la scuola di Pergentina, con Signorini, Sernesi, Abbati, Lega e Borrani, la macchia che intanto era pervenuta a riafforzare il languido chiaroscuro accademico e a rompere molti schemi convenzionali, viene superata da molti stessi artisti i quali ‘si spinsero più innanzi in nuove ricerche di ambiente di carattere locale, di scelta rappresentativa’ per conquistare ‘quella sincerità di sentimento e quell’amore per tutta la natura con quale l’arte del Quattrocento accarezzò infantilmente ogni forma.
La recensione al libro di Somarè venne illustrata da un Signorini poco convenzionale: il Dal Santuario di Riomaggiore (olio su tela del 1890) e il Mago Chiò del 1887, con scatti della ditta Alinari. Il breve saggio che apparve nel 1926 nella rubrica Cronache Romagnole rendeva invece omaggio a Silvestro Lega protagonista di una mostra personale a Modigliana 19. Del pittore, considerato un macchiaiolo tardivo, Nello Tarchiani tracciava una sorta di sintetica biografia RUSCONI 1925, pp. 279-290. TORRIANO 1925, pp. 396-403. 18 [TORRIANO] 1926, pp. 270-271. 19 TARCHIANI 1926, pp. 197-204. 16 17
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capace comunque di segnare il percorso umano e artistico compiuto nella frequentazione dell’Accademia di Belle Arti nel 1848, a seguace di Bezzuoli, Mussini, Ciseri, fino agli anni Sessanta quando finalmente persuaso della nuova pittura di macchia, dopo il ritorno da Parigi di Altamura20 e De Tivoli ‘disgustati’ dall’accademismo, si ritirò «tra l’Affrico e l’Arno, in mezzo ad una silente distesa di orti e campi lungo il fiume, e si rinnovò». Lo scritto di Tarchiani, forse tra i meno scolastici pubblicati sulle pagine di «Emporium», è arricchito da alcune frasi di Telemaco Signorini dedicate a Lega, capaci di schematizzare un suggestivo ritratto di Vestro, come lo appellavano gli amici, come queste, ad esempio che celebrano Il canto dello stornello: «Fedele al suo programma di produrre un’arte dove la sincerità d’interpretazione del vero reale, dovesse, senza plagio preraffaellita, ritornare ai nostri quattrocentisti e continuare la sana tradizione, non più col sentimento divino di quel tempo, ma col sentimento umano dell’epoca nostra, dipinse il suo quadro più grande, Il canto dello stornello, tre giovani donne, due in piedi e una seduta al pianoforte che suona e canta insieme alle sue compagne». La rivista impaginò l’articolo con fotografie dotate dalla fototeca del Ministero della Pubblica Istruzione, per Il dopo pranzo (1863) della collezione Rosselli di Firenze e la Visita (1868) della Galleria d’Arte Moderna di Roma, riservando alle immagini l’intera pagina, e gli scatti di Barsotti fornirono suggestive iconografie dalla collezione Guarino di Torino per la tela del 1880 della Signora che cuce e per La strada per i monti di Gabbro della famiglia Moses Benaim che nell’estate del 1944, durante la liberazione di Firenze, fu trafugato insieme ad altre opere dalla villetta presso l’Impruneta, e mai recuperato. Il 1927 per Firenze rappresentò un anno di grandi fermenti espositivi, tanto da far parlare la cronaca del periodo di un’esagerazione di mostre per la città che stava riappropriandosi del suo primato artistico. In seguito ai successi del Ritratto italiano in Palazzo Vecchio (1911) e del Seicento e Settecento a Palazzo Pitti (1922), dopo cinque anni ecco in città ben quattro esposizioni dove, accanto ad una mostra storica del libro illustrato e a quella internazionale dell’incisione, dalla Società di Belle Arti e dal Sindacato Toscano delle Arti furono organizzate due rassegne dedicate all’arte moderna21. In alcune sale di Palazzo Pitti si potevano ammirare anche mostre retrospettive molto interessanti per la storia dell’arte dell’Ottocento in Toscana. Qui Arturo J. Rusconi dedica spazio alle opere di Cannicci, Ciseri, Ferroni, definendoli fedeli alla propria ‘sincerità’ e continuatori di una tradizione d’immediatezza mai tramontata dove «un macchiaiolismo spontaneo e naturale» si afferma sul «macchiaiolismo conosciuto e classico». Le illustrazioni scelte per le pagine della nostra rivista offrono le opere più rappresentative in una struttura compositiva elegante e ricca di grandi formati, spesso a tutta pagina con tavole fuori testo. È il caso ad esempio de La fidanzata di Cannicci e La madre di Ferroni con una bella fotografia Alinari; anche alla tela del Ciseri dall’inconsueto tema religioso del Martirio dei fratelli Maccabei, venuto dalla chiesa di Santa Felicita, si riserva una efficace visibilità. L’articolo di Rusconi termina con una severa stroncatura delle opere di Adriano Cecioni «che nel suo anticipato impressionismo appare d’una freddezza sconcertante, e se parla ancora alla nostra curiosità, non dice più nulla alla nostra sensibilità». Nel 1928 la rivista dell’Istituto d’Arti Grafiche di Bergamo, pubblica un nuovo contributo al movimento con un saggio di Irene Cattaneo sui disegni manzoniani di Giovanni Fattori22. Illustrato da quattordici immagini, era la prima volta che integralmente veniva presentata la serie per i Promessi Sposi realizzata dall’artista, tema la cui fortuna visiva poteva già Un Ritratto di Garibaldi di Saverio Altamura, fu utilizzato in «Emporium» per documentare l’iconografia dell’eroe con una bella fotografia di Caminada nel saggio di NICODEMI 1932, p. 309. Altre due illustrazioni con opere dell’Altamura furono pubblicate dalla rivista: il Trionfo di Mario (PROCIDA 1916, p. 205) e il Ritratto di Francesco De Sanctis (FLORA 1936, p. 37). 21 RUSCONI 1927, pp. 371-388. 22 CATTANEO 1928, pp. 156-165. 20
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segnare alcuni precedenti illustri, quali ad esempio le tavole eseguite da Giambattista Galizzi e Gaetano Previati23. L’autrice del saggio decifra gli elaborati fattoriani come il superamento di quel rapporto tra la natura e l’uomo che nei due precedenti citati traducevano fondamentalmente la concezione cristiana, personalizzando l’immagine in iconografie intime o esageratamente allusive. Il tratto di Fattori riesce a tradurre la vita umile e semplice della gente di campagna «non più dunque raffigurazioni idealizzate o caricature convenzionali, ma realistica interpretazione del più realistico racconto che si conosca». Le illustrazioni che accompagnano il testo disegnano la memoria del romanzo e i riferimenti naturalistici contribuiscono alla narrazione visiva della storia. La Cattaneo, descrivendo le figure manzoniane create da Fattori, scrive come il «ricostruttore» di scene storiche non assume mai tono declamatorio, ma si attiene invece ad interpretare sapientemente realtà e avventura: Fattori illustratore non tradisce il modulo già affinato per la pittura e il disegno. E l’artista tiene anche nell’intricato scenario del mercato d’arte che a Milano vive la frenesia e la competizione delle vendite alle Gallerie Pesaro e Scopinich. «Emporium» coglie e registra il dibattito di questi primi decenni del Novecento, e nel 1929 ad esempio pubblica nell’ormai classica rubrica delle Cronache milanesi, un breve ma puntuale articolo di Raffaello Giolli24 con valutazioni non solo dei contemporanei, ma di un Fattori quotato oltre le cinquantamila lire. Si trattava, come documenta la bella foto di Castagneri, del Contadino seduto che insieme alle immagini di Morelli, Michetti, Favretto e Signorini offrivano gran parte del catalogo dei pezzi provenienti dalla raccolta Magnelli. Nel giugno del 1920 era uscito il primo fascicolo di «Dedalo», la rivista fondata e diretta da Ugo Ojetti per i tipi della Bestetti e Tumminelli di Milano25. Durata solo dodici anni, riuscì comunque a lasciare un segno di grande qualità editoriale; «Emporium» esisteva già da un quarto di secolo e ormai aveva tracciato un modello che rappresentò anche per le pagine di questo nuovo periodico un esempio stimolante a cui ispirarsi soprattutto nella resa grafica e nella ricerca accurata del corredo illustrativo. Il confronto e l’analisi dei loro contenuti per gli anni in cui le due testate vissero insieme sulla scena dell’editoria italiana, meriterebbe uno studio specifico; in questo nostro contesto vale la pena ricordare le rarissime immagini riferite al movimento dei macchiaioli26. Nella rivista ojettiana solo Giovanni Fattori conquista una buona percentuale di presenze, che grazie all’attenzione da sempre rivolta in «Dedalo» alle esplicite didascalie delle foto sull’opera rappresentata, leggiamo autore di opere provenienti non soltanto dalle collezioni Galli, Checcucci, Magnelli, già menzionate anche in «Emporium», ma ancora dalle raccolte Giustiniani, Bruno, Fiano, Sforni, Caviglia, Vannini, De Piccolellis, Malesci, Siccoli e Ojetti con la tela La signora B.27 Nel 1937 Antony De Witt firmando il saggio Il disegno dei Macchiaioli28, affronta un regesto sull’opera grafica del movimento toscano che consente di fare un chiaro punto della situazione. Nella premessa ammette come siano rare le testimonianze di una produzione disegnativa dei maestri di macchia. La vasta cultura figurativa del De Witt29, livornese che si era numerose volte misurato con la pittura, ma soprattutto con l’arte xilografica, si avvale anche del sostegno di Adriano Cecioni le cui parole furono utilizzate per rafforzare, con il pensiero di uno dei maggiori teorici del movimento, il valore attribuito al disegno propriamente detto in rapporto all’idea della macchia, quale base della nuova scuola figurativa. Si veda sulla fortuna illustrativa dei Promessi Sposi : PALLOTTINO 2009, pp. 203-234, in part. 215 nota 43. GIOLLI 1929, pp. 245-253. 25 Si veda per la storia della rivista FILETI MAZZA 1995. L’esperienza editoriale di Ojetti fu assai vivace, ma discontinua rispetto alla compattezza e longevità di «Emporium»; il critico aveva fondato anche altri due periodici per la storia dell’arte figurativa: Pegaso dal 1929 al 1932 e Pan dal 1933 al 1935. 26 Ojetti nel 1921 aveva scritto Macchiaioli e Impressionisti: una lettera di Diego Martelli a Giovanni Fattori: OJETTI 1921. 27 OJETTI 1925-1926, p. 241. 28 DE WITT 1937, pp. 541-550. 29 CAGIANELLI 1997. 23 24
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In pratica De Witt affermava che anche per gli artisti del colore il disegno rappresentasse il fondamento dell’arte, riferendosi a istanze cenniniane che assegnavano al manufatto disegnativo «la trionfal porta del ritrarre naturale». L’articolo venne illustrato da undici immagini in bianco e nero di grande suggestione con un impaginato ampio in grado di documentare al meglio la produzione grafica di Abbati, Lega, Borrani, Signorini, D’Ancona, Sernesi e Fattori, quest’ultimo presente con tre studi: un Buttero a cavallo, Donne con cappellino e una Marina. I disegni scelti erano tutti conservati a Firenze tra il gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, la Galleria d’Arte Moderna e la collezioni Sforni e Checcucci. Solo i fogli raffiguranti Arno alla Croce e il Paese invernale di Telemaco Signorini non dichiaravano l’ubicazione. Proprio in un precedente saggio su Signorini incisore, pubblicato l’anno prima30 sulle pagine di «Emporium», possiamo trovare l’impianto preparatorio per l’articolo più generale sul disegno dei macchiaioli. De Witt affrontava con sensibile impegno critico l’importanza che l’attività incisoria ebbe ad esempio per lo stesso Fattori «come diversione del quotidiano travaglio attorno alle tele», poco considerata dagli amici Martelli, Cecioni e Signorini che sembravano allinearsi al giudizio di un Bartsch «che si domandava se Tiziano si fosse mai dilettato, amusé colla sgubbia o la punta». De Witt leggeva invece con gran convinzione come quella occasionalità acquisisse valore preminente dell’arte fattoriana. Il saggio proseguiva con l’analisi delle incisioni di Telemaco Signorini, offrendo al lettore uno scelto corredo illustrativo con le foto Brogi delle bellissime acqueforti conservate agli Uffizi e impaginate con ampio respiro in rapporto al testo che in più occasioni lasciava il passo all’iconografia. A tutta pagina sono infatti le fotografie dalla serie del Mercato vecchio e delle vignette tratte da Primi passi di Diego Martelli. La mostra dell’Ottocento di Lugano del 1948 accese nuovamente un certo interesse per l’ormai quasi dimenticata corrente macchiaiola; nella recensione che Viardo Palma scrisse su «Emporium», s’intrattiene sulle sale dedicate al Carnovali e a Fattori che nel percorso dell’esposizione può essere «visto e capito» come da alcuni anni non era stato possibile fare in rassegne contemporanee più frettolose e schive per l’arte della macchia. La rivista in questa occasione pubblica di Fattori solo i Soldati francesi nel 1859, ma a Lugano furono presenti diciotto opere dove spiccava la Rotonda Palmieri, i Cavalli al sole e il Ritrattino di Diego Martelli. Nel testo di Palma a distanza di anni si ritorna ancora sul concetto di macchia, le cui definizioni potrebbero bastare per fare un’interessante verifica sul significato che i diversi critici hanno attribuito a questo preciso lemma e farci ripercorrere e comprendere la fortuna storica ed estetica dei macchiaioli fino agli anni Sessanta del passato secolo. L’autore così scriveva del processo fattoriano: «Intanto è ormai chiaro che il problema della macchia non fu per lui un problema di sistema che permettesse di sorprendere un effetto passeggero e improvviso di luce e perciò di colore, ma una necessità precisa specialmente di ordine tonale, che la portasse a quelle conclusione di calmo ordine ritmico e spaziale del quale i disegni e le acqueforti sono una testimonianza». La cronaca dell’esposizione luganese passava infine il passo a commenti per Signorini, Abbati, Lega, Segantini, Sernesi e «finalmente Emilio Gola che porta alla mostra una nota di autentico espressionismo». A distanza di un anno il periodico bergamasco utilizza l’immagine a tutta pagina dei Pescatori di Giovanni Fattori quale emblema del brevissimo trafiletto che Attilio Podestà dedicò ad una frettolosa esposizione torinese di novanta opere dell’Ottocento, realizzata da Marziano Bernardi nelle sale della Galleria della «Gazzetta del Popolo»31. L’artista veniva definito nella sua identità ed essenzialità come ‘veramente primitivo’, affermazione che darà negli anni successivi adito al pensiero critico che ricondusse le istanze macchiaiole al linguaggio estetico quattrocentesco. 30 31
DE WITT 1936, pp. 123-130. PODESTA 1949, pp. 176-177.
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Nel 1962 Remigio Marini, prolifico collaboratore della rivista fin dal precedente decennio, pubblica un saggetto dal titolo La nostra mediocrità ottocentesca e la sua radice morale32; siamo sul finire della vita di «Emporium» e la spietata critica verso l’arte pittorica dell’Ottocento italiano sembra solo apparentemente salvare la corrente del Caffè Michelangelo. L’impaginato, ormai fiacco e convenzionale, propone nella stessa pagina l’abbinamento di un Paesaggio del Piccio con Alla stanga di Segantini, seguito da Il guado di Fontanesi con i Barrocci romani di Fattori della Galleria d’Arte Moderna di Firenze. Per l’autore l’ormai dilagante povertà estetica altro non era che lo specchio del grave collasso morale dell’intera società e conclude definendo i pittori di macchia: limitati, circoscritti e provinciali. Ancora due anni e la rivista di Gaffuri e Ghisleri, che aveva traghettato la cultura dell’Ottocento nella modernità del XX secolo, avrebbe chiuso i battenti; gli ultimi fascicoli, ormai orientati a parlare di arte antica o di novità dell’avanguardie, non trovano più spazio per i ‘fotografi della natura’. Attraverso varie fasi «Emporium» aveva registrato l’andamento della percezione visiva per le opere macchiaiole, rispettando i diversi punti di vista della critica novecentesca. Rileggendo alcune frasi del manifesto programmatico, ci congediamo con gratitudine e un certo sentimento di rammarico dalla nostra rivista: C’imponemmo che ogni illustrazione avesse autenticità e carattere documentale, rompendola recisamente con le nostrane consuetudini delle figurazioni di maniera o di fantasia [...] Purtroppo, ci si diceva, bellissimo il programma, ma troverete voi in Italia un numero di lettori sufficiente per una rivista così costosa e così austeramente concepita e condotta? Per una rivista senza rubriche di curiosità e di attualità locale, senza i consueti passatempi di famiglia, senza rebus né indovinelli a premio, senza novelline, senza musica, senza versi, senza neppure una pagina di moda? […] Nonostante questi presagi, nonostante gli eccitamenti a transigere, avemmo fede nella bontà della nostra idea ed anche un poco nel pubblico italiano, verso il quale certe pose di aprioristica disistima a noi parvero sempre altrettanto ingiuste che eccessive. […] Noi miriamo a costituire ai lettori un archivio di cognizioni utili, di documenti grafici, di cose belle e interessanti oggi, ma che ognuno di loro potrà rivedere e consultare domani, dopodomani, fra qualche anno ancora con diletto e con frutto, sopratutto con frutto.
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MARINI 1962, pp. 111-118.
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BIBLIOGRAFIA BACCI 2009 G. BACCI, ‘Parole e figure’: fotografia e testo tra le pagine di «Emporium» e «Il Secolo XX», in EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009, pp. 95-155. CAGIANELLI 1997 F. CAGIANELLI, Tra pittura ed incisione. Antonio Antony De Witt. Critico delle arti, Pisa 1997. CATTANEO 1929 I. CATTANEO, I disegni manzoniani di Giovanni Fattori, «Emporium», 405, vol. LXVIII, 1928, pp. 156-165. DE WITT 1936 A. DE WITT, Signorini incisore, «Emporium», 514, vol. LXXXIII, 1936, pp. 123-130. DE WITT 1937 A. DE WITT, Il disegno dei Macchiaioli, «Emporium», 514, vol. LXXXVI, 1937, pp. 541-550. EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009 Emporium. Parole e figure tra il 1895 e il 1964, Atti dell’incontro di studio (Pisa 2007), a cura di G. Bacci, M. Ferretti, M. Fileti Mazza, Pisa 2009. FILETI MAZZA 1995 M. FILETI MAZZA, La Fototeca di Dedalo, «Quaderni 5 del Centro di Ricerche Informatiche dei Beni Culturali», 5, Pisa 1995. FILETI MAZZA 2009 M. FILETI MAZZA, Emporium esplorato: una banca dati tra testo e immagini, in EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009, pp. 10-11. FLORA 1936 F. FLORA, Il Giornale Napoletano della Domenica, «Emporium», 499, vol. LXXXIV, 1936, p. 37. GIOLLI 1929 R. GIOLLI, Cronache milanesi. Esposizioni e aste, «Emporium», 412, vol. LXIX, 1929, pp. 245-253. GUIZZETTI 2004 C. GUIZZETTI, Federico Faruffini: catalogo delle incisioni, «Grafica d’arte», 15, 60, 2004, pp. 8-19. MANCA 2009 M.E. MANCA, Specchio di Emporium, in EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009, pp. 155-202. MARINI 1962 R. MARINI, La nostra mediocrità ottocentesca e la sua radice morale, «Emporium», 807, vol. CXXXV, 1962, pp. 111-118. NICODEMI 1932 G. NICODEMI, Giuseppe Garibaldi nell’arte, «Emporium», 449, vol. LXXV, 1932, p. 309.
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OJETTI 1921 U. OJETTI, Macchiaioli e Impressionisti: una lettera di Diego Martelli a Giovanni Fattori, «Dedalo», 1, vol. III, 1921, p. 759. OJETTI 1925-1926 U. OJETTI, Ritratti dipinti da Giovanni Fattori, «Dedalo», 6, vol. I, 1925-1926, p. 241. PALLOTTINO 2009 P. PALLOTTINO, “La finezza, il numero, la veracità delle illustrazioni”: l’opera pionieristica di Vittorio Pica su «Emporium», in EMPORIUM. PAROLE E FIGURE 2009, pp. 203-234. PANTINI 1900 R. PANTINI, Concorso internazionale Alinari, «Emporium», 62, vol. XI, 1900, pp. 135-151. PANTINI 1902 R. PANTINI, Artisti contemporanei: Vincenzo Cabianca, «Emporium», 90, vol. XV, 1902, pp. 405423. PANTINI 1903 R. PANTINI, Artisti contemporanei: Giovanni Fattori, «Emporium», 97, vol. XVII, 1903, pp. 3-23. PAOLI 2004 S. PAOLI, Lamberto Vitali e la fotografia. Collezionismo, studi e ricerche, Cinisello Balsamo 2004. PAPINI 1915 R. PAPINI, I pittori di battaglie in Italia, «Emporium», 245, vol. XLI, 1915, pp. 323-337. PICA 1898 V. PICA, Artisti contemporanei: Telemaco Signorini, «Emporium», 47, vol. VIII, 1898, pp. 323-340. PODESTA 1949 A. PODESTA, Torino: Novanta pitture dell’Ottocento, «Emporium», 652, vol. CIX, 1949, pp. 176177. PROCIDA 1916 S. PROCIDA, La galleria Rotondo al Museo napoletano di S. Martino, «Emporium», 261, vol. XLIV, 1916, p. 205. RITTER 1911 W. RITTER, Il viaggio in Grecia d’un fotografo artista: Federico Boissonnas, «Emporium», 197, vol. XXXIII, 1911, pp. 345-364. RUSCONI 1925 J.A. RUSCONI, Il centenario di Giovanni Fattori, «Emporium», 371, vol. LXXI, 1925, pp. 279-290. RUSCONI 1927 J.A. RUSCONI, Le esposizioni d’arte moderna a Firenze, «Emporium», 390, vol. LXV, 1927, pp. 371388.
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TARCHIANI 1922 N. TARCHIANI, La fiorentina primaverile di Belle Arti, «Emporium», 329, vol. LV, 1922, pp. 281290. TARCHIANI 1926 N. TARCHIANI, Silvestro Lega alla mostra di Modigliana, «Emporium», 381, vol. LXIV, 1926, pp. 197-204. TORRIANO 1925 P. TORRIANO, Cronache milanesi. Una mostra di pittori ‘macchiaioli’, «Emporium», 372, vol. LXII, 1925, pp. 396-403. [TORRIANO] 1926 [P. TORRIANO], Telemano Signorini, «Emporium», 382, vol. LXIV, 1926, pp. 270-271. VITALI 1935 L. VITALI, Federico Faruffini fotografo, «Emporium», 486, vol. LXXXI, 1935, pp. 388-392. VITALI 1938 L. VITALI, Gli Acquerelli di Arturo Tosi, «Emporium», 518, vol. LXXXVII, 1938, pp. 85-90.
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Il carteggio Mussini-Piaggio _______________________________________________________________________________
IL CARTEGGIO MUSSINI-PIAGGIO: ESEMPIO DI DIDATTICA A DISTANZA Il recupero di un consistente carteggio di Luigi Mussini, ora consultabile nella banca dati di Memofonte1, permette di confrontare e di compulsare numerose vicende artistiche che videro il pittore protagonista. Gli ambiti di ricerca rintracciabili dal corpus epistolare risultano estremamente vari sia per l’eterogeneità dei destinatari che per i molteplici e articolati temi trattati fra i quali quelli relativi alle trasformazioni politiche e sociali della seconda metà dell’Ottocento sulle quali Mussini disquisisce come soggetto spettatore. È intenzione, in questa sede, richiamare l’attenzione su un nucleo di quasi cento lettere che il pittore scrisse e ricevé da Luigia Piaggio sua allieva dal 1858 al 18622, e che tra gli innumerevoli possibili percorsi di studio risulta estremamente interessante per l’‘eccezionalità’ della consistenza priva di lacune. La lettura incrociata delle missive, nelle quali quasi sempre è indicata la data o quanto meno è deducibile dal contenuto, consente di tratteggiare l’attività ancora poco nota della pittrice genovese3, ma soprattutto di delineare la metodologia didattica purista della quale Mussini può assurgere a modello per la lunga esperienza di direttore dell’Istituto di Belle Arti di Siena dal 1851 al 1888. A complemento del carteggio tra Mussini e la Piaggio risultano utili una serie di stralci di lettere, conservate in collezione privata, che la giovane comincia a scrivere ai familiari a Genova durante il soggiorno toscano del 1856 quando, accompagnata dal padre incisore appassionato di fotografia e di ‘daguerrotipisti’4 trascorre la metà di maggio e i primi di giugno ad ammirare i capolavori artistici. A Firenze si reca in visita a Santa Croce e tra le tante sepolture, rimane colpita da quella di «Giuseppe Sabatelli [...] la più bella perché hanno saputo metterci un sentimento tanto profondo che va proprio al cuore non intendo giudicarne è l’effetto che mi fece in me che mi fece dir così»; alla Galleria degli Uffizi torna tre volte e due a Pitti, trovando «Raffaello superiore a chiunque e impensabile così bello rispetto a qualunque copia tratta dalle sue opere dalla Madonna della Seggiola». L’anfitrione della Piaggio è l’incisore Antonio Perfetti amico di Enrico Guglielmo Saltini che la conduce dal cognato pittore paesista, e rapita dalla pittura decide di prendere alcune lezioni dal Pollastrini che ha modo di conoscere nel suo studio5.
Il presente contributo è la sintesi di un capitolo della mia tesi di dottorato (AGNORELLI 2005-2006). Desidero ringraziare coloro che in vari modi, fin dal tempo della tesi, mi hanno aiutato fornendomi suggerimenti e informazioni: Bruno Cervetto, Alessandra Cabella, Francesca De Cupis, Grazia Di Natale, Maria Flora Giubilei, Maria Pia Mannini, Chiara Masi, Caterina Olcese Spingardi, Riccardo Palmisani, Piergiacomo Petrioli, Francesca Petrucci, Diego Portaluppi, don Pasquale Revello, Bernardina Sani. Un grazie particolare alla generosità e alla fiducia dimostratami dal proprietario del Fondo Mussini Piaggio. 1 www.memofonte.it. 2 Per una dettagliata biografia e catalogo di Luigi Mussini: SIENA TRA PURISMO E LIBERTY 1988 e, per ultimo, con la relativa bibliografia aggiornata, NEL SEGNO DI INGRES 2007. 3 OLCESE SPINGARDI 1991, p. 963, con bibliografia precedente. 4 FMP, Luigia Piaggio alla madre, Firenze 1856/06/05. Anche la madre di Luigia, Chiara Capurro, aveva un passato di ‘pittrice’ dilettante. Sull’attribuzione di una copia del Ritratto del pittore Francesco Baratta dell’Accademia Ligustica, cfr. MUSEO DELL’ACCADEMIA 1985, n. 156. 5 «Sabato siamo stati dal signor Pollastrini [...], ci ha fatti vedere tutti i lavori che aveva nello studio con molta compiacenza e gentilezza. Egli ha proprio l’aria da pittore, era vestito con una gran veste di velluto nero molto ben fatta che lasciava vedere le maniche bianche della camicia, e si vede che deve sapere che le sta bene. Stava dipingendo una santa Caterina da Siena, molto bella ed aveva cominciato un gran quadro d’una Madonna della concezione più grande del vero, aveva appena finito il cartone. Credo che vi ritorneremo ancora altre volte prima di partire giacché è tanto compiacente, è una lezione sentirlo parlare». FMP, Piaggio alla madre, Firenze [1856]/05/14.
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Patrizia Agnorelli _______________________________________________________________________________
Poco prima di ripartire per Genova scrive che grazie all’incisore Livy potrà vedere lo studio del pittore Mussini essendo rimasta colpita dai suoi quadri e da quelli del fratello, «uno tra gli altri»6. Lo «studio del pittore Mussini» a cui fa riferimento Luigia è senz’altro quello di Cesare, ma il quadro che ha particolarmente apprezzato è la Musica Sacra, vista frequentando la Galleria dell’Accademia, e realizzata nel 1841 da Luigi. Presa la decisione di diventare pittrice torna a Firenze, nel luglio 1857, con un ‘rotolo’ consegnatole da Dufour per il maestro di prospettiva Garibbo7 e l’accordo di frequentare, per poco più di un mese, le lezioni di Luigi Mussini resosi disponibile ad insegnare ad una giovane che riteneva tanto volenterosa8 e, come intuisce lei stessa, «contento ch’io non abbia mai avuto maestro, e perciò non abbia sistemi in capo»9. La ragazza per Mussini appare l’allieva ideale pronta a suggere dai suoi insegnamenti la linfa artistica e ad instaurare con lui quel clima che aveva tentato di dare alla scuola aperta a Firenze nel 1844 con Adolphe Stürler10 e che rimase, anche in seguito, fondamento della metodologia didattica applicata a Siena nel ruolo di direttore per ben trentasette anni. Lo studio in Sant’Apollonia, infatti, aveva avuto alla base la profonda diffidenza e il rigetto verso i dettami delle accademie istituzionali che Mussini aveva conosciuto come allievo di Benvenuti e Bezzuoli11 dal 1828, volendo sostituire all’insegnamento neoclassico basato sulla copia dai gessi e la gerarchica divisione dei ruoli accademici, la pratica delle botteghe trequattrocentesche fiorentine, come probabilmente aveva vissuto nel primo apprendistato presso il fratello Cesare12, in quanto, sostiene Mussini, è: innegabile che le Accademie in genere non son buone a nulla: l’esperienza de’ tempi AntiAccademici e de’ tempi Accademici parla da sé. Da ciò consegue che se Accademia si vuole, o conviene ridurla alla minima espressione cioè scuola elementare, o farla rassomigliare più che si può all’antica bottega, l’atelier del maestro pittore coi suoi garzoni e allievi13.
Gli intenti mussiniani, già delineati agli albori della sua esperienza didattica, risultano chiari in quanto per lui il giovane allievo deve essere educato in un ambiente di cooperazione nel quale possa apprendere oltre alle tecniche artistiche, il modo di comporre, e soprattutto ciò che è degno di essere dipinto. L’iter artistico prevede quindi una continua presenza del ‘maestro di bottega’ che ha come compito insegnare all’allievo a riconoscere il fine dell’arte che sta nel rintracciare la bellezza della forma nella natura, concetto già bartoliniano14, in quanto «la natura è principio e fine assoluto dell’arte: è principio, quando vogliamo che si eserciti e si educhi il giovane a ritrarre il vero con sicurezza e fedeltà, con scienza di disegno verità e
FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1856/06/05. Su Maurizio Dufour (1826-1897) DI FABIO 1990, pp. 317-324; OLCESE SPINGARDI 1992, pp. 789-791. Su Luigi Garibbo (1782-1869) SBORGI 1991, p. 28; MILLEFIORE 1991, pp. 842-843. 8 FMP, Mussini a Giuseppe Piaggio, 1857/07/08, in www.memofonte.it. 9 FMP, Piaggio al padre, Siena 1857/08/29. Mussini scriveva a Duprè «Convengo poi che ho gran passione a farla da maestro a dei giovani principianti -la spina sta nel prenderli troppo esercitati» BCI, [1851]/06/30, in www.memofonte.it. 10 Sulla scuola in Sant’Apollonia della quale erano stati allievi Michele Gordigiani e Silvestro Lega: SPALLETTI 1985. Sulla didattica dei due maestri: STÜRLER 1847; MUSSINI 1847. 11 Altri artisti avevano aperto uno studio indipendentemente dalle accademie è il caso anche di Ciseri, Pollastrini, Duprè, Camillo Pucci. 12 Su Cesare Mussini (1804-1879) pochi studi biografici (e per lo più in contesti collettivi). Cfr. BASSIGNANA 1991, p. 935. 13 Lettera di Mussini a Carlo Milanesi, 1853/10/14, in EPISTOLARIO 1893, pp. 42-43; SPALLETTI 1994, p. 312, nota 59. 14 MUSSINI 1852, pp. 22-28; BAROCCHI 1998, pp. 594-598. 6 7
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saviezza di colorito»; ma ciò è possibile solo con l’indispensabile mediazione e «[…] l’ajuto dei nostri gloriosi morti»15 per non rimanere nel «tecnicismo della forma». Tali nozioni didattiche giungevano a Mussini dal clima culturale che nella seconda metà degli anni Quaranta si stava ormai insediando nelle accademie in virtù, tra gli altri, di Selvatico, professore all’Accademia di Venezia e Minardi, cattedratico nell’Accademia di Belle Arti di San Luca, che già nel 1842 aveva firmato con Frederick Overbeck e Antonio Bianchini il Manifesto del purismo, che univa diverse tendenze della nuova poetica, accomunate dal rifiuto dei riferimenti neoclassici in favore di un interesse verso il Medioevo e per i pittori primitivi assunti come modello di eccellenza 16. Quando Mussini era arrivato a Siena come direttore la prolusione introduttiva alla carica fatta da Cesare Guasti17 insisteva sulla necessaria trasformazione accademica che dal neoclassicismo si incamminava verso una svolta purista facendo eco degli scritti più aggiornati di Rio, Montalembert, Cousin18 e ovviamente Selvatico. Guasti affiancava ai teorici il pittore Mussini che da tempo aveva dichiarato il proprio ideale quando, poco più che quindicenne, andava «pei chiostri e per le cappelle davanti a quelle ammirabili pitture dei nostri quattrocentisti che furono per me una rivelazione; oserei dire una rivoluzione, giacché mi ribellai tosto all’Accademia, rimanendovi alunno, di nome e non di fatto»19; aveva inoltre ribadito quali erano i soli modelli artistici la cui conoscenza era imprescindibile per qualsiasi artista: Giotto e i suoi grandi alunni, l’Angelico, Benozzo Gozzoli, Paolo Uccello, il Ghirlandaio, il gran Masaccio ed altri pure, lasciarono quelle pagine stupende sulle quali meditarono, appresero e si perfezionarono quei sommi che raggiunsero l’ultima mèta dell’arte. È noto che Michelangelo e Raffaello ne fecero profondo studio che l’arte del tre e quattrocento fu il latte vigoroso onde il lor genio si nutriva20.
Le basi della didattica di Mussini sono già delineate a questa data: aspirare ad «un rapporto maieutico tra maestro e allievo, come immaginava vi fosse nelle botteghe trecentesche»21; sostenere e richiamare continuamente gli esempi artistici tre-quattrocenteschi, gli unici che avevano avuto a modello la ‘Verità’; abituare a comporre attraverso il continuo esercizio disegnativo. Sono questi i dettami che dal 1851 mette in pratica come maestro di Amos Cassioli, Angelo Visconti, Alessandro Franchi, Cesare Maccari, Antonio Ridolfi e Gaetano Marinelli22 e che applica nei confronti di Luigia Piaggio, la quale nell’agosto del 1857 si trasferisce a Siena, dove comincia subito il proprio apprendistato copiando dal vero una testa d’uomo per ovviare alla poca esperienza che aveva su tale pratica. Dopo pochi giorni la genovese, come palesano le sue parole, è già letteralmente entusiasta: Le lezioni di Mussini [sono la cosa] più interessante [...]. Per ora copio dal gesso tanto da imparare il suo modo di chiaroscurare che molto mi persuade e mi disse che aveva fatto fare codesto studio anche ad alcuni alunni che erano già pittori, io preferisco anzi disegnare che dipingere perché m’importa assai di ben intendere le sue teorie23. MUSSINI 1847, pp. 5-6. Per una sintesi delle tendenze puriste, pur non esaustiva, cfr. MINARDI 1834, in BAROCCHI 1998, pp. 455-459. 17 GUASTI 1851. Sullo studioso pratese cfr. STUDI IN ONORE DI CESARE GUASTI 1994. 18 Si tratta di A.F. RIO, De la Poésie chrétienne dans son principe, dans sa matière et dans ses formes, Paris 1836; C.F. MONTALEMBERT, Du vandalisme et du catholicisme dans l’art, Paris 1839; V. COUSIN, Teoria del Bello e dell’Arte, Venezia 1846. Sull’importanza di tali testi cfr. FOUCART 1987 e per la situazione senese SPALLETTI 1994, pp. 307-310. 19 IN MEMORIA 1888, p. 2. 20 MUSSINI 1847, pp. 3-4. 21 AGNORELLI 2005, pp. 142-143. 22 Sull’attività didattica senese cfr. CARLI 1986, pp. 40-51. 23 FMP, Piaggio alla madre, Siena [1857]/08/20 e 1857/08/26. 15 16
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Per Mussini i fondamenti della didattica artistica constano nell’esercitare l’allievo al disegno e nell’indottrinarlo su quei concetti che rimarranno imperativi anche in futuro, ma a differenza della didattica in uso precedentemente, alterna modelli inanimati a reali, fondendo i due momenti senza farli succedere cronologicamente come avveniva durante la didattica neoclassica che talvolta impediva ad un allievo di accedere alla copia dal vero, senza prima essersi esercitato a lungo (anche sei anni) nella copia dai gessi24. Le minime variazioni del soggetto da ritrarre si susseguono in un crescendo di difficoltà applicative, per cui «il suo modo d’insegnare tende a dare delle norme che una volta intese si possono sempre mettere in pratica anche essendo lontana da lui». Le fa eseguire, ad esempio, lo stesso modello ma voltato in modo diverso, suggerendo di comporre o disegnare «per avvezzarsi la mano»; le fa trasformare le composizioni ben eseguite aggiungendo su quelle già fatte alcune modifiche per aumentarne la difficoltà, mettendovi «le ombre come proprio dovessi fare il quadro». Mentre cerca di istruire l’allieva sulle opere contemporanee che vale la pena conoscere, come le composizioni di Overbeck, Mussini si dichiara apertamente fautore del disegno e, quando la Piaggio, probabilmente impaziente di apprendere tutti i segreti dell’arte, si spinge a chiedere di vederlo dipingere, tenta, con gentile fermezza, di distoglierla da tale pensiero, facendole comprendere che prima di ‘colorire’ occorre la pratica disegnativa dichiarandosi tra l’altro «non colorista»25. In pochi giorni la Piaggio è impegnata su più fronti. Ha avviato la copia delle teste dai gessi e dal vero, si accinge a copiar statue, impara e applica la composizione («feci un S. Marco che piacque molto [...] al maestro») e per quanto riguarda la conoscenza della valente tradizione pittorica, il maestro suggerisce di eseguire «ricordi dagli antichi, ed è perciò preferibile Firenze»26. L’occasione arriva quando ai primi di settembre Antonio Perfetti le offre ospitalità a Firenze per continuare il suo tirocinio. Luigia, incerta su ciò che decideranno i genitori, continua a «studiare indefessamente», ma ha però fretta di imparare, convinta che veder dipingere il maestro sia per lei di insegnamento. E qui appare la versione del maestro-padre (e non padrone)27 che «ha molta buona maniera, cerca di darmi ragione di ciascheduna cosa che mi fa osservare, ed ha molta chiarezza nel spiegarsi» e che non impone, ma rende ragione dei propri insegnamenti: «quanto a vederlo dipingere […] mi disse che nulla imparerei a vederlo né lui né altri perché nulla si può insegnare di certo quanto al modo di dipingere facendo ora tutti a un modo differente dall’altro, avendo perduto quel modo con cui dipingevano gli antichi»28. Possiamo solo immaginare e intuire la dialettica di Mussini sicuramente efficace se paragonata alla sua capacità di convincimento nello scrivere di cui ci danno ampia prova i suoi saggi, talvolta severi29. In ogni caso i suoi discorsi fanno enormemente presa sulla giovane principiante: È il caso di Angelo Visconti (Siena 1829-Roma 1861), del quale Mussini intuisce subito le qualità definendo un’Accademia «tale da non temer confronti» (Lettera di Mussini a Carlo Milanesi, 1853/24/01, in EPISTOLARIO 1893, p. 32), ma che entrato all’Istituto di Belle Arti nel 1842, durante il direttorato di Francesco Nenci, aveva dovuto esercitarsi sulla sola copia dai gessi fino al 1848 quando, finalmente, era stato ammesso alla scuola di nudo. Su Visconti cfr. DEL BRAVO 1967, pp. 3-28; PETRUCCI 1992, pp. 5-63. 25 FMP, Piaggio alla madre, Siena 1857/09/04 e 1857/09/12: «I suoi studi sembrano ben dipinti io poi non saprei perché egli dicesse che non è colorista perché anzi tiene a dipingere robusto di tinta, piuttosto sacrifica la vaghezza del colore al disegno, ed a me lo ripete è più utile disegnare che dipingere credo però che mi farà dipingere ancora qualche altra cosa». 26 Ibidem. 27 FMP, Piaggio al padre, Siena 1857/09/18. Sui rapporti conflittuali tra Mussini e alcuni allievi cfr., da ultimo, AGNORELLI 2005. 28 FMP, Piaggio al padre, Siena 1857/09/18 e alla madre 1857/09/26. 29 Su Mussini scrittore cfr. AGNORELLI 2007, pp. 47-61. 24
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Bisogna che faccia quello che mi fa fare il maestro e sono persuasa che ha ragione lui, egli mi vuole insegnare profondamente l’arte comincia dal disegnare e poi il dipingere verrà dopo e dopo la parte sublime dell’arte [...]. Anche che io non facessi mai altro che ritratti Mussini dice che bisogna far studii più estesi perché altrimenti non si può essere del comune. Il babbo mi dice se mi corregge il contorno delle statue; mi corresse il primo, ma poco v’era gli altri mi dice ciò che vi trova e correggo io può esser pur certo che non fo [sic] all’incirca perché è di tale precisione che non avete idea non nelle minuzie ma vuole che sia ugualissimo all’originale nel sentimento della posizione e nella forma [...] Egli mira a rendere la mano abile ad eseguire tutto ciò che il pensiero vorrebbe creare e dice con ragione che senza un gran fondamento di disegnar molto non ci si può arrivare. Son persuasa che ho imparato molto di più collo studio che mi fece fare che se mi avesse fatto dipingere alcune teste30.
La partecipazione che emerge dalle parole della Piaggio è da intendere, probabilmente, non come emotività femminile, né come frutto della dominante cultura romantica, ma piuttosto come il risultato della paternalistica didattica mussiniana che, oltre a correggere e suggerire come e cosa eseguire o con quale tecnica, tende sempre, come già detto, a creare quell’atmosfera familiare che lui stesso credeva vi fosse stata nelle botteghe trecentesche, dove la realizzazione dell’opera era frutto di collaborazione e soprattutto di un comune scopo. Difatti, quando ai primi di ottobre Luigia chiude la permanenza a Siena per stabilirsi a Firenze, Mussini ha già stabilito per la giovane in che modo e con quali pittori continuare il percorso di studi che, intrapreso con il suo metodo, rischia di essere compromesso per eventuali scostamenti di sistema e di intendimenti artistici. In quel periodo Mussini sta sperimentando l’allontanamento di Cassioli dai suoi insegnamenti quando, durante la permanenza romana, prende a modello lo stile dell’ultimo Raffaello e del terribile Michelangelo, realizzando pennellate che somigliavano a «sciabolate» e adottando un colore dove le ombre pesanti erano «nere, nere»31. È per questo che, per evitare qualsiasi possibile interferenza con la sua didattica, Mussini affida l’apprendistato della genovese ad Angelo Visconti32 il quale, vincitore nel 1855 della borsa di studio dell’alunnato Biringucci che lo avrebbe portato a Roma per quattro anni, si trovava ancora a Firenze fino al maggio 1858, per eseguire il Battesimo di Gesù Cristo e il Buon Samaritano 33. All’inizio del 1857 la lentezza di Visconti nel portare a termine i lavori, dovuta all’insoddisfazione insita nel giovane, alimenta le chiacchiere, tanto che giunge voce a Mussini che l’allievo faccia «la vita dello scioperato senza curarsi punto dell’arte»34, nutrendo nella bibliografia l’idea di un contrasto tra maestro e allievo che, se davvero vi era stato, si era risolto nel maggio del 1857, quando appunto il Mussini lo sostiene come suo naturale alter ego capace di dare alla Piaggio, almeno per i primi tempi, ulteriori nozioni artistiche soprattutto ‘coloristiche’35. Il programma didattico della Piaggio, secondo la prassi di Mussini prevede anche lo studio dell’anatomia che la giovane pittrice risolve nello studiare sui trattati, scartata la prima idea alla quale sono poco inclini sia il padre Giuseppe, sia lo stesso maestro, di prender qualche lezione dal dottor Rossigni, mentre la prospettiva è affidata al genovese Garibbo, a Firenze dal 1833, e il cui metodo:
FMP, Piaggio alla madre, Siena 1857/09/26. Sulle devianze subite da Cassioli durante la permanenza romana cfr. AGNORELLI 2005, p. 144 e per ultimo PETRUCCI 2007, pp. 170-171. 32 FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1857/10/06. 33 PETRUCCI 1992, pp. 5-63. 34 EPISTOLARIO 1893, p. XXIX. 35 Del giudizio di Mussini sul Battesimo di Cristo di Visconti: SPALLETTI 1994, p. 331, nota 170. 30 31
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Patrizia Agnorelli _______________________________________________________________________________ È affatto differente da tutti gli altri; egli insegna la prospettiva come una scienza non praticamente come costume alle accademie una volta però intesa si applica come si vuole e il risultato verrà ad essere lo stesso, mi ha detto che pel mio ritorno la saprò abbastanza pel mio uso. Il male è che nessun libro ha il suo metodo e perciò non posso aiutarmi in nessun modo altro che colla mia memoria, perché lui ha i suoi manoscritti e se li porta via finita la lezione […] è ostacolo la mia poca capacità nell’aritmetica, ed a me invece fa comodo, perché così è costretto a non andare tanto nell’arduo perché se sapevo bene il calcolo cominciava dall’algebra e matematiche applicate alla prospettiva, ed a me non par vero d’averle scansate36.
Tutto è stabilito sotto la supervisione del maestro che, nel novembre del 1857, scrive a Giuseppe Piaggio per testimoniare l’avanzamento della figlia e per annunciare che sarà l’allievo Visconti a supplirlo a Firenze37. Qui la giovane lavora alacremente, ma ben presto i genitori, nonostante l’ottimismo riposto nelle capacità della figlia, mostrano di nutrire dubbi sul maestro. Non tanto sulla correttezza dell’uomo38, ma soprattutto sull’essere questi un pittore troppo purista. Ho certo che non è purista esagerato né mi farà perdere il tempo in roba inutile come farebbero i puristi non era nemmeno suo sentimento che facessi la copia di quel quadretto dell’Angelico, ma già scrisse perché lo farò. Il suo ideale è Raffaello e ti assicuro non è più purista di quello che può essere Gandolfi anzi le idee dell’uno molto somigliano all’altro ciò che sempre più mi fa stimare Gandolfi e mi conferma che sempre elli sia o possa divenire un bravo artista39.
La giustificazione dell’allieva è piuttosto interessante. Chiarisce come Mussini appaia troppo ‘purista’ a coloro che temono che tale scuola abbia a riferimento esclusivamente i ‘primitivi mistici’ e che, allo stesso tempo, il maestro subisca l’allontanamento e il biasimo dei puristi veri: «È verissimo poi che Mussini ha propensione per la scuola d’Ingres, ed è questa l’unica cosa che i puristi gli rimproverano»40. Le preoccupazioni di Giuseppe Piaggio sembrano attutite, sul momento, ma sicuramente qualche timore rimane se nell’aprile del 1859, pur con assoluto riguardo e deferenza, suggerisce a Mussini di consigliare alla figlia di studiare bene i piedi e le mani in quanto ai sedicenti puristi viene rimproverata una poca abilità nelle «estremità, e tutte le volte che possono, e anche al di là cercano di nascondere mani e piedi fra le pieghe»41. Addirittura Piaggio ardisce a nominare quei pittori che i puristi ritengono la linea estrema da seguire in arte. Raffaello e Leonardo ma soprattutto i ‘coloristi’ Van Dyck e Tiziano, dal quale Mussini diffidava Cassioli in quanto «il colore tizianesco non fa per noi […] L’amor sacro e profano è magico di colore, ma credo che Raffaello non lo avrebbe fatto suo in alcun modo»42. FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1857/10/27; al padre, [1857]/10/16 e 1858/02/11. FMP, Mussini a Giuseppe Piaggio, 1857/11/09, in www.memofonte.it. 38 «Egli è tanto educato e di maniere gentili che puoi star quieta a mio riguardo, io credo che un uomo ben educato sarà quel che si vuole ma non si prenderà mai nessuna libertà con persona specialmente che hanno pure educazione e contegno. Insomma sta quieta che io ho giudizio, e il maestro pure», FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1857/09/04. 39 FMP, Piaggio al padre, Firenze [1857]/11/05. Su Francesco Gandolfi (1824-1873), cfr. KAISER 1999, pp. 160164. 40 FMP, Piaggio alla madre, Firenze [1857]/11/16. Sul giudizio che Selvatico aveva espresso sull’Eudoro e Cimodoce, si veda AGNORELLI 2007, pp. 51-52 e le lettere tra Mussini e Duprè (BCI, 1857/03/15 e 1857/03/28, 1857/04/01 e 1857/04/08 in www.memofonte.it.). 41 FMP, Giuseppe Piaggio a Mussini, 1859/04/13, in www.memofonte.it. 42 MENGOZZI 1907, fasc. I, p. 106. Nel 1869 consiglia a Cesare Maccari durante la permanenza a Venezia di dimostrare al ritorno ciò che ha imparato «dai Carpaccio e dai Bellini», raccomandandogli il Mantegna, «un maestrone che insegna tanto», ma senza far alcun cenno alla pittura, evidentemente troppo ‘colorista’ di Tiziano. Lettera di Mussini a Maccari, 1869/04/11, in www.memofonte.it. 36 37
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La famiglia Piaggio conosceva sempre più la fama di Mussini attraverso le lettere della figlia la quale dimostrava una crescente «schiettezza della […] gratitudine», sentimento che Narciso Mengozzi attribuisce a Cassioli e a Visconti43, e che probabilmente alimentava lo stesso maestro sempre pronto a difendere e a sottolineare quanta importanza rivestisse nel rapporto con gli allievi, la stima e l’affetto44. La stessa Piaggio, infatti, intuisce come l’insegnamento del Visconti, proficuo per lei avendo appreso da lui il «modo di fissar i disegni a brace», era svolto dal giovane per compiacere il maestro: «egli viene quasi tutti i giorni ed ha vero impegno perché vuol fare buona figura con Mussini pel quale ha una specie di venerazione» non avendo addirittura pretese di denaro. In fondo Visconti non è un ‘maestro’, come la stessa ragazza percepisce cogliendone comunque le capacità nei ritratti «veramente ben dipinti; ciò mi fece piacere perché da tutto il suo insieme mi pareva un po’ scolaro, forse sarà che ora io ero avvezzata male perché io credo Mussini unico per insegnare ed il Visconti non può insegnarmi che il solo dipingere». Del resto Visconti non è che un supplente e temendo che a Genova si fraintenda il suo ruolo ribadisce al padre che «Se di me ne parli con qualche artista non dire che prendo lezione da Visconti, ma che il mio maestro è Mussini, perché realmente è così, e lo stesso Visconti conoscendosi principiante se ne rimette al maestro di Siena»45. Il giovane pittore continuerà a seguire l’apprendistato della Piaggio almeno fino alla metà di marzo del 1858, ma per quanto riguarda l’insegnamento, dato che è sul punto di tradurre le sue composizioni in cartoni, la giovane ha necessità di un insegnante diverso e chiede consiglio, e permesso, al Mussini di avere lezioni dal Varni, come fin dall’inizio era stato stabilito, senza per questo offendere in alcun modo Visconti46. Immediatamente il maestro risponde spiegando le peculiarità dell’allievo e quelle di Girolamo Varni47, scartando la possibilità di affidarla ad altri per non farle cambiare metodo didattico. Se Visconti ha superiori capacità ed è oramai capace, da solo, di dipingere un quadro, le difficoltà che incontra nel realizzare ‘velocemente’ una composizione e l’insoddisfazione che lui stesso lamenta nei risultati che ottiene48 gli sono di ostacolo. Varni, al contrario non ha grandi attitudini, non saprebbe fare un quadro, ma ha attinto, come Mussini dagli antichi e conosce le regole del comporre49. Non stupisce quindi che il maestro ritenga utile affidare la Piaggio al genovese che, benché scarso pittore, e proprio per tale motivo, può insegnare la parte buona e non creare nella giovane dannosi fraintendimenti50. La differenza tra Visconti e Varni è palese anche per Luigia: «artista di grande scienza, e profondo nei Ivi, fasc. II, p. 275. In realtà la preoccupazione di Mussini verso gli allievi, che non abbandona mai al proprio destino e che si concretizza come parte fondamentale della sua didattica, lo aveva portato, nel 1857, a dare una serie di giustificazioni, qualcuna piuttosto fantasiosa, della necessità di Visconti di ritardare la partenza per Roma per concludere il San Luigi Gonzaga, per la compagnia dei Disciplinati, non potendo il giovane ricominciare a Roma l’opera avendo già iniziato con i ‘modelli’ fiorentini (da notare che vi è solo la figura del San Luigi). Cfr. AGNORELLI-BONELLI 2005, p. 384. 44 «Sento dire che il Forni sparla di me e me ne duole perché egli certo non è cattivo, ed è soltanto facile a credere ciò che gli vien detto per malizia od ignoranza. Ma che egli parli così a scolari miei, è cosa che stento a perdonargli. La stima e l’affetto de’ miei scolari è mia proprietà ed ogni proprietà va rispettata». Lettera di Mussini a Milanesi, BCI, 1864/05/14, in www.memofonte.it. 45 FMP, Piaggio alla madre, Firenze [1857/11/9-16] e al padre, Firenze 1857/11/251857/11/25. 46 FMP, Piaggio a Mussini, 1858/02/16, in www.memofonte.it. 47 Il ‘Varni’ in questione, mai chiamato col nome di battesimo, è da riconoscersi non nel più noto Antonio (Genova, 1839/1840-1908), ma in Gerolamo, «allievo di Stürler e di Mussini si stabilì poi a Napoli», dove viveva quando lo ricorda l’Alizeri (ALIZERI 1864-1866, p. 456). Girolamo fu collaboratore del Pezzati nella decorazionerestauro del Salone del Consiglio del Palazzo Comunale di Prato del 1872 (BIETOLETTI 2000, p. 94, nota 102) e in tale attività lo ricorda Luigi Mussini, cfr. FMP, Mussini a Stürler 1872/03/08, in www.memofonte.it. 48 MENGOZZI 1907, fasc. II, pp. 303 e sgg. 49 FMP, Mussini a Piaggio, 1858/02/18, www.memofonte.it. 50 Sulla preferenza al Varni occorre, anche, sottolineare che Mussini sapeva che gli impegni di Visconti imponevano al giovane di partire al più presto per Roma. FMP, Piaggio a Mussini, 1858/02/16, in www.memofonte.it. 43
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precetti d’arte che poi lui non sappia ben dipingere poco m’importa perché su questa parte non c’entra, ed il Visconti invece dipinge molto bene»51. Pur prendendo lezioni da Varni, il giovane senese continua ad andare dalla Piaggio per eseguirne il ritratto, ma la già ricordata insoddisfazione di Visconti, che lo portava a meditare molto su un’opera, sembra presentarsi anche in quest’occasione quando Luigia lamenta, anche se scherzosamente, quanto sia stato faticoso e limitante ai suoi studi, far da modella, ma comunque utile avendo soddisfatto la curiosità, per Mussini inutile, di vedere un pittore dipingere.
Fig. 1. Angelo Visconti (?), Ritratto di Luigia Piaggio, Prato, Palazzo Comunale
Del ritratto che Visconti esegue non abbiamo dalla giovane altre indicazioni tranne asserire che il pittore «volle fare una testa molto studiata [...] non potei ottenere facesse soltanto un ricordo»52, ma è noto il parere di Mussini che giudicò l’allievo «caduto in un certo colorito e modo di dipingere un po’ butirroso, e con ombre rosse»53. Non è nota l’attuale collocazione dell’opera, ma nel Palazzo Comunale di Prato esiste un ritratto della Piaggio, citato come Autoritratto del 1858, entrato a far parte della collezione nel 1926, per legato testamentario di Luisina Mussini Franchi54. (Fig. 1) Sembra piuttosto strano che la Piaggio nelle numerose lettere del 1858, tanto puntuali e didascaliche sulle realizzazioni che conduce, non menzioni l’esecuzione di un autoritratto. Nel caso che il quadro di Prato sia opera della genovese è forse più probabile spostare la realizzazione almeno al 1860, quando Mussini le chiede un autoritratto, come ha fatto con FMP, Piaggio al padre, Firenze 1858/03/16. FMP, Piaggio a Mussini, 1858/04/05 e 1858/07/07, in www.memofonte.it. 53 MENGOZZI 1907, fasc. II, p. 284; DEL BRAVO 1967, p. 11. 54 L.F.M. 1914, pp. 206-214; in BIETOLETTI 2000, fig. 84, p. 83, nota 72 a pag. 94; AGRESTI 2000, p. 103, pp. 106107, note 63-64. Sulla vecchia attribuzione ad Alessandro Franchi cfr. AGRESTI 1988, p. 143 nota 8 e OPERA DI ALESSANDRO FRANCHI 1964. Copia del testamento in ANDS, Rogito Notaio Gino Nasimbeni, 19 giugno 1925, fasc. 3764, rep. 6539. Mussini e la Piaggio si sposarono nel 1863, ma, per complicazioni subentrate al secondo parto, Luigia morì nel 1865. Dal matrimonio nacquero Giulietta (1864-1911) scrittrice con lo pseudonimo Sena Julia, e Luisina (1865-1925), scultrice che nel 1893 si sposò con Alessandro Franchi. Un altro ritratto della Piaggio eseguito da Mussini intorno al 1863 è in collezione privata cfr. AGNORELLI 2007, p. 49, fig. 2. 51 52
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Cassioli e Visconti, per creare una sorta di galleria degli alunni dell’accademia: «La grandezza di questi ritratti è al vero. Ma la sola testa e poco più, senza le mani, per cui in una tela che può essere alta 45 o 50 centimetri, più volendo»55. La risposta dell’allieva è immediata e chiaramente entusiasta nonostante l’indugio per paura di ‘scomparire’ di fronte agli altri allievi. Ammette, per mancanza di modelli, di aver iniziato e non ancora terminato un autoritratto, ma che ritiene «benché venga molto somigliante» realizzato su una tela troppo stretta56. Nonostante Mussini non abbia esigenze di dimensioni, la giovane dopo che ha terminato il primo autoritratto nel giugno 1860, preferisce iniziarne un altro, dubbiosa se «rifarlo nella stessa posa o mutarla? Questo è molto voltato verso il profilo»57. L’opera pratese non è sicuramente il primo autoritratto della Piaggio. Le misure (cm 43x31) non sono poi tanto ristrette, ma soprattutto la posizione del volto è semmai «molto voltato frontalmente». Un’altra lettera, del giugno 1861, cita il secondo autoritratto che Luigia ha modo di vedere nella galleria dell’istituto senese accanto a quello del Cassioli58. Non sono noti i giudizi che Mussini espresse sugli autoritratti della Piaggio, ma sicuramente la disapprovazione verso la «smorfietta di collo torto» che il maestro aveva espresso in una lettera alla giovane del novembre del 1858 non è da riferirsi all’effige dell’alunna, né tanto meno, al quadro di Prato59. Il carteggio continuo e preciso tra Mussini e la Piaggio permette di seguire lo svolgersi da una missiva all’altra delle questioni, che talvolta vengono solo richiamate con accenni perché precedentemente dibattute. Necessaria a capire di chi sia la «smorfietta di collo torto» è infatti una lettera del settembre 1858, quando la Piaggio, già tornata a Genova, scrive di aver cominciato il ritratto di una signora russa, molto bella, che i mentori genovesi Dufour e Spinola suggeriscono di presentare all’esposizione di ottobre insieme ad altre due teste realizzate60. Il maestro si informa subito delle opere, tentando di avvertire sulle difficoltà del pubblico a comprendere la pittura ‘purista’, e la facilità con cui la critica tende a lasciarsi affascinare dagli artifici dei ‘coloristi’. Nonostante il monito di Mussini, la giovane, per l’insistenza dei genovesi espone il ritratto della signora russa, ma invia a Mussini una fotografia per avere da lui le correzioni che avrebbe dovuto usare61. Il riscontro di Mussini è nella lettera pubblicata nell’Epistolario, nella quale il maestro sottolinea nell’espressione della donna un eccesso di civetteria «Nel suo ritratto veggo una smorfietta di collo torto o di donna che si guarda allo specchio con compiacenza minaudière, o (mi scusi!) di una servetta graziosa, curiosa, che con malizia sta ascoltando ciò che dicono i suoi padroni»62. La missiva continua e nella parte omessa nella pubblicazione del 1893 si deduce quanto precise e puntuali siano le critiche del maestro che non risparmia di emendare ogni aspetto dell’opera: «Quel movimento di capo in basso diminuisce la lunghezza del collo, alzando le spalle, ciò che contribuisce a togliere nobiltà e contegno e perciò bellezza». Sulla composizione rincara «quelle due spalle vedute di faccia e per dir così geometriche, ci danno due linee simili, poco grate [...] con quella camicetta o vestito chiaro formano una gran massa simmetrica da FMP, Mussini a Piaggio, 1860/03/14, in www.memofonte.it. Il progetto di Mussini sembra imitare, pur con gli evidenti limiti, la galleria degli autoritratti degli Uffizi, per la quale si era fatto promotore presso Ingres per avere nelle collezioni l’autografo del pittore amato. 56 FMP, Piaggio a Mussini, 1860/03/19 e Mussini a Piaggio, 1860/04/08 e 1860/08/10 in www.memofonte.it. 57 FMP, Piaggio a Mussini, 1860/06/10, in www.memofonte.it. 58 FMP, Piaggio alla madre, 1861/06/27. Proveniente dall’Istituto d’Arte e in deposito alla Soprintendenza di Siena vi è un presunto autoritratto del Cassioli, ma nessuno della Piaggio. 59 «[...] in una lettera alla Piaggio del 12 novembre 1858, Mussini si diceva soddisfatto del quadro di cui aveva veduto la fotografia, quantunque non approvasse la ‘smorfietta di collo torto’» in BIETOLETTI 2000, p. 83, nota 72 a p. 94. La lettera (EPISTOLARIO 1893, pp. 112-115) è pubblicata parzialmente e con data errata (12 per 17), cfr. FMP, Mussini a Piaggio, 1858/11/17, in www.memofonte.it. 60 FMP, Piaggio a Mussini, 1858/09/01 e Mussini a Piaggio, 1858/09/07, in www.memofonte.it. 61 FMP, Piaggio a Mussini, 1858/11/11, in www.memofonte.it. 62 EPISTOLARIO 1893, pp. 112-115. 55
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ogni lato e di forma poco elegante e bella» e poi del fondo scrive che «quel paese con quegli alberelli appunto perché rammenta i fondi degli antichi, sta poco in armonia collo stile della figura, che è quella di vignetta inglese»63. È evidente che Mussini non ha apprezzato praticamente niente dell’opera, ma soprattutto che la foto che vede il maestro non ritrae l’opera pratese. Le spalle non sono «di faccia», la camicia non è chiara e soprattutto nel fondo non vi è «scappata di paese». L’allieva accoglie le critiche per il ritratto della signora russa, attualmente non identificabile, asserendo che ne terrà conto per successive opere64. Il ritratto di Prato rimane comunque una questione non risolta, sicuramente la Piaggio non lo eseguì nel 1858, ma in realtà il dubbio maggiore riguarda non tanto la datazione, ma l’autore stesso65. L’attività nota della Piaggio non sembra paragonabile qualitativamente a quella dell’opera in questione. Tra le prime opere certe della pittrice è il ritratto di Marj Edlemann Peloso in costume di Saffo, oggi di proprietà del Museo del Risorgimento a Genova, firmata Alojsia Piaggio - Pinx 185566. La posa romantica, ma stereotipata, il viso scarno della Edlemann, non sembrano troppo conciliabili con la dolcezza del volto, tutt’altro che rigido, dell’opera pratese. L’ipotesi, pur cauta67, induce comunque a pensare che la tela di Prato non sia un autoritratto, ma quella «testa molto studiata» eseguita da Angelo Visconti, nel 1858, nella quale Mussini aveva trovato un «modo di dipingere un po’ butirroso». Il termine è da interpretare. Mussini probabilmente indicava che l’esecuzione del suo allievo non ricordava la purezza delle forme, anche disegnative, del purismo, ma che indulgeva, o rischiava di indulgere, verso una più soffusa morbidezza dei contorni e che le ombre rossastre avvicinavano ancor più alle esperienze contemporanee del Caffè Michelangelo. Nonostante la mancanza di evidenti ‘ombre rosse’ il Ritratto di Luigia Piaggio è decisamente meno definito nei contorni rispetto alle opere di Mussini, mentre la delicatezza dell’incarnato sembra trovare dei parallelismi nella bellezza che è del volto del S. Luigi Gonzaga di Visconti eseguito nel 1858, più che nella freddezza della Edlemann o nella rigidità delle figure della Pietà (pur nota da una foto) che la pittrice esegue nel 1863, quando artisticamente più matura avrebbe dovuto possedere almeno la stessa qualità del presunto autoritratto68. Prima di andare a Firenze la Piaggio aveva realizzato altri ritratti come quello del bambino Gustavo Dufour, figlio di Maurizio69 e dell’altra figlia del pittore che non riesce, giustamente, a stare ferma in posa inquietando la Piaggio tanto da farle esclamare: «Mai più dipingerò bimbi». Interessante come Mussini condivida l’avversione dell’allieva nel ritrarre i bambini e dia una motivazione purista a tale contrarietà: «Capisco che Ella abbia detto: non più ritratti di bambini! Io è un pezzo che ho detto lo stesso, giacché proprio non li so fare. Credo che il fare de’ coloristi vi si adatti meglio, dovendoli cogliere di volo. Infatti quelli di
FMP, Mussini a Piaggio, 1858/11/17, in www.memofonte.it; pubblicata senza alcune frasi, con data 12 novembre, in EPISTOLARIO 1893, pp. 112-115. 64 FMP, Piaggio a Mussini, 1858/12/29, in www.memofonte.it. 65 Nelle collezioni comunali pratesi è inoltre attribuito a Luigia Piaggio un disegno su carta da spolvero rappresentante una variante della Madonna del Colera che Luigi Mussini doveva eseguire per il Granduca, ma di cui rimane il solo cartone (collezione Monte dei Paschi di Siena), cfr. FMP, Mussini a Piaggio, 1858/12/17 e 1859/03/05, in www.memofonte.it. L’attribuzione alla Piaggio della Madonna del Colera potrebbe essere supportata dalla seguente lettera: «da due giorni ho cominciato la copia di una madonnina pura, e ciò mi diverte assai», in FMP, Piaggio alla madre, Siena, 1859/05/22. 66 LABORATORIO REGIONALE DI RESTAURO 2005, pp. 173-174. 67 Alcuni fattori contrastano con tale ipotesi come l’irreperibilità dell’autoritratto che la Piaggio vede nel 1861 nell’Istituto di Belle Arti di Siena. 68 L.F.M. 1914, pp. 212, 219 69 Eseguito probabilmente nei primi mesi del 1858, è attualmente sconosciuta l’ubicazione, ma noto da una foto: cfr. catalogo MOSTRA 1926. 63
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Vandik [sic] sono meraviglie»70. È evidente come l’irrequietezza infantile per Mussini sia un limite che non permette al pittore ‘purista’ di acquisire i caratteri propri della dignità morale che in un modello deve sempre trasparire. E tale giustificazione diventa un precetto didattico in quanto nelle opere deve apparire la ‘normalità’ perché «l’arte sta nell’escludere le combinazioni eccezionali e puramente casuali»71, ricercare la caratteristica intrinseca al soggetto che fa da modello e tralasciare l’accidentale, come una capigliatura scomposta per un caso fortuito, «vedere nobilmente il vero […] sceverarlo da ogni inutile accidentalità»72. Mussini non dichiara apertamente il pericolo che correva la giovane allieva in quel momento73, ma probabilmente la lista di coloro che non vanno a genio al maestro la giovane la conosce. Nelle lettere della Piaggio non appaiono nomi di pittori che operano a Firenze, non il Pollastrini (se non quando citato per esser stato ‘battuto’ dal Mussini in occasione della candidatura ad Accademico di S. Luca) e appena una volta Altamura, che incontra nello studio di una signora che deve andar a studiare a Siena dal Mussini ma che ha «Altamura suo maestro attuale (che però è indietro alla scolara)»74. D’altronde nessun artista per la Piaggio è paragonabile a Mussini: «Egli è vero Maestro nato proprio per insegnare» come «le sue lettere che sono vere lezioni»75. E infatti, nonostante a Genova abbia per compagnia artistica Dufour, è a Mussini che continua a ricorrere per avere consigli su alcuni ritratti che deve eseguire76 preparando soprattutto un nuovo soggiorno senese per realizzare un cartone con il diretto consiglio del pittore. Tra l’aprile e il giugno 1859, Luigia è a Siena e tra le composizioni iniziate vengono scelti i soggetti col Presepio e col Gesù che piange sopra Gerusalemme77 e realizzati i due cartoni da eseguire a Genova78. Del secondo è nota l’ubicazione del solo cartone (Prato, Palazzo Pretorio), mentre il Presepio (olio su tela cm 109x81) è oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Genova, acquistato nel 1899 dal proprietario Mario Granello su consiglio di Tammar Luxoro79. (Fig. 2) I dipinti terminati nei primi sei mesi del 1860 non sono scevri dagli insegnamenti mussiniani. Nel giugno 1860 infatti la Piaggio scrive al maestro due lettere80, a distanza di quindici giorni non avendo da lui ricevuto immediata risposta. Nella prima aveva semplicemente messo al corrente sugli studi fatti in campagna per poter meglio ambientare e realizzare il terreno che è ai piedi del Cristo, chiedendo consiglio per l’eventuale esposizione dei dipinti; nella seconda, dato che dei consigli di Dufour non si fida totalmente, domanda se se è il caso o meno per ovviare all’impossibilità o incapacità, a Genova, di fare una cornice terminante a semicerchio, di inserire negli angoli superiori una tinta dorata ed eseguirvi «qualchecosa» ombreggiando con una tinta trasparente sull’oro. Nel caso del Presepio, propone di disegnare da una parte l’angelo e dall’altro la Madonna e nel caso Mussini acconsenta all’idea, lei realizzerà le figure in carta sottile e gliele manderà per l’ennesimo giudizio, e propria sicurezza, chiedendo inoltre di poter seguire il suggerimento di Dufour di dorare il cerchio delle aureole e il profilo del manto della Madonna. Le lettere col maestro si incrociano per cui Mussini risponde, a distanza di due giorni alle accorate missive FMP, Piaggio a Mussini, 1858/11/11 e Mussini a Piaggio, 1858/11/17, in www.memofonte.it. FMP, Mussini a Piaggio, 1858/02/28, in www.memofonte.it. 72 MUSSINI 1852, p. 25. 73 SPALLETTI 1985. 74 FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1858/05/01. 75 FMP, Piaggio alla madre, Firenze [1858]/02/05. 76 FMP, Piaggio a Mussini, 1858/11/11, in www.memofonte.it. 77 FMP, Piaggio alla madre, Siena 1859/04/28; alla sorella Teresa, Siena 1859/04/post 15; ai genitori, Siena, [1859]/06/02. 78 FMP, Piaggio al padre, Siena 1859/06/08; alla madre, 1859/07/06 e 1859/07/12. 79 Sul Presepio (o Adorazione del Gesù Bambino) esposto a Genova nel 1860 e 1938 (MOSTRA 1938), e a Firenze nel 1861, cfr. GIUBILEI 2004, vol. II, p. 639. Per il cartone: L.F.M. 1914. 80 FMP, Piaggio a Mussini, 1860/06/10 e 1860/06/24, in www.memofonte.it. 70 71
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della ragazza81. Se nella prima lettera il maestro risuona contro la critica, approfittando per dare l’ennesima stoccata a quella italiana, mettendo in guardia la giovane dall’amarezza alla quale può andare incontro nell’esposizione dei suoi quadri, nella successiva comunicazione approva le idee di Luigia di «mettere a oro i filetti delle aureole, come approvo pure il consiglio di Dufour di dorare il filettino del lembo del manto della Madonna», mettendo in guardia da eventuali spiacevoli discordanze cromatiche tra il colore dell’oro della cornice e quella degli angeli da inserirvi e risolvere eventualmente con «quelle cantonate di colore grigio con scorniciature a chiaro scuro e formellati. Così li ha fatti talora Raffaello e varii pittori quattrocentisti».
Fig. 2 Luigia Piaggio, Presepio, Genova, Galleria d’Arte Moderna.
Nel dipinto del Presepio troviamo il filo d’oro ad indicare le aureole, così come il manto della Vergine è filettato allo stesso modo e nel fondo un paesaggio che si apre dal lato della grotta con l’immancabile ‘alberello scarno’ di sapore raffaellesco. L’impegno più importante al quale la Piaggio attendeva in questo periodo era però la realizzazione dei Quattro Beati domenicani realizzati accanto all’Eterno Padre del Dufour, nella chiesa di Santa Maria di Castello. A Dufour, il quale da alcuni anni aveva lo studio presso la chiesa, era stata commissionata «un’operazione soprattutto grafica» mirata a scoprire e raccordare le parti medievali con quelle nuove «Dufour decorò la volta con Dio Padre in gloria e altri fregi, mentre Luigia Piaggio dipinse quattro medaglioni con busti di santi», il tutto scialbato dopo la guerra82. La contemporanea lettura delle lettere tra allieva e maestro e di alcune vecchie foto, ci testimoniano quanto la decorazione della Piaggio sia ancora una volta debitrice dei consigli di Mussini.
FMP, Mussini a Piaggio, 1860/06/23 e 1860/06/25, in www.memofonte.it. DI FABIO 1990, pp. 317-324. Sull’intervento di Dufour e della Piaggio: ALIZERI 1875, p. 72; DI FABIO 1984, pp. 249-268. Sull’ultimo restauro al complesso cfr. MASI 2004, pp. 21-28 e l’intero capitolo SANTA MARIA DI CASTELLO 2004. 81 82
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I quattro beati domenicani erano: Santa Caterina, Santa Agnese da Montepulciano, San Tommaso e San Domenico. La giovane dopo aver realizzato alcuni schizzi, si trova a dover riportare le composizioni sui cartoni a grandezza naturale, ma l’adozione delle misure del tondo, la induce a provare insoddisfazione specie per la Santa Caterina e per il «braccio avanti che non viene in avanti come dovrebbe» e perciò non esprime quel che la pittrice vorrebbe. Dato che l’impresa nella quale è impegnata è decisamente importante e che Dufour pur avendo visto i cartoni «non vede» i difetti che «vede» lei, la Piaggio invia a Mussini delle foto per avere consiglio, pronta a cambiare e rifare quei disegni finché non solo lei, ma lo stesso maestro non sia pienamente soddisfatto. Come le ha insegnato il maestro, la Piaggio vuol evidenziare nelle sembianze delle sante il carattere morale e in particolare per Caterina «l’esaltazione della mente» per Agnese «l’innocenza e la semplicità». (Figg. 3-4)
Fig. 3 Luigia Piaggio, Santa Caterina, dalla Chiesa di Maria di Castello (foto d’Archivio della Soprintendenza Beni Architettonici) Fig. 4 Luigia Piaggio, Santa Agnese da Montepulciano, dalla Chiesa di Maria di Castello (foto d’Archivio della Soprintendenza Beni Architettonici)
La risposta arriva come al solito puntuale, come preciso e perentorio giunge il monito e di conseguenza il rischio dal quale il maestro mette in guardia: cadere nell’affettazione del ‘secentismo’ e realizzare figure che si compiacciono di esser osservate. Passa poi alle correzioni. La Santa Caterina necessita «nel movimento de’ bracci e delle mani [...] di maggior parallelismo [...], l’avambraccio destro conviene che sporga verso lo spettatore mentre il sinistro dovrebbe allontanarsene di più: ciò mediante due scorci opposti». La Santa Agnese deve diventare meno «atteggiata», dato che «forse quelle mani incrociate sul petto è azione che sente un po’ di convenzionale, di teatrale. Vorrei qualcosa di più vero e di più severo nello stile e nel sentimento»83. Le indicazioni di Mussini sembrano commenti e giudizi sulle opere finite. Nella Santa Caterina le mani sono aperte e parallele. L’avambraccio destro si avvicina allo spettatore, mentre quello sinistro, data la posizione leggermente ruotata rispetto all’altra santa, rimane in secondo piano. Anche il volto, ben caratterizzato, risulta decisamente migliore di quello della santa Agnese, le cui mani non sono incrociate sul petto, come nella prima idea della Piaggio, ma unite a pregare. 83
FMP, Piaggio a Mussini, 1860/11/01 e Mussini a Piaggio, 1860/11/04, in www.memofonte.it.
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I consigli e gli incoraggiamenti sono il segreto della didattica di Mussini, ed evidentemente fanno presa sull’allieva che ha compreso come sia necessario entrare nel carattere fisico e morale dei santi da raffigurare, facendo uso dell’iconografia consueta, ad esempio, del San Tommaso d’Aquino, per il quale ha chiesto a Firenze un ritratto inciso. Intanto invia comunque dei disegni per indicare quale sia la composizione e la posizione del volto in rapporto al San Domenico dato che, come spiega, le due effigi sono poste una di fronte all’altra e non su parete continua, cosa che avrebbe infastidito per la simile posizione che tengono. Per aiutare la Piaggio il maestro invia dei lucidi tratti dagli affreschi di Beato Angelico nel convento di San Marco a Firenze, dilungandosi a sottolineare «la verità e la dignità» del pittore quattrocentesco rispetto al «seicentismo» nel quale è caduta la giovane, forse, a causa della fretta84. Niente di nuovo. In realtà i pericoli che gli allievi di Mussini devono evitare sono sempre la contemporaneità tesa al realismo e il ‘barocco’ teso a raffigurare non la purezza e la regola, ma l’accidentalità di un movimento che suppone un eccesso che normalmente una figura non ha. Il richiamo alla lezione degli antichi, ovvero l’insegnamento che l’artista non deve mai dimenticare, sembra efficace e ne fa ammenda la Piaggio, inviando nuovi disegni da far scegliere al maestro, concependo sempre più quanta fosse la distanza tra Mussini e Dufour, al quale nasconde di chiedere consigli a Siena. Mussini approva i cambiamenti e sente che l’allieva è tornata sulla «retta via»85, la stessa che raccomandava in quegli anni a Cassioli e Visconti, ovvero seguire i maestri antichi che sempre dovevano ricondurre al «vero», o meglio alla ‘Verità’86. Sui dipinti eseguiti nel 1860 in Santa Maria di Castello un’ultima lettera, tra quelle note, accenna ai risultati della decorazione che non furono positivamente unanimi specie per il Padre Eterno di Dufour che «si manca affatto di colore [...] perciò tutti ne dicono di tutte e vi fu già chi disse che bisognava far imbiancare quel muro». Negli anni successivi sembra che Dufour, e la Piaggio, siano in procinto di lavorare ancora per la chiesa, ma una serie di motivazioni, alcune ufficiali altre decisamente più reali, ritardano ulteriori esecuzioni. La committenza langue ‘si dice’ a causa dell’umidità del luogo, ma la Piaggio ritiene che le precedenti esecuzioni sotto la direzione del genovese non siano piaciute, tanto che anche Vincenzo Marchese è addolorato per la perduta fiducia nei confronti del pittore87. Mussini si dispiace per il collega e soprattutto per la mancata possibilità della Piaggio di cimentarsi in una nuova opera, ma uno scambio di frasi, ancora sulla commissione che poi non avrà luogo, apre la questione di come l’autorità artistica del Dufour fosse ormai poco riconosciuta e di come dietro a scuse ufficiali vi fossero macchinazioni reali, o presunte, ordite da pittori contrari al purismo88. Intanto nell’aprile del 1861 Luigia Piaggio lascia nuovamente Genova per tornare in Toscana. Grazie alla collaborazione con Dufour aveva avuto modo di intrecciare maggiormente quelle relazioni con l’ambiente purista che avevano luogo nello studio in Santa Maria di Castello «in quegli anni foyer della cultura cattolica genovese»89 e a Firenze, ritrova, in casa Perfetti, quel circolo di genovesi puristi, Varni, Chiassone, Livy, Bonaini, e talvolta FMP, Piaggio a Mussini, 1860/11/21 e Mussini a Piaggio, 1860/11/23, in www.memofonte.it. FMP, Piaggio a Mussini, 1860/11/26 e Mussini a Piaggio, 1860/11/29, in www.memofonte.it. 86 Il Trionfo della Verità, celebrato da Mussini nel 1841 nell’opera per il Marchese Ala Ponzoni, oggi a Brera, fu in qualche modo l’eredità spirituale che il maestro volle lasciare all’Istituto di Belle Arti senese, legando nel testamento il cartone per «ricordare come il Vero prima o poi sovrasti all’errore, all’ignoranza, non che alla menzogna ed all’ingiustizia», IN MEMORIA 1888. 87 FMP, Piaggio a Mussini, 1860/12/20 e 1861/12/12 in www.memofonte.it. Queste lettere, e alcune seguenti, relative a Santa Maria di Castello, risultano poco conciliabili con la bibliografia su tale intervento, nella quale si sottolinea che i contemporanei furono tutti concordi a considerare positivi i lavori del Dufour. Cfr. ivi, nota 82. 88 FMP, Mussini a Piaggio, 1861/12/17; 1862/02/08 e Piaggio a Mussini, 1862/01/31; 1862/03/05 e 1862/05/31 in www.memofonte.it. 89 DI FABIO 1990, p. 319. 84 85
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presenze straniere, come lo scultore Henri de Triqueti90, che le regalerà una copia del volume di François Rio, pietra miliare per la cultura purista-preraffellita91. I rapporti con i numerosi pittori genovesi non esauriscono la necessità che la Piaggio ha del maestro. E, nel giugno, Luigia scrive a casa che Mussini le ha suggerito di partecipare all’Esposizione Italiana che si aprirà a Firenze nell’estate, presentando i due quadri già fatti e il cartone che sta eseguendo: «Egli esporrà diversi quadri ed i suoi allievi esporranno pure, Visconti verrà apposta da Roma. Così si avrà un’idea della sua scuola e trovo che ciò potrà fargli onore»92. I due dipinti sono Gesù che piange sopra Gerusalemme e il Presepio, denominato nel catalogo dell’esposizione San Giuseppe che adora il bambino portato dalla Madonna93, mentre la terza opera eseguita tra maggio e luglio del 1861 è il cartone del Cristo al sepolcro: «Per ora non ho fatto altri lavori vedrai che il cartone è molto grande ed intenderai che non potevo far altro. 10 figure poco meno del vero costano fatica e seri pensieri e davvero ho studiato con tutta l’anima»94. Gli sforzi sembrano premiati dalla compiacenza del maestro, nonostante la giovane sia evidentemente preoccupata del fatto che in tale esposizione il giudizio delle sue opere possa esser più critico in quanto donna95, tanto che i genitori, com’è intuibile dalla risposta della giovane, temono che la realizzazione di un nudo, nuoccia alla ‘moralità’ della figlia96: Io non avrei mai immaginato che aveste difficoltà per il Cristo nudo. Se dissi che mi dava pensiero era per farlo bene ma non per altro, il lenzuolo è fatto in questo modo
e dipinto starà molto bene. […]. Figurati che ho fatto e faccio studii di piedi e teste grandi come sul quadro e questi portano via tempo. Per le mani del Cristo ha posato il signor Cassioli che le ha bellissime97.
Fu proprio il cartone del Cristo al sepolcro che ebbe i maggiori meriti all’esposizione, come l’orgoglioso Mussini riferisce, felice di poter annunciare alla giovane il conferimento della medaglia «a grande maggioranza di voti»98. La stessa Piaggio racconta ai genitori come fu accolta la sua opera dal Giurì: Oggi […] fu una di quelle giornate che non si dimenticano mai più. Oggi come già vi avevo scritto aspettavo il Giurì. Il Perfetti doveva farne parte [...] i professori erano 10, potete credere se il mio cuore palpitava, Elena [Perfetti] era in agguato dal buco della chiave e mi disse ‘piace, chiedono di veder la pittrice’ [...] Perfetti venne a cercarmi e mi condusse nello studio. Tutti quei 20 occhi erano sopra di me tutti mi volsero parole d’elogio, io ero pallida come un morto perché FMP, Piaggio al padre, Firenze 1861/05/16. Su Triqueti cfr. MAESTÀ DI ROMA 2003, p. 477. L’esemplare, con la dedica: «offert a M.lle Louisa Piaggio. Par H. de Triqueti Stat.re», è oggi in BCI, XCVII.E.23. Sulla biblioteca della famiglia Mussini-Franchi, cfr. AGNORELLI 2001-2002. 92 FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1861/06/06. 93 YORICK 1861, p. 187; CATALOGO UFFICIALE 1862, nn. 8002, 8003, 8810. 94 FMP, Piaggio alla sorella Teresa, [1861]/07/03. 95 «C’è poi il Cristo che non è involto nel lenzuolo e quel nudo mi fa studiare come puoi ben credere perché in un quadro fatto da donna verranno cercati i difetti specialmente nel nudo. Tu sai che il coraggio non mi manca ed ora faccio uso di tutto quello che possiedo» FMP, Piaggio alla madre, Firenze 1861/07/17. 96 Sulla difficile condizione delle donne artiste che abbandonavano qualunque speranza di una ‘normale’ vita familiare cfr. MANNINI 2000. 97 FMP, Piaggio alla madre, Firenze [1861]/07/[post 17]. 98 FMP, Mussini a Piaggio, [1861]/09/26, in www.memofonte.it. 90 91
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Patrizia Agnorelli _______________________________________________________________________________ malgrado il mio coraggio non potevo esser indifferente a tal momento. Seppi poi che tornato il Giuri all’accademia dopo il giro di diversi studi passarono a voti tutti gli oggetti esaminati, il mio fu l’unico che passò a pieni voti e a pieni plausi!99.
Ancora maggiore la soddisfazione quando la Piaggio conosce più in dettaglio l’approvazione dei consensi verso il collega Cassioli: «per il mio cartone e per il ritratto fatto da Cassioli furono voti veramente spontanei. Sentirete poi cose che non v’aspettate intorno agli altri premiati, ma oggi non voglio dir nulla perché spero vi rimedieranno se no a Genova si scatenerebbero tutti i diavoli [… ] quanto ai quadri ti dirò che i pareri sono al solito diversi chi porta alle stelle i napoletani chi non li può vedere. I quadri di Frascheri non piacciono troppo, poco anche quello di Gandolfi benché sia stato molto ben messo tanto da prima che da ultimo, però l’effetto della notte è da molti lodato di come ha di gran critiche e giuste. Non è vero che fosse in una piccola stanza era nella prima e tutti dovevano passarli davanti se volevano entrare dunque lo vedevano invece senza cercarlo. Quando poi vennero terminate le grandi sale lo misero tra quadri ov’è attualmente. V’è un bellissimo quadro di Appiani, una figura sola la povera Maria di Sterme, è un quadretto che sorprende. Bellissimo un quadro a effetto di notte rappresentante Cesare che sente la moglie che parla dormendo. Bella la Lucrezia Borgia del Puccinelli. Quell’Ussi è il più interessante ed è bello davvero, ebbe la medaglia l’ebbe pure il signor Perfetti di lui poi non c’era da dubitare […] Non mi fa specie che i giudizi del dottor Carenzi non vadano d’accordo co’ tuoi è cosa naturale ch’egli la pensi in quella maniera abitando Torino, hanno una benda sugl’occhi e credono di vedere e non vedono nulla»100.
Dopo il successo all’esposizione, l’ambiente artistico genovese le riconobbe i meriti per il Cristo al Sepolcro101 e a novembre è di nuovo nella città ligure, impegnata in una nuova impresa per la chiesa parrocchiale di Recco dedicata ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Bono. La commissione era dovuta alle Ansaldo, cognate della sorella, e se ne ha notizia già nell’agosto del 1861: Mi affretto a risponder per diverse ragioni e per prima quella che voglio consolare la Rosina accettando di fare quel quadro che gentilmente mi propongono. Accettando dunque gradirei saper la misura precisa [...]. Vorrei poter fare subito la composizione tanto da farla vedere al Maestro e poi l’eseguirò a Genova da me una volta approvata […] Tornando al quadro di Recco di’ alle tue cognate che gradirei esser libera di rappresentare il punto che più mi piacerà ben inteso prendendo un fatto della sua vita, anzi de più noti, ma per far qualcosa di buono bisogna il pittore si fermi sul punto che più l’inspira102. FMP, Piaggio ai genitori, Firenze 1861/08/25. FMP, Piaggio ai genitori, Firenze [1861/10/ post 1]. 101 Antonio Merli, segretario dell’Accademia Ligustica, commentò che «Sarebbe arduo compito il descrivere parte a parte i sublimi affetti, le nobili pose, la disposizione conveniente della figura disegnata con mirabile purezza di linee; si può dire in una parola che non si saprebbe immaginare come l’arte possa meglio esprimere sì nobili concetti», CARPELLINI 1938, pp. 83-87. Vincenzo Marchese, le scrisse il 19 ottobre 1861: «L’Egregio signor Filippo Livy Le avrà recate le mie sincere congratulazioni pel suo bellissimo disegno sulla Deposizione della Croce della quale ho veduta una buona fotografia, che infinitamente mi piacque. Ora le ripeto accresciute di mille tanti queste stesse congratulazioni per la giustizia che Le resero i più valenti nostri artefici, aggiudicandole il premio riservato alle più rare opere d’arte della Esposizione Italiana. Questo solenne giudicato, fatto direi al cospetto della nazione come non ha riscontro nel passato, così è tale che torna onorevolissimo a Lei, perché scevro da ogni sospetto di broglio e di intrigo; e deve perciò accrescerle animo nel percorrer il difficile cammino, nel quale ha già date così splendide prove d’ingegno e di costanza. Io ne sono rimasto tanto consolato, che non ho potuto trattenermi dall’inviarle questo tenue attestato di ammirazione, riserbandomi a rinnovarle a voce le assicurazioni di stima e di rispetto con le quali sono lieto ripetermi. Suo Devotissimo Servitore», in FMP, Vincenzo Marchese a Piaggio, 1861/10/19. 102 FMP, Piaggio alla sorella Teresa, 1861/08/20. 99
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È evidente che la Piaggio si sente ormai forte della sua posizione artistica, tanto da vantare la libertà di ispirazione propria dell’artista, se pur di concerto col committente. È ‘un pittore’, ma l’avvallo di Mussini non viene meno: a questi per tutto il 1862 chiederà suggerimenti su quella che sarà poi il dipinto con la Gloria di S. Giovanni Bono. (Fig. 5)
Fig. 5 Luigia Piaggio, Gloria di San Giovanni Bono, Recco, Chiesa parrocchiale dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Bono.
Le problematiche che deve affrontare riguardano la posizione sull’altare e le misure (280x190), ma anche l’iconografia del santo che, vissuto nel settimo secolo, secondo la tradizione a Recco, divenne arcivescovo di Milano. Del santo «Due cattivissimi dipinti nelle pareti laterali della cappella rappresentano quel poco che si conosce della sua vita, e nel vecchio quadro dell’altare (ch’io devo rifare) è rappresentato in gloria. Non credo possibile vedere una pittura più cattiva di questa»103. La Piaggio ha decisamente imparato molto da Mussini. Nella scelta del momento da rappresentare non ipotizza di modernizzare l’iconografia consueta del soggetto religioso che si trova a comporre, cogliendo esattamente il senso del «rispetto a quell’edifizio che pietra a pietrà è sôrto per opera di tante generazioni nel corso di diciotto secoli» come Mussini molti anni dopo, nel 1883, sosterrà rivolto a Francesco De Renzis, dando vita ad un «saggio di polemica cortese»104. E in effetti il suggerimento di Mussini è quello di rivolgersi alle pitture bizantine. Spronata dal maestro la Piaggio invia «due segni della composizione», attenendosi alla precedente iconografia che voleva il santo protettore di Recco con il simbolo della Trinità, ambientando la gloria sul paesaggio cittadino con un angelo che sparge i fiori a rappresentare le grazie che l’intercessione del santo rende al paese. Il tutto velato dall’uso dell’oro intesa come luce divina. 103 104
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FMP, Piaggio a Mussini, 1861/11/23, in www.memofonte.it. Cfr. MUSSINI 1883, p. 36.
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I disegni che la Piaggio invia non sono conosciuti, ma il confronto con l’opera finita ci mostra come la giovane non avesse dubbi a porre le correzioni secondo le indicazioni del maestro che non solo mette in guardia dall’eccesso moderno, ma dal poter rendere una figura «troppo puristica» 105. Se non è dato sapere quanto la Piaggio, dopo la lettera del maestro abbia cambiata la ‘lunghezza verticale’ degli angeli, che in ogni caso è raccordata col movimento leggermente obliquo che fanno i loro corpi, è certo che la giovane segue il suggerimento del maestro. Inserisce raggi dorati (e non di «oro vero») che si dipartono dall’alto e fa sì che l’angelo centrale sparga i fiori con entrambe le mani. Risolti i dubbi sull’iconografia, la Piaggio necessita di ulteriori suggerimenti soprattutto riguardo alle proporzioni e alle distanze volendo far apparire le figure di dimensione pari al vero e, dato che probabilmente le lezioni di Garibbo non erano state del tutto esaustive, tocca a Mussini spiegare i metodi prospettici e la differenza fra i pittori del rinnovamento e le teorie di Leonardo da Vinci che esemplifica spiegando come per i quadri molto grandi occorra mantenere una grandezza simile al vero delle figure in primo piano, non diminuire, ma talvolta aumentarne la grandezza, mentre nel caso il quadro sia piuttosto piccolo e da collocarsi in una chiesa altrettanto «mediocre» le figure possono essere di misura «una linea meno del vero, mentre dipinte che sono sembrano di grandezza reale. In questo caso credo che possa tener per fermo le proporzioni al vero per una figura che fosse posta proprio al limite del quadro toccando coi piedi la cornice, luogo ove mai si pongono figure; e degradare le altre secondo le regole prospettiche»106. Intanto che la Piaggio lavora al cartone per il quadro, riceve un’ulteriore proposta per la parrocchiale a Recco, dove deve dipingere quattro virtù, delle quali non è rimasto niente, ma sulle quali si adopera volendo imparare, da Guidoboni, la tecnica dell’affresco e inviando le fotografie dei primi bozzetti al maestro, che risponde in una lunga lettera presto sintetizzabile: buona l’idea, da migliorare l’esecuzione107. Se per i santi domenicani realizzati per la chiesa di Santa Maria di Castello Mussini richiama l’allieva allo studio del Beato Angelico, in questo caso il riferimento principe è Raffaello e la giovane sembra immediatamente percepire i suggerimenti. Nonostante la Piaggio abbia a Genova i consigli di pittori e scrittori tra cui Vincenzo Marchese, la sua totale fiducia è ancora e sempre per Mussini che le raccomanda ancora il modo di trattare la capigliatura che deve risultare dalle linee simmetriche ed euritmiche che permettono di non cadere nell’insolito, come già avvertiva anni prima e, come sempre, immediatamente corrette dall’allieva, non senza l’aiuto di alcuni lucidi realizzati dagli scolari senesi Franchi e Maccari108. I lavori della Piaggio procedono quindi alacremente e, ai primi di settembre, finite la Fortezza e la Giustizia, mette mano al cartone per la Prudenza, attingendo dal repertorio del Ripa i simboli che più si adattano allo spazio consentito e naturalmente anche il giudizio su quest’ultima opera è presto espresso ed emendato dal maestro109. Purtroppo di quest’impresa non rimangono neppure foto delle decorazioni preesistenti alla ricostruzione della chiesa avvenuta nel 1951110. Le ultime lettere tra maestro e allieva sono del settembre 1862, in seguito a quella data i rapporti tra i due cambiano di natura: «sì che nel 1862 egli prendeva la via di Genova e là richiedeva alla scolara di divenire sua moglie. Annuiva essa con gioia, e nell’aprile del 1863 avveniva il matrimonio»111, che però durava poco più di un anno, per la morte il 17 gennaio 1865 della Piaggio che nel dare alla luce la seconda figlia moriva dopo pochi giorni. FMP, Mussini a Piaggio, 1861/12/04; 1861/12/17 e Piaggio a Mussini, 1861/12/12, in www.memofonte.it. FMP, Piaggio a Mussini, 1862/04/18 e Mussini a Piaggio, 1862/04/27, in www.memofonte.it. 107 FMP, Piaggio a Mussini, 1862/05/31 e Mussini a Piaggio, 1862/07/00[ante 6], in www.memofonte.it. 108 FMP, Piaggio a Mussini, 1862/07/06; 1862/07/[post 9]; 1862/08/06 e Mussini a Piaggio, 1862/07/09; 1862/07/15; 1862/07/18, in www.memofonte.it. 109 FMP, Piaggio a Mussini, 1862/09/05 e Mussini a Piaggio, 1862/09/11, in www.memofonte.it. 110 PORTALUPPI 2004-2005. 111 L.F.M. 1914, pp. 212. 105 106
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Il carteggio Mussini-Piaggio che in alcuni frangenti induce ad una lettura partecipe come si trattasse dello svolgersi narrativo di una vicenda didattico-artistica, non completa le notizie sull’attività della Piaggio ed interrompe le notizie sulla didattica di Luigi Mussini che, alla metà degli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, si accingeva a riformulare i precetti didattici nei confronti della seconda generazione di artisti dell’istituto di Belle Arti di Siena, quali Pietro Aldi e Ricciardo Meacci, in un periodo nel quale all’orizzonte emergevano nuove tendenze realiste, come quelle dei Macchiaioli. D’altronde, altre lettere in parte note, la cui memorizzazione digitale è estremamente utile per una visione più analitica e d’insieme, palesano come la didattica di Mussini continui, fino alla sua morte, non variando molto e non modernizzandosi. Il biasimo nei confronti di «una certa scuola del Michelangelo (Caffé!)» e della «cricca fiorentina»112 alla quale Cassioli si era avvicinato, riceve la stroncatura del vecchio maestro. Nonostante che l’autorità del direttore dovesse essere ben presente a Diego Martelli che nel 1877 inviò un suo opuscolo dal titolo Dell’ordinamento degli studi artistici in Italia, pensieri e proposte di Diego Martelli fiorentino con la dedica «All’Ill. Sig. Luigi Mussini»113. Dei macchiaioli Mussini non accetta l’idea di riunire in un quadro «il disegno e lo stile (idea e forma) e il modellato» attraverso il colore, scelta stilistica che, ribadisce, «non sò né posso insegnare»114. L’adeguamento ai nuovi tempi, assente nell’insegnamento di Mussini, viene recepito invece dagli allievi come Maccari, che ormai autonomo pittore, esegue tra il 1872 e 1873, gli affreschi per la Chiesa del Sudario a Roma, nei quali il maestro riconosce «qualités réelles et solides»115 pur temendo che l’allievo indulga troppo «all’esercizio di quel materialismo che prevale attualmente in Italia»116. Per quanto Mussini si accorga nei vecchi allievi di un preciso allontanamento dalla sua didattica che, spesso critica, ma sempre in lettere private e mai in articoli pubblici, intorno al 1883 facendo parte della commissione promotrice della Sala del Risorgimento da realizzare nel palazzo pubblico di Siena in onore a Vittorio Emanuele II, il vecchio maestro dà vita all’ultimo atto del suo insegnamento, caldeggiando la presenza di tutti quelli che dal 1851 erano stati suoi allievi. Bisogna davvero che la Scuola di Siena vi faccia mostra di sé in tutta la sua potenza [...]. Il bello della nostra Scuola (e prova che il Maestro non fu un tiranno come dicono) è appunto che ogni individualità vi è manifestata liberamente in artisti tutti valentissimi e diversissimi l’uno dall’altro117.
Mussini già settantenne non intende partecipare da protagonista agli affreschi, ma è a lui che si deve l’orchestrazione e la scelta di affidare ai vecchi scolari le scene secondo le peculiarità che il loro iter artistico aveva evidenziato118. La metodologia didattica di Mussini, così come esemplifica il carteggio con la Piaggio non terminava con l’insegnamento tecnico e formale, ma continuava nel patrocinio, nel
Lettera di Mussini a Milanesi, BCI, 1864/03/04, in www.memofonte.it. L’opuscolo è oggi in BCI, Miscellanea Raimondi 62 8. Cfr. AGNORELLI 2001-2002. 114 Lettera di Mussini a Carlo Milanesi, BCI, 1864/03/04, in www.memofonte.it. 115 Lettera di Mussini a Stürler, 1872/03/08, , in www.memofonte.it. 116 Lettera di Mussini a Cavallucci, BCI. 1872/01/03, in www.memofonte.it. 117 Lettera di Mussini a Cassioli 1883/03/26, in MENGOZZI 1907, fasc. III, pp. 526-527. 118 Le battaglie furono appannaggio di Cassioli che nel 1859 aveva partecipato al concorso del Governo Toscano concorrendo, pur in altre sezioni, con Giovanni Fattori; Maccari interpretò in modo veristico le scene celebrative fitte di personaggi storici; Aldi il pathos e la tensione trattenuta di Radetzski e di Garibaldi di fronte al re. A Franchi, Marinelli, Ridolfi e Meacci furono affidate le decorazioni della volta. Per la completa e precisa indicazione dei soggetti e delle paternità degli stessi si veda da ultimo AGNORELLI 2005, p. 155, note 122 e 123, con bibliografia precedente. 112 113
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sostegno e nella protezione di quelli che comunque per il maestro, nella sua idea romantica, rimanevano gli allievi di bottega.
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Patrizia Agnorelli _______________________________________________________________________________
MUSEO DELL’ACCADEMIA 1985 Il Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti. La Pinacoteca, Catalogo dei dipinti, a cura di E. Baccheschi, Genova 1985. MUSSINI 1847 L. MUSSINI, Sullo studio de’ Maestri antichi e sugli ostacoli che ad esso si sovrappongono, «Rivista di Firenze», 28, 24 agosto 1847, ora in Scritti d’arte, di Luigi Mussini pittore, Firenze 1880, pp. 3-13. MUSSINI 1852 L. MUSSINI, Di Lorenzo Bartolini. Lettera a Carlo Milanesi, 1852, ora in Scritti d’arte di Luigi Mussini, Firenze 1880, pp. 22-28. MUSSINI 1883 L. MUSSINI, Della tradizione nelle opere artistiche di tema sacro, 1883, ora in L. Mussini, di Palo in Frasca. Pensieri di un artista, Siena 1888, pp. 35-70. NEL SEGNO DI INGRES 2007 Nel segno di Ingres. Luigi Mussini e l’Accademia in Europa nell’Ottocento, Catalogo della mostra, a cura di C. Sisi, E. Spalletti, Cinisello Balsamo 2007. OLCESE SPINGARDI 1991 C. OLCESE SPINGARDI, Piaggio Mussini Luisa, voce in LA PITTURA IN ITALIA 1991, II, p. 963, Milano 1991. OLCESE SPINGARDI 1992 C. OLCESE SPINGARDI, Maurizio Dufour, voce in Dizionario Biografico degli Italiani, XLI, pp. 789791, Roma 1992. OPERA DI ALESSANDRO FRANCHI 1964 L’opera di Alessandro Franchi pittore 1838-1914, Catalogo delle mostra, Prato-Siena 1964. PETRUCCI 1992 F. PETRUCCI, Scuola senese dell’Ottocento. Angelo Visconti, «I Quaderni dell’Arte», 3, 1992, pp. 5-63. PETRUCCI 2007 F. PETRUCCI L’ambiente artistico senese e i primi scolari: osservanti e reticenti, in NEL INGRES 2007, pp. 170-211.
SEGNO DI
PORTALUPPI 2004-2005 D. PORTALUPPI, La Parrocchiale di Recco: riadattamenti e restauri postbellici, tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, A.A. 2004-2005. SANTA MARIA DI CASTELLO 2004 Santa Maria di Castello in CINQUE CHIESE E UN ORATORIO 2004, pp. 13-48. SBORGI 1991 F. SBORGI, La pittura dell’Ottocento in Liguria, in LA PITTURA IN ITALIA 1991, I, pp. 21-44.
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Il carteggio Mussini-Piaggio _______________________________________________________________________________
SIENA TRA PURISMO E LIBERTY 1988 Siena tra Purismo e Liberty, Catalogo della mostra, a cura di E. Crispolti, B. Sani, Milano-Roma 1988. SPALLETTI 1985 E. SPALLETTI, Gli anni del Caffé Michelangelo (1848-1861), Roma 1985. SPALLETTI 1994 E. SPALLETTI, Il secondo Ottocento, in LA CULTURA ARTISTICA A SIENA 1994, pp. 305-572. STUDI IN ONORE DI CESARE GUASTI 1994 Studi in onore di Cesare Guasti, 1, a cura di L. Draghici, Prato 1994. STÜRLER 1847 A. STÜRLER, Dei maestri antichi e delle loro tradizioni. Al sig. Camillo Pucci, «Rivista di Firenze», 29, 28 agosto 1847. YORICK 1861 Yorick figlio di Yorick [P. Coccoluto Ferrigni], Viaggio attraverso l’Esposizione italiana del 1861. Guida critica descrittiva, Firenze 1861. UZZANI 1988 G. UZZANI, Angelo Visconti, in SIENA TRA PURISMO E LIBERTY 1988, pp. 99-105.
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