Méxica la bambina serpente romanzo storico di simonetta tassinari sedicesimo virtuale

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In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era deserta e vuota; le tenebre ricoprivano l’abisso e sulle acque aleggiava lo Spirito di Dio. Genesi, 1-2

E il quinto Angelo suonò la tromba, e vidi una stella cadere dal cielo sopra la terra, e le fu data la chiave del pozzo dell’abisso. Apocalisse, 9,1



Gli europei Calabri Giandomenico Calabri, marchese e filologo Giancristoforo Calabri, marchese, letterato e alchimista, suo figlio Maria Elisabetta Alessandri marchesa Calabri, moglie di Giancristoforo E i loro figli: Lucrezia Calabri Gianfelice Calabri Maria Anna Calabri Eleonora Calabri Gesuita Calabri Cortés Hernán Cortés, conquistador Catalina Xuarez, sua moglie de Alvarado Pedro de Alvarado, conquistador Fuentes y Molina Francisco Antonio Fuentes y Molina, barone della Mesta Pedro Julián Mariano, suo figlio, conquistador Consuelo detta mamá Celeste, nutrice di Pedro Ortíz y Almeida Don Alfonso Carlos Ortíz y Almeida, conte-duca Lucía Pilar Maria Ortíz y Almeida, sua figlia Petito Rosalia Sinforosa Grazia Petito, duchessa di Civita in Capitanata 7


Van der Vaals Jakob Van der Vaals, mercante e armatore Katharina Van der Vaals, sua moglie Jan Van der Vaals, interprete ed encomendero Carmen Altamirano, moglie di Jan Hernán Pedro Cristóbal Van der Vaals, loro figlio

I méxica Nezayál, primo sacerdote di Huitzilopocthli Matlin, sua figlia Amohac, marito di Matlin Montezuma II, imperatore del Messico Cuitlahua, suo fratello Teuhtlile, ambasciatore

I tamán Yaotl Maxxa Patli detta La Vergine Ammíxa Teoya Xaulhqui

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Prologo

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Chichinatilco, Anáhuac, valle del Messico Anno 104 dalla migrazione dei Méxica da Aztlán

ella Valle del Messico la vita cominciava all’alba, perché la luce del sole era preziosa e non se ne poteva perdere neppure un raggio. Anche i bambini della scuola del tempio si accoccolarono sulle stuoie non appena l’aurora tinse di rosso i mattoni del piccolo edificio. Dopo pochi istanti la Vergine scostò la tenda e avanzò verso di loro. Portava una sottana a balze e aveva i piedi scalzi. Era molto vecchia e la pelle le si raggrinziva attorno alle braccia come la farina di mais attorno al bastone. Le sue giunture scricchiolavano e, quando si muoveva, faceva l’effetto di una ventata gelida. – In principio gli dèi crearono il mondo, e poi gli esseri viventi − disse camminando a piccoli passi in mezzo ai suoi alunni, maschi e femmine dai sei ai dieci anni. Si carezzò il ciondolo d’oro che portava al collo, un serpente con tre spire. − Assegnarono a ogni creatura un determinato destino e l’energia cosmica, il teotl, che la mantenesse in vita fino alla fine dei suoi giorni. Quando ebbero finito Tonatiuh, il Padre supremo, decise che, poiché il mondo era così bello, occorreva plasmare una creatura superiore, il più possibile simile agli dèi, che se ne rallegrasse assieme a loro. Fu così che nacque l’uomo. «Lo faremo libero e non gli concederemo solo l’istinto come agli animali. Avrà la capacità di scegliere tra il bene e il male e di provare sentimenti. Perciò sarà la nostra creatura più alta, la corolla per il mio fiore», disse il Padre Supremo posando la Prima Coppia sulla terra. E, con uno schiocco di dita, accese il Primo Sole. 9


I suoi occhi trasparenti, di un incredibile azzurro, passarono rapidamente in rassegna i bambini, ed essi tremarono. La Vergine era affascinante, terribile e spaventosa. Anche l’altro sacerdote del tempio, Maxxa, aveva gli occhi come lei, ma non teneva scuola e non parlava mai con nessuno. Si somigliavano molto: due vecchi cenciosi e scarniti venuti da lontano. − Gli dèi immaginarono che gli uomini sarebbero stati felici e si sarebbero comportati con bontà e innocenza − proseguì, scuotendo le dita screpolate e nodose. − Invece non fu così. Essi lottavano l’uno con l’altro per procurarsi ciò che era già di tutti, gelosi e avidi, senza alcun freno. Tonatiuh era deluso e decise di distruggerli. Spense il Primo Sole, ma poi ci ripensò. In fondo, l’idea di un essere il più possibile simile agli dèi era stata sua. E il Secondo Sole fu. Ma di nuovo gli uomini si comportarono male. Il Secondo Sole finì, e così il Terzo e il Quarto. Quando Tonatiuh prese il Quinto Sole tra le mani, apprestandosi a spegnerlo e a smarrire per sempre il seme dell’uomo, Chikitlcoatl la radiosa, la Bambina Serpente, lo fermò: «Padre di tutti gli esseri,» gli disse, «ti prego, aspetta ancora. Sulla terra ho trovato un giusto che ci rende grazie, i cui meriti sono come una coppa d’oro piena di profumi che salgono verso di noi. Faresti tu perire l’unico giusto insieme all’empio? Colui che agisce rettamente finirà anch’egli nell’abisso?». A questo punto la Vergine s’interruppe. − Vai avanti tu, Ammíxa − disse alla piccola seduta nell’ultima fila, distante dai compagni, con le treccine fino al petto. Ammíxa si alzò e la guardò dritta negli occhi. Nessun altro riusciva a sostenere quello sguardo di ghiaccio, ma Ammíxa era la prediletta della Vergine, e lo sapevano tutti. Era un’orfana e viveva nel tempio assieme ai due sacerdoti. Mentre iniziava a parlare il cuore le batté con violenza. Trattenne il respiro, perché non voleva deludere la sua maestra. − Tonatiuh scrollò la testa, inflessibile. «So di chi parli» le rispose. «Ma anch’egli morirà e non resterà più nessuno ad agire secondo giustizia. E poi ormai sono stanco, Chikitlcoatl. Come creatura l’uomo è già vecchio, e, con tutto il male che gli abbiamo già visto fare, non possiamo ricominciare con lui». «Niente è troppo vecchio perché non possa diventare nuovo» replicò rispettosamente la Bambina Serpente. «Chiunque, dal 10


più piccolo vasaio al contadino, prova e riprova per migliorare la propria opera, perché noi no?». Ammíxa tacque un istante, imbarazzata dalle occhiate invidiose dei compagni, poi si fece coraggio e ricominciò. − Gli altri dèi rumoreggiarono, contrari al perdono. Ma la Bambina Serpente trasse in disparte il Padre Supremo, e, dopo un lungo conciliabolo con lei, Tonatiuh sentenziò: «E sia. Per adesso il Quinto Sole rimanga assiso in cielo», e lo ricollocò al suo posto. − E qualcuno − la interrogò ancora la Vergine, scrutandola con le iridi azzurre, − qualcuno ha mai saputo esattamente che cosa disse la Bambina Serpente per convincere Tonatiuh a donare altro tempo agli uomini? − No. Grandi sono i misteri del cielo e della terra. L’unica cosa sicura è che anche il Quinto Sole è appeso a un filo e potrebbe improvvisamente spegnersi − disse Ammíxa. A un cenno della Vergine la bambina abbassò il capo e sedette di nuovo sulla stuoia. La vecchia le si avvicinò e le carezzò il viso. − Ma io e Maxxa sappiamo quel che successe. E, se diventerai come noi, un giorno lo saprai anche tu, piccola − le sussurrò parlando solo alla sua mente, e Ammíxa, silenziosamente, annuì.

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Parte prima



Capitolo 1

E

Medellín, Regno di Spagna, 1516

ra il giorno di Pasqua e, nella chiesa di Medellín, Pedro Fuentes y Molina si alzò dal suo banco per andare a prendere l’Eucarestia dalle mani del prete. Passando davanti alla cappella laterale, dove sedevano i grandi nobili della città, il suo sguardo s’incrociò con quello di Lucía Ortíz y Almeida. Era inginocchiata, con le mani giunte, in attesa che i sacerdoti portassero il Santissimo direttamente in cappella senza far scomodare i potenti come suo padre. Pedro avvampò e distolse gli occhi, vergognandosi delle sue brache rammendate, delle calze stinte e del farsetto grigio che era stato di suo fratello José, mentre lei era elegantissima nella sua veste di seta rosa. Ma non fu soltanto la sua povertà a turbarlo; era rimasto senza fiato perché gli era parso di aver visto la bellezza per la prima volta in vita sua. Si era imbattuto in Lucía Ortíz, fino a quel momento, solo da lontano: un’inaccessibile dea col velo sul viso e le dita affusolate e bianche che sporgevano dalle maniche rigonfie, scortata dalla propria nutrice. Pedro sarebbe volentieri ritornato sui propri passi per guardarla ancora, ma dietro di lui si era fatta la fila e fu costretto a proseguire. La scrutò di nuovo attraverso le palpebre socchiuse, voltandosi dalla sua parte, e si sentì rimescolare tutto perché si accorse che anche lei seguitava a fissarlo. Ascoltò ben poco del resto della funzione. All’uscita, malgrado tentasse di farsi largo tra i fedeli, Lucía gli sfuggì: i grandi nobili di Medellín usufruivano di porta laterale per non confondersi con la folla. 15


Per l’intera giornata gli rimase addosso un senso di meraviglia al ricordo di quegli occhi di turchese, di quella pelle candida, di quei morbidi riccioli biondi che le scendevano sulla fronte, sfuggendo alla reticella. Anche nei giorni seguenti il pensiero di Lucía fu come una piccola e preziosa luce a cui ricorreva, nel segreto del suo cuore, quando la sua esistenza di nobiluccio senza denari e senza prospettive gli pesava. Nell’arretrata Estremadura, che bolliva nelle sue estati africane e nelle sue aride distese, non era certo un mistero che ai Fuentes y Molina, baroni della Mesta, non fossero rimasti che gli occhi per piangere. Il palazzo di Medellín era in rovina, il numero delle pecore diminuiva di anno in anno e le rendite erano quasi nulle. Nelle loro terre, un tempo coltivate dai Mori che, fuggendo, avevano portato con sé i segreti dell’irrigazione, olivo, fico e vite crescevano stentatamente, e le messi bruciavano al sole impietoso. Gli ultimi risparmi dei Fuentes servivano per conservare il posto nella Mesta e trasmettere il titolo al primogenito José, mentre per gli altri figli la scelta era limitata al convento, al matrimonio con un borghese arricchito o alla carriera delle armi. Le cure per l’istruzione del secondogenito Pedro erano state piuttosto sommarie. Il ragazzo a stento sapeva leggere e scrivere. Non conosceva una parola di latino e aveva le idee piuttosto confuse in fatto di storia e geografia, ma s’intendeva di cani e di cavalli, soprattutto quelli degli altri, essendo, a casa sua, semivuote perfino le scuderie. Nessuno gli aveva mai insegnato a tirare di scherma. Si esercitava da solo con i monelli di strada, con rami appuntiti o manici di scopa. Insomma la sua educazione era praticamente inesistente ma in compenso era bellissimo, l’unico ad aver ereditato l’aspetto del padre Francisco, alto, bruno e ben fatto, ancora senza un capello bianco a cinquant’anni, il quale, in gioventù, era passato per il più bell’uomo di Castiglia. Aveva una cascata di capelli scuri e lisci, i polpacci snelli, il bacino stretto e occhi di velluto nero frangiati da lunghe ciglia. Inoltre, come maschio era stato molto ben dotato dalla natura, e la sua nutrice Consuelo se n’era accorta subito. 16


Consuelo aveva la tipica corporatura delle balie: generosa di seno, di fianchi e di sedere. Aveva allattato parecchi piccoli Fuentes oltre un numero imprecisato di figli suoi, e Pedro era stato il suo ultimo poppante. Non avrebbe potuto essergli più affezionata se lo avesse generato lei stessa, e il bambino la ricambiava. La chiamava mamá Celeste per il colore dei suoi occhi, azzurri, piccoli e ridenti. Ogni sera le chiedeva se poteva addormentarsi con la testa poggiata sul suo monumentale seno, e la nutrice lo accontentava. − Madre de Diós! − aveva esclamato, spaventata, una sera d’inverno. Pedro aveva sì e no otto anni. Faceva freddo e il bambino le si era tutto raggomitolato addosso. L’aveva fatta sobbalzare l’inequivocabile movimento all’insù di un piccolo membro virile sotto l’informe veste bianca dell’infanzia. Non aveva mai visto nessuno di così precoce. − Madre de Diós! − aveva ripetuto, sgomenta. Non gli aveva mai più concesso di dormire con lei, la testa poggiata sul suo seno. Però non si può dire che non ne fosse orgogliosa; aveva pensato che Pedro sarebbe diventato un vero uomo, come pochi ce n’erano in giro. Se n’era convinta ancora di più quando la servetta più giovane, una ragazza timida e impacciata che veniva dalla campagna, provvista di un imponente didietro, le aveva domandato perché mai il padroncino le rivolgesse una specie di saluto prolungato ogni volta che l’incontrava. Un saluto prolungato, tuttavia, rivolto al suo sedere. − Non ti saluta, cara mia, ti palpa il culo − le aveva detto mamá Celeste. − Tutto quello che non ha fatto don Francisco in questa casa, pio, fedele e onesto com’è, lo farà il mio ragazzo. Aveva avuto il suo primo rapporto con una prostituta che gli aveva fatto conoscere un amico di strada. A quell’epoca era già alto e formato e la ragazza non ne sospettò mai la vera età. Trovò anzi l’incontro così piacevole che non accettò di farsi pagare, e diffuse la voce delle sue straordinarie qualità amatorie tra le colleghe. Intatto com’era, con quella cascata di lucidi capelli neri che si muovevano con lui e i lineamenti perfetti, le prostitute che sapevano di avere la sifilide lo evitarono, insegnandogli, per così dire, solo la teoria. 17


A quattordici anni aveva già incontrato tutte le donne del postribolo, oltre che tutte le sue domestiche con l’ovvia eccezione di mamá Celeste, perché la nutrice era sacra. Nel cadente palazzo Fuentes, all’insaputa dei religiosissimi baroni, si svolgeva una congiura del silenzio. Le serve non erano gelose l’una dell’altra; Pedro era il loro idolo e ciascuna si sarebbe gettata nel fuoco per lui. Ormai aveva ventidue anni ed era un uomo fatto, ma non aveva mai spezzato il cordone che lo legava a mamá Celeste. La aiutava quando filava la lana e le reggeva la cesta dei panni. Non andava a dormire senza darle la buonanotte. Consuelo era rimasta la sua confidente e si stupì spiacevolmente quando il suo pupillo, alla vigilia del nuovo giorno di festa, le domandò: − Che cosa sai degli Ortíz, mamá? Mamá Celeste smise di lavare i panni alla fonte. Si asciugò le grosse mani sul grembiule. Erano rosse, ruvide, deformate dall’artrosi. «Sono mani che hanno molto lavorato» gli rispondeva quando, da bambino, Pedro le domandava perché fossero così strane e gonfie. Mamá Celeste gli scoccò un’occhiata preoccupata. − Non è affar tuo, tesoro − tagliò corto.

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Capitolo 2

L

ucía Ortíz de Almeida non era solo la più grande bellezza, ma anche il miglior partito di Medellín, l’unica figlia del conte-duca don Alfonso. Aveva sedici anni e non le era toccata la fortuna di conoscere sua madre, morta nel metterla al mondo. Don Alfonso non si era più risposato e Lucía gli era molto grata per questa prova di amore e fedeltà. La sua nutrice, Aña, un’andalusa bruna ed espansiva, non smetteva mai di vezzeggiarla e di dirle quanto fosse incantevole. − Questa vita sottile! E la vostra figurina snella! E la vostra pelle d’alabastro! Aña si stava affaccendando attorno ai capelli della sua padrona per prepararla alla Messa solenne di mezzogiorno. Erano folti, biondissimi e docili, e assumevano immediatamente la forma del ferro. Aña avvolse l’impugnatura in un panno per non scottarsi, lo passò sul fuoco due o tre volte, ci soffiò sopra, lo saggiò rapidamente sul dorso della mano e poi ci attorcigliò attorno le ciocche laterali. Avrebbero dovuto scenderle dalla reticella di perle lungo le guance, con un effetto naturale; era l’ultima moda di corte. Lucía si guardò alla specchiera, dubbiosa. − E se li sciogliessi sulle spalle? Ricoprendoli con la mantilla? − Per quale motivo volete cambiare una pettinatura che vi dona così tanto, vossignoria? − le chiese Aña. Lucía abbassò rapidamente le palpebre e arrossì d’imbarazzo. Qualcosa, nel suo volto, colpì l’andalusa. Dietro le sembianze delicate di sua madre Lucía aveva una personalità spiccata e volitiva. Aña era cresciuta nella camera da letto di doña Mercedes e l’aveva tenuta tra le proprie braccia fino a quando non era spirata, nel momento del suo tragico parto. 19


Avrebbe voluto ritrovare in Lucía, oltre all’aspetto, anche la gentilezza d’animo e la remissività della sua defunta padrona, ma non ne era del tutto sicura. A tratti, gli occhi azzurri di lei balenavano con una vivacità eccessiva per una ragazza di sedici anni. Pensò rapidamente che qualche giovane nobile della cappella l’avesse colpita, e si sentì rabbrividire. Stava per dirle che una Ortíz y Almeida, fidanzata da quando aveva dieci anni, non poteva permettersi neppure il più vago interesse amoroso, ma questo avrebbe significato dar troppa importanza a una fantasia passeggera. Perciò mutò opinione e osservò, semplicemente: − Siete bella in qualsiasi modo, vossignoria! Ma alle donne piace cambiare. − D’impulso le stampò un bacio sulle guance. − D’accordo. Vi accontenterò. − Finiva sempre così. L’indomani a mezzogiorno, in chiesa, Pedro pensò che, con i capelli sciolti sulle spalle, Lucía era ancora più bella. Stavolta si fissarono dall’inizio alla fine della Messa e al ritorno Pedro sembrò insolitamente contento ai suoi familiari. Eppure le notizie che provenivano dalla Casa de Contratación di Siviglia, l’unica autorizzata a concedere le encomiendas del Nuovo Mondo, non erano affatto buone. Il Nuovo Mondo, benché si fosse solo agli inizi, stava diventando una valvola di sfogo per migliaia di hidalgos, senza terra né titoli, che consumavano il loro tempo nell’ozio e nella frustrazione. Era un salto nel buio, si capisce, e occorreva del coraggio per imbarcarsi alla volta delle terre dei selvaggi, ma questa era l’unica qualità che non mancava a quelli come Pedro. Senonché nel regno di Spagna niente si otteneva senza l’interessamento di un don, e i Fuentes non possedevano le doti necessarie a coltivare relazioni altolocate legandosi a questo o a quello, magari abbassando un po’ (chiacchiere di Medellín) un orgoglio smisurato che non aveva nessun motivo di esistere. Non appena seppe, dalle gravi parole di suo padre, che anche l’ultimo tentativo di fargli avere un’encomienda era andato a vuoto, Pedro non mostrò la delusione che ci si sarebbe aspettati da lui e si limitò ad affermare che in fondo era ancora giovane e, per il futuro, non si poteva mai sapere. Stava andando a strigliare il cavallo di José (l’unico abitante, assieme a due muli, della scuderia) quando incontrò mamá Celeste in 20


cortile. Lei posò la cesta dei panni, lo tirò ruvidamente per la camicia e gli disse: − Seguimi nell’orto, ragazzo mio. Dobbiamo fare due chiacchiere, io e te. Anche mamá Celeste era stata alla Messa solenne. Si era seduta nelle ultime file, ma in modo da sorvegliarlo. − Mi meraviglierei molto se non se ne fosse accorto nessun altro. Uno scandalo. Tu la guardavi come se la stessi spogliando con gli occhi, e lei… lei come se questo le facesse piacere − sbottò. − Non ti avevo detto di lasciar perdere? − Gli sguardi non hanno mai ingravidato nessuna, mamá! − tentò di scherzare lui. Mamá Celeste si incupì: − Zitto − disse rocamente. − Devi capire che con una Ortíz non solo non hai alcuna speranza, ma rischi la morte. Perché, se solo don Alfonso immaginasse che hai osato alzare gli occhi su sua figlia, non ci metterebbe un istante a ucciderti. − Mamá Celeste fece una pausa. − Visto che ha già ucciso la sua stessa moglie. La bellezza e la grazia di Mercedes erano state quasi leggendarie, nella Spagna del Sud. Si era piegata con rassegnazione allo sposo che le era stato imposto, ma doveva aver avuto un amoretto con un cugino che, da suo padre, non era stato giudicato alla sua altezza. Probabilmente, come spesso accade alle ragazze timide e buone, Mercedes aveva tenuto nascosto quel piccolo segreto, magari cullandolo tra sé prima di addormentarsi. Tuttavia, avendo assecondato in tutto e per tutto il volere paterno, a quindici anni era la moglie di un uomo spocchioso, arrogante e prepotente, più vecchio di ventitré anni, convinto di averla completamente in sua balìa e di dominarne anche i pensieri più riposti. La ferrea sorveglianza e l’esclusione da qualsiasi tipo di vita sociale da parte del gelosissimo marito non avevano impedito che, a oltre un anno di matrimonio, e al nono mese di gravidanza, qualche scellerato avesse fatto recapitare un biglietto a Mercedes in cui suo cugino, forse sotto21


valutando il pericolo a cui la esponeva, le domandava semplicemente come si trovasse nella sua nuova città e se fosse felice. Ma il biglietto non le era mai arrivato. Don Alfonso era penetrato nelle sue stanze sbandierando quel pezzo di carta, gridando come un ossesso. Senza lasciare a Mercedes il tempo o il modo di dirgli la verità, ovvero che non aveva idea di che cosa si trattasse né, tantomeno, di chi glielo avesse inviato, l’aveva aggredita, schiaffeggiata, scossa con violenza malgrado il suo avanzato stato di gravidanza. Il trauma dell’aggressione e le botte avevano affrettato il parto e forse ne avevano determinato l’andamento. Mercedes era morta senza neanche rendersi conto che aveva partorito una bambina. − La cosa venne coperta. In città si disse che era caduta dalle scale... E Aña, la nutrice, mentre si dava alla disperazione confermò le parole di don Alfonso con chiunque, io credo per amore di quella bambina innocente che suo padre avrebbe potuto perfino detestare, e che invece si mise ad amare con la passione che, purtroppo, in lui va sempre a braccetto con il possesso e il dominio. Mamá Celeste si accorse che Pedro era impallidito e si mordeva le labbra. − Mi capisci, tesoro mio? Forse le cose non andarono esattamente così, ma è difficile che i servi si sbaglino… loro sanno sempre tutto. Com’è che una partoriente aveva il viso così tumefatto? − riprese, dopo un intervallo di silenzio. − Com’è che per aiutarla a sgravarsi vennero chiamate solo le donne di casa e non la levatrice? E perché quegli occhi pesti, quelle labbra gonfie e spaccate, perché quella ciocca di capelli semistaccata dalla testa e intrisa di sangue, tanto che perfino le donnette che la vestirono da morta piangevano a dirotto? Pedro avvertì un’ondata di nausea, e mamá Celeste comprese che aveva colto nel segno. − La seppellirono di notte, – continuò − nella cappella del palazzo. Lucía, naturalmente, ignora ogni cosa, ed è giusto così. Don Alfonso è pur sempre suo padre. – Si fece supplichevole. − Giurami, adesso che sai, che starai lontano da lei. E che non la guarderai più, tesoro mio. Pedro esitò brevemente. 22


Poi si stiracchiò e sbadigliò, assumendo la sua aria più scanzonata: − Tanto non ho nessuna speranza. L’hai detto tu − sorrise. − E non riuscirò mai neanche a scambiare una parola con lei. Di che ti preoccupi, mamá? Smise di frequentare il bordello, e anche le serve si domandarono che cosa avesse e perché non scherzasse più con loro né si intrufolasse più nei loro lettucci in soffitta, dove tutte lo avrebbero accolto molto volentieri. Viveva per vedere Lucía alla Messa domenicale, e continuavano a divorarsi con gli occhi. Il loro gioco di sguardi, malgrado la prudenza, era via via più esplicito. Pedro era diventato sensibile a ogni sfumatura del suo viso, sapeva interpretare ogni piccolo movimento che Lucía compiva. Cercava di figurarsi il tono della sua voce, immaginava di sfiorare quella pelle bianca e di posare le dita sulle sue labbra di pesca. Potevano tenerli lontani, e perfino incatenarli, ma nessuno avrebbe potuto impedir loro di amarsi. Perché era indubbio che anche Lucía fosse innamorata di lui. Durante la settimana sprofondava in una specie di malinconia che però non gli dava sofferenza, piuttosto un languore e uno struggimento che lo portavano a sospirare da solo, al riparo dalla vigile attenzione di mamá Celeste. Quel sentimento dava valore ai suoi giorni, era la sua forza e il suo sangue. Senza, non sarebbe più riuscito a sopportare la vacuità della propria esistenza.

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