Punto d'arch

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IL PUNTO D’ARCH Architetto. Ho avuto modo di conoscere realtà professionali in città diverse dalla mia, ma anche personalità e culture altrettanto variegate: dal professionista italiano pluriaffermato, alla realizzazione di commesse per il regno del Marocco e la Cina, da restauri di importanti manufatti storici alla partecipazione a bandi di concorso affianco a progettisti di fama mondiale. Da sempre appassionata di “cultura architettonica” e delle sue implicazioni storiche e sociali, ho voluto raccogliere alcuni articoli scritti per conto di una rivista con cui ho collaborato. Buona lettura.


TOYO ITO: L’ECO DELL’ARCHITETTURA ORGANICA L’architettura del vuoto ma, soprattutto, quella del trasparente sfiora concetti estremi che talvolta oltrepassano la realtà, per finire nel virtuale, questa è l’architettura di Toyo Ito. Seguendo il pacato filone della cultura giapponese, l’architettura per questo grande maestro è concepita come un luogo che espia dal senso del contemporaneo, per rivitalizzare il contatto con la natura. Con Toyo Ito la fiusis sincera e pura può essere contemplata attraverso la trasparenza, la smaterializzazione della componente fisica che si assottiglia, si sagoma, si contorce grazie alle più avanzate tecnologie, consentendo la partecipazione dell’uomo al più singolare degli spettacoli che è l’architettura.


L’architetto giapponese non forza mai l’aspetto paesaggistico: ad esso adegua la sua architettura, come per la Withe O. Nel 2008, infatti, Toyo Ito viene invitato a realizzare un’abitazione di lusso in un insediamento turistico sulle coste cilene, il sito presenta un dolce declivio verso valle e una vista mozzafiato verso le montagne a nord est. Assieme al progettista altri grandi architetti cileni vengono invitati, Ito è il solo straniero e la sua White O è la prima abitazione ad essere venduta quasi a scatola chiusa. Premiato con il Pritzker nel 2013, Ito, cerca il dialogo continuo tra ambiente ed edificio, inteso come corpo estraneo che si innesta all’interno dell’immaginifico mondo della natura. L’architetto giapponese anela l’appagamento dei cinque sensi, scruta e studia il vuoto che l’oggetto produce, esalta le proprietà dei materiali, osa forme e sagome ai limiti della tecnica, non rifuggendo il benessere dell’uomo, tassello indispensabile della sua architettura così organicamente esposta. L’abitazione si presenta come una curva chiusa sospesa a mezz’aria, che cinge una corte interna dall’evidente tocco zen.


Il naturale pendio del terreno accompagna all’ingresso, da qui il piano inclinato assume la materialità del cemento armato, sotto forma di rampa curvilinea che guida lungo un raffinato percorso all’interno dell’abitazione. Toyo Ito lascia che la naturale pendenza del suolo proceda nella corte interna da cui sembra che l’intera architettura sia stata posta in sospensione. La White O è un elegante e dinamico edificio completamente realizzato in cemento armato a vista, di colore bianco, dalla forma quadrangolare con un vuoto al centro. Toyo Ito da nuova linfa ai caratteri modernisti del pensiero architettonico: setti imponenti, ma leggiadri consentono la disposizione di ampi ambienti che vivono della luce proveniente dalla sinuosa vetrata, che cinge il perimetro del vuoto interno, di cui il tetto giardino diventa il coronamento. La zona giorno è rivolta a nord ovest che, nell’emisfero australe, è il più favorevole degli orientamenti e si presenta come un piano sorretto da solo due pilastri circolari, poggiato tra due rampe. Percorrendo una rampa dalla dolce pendenza si accede alla zona notte, qui si susseguono tre ampie camere, ognuna con il proprio bagno e, infine, un’altra rampa riporta alla quota di ingresso.


L’architettura della White O appaga il senso visivo grazie alle trasparenze e alla continuità degli spazi: le vetrate della zona giorno si lasciano attraversare completamente dai raggi solari, consentendo l’illuminazione totale dell’ambiente. L’architetto giapponese celebra, ancora una volta la sua passione per il vetro e per la capacità che questo ha di nobilitare qualsiasi architettura: grandi lastre si modellano come liquido lungo il contorno del patio, concedendo una vista ininterrotta sul giardino, si accorciano in base all’altezza dei percorsi, si segmentano e si opacizzano a seconda della zona che abbracciano. Infatti, gradualmente, intorno alla zona notte sparisce la trasparenza e le ampie superfici cristalline si suddividono in lastre di 40 cm, moderando la potenza della luce che le attraversa e riservando privacy e tranquillità. Per ciascuno spazio interno le pareti e i soffitti sono trattati con cemento a vista mentre i pavimenti, in pietra, possiedono la stessa gradazione cromatica di tutta l’architettura. Le note di carattere e cromie sono concesse dagli arredi tutti volutamente della linea cilena HORM.


L’illuminazione artificiale interna è puntiforme e ben studiata sia per le stanze da letto che per quelle di servizio, negli altri ambienti punti luce in sospensione sottolineano, un’altra volta, la sensazione di galleggiamento dell’architettura. Le camere da letto hanno tre pareti cieche, mentre quella rivolta ad est è completamente occupata da un infisso così da permettere di avere sul prospetto una spartana leggiadria. Toyo Ito è libero di osare grazie alla tecnologia del cemento armato che gli consente di realizzare le rampa di accesso e le scale a sbalzo sul lato sud est da cui si accede alla zona dei servizi e dei garage, al piano inferiore e al seminterrato e dove si trova un’altra camera da letto, più riservata. Sul fronte opposto, a nord, con accesso diretto dal soggiorno, una piscina dalla forma irregolarmente naturale e un accogliente e fluido tavolo in cemento armato. Toyo Ito, con la White O, che si presenta come il perfezionamento di un’opera già realizzata trent’anni prima, smaterializza il concetto di margine: non vi è separazione; come se ogni azione, ogni momento vitale fosse avvolto da un alone di indefinitezza.


L’assenza di una demarcazione tra interno ed esterno, nella White O, il culto per la trasparenza alleviano il senso di gravità sia intesa come forza fisica, che come senso di oppressione. Ito infonde alla sua architettura il segno istintivo di una spirale dinamica che comprende, al suo interno, tutto: vita dell’uomo e natura. Toyo Ito crea percorsi al di sotto e al di sopra di morbide passerelle in cemento armato, fa entrare il verde e la luce all’interno dell’abitazione, calma i sensi con la presenza dell’acqua: punta direttamente a mente e cuore dell’uomo. La White O promana, attraverso il tocco vitale del maestro nipponico, il potere dell’architettura zen.


PETER ZUMTHOR : DALLA MATERIA ALL’INTIMO MISTICISMO La relazione che lega le emozioni umane con lo spazio (architettonico) e con il paesaggio è fondamento delle atmosfere che l’architetto Peter Zumthor plasma con i suoi manufatti. Per l’architetto svizzero la condizione prima è il ricreare un piacevole sentire, non una tensione, né un disagio, ma una percezione pari ad un confortevole abbraccio materno. Premiato nel 2009 con il Pritzker, Zumthor veste ogni sua opera di un continuo anelare alla bellezza, ma in termini consolatori straordinariamente attuali, musa ispiratrice e impareggiabile modellatrice è sempre la luce. Peter Zumthor riflette sull’architettura perduta, o meglio, sul modo di fare architettura nel passato. La personalità pacata e rigida si rivede nel suo operato, attraverso quelli che, per Zumpthor, sono i cardini del fare architettura, del fare, quindi, atmosfera. La struttura, il suono dello spazio,


la sua temperatura, gli oggetti che vi sono all’interno, la tensione tra dentro e fuori, l’intimità e, non ultima, la luce sono il fil rouge dell’esplorazione filosofica in chiave architettonica per Zumthor. Egli vuole evadere dagli stereotipi contemporanei e per rifugiarsi nel bucolico pragmatismo del lavoro artigiano. Ad Hof Scheidtweiler, in Germania, Zumthor da prova della sua dimestichezza nel trattare simultaneamente misticismo e la massività, con la Bruder Klaus Chapel. In un piccolo borgo rurale, a 55 km da Colonia, una coppia di agricoltori ha commissionato all’architetto una cappella votiva dedicata al santo protettore della Svizzera, un uomo politico, ritiratosi in eremitaggio nel XV sec. Zumthor ha, qui, dato concretezza al umano bisogno di conforto e sicurezza dando vita ad un edificio piuttosto piccolo dalla forma di un prisma a base pentagonale, ma che si staglia per un’altezza di 12 metri. Per la Bruder Klaus Chapel, Zumthor traccia, al suolo, una curva chiusa e, lungo questa, dispone 112 tronchi d’albero, ancorandoli alla sommità a mo’ di capanna. Tale struttura viene inscritta all’interno di un pentagono irregolare.


Nell’intercapedine, tra le due strutture lignee, Zumthor fa colare 24 strati di calcestruzzo con spessore di 50 cm ciascuno. Ogni strato di conglomerato possiede inerti provenienti dal vicino fiume e viene compresso a mano, durante l’arco di una giornata lavorativa. Dopo di 24 giorni, consolidato il calcestruzzo, Zumthor libera l’interno della sua opera, dando alle fiamme la struttura a capanna per oltre venti giorni. Il risultato è sbalorditivo: il calcestruzzo ha trovato forma in segni dentellati, inoltre il rogo ha sugellato, all’interno delle pareti, 350 bacchette di vetro soffiato, disposte al momento della posa della struttura. Unica apertura è il surreale obolo, mistico punto di contatto tra interno ed esterno. L’atmosfera che Zumthor ricrea all’interno della Bruder Klaus Chapel, segue fedelmente l’umana percezione emotiva, che si sprigiona varcando la massiccia porta triangolare in metallo. L’unica struttura, al tempo stesso parete e copertura, possiede una conformazione interna insolita, ruvida, fuliginosa, ma, allo stesso tempo, massiva, protettiva, quasi rassicurante.


Chiunque entri in quest’ambiente, sospende, inevitabilmente, ogni collegamento con il corroborante presente. Non un suono, non un rumore, solo silenzio ed intimità. Dopo uno stretto ingresso, un ambiente più largo di forma apparentemente circolare, che Zumthor arreda con una colonna in cui vi è grezzamente scolpito il busto del santo e due lastre di pietra, di cui una seduta e l’altra altare. All’interno la luce delle candele votive e quella del cielo sono le uniche che si rifrangono sul pavimento in piombo. Dolcemente e ritmicamente l’acqua piovana scivola lungo le pareti interne per incanalarsi in un sistema di raccolta di acque al centro dell’ambiente centrale. La luce dall’alto e, in schegge, dalle pareti, disegna cangianti conformazioni della materia, come in un’eraclitea visione dello spazio in cui si è alle dipendenze delle condizioni metereologiche, in cui il silenzio diventa melodia. Il percepire benessere e tranquillità in un ambiente è, per Zumthor, lo scopo dell’architettura, la bellezza, data dalla perfetta atmosfera.


La poetica dell’architetto elvetico è fatta di profonde conoscenze costruttive e sapiente impiego dei materiali, ma soprattutto di coerenza tra architettura pensata e realizzata. Vi è in Zumthor, e nella Bruder Klaus Chapel riverbera più che mai, una dimestichezza nel gestire le singole componenti attraverso la luce, ma anche quella profonda conoscenza dei tempi tecnici che un materiale possiede per raggiungere la conformazione desiderata, e migliore, per rendere l’atmosfera adeguata. La Bruder Klaus Chapel, tecnicamente, è la sommatoria della processualità dell’architettura, delle singole lavorazioni, eseguite da mani artigiane, come nel passato, quando l’uomo celebrava il suo operato, caricando l’architettura di quel quid ascetico che era la vera bellezza. Il visitatore viene dolcemente prelevato dal mondo reale, per ritrovarsi in una condizione psicofisica appagante, in un’atmosfera insolitamente piacevole e di cui, fino ad adesso, ne ha sentito il bisogno, ma che non è riuscito a trovare. La Bruder Klaus Chapel, è esattamente questo, un episodio architettonico irripetibilmente appagante per lo spirito dell’uomo, che fisicamente, si ritrova, invece, circondato da un materiale apparentemente ostico e ruvido, ma che si rivela, a ben guardare, solo una forte corazza per proteggere lo scrigno della bellezza che, qui dentro, si disvela.


Zumthor colloca l’edificio in mezzo alla campagna, senza alcun riferimento geografico apparente; preambolo, questo, per l’invito al raccoglimento e alla meditazione, alla fuga dagli sterili stereotipi contemporanei. L’aspetto esterno dalla Bruder Klaus Chapel è ascrivibile a quello di un totem dalla cromia mutevole, dettata dalla maestrale composizione e disposizione del conglomerato cementizio esterno. Ma è all’interno che quello stesso materiale, tanto regolare esternamente, diventa farraginoso, si increspa, si sagoma al volere della luce, danza seguendo solo, ed esclusivamente, il volere degli astri, pervaso dal soffio vitale del melodioso silenzio che naturalmente riverbera all’interno.


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