Micaela Leonardi

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LEONA R DI

P o r t f o l i o

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P r o g e t t o i n c o r s o D i c e m b r e 2 0 1 2 V e n e z i a


.Il Rito .Performance - Due aree di controllo .L’immagine Il pretesto che ha dato il via al meccanismo di questo lavoro è stato il connubio di due immagini: Sradicare la propria femminilità (la perdita artificiale di essa) e una bocca che mastica. Ho sempre avuto un latente rapporto ambiguo con i capelli, come con i denti, per il loro crescere quasi immutati, duri e imperituri. Associando i capelli alla seduzione, ciò che è nato come un impulso, rasarmi, si lega ad una simbologia di rinuncia, di penitenza, di perdita e caduta di quella parte di me che esercita una doppia lusinga, verso me stessa e verso l’altro. Nello spazio di un bagno, adibito alla raccolta accurata dei capelli, si compie una sorta di rituale, operato da sole donne. Ciò che accade è manifestarsi della contraddizione in quell’imperfetto pensiero di estirpazione, avviene una trasformazione, un mutar di forma che non può negare la propria natura. “Tessere non significa soltanto predestinare (sul piano antropologico) e riunire insieme realtà diverse (sul piano cosmologico), ma anche creare, far uscire dalla propria sostanza, come fa il ragno costruendo da sé la propria tela” M. Eliade La lunghezza dei capelli è inoltre misura di un tempo e dimensione di un vissuto; mi richiama l’immagine della bocca, la masticazione, un rimuginare. Rivedere e riordinare. Dopo aver creato un piccolo telaio, ritmicamente puntato di spilli per tendere l’ordito, ho subito iniziato a tessere i capelli, annodandoli due a due per creare la trama. Mi aspettava un tempo lunghissimo, un tempo minuzioso, un tempo intimo. Per poter maneggiare i capelli così finemente ho dovuto inizialmente costringermi alla sedia e a una metodicità quasi mantrica del gesto. L’idiosincrasia verso la cura insistente della mia capigliatura si riversa invertendosi attraverso la maniacale e meticolosa ripetitività dell’atto e del movimento nella creazione di un oggetto, un fazzoletto. Questo atteggiamento mi ha indotto a formalizzare il processo in ciò che già riconoscevo come performativo. Ho cercato così di riformulare le immagini, dandone ulteriori sviluppi, volevo un abito che limitasse e contenesse l’inesorabile lavorio e quella tensione trattenuta. Operare direttamente sull’abito mi permette di dirigere lo sguardo facendolo diventare parte fondamentale del lavoro stesso. In questo caso mi ha permesso di rendere visibile la separazione dialogante dello corpo stesso, lasciando lo spazio aperto frontalmente sotto il tavolo, una casa un piccolo tempio vincolante e in superficie l’incessante operazione minuziosa di scelta, annodamento, tessitura.

tra due pagine: 15 Dicembre 2012 Venice International Performance Art Week, Palazzo Bembo, Venezia Stills da video girato da Alice Pozzoli per VIPAW


Quello che viene presentato è un frammento che tenta di portare in sé l’intero processo, come una sorta di seme. In questo caso un seme di due ore e mezza di performance. Per chiudere il cerchio ritorno alla masticazione, alla bocca che rimane. Una volta terminato il piccolo velo, andrò a ricreare le condizioni per un altro lungo tempo di contemplazione ma sotto altro rito e direzioni. Questo tempo desidererei venisse versato per una rappresentazione in forma di disegno estremamente dettagliato che mi vedesse posare ,a più riprese, con il velo a nascondere buona parte del mio viso, ne rimarrebbe solo la bocca scoperta.

Questo successivo ed ultimo grado del lavoro vorrebbe insistere su quella immagine al contempo occultatrice e rivelatrice presentando il mio volto nascosto dal prodotto del mio corpo, come una sorta di egofagia, mangiar sé stessi, occultandosi ma rendendo inevitabilmente visibile l’atto e il consumo.



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Serie di auto-ritratti P r o g e t t o i n c o r s o G e n n a i o 2 0 1 3


“In biologia per adattamento s’intende la correlazione fra Un muro di volti, un mare di volti, concentrati in una le strutture e le funzioni degli organismi e le condizioni sorta di vertiginoso elenco, un’analisi medica di bocche, dell’ambiente in cui essi vivono e anche l’atto o il proces- occhi, fissi in uno sguardo fermo, immobile. so di adattarsi, cioè di raggiungere la correlazione suddet- Sono volti ripetuti al ritmo delle conversazioni sfuggevota. L’adattamento può rivestire due aspetti, a seconda che li, degli incontri di pelle, di ore di sguardi, di osservaziinteressi il singolo individuo o una sua parte ( a. fisiolo- oni, contemplazione dell’altro. gico) o una serie di individui, attraverso le generazioni L’altro. ( a. genetico). L’adattamento fisiologico o funzionale è Ognuno di questi volti nasconde (e rivela) la struttura espressione di una facoltà, geneticamente determinata, di dell’altro. Il mio ignoto doppio con la quale ho un dialofar variare entro certi limiti strutture e funzioni per ade- go privato rivela (e mimetizza) i dettagli del mio volto. guarsi al cambiamento di circostanze esterne. [...] Nella specie umana, l’adattamento comporta modifica- In un’ipotesi espositiva i volti andrebbero accostati l’uni zioni morfologiche e fisiologiche di lieve entità, poiall’altro senza alcun spazio fra loro, fra i fogli, per lascché l’uomo è quasi del tutto svincolato dall’ambiente, iare ai segni a grafite il compito del ritmo. Andrebbero essendo in grado di modificarlo. Comunque, esistono insieme a riempire un’intero spazio architettonico che adattamenti delle popolazioni umane a particolari consia “chiuso”, delimitato. Da qui l’assoluta necessità di dizioni ambientali estreme: l’adattamento alle altitudini adattamento del lavoro allo spazio che incontrerà. comporta un aumento dell’emoglobina nel sangue e lo sviluppo di un torace più ampio e di una maggiore capacità polmonare nelle popolazioni montane; l’adattamento al freddo è soprattutto di tipo culturale (abiti e case delle popolazioni artiche) e comportamentale, ma comporta anche alcune modificazioni fisiologiche, quale la riduzione della circolazione a livello delle estremità, che hanno quindi una temperatura inferiore a quella del tronco, e morfologiche quali la statura ridotta, arti piuttosto corti, ecc.; l’adattamento al caldo comporta un aumento della sudorazione e una migliore ritenzione dei sali di sodio. Taluni adattamenti genetici nell’uomo risultano svantaggiosi se l’uomo si trasferisce in ambienti diversi da quello di origine; per esempio, gli eterozigoti per la talassemia, avvantaggiati in ambiente malarico, possono andare incontro a crisi emolitiche in alta montagna.” Adattamento, dall’enciclopedia Treccani

Grafite su carta da 90g 21x29,7 cm circa ognuno



“[…] Tutti i sistemi biologici (organismi e organizzazioni sociali o ecologie di organismi) sono suscettibili di cambiamenti adattavi che assumono molte forme (risposta, apprendimento, successione ecologica, evoluzione biologica, evoluzione culturale ecc.) secondo le dimensioni e la complessità del sistema considerato. Qualunque sia il sistema, tuttavia, i cambiamenti adattavi dipendono da anelli di reazione, siano essi quelli della selezione naturale o quelli del rinforzo individuale; di conseguenza il sistema deve sempre adottare un procedimento per tentavi ed errori e impiegare un meccanismo di confronto. Ma il procedimento per tentativi ed errori implica sempre degli errori , i quali rappresentano sempre, dal punto di vista biologico e psichico, un costo. La conseguenza è ce i cambiamenti adattavi devono essere sempre gerarchici. C’è bisogno dunque non solo di quel cambiamento del prim’ordine che soddisfa la richiesta ambientale (o fisiologica) immediata, ma anche di cambiamenti del second’ordine, i quali ridurranno la quantità dei tentativi necessari per portare a compimento il cambiamento del prim’ordine, ecc. Mediante la sovrapposizione e l’interconnessione di molti anelli di reazione, noi (e come noi tutti gli altri sistemi biologici) non solo risolviamo problemi specifici, ma ci forniamo abitudini che applichiamo alla soluzione di classi di problemi. Ci comportiamo come se un’intera classe di problemi potesse essere risolta sulla base di ipotesi e premesse meno numerose dei problemi della classe; in altre parole noi (organicismi) apprendiamo ad apprendere, o, con termine più tecnico, deutero-apprendiamo. Ma le abitudini, com’è noto, sono rigide, e questa loro rigidità è una conseguenza inevitabile della posizione che esse occupano nella gerarchia dell’adattamento. Il risparmio, in termini di tentativi ripetuti, che ci procura il formarsi di abitudini è possibile proprio perché esse sono ‘programmate’ in modo relativamente rigido: il risparmio sta proprio nel non riesaminare o riscoprire le premesse di un’abitudine ogni volta che di tale abitudine ci serviamo. […] Ora, le proposizioni particolari che io ritengo importanti nella determinazione delle sindromi transcontestuali sono quelle astrazioni formali che descrivono e determinano un rapporto interpersonale. Ho detto «descrivono e determinano», ma anche questo non è esatto; sarebbe meglio dire che il rapporto è lo scambio di questi messaggi, ovvero che il rapporto è immanente in questi messaggi. […] Ma agire come (o essere) uno dei due termini di una struttura d’iterazione significa chiamare subito in causa l’altro termine; viene così preparato un contesto per una certa classe di risposte. Questo tessuto di contesti e di messaggi che propongono un contesto (ma che, come tutti i messaggi, hanno un ‘significato’ solo grazie a contesto) è l’oggetto della così detta teoria del doppio vincolo.”

Doppio vincolo, 1969, da Verso un’ecologia della mente, Gregory Bateson


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V E N T I Q U A T T R O O R E

N E L L A C A S A D E L PA D R E

D u rationa l performa nce 31 A g o s t o - 1S e t t e m b r e 2 012 T o r i n o



La mia città natale. Lentamente cammino per le sue strade e una strana e fastidiosa sensazione mi prende alla gola: non è casa mia. Non abito questi spazi, eppure mi si riferiscono, mi han formato. Appartengono ad una memoria lontanissima, sconosciuta ai miei occhi diurni, che ora indagano la città come per riappropriarsene, costretti a inventare e generare oniriche immagini. Un sogno recente mi vede seguita, spiata in ogni mio spostamento e i luoghi che attraverso vengono segnati, con grossi carboni sui muri, al mio passaggio. Ho scelto un osservatore silenzioso, un occhio che scattasse in maniera continua e senza giudizio fotografie durante le ventiquattro ore di performance che mi vede

abitare la casa di mio padre, dopo aver abbandonato ogni previsione, rendendomi cieca. La condizione di cecità, vissuta a livello fisico, porta inevitabilmente a “vedere in altro modo”, in maniera sinestetica. Da questa di per sé “banale” condizione si aprono quindi ulteriori modalità di percezione, in parte dettate dall’adattamento del corpo (dopo poche ore iniziano emicranie, capogiri, nausea e un senso di irrigidimento) e inoltre a un totale ascolto, che mi ha dato modo di ri-conoscere e ri-vedere ogni cosa all’interno di quello spazio e all’interno di quella situazione.

In una struttura dove le regole che ho imposto si allontanano come mai prima da una pratica qualsiasi di creazione materica per me, rimangono oltre agli onirici segni sui muri, le fotografie, alcuni disegni e parole nati dalla necessità di tradurre su carta quel ri-vedere e quel maneggiare il rapporto stesso con mio padre e il luogo.



I N - V E R S I O N I

P r o g e t t o t r a t t o d a: Uno, Nessu no e Centom i la di Luig i Pirandello

Te s t i mone: M ic a el a L e on a r d i G e n n a io 2 011 - G i u g n o 2 012 Isola del la Cer tosa V e n e z i a




“ Iniziai chiedendoLe di leggere uno,nessuno e centomila di Luigi Pirandello. Ho motivo di credere, l’opera d’arte tanto più il lavoro di Leonardi, abbiano le stesse dinamiche della scena. Ad un certo punto della storia il teatro eliminò il concetto di mera rappresentazione per riflettere maggiormente sul processo. - Ne l’arte come veicolo, il montaggio è invece fatto dall’attore e per se stesso. L’attenzione non è più rivolta allo spettatore, e questo consente di ridare in mano all’attore il proprio processo creativo e costruttivo, finalizzato ad un personale percorso di elevazione da un’energia pesante verso un’energia più sottile Jerzy Grotowski, Dalla compagnia teatrale all’arte come veicolo, cit., p. 131. La pedagogia teatrale non si occupa dell’attore bensì dell’uomo. Non ha come fine ultimo il palcoscenico, le istituzioni, il mercato. Non c’è realmente una conclusione al percorso intrapreso. Il cuore risiede nell’esperienza. L’uno rappresenta i tutti. Se una persona è capace di mostrare il proprio sacrificio inevitabilmente avverrà un fenomeno di proiesi collettiva. Questo è il presupposto per scrivere una nuova comunità. I principi appena descritti hanno guidato la collaborazione fra me e Leonardi. In campo artistico potremmo facilmente affermare che la Performance può avere in sé quanto detto. Il tentativo è andare oltre lo stesso concetto di Performance scoprendo un nuovo modo di essere artisti che vivono – non rappresentano. Chiesi a Micaela di annotare accanto al testo appunti di ogni genere. Immagini. Riflessioni. Dopo aver attentamente studiato le sue annotazioni Le indicai un luogo, l’Isola della Certosa di Venezia ed una parola su cui agire. Nacque dopo qualche mese di preparazione il primo capitolo che ebbi modo di vedere unicamente da sola, in totale assenza di pubblico: esclusivamente la sua aiutante, una telecamera ed io. Dobbiamo guardare al video-testimonianza (dalla quale vengono tratte le stills delle facciate precedenti) come fosse la prima pagina di un nuovo copione, la drammaturgia aperta di una Performance in evoluzione Ad oggi, ancora solo abbozzato. Osservai il suo battesimo. Battesimo era la parola d’agire. Il desiderio è proseguire per comprendere e codificare questa modalità di lavoro tesa alla creazione di un’opera d’arte di stampo pedagogico. L’artista non crea ma attraversa un’esperienza che, conseguentemente con sacrificio, condivide. S.


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I n s t a l l a z i o n e C er a , C or d a i n c a n a p a , G e s s o misure 2,5x2m circa D i c e m b r e 2 0 1 1

In occasione del l’esposizione E l a b o r a r e i l l u t t o Magazzini del Sale 3 V e n e z i a


Sophrosyne è per gli antichi greci la capacità di controllo, dominare e dominarsi; una sorta di illusorio potere, molto efficace, che tutt’ora rimane intesa come una virtù e una verità percepita dal basso delle nostre debolezze. La stessa illusione che abbiamo nel momento della creazione di qualcosa, continuamente avviene la volontà di controllo e continuamente abbiamo la frustrazione nell’impossibilità di legare per sempre ciò che sfugge e vive di vita propria.


N A R C I S O e E C O

I nsta l la zione e Performa nce Videoproiezione e Diseg no M a g g i o 2 0 1 2 V e n e z i a L i b r o d i I n c i s i o n i Book, misure 40x54cm S e t t e m b r e 2 0 1 1 V e n e z i a


“[…] Così quello, divenuto molto famoso in tutte le città dell’Aonia, dava responsi infallibili alla gente che glieli chiede va. La prima a sperimentare che le sue parole eravo veritiere e degne di fede fu la cerulea Liriope, che una volta il Cefi so aveva attratto nei suoi meandri e avvolta nelle sue onde per farle violenza. Rimasta incinta, la bellissima ninfa aveva par torito un bimbo che già appena nato ispirava amore, e lo aveva chiamato Narciso. Sull’avvenire del figlio aveva poi consultat il vate per sapere se questi sarebbe vissuto a lungo, arrivando fino a una avanzata vecchiaia; ne aveva avuto il vaticinio ch ciò sarebbe avvenuto se non avesse conosciuto se stesso. La predizione per lungo tempo sembrò senza significato, ma f convalidata infine dai fatti e dalla stranezza della follia che portò Narciso a una morte fuori dal comune. Il figlio del Cefi so aveva ormai sedici anni e poteva sembrare ancora un fanciullo ma anche un giovane uomo. Era l’oggetto del desiderio d molti ragazzi e molte fanciulle, ma nessuno poteva toccarlo, tanto grande era la superbia che albergava in quel giovane corpo. Una volta lo vide, mentre sospingeva i cervi impauriti verso le reti, una ninfa tutta voce, che non sapeva tacere davanti a uno che parlava, m nemmeno esprimersi per prima: era la risonante Eco. In quel tempo essa era ancora dotata di un corpo e non ridotta a pura voce Ma pur essendo fornita di una bocca chiacchierina, la poteva usare per rimandare il suono delle ultime tra molte parole, proprio come ora. Era stata una vendetta di Giunone. Poiché la dea avrebbe potuto sorprendere le ninfe che si accoppiavano spesso su monti col suo Giove, la furba Eco la intratteneva con lunghi discorsi, perchè le altre avessero il tempo di fuggire. Ma a un be momento la Saturnia se ne era accorta e aveva decretato: “Potrai servirti ben poco di questa lingua che si è presa gioco di me ed emettere solo brevissimi suoni”. E la minaccia si era realizzata. Da allora Eco ripete soltanto la parte finale di un discorso ch ha ascoltato, riecheggiandone le parole. Quando ella dunque vide Narciso che errava per i campi solitari, subito si accese di desi derio e si mise a seguirne le orme di nascosto. Quanto più gli si avvicinava, tanto più si infiammava, proprio come lo zolfo vivo spalmato sulla punta delle fiaccole, si incendia rapidamente se gli si accosta il fuoco. Quante volte avrebbe voluto abbordarlo co dolci parole e rivolgergli suadenti preghiere! Ma la sua natura vi si opponeva e non le consentiva di prendere l’iniziativa. Era però pronta a fare quello che le era consentito, cioè ad aspettare di cogliere dei suoni, sulla scorta dei quali rimandare le parole Una volta per caso il ragazzo si era separato dalla schiera dei compagni e, accortosene, gridò : “ Ebbene, qualcuno c’è?” . “ C’é!”. Rispose eco Lui rimase stupito, scrutò da ogni parte ed esclamò a gran voce: “Vieni!”. Ella gli rimandò l’invito. Narciso si guardò alle spalle e, poiché non vide venire nessuno, di nuovo domandò : “Perchè fuggi via da me?” e ricevette in risposta, come prima, le parole che aveva pronunciato. Insistett allora, tratto in inganno dalla voce che replicava, e rispose : “Qui incontriamoci!” Non ci poteva essere invito a cui Eco avrebbe risposto con più gioia. Ripetè : “Incontriamoci!” E assecondando le sue parole usci dal bosco, protesa nella speranza di buttargli le braccia al collo. Lu invece si mise a fuggire gridando: “toglimi le mani di dosso! Vorrei morire piuttosto che darmi a te!”. Lei non rispose altro che “ Darmi a te!”. Colpita dal disprezzo del giovane, si rifugiò nel bosco e si nascose vergognosa tra le fronde senza più abbandonare da quel momento le grott deserte. Ma l’amore le restò confitto nel cuore e alimentava la delusione di essere stata respinta : l’affanno non le per metteva di dormire, dimagriva, la pelle le si raggrinziva e tutto l’amore del suo corpo si disperdeva nell’aria, lascian do solo la voce e le ossa. Quella voce persiste, mentre dicono che le ossa si siano mutate in roccia. Da allora resta nasco sta nelle selve senza che la sia possa vedere allo scoperto. Ma tutti la sentono : è il suono quello che sopravvive in lei


V’era una fonte che splendeva come argento liquido, non contaminata dal fango, a cui mai avevano attinto i pastori ne si erano abbe verato le capre o altre greggi dopo il pascolo montano; mai era stata sfiorata da un uccello o turbata da una fiera o dalla caduta di u ramo da un albero. Intorno vi cresceva l’erba alimentata dalla vicinanza delle acque, e c’era un bosco fitto e fresco che non lasciav passare nemmeno un raggio di sole. Giunto qui il ragazzo, stanco per avere cacciato con impegno sotto la calura, si butta a bocconi per immergersi nella bellezza del luogo e per accostarsi alla fonte : e mentre cerca di soddisfare la sete, gliene cresce un’altra dentro Beve e vede il riflesso della sua bella persona nell’acqua : ne è preso e si innamora di un illusione che non ha corpo, pensando che sia corpo quello che non è altro che onda. E’ stupito e attratto da sé stesso e resta immobile senza battere ciglio come una statua di marmo Pario. Steso a terr contempla il suo gemello, i suoi occhi, due stelle, la chioma che sarebbe degna di Bacco e perfino di Apollo, le guance imberbi, il collo d’avo rio, la nobiltà del volto col suo colore bianco e rosa: insomma ammira tutti quei particolari che rendono lui stesso degno di ammirazione Senza saperlo si innamora di sé e si applaude; e contemporaneamente soggetto e oggetto del desiderio, accende il fuoco e ne è arso Quanti baci vani dà alla fonte! Quante volte immerge nell’acqua le braccia per cingere quel collo che gli appartiene: ma non riesce ad allacciarlo. Non sa chi sia quello che vede ma brucia per lui ed è quella falsa immagine che eccita i suoi occhi. Ingenuo, perchè ti af fanni ad afferrare un ombra che ti sfugge? Non esiste quello che cerchi! Voltati, e perderai chi ami! Quello che vedi non è che un tenu riflesso : non ha alcuna consistenza. E viene con te, resta con te, se ne andrà con te, ammesso che tu riesca ad andartene Ma nulla lo smuove di lì : non bisogno di cibo, non di sonno; abbandonato sull’erba all’ombra, contempla insaziabil mente quell’immagine menzognera e si strugge attraverso i propri occhi. Poi, sollevatosi un po’, tende le braccia alle sel ve che lo circondano, chiedendo loro: “ ci fu mai, o selve, qualcuno che soffrì di un amore più crudele del mio? Voi certo lo sapete perchè siete servite da rifugio a molti, quando ne avevano bisogno. Voi che siete così vetuste, ricor date di avere mai visto, nel corso della vostra lunga vita, qualcuno che così si sia consumato? Sono innamorato e vedo l’oggetto del mio amore, ma non riesco ad afferrarlo : fino a tal punto l’amore mi lusinga e mi confonde! E per maggiore disappunto non l’immenso mare a separarci, ne un lungo cammino, ne i monti, ne le porte sbarrate di una cinta di mura, bensì solo poca acqua. Anch lui desidera il mio abbraccio! Tutte le volte che mi sporgo per dare baci alla limpida corrente, lui si sforza di raggiungermi, con la boc ca rivolta verso la mia : si direbbe ch’io possa toccarlo. È un nulla quello che si frappone al nostro amore! Fanciullo, chiunque tu sia esci fuori e vieni qui! Perchè mi deludi, mio unico amore, e dove te ne fuggi quando io ti desidero? Non è certo il mio aspetto, non la mia età a farti fuggire : altrimenti le ninfe non mi avrebbero amato. Il tuo volto amichevole mi induce a ben sperare e quando io tend le braccia lo fai anche tu spontaneamente; quando sorrido mi ricambi il sorriso; spesso ti ho anche visto piangere quando io piangev e così ti ho visto rispondere a cenni. Addirittura, per quanto possa capire dal movimento delle tue labbra, mi rimandi delle parole : ma queste non giungono al mio orecchio. Ma allora è chiaro! Quello che amo sono io stesso! Non mi inganna più la mia immagine! Bruci d’amore per me stesso e sono io ad accendere il fuoco che mi divora. E adesso che devo fare? Devo farmi pregare o devo pregare? Ma poi che cosa posso chiedere? Quello che bramo è in me : l’aver troppo mi ha reso povero. Oh! Potessi separarmi dal mio corpo! Sto for mulando un voto inaudito per un’amante : vorrei che l’oggetto del mio amore fosse lontano! Ma ormai il dolore mi toglie le forze non ho più molto tempo da vivere : muoio nel fior della giovinezza. Del resto la morte non mi spaventa, se con essa cercherò di soffrire solo vorrei che l’essere che amo mi sopravvivesse. Invece noi due all’unisono ci estingueremo in un unico sospiro!”da Le Metamorfosi, Ovidi




Libro di Incisioni misure 40x54cm




DALLE MIE MANI

Insta l lazione ambienta le Rose d i pa ne, corda i n ca napa A p r i l e 2 0 0 9 Cison di T r e

Valmarino v i s o



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S U L C O R P O Dimensioni variabili


Tecnica mista su carta 120g 30x40 cm circa

Tecnica su carta pescia 30x40 cm circa


Grafite su carta 150x100 cm



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