LIBRO D路EI SETTE SAVI DI ROMA. It
CONTI DI ANTICHI CAVALIERI a cura di VALERIO MARUCCI
State UniversHy of New YorJ(
Stony Brook LlBRARIES COLETTI
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EDIZIONE: dicembre 1987
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VIa Clitunno 24/F 00198 ROMA - TeI. (06) 867981
Le due operette accostate in questo libro hanno molti buoni argomenti per presentarsi assieme a un pubblico contemporaneo, senza che tuttavia le loro individuali specificità di contenuto, diforma e di intendimenti rischino di essere confuse o sovrapposte o annullate dal loro materiale avvicinamento. Ambedue risalgono a un 'età primigenia della nostra prosa letteraria di tipo narrativo, quella seconda metà del Duecento così fertile di iniziative e intraprese, non solo letterarie, e ancor priva del plastico e geniale condizionamento che il magistero di Dante e poi di Boccaccio - ma anche l'egemonia magnatizia di Firenze - avrebbe di lì a poco imposto al linguaggio; ambedue rimandano a un contesto più o meno geograficamente determinato, che fa perno sulla rissosa Toscana comunale: uno spazio fisico-politico che da un lato si apre al predominio della grande borghesia mercantile, da un altro conserva, specie nella sua periferia nord occidentale e sud orientale, forme di organizzazione economica e politica d'età feudale, le quali non mancano di scontrarsi anche duramente con là prorompente espansione della «novità» comunale. Sul piano più strettamente letterario, tanto il Libro che i Conti si inseriscono netrambito di quel filone narrativo che muove dal Fiore de' Filosafi, volgarizzamento e rielaborazione di parte di una delle più celebri enciclopedie del sapere medievale, quella di Vincenzo di Beauvais (Speculum histo5
riale), e culmina, allo scadere del secolo, nell'anonimo Novelli~o, quando ormai le componenti più diverse del narrare - gli ~xempla, i motti, i ricordi storici e mitologici, le infinite replzche della materia arturiana, le suggestioni orientali _ sono padroneggiate e organizzate da un'autonoma poetica del rac~onto, che ini::-ia nel Proemio della raccolta fiorentina a mlsurare teoretlcamente la sua funzione artistica etica e politica. ' Con ruoli diversi, ed anche con diversa fortuna Libro dei .Sette Savi.di Roma e Conti di antichi cavalieri so~o tappe lmportantl nel cammino liberatorio e veloce della narrazione a~~ist~ca, che tumultuosamente si dipana nel corso di I!0~o plU .dl m~zzo secolo; e di questo cammino registrano 11 rf'~cr?~lCO sVlluppo, ma anche le sincroniche contraddizioni e l ltmltl: ancora sospesi fra la dipendenza meccanica alla o alle fonti e la più libera capacità di adattamento e di reinven.zione; ~n~ora es~tanti nella configurazione dei propri statUtl ~a.r~atlvl e p~rfmo dei propri registri linguistici, ancora s~nsl~llt alla ~anegata spinta dei parlati locali come all'inevlt~blle preSSlone delle lingue letterarie di maggior prestigio: ~atzno e francese; ancora, e proprio qui si manifesta meglio 11 loro d,verso grado. di .«m.?dernità», in mezzo all'arduo guado - .m.a uno assaz dl plU, e meno l'altro - fra la sicura e tradlZlO,!~/e. spo.nda d~ll'esemplarità tipologica e virtuosa e quella plU nschlOsa e tnusttata di un narrare «contento di sé», capace d~ misu,:arsi con una realtà multiforme indivirfua.nrfone .le lmee ~l forza, l~ caratterizzazioni psicologiche mdlvldualz, le speciflche raglOni dei desideri e delle passioni narrate. Infine, un ultimo ma non trascurabile motivo di accostamen~o del Libro e dei Conti sarà il loro anonimato: testimone diff.uso, n~~ mc:ndo anti~o, del predominio della materia n~rratlva sull tndifferente flgura del raccoglitore o del compIlatore, dell'assoluto p~ivilegio della cosa narrata sulla persona del nar(atore. Le stlgmate dell'origine umile efunzionale della narratlva, la mancanza di degni modelli letterari nel 6
mondo classico e in quello romanzo; l'utilizzazione servile del racconto-esempio nella predica popolare, la comunanza di origine con lafiaba, col racconto d'osteria o di crocicchio, sono ostacoli così grossi sulla via della degnificazione letteraria del racconto in prosa da resistere fino a Boccaccio: e così il narrare antico non conosce quasi firma come non .conosce il concetto di plagio, proprio mentre i rimatori contemporanei, siciliani o guittoniani o stfnovisti, curano con pervicace attenzione il loro patrimonio poetico, sigillandolo con nome o pseudonimo e difendendolo con occhiuta acrimonia da furti e appropriazioni indebite. Eppure l'anonimato non sottende sempre un 'evanescente figura, come di puro copista o tramite o servile traduttore: i compilatori del materiale narrativo antico, anche prima di quello, geniale, del Novellino - se pure di uno solo si tratta -, hanno una loro personalità, sfumata dalle condizioni concrete del loro operare ma spesso non ottusa; vogliono, in brevi note, dare un senso alloro lavoro, trovargli o confermargli un pubblico, assegnargli un compito; riflettono oggettivamente la loro collocazione di classe e la loro cultura, generale e !}pecifica, ma a volte riescono pure a reagire soggettivamente con la materia che trattano, a esprimere giudizi e pensieri, a traspàrire vivi e interi dalla loro opera, così apparentemente anodina e impersonale: ad essere autori, se pur senza nome.
*** Per merito precipuo dell'imponente tradizione che ne sorregge lafragile impalcatura, il Libro dei Sette Savi diRama è assai più avanti dei Conti sulla via dell'autonomia narrativa. In esso la struttura compositiva addirittura si complica in un sistema a cornice, nel quale una novella principale contiene, in successione cronologica, le altre, opposte due a due per significati e intenzioni. Questa articolazione narrativa non è invenzione dei compilatori toscani e settentrionali che del 7
Libro hanno diffuso varie versioni, e che anzi tutti ne irrigidiscono e in parte ne alterano la vivace ricchezza; ma è propria delle illustri fonti dell'operetta, dall'India diramatesi precocemente al mondo arabo e alla Spagna, e più tardi, per altra via, sviluppatesi in Francia e in Italia sul modello del Dolopathos di Giovanni di Altaselva (sec. XII). Eccone la trama: un re, che nella versione occidentale del libro è addirittura un imperatore romano, ha un figlio che affida aWeducazione di sette saggi, fuori città. Mentre questi cresce sapientissimo, il padre resta vedovo e si risposa. La giovane moglie, sentendo lodare le virtù delfigliastro lontano, se ne innamora «per fama», rovesciando al femminile un canone cortese piuttosto diffuso nel romanzo arturiano e soprattutto nella lirica trobadorica. Ma il suo è un amore del tutto carnale, che la spinge prima a chiedere con insistenza al marito il ritorno a corte deljiglio, ormai dottissimo; poi, vistasi respinta, a cercare la rovina del mancato amante incestuoso con una falsa accusa di tentata violenza. Il giovane però tornava a corte con la difesa dei suoi sette maestri e della sua perfetta dottrina, che gli aveva fatto leggere nelle congiunzioni astrali il grande pericolo che gli si preparava. Di fronte aWaccusa, tace, perché sa che non sarà creduto o sarà frainteso; e il compito di scansarne la pena, dissuadendo l'imperatore, spetterà, l'uno dopo l'altro, ai sette sapienti, fin quando il termine del cattivo influsso astrologico non permetterà a lui stesso di perorare; novellando, la sua causa. Naturalmente, la moglie infedele - almeno neWintenzione - non sta a guardare: se i sapienti illustrano la loro difesa con novelle esemplari di donne false, fedifraghe e adultere, ella avanza a sostegno della propria accusa novelle di figli traditori e ingrati, disobbedienti al padre e pronti a far di tutto per assumerne il potere e la ricchezza; e di sapienti che u.sano la propria scienza per ingannare., arricchire ed esaltare, a danno dei meno dotti, la loro egemania sul sapere. 8
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Alla fine, il ritorno del figlio ~lla paro!a .pe~sua~e il padre e scioglie il meccanismo narrativo con l ellmmazwne VIOlenta dell'antagonista - la moglie finisce arsa viva - e il trionfo del giovane principe.
*** Si racconta, dunque, per procrastinare una condan,na :come nelle Mille e una notte e in molte analoghe compllazwni narrative orientali - o per accelerarla, e in questo fragile equilibrio si risolve e si giustifica la struttura dell'0p,eretta, entro cui oscilla, vero motore a pendolo della narraZIOne, la debole volontà dell'imperatore, tanto desideroso di ascoltare storie esemplari quanto immediatamente pronto a farsene convincere, così da obbligare i contendenti a ricominciare sempre la loro attività persuasoria. La novella-cornice, garante della coerenza edella compattezza del narrare, è anche quella che meglio ripete e rivela le sue origini orientali: non solo racconto per ottenere un risultato, ma precisamente racconto didascalico-moralistico, in cui i Sette Savi del titolo agiscono come un filtro dialettico al groviglio di passioni e risentimenti che si scatena nel triangolo tragico padre-figlio-matrigna, indirizzandone la soluzione verso il trionfo del buono e del giusto. In altra versione del libro e, si badi, più antica, il titolo è però dedicato ad esaltare il cammino di salvezza del figlio, dolopathos «colui che patisce l'inganno», secondo le approssimative conoscenze di greco del monaco di Altaselva - come infondo il padre, ingannato dalla menzogna della spietata matrigna. Il cambio di titolo è forse l'esterna spia di un più profondo passaggio del senso generale del racconto, da «romanzo»biografia esemplare di un giovane che, in certo modo, subisce una prova di iniziazione alla vita adulta, a libro che esalta la funzione didattica e persuasiva dei sapienti: da esemplare itinerario di crescita a dimostrazione della potenzialità suasoria del raccontare, da oriente a occidente.
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Forse anche da ciò, oltre che dalle ridotte capacità narrative dei compilatori, deriva l'angustia psicologica dei protagonisti, spesso appiattiti sulla loro tipologiafino a sembrare a molti lettori moderni semplici «marionette». Questo è senz'altro vero per l'imperatore, che assume su di sé i tipi del marito vecchio e condiscendente, del padre deluso e geloso, del sovrano sospettoso, ma non riesce mai a costruirsi una qualsiasi credibilità narrativa che non sia confinata al ruolo già indicato di motore necessario della macchina romanzesca; lo è di meno per la giovane moglie e per il principe sapiente, la prima affissa al topico, illustre asse tragico di Fedra, che aveva già conosciuto vivaci anche se riduttivi sviluppi in ambiente medievale, tanto nei modelli «alti» - i romanzi cortesi -, quanto nella abbondantissima produzione umile e comica dei fabliaux; il secondo, che riproduce il nobile topos del giovane-vecchio, giovane d'anni ma saggio e riflessivo come un anziano, non senza rivelare specifiche suggestioni orientali quando la sua avventura si configura più precisamente come ricerca e conquista della sapienza. E stato detto a buona ragione che la configurazione narrativa del personaggio del giovane principe tende a presentarcelo in termini agiografici (RICCI BATTAGLIA): e questo è vero nella misura in cui molte vite di santi, specie quelle di provenienza orientale, sono cpstruite proprio sul sublime ossimoro del giovanevecchio. Valga per tutte la quasi obbligatoria menzione di Iosafat nella Leggenda dei santi Barlaam e Iosafat, diffusissima in tutta Europa nei secoli XII e XIII fin alla sua solenne fissazione canonica nella Legenda Aurea di Iacopo da Varagine: e si ricordi che Iosafat altri non è che Buddha, la cui biografia esemplarissima si trasfigura cristianizzandosi nei fervidi crocicchi culturali del Medio Oriente medievale.
'" * * Ma non è soltanto la ricchissima tipologia psicologica e la lunga tradizione figurale che si accumula alle loro spalle lO
a rendere più credibili, complessivamente più sodi i due personaggi della moglie e del figlio detrimperatore, pur nella generale semplicità di mezzi narrativi presenti nel Libro. Per recuperare la loro accennata individualità, il lettore moderno dovrà, per quanto è possibile, cercare di porsi netraspettativa verso il narrato di un lettore medievale, che ambisce, in linea con i suoi autori, a una semplificazione tipologica detruniverso mondo che ne permetta il riconoscimento, la formazione di una gerarchia, la fissazione didascalica e in questo il senso ultimo di utilità, di necessità della scrittura. In un mondo in cui la storia è mutevole apparenza che nasconde un ben fermo disegno provvidenziale, in cui la realtà individuale è ombra, figura e prova della realtà eterna, è necessario che, come l'altissimo messaggio dei Libri Sacri viene indagato con le sottili armi detrermeneutica per fornire le medesime e pur sempre nuove risposte, così l'incessante esperienza della vita e l'inesauribile tesoro della cultura letteraria classica vengano ordinate in paradigmi; che «.. .si possano fissare nei loro tratti fondamentali e più costanti: soprattutto i moventi, che nel variare dei fatti e delle esperienze conservano una loro tipicità, che non è difficile classificare in un quadro» (BATTAGLIA). A questa stessa volontà di lettura paradigmatica del passato e del presente deve l'apportarsi il particolare stile letterario di tutta la narrativa preboccacciana; stile che, anche nel Libro, si presenta sempre veloce, essenziale, paratattico, teso a stringere i nuclei del racconto atrosso, per sboccare rapidamente atresito moralistico che lo scrittore via via si propone. Lungi dunque dal chiedere all'opera una rotondità e una profondità psicologica dei personaggi che l'autore non poteva né voleva rappresentare, dovremo saperci contentare dei brevi lampi in cui una mossa, una parola riescono a Il
scaturire con immediata naturalezza, con freschezza rappre· sentativa dal cliehé del tipo.
*** Se ora passiamo a confrontare lo sviluppo narrativo e il relativo impegno formale della cornice, più sensibile alle sue antiche origini romanzesche e più diffusa nelle descrizioni come nelle motivazioni psicologiche dei personaggi, con il tessuto delle quattordici novelle che ne dilatano e ne sorreggono l'ordito, registriamo in queste, assieme alla - ovvia - maggiore varietà delle fonti, anche la disparità del complessivo trattamento narrativo. Le novelle Il e X vivono ancora in un scarno clima da exemplum, deprivato non solo d'ogni tratto di colore, ma, nella seconda, perfino di parti del disegnato, necessarie a collocare credibilmente nella scansione esemplare a cui il libro lo destina il pur curioso aneddoto del saggio che si finge an?elo p~r intimorire i .nemici della sua città. È solo una rapida mduZlOne, una sottIle analogia, che permette allora atrimperatore di riconoscere nel racconto della moglie un 'implicita accusa atrabile finzione a suo danno dei sapienti-magi. . La. novella IV mescola vaghe suggestioni dalle favole d'ammal! classl~he e romanze a spunti di bestiario - il cinghiale ghlOtto dI pere e di carezze; la novella VIII esaurisce bruscamente il motivo del figlio che taglia' la testa al padre pur cosi fertile di sviluppi nella narrativa tre e quattrocente~ sca. La novella XI traveste di spintamisoginia la storia della 1V!atl'Ona di Ef.eso,. già narrata da Petronio nel Satyrieon e npresentata, dI qUl a poco, dal Novellino: non più esaltazione. della natu.r~lità impeccante del sesso, ma impietosa e repltcata d~scrzzlOne della foia femminile, disposta ai peggiori o?brobrz. sul ca~avere del marito, morto per amor suo, pur dI avere Immedzata soddisfazione. Analogo tono duramente antifemminile hanno le novelle Ve V11, che è la celebre sto12
ria del finto suicidio nel pozzo su cui Boccaccio costruirà la crudele beffa a Pietro da Vinciolo (Dee. VII4); ma il compilatore non riesce del tutto a imporre una rigida veste moralistica alla sua novella IX, che pure vorrebbe costituirsi come ulteriore esempio di critica antifemminile. In realtà, la storia della giovane moglie tenuta in clausura da un vecchio e geloso marito e liberata da un giovane ricco e astuto, che carpisce lafiducia detranziano giudice mentre gli toglie lafiducia in se stesso, finendo col renderlo complice della fuga della moglie e della sua punizione, non è soltanto una traccia più pertinente alla critica dei gelosi sciocchi che alla invettiva contro le donne - non a caso se ne ricorderà Boccaccio nel narrare l'avventura di Paganino del Mare - ma è anche una novella costruita con qualche sapiente artificio - accumulo, climax - e perfettamente godibile nella beffa pazientemente organizzata. Con questa novella entriamo netrOlimpo narrativo del Libro, e accanto a lei porremQ almeno le novelle 111, XII e XIV. La prima vede il protagonista, Ippocrate, educare con amore un geniale nipote e quindi ingelosirsi dei suoi straordinari successi medicifino ad assassinarlo; salvo poi doversi ricredere e pentire, di fronte alla malattia che lo ucciderà e a cui solo il nipote avrebbe potuto porre rimedio. Ippocrate e il nipote, come poi i protagonisti della novella XIV sono «figure» dell'imperatore e del figlio, legati e divisi d~ intricati nodi sentimentali, da passioni inconfessabili: il figli si appresta a superare il padre, e questi ne medita la morte' il figlio ripete i passi esistenziali e/o professionali del padre, e ne suscita assieme l'orgoglio e la gelosia; solo la pienezza della maturità del figlio salverebbe, se non la vita, almeno la coscienza del padre, ma è troppo tardi per accorgersene. Percorso analogo, con ribaltamento finale ed exitus felix dell'intreccio, ha invece la novella XIV: qui il tentativo di omicidio paterno va a vuoto, le peripezie romanzesche del figlio lo portano al trono e le vicende della sorte, rappresentate dalla carestia, rifaranno incontrare il figlio in trono e 13
il padre ridotto atrelemosina in una clamorosa, catartica agnizione. Nel mondo più appropriato, questa è narrata dal figlio dell'imperatore al padre, ed è l'unica che abbia valore risolutivo: la sapienza acquisita dai figli li destina alla gloria e li guida nel condurre alla felicità i sudditi del vecchio padre, nel preparare un meritato riposo alle sue fatiche; tutto ciò, a patto che la problematica ricerca di una propria identità da parte dei giovani non sia ostacolata, non susciti nei padri invidie, gelosie, pulsioni alla soppressione violenta di quetraltro se stesso, così tanto più giovane e promettente, che si vedono davanti. Nella massima articolazione narrativa possibile a questo autore, che non disdegna nella novella III il tentativo di costruire un racconto nel racconto e nell'ultima di riassumere brevemente l'epica favolosa del figlio predestinato, materia da romanzo più che da novella, si celebra il trionfo finale del giovane principe; e qui il libro non dimentica i suoi maestri, i saggi, maghi, intellettuali, filosofi che hanno operato con la parola per insegnare e per salvare il giusto ingiustamente accusato: ...ed agli filosofi che lo ammaistronno e camponno da morte donolli molto grande tesoro e fecegli grandissimi signori.
Quei filosofi, che un altro sovrano citato dal Libro fece ardere e che lo stesso imperatore era statoa spesso tentato di eliminare, meritano attraverso l'esercizio della parola ogni gloria, completano la loro ascesa sociale e ottengono il massimo, pubblico riconoscimento. Essi hanno narrato difendendo in giudizio, hanno dimostrato per exempla, come gli antichi e i nuovi oratoriprofessionali. Anche sul versante umile della narrativa, il maturo Duecento sa, dopo Brunetto Latini, esaltare i maestri di retorica e la retorica tout court: mezzo per appropriarsi dell'antica cultura e per produrre di nuova, per persuadere e 14
dissuadere, per volgere a proprio vantaggio gli eventi diversi della realtà quotidiana, individuale e collettiva, anche narrando novellette.
*** Il clima che si respira nei Conti d'antichi cavalieri è assai diverso da quello che può gustarsi nelle parti più riuscite, almeno, del Libro: più elevato e rarefatto, sa di voce che viene da lontano, nel tempo e nello spazio, e distilla un messaggio netto quanto monocorde, ripetuto quanto limitato, con una angustia ideologica che è probabile spia di una condizione latamente provinciale, forse già marginale del suo autore, piccolo intellettuale innamorato detrantico e del nobile, apparentemente sordo ai nuovi fermenti. Ai limiti inferiori della narrativa, i Conti hanno nei confronti della loro materia un atteggiamento per molti versi simile a quello delle più semplici cronache, tessute di aneddoti esemplari e di elenchi difatti eccellenti. La materia però non è qui la perpetua rissa extra e infracittadina in cui si risolve tanta parte della vita comunale, ma la biografia e le gesta esemplari di personaggi storici e leggendari, della classicità e del mondo feudale, da Ettore a Galeotto, da Alessandro Magno al Saladino al Re Giovane. Questo tranquillo sincretismo di antico e moderno - per quello fra letteratura e realtà basterà ricordare che non sempre gli antichi autori sono in grado di tirare una linea certa fra invenzione e storicità, e spesso ciò neppure interessa è l'elemento a prima vista più notevole dei Conti, per quanto non sia il solo né si limiti o si caratterizzi in modo specifico in quest'opera. Esso è piuttosto il segnale di un avvenuto travaso, o meglio di un doppio scambio, che sempre circoscrive i tanti momenti classicheggianti della produzione letteraria antica: da un lato, si compie un generosissimo recupero delle reliquie della classicità pagana che, opportu15
namente depurata, corrobora e detta norme eforme alla nuova letteratura volgare; dall'altro, questa assimilazione ricca e profonda si tinge di monocromo, si veste delle idee, dei costumi e degli atteggiamenti del mondo romanzo e consolida col suo antico prestigio gli ideali maturati in esso, di ·esso -propri. È questa una tendenza assimilatrice ben nota anche nel campo delle arti figurative, che oltrepassa di molto i limiti temporali che siamo soliti porre al Medio Evo: basti pensare a quante pitture di soggetto antico il Settecento travesta in figura di cavalieri e raffinate pastorelle. Ed è, si badi, un segno certo di astoricità, intesa in senso moderno, ma anche una misura della profondità e dell'ampiezza con cui l'antico - o il suo sogno, o il suo mito - pervade l'epoca che di volta in volta lo accoglie. I Conti non fanno, né potrebbero fare, eccezione a questa regola, ma semplicemente vi si conformano. Se i valori che si vogliono esaltare, le «vertÙ e 'l modo e... intenzione» per cui «omo dea operare e parlare» sono la cortesia, il coraggio disinteressato e la generosità, paradigmi entro i quali si misurano i campioni ideali d'umanità scelti dal nostro compilatore, è naturale che Ettore e re Tebaldo, Cesare e Galeotto siano più vicini fra loro di quanto non lo siano a tutti i loro contemporanei, veri o presunti, incapaci di conformarsi alla sublime tipologia dei perfetti cavalieri. Il «perfetto cavaliere» è dunque un tipo ideale ed eterno: nella prospettiva dell'autore, volta decisamente ad assolutizzare i suoi campioni, esso preesiste alla stessa istituzione della cavalleria feudale, di cui è storicamente un pur tardo modello, affiorato nella seconda metà del sec. XII nella letteratura di corte francese e imposto come protagonista ideale dalla grande personalità di Chrétien de Troyes: i suoi gesti, la sua figura, le sue azioni si richiamano laicamente alla figura del santo, a sua volta conformata alla figura di Cristo, Dio e perfetto uomo, paradigma di ogni virtÙ; e lo splendore delle gesta dei protagonisti del mondo antico, quando e 16
poiché esempla i medesimi sublimi valori che l'autore vuole esaltare, annulla nella sua luce accecante le meschine differenze di costume, d'età, di ideologia e perfino di religione professata, così che il Saladino, educato alla cortesia da Bertran de Born, si assiede di diritto a una ideale Tavola Rotonda che riserva un seggio ad Alessandro e uno al Re Giovane, a Cesare come a Pompeo.
*** I Conti, compilati nella seconda metà del Duecento più probabilmente fra 1270 e 1290 - da un ignoto autore che dalla lingua, venata di influssi umbri, pare un toscano sud orientale, forse aretino, riflettono dunque un'ideologia già ben matura nella Francia del XII secolo; e da alcune delle grandi opere di quella cultura raffinata e prestigiosa traggono anche buona parte della loro materia. Il Liber Ystoriarum Romanorum, i Fatti di Cesare, i Fetz des Romains, il Roman d'Alexandre di Alessandro di Bernai, il Roman de Troie di Benoit de Saint Maure, canzoni di gesta come il Folque de Candie, riassunto qui nel Conto del re Tebaldo, forniscono al compilatore toscano, che forse poteva già servirsi come guida di una precedente compilazione francoitaliana in prosa, gli elementi del suo narrare, monocorde ma proprio per questo non privo di un sottile, arcaico fascino. Più che la materia, in sé notissima, a noi interessa constatare che l'autore possa ancora credere che il suo modello di compiuto cavaliere sia non soltanto vivo e attuale, ma perfino esemplare per chi governa; ed è proprio questo che egli scrive nel brevissimo prologo, così convinto che basti conoscere il bene - in questo caso, la tipologia comportamentale del buon cavaliere - per farlo. Il tema del «diletto», del piacere che anche a un pubblico diverso, in mutate condizioni storico-sociali può derivare e 17
derivò dalle antiche leggende cortesi, è qui ancora tutto so/teso e sacrificato alla preoccupazione dell'«ammaestramento», dell'«inviamento bono» di «ciascuno cui governa». È ben vero che gli antichi cronisti aretini non dubitarono di riferire la falsa ma suggestiva notizia che il loro esercito, nel giorno della battaglia di Campaldino (1289), aveva eletto a guidarlo dodici paladini, come quelli di Carlo Magno: e ciò val bene a indicare quanta diffusa profondità, quanta duratura fortuna popolare avessero già raggiunto, nell'arco di un secolo scarso, le leggende cavalleresche, fino a sovrapporsi quasi naturalmente alle gesta belliche di borghesi e popolani e a dettarne gli atteggiamenti e le aspirazioni. Ma la pietosa illusione del nostro compilatore sui modelli praticabili agli uomini di Stato, in una Toscana da tempo incrudelita nellafilosofiapolitica del «cosa fatta capo ha», ce lo svela chiaramente come un ingenuo passatista, un uomo superato dagli eventi e dalla storia; storia che d'altra parte proprio in quegli anni subiva una paurosa accelerata, dopo tanti secoli di pigra evoluzione, così pigra da sembrare ferma. La sua insistenza sul tema della generosità, che glifa esaltare il Re Giovane - pessimo uomo politico, se pur grande cavaliere - contro l'avaro ma accorto Enrico II, lo pone sul clivo malfido della sterile nostalgia antiborghese - sterile certo per chi non abbia l'eccezionale tempra artistica di un Dante, e qui il povero aretino non entra neppure in gara con un Guittone, né con Folgore, né coi moltissimi rimatori e prosatori che dai vecchi ideali cavallereschi avevano tratto motivi di critica alla nuova società dell'interesse e del denaro. E mentre la sua ansia di «ammaestramento» ne riduce le velleità narrative al limite minimo della statuaria esemplarità, l'anacronismo del suo messaggio virtuoso lo confina all'isolamento e al precoce oblio. Valeria Marucci
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Libro dei Sette Savi di Roma
Il testo del Libro dei Sette Savi di Roma è quello proposto da ANTONIO CAPPELLI nella Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al XVII, dispensa LXIV, Bologna, Romagnoli, 1865. Il curatore lo trasse dal codice Palatino 95 della Biblioteca Palatina di Modena; l'anno precedente, una diversa e più moderna versione del Libro, tratta da un codice Laurenziano, era stata edita a Pisa per cura di ALESSANDRO D'ANCONA. Mentre questa pare condotta da un originale francese, Cappelli avanza l'ipotesi (pref., p. X) che la sua versione modenese derivi dt!un testo latino; e in effetti alcune forme linguistiche parrebbero avvalorare questo itinerario. Se non che, nella lingua del Libro palatino non mancano francesismi e ibridismi, tali che permettono di ipotizzare altre e intricate discendenze. D'altronde grandissima e complessa fu la fortuna antica del Libro dei • Sette Savi, o Syntipas: da un'origine probabilmente indiana, si dipartono infatti due vitalissimi rami, orientale e occidentale (cfr. C. SEGRE, La prosa del Duecento, Milano-Napoli 1960, pp. 51l-2); l'archetipo di quest'ultimo è il Dolopathos latino di Giovanni d'Altaselva (fine sec. XII), tradotto ben presto in francese e diffuso in varie versioni, fino a una ritraduzione latinoumanistica del 1475. L'originale latino da cui discenderebbe la versione _ probabilmente locale - edita da Cappellifu indicato dal Mussafia (Beitrilge zur Literatur der Sieben Weisen Meister, in «Sitzung berichte des kaiserl. Akad. den Wissenschaften», Phil. Hist. Classe, LVII, 1867, pp. 37-1l8). Nel riproporre il testo Cappelli, ho mantenuto le integrazioni avanzate dal vecchio editore per sovvenire alle mutilazioni e ai guasti del suo codice di riferimento; tuttavia, poiché la maggior parte di queste deriva dal con-
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franto con altra versione italiana del Libro, detta La crudele matrigna, pubblicata presso il Romagnoli di Bologna nel 1862, i cui rapporti con la versione modenese restano tuttora incerti e vaghi, ho trovato opportuno mantenere le parentesi quadre imposte dal Cappelli alle sue giunte anche in questa edizione, così che il lettore abbia immediata percezione di luoghi che, a una più moderna filologia, non possono che apparire sospetti, se non decisamente spuri. Per il resto, mi sono limitato ad avanzare un paio di minime proposte di correzione al testo Cappelli, ponendole fra parentesi uncinate e discutendole nelle note in calce. Ho inoltre ridotto a -ce, -ge i gruppi -cie, -gie monosillabici, tuttavia non costanti in tutto il testo, ma sporadicamente mantenuti da Cappelli; ho scioltO le abbreviazioni, ho indicato colpunto in alto i casi di assimilazionefonosintattica - noollo, noom ecc. -, ho introdotto l'apostrofo ad indicare caduta sillabica ad inizio di parola - 'lora, 'nanti - ed ho modificato la punteggiatura, riducendone gli eccessi e introducendo, quando necessario, la lineetta trasversale - e il punto esclamativo. Rispetto all'opus continuum del ms., conservato nell'ediz. Cappelli, ho introdotto separazionifra la novella-cornice e le singole novelle, sulla scorta di quanto già fatto da moderni editori, totali e parziali, del Libro, ma senza introdurre titoli editoriali e con una scansione leggermente diversa da quella operata da LucL'" BATIAGLlA RICCI IN Novelle italiane. Il DUecento. Il Trecento, Garzanti, Milano, 1982, pp. 13-48, che propq,ne il testo integrale del Libro meccanicamente ricavato dall'ediz. Cappelli, di cui per altro si limita a correggere i pochissimi - tre in tutto - refusi evidenti. Nelle note linguistiche, la sigla Rohlfs seguita da un numero arabo rinvia alla paragrafatura di GERHARD ROHLFs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966, volI. 3.
Un imperatore romano avea uno suo figliuolo unico da lui molto amato [il quale ebbe nome Stefano].! Pervenuto questo a etade di sette anni, l'imperatore lo diede da ammaestrare a sette suoi filosofi ch'egli avea nella corte sua: e li filosofi, ricevuto il figliuolo dello imperatore, lo condussero fuori della terra2 in uno luogo assai dilettevole e segreto, il qual distava dalla terra miglia dieci, acciò che meglio 'l potessero ammaestrare. Lo giovene imparava tanto, che i filosofi molto si maravigliavano; ond'esso fece si buon portamento, che in ispazio di dieci anni diventò più perfetto che niuno de' suoi maestri, e non era in lo mondo uno così savio com'egli. Addivenne che fra lo mezzo di questi dieci anni la moglie dell'imperatore e madre di costui morì; e lo imperatore, di consiglio de' suoi savi, netolse3 un'altra molto giovene e bella. La quale, avendo inteso della fama e bellezza di esso giovane, avvegnachè fusse suo figliastro, niente di manco s'innamorò grandemente4 di lui, che non si potea 1 [il ... Stefano]: sono state mantenute fra parentesi quadre le integrazioni proposte dall'editore ottocentescO dell'operetta, A. Cappelli (vd. Nota ai testi, p. 19; specie nella prima parte della narrazione, esse si fondano sul confronto con un'altrà versione del racconto, all'epoca già pubblicata a Venezia e riedita a Bologna nel 1862, nota come Storia d'una crudele matrigna. La loro attendibilità in questo testo è pertanto dubbia. 2 terra: città. J tolse: prese in moglie. 4 s'innamorò grandemente: l'innamoramento per fama, senza aver mai visto l'oggetto d'amore, è tipico motivo cortese, reso celebre da Jaufré Rudel e grandemente sviluppato nella lirica trobadorica e siciliana, da cui discende alle più tarde prose cavalleresche.
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contenere, 5 molestando ogni dì l'imperatore che dovesse mandare per lui, 6 conciossiachè molto lo desiderava di vedere. L'imperatore, innamorato, com'è usanza de' vecchi, i quali amano molto le gioveni, si sforzò di satisfarla: onde subito il sabato mandò suoi messi alli sette filosofi, dicendo che, se il figliuolo suo era assai? dotto, il dovessero condurre a casa. Ed acciocchè i filosofi potessero dare risposta alli messi, si unirono insieme ed interrogarono il giovane proponendogli diverse questioni, il quale si mirabilmente loro rispose, che cadette8 in grande ammirazione di quelli filosofi, conciossiachè essi non le9avriano saputo si pienamente dichiarare. E veduto questo, ritornano alli messi, dicendo: «Affrettatevi a partire e dite all'imperatore che il suo figliuolo è 'l più savio uomo del mondo, e che domani noi insieme con lui verremo alla terra». E cosi i messi ritornarono allo imperatore; e quegli molto allegro, e la sua donna, fece bandire lo a tutti li suoi Conti e Baroni che dovessero venire domenica a lui per accompagnarlo incontra al suo unico figliuolo. Partiti li messi, li filosofi stettero parlando con lo giovane; e così stando, lo giovane forte guardava una stella, però che era grande astrologo, 11 e, guardando, si cominciò tutto a conturbare e piangere amaramente. Vedendo questo, li . ; contenere: trattenere, dominare. 6 mandare... iui: mandare a prenderlo. 7 assai: abbastanza. 8 cadette: veline, salì. 9 le: riferito a questioni, poco sopra. lO bandire: annunciare ufficialmente, con bando reale. Il astrologo: l'astrologia, per la dignità della materia che studia - il cie-
lo - e la difficoltà oscura dei suoi principi, godeva nel medio evo di amplissima fama, tanto da identificarsi in parte con la stessa sapienza e da costituire componente essenziale della magia. La grande dottrina del giovane principe non poteva mancare di rappresentarsi proprio in questa disciplina, astrusa e affascinante.
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filosofi gli domandarono la cagione del pianto. Il qu~le.dis se: «Non vedete voi il segno di quella stella?» I quah dIssero: «Che segno?» Ed egli disse: «Il segno si è questo, che per tale via io debba andare in pericolo di ~rud~l morte». E guardando li filosofi, viddero ch':sso dIcea l~ ve~o: :' molto contristati, non sapeano che SI fare, concIOsslache, se andavano 12 temeano 'l pericolo del giovene mostrato per la stella, ~, se non andavano, temevano la indign~zion~ dell'imperatore per la promessa a lui fatta. 'Lora dIsse Il giovane: «lo considero per la stella che,se ~osso ca~par~ otto dì io sarò salvo». 'Lora ciascuno delh sette filosofI gli pro:Uise di salvarlo lo suo dì,13 Ond'esso d~sse: «~e voi avete animo di salvarmi per sette dì, menateml da mIO patre, altramente no». E cosi tutti promisero di salvarlo. Sicchè, venuta la domenica, cominciarono a cavalcare verso la terra e cavalcando, ecco lo imperatore con una grande comitiva di Baroni sì gli viene incontra. Ed essendo avvicir nati, l'imperatore si andò al suo figliuolo e, abbracciando: lo, il salutava: della qual cosa egli non rispose nulla, .anzl pareva che fosse muto. 'Lora lo im-?erator:, ~olto lr~to e conturbato, perchè credeva trovar Il suo flghuolo savIO, fece chiamare li filosofi, dicendo minacciandoli: «Voi mi diceste il mio figliuolo essere più savio uomo del mondo, e non mi favella!» I quali, molto contristati, dissero: «Alcuna cosa ha esso veduto, per la quale non vuoI parlare» . Tornato lo imperatore a casa, annunciò alla moglie ciò che del figliuolo era addivenuto, la quale ebbe grande letizia perché era già appresa l4 del suo amore: e sì lo fece venire a lei, parlando incontra 15 lui, il quale non rispondea ad alcuna questione. 12 13 14 15
se andavano: a corte, dall'imperatore. lo ... dì: un giorno per uno. appresa: incendiata, presa dal fuoco dell'amore. incontra: verso di.
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'Lora disse la donna allo imperatore: «Fate ch'egli venga meco in camara solo, ed io lo farò parlare, se mai parlòe». E lo imperatore, non avendo mala speranza,16 mandollo solo in camara, e la donna l'incominciò di dire parole d'amore, e che moria per lui. Questo non rispondendo a lei niente, disse la donna: «o tu farai la volontà mia in giacere meco, o io mi squarcerò tutta l7 e cridaròe e diròe al principo l8 ed a tutti li signori della corte sua che tue l9 hai voluto giacere meco». E ditta questo, lo giovane immantenente si parti fuggendo della camara: e quella, fori della camara cridando e piangendo e squarcendosi,2o dicea che lo figliastro era voluto giacere seco. L'imperatore, udendo ciò, s'egli era tristo 'nanzi, allora fue piùe, credendo ch'el figliuolo abbia voluto fare uno sì grande disinore, e comandò ch'egli fosse menato in pregione. Disse la donna allo imperatore: «Sappiate per ferm0 21 ch'egli non è vostro figliuolo, ch'egli non avrebbe pensato tanta malizia. Dunque fatelo uccidere, e se no"1l022 fate uccidere addiverravvi questo, che vi faràe morire a mala morte». 'Lora comandò l'imperatore che la mattina fosse menato alle forche. La mattina si levò l'uno dei filosofi e con grande riverenza andÒ allo imperatore e salutollo. Il quale rispose villanamente, dicendoli: «Avete voi così insegnato a mio figliuolo? lo lo faccio appendere per la gola, e quell023 farò anca di
.,
VOl..».
mata speranza: sospetto, dubbio di qualche male. mi ... tutta: mi strapperò le vesti. . 18 principo: imperatore, sul modello dellat. princeps. 19 tue: tu, con -e paragogica, piuttosto comune a questo testo nei monosillabi e nelle parole ossitone (cfr. Rohlfs 335). 20 squarcendosi: strappandosi le vesti. 21 per fermo: per certo, certamente. 22 no'Ilo: non lo. Assimilazione fonosintattica, per cui cfr. Rohlfs 242. 23 quel/o: la stessa condanna. 16
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'Lora rispose lo filosofo, e24 meravegliavasi che così savio uomo alla domandagione d'una femina fesse uccidere lo figliuolo senza cagione: «Ma a voi addiverrà come addivenne a un cavaliere, d'uno suo levrerF5 il quale amava molto». Disse l'imperatore: «Come?» Disse lo filosofo: «No"1l026 fate uccidere oggi, ed io vi dirò sì belle parole, che a voi piaceranno; altramente farete di noi e di lui lo vostro piacere». Promise l'imperatore d'indugiare, e comandò che 'l figliuolo fosse tornat0 27 in pregione.
NOVELLA I Disse lo filosofo: Un cavaliere avea un suo levreri molto bello, giovene e compitai e di tutta bontà, ed avea uno fanciullo il quale facea nutrire in cuna. 2 Addivenne un giorno che in Roma si dovè fare un torniamento. 3 Il cavaliere gli andò per vedere, e la donna e le servigiali4 montorn05 di sopra per vedere, e lassarono lo fanciullo e 'llevreri solamente in casa. La casa era molto vecchia, sì che d'una crepatura delle mura uscì uno serpente molto grande e terribile per divorare lo fanciullo. E lo cane, veggendo ciò, volea difendere lo fanciullo e com24 e: l'ediz. Capp'elli presenta un improbabile e' te ripreso dai seguenti editori. 25 tevreri: levriero, in forma francesizzante. 26 no"l/o: non lo. Cfr. n. 22. 27 tornato: riportato. 1 2 3 4
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=
'egli', passivamen-
compìto: ben addestrato. cuna: culla. tomiamento:. torneo. servigiali: serve, fantesche. montomo: salirono al piano superiore della casa.
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battea per questo con lo serpente: e così combattendo ad uno,6 la cuna del fanciullo si rivolse sotto sopra, sì che lo fanciullo rimase sotto sano e salvo. E facendo la grande battaglia lo cane e lo serpente, alla fine il cane uccise il serpente e rimase lo cane forte impiagato. 7 Ritornando una delle servigiali, vide il cane con la bocca insanguenata: crette8 ch'egli avesse morto lo fanciullo, cominciò a fuggire cridando. La donna,9 udendo ciò, dimandò la cagione, la quale ella li disse. La donna strangosciò lO incontenente, cridando e piangendo con tutte le sue servigiali. In questall giunse lo cavaliere a casa e dimandò la cagione dello pianto. Fugli detto: «Lo cane il quale avete tanto amato haemorto lo fanciullo vostro». Egli, guardando al cane, videlo insanguenato, crette che così fusse: immantenente l'uccise. E poscia andò alla cuna e levolla suso e trovò lo fanciullo sano e salvo. E poscia, guardando nella camara, vide lo serpente morto, e cioè cognobbe che lo cane l'avea morto, e molto fue tristo del suo cane ch'egli avea morto; ché dove li venia buon guiderdone;sì ebbe la morte l2 . Così addiverrà a voi, ché, se fate uccidere vostro figliuolo, ve ne pentirete alla morte;13 ch'egli dovrebbe conseguire guiderdone da voi,e voi lo volete fare uccidere. Udendo questo, l'imperatore rilassò l4 la sentenza del figliuolo. ad uno: insieme, fra loro. forte impiagato: ferito gravemente. 8 erette: credette, con sincope mediana. 9 La donna: la moglie del cavaliere, dal lato domina signora. IO strangosciò: impazzì dall'angoscia, uscì di senno. Il In questa: in quel momento, proprio allora. 12 dove ... morte: mentre il cane avrebbe dovuto ricevere un premìo (guiderdone), ricevette la morte. 13 alla morte: fino alla morte. 14 rilassò: rinviò, sospese. 6
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Ritornando la se:m lo principo alla moglie, trovolla molto trista e turbata perchè non era andata la sentenza a 'secuzione. 'Lora disse la donna a lui: NOVELLA II Questi vostri filosofi vi disertaranno l ed addiverravvi come addivenne a uno che avea uno suo giardino, [ed] aveali un pino il quale gittò una bella pianta2 e ritta, della quale molto si allegrava. E quando si partie, comandò allo lavoratore che di quella pianta avesse cura, eziandi0 3 s'egli dovesse [tagliare] tutte l'altre piante, e partissi. Stando lungo tempo, ritornò allo giardino per vedere la sua pianta, la quale vide tutta torta, e turbossi molto. Fece venire l'ortolano, e disseli: «Perchè hai avuto sì mala cura di questa pianta, servo malvage?»4 E quegli rispose: «Per li rami del pino». 'Lora disse il signore: «Servo maledetto, non t'avea io detto che tue devessi tagliare tutti li rami perch'ella andasse ritta?» E comandò che tutti li rami del pino fossero tagliati, e così fece. E lo simile addiverrà a voi, chè questi filosofi attendon05 molto alla difesa di questo giovene che voi appellaté vostro figliuolo, il quale vi disertarae e sarà signore con loro. «Certo - disse l'imperatore - io disertarò 'nanzi lui». E comandò ch'egli fusse menato a giudicare. E incontenente venne l'altro filosofo e disse allo imperatore, come aveva detto l'altro dinanzi dell'indugia: 7 «Mesvi disertaranno: vi manderanno in rovina. pianta: fusto, tronco. 3 eziandio: anche. 4 malvage: malvagio, infedele. 5 attendono: si dedicano. 6 che ... appellate: che continuate a chiamare. La donna, per giustificare la richiesta di morte del giovane che la ha respinta, insiste a insinuare nell'imperatore il dubbio sulla propria paternità, mescolandovi il timore di un colpo di Stato favorito dai filosofi. 7 dinanzi dell'indugia: prima del primo rinvio dell'esecuzione. I
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sere l'imperatore, così addiverrà a voi come addivenne allo savio d'Ippocràs».8 Disse l'imperatore: «Come?» E quegli disse che de'lesse fare quello di indugia al giudicio. 9 Impromiseli di farlo. NOVELLA III Disse il filosofo: Ippocràs si avea uno suo nipote molto savio in medicina. Addivenne 'lora in quella parte! che uno figliuolo d'uno re si ammalò gravemente, che tutti li medici l'aveano abbandonato. Ebbe consiglio il re che dovesse mandare per Ippocràs, che venisse a curare lo figliuolo senza dimoranza. 2 Mandò il re Ii sai messi con grandissima copia di moneta per conducerIo. Li messi furono a lui, esposeno loro ambasciata. Lo quale li rispose che non li potea venire per gravezza di tempO,3 e disseli: «lo vi darò mio nipote, ch'è molto savio; e, s'egli è uomo nel mondo ch'el debbia guarire, egli lo farà». Veggendo li messi che non poteano avere Ippocràs, menarono lo nipote. E quando fue a l'infermo, guardò lo re e la reina e dimandò li medici delli accidenti 4 dell'ammalato, e cognovve, secondo i filosofi,5 ch'egli non era figliuolo del8 allo ... Ippocràs: a quel famoso saggio di Ippocrate, medico greco (VIV sec. a.c.) istitutore dei principi della sua scienza. 9 che ... giudicio: che dovesse considerare quel giorno come di rinvio sospensione dell'esecuzione. '
in ... parte: in quella regione. senza dimoranza: senza indugio, di corsa. 3 per ... tempo: per la sua tarda età. • 4 delli accidenti: del decorso della malattia e dei suoi precedenti mediCI, conducendo una tipica anamnesi ippocratica. 5 secondo ifil~s?fi: seguendo le teorie mediche che aveva appreso, sospetta della patermta; ne ha la prova con l'esame delle orine che conferma il dubbio teorico. " !
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lo re, anzi era spurio. Onde si fece mostrare l'urina di ciascuno e cognovve con tutta verità che lo malato non era figliuolo di messere lo re; e disse che in secreto volea parlare alla donna, e disseli: «Se mi devete dire6 il vero di quello ch'io vi dimandarò, vostro figliuolo guari"ae, altrementi non potrà guarire». La reina li respose che bene li direbbe la verità. Disse lo medico: «Chi è patre di questo giovane?» Rispuose.la reina: «Chi vi credete che sia suo patre, se no il re, e dI che cosa mi fate questione?» Disse il medico: «Poscia che non mi dite la verità, io mi parto». Veggendo questo, la reina, la quale desiderava la sanità del figliuolo ma~if:stò a~ medico che uno era venuto nella corte il qual~ la n~hIese d, amor~, ed avvenne? questo giovene. E poscia lo medICO curoe lo glOvene, si che guarìe. 'Lora li fece dare lo re grande quantità d'oro e d'argento. Ritornato il medico a Ippocràs, narròe a lui ciò ch'era addivenuto. Ippocràs, udendo questo, fue pieno d'invidia; pensò che questi serebbe migliore medico di lui, imperciò che Ippocràs avea fatti molti li?ri d:lli quali temea che la memoria perisse, e perciò si pensò dI ucclderlo. Andò con lui in uno giardino, nel quale avea molte erbe vertudose, 8 e disseli: «Vedi tu alcuna erbavertudosa?» Ed egli disse che sì; e colsene e narrò tutte le virtù di quelle. !ppocràs, 'leggendo un'altra erba, disse al nipote che la c?ghesse: e quando si chinò per coglierla, Ippocràs trasse f~on un. coltello e sì l'ebbe morto,9 e celatamente lo seppelhe. AddIvenne che Ippocràs cadde in una grande infermità d1· fl USSO d'1 corpo, IO SI' grande che con tutte sue medicine non si potea astrignere,u 'Lora disse alli medici sai: «lo non pos~ Se ... dire: se vorrete dirmi. ed avvenne: e ne nacque, ne venne. 8 vertudose: medicinali, cariche di virtù curativa. Lo studio delle erbe
come noto~ era la base della farmacologia antica, tornata in auge nell'occi: dente medIevale tramite la mediazione araba. 9 l'ebbe morto: lo uccise. lO flusso di corpo: incontinenza delle feci. Il astringere: costringere, stagnare, trattenere.
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so astrignere lo corpo mio». Ed a ciò che [fosse cognosciuta la sua] scienza, comandòe che uno vasello forato fosse arrecato, e [poscia comandòe che fosse] pieno d'acqua, e miseli entro una polvere la quale fece stagnare tutti i pertusi,12 ché per la virtù della polvere non potea uscire fora l'acqua. E disse Ippocràs: «La mia infermità non si può curare». E piangea, dicendo: «Se lo nipote mio vivo fosse, questa infermità serebbe curata per lui». Onde Ippocràs uccise colui per lo quale avrebbe avuto vita, e così volete voi fare uccidere vostro figliuolo, per lo quale avrete anca vita ed accrescimento. Udendo questo, l'imperatore rilassò la sentenza del figliuolo.
NOVELLAIV Ritornando la sera alla moglIe, trovolla molto trista per la sentenza che non era mandata a 'secuzione, e[d ella] disse allo imperatore: «Così addiverrà a voi per questi filosofi come addivenne d'uno porco, il quale fue morto per grattare». Disse l'imperatore: «Come?» Ed ella disse: «Se mi promettete di mandare la sentenza a 'secuzione, dirovvelo», e sì disse: In un bosco era un porco salvatico, grande e molto forte, ed in quello bosco si avea l un pero molto bello, e recava molte pere: al quale venìa lo porco e crollava2 di queste pere e mangiavane. Addivenne che un pastore ch'era in quelle parti perdè un suo boe,3 il quale fuggìe al bosco, là dove stava questo porco. Lo pastore lo seguia, né no"1l04 trovava; 12
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pertusi: fori, aperture.
si avea: c'era. crollava: faceva cadere, scrollando l'albero. boe: bue. no"ilo: cfr. Cornice, n. 22.
e, andando per lo bosco, trovò le pere le quali mangiava questo porco, e cominciò a cogliere di queste pere per portare al suo signore, per mitigare sua ira. Un'altra volta ritornò al pero e cornìnciò di empiere suo sacco di queste pere e montò susa 'l pero, non sapiendo del porco niente. E così staendo, il porco venne al pero, e lo pastore si temeva a discendere per paura di lui. Lo porco, vogliendo mangiare delle pere, cominciò a crollare il pero como era usato. Lo pastore grande5 cominciò a gittare giuso delle pere pianamente, perchè lo porco mangiasse e partissesi pascio. 6 E quando lo porco ebbe mangiato assai, appoggiassi all'albero; e lo pastore, discendendo pianamente in terra [si appressò] allo porco e fregavalo [dolcemente]. Lo porco [sentendo piacere] cominciò [a piegarsi vicino a terra], e quegli, fregando verso la pancia, fessi gittare il porco riverso in terra, e lì si addormentò. Lo pastore, veggendo così,? tolse suo coltello e sì l'accise. E così faranno a voi, messer l'imperatore, questi filosofi, che con queste sue8 parole v'uccideranno. Udendo lo re questo, comandò che 'l figliuolo fosse menato la mattina al giudicio. NOVELLA V Venne lo terzo filosofo, e disse all'imperatore: «A voi pare l d'uccidere vostro figliuolo a petizione d'una femina ingiustamente, ma voi dovrete fare a lei come fece uno savio di temp02 a una sua donna giovene e bella, la 5 6 7
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grande: da sopra, dall'alto. pascio: pasciuto, sazio. veggendo così: vedendolo così. sue: loro. A ... pare: vi sembra giusto, opportuno. di tempo: attempato, anziano.
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quale volea bene a uno giovene.·E vogliendo fare secretamente suoi fatti con lui, sì lo disse alla matre, la quale matre ne la sconfortava;3 e quando pur vide sua volontà, disseli che dovesse fare una grande ingiuria al suo signore e, s'egli non se ne turbasse, 'lora potrebbe fare ciò che li piacesse. 'Lora la donna andò allo giardino e sterponne4 un moro, 5 il quale molto era a diletto di lui, e miselo al fuoco. Lo marito, veggendo questo, dimandò cui6 avea fatto sì mal'opera; e la donna disse che l'aveva fatto perchè non avea legne. Lo marito, perchè molto l'amava, disseli: «Male hai fatto; ma non t'addivegna mai tal cosa». La donna immantenente andò alla matre e disse1e ciò ch' era stato, e che volea sua promessa. 'Lora disse la matre: «Voglio che tue provi un'altra cosa: va e.sì uccidi lo suo lavorere, 7 il quale ama molto, e prendi ca: glOne ch' egli guasti i panni».8 E ciò fue fatto. Lo marito li disse di questo come avea detto dell'altro. Ritornando la donna alla matre, disse ciò che li era addivenuto. Disse la matre: «Voglio che tue facci la terza e, s'egli non si muta di senno, farò tutta tua volontà. Serai9 domenica, quando tuo marito f~à gr.ande c.onvito [di suoi] amici; andarai esederai appresso lUI, e hgherm la borsa all'anello della tavola sì che si ribalti· e, se di questo non si turba, poscia farai tua volontà». E fat: to questo, lo marito si turbò molto contra lei ma no ne mostrò niente contra coloro lO ch' erano' alla mensa. I~mantenente fece apparecchiare l'altra mensa compiuta ll dI tutte cose. E, quando fu partita la brigata, lo marito fece fare un gran fuoco e fece venire la donna dinanzi dal fuoco
e disseli: «Tu hai troppo sangue pazzo addosso», e fecela 'lora salassare di ambe le braccia, e tanto gli ne fece torre che parea che la morisse. E 'lora comandò che li fosse stagnato, e fece1a portare a letto. Vegnendo la matre a lei, dicea: «Figliuola mia, fòtti 12 venire quello che mi dimandavi?» E quella appena potea rispondere, e dicea che no'1l0 13 volea più. Messer l'imperatore, così dovreste fare voi: torre lo sangue matto di corpo alla donna vostra, e no"lli l4 dovreste credere quello che la vi dice, di fare morire vostro figliuolo. Udendo questo, l'imperatore rilassò la sentenza. NOVELLA VI Ritornando la sera alla moglie, ella disse: Che l si addiviene a voi come addivenne a uno re che non vedea lume2 di fuori dalla sua città, ed a molti savi· uomini ne dimandava consiglio, né non 3 potea trovare rimedio niuno di guarire. Ed eziandio avea e tenea VII filosofi, [a] li quali devea accertare di dare moneta, come egli interpetravano li insonii. 4 Ed in quello tempo era un savio che avea nome Merlino, e fu dato consiglio a messere lo re che mandasse per lui. Mandòe soi messi con grande quantità d'oro; li quali and~ndo a Merlino, ed essendo dinanzi a lui, uno passava il quale fece venire a sé, e disseli: «Tu vai alli filosofi dello i2
ne ... sconfortava: la sconsigliava. 4 sterponne: ne strappò, estirpò. 5 moro: gelso. 6 cui: chi. 7 lavorere: lavoratore, contadino, con esito francesizzante. 8 e ... panni: e dàgli causa di stracciarsi le vesti per il dolore 9 Serai: sarai presente. . IO contra coloro: verso, in presenza di quelli. Il compiuta: completa. 3
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fòtti: ti fo, ti faccio. no"llo: cfr. Cornice, n. 22. no"lli: non le. Cfr. Cornice, n. 22.
l Che: pleonastico, introduce un discorso diretto, secondo un uso non . insolito alla prosa antica. 2 non ... lume: era cieco. 3 né non: il raddoppiamento rafforza la negazione. 4 dovea ... insonii: teneva a stipendio, per far loro interpretare i suoi sogni; ma qui il testo è poco chiaro e forse guasto.
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re per dimandare d'uno [sonio], e quello che porti in mano si è uno [bisanto];5 e se tu lo mi vuoi dare, dirotti ciò che significa lo sonio tuo, il quale egli6 non ti diranno». Disse quegli: «Messere, volontieri». Disse Merlino. «Tue t'hai insoniato che una fontana era in casa tua». E quegli confessò ch' era vero. 'Lora disse Merlino: «Vattene e guarda sotto il focolare tuo, e troverai molto argento». Questi se n'andò e trovòe come avea detto lo savio; e li messi dello re andarono seco per vedere questo, e molto si meravigliarono. Ritornarono a Merlino e menarolo a messere lo re. Disse Merlino allo re: «Volete voi guarire del vostro male?» E quelli disse che sì. E Merlino disse: «Fate tagliare le teste alli VII filosofi che sono in vostra corte, e serete guarito». Lo re s'attristava molto, perchè sua corte si reggea per loro. 'Lora disse Merlino al re che devesse fare cavare7 sotto il suo letto. E quegli fece cavare, e trovò bollire una caldara c~e li m~ndav~ sette vapori, la quale aveva ordinata8 questl VII fIlosofI [per arte magica. Disse Merlino: «Fate tagliare la testa ad uno de' filosofi] e l'uno de' vapori cesserae». Disse lo re: «S'io trovarò come tu dici, faròe tutto lo tuo volere». E così trovòe come Merlino li disse. 'Lo~a fece tagliare le teste a li VII filosofi, e guarìe della sua mfermità. Così questi filosofi v' hanno accecato lo intendimento vostro, di che9 non vedete la verace via' ma voi li dovreste fare tagliare le teste, perchè hanno ~ale insegnato al figliuolo vostro. Disse l'imperatore: «Io disertarò loro» e comandò che 'l figliuolo fosse menato al giudicio. ' 5
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[bisanto]: bisante, moneta d'oro di Bisanzio. egli: eglino, essi. cavare: scavare. d' a~eva or, mota: avevano preparato, con concordanza a senso. di che: per cui.
NOVELLA VII Ecco il detto del quarto filosofo, che disse sì come avean detto gli altri: «Voi dovreste fare alla vostra donna come fece un savio cavaliere». Disse l'imperatore: «Che li fe'?» Rispuose lo filosofo: Un cavaliere avea una sua moglie, che amava un giovene. Lo cavaliere avea una aregazza 1 ch' era sì ammaestrata, che dicea al cavaliere ciò che vedea, ed aveala messa presso all'uscio della camara. Una fiata che lo cavaliere andò a cacciare, la donna mandòe per lo giovene. La gazza lo vide, è disse: «Madonna, voi .fate male, ché vituperate lo signore vostro, e certo io la gii2 diròe». La donna crette ingannare la gazza: fece montare la fante susa 'l tetto della casa, facendo cadere acqua in due bacili perchè mostrasse che piovesse [ e losinasse ].3 Ancora mandò la fante subitamente con uno lume in mano a serrare la porta, sì che mostrasse ch' egli si levasse l'altro dì. Vegnendo lo marito dalla caccia, la gazza li disse ciò che avea fatto la donna. Lo cavaliere era irato con la donna; voleala uccidere. La donna disse: «Dimandatela quando fu». Disse la gazza: «Fue ieri». Disse la donna: «Che tempo era?» Disse la gazza: «Pioveva e losinava», e quello dì era stato buon tempo. Disse la donna: «Voi vedete che la si mente per la gola». Lo signore fue molto irato contra la gazza e uccisela. E stando alquanti dì, guardò e vide di sopra un bacile che la fante s'avea dimenticato. Pensò la malizia della donna. Fece venire la fante, dicendoli perchè quello bacino era lassuso. Quella volea negare lo vero: fecela mettere al tormento,4 e 'lora disse la verità. Incontenente il cavaliere aregazza: gazza o piea, uccello ammaestrabile. lo gli: glielo. Il pron. diretto, femminile, sottintende probo «cosa» e precede, come di norma nella lingua antica, quello indiretto. l losinasse: balenasse, tuonasse (sett.). 4 tormento: tortura. l
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fece ardere la sua donna. Messere l'imperatore, così dovreste voi fare della vostra donna, che giudica5 vostro figliuolo .. Udendo questo, l'imperatore comandÒ che la sentenza fusse rilassata. NOVELLA VIII Ritornando la sera l'imperatore alla rilOglie, ella disse all'imperatore: «Così addiverrà a voi, come addivenne d'uno che fue morto dal figliuolo». «E come fue?» E quella disse: Fue un re che avea in sua corte due sescalchi:! l'uno era avarissimo, l'altro larghissimo spenditore, che in poco di tempo consumò quella pecunia ch'egli avea per mano. Chiamò un dì lo figliuolo, e disseli che non avea più da spendere. Lo figliuolo rispose: «Patre mio, voi spendete troppo, e non dovreste fare sì grandi spese come fate». Disse lo patre al figliuolo: «Truova ferramenti,2 e romperemo la torre nascostamente e spenderemo lo tesoro di messere lo re là dove noi vorremo». E così fecero più fiate. Spendendo questo avere, addivenne che quello sescalco avaro andò un dì alla torre e trovò essere rotto lo muro e tolto una grande quantità d'avere. E veggendo questo fue molto tristo e pensò come potesse prendere questo ladro. 'Lora fece fare una fossa presso alla rompetura del muro e empiè la fossa di viscio e di pegola3 ecoprilla. Andando questo ladro con lo figliuolo in la torre, cadde nella fossa, e andò nel viscio e nella pegola insino alla gola, sì che la testa rimase fuori solamente. Disse lo patre
al figliuolo: «Non ti fare più innanzi, chè tue lì r~n~arressi».4 Disse lo figliuolo al patre: «Che faremo?» Ed eglI nspose che nO'1l0 5 sapea: se no ché «mi tag~i la t.esta, a ~iò ch'io .r;on sia accognosciuto,7 e tue camperaI la vIt;l». E ~o~a taglI? la testa al patre e sotterrolla. Ritornato a casa, lo fIglIuolo d~sse aÌla sua famiglia [ciò ch'era avvenuto, e] che non dovessm~ piangere. Levandosi la mattina l'altro cast~ldo,8 credendo dI trovare lo ladro trovollo con la testa taglIata e non cognoscea cui egli si f~sse. Comandò ch' egli fosse strascinato per tutta la città acciò che la sua famiglia piagnesse quando passasse per casa sua. E veggendo questo la sua famiglia, non si potenn09 stare di piangere~ Il figliu<:lo fue :,ess~~o::o tolse un coltello e ferissi nella coscia. 'Lora disseno li offiCIali: «Che avete, che piagnete?» Disse il figl.iuolo: <:'!'aglian?o. un legno, mi ferii d'uno coltello nella COSCIa, perclO questI pIagneno». Credendo li ufficiali che fusse vero, sì si partirono. Così addiverrà a voi, messere l'imperatore, che vostro figliuolo vi taglierà aneo la testa. Lara disse l'imperatore che 'nanzi la farebbe al figliuolo tagliare, che 'I figliuolo a lui. NOVELLA IX Lo quinto filosofo venne e disse: Messere l'imperatore, voi non dovreste credere alla malizia di questa femina, perchè ne rimarrete ingannato; e addi4
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che giudica: che manda a giudizio di morte, che dà per condannato.
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sescalchi: siniscalchi, propr. 'maestri di tavola', ma più generalmente
procuratori, funzionàri di corte addetti al mantenimento. 2 ferramenti: attrezzi di ferro. 3 viscio ... pegola: vischio, pece.
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lì riman'essi: ci rimarresti, non ne verresti fuori. no' Ilo: cfr. Cornice, n. 22. che: cfr. nov. VI, n.l. accognosciuto: riconosciuto. castaldo: come sopra siniscalco, sescalco. non si potenno: non poterono, con concordanza a senso da nome col-
lettivo. IO vessato: terrorizzato.
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verravvi come addivenne ad uno savio giudice che avea una molto bella donna, la quale amava molto, e per gelosia la mise in una sua torre molto alta, in la quale non aveaI finestra se non di sopra, e non si potea ire a lei per alcun luogo, ché 'l marito portava la chiave della torre, e la donna non uscìà mai se non quattro feste dell'anno. Uno giovene venne alla città per vedere la festa, alla quale festa era la donna. E quando il giovene vide la donna così bella, fu preso d'amore di lei e andolli dietro. La donna si accorse che quello giovene l'amava, ma non ne curò, perchè sapea che non li potea giovare. Lo giovene era molto ricco e, veggendo questo, 2 comparò 3 una casa ch' era presso a quella torre e cominciò a fare grandissime spese,4 e addivenne amico del giudice ch' era marito di questa donna, facendo grandi mangiari con lui. Questo giovene fece fare una casa appresso la torre molto scura;5 e fece fare molti ferramenti da rompere lo muro di questa torre nascostamente, e cominciò di notte a rompere il muro per mezzo6 sì che non si potea sentire, e tanto ne ruppe ch' egli giunse alla camara là dove era la donna. Entrò nella camara a lei; ebbe molti suoi piaceri. E rispondea7 la rompetura sotto il letto, sì che non se ne potea avvedere lo marito; e la donna tenìa suoi panni dinanzi da quella, ché non volea che fosse veduta. E8 voleasi partil non avea: non c'era. Il tema dell'isolamento, di solito in una torre, causato dalla gelosia di marito vecchio o di padre severo, è topico nella narrativa orientale e occidentale fino al Filocolo boccacciano ed oltre. 2 veggendo questo: vedendo le condizioni in cui era tenuta la donna. 3 comparò: comperò. 4 e '" spese: tradizionale della narrativa di gusto cortese è anche il motivo della larghezza generosa e ospitale di chi ama, in contrapposizione all'avarizia dei mariti-borghesi. 5 molto scura: con poche aperture, cosi da coprire il rumore dello scasso. 6 per mezzo: a metà della superficie. Inspiegabile il significato di 'modo' attribuito all'espressione da Cappelli in nota e ripreso passivamente da altri moderni editori. 7 rispondea: corrispondeva, si apriva. 8 E: l'ediz. Cappelli presenta e', ma il sogg. è chiaramente la donna.
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re, e disse al giovene: «lo t'ammaestrarò, sì che ~ue mi p~ trai torre per moglie. Tonai li'pan~i del me? ~anto e vestIralliti e andarai dinanzi da 1m e dISCenderai gIUSO della tua casa ~er andare a vederlo, ~d egli .si m~raveglierà molto; e, fatto ciò, allora tornerai9 11 panm SUOI .al suo luoco>~. [Lo giovene fece come di~se la. donna. Il. manto guardav~ 11 panni, che gli parevano 11 SUOI,] e queglI non sapea ~?e SI dov~s se dire. E tornando alla torre lo giovane pe.r pIU breve v~~, tornava li panni. Lo giudice, tornando a leI, trovand? CIO: si maravigliava molto: credea ch 'l giovene fosse vestIto ~I nuovo. E così fece fare la donna d'uno cagnuolo del ~an to. Alla fine disse la donna al giovene: «Voglio che tu mI togli per moglie [ in sua presenza. ~o gio~ene ~ all~ra f~~e intrare in mare in una galea ch' eglI tolse tuttI SUOI amIcI, e disse al marito della donna: «lo voglio sposare una mia donna; piacciavi di farmi onore». E quegli rispuose: «Volentieri» e fue nella galea con gli altri. Poscia andò alla donna e f~cela apparecchiare e torrell tutte sue gioie e altte cose nascostamente, e menolla al mare là dove era questa gente. Lo marito, guardando quella, volselal2 ~ogn~scer~; m~ per quello ch' avea veduto dinanzi 13 non SI ardIva dITe me~te, e gli altri che erano lì la conosceano bene; ~a per lo mant?, che si stava cheto, non diceano nulla. Lo glOvene la sposoe presente il suo marito e tutti gli altri e tolse li<:enza da l~ro e intrò in mare, e partissi. Lo giudice ratto ntornandosi a casa credea trovare la moglie, ed erasene andata. E così addiverrà a voi messere l'imperatore, ché vostra mogliere v' ingannaràe, ~onfortandovi che pognate il vostro savio e caro figliuolo alla morte. tornerai: riporterai. tolse: comprò o prese a nolo. 11 torre: prendere. 12 Volsela: la volle credette di averla riconosciuta. 13 per ... dinanzi: ; causa del pr~~ungato eq~ivo~o ~u! suoi vestiti e su! cane, il vecchio marito non si fida pIU del proprIO gIUdIZIO e concorre COSI alla riuscita della beffa. 9
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Udendo questo l'imperatore, comandò che la sentenza fosse rilassata.
NOVELLA X Tornando la sera alla moglie, trovolla molto turbata, perchè non aveva mandato la sentenza a 'secuzione; e disseli:! Così serete ingannato da questi filosofi come fue un re pagano ch' era in oste2 attorno Roma con grande gente di pagani; e tanto vi stette ad assedio che li romani non si poteano tenere, 3 sì che l'imperatore gittò sua corona alli romani, dicendoli che difendessero la corona; per la quale cagione li romani voleano ire alla battaglia. E con esso l'imperatore aveatre maestri, che li diceano: «Messere, non andate alla battaglia, ché l'ultimo rifugio è quello della battaglia». E l'uno disse: «lo farò sì che li pagani non verranno questo. dÌ alla battaglia». E così fece l'altro il secondo dì. E lo terzo dì s'aspettavano d'avere la battaglia. 'Lora venne il terzo maestro e fessi fare vestimenta lunghissime, vermiglie e d'oro, e fessi fare grandi aIe e tolse una spada grande e lucente, e montò suso una grandissima torre nello levare del sole. Li pagani, vedendo questo, si maraveglionno molto: dubitonno che fosse Dio de' romani che li menacciasse, e'lora si partirono dall'assedio.
NOVELLA XI Lo sesto filosofo, vegnendo la mattina, diss~ all'imperatore: «Così addiverrà a voi come fece a un cavalIere, che fue morto per amore d'una sua moglie». Disse l'imperatore: «Come?» Disse lo filosofo: Un cavaliere avea una molto bella donna ch' egli amava molto e, mangiando seco a una tavola ed ella !agliando pane sÌ si tagliò la mano sconciamente. Lo manto, veggendo ciÒ, si morÌe. 1 Ella, veggendo lo marito morto per lei, cominciò a fare grande pianto, si che niuno no"lla2 potea consolare. E quando lo marito fue portato alla sepoltura, ella si fece fare una casa3 e lìe stava die e notte piangendo. Addivenne in quello tempo che lo re fece appendere uno per la gola e comandò al suo cavaliere che 'l dovesse guardare, che non fusse portato via. E guardando questi dÌ e notte, venne la terza notte che 'l cavaliere avea grandissima sete e fussi raccordat0 4 del luoco là dove era questa donna. Andolli e dimandolli bere e la donna gli arrecò dell'acqua. Questi, quando la vide sì bella, disseli: «Voi piangete, e non vi torna 5 ad alcuno utile». Tanto li disse, chIebbe di lei sua volontà. Tornando alle forche, trovò che l'uomo n'era portato;6 di che fue molto gramo,7 perchè temea della persona. 'Lora tornò alla donna e disseli ciò che gli era addivenuto. Risposeli la donna: «Se mi vuoi impromettere di tormi per toa mo· si morìe: morì, per l'emozione. no"lla: non la. Cfr. Cornice, n. 22. , . 3 una casa: una capanna, presso la tomba del marito. E la celebre e divulgatissima novella della Matrona di Efeso, dal Satyricon di Petronio, con sensibile incremento della misoginia espresso dall'inedita ferocia con cui la vedova placata nelle sue voglie si accanisce sul marito morto. 4 fussi raccordato: si ricordò, gli venne in mente. 5 ch' ... volontà: consueta formula che indica il compimento dei desideri amorosi. 6 n'era portato: era stato portato via, sottratto. 7 gramo: infelice, sconfortato. I
Udendo questo,4 l'imperatore comandò che 'l figliuolo fosse menato al giudicio. disseli: il sogg. è naturalmente la donna. in oste: con l'esercito in assedio. 3 tenere: mantenere, nella città assediata. 4 Udendo questo: il racconto è fortemente ellittico, ma l'imperatore deve aver capito il senso che la moglie vuole dargli: i saggi sanno mentire, ed usano le loro conoscenze come trucchi per ingannare i meno provveduti. l
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glie, io t'aitarò di questo pericolo». E questi glilo impromise. Disse la donna: «Togli questo mio marito della sepoltura e appiccalo nel luogo di quello». Disse colui che si temea8 e che no·ll0 9 farebbe. Venne la donna e tolse una strappa lO e ligolla alla gola, dello suo primo marito e strascinollo insino alle forche; poscia disse a colui: «Or monta su le forche, e sì l'appicca». Ed egli disse che si temea. Ed ella montò susa e sì l' impiccòe, e disse: «Questi è quegli ch' era impiccato». Disse lo cavaliere: «Quegli avea una piaga susa 'l capo, e questi non l'hae, di che si potrebbe accognoscere». Ed ella disse: «Or monta su le forche con la spada in mano, e fagli la piaga». E quegli disse che no·llo farebbe. Disse la donna: «Or mi dà la spada in mano»; montò su le forche e ferì lo marito nella testa sì come gli avea detto quegli che lo guardava. Ancora diss' egli alla donna: «Egli avea dui denti meno dinanzi». Disse la donna: «E tue glieli rompi». E quegli disse che no·llo farebbe. 'Lora disse la donna: «Dammi una pietra, ed io glieli romperòe»; e così fece quella allo marito. Poscia disse a costui: «Or mi sposa». E quegli rispose: «Certo non farò, ché, così come hai fatto a costui ch' era tuo marito, così farestu ll a me, ed anca peggio, se fare si potesse». Or guardate, messer l'imperatore, come sono fatte l'opere delle femine, sì che voi non dovreste dare fede alle parole di vostra moglie. Udendo questo, l'imperatore comandò che la sentenza fusse del figliuolo prolungata. 12
NOVELLA XII E tornando la sera alla moglie, trovolla molto trista, sì come l'altre fiate. Disse questa: «Così addiverrà a voi, mes ser l'imperatore, come addivenne a un altro imperatore di Roma, che fue ingannato da tre fanti». Disse l'imperatore: «Come fue?» 'Lora disse la donna: Uno imperatore fu in Roma ch' avea una statova l d'uomo, la quale avea un arco in mano con una sitta;2 ed innanzi dalla statova avea un fuoco che ardeva continuo, sì ch' era di m.olta utilità a tutta gente, e massimamente a'poveri. E quella statova avea scritto nella fronte: cuiferirà me, io ferirò lui. Venne uno prete pazzo e ferì la statova. Immantenente l'arco trasse nel fuoco e ammortollo. 3 Un'altra maraviglia era in Roma; ciò era uno specchio grande, nello quale si cognoscea ciascuna provincia ovvero città la quale si volesse rivellare4 contra l'imperio di Roma. Un re era in Cicilia5 il quale avea molto in odio li romani: ma per questo specchio no·lli 6 potea offendere. Pensava come potesse disfare questo specchio; venne? a lui tre frategli per doverlo involare,8 e disseno: «Che ci volete dare se vi l'arrecheremo?» Disse lo re: «lo vi darò tutto ciò che saprete dimandare, acciò ch'io l'abbia». Impromiseli grande quantità d'avere: ed e' gli disseno: «Trovate tre barilette d"oro, che noi portiamo con noi». Fatto questo, andarono a Roma e le barilette ascoseno fuori di Roma, l'una per sè,91'altre due insieme. 'Lora andarono all'imperatore e disseno che li voleano parlare. L'imperato1 2
si temea: aveva paura. no"llo: non lo. Cfr. Cornice, n. 22. IO stroppa: corda. Il farestu: faresti tu. 12 che ... prolungata: che l'esecuzione del figlio fossé nuovamente rinviata. 8
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statova: statua. sitta: saetta, freccia. ammortollo: lo spense. rivellare: ribellare. Cicilia: Sicilia. no"lli: non li. Cfr. Cornice, n. 22. venne: vennero, andarono. per ... involare: per rubarlo, intenzionati a rubarlo. per sé: da sola.
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re disse che venisseno, e quegli dissero: «Messere, noi sappiamo trovare oro e li nostri insoniisono veraci». L'imperatore molto desiderava di vedere oro ed avere, e molto li ricevette benignamente. Disse l'uno: «lo mi sognai stanotte ch'io trovava una bariletta d'oro: datemi uomini che vegna-' no ~eco». Ed andando dicea: «Menatemiin cotale parte, [ anZI In cotale altra parte ]», per non mostrare che ciò fusse [ fatto a malizia], e mostrava che tuttavia precantasse lO e mesurasse terra, insino che fu là dove avea sotterrato la bariletta dell'oro. E quegli tornarono all'imperatore con grande allegrezza, ed egli disse: «Quale di voi si sognava di trovare du' tant' oro?»l1 Disse lo secondo: «lo». E di questo fue l'imperatore molto aJJiegro, e attrovossjl 2 ledue barilette là dove erano riposte e ritornòe e nunciò questo oro. Lo terzo disse: <do so grande quantità d'avere». Disse l'imperatore: «lo voglio venire a vedere questo», e fecesi menare in quello luoco là dove era lo specchio, e questi mostravano fare grandi orazioni 13 e disseno: «Cavate qui». Disse l'imperatore: «Guardate che lo specchio mio non si guastasse». Disseno: «Faremo sì che non si guastaràe e che noi vederemo l'oro e noi stessi volemo cavare». El4 comincionno a cavare pia~ namente intorno allo specchio, e feceno così insino alla sera' e disseno all'imperatore: «Dimane tornaremo e torremo que: st? oro». La ~otte, quando ogn'uomo fue partito, venne questI tre frateglI, andarono allo specchio ed ebbenlo furato a messer l'imperatore e portaronlo allo re di Cicilia. E così vi dico, messer l'imperatore, questi filosofi, con sue belle parole, v'ingannaranno. Udendo questo, l'imperatorecomandò che 'l figliuolo fosse menato la mattina ad impiccare. precantasse: facesse sortilegi, con i quali predire i luoghi dell'oro. " du'tant'oro: due volte tanto oro. ' 12 attrovossi: si trovarono, furono trovate.' I~ orazioni: scongiuri, incantesimi. l. E: nel testo Cappelli E'.
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NOVELLA XIII Venne la mattina lo settimo filosofo all'imperatore e salutollo, il quale villanamente l li rispose: «Ed imperò che avete così ammaistrato lo mio figliuolo, io gli farò perdere la vita, e la vostra vi sarae poco cara». 'Lora disse lo filosofo: «Messer l'imperatore, che vi move,2 a dimandagione d'una malavage3 femina, volere fare morire vostro figliuolo?» E disseli: «Se volete indugia al giudicio un dì fare, io vi dirò uno bello esempIo». E quegli indugiossi, come avea fatto agli altri. Disse lo filosofo: Uno si avea una sua moglie, la quale commettea avolteri0 4 con uno giovene; e una sera venne questo giovene e toccò alla porta. Quella mise cagione 5 d'ire fuori per altro, e andò a lui. Lo marito si 'corsé di ciò, e levossi e serrò la porta, sì che la moglie rimase di fuori. In quella terra era uno ordine: cui era trovato di fuori di casa dopo la guardia, sì era scopat07 per la città. E quella, vegnendo alla porta, pregava lo marito che li devesse aprire, e scusavasi molto. Egli non volea, ch;avea veduto l'avolterio. Dinanzi dalla casa si avea un pozzo; e quella, essendo lì, tolse un sasso grande e mise10 sopra questo pozzo, e tornò al marito e disseli: «Se non mi lassi venire in casa, io t'imprometto ch'io mi gittarò nel pozzo, 'nanzi ch'io voglia essere scopata». Disse lo n:arito: «Or fostu annegata». 'Lora andò quella al pozzo, dIcendo: «Poi che no mi vuoi aprire, gittaroglimi 8 dentro». Gittògli lo sasso, e fece grande rumore; e quella s'ascose villanamente: in modo scortese. che ... move: cosa vi ha persuaso, spinto. 3 malavage: malvagia. 4 avolterio: adulterio. 5 mise cagione: avanzò un pretesto. 6 si 'corse: si accorse, si avvide. 7 scopato: frustato. Dalla medesima fonte apuleiana di questa novella (Met. IX 14-28), Boccaccio trarrà la novella di Pietro da Vinciolo (Dee. V lO). 8 gittaroglimi: mi ci getterò dentro. 1
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dall'altra parte del pozzo. Lo marito, credendo che la fosse essa, si mosse a pietà ed aperse la porta ed andò al pozzo per vedere questa cosa. La moglie entrò dentro dall'uscio pianamente ed ebbelo serrato, e cominciò a gridare molto forte, e dicea: «Vedete questo puttaniere del mio marito, a che ora torna a casa?» Ed in quest0 9 vennero le guardie, trovarono costui e menarolo in palazzo, e la mattina fu scopato per la terra lO. Onde vedete, messer l'imperatore, quali sono l'opere delle femmine, e non credete alle mai ll parole di vostra mogliere. Udendo questo, l'imperatore rivocò la sentenzia.
NOVELLA XIV L'ottavo giorno, lo giovene cominciò a parlare alle guardie e disseli: «Fatemi parlare all'imperatore». Le guardie furamo molto alliegri 1 e immantenente venneno al signore e dissenoli ciò ch' egli avea detto. L'imperatore molto fue alliegro; comandò ch'egli venisse a lui. E quegli, vegnendo a lui con grande riverenzia, gittassi a terra salutandolo e dicea: «Padre mio, piacciavi d'udirmi. Meraviglia mi pare grandissima come la sapienza d'uno così savio uomo come voi siete si muova, a domandagione d'una così iniqua femina, a fare perire me, dilettissimo vostro figliuolo. E per avventura così addivenia a voi come fece ad un altro patre che, per invidia, volse annegare lo figliuolo». Disse l'imperatore: «Or di', figliuolo». E questi disse: in questo: in quel momento. per la terra: attraverso tutta la città. Il mai: male, cattive.
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alliegri: al maschile, per concordanza a senso.
Uno mercatante avea un suo figliuolo molto saccente 2 e menollo seco in mercatanzia e navicò molto per mare. Una fiata arrivò presso una isola, e dui uccelli si poseno susa un albore 3 della nave, e cantavano molto bene. Disse lo mercatante al figliuolo: «Hoe inteso che gli è d'uomini litterati cheintendeno certi uccelli». Rispose il figliuolo: «Non intendete voi ciòé che dicono?» Disse di no. Disse lo figliuolo: «Dicono che in tanto debbo essere glorificato in questo mondo, che voi vi terrete ancora appagato se m.i vi lasserò dare dell'acqua alle mani, e mia matre potrà tenere la tovaglia». Lo patre mosso fue ad invidia e disseli: «Tu mai non vederai quel giorno!», e prese lo figliuolo e gittollo in mare e partissi, credendo ch'egli fosse morto. Come piacque a Dio, lo mare lo gittò all'isola sano e salvo, e lì stette due dì che non mangiò nè bevve. Intendea gli uccelli che diceano: «Non ti muovere, chè tue avrai soccorso». Al terzo dì apparve una nave, e quegli fece insegna5 al patrone della nave; ed egli era misericordioso e tolselo in nave. E lo patrone lo cominciò a dimandare di sua ventura, e quegli disse: «Datemi 'nanzi mangiare» e, quando ebbe mangiato, sì narrò per ordine sua ventura. Lo signore della nave non avea figliuolo niuno; pensò d'avere e di volere costui per suo figliuolo adottivo, perchè era molto bello e che molto servia bene. Disse questo signore al giovene: «Poscia che saremo a terra, che ha' tue imaginato di fare?» Rispose lo giovene: «La mia volontà si è di fare sempre il vostro piacere, perché m'avete liberato, e sempre sarò vostro servitore». Lo signore l'annunciò alla moglie, la quale molto ne fue contenta, e tenianol0 6 per suo figliuolo, e molto li servia bene. A quello tempo era in quel2 saccente: savio. È questa la novella più «romanzesca» del Libro, articolata in più fasi, distinta in almeno tre nuclei narrativi e non esente da tratti favolistici di chiara derivazione orientale. 3 albore: albero. 4 ciòe: ciò, con -e paragogica. 5 fece insegna: segnalò, fece segnali. 6 tenianolo: lo consideravano, lo tenevano come.
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la città un re che, quando uscia fuori, tre corvi si gli poneano suso 'l capo, facendo grande rumore. Abiend0 7 sofferto questo un grande tempo, tenialo in grande disgrazia e pensava che fusse per peccati che fossero in lui, e di questa cosa ebbe grande infamia. A tanto venne, ch'egli fece bandire per tutto il suo regname che tutti suoi consiglieri e altri savi dovesseno venire alla corte; e, se alcuno potesse trovare rimedio in quello, ch' egli gli darebbe sua figliuola per moglie con mézzo il suo regname. Fu richiesto da certi savi questo signore dalla nave, il quale avea questo giovene per suo figliuolo; e menollo con lui. E quando lo consiglio fue adunato, lo re propose la cagione per la quale elIo gli avea richiesti, alla quale niuno li sapea rispondere. 'Lora disse lo giovene: «Vogliovi dare lo mio consiglio», e disse: «Messer lo re, s'io dirò a voi perchè questo v'addiviene, daretemi voi vostra figliuola con ciò ch'avete impromesso?» Ed egli glil promise. Disse quegli: «Questi corvi sono tre: uno giovene, uno vecchio e una femina. La femina era moglie del corvo vecchio: egli la cacciò via da sè per un tempo di carastia, 8 e lo giovene la ricevette: ora viene il vecchio, e sì la dimanda al giovene, e quegli dice che non gli la vuole rendere. Or vi dimandano la sentenza; e sì tosto come l'avrete data, si partiranno». 'Lora disse lo re: «Ed io la dòe, che la debbia essere del corvo giovene». E immantenente si partirono. E quando lo re fue liberato, sì dié la figliuola a questo giovene. Questo giovene rendéo grande cambi0 9 al suo signore. Addivenne che questo re morìe, e questo giovene fue fatto re. In piccolo tempo fue una grande carastia nella terra del patre e della matre, sì che si partirono'e vennero nelle terre di questo suo figliuolo. Cavalcando questo giovene per hl terra, inscontrossi nel patre e nella matre e conovveli, lO e mandò suoi donzelli die-
tra a loro per sapere del SUOli albergo. E la mattina tolse grande compagnia di gente ed andò a loro a casa dell'oste e disseli ch'egli volea desinare con loro; e fece bene apparecchiare da mangiare e tornò a ora di mangiare; della qual cosa gli suoi cavalieri moltq, si maravigliavano. E lo re dimandò dell'acqua per lavarsi le mani, e lo patre tolse l'acqua in mano, e gittassi ingenocchioni in terra, e la matre tolse la tovaglia. Disse 'lora lo re: «Or lassate fare li miei famigli», e comandò che lo patre fosse posto in capo di tavola, 12 ed egli andò presso di lui, poscia sua matre con altre donne. Fatto il desinare, disse lo re al patre e alla matre: «Com'è il vostro nome?» E questi glil disseno.·Poscia disse al padre: «Cognoscetemi voi?» E quegli allora li parve suo figliuolo, e poscia si pensava che l'avea gittato in mare. Disse lo re al patre: «Quale male v'addivenne per l'onore mio?13 E sappiate ch'io sono vostro figliuolo, il quale voi gittaste in mare: io sì vi perdono, e voglio che siate signore di tutto il mio regname». E molto furono alliegri il patre e la matre. Così dico a voi, messer l'imperatore, che male facevate a farmi tagliare la testa, chè per me' sarae condotto 14 tutto ìl vostro regname. Dunque fate brusare 15 questa ria femina che hae commesso tanto male, com'è di volermi torre la vita. Veggendo questo, l'imperatore comandò ch'ella fosse brusata immantenente. La cagione perché questo giovene non parlòe in VII dì, fue per la stella ch'egli avea veduto e per campare lo pericolo della morte. E la sua sapienza reggé 16 per tutto il mon11
Abiendo: avendo. 8 carastia: carestia. 9 rendeo '" cambio: ricambiò, compensò largamente. IO conovveli: li riconobbe.
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suo: loro. posto tavola: in segno di massimo onore. Quale mio?: che danno avete avuto dalla mia fortuna? pur ... condotto: sarà retto da me. brusare: bruciarè. reggé: resse, fu nota e diffusa.
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do, e ciascuno venia a lui per consiglio. 17 E poscia che l'imperatore fue morto, regnò costui nell'imperio molti anni in grande pace per lo suo senno; ed agli filosofi chelo ammai~ stronno e camponno da morte donollimolto grande tesoro, e fecegli grandissimi signori.
Conti di antichi cavalieri
[ Conti di antichi cavalieri, dopo il ritrovamento ad opera di P. FANFA. NI (Firenze 1851), gli studi di P. PAPA e F. DE BENEDETTO e le edizioni parziali di C. SEGRE (Prosa del Duecento cit., pp. 547-54) e S. Lo NIGRa (Novellino e conti del Duecento, Torino 1963, pp. 291-312), sono stati editi criticamente da A. DEL MONTE prima in «Studi mediolatini e volgari», X,
17 e ... consiglio: il figlio dell'imperatore si conferma nel ruolo topico di giovane-vecchio, giovane d'età, ma saggio e posato come un anziano. Questo modello, già classico, conobbe vasta fortuna nel Medio Evo: uno dei suoi esempi più antichi e divulgati è costituito dal protagonista della Leggenda di Barlaam e [osafat, biografia leggendaria e cristianizzata del Gothama Buddha.
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1962, pp. 161-207, e in seguito a ulteriori ritrovamenti, con notevoli varianti testuali e grafiche, in Conti di antichi cavalieri, Milano, CisalpinoGoliardica, 1972. Nel riproporre quest'ultima edizione ho apportato al testo alcune varianti grafiche, la più importante delle quali è la normalizzazione dell'indicazione dell'assimilazione fonosintattica, parziale o totale, nel punto in alto • ; questa consuetudine, introdotta da DEL MONTE solo nell'edizione in volume, è tuttavia anche qui affiancata o sostituita dall'accento circonflesso ~ che ho quindi eliminato. Ho inoltre reso sempre in e, ed i frequenti et, ho eliminato gli apostrofi in fine di parola tronca - pro' = pro - ed ho rivisto la punteggiatura, modificandola in più punti. Alcune proposte di integrazione, comunque di piccolissima importanza, sono racchiuse fra parentesi uncinate < ), mentre in nota sifornisce il testo delmontiano. Nelle note linguistiche, la sigla Rohlfs seguita da un numero arabo rinvia alla paragrafatura di GERHARD ROHLFS, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi. dialetti, Torino, Einaudi, 1966, voll.3.
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Autor che soficientemente sì ha detto sori le dette vertù e 'l modo e a che intenzione orno dea operare e parlare, questo soltanto dP dire ha: saver, cioè apprendere, basta a bono volere,3 per cui solo quello che detto è·sse dirà. Se scrive ancora per diletto e per più nostro amaestramento in tanto contare d'alte operazioni e valorose e detti saggi e belli e di gran sentimento a·cciò che sempre inviament04 bono ne possa avere e·ppigliare ciascuno cui governa. I - CONTO DE ECTOR DE TROIA Li grandi savi ed auctori pusero l che Etor fa solo el più vertuoso cavaliere e valoroso ch'al mondo e·llo2 suo tempo fosse, né d'esso, come de li altri, non se scrive per li auctori: «Cotale cosa fece»; ma insomma dicono ch'e·lluP fo onne bontàcompitamente. 4 E quello che fece Alixandr0 5 testemosor: sopra, a proposito di. di: da. l saver '" volere: imparare il bene, saperlo, è sufficiente alla volontà per praticarlo. 4 inviamento: suggerimento, esempio, consiglio. J
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I pusero: posero, sostennero. La forma in u, già presente in Guittone, pare di derivazione umbra (cfr. Rohlfs 71). 2 e'/lo: en lo, nello, con assimilazione fonosintattica, comune nel testo. l ch'e'/lui: che in lui. Cfr. nota prec. 4 /0 ... compitamente: fece ogni possibile atto virtuoso in modo compiuto. 5 Alixandro: Alessandro Magno.
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nia ben ciò, ché, passando esso per lo paese de Troia e trovando lo pil0 6 de Ector, comandò che tucto l'oste suo albergasse7 e facesse onore al pila dello megliore cavaliere che mai fosse issut08 al mondo. Ed esso scavalcò e fece onore e reverentia grande al pila suo. Certe cose enfra l'altre, le quale fuoro molte, mostrano el senno e valore suo e cortesia. 9 Largezza e gran francezza sua lO senno suo mostra. Dico che la cosa che magiurmente a rattezza 1l move è engiura, e specialmente quello che specta al padre de l'orno; unde quando el padre, li fratelli e li altri de Troia tucti voleano cominciare contra li Greci guerra, Etor, cognoscendo el senno, la forza e la bona cavallaria de Gretia, non volse alora de li Greci la guerra, ma volea apparechiarse de navi e guardare tempo tale che cominciare 12 non tornasse a mala fine. De ciò non fa creduto, unde fa Troia distructa. Apresso è prova del senno e grande suo cognoscimento che, essendo capetano e signore de la gente di Troia e de bene cento milia cavalieri e più, e facendose temere più che signore mai facesse alcuno - ch'esso dicea: «Quelli che fugerà de la batallia non fugerà da li cani», ché le sue carni fada a li mastini mangiare -, e facendo ciò, sì savio portamento esso facea che ciascuno de lui se contentava, né alcuno invidia a lui portava, né desideravano altro signore che lui; ma per amore de lui se sforzava ciascuno più de mellio 13 fare. Ed esso fo sì cortese e di tanto cognoscimento fino che sempre, quando tornava de la batallia e ciascuno altro dìe, andava a li alberghi de li cavalieri, a l'infermi vedere e fare servire, ed onorare lo pilo: la tomba, il sarcofago. ? l'oste .. , albergasse: il suo esercito si fermasse. 8 issuto: stato, vissuto. 9 cortesia: il complesso delle qualità che deve possedere chi frequenta la corte. lO Largezza .,. sua: la sua generosità e il suo coraggio. Il rattezza: velocità di decisione, precipitazione. 12 cominciare: sott. la guerra. 13 mellio: meglio. 6
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e servire onne altro cavaliere co>14 convenia. Largo fa tanto che, si co' 'l libro dice, che 15 se l'oro tucto e·1 16 mondo stato fosse suo, sì l'averia donato a bona gente. E nota che apo17 lui oro né cosa alcuna remanea, che solamente lo suo bon volere. Ed esso fa solo d'arme el più sicuro e 'l megliore cavaliere e che i magiori e più valorosi facti de cavalaria fece, che fosse en elsuo tempo alora e fos(s)e I8 mai. E ciò credere se dia,19 ché sovr' a Troia fo tucta la megliore e magiure e più possente e ricca cavaliaria del mondo, e per lo senno e valore suo sì loro contrastava che, mentre vivo fo, d'onne batallia aveano quasi ei Greci el pegiore, e, se esso viss0 20 solo più uno anno fosse, averiano in tucto li Greci perduto. Ed elli fa solo in Troia el cavaliere più amato ch'al mondo fosse mai. E sempre, quando Etor tornava da la batallia, non remanea en Troia né donna né donzella né cavaliere che non traesse21 a vedere lui, e li più, de l'alegrezza de lui vedere e de l'amore ch'a lui aveano, piangeano, dicendo ad alto li plusori: 22 «Quelli porta el fiore supr'a tucti ei melliori e quelli è la speranza e la defensione nostra»; pregando Dea come bisogno loro era lui defendesse. 23 Né esso mai per gioia né per ira non fu menato iust'a medire. 24 E lo re Priant dicea ch'eli non vedea che Etor potesse esser figliolo d'orno carnale, ma de li dii propriamente. co': come. che: la ripetizione pleonastica della congo che dopo una parentetica è tratto comune della prosa antica. Cfr. C. SEGRE, Lingua, stile e società, Milano, 1963, pp. 113, 200, 241. 16 e'/: en el, nel. 17 apo: appo, presso. 18 fos(s)e: fossero accaduti. 19 dia: deve. 20 visso: vissuto. 21 traesse: andasse. 22 li plusori: i più, la maggior parte (franc. pluseurs). 23 come ... defendesse: perché avevano bisogno che Dio lo proteggesse. 24 iust'a medire: fino a dir male di qualcuno. Calco dal franco ant. jusqu'à médire. 14 15
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II - CONTO DE" AGAMENON Agamenon fo savio cavaliere e vertuoso e pro l d'armi, e per dilecto e buono asemplo alcuna cosa de lui brevemente diròne. 2 Mostra apertamente el senno e valore S03 grande e franchezza quando Paris de Troia Elena al re Minelaus frate suo tolse; el quale, per la vergogna e dolore che de ciò ebbe sì grande, tanto esconfortò4 che quasi a morte venne. Esso non de ciò escomentò, 5 ma confortò el fratello dicendo lui: «Guardate bene ch'alcuno non si possa avedere ch'abbi dolore né ira, ché li antecessori nostri, che senno e valore ebbero tanto, en dolore néd e<n) pianto non acquistaro lo loro grande onore; ma, quando era loro facta ingiuria, ingegno e cura prendeano de ciò vendecta pilliare;6 e chi no ha danno néd aversità come cognosciarà e porrà suo valore? Ma im·pace? ed in guerra, e ora povero or rico devenire, 8 se cognosce cavaliere». E confortato lui, ordenòe ch'a parlamento fuoro li baroni e i re tucti de Grecia, dicendo loro: «Voi sapete, signori, che quello ch'ora ha facto Paris no è facto per noi ed a noi propriamente, ma è facto e pertene ed a voi ed a ciascuno de Grecia comunamente, ché ciò che quelli de Troia han facto noi9 l'hanno facto per quello che li antecessori nostri ai loro fecero, unde è 'l grande onore ch'essi a loro ed a Gretia acquistaro. Non se perda ora in voi el facto. IO E noi semo vostri sovr'a ciò. Ciascuno a l'onore de la pro: prode, valente. diròne: dirò, con aggiunta di -ne paragogico, frequente in Toscana meridionale e nei dialetti dell'Italia centrale. 3 so: suo, in forma di tipo umbro. 4 esconfortò: cadde in prodondo sconforto. 5 escomentò: si sgomentò. 6 pilliare: pigliare, prendere. 7 im'pace: in pace, con assimilazione parziale (cfr. Rohlfs 242). 8 e ... devenire: nell'accettare con pari serenità la povertà e la ricchezza. 9 noi: a noi. lO Non ... facto: non fatevi sfuggire l'importanza comune dell'accaduto. l
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corona sua e del valore suo grande guarde».ll E tanto disse e fece per lo grande valore e senno suo, che ciascuno s'arecò più la 'ngiuria a sé facta ed ordenaro tucti comunamente d'andare ad oste a Troia, e cusìl 2 fecero. Ed essendo là fecero Agamenon emperadore de tucti; ed esso, poi che fa en lo paese de Troia, ebbe li re e li baroni e li gran cavalieri tucti a parlamento. Enfra loro fece una de le più sav~~ e b~lle ed ut~le deciaria l3 che giamai facta fosse, e consegho ch ambascladori devesserosel 4 a Troia mandare a domandare Elena, mostrando che magiure senno e più loro onore era se la poteano per pace ravere l5 che toHierla16 per guerra. E ciò fra l'altre fece per tre proprie rascione. Prima, per la ratione ponere dal lato suo; apresso, ch'eHi volea prima Elena perch'andavano en pace che nel dubio de la bataglia stare; la terza fo, se ciò non faciano l? quelli de Troia, per l'anemo de li Greci più indurre contra loro. Anco è prova del gran senno che la cosa che più desidera orno è signoria, e che sostenere meno pò, che a lui sia tolta; ed esso, quando Palamides l8 s~ O~?O gliosamente contra lui disse ch'ei non volea avere 1m plU a signore e ch'eHi no era de tal signoria degno, ed eHi soffreo tucto per far lo melliore,19 renunzò de pian0 20 e borri volere la signoria e fo alar signore Palamideschiamato. Ed esso poi co' 'l menore de l'oste obedio lui; e poi, morto Palamides, ej21 Greci de capo rechiamaro lui signore, e ciò credere se dia Il guarde: guardi, provveda. Il congo in -e dei vbb. della P coniugo è normale nella lingua antica. 12 CliSÌ: così. 13 deciaria: discorsi, dicerie; la forma del plurale pare affine al tipo le corpora, comune in Italia centro-meridionale, descritto da Rohlfs 370. 14 devesserose: si dovessero. 15 ravere: riavere. 16 tollierla: prenderla (lat. tollo). 17 faciano: avessero fatto. 18 Palamides: Palamede, eroe greco. 19 far ... melliore: per ottenere il miglior risultato possibile per i Greci. 20 de piano: generosamente, senza indugio. 21 ei: i.
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non fo for gran rascione,22 ed en sua signoria per suo defecto per alèuna cascione né d'alcuno tempo mai non recevectero li Greci dannagio.23
III - CONTO DE SCIPIONE Scipione fo uno cavaliere de Roma el quale fo el più savio de guerra e de tucte cose e ch'ebbe el più alto e gentile volere che cavaliere che fosse e·Ilol suo tempo al mondo. E preseli2 sì bene de tllcte le cose ch'esso emprese e fo tanto gratioso che li Romani diciano ch'esso parlava colli dii. E de li grandi facti suoi brievemente alcuna cosa dirò. Al tempo che'l re Anibal3 de Cartagine e delle parti d'Affrica passòe coll'oste sua in Espagna, che alora era SO'4 la signoria de Roma, e' posese ad oste5 a la cità de Saragosa e vensela per fame e vense tucta Ispagna. E poi lasciò Astrubal suo frate in Espagna'ed esso venne verso Roma. E quando fa en Lombardia, li Romani li mandaro encontra doi consoli, e l'uno fo el padre de Scipione decto. E combatier0 6 con Anibal e·Ili Romani perderono, e anche ricombatterono i·l Lombardia e·Ili Romani perderono, e·ppoi li Romani di capo si guer22
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for ... rascione: senza importante ragione. dannagio: danno (frane. ant. damnage).
e'llo: en lo, nello. Cfr. Ector n. 2. preseli: gli accadde, gli riuscì. 3 re Anibal: il condottiero cartaginese, come tutti gli altri personaggi dei Conti, subisce il comune processo di assimilazioné del mondo antico ai caratteri del mondo cavalleresco, che è proprio di questa operetta e di tutte le opere medievali congeneri: le gesta militari sono riservate e tipiche dei re, principi e cavalieri, come lo stesso cavaliere Scipione. so': sotto (lat. sub). 5 posese .. , oste: schierò l'esercito attorno, assediò. 6 combatiero: come i segg. recombatiero, perdiero ecc., presenta una singolare dittongazione da una e latina; per questi casi, cfr. Rohlfs 51 . 1
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nirono e ·ccombatterono e·mMuscell07 a lato el fiume, e quasi tucti fuoro morti e presi li Romani. E poi Anibal n' andò in Pullia. Incontra li fuoro mandati doi consoli, Terentius e Bectro, 8 e combactiero con Anibal; infine fuoro li Romani venti. 9 E poi li Romani tucti comunamente combatiero con Anibal e fo la magiur bataglia che fosse en quello tempo; ma li Romani perdiero e fuoro morti multi de li senatori e de li consoli e delli altri grandi Romani. E mogi lO d'aneIli, de quelli ch'aveano li Romani che fuoro morti e presi, mandò Anibal per segno de victoria en Cartagine, e se fosse andato a Roma averia 'lora avuta la terra. E de questa bataglia li Romani isgomentaro sì che non ardiano poi de combactere con Aniba!. E 'lora ordenaro li Romani de mandare in Espagna contra Astrubal, frate d'Aniba!. E non trovando chi ce volesse andare, Scipione de sua propria voluntà se proferse d'andare. E così fecero altri poi d'andare co lui. E, cercato el tesoro di Roma, sì era consumato en la guerra d'Anibal, che non se trov(ò) da potere pagare li cavalieri che deviano andare con Scipione. Alora Valerio ciò ch'avea e d'arnes' e de donne e de tesoro fece venire in communo. E così fecero molti poi, e nota che per questo inviamento ll campò Roma. E 'l dieto Valerio fo sì umele ch'avendo le case sue più alte che quelle de li suoi vicini, le fe' a le loro ugualliare, ed essendo consolo di Roma quando venne a morte non li se trovò tanto che·llil 2 se potesse fare quello ch'era usanza alora a la sepultura sua. E de la morte sua se dolsero li 7 Muscello: Mugello, in realtà ben distante dai luoghi della battaglia del Trasimeno, a cui si allude. 8 Bectro: deformazione da Varro, Varrone, già presente nella fonte francese. Caduto qui il nome di Lucio Emilio Paolo, il compilatore ha sdoppiato iI nome di Terenzio Varrone. 9 venti: vinti. IO mogi: moggi, misure di frumento. Il inviamento: cessione, messa in comune a vantaggio dello Stato. 12 che' Ili: che gli.
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Romani sì ch'uno anno continuo el piansero. Or se retorni a Scipione. Esso andò en Espagne a combattere con AstrubaI e venselo, ed ebbe tucto el tesoro ch'Anibal avea lasciato a lui. E dato a ciascuno de li suoi cavalieri quanto se convenia, esso mandò li prescioni 13 e l'avere e tucte le cose a Roma, ned a sé alcuna ne tenne, e poi tucta Ispagna per forza d'arme vense e, come soipgòne l4 per forza d'arme, così per savio portamento la tornò de bono volere sotto la signoria de Roma. E facto ciò tornò a Roma; il quale a grande onore e con grande alegrezza fa recevuto. Ed anca li Romani fuòro ensieme e non ardiero de combattere con Anibal ch'era in Pullia, ma ordenaro de mandare en Cartagine. E Scipione se proferse in essa andata. E là andòe con assai bon cavaliere, e combateo con Antenore duca d'Africa, e nella prima battallia ucise de quelli d'Antenore .XI. m. e .XIII. m. ne prese. Ed anca poi combateo con Antenore e fo tucta la gente d?Antenore quasi morta e presa, ed esso Antenore fa preso. E de tucto quello avere ch'abbe, dede quella parte ai soi come convenne, e l'altro aver tucto em·prescioni e preda ed Antenore medesmo mandò a Roma, né cosa alcuna a sé de ciò tucto retenne. E poi quelli d'Africa domandaro pace a lui, ed esso demandò tanto termene a respondere che potesse pria mandare 15 a Roma, sì com'orno che volea inanzi essere so' la signoria de Roma che per sé essere signore. E mandato esso a Roma, li Romani li mandaro a dire che de tucte le cose facesse secondo l'albitro 16 suo. Ed entendendo Anibal che Scipione era passato in Affrica, incontenente se partio d'Italia e andosene in Affrica, e stette Anibal in Italia anni .xv. E, passato in Affrica, combateo con Scipione, e perdeo la bataglia Aniba!. E de capo Anibal e li Cartaginesi e tucti li Affricani combatiero con Scipione, e tucti fuoro mor13 14
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prescioni: prigionieri. soiogòne: la soggiogò. mandare: mandare un messaggero. albitTO: arbitrio, per dissimilazione tipicamente popolaresca.
ti e presi quasi, ed Anibal con quattro se partio de la battalli.a. E partito Scipione l'avere fra li cavalieri suoi la parte a CIascuno data che convenia,17 li prescioni e l'altre cose tucte :e~andò a R~ma, non per sé retenendone alcuna. E poi SCIplOne soctomise a Roma tucta Africa, e ciò facto tornò a Roma, el quale sì co' devea fa rècevuto e per questo fa chiamato Scipione Africano. Ed en quello tempo apressò li Franceschi e a la prima battallia fuoro morti de li Franceschi .x. m. Ed anca recombatiero de capo e fuoro morti de li Franceschi .XI. m. e dei Romani .v. m. ed en tucto perdiero li Franceschi. E Scipione dé a ciascheduno de li suoi cavalieri quella parte ch'a lor convenia, e li pregioni e l'altre cose tucte remandò a Roma, non de ciò alcuna per sé retenendo. E de capo an.co Sci~ione si mandò contra Antiocus, 18 el quale fa uno de II baroru a cui Alexandro partio el mundo. Ed Ani~al, de cui decto averno de sopra, s'era acompagnato con AntlOCUS. Ed Anibal e Scipione se parlaro enseme pacifiche parole e meravellia fa ad entendere le parole loro e de videre la fiertà 19 dei loro visi, ma pur acordia fra loro no fa alora E fa la batallia grande e per mare e per terra. Ma infine Ani~ baI ed. Antioc~s la ~atallia perdiero, ed Anibal campò de la batalha: E pOI AntlOcus fece pace con Scipione, e dede a li Romaru .x. m. libre d'oro e lasciò Europa ed Asia e dé stagi. 20 ~ ciò !acte> e d~ta a ciascuno dei cavalieri sai quella parte c~ a lUI converua senza retenerese a sé, Scipione colli preglOne ed ~tre cose retornò a Roma, lo quale, come un ~eo fosse qUasI, fa recevuto. Ed en quello tempo apresso quelII d'~spagna e de Cartagine se ribellaro a Roma. E nun se trovo neuno Romano che volesse andare contra loro, e Sci17
•
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co~vem.a: era gIUsto.. overoso . motivo della generosità di Scipione ~erso I SUOI combat~entI e del suo dISInteresse personale è insistentemente r}retut~, per ~ottoh?e~r~ la ~avalleresca cortesia del protagonista. . AntlOc"!s: Il re dI ~1!la, dIscendente del diadoco fondatore della dinas~~a ~ele?CI~e, con CUI mgenuamente il compilatore lo confonde. flerta: fIerezza. 20 stagi: ostaggi.
pione se proferse volere andare. Ed andò in Ispagna, e fece grande bataglie ed ucise assai e prese, e combateo con uno cavaliere a corpo a corpo e venselo, e tucta Ispagna vense e somise socto Roma, e tornò a Roma. E poi fo mandato Scipione in Affrica, e là vense multe battallie e poi assediòne Cartagine, e per sei die la combateo. E vedendo quelli de Cartagine che non se poteano defendere, tucti s'arendiero liberamente a Scipione se nUJl un fratello d'Anibal ch'enanzi se volse ardere e sé e i figliuoli che rendere sé a Scipione: furono li uomini presi .xxx.m. e le femene .xxv.m. E 'n Cartagine se trovò multitudine d'oro e de tesoro e de tucte gioie e richezze: l'avere de cose ch'erano state de le terre dei Romani ch'Anibal avea conquise, tucte fece rendere a quelli de cui erano state; e de l'altro dé a li suoi cavalieri co' convenia, e l'altro tucto reportò a Roma senza per sé tenerne alcuna cosa. E·llé! parte d'Espagna era una grande cità ch'avea nome Nomanzia,22 la quale per neuno tempo non avea obedito a Roma. Ed aveanoci li Romani multi volti 23 mandati consoli e cavalieri, né una volta era stato ch'en la fine li Romani nond,24 avessero avuto danno e vergogna, però che li Nomanzini erano tucti li più franchi omini del mundo d'arme, e la terra era posta in montagna, unde li Romani ce mandaro Scipione. Ed elli combateo con li Nomanzini. E fa la batallia grande molto, ma li Romani avevano firmamente 25 perduto, non fosse 26 el confortamento e la franchezza de Scipione. Unde durò la batallia tucto el dì né una de le parti per:deo. Partita la nocte la bataglia, Scipione, come savio, E'lle: en le, nelle. Nomanzia:come le precedenti vicende della III Guerra Punica, anche la presa di Numanzia (133 a.C.), opera di Scipione Emiliano, viene attribuita all'AfricanQ, morto da settant'anni. 23 multi volti: molte volte. 24 nond': non, con l'aggiunta di un suono di transizione in precedenza di parola con iniziale vocalica. 25 firmamente: certamente, senza dubbio. 26 non fosse: se non fosse stato per. 21
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vidde che quella gente non era da poderse mai ventiare 27 perbataglia. La nocte decta ordonòe che la magiure parte de li suoi cavaliere devessero combattere a pè per lo mal terreno e li altri a cavallo. E così combatendo ogni dì, sempre facendo el fosso e lo stecato torno la terra, e' tanto sostenne la battallia ciascun dì, enfine ch'ebbe facte fare el fosso con ripi e con torri de legnami e lo stecato intorno Nomantia. E facto ciò facea guardare d'entorno. E quelli de Nomantia usciano fore e rechiedianoli de combattere, e Scipione facea stare la gente sua pur dentro da lo stecato, sì che, sempre che li Nomanzini veniano a combattere, receveano grande danno con salvezza de la gente de Scipione. E tanto durò l'oste che quelli de Nomantia non aveano da mangiare. E quando viddero che non poteano né combattere né durare più, de concordia li uomini e le femene s'uscisero ed arsero la terra. E Scipione neuna cosa volse de Nomantia se non che la cictà tucta tornasse en cennare,28 e che neuno ne scampasse, e cusì fece, perché volse destrugere le battallie presenti e che deveano venire. 29 E poi ch'ebbe destructa Nomantia, multe cictà d'Espagna ch'erano ribellate a Roma, Scipione le vense e retornò socto la signoria de Roma. Ed em quello tempo fo morto Atallus,30 re d'Asia, el quale fo el più rico che fosse e·llo suo tempo al mundo. E perché udìo tanto lodare Scipione, non avendo figliuoli, fecelo sua reda,3! e li Romani ciascuno per miità sue erede32 istituìo. E Scipione disse che ventiare: vincere. cennare: cenere, con allungamento di n postonica proprio dei dialetti umbri, marchigiani e toscano-orientali. 29 perché ... venire: volle eliminare il pericolo presente e i futuri, causati dall'indomabilità dei Numantini. 30 Atallus: Attalo III cii Pergamo, che donò morendo il suo regno ai Romani (133 a.C.). 31 sua reda: suo erede. 32 miità sue erede: suo secondo erede. 27
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non piacesse a Deo ch'esso, ch'era cictadino e soctoposto a Roma fosse compagno de la sua signoria; e tucto quello regno ed avere volse che fosse. de Roma. E, facto ciò, tornò a Roma. Eden quel tempo venne gran discordia fra li gentili e grandi Romani e 'l popolo. E questa discordia aveano messa doi consoli per superbia e per avaritia e per voluntà de signoria. Scipione grande tempo defese che la briga non corresse fra loro, ma vedendo che per neuno modo remanere potea e ch 'l torto era dal lato del popolo e che tucto quello male facieno quelli doi consoli, posese contra quelli doi consoli ed uciseli33 e tornò el popolo a quello che devea. Ed esso venne de tanta auctorità che quando era e·llo consellio de Roma 0'11034 cumune alcuna divisione o discordia d'alcuna cosa, ciascuno stava contento e credea lo melliore quando Scipione dicea solo, senza asegnare altra rascione: «Questo credo el melliore». E Scipione disse un dì, rascionandose de dissiderio carnale, che mai de victoria ch'elli avessi avuta per lo comuno de Roma noe 35 avuta avea alegrezza ·e·llo core. suo quanta avé che mai carnale volere no'l mosse né vense. Unde esso murìo puro senza corruzione d'operatione carnale. 36 E poi che fo morto Scipione, molte proventie s'aribellar037 contra Roma ed a li Romani cominciò a prendare male de tucte loro battaglie. E stando un dì a consellio supr'a quello che doveano fare, cominciaro a dire: «Bene pare ch'è morto Scipione». E 'lora ordenaro che l'ossa suoe se 33 ed uciseli: è qui adombrata la tragica vicenda dei Gracchi, Tiberio e Caio, tribuni delle plebe qui senz'altro divenuti consoli. 34 'Ilo: e'llo, nello. 35 noe: non, nella comune forma toscana no più vocale paragogica. 36 Unde ... carnale: l'assimilazione di Scipione a eroe dell'etica tardocavalleresca ne comporta una quasi-santificazione, a cui subito appresso concorre il presunto uso miracoloso delle reliquie, poste in un ipotetico Carroccio. Di essa è elemento importante la castità: è la morale del Graal, proposta da Chrétien de Troyes e vastamente diffusa nella letteratura duecentesca, fondata sull'esaltazione delle virtù cristiane e cavalleresche, ormai fuse e indistinguibili. 37 s'aribellaro: si ribellarono.
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tollessero e per segna, sempre che veniano a combattere, se portassero denanzi a la schiera. Così facendo, e perla speranza ch'aveano en l'ossa suoe, comenzaro a ventiare tucte le battallie e soctomiserose tucte le provintie che s'erano ribellate. E Scipione amò più d'essere so' la signoria de Roma e compagn0 38 ch~elli non amò d'essere signore. IV - CONTO DI FABRIZIO In quello tempo che li Romani cominciaro guerra a quelli de Tarento, però ch'aveano aiutati quelli de Benevento, quelli de Tarento mandaro per aiuto al re Firr? E Pirro cor: grande oste e con multi alifanti! venne enn·alUt02 de quellI de Tarento e venne en Italia. E li Romani li mandaro incontra Levinus consolo. E combattiero insieme e vento averiano li Romani, ma per cascione de li alifanti, colli quali li Romani non aveano anco alora usati de combactere, li Romani perdiero, e fuoro in multi morti e presi. E Pirro, vedendo ei visi de li Romani e sapendo la franchezza loro e conoscendo ch' elli no aveano perduto per loro defect0 3 , li morti fece, CO'4 più poté onoratamente, soterrare, e li prescioni tenne cortesemente facendoli molto servire. E poi, tractandose se pace da Pirro e li Romani si potea fare, li Romani mandaro Fabritio per am.basciadore, ch'era consolo de Roma. E Pirro, entendendo la bontà de Fabritio, li disse: «Se tu vuoli essere mio compagno, eo te dearò la meità5 del m~o regno». E Fabritio disse ch'amava più d'essere citadino e con38 compagno: come in .frane. am. campagnon, cavaliere come i suoi pari, unito ad essi da un sacro patto d'armi e di fedeltà. l
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ali/anti: elefanti. enn- aiuto: in aiuto. Cfr. Rohlfs 223. per ... defecto: per loro colpa. co': come. meità: metà.
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solo de Roma che re. E perché li Romani biasmavano che Pirro avea presi e diceano che no aveano per omini quelli ches'aviano lasciati prendere armati s'eHi non recomperavano prima l'arme, e Pirro, sapendo ch'eHi no colpevoli, li Romani ch'avea presi, ch'erano .Vlll.m., liberamente li lasciò. Alora fecero li Romani una pace certo tempo con Pirro. E compiuto el tempo li Romani remandaro contra Pirro Fabritio; ed essendo l'oste presso, medico de Pirro venne a Fabritio celatamente e disseli che, s'elli li volea dare cotanto avere, ch'eHi ucidea Pirro. E Fabritio prese el medico e mandòlo preso a Pirro. E quando Pirro vidde ciò disse: «Questo ha facto Fabritio, lo quale porria così sosteneré de fare bontà come el sole del corso suo». Ed essendo Fabritio voluto corompere da un re per avere, respuse: «Li Romani non desiderano l'oro, ma ch'hanno l'oro».
poi fo mandato contra Mitridate e·lle2 parti de Costantinopoli, el quale Mitridate avea bene .XL. anni guerra coHi Romani avuta, e de nocte in tal guisa l' asalse a li padiHioni che, senza danno de li suoi cavalieri, de queHi de Mitridate ucise .XX. milia. E Mitridate, perché fo sì sconficto, de lo grande dolore ch'abbe negò li dei suoi ed ucise duoi suoi propi fillioli. E poi vense una cictà, là dove Mitridate era recoverato, ed esso morto fo e tutto 'l regno suo soctomesso a Roma. E poi andò Pompeio sopr'a el re Tigranes, che s'era rivelIato incontra a Roma, e Tigranes, vedendo ch'eHi non potea a Pompeio contrastare, volseli la corona del regno suo dare; ma Pompeio quello onore per sé recevere non volse, dicendo: «lo non so' degno de corona portare né in ciò entend0 3». Ma perché senza cagione se rivellò a Roma, ordenò ch'esso desse a Roma l'anno de censo. VII. millia de marche d'argento. E poi andò sovra Brete, re d'Albania, e venselo, e de concordia promise de dare certo tributo a Roma. E poi somise a Roma Iberiam, Itureos e Rabia4 ed Arv - CONTO DI POMPEIO menia minore, e Armenia dede a Diodato, el quale avea li Romani molto aiutati e·lla guerra ch'avero con Mitridate. Pompeio fa vertuoso cavaliere e savio e de gentile aUIt;;UlU,c;(!!! E poi andò in Gerusalem, dove dai fratri regnavano 'lora, Urtagnus e Aristobolus. E presa Gerusalem, intròe e-llo teme giusto ed amatore de Roma e de la comune utilità. E fa d'are mipromoltoedecorefrancoefermo,edelifactisuoi pIo de Salomone, e-llo quale era grande moltitudine d'oro mente alcuna cosa dirò. In quello tempo che Sertorius e d'argento e de prete5 pretiose. E Pompeio neuna cosa de quello grandissimo tesoro volse tocare. E questo credere se revelò 1 in Espagna contra li Romani, ed avea presi e morti li consoli e 'cavalieri tucti che li Romani [tucti] contr'a lui pò facesse per dai speciale cascioni: prima, per nun tocare per reverenza de le cose ch'erano en cusì sancto loco; apresaveano mandato, li Romani li mandaro incontra in Espagna so, che quello ch'eHi facea per avanzamento ed onore di RoPompeio. E quasi tucte le cità d'Espagna vense e sotomise ma, alcuno credesse né dire potesse che esso el facesse per a l~ signoria de Roma. Ed en quella stagione molte cità d'entorno la marina si rivellaro a Roma, e fa anca convoitosità6 d'avere. E .XXXII. re enn-oriente soctomise a Pompeio mandato, ed en pochi dì tucte le soctomise a Roma. 2
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sostenere: astenere.
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revelò: ribellò, come poco sotto riveilaro = 'ribellarono'.
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e-ile: en le, nelle. in ... entendo: ho mire, desidero questo. Rabia: l'Arabia. prete: pietre, con metatesi popolaresca assai comune (cfr. Rohlfs 322). convoitosità: desiderio, brama. Cfr. franc; ant. convoitise.
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Roma, e pose capo7 a quella guerra antichissim (o) tempo durata. E poi passò en India e tucta India e terra de Vertà somise a Roma, e la terra che se chiamava Alanos, la quale per Alexandro né per Ercules né per Bacus non fo ma,g si tucta venta. E poi retornò a Roma, el quale, sì co' devea, fo recevuto a grande onore. E poi in quello tempo, in li annj . VI C. LXXXXIII. poi che Roma fo facta, fuoro a Roma facti doi consoli, Giulio Cesar e Pompeio. Decto Cesar fo man~ dato in Gallia, cioè in Francia, e Pompeio remase a Roma. E nota che de tucte le provintie e reame che conquistò Pom~ peio neuna cosa a sé retenne, ma sempre dee9 a li cavalieri suoi quello che convenia, e l'altro tucto acquistò e dé a R 0 2. ma. Ed esso amò sempre pace in armi e arme in pace. E Pom'" peio volea che l' omo avesse altresì grande franghezza i# negare quello che non era da dire come in dare quello che convenia. VI - CONTO DE CESAR Facto consolo Cesar, e mandato in Francia, esso prima combatteo e vense una gente che se chiamava Alberniaml e poi vense fino a lo mare de Bretagna. E combacteo con T~; ligus, Lacogis e RalÌracis e con multe altre genti, de le quali, bene .XL.m. ucise, e·ppoi vinse Calioristum re, e ben .XL. mb lia ucise e prese d'essi. E facto ciò, poi multi genti s'adunaf(~, contra lui, li quali fuoro bene .Lxx.milia. E subitamente ai passare d'una selva asaliero Cesar, e quasi li Romani e· cominciamento misero en esconficta, ma Cesar, come savi el quale sempre gia2 en guardia ed apensatamente, 3 a ci
ch'alcuna subita cosa no·lli4 potesse nociare, se trasse en quella parte con certa gente scelta, la quale sempre menava ordenata ed asectata~nte, e tanto el facto sostenne che li altri suoi cavalieri eschirati5 ed ordenatamente vennero a la bataglia. E quasi quella gente tucta ocise e prese. E poi combateo la gente de Cesar cum Aquitanicus, e bene .X~XVIIII: milia uccisero d'essi. E poi combateo e destrusse tuctl quellI de Germania, e poi passò el fiume del Reno, e là fe' grande battallie collo duca de Soave6 e colli cavalieri del re ch'erano essi anche li megliori cavalieri de la Magna. E tucti li vense e somise a Roma. E poi combateo e vense quelli de Bretanos, li quali de li Romani faciano delegione,7 e feceli tributari di Roma e tolse loro li stagi, 8 e tucta la contrada mise so' Roma. E poi retornò in Francia ed essendo presso ad acquistare Francia li Romani li mandaro ch'elli dovesse tornare a Roma. Esso, vedendose presso ad avere la victoria de Francia, per lo meliore9 non andò alora a Roma, ma stecte per .v. anni in Francia, sì che tucta la soctomise a Roma, ed en capo de .x. anni tucte le provintie de le parte septentrionaIe mise so' la signoria de Roma. E sì bello e savio portamento e largo fece ver li suoi cavaliere, e ver de ciascuno cavaliere e genti, che ciascuno più teneramente amava Cesar. Ed esso solo fo el più aspro e studioso lO omo verso chi li contrastòe. Ed esso fa el più umele solo e magiure perdonatore poi ch'ave vento. Ordenate ed asectate tucte le provintie decte socto la signoria de Roma, esso, con tucta sua cavalaria e con molti altri baroni e cavalieri che per la bontà no' Ili: non gli. eschirati: schierati. 6 collo ... Soave: gli antichi Suebi con cui combatté Cesare divengono qui i soldati del duca di Svevia, secondo un processo già descritto in Scipione, n. 3. 1 delegione: dileggio, disprezzo. 8 stagi: ostaggi. 9 per ... meliore: ritenendo che fosse meglio per lui. lO studioso: ostinato, pervicace. 4
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pose capo: pose fine. ma': mai. dee: dette (cfr. Rohlfs 585), come il sego dé. Alberniam: l'Alvernia, regione della Gailia centrale. gìa: andava. apensatamente: con riflessione, ben organizzato militarmente.
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sua esso seguiano, e se partio de Francia e venne fine ad Arh meno. E quando udiero li Romani che Cesar a Roma torna" va, infra loro ne fo grande devisione, ch'assai erano che vo, leano ch'esso tornasse e tucti li suoi cavalieri a Roma senz:8, arme. Pompeio, ch'era consolo, Catone e li senatori e mul . altri grandi e dericti 11 Romani volsero ch'elli tornasse sen armi e triunfo a Roma, perch'era stato contra el comand mento che li fo facto, e mandarli a dire ch'esso non passas più ennanzi che Arimeno con armi. De la qual cosa Ces s'adirò e schifò multo, ma tuctavia non passò, e grande tem po stecte con tucta sua gente làe,12 tanto ch' a Roma la d visione montò tanto che la magiure parte de li Roma voleano ch'essi tornasse a Roma a grande onore e mandaro? no per lui, quelli che·cciòvolieno, ch'eHi tornasse a'rRoma~ Ed esso se mosse con tutta sua gente ad andare a Roma
VII - CONTO DI IULlO CESAR E DI POMPEO Quando Pompeio e Catone intesero che Ce'sar venia aRo, ma, vedendo ch'a lui non poteano contrastare, essi senatori con molti altri grandi Romani se partiero de Roma ed an darne ver Pullia. E quando Cesar lo 'ntese, non volse entra re en Roma, ma andò derieto 1 a loro. E venendo a una temi che se chiama la torre de Corfi, ciò credo che Radicofanq fosse,2 la quale avea in guardia Luces,3 uno de li più lialé' e scigur04 cavaliere de Roma, lo quale essa terra a Cesar da Il 12 l
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derieti: giusti, assennati. lae: là. Cfr. Scipione, n. 35. derieto: dietro. la ... fosse: Corfinium, nel Sannio, erroneamente identificato col
stello di Radicofani già nella fonte francese del compilatore. 3, Luees: come più sotto Domiees, è Lucio Domizio. Cfr. CESAAEDEBEL. LO civili I 16-23. 4 sciguro: sicuro.
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re non volse; unde Cesar li se puose ad oste, ~ sì forte la combattecte un dì che lo borgo vense per battaglIa ed averea, alora la terra avuta, non fosse la grande franchezza ~he lor~ fe' el buono Luces. Undi poi li cavalieri de Luces ~hssero 1m che voleano rendere la terra a Cesar. E Luces dl.sse a loro che non piacesse a Dio che la terra del co~un~ dI Roma se renda ad uno solo cictadino: «Cesar uno clctadmo de R?ma ène. Si quello ch'apartene al comune rende~semo .a ~m, d.e ciò l'onore del comune abbasseria». Unde 11 cavaher~ ,SUOi, volendo a Cesar pur rendere la terra e non potendo a ~1O Luces acordare presero Domices a forza, e la terra e 1m preso misero in m~no de Cesar; lo quale così siguro venne e stec~e denanzi a Cesar, come esso signore estato fosse, ed esso SIguro stava, ché, per operare drictura e quello che devea, non temea morte. E Cesar, guardando lui, conob?e la fermez~ e bontà del grande anemo suo. '~ora ~isse.a l~l: «Se tu vuoh stare meco, eo lassote e terrocte mfra h mel plU caro». E Domices disse che volea pria morire che scampare per mano del nemico de Roma. E Cesar, per non volere dare alcuno empilli0 5 ch'eHi non potesse operare el buono anemo suo, lo fe' incontenente lasciare. E nota che de questo ebe onore Cesar più che de battaHia alcuna ch'el~i fesse mai. Ed essendo già im· Pullia Pompeio e Catone, mtendendo che Cesar avea assediato Domices, incontenente se mo~sero a tornare, per Domices socurrere. E nota ch'a quello nsco non se volsero mectere per defendere Roma, e mectere se voleano per la bontà d'uno solo cavalieri. Ma venendo ed. ~ntendendo e~ facto tenero per PuHia a valle fine a BrandltIa. E Cesar h segui~ ed assediò Branditia. ~ Pompe.io e Cato se ~artiero da Branditia e passaro in Gretla. E pOi Cesar retorno a Roma, e lasciò Brutus ad assedio in Branditia, lo quale la combatette per mare e per terra sì che la vense. E quando fo Cesar gionto a Roma, ed andando al tesoro del comuno, Matellus, che esso tesoro guardava, se puse tucto solo sulla porta a la 5
empillio: impiglio, ostacolo.
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defensione. Allora 'cavalieri ch'erano cu Cesar lo volsero uccidere, e Cesare uccidere non lasciò, ma disse: «lo so ch'esso vòle essere morto, perché se dica ch'esso solo defese la legge. Ma le legge averiano più vergogna de tale defendetore· che s'ellino perissero, ned esso ène degno de la mia ira». E" poi fo facto consolo de capo, ed andò in Espagna, ecomba;teo con Ascanio, duca de Pompeio, e con grande briga lo vense, e retornò a Roma. Or retorniamo a Pompeio ed a Ca,T tone, li quali, sì com'è decto, se partiero da Branditia e anT daro en Gretia. Pompeio, el quale era amato en Grecia molto\ cognosciuto per tucto el mundo, mandòe in ciascuna partlt und'elli potesse avere aiutorio. E per lo renom0 6 suo e l'amor de lui e de li altri Romani, vennero en suo aiuto baroni e cavalieri de multe parti, sì ch'eHi adunòe una de maiure oste che fosse quasi en el suo tempo al mondo. quando Cesar entese ciò, esso se partio da Roma forzatame te e andòe in Gretia contra Pompeio, ed essendo l'oste Cesar e de Pompeio presso, e·llo luoco ch'alora se chiam va Durazzo, Cesaro fece fare uno grande fosso con estecat e con bretesche7 multe, el quale fosso uno terreno grandis... simo molto girava. E ciò fare fece. Unde Pompeio con tucta. l'oste sua venne al dieto fosso, e per forza il cominciò a paS;:' sare, e molti di quelli de Cesar, ch'a la guardia erano 'lora, fuoron morti. E passato averiano legermente el fosso tucté:ì! la gente de Pompeio,'ma Sceva,8 uno cavalieri di Cesar ch'a;.! lorq, guardava, s'abandonò a la morte e ferìose fra quelli Pompeio, e tanto fe' per la forza e franchezza sua, ch'es solo contendea sì el passo a tucta l'oste de Pompeio, che p sare non poteano. E quasi tucta l'oste de Pompeio li lancia vano e balestravano e li gectavano petre e lo feriano e de lan e de spade, ed esso sempre estando fermo al passo e co renomo: fama, rinomanza. bretesche: bertesche, camminamenti e posti di guardia. 8 Sceva: è un centurione nominato da Cesare in De Beilo Gallico III 53 su cui si costruiscono fantasiosi ampliamenti. 6
bactendo ed ucidendo e ferendo ciascuno che li s'apressava. E tanto stecte a la defensione ch'esso era sì pieno de lance e de dardi, de quadrelli e de strali, che quando li e.ra lanciat~ o saetato le lance e li quadrelli l'uno en l'altro fena, che COSI come el riccio era pieno Sceva de strali, de quadrelli e·de lance. Unde ellibro per grande miracolo dice: «Una oste tucta combateo contra uno orno, e uno uomo contra una oste». E tanto sofferse Sceva che Cesar venne. E quando la gente de Pompeio vidde Cesar venire, alquanto se res~rensero e se cessar09 arietro, e lasciaro Sceva stare senza fenllo alora. E sì tosto come elIo fo remaso de l'essere combatuto e del combactere, lo quale caldezza e vertù li dava e lo tenea combattendo in vita venne meno Sceva. Ma le lance ch'avea adosso e 'strali e 'd;rdi lo teneano dericto, sì ch'elli parea anca vivo ai nemici sai. E poi che la gente de Cesar fo giunta, tucti stavano intorno Sceva, ed adoravano lui come uno deo fosse, e de quelli vestimenti vestiero lui che vestivano el dio Marte, dio loro de le battallie, e bene fo degno el dì Sceva de tale onore, ché mai cavaliere più non fe' d'arme en uno dì ch'esso 'lora fece. Ora retorniamo a Pompeio e a Cesar. La batalia fra loro fo molto grande, ma perché la gente de Cesar no era alora bene tucta ordenata, e perché Pompeio avea assai più maiurmente, quelli de <?esar torn~ro qu.asi tu~ti ~, desconficta. E siquitando PompelO la sconfIcta, II COmll1CIO a dolere ed avere pietà de quelli de Cesar, ch'erano citadini de Roma quelli che ucidere vedea. E 'Iora fe' la retractata sonare, la quale poi che sonava no osava alcuno poi più inanzi and~re. E per questa cascione escampò Cesar e la sua gente el dI, ~ ne perdeo Pompeio la victoria del mondo tucta avere. E P?l Cesar de capo asectò ed ordenò tucta sua gente, e PompelO la sua. E stava Pompeio coll'oste sua in sun uno lO monte forte e Cesar stava e·Ilo piano colla sua. Conoscendo Pom-
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se cessaro: si ritirarono (lal. cesserunt). in ... uno: su un; la -n di sun è suono di transizione.
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peio che Cesar non potea l'oste sua per cagione de mercato Il e d'altre cose mantenere longiamente, ed esso era fornito de potere l'oste sua mantenere, contra el volere de la gente sua tucta non volea la battaglia, sì come orno che volea venciare anzi per fame e senza risco el nemico suo che per batallia e che volea victoria senza combattere pria che combatend~ en ventura d'avere victoria o del perdere stare. Ma la gente altra sua volontà volsero pur combattere. Unde Pompeio, vedendo che la battaHia pur convenia che fussi, ordenò tucta la gente sua e con alegro e fiero viso disse fra loro sì umele e sa,,:ie e franc~issime parole, ch'è ciascuno de li suoi più coraggIOso e volhoso de meHio fare. E quando Cesar vidde così ordenatamente la grande oste de Pompeio descendere del monte, lo cui splendore quasi uno sole parea, come convenia la sua gente ordenò., e 'l cominciamento del dire suo fa questo: «Ora s'aparechia el dì desiderato che li dei ci hanno promesso, ci?è che, d~pO'12 la victoria ch'averemo oggi, debbono de plano, quelli che sono qui, avere de tucto el mundo poi la signoria». E così bell'e savie e virtuose parole de conforto loro disse, che ciascuno enfiambato 13 e desideroso ven~~ de combattere più. Ensomma dico che la battaglia fa la plU mortale e maggiure e più forte che fosse mai e dove da ciascheduna parte furono morti più bon cavalieri. E meraveHiosa cosa fa e sirea 14 ad entendere la gran cavallaria e vertuose e valorose cose che Cesar e Pompeio e li loro cavalieri e·lla bataHia el dì fecero d'arme. Non recevecte Roma giammai in uno solo dì sì grande dannaggio 15 né perdeo tanti de,sai ~oni cavalieri e grandi citadini. La magiure parte del d~ duro quella che fa la più mortale battaHia e dolorosa. Ma fmalmente Pompeio fu sconficto e fa la magiure parte Il 12 Il 14 IS
per ... mercato: per mancanza di rifornimenti. depo': dipoi, dopo. enfiambato: infiammato. sirea: sarebbe. dannaggio: danno.
de la sua cavàllaria morta. E nota' che quando Pompeio vidde che la gente sua tucta moria, e che remedio alcuno essere no p6 potea più, fece quello cenno, come era usanza alara, a la sua gente che se devesse partire. Ed esso 'lora se partio da la battallia. Ma Catone e li altri boni cavalieri non se volsero partire quando che Pompeio, anzi restectero poi molto a la battaHia, e fuarono per questo alora morti multi. E questo Catone e li altri fiero a ciò che 17 ciascuno apertamente vedesse ch'essi per Pompeio non combatiano, ma per la franchezza de Roma, e de quelli ch'erano e deveano venire propriamente e solo. Poi ch'ave la batallia in tucto Cesar venta, Pompeio e Catone, con li altri che camparo de la battallia, se n'andaro verso Egipto a lo re Tolomeo, al cui padre Pompeio avea conceduto el regno d'Agipto. E quando fa Pompeio andato làe, e Tolomeo, sapendo come el facto era stato da Cesare vento, come codardo e traditore, pensòe el magiure male che mai pensato o facto fosse, ciò fa d'ucidere Pompeio, a cui de servire tanto era tenuto, ed a Cesar mandare el capo suo. E così co' Pompeo fa fare de la nave, lo fe' Tolomeo pilliare per farlo morire, come esso fece. E quando Pompeio se vidde a la morte venire, fermò e-Ilo core suo de non temere morte, né, morendo, colore né vista mutare, sì che, quando Tolomeo li facea per lo pecto co le spade ferire e drieto passare, esso stava sì fermo, senza mutare colore, come s'eHi non fosse toccato. E così dericto e fermo, senza vista mutare, murfo Pompeio, de la quale morte el mundo se devea dolere allora e deveria mai sempre. E poi, morto Pompeio, lo malvagio Tolomeo tolse el capo suo e ne fe' per li suoi ambasciadori a Cesar fare presenti. E quando Cesar ciò vidde, fece alora quello ch'ei no avea mai facto, ciò fa de lagremare e piangere forte. E nota che disse: «Questo è el mortale presente. E più Tolomeo ha offeso a me che non fe' a Pompeio, cui taHiò el capo, ch'eHi m'ha tolto quello 16
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i: gli fiero ... che: lo fecero perché.
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ch'eo più desiderava, ch'ormai fare non porrò, ciò era, deppo' la nostra battallia, de fare pace con lui a la sua volontà ed avere sempre la sua compagnia». Or torniamo a Catone e a li altri suoi. Quando Catone e li altri Pompeio viddero ucidere, grande fo lo sconforto che presero li Romani. Ma Catone fe' una molto savia e bella diciaria in onore de Pompeio e de confortamento de l'altra gente. Avendo Catone e l'altra gente ch'era co·llui preso porto e stando un dì longo la marina, quasi la magiure parte se fermaro 18 de non volere più contrastare a Cesar e de volere tornare so' la sua signoria. E subitamente cominciaro ad entrare e·lle navi ed a lasciare Catone e gire a Cesar, de la quale cosa dolse a Catone molto, perché li parea che la franchessa 19 de Roma andata fosse. Ma sì saviamente li amania, represe, pregò e confortò, che quelli, ch'erano e·lle nave già entrati, e li altri tucti se fermaro de Catone seguire e de soferrire amne travallio e pena ch'a lui piacesse. Unde esso, con tucta quella gente ch'era assai grande, per multi aspri luoghi e deserti passò en Libia, dove regnava Iubam. E Cesar, intendendo che Catone e li altri soi in Libia erano passati e che grande oste aveano per contrastare a lui adunata, aparechiòse d'andare en quella parte. Ma inanzi ch'andasse, combateo con Tolomeo el quale, sì com'è decto, ucise Pompeio, e vense la battallia, e Tolomeo ucise e fecelo e·l mare gittare. E non volse ch'esso fosse soterrato, dicendo che la terra non lo devea sostenere. E poi combateo Cesar co Fernace, fillio de Mitridate, e co Diodato, re d'Armenia menore, e tucte le terre d'Oriente somise a Roma. E vense la battallia ed ucise Fernace. E poi passò en Libia e grande battallia fe' con Catone e con Iubam. E multo fuoro delectevele ad udire le savie e bone e virtuose parole che Catone, en conforto ed enn·amaestramento de bene fare, disse a la sua gente, e Cesar a la su Ma pur infine Catone e Iubam la battalia perdiero. Ed anc.
poi Catone con Cesar combateo e·lla contrada ch'alora era Utica chiamata, e perdeo anco Catone la battallia e fo morta tucta la sua gente. E partitose Catone da la battallia, genti assai e terre cercò per volere anco a Cesar contrastare, ma non trovando alcuna terra né gente con cui ciò fare potesse e conveniendoli per forza venire, né altro essere potea, so' la bailia e signoria de Cesar, volse ante pria soffrire per sé morire lasciarse ch'a ciò volere venire. Unde Sancto Augustino sovr'a la morte tale de Catone disse che la morte d'on tale, come Catone, che convenevole era asempro devesse essere e fusse, a quelli ch'erano 'lora e deveano venire, sempre de volere franchi pria volere morire che vivere servi e socto signoria. Cato savio molto cavaliere fo ed amadore de Roma e de drictura, e non volse mai ch'ei remanesse d'operarse giustitia per pietà né per alcuna cosa contra quelli che fallase. 20 Ed elli volea anti essere bono che rasembrarlo. E quando en Roma apparea devisione alcuna, molti diricti e. savi Romani s'aspectavano tanto che Catone avesse de ciò pilliata parte, per pilliare poi quella ch'esso pilliava, ché poi saviano che rascioneele21 era quella che esso pilliava. Ora a Cesar se torneo Poi ch'ave Cesar vente e soctomisse a Roma tucte quelle contrade, esso repassò in Espagna, dove erano con grande oste li fillioli de Pompeio, e combateo con loro presso ad una cità, e sì francamente combatiero li fillioli de Pompeio che quasi la battallia ebbero venta un dì, e Cesar morto. Ma Cesar fe' 'lora d'anni tanto de sé medesmo, e con parole li suoi cavalieri sì confortò, ch'essa battallia vense, e focie 22 morto uno de' fillioli de Pompeio. E poi tucta Spagna vense, sì ch'enn·alcuna parte no i contrastava alcuno. E facto poi ciò tucto, retornò a Roma, el quale a grande triunfa ed onore fo recevuto, e facto emperadore de tucto el mundo. Ed esso de tucto el mundo e d' omo ciascuno recevecte 20
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se fermaro: si confermarono, decisero fermamente. franchessa: libertà. L'esito -essa pare tratto pisano-Iucchese.
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fallase: errarono, furono colpevoli. rascioneele: ragionevole. focie: ci fu, ci rimase.
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tributo. E tucto el mundo, de quanto tempo visse emperadore, fece a pace stare. Ed esso solo fo el più largo e debonaire23 emperadore ch'a Roma fosse mai, e che più alegramente gratie e doni facea. E sempre ciascheduno ch'andò denanzi a lui per gratia alcuna, se ne partia alegro. Essendoli una fiada24 per alcuno decto ch'esso gratie e doni troppo facea, esso respuse 'lora che convenevele era denanzi a lo 'mperadore de Roma ciascheduno se ne partisse alegro. Ed a Cesar parea niente avere facto enfine a tanto ch'avea alcuna cosa a fare. E cavalcando un dì Cesar per Roma, uno ad alto gridò e disse: «Tiranno!». E Cesar se vols'e lui guardando disse: «S'eo fosse, tu no'l direste». Ed esso fo chiarissimo e de sutile entendemento, e de lectaratura e de tucte cose che perteneano a guerra ed a pace fo sommo maestro. E .L. batallie in campo fece, de le quale .XLVIII. vense, .VIIII. cento milliaia d'uomeni e·lle batallie che fece moriero. E stando un dì a consellio Cesar, Bruto e Cassio ed senatori, che Cesar facti avea, asaliero subitamente Cesar 'l cominciaro a ferire; el quale era senza armi, cum quelli che fra li soi più cari estare pensava. Ed esso, quando a la morte se vidde venire, del mantello se coperse el viso suo, e li drapJ pi fra le gambe se mise. E ciò fe' perché lo viso suo non fosse, morendo, veduto cangiare e perché, quando venia al morire, cadesse a terra più onestamente. Grande fo la for... tezza del grande anemo suo ch'al puncto de sì subita morte a tal cosa guardòe. E sì co' 'l libro dice, en ella morte sua. segni aparvero grande e·Ilo cielo, e·Ila terra, e·Ilo mare. Iu':; lio Cesar disse: «Dosci025 bono è che non sa fatiga, ch'è ca] ro a li cavalieri». Si ha: «Non saper è cavaliere armare> ,. anche: «Dolcezza de doscio in oste è saecta contra 'nimici». Non mai disse Cesar a li cavalieri suoi: «Andate là», ma: «Venite qua»; «In batallia le corpora co spade se ferono e in oziò
da' vitii». Anco: «Diricto è longamente tractato consellio».26 Anco: «Diricto consellio prendere potemo si conoscemo ciò: CO'27 defendere ne po'». Anche: «Onne cosa consellio rechere 28 ma non da tucti. Doe cose sonno al consellio contrarie: frecta e ira». Nulla cosa desmenticò Cesar altro che engiura, intende: 29 poi la victoria. «Nulla victoria è più alta», Cesar disse, «che perdono». Contra chi disse che Cesar non fosse de alto lignaggio, per madre nato fo de schiatta dei re e per padre descese da li dei, ché da Anco Martio descesi sono li Martii re, per padre descese da Vennare. 30 Adonqua in la generatione sua sanctità dei re, li quali intra le genti resplendono molto, e sacrifitio dei Dei in la cui podestà sono li re. VIII - CONTO DE REGOLO Regolo fu uno leale cavalieri e de fermo anemo e pr0 1 d'armi ed amadore de Roma. E per asemplo bono alcuna cosa de lui brevemente dirò. Esso en Affrica e 'nn2 altre parte e batallie fe' multe e victorie ebbe assai per li Romani, unde prescioni molti remandò a Roma. Ma combattendo un dì con li Affricani, esso fo preso con altri assai Romani. Ed en quello tempo ch'esso era en prescione,3 combattiero li Romani e li ffricani, unde fuoré alora multi de quelli d'Affrica presi remenati a Roma, per la quale cosa quelli d'Affrica Rego26 27
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debonaire: calco dal franco ant. de bon aire = 'generoso'. fiada: fiata, volta. Doscio: duce, capo (lat. dux).
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Diricto ... consellio: giusta è una decisione lungamente discussa. co': come. rechere: richiede, ricerca (franc. ant. requer). intende: intendi; è avvertimento al lettore prima di una precisazione. Vennare: Venereo Cfr. Scipione, n. 28. pro: prode, valente. e 'nn: e in. prescione: prigione. fuore: furono.
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lo mandaro a tractare pace e li prescioni ciascuno lasciare de l'altro. Quando fo gionto a Roma e ciò ebbe e·llo consellio contato, 5 li Romani tucti a una voce dissero che ciò fosse facto secondo el volere suo. Ed esso, vedendo che li Affricani alora aviano de la guerra el pegiore, e che de quella pace e de lo scambiamento de li prescioni erano li Romani ingannati, non lasciò quella pace a li Romani fare, dicendo a loro ch'ei non piacesse a Deo che, s'elli avea e·lla SUi! gioven'età servito a Roma, ch'ora e·lla vechiezza sua li volesse danno fare. E volendo sua promessione ferma tenere, contra la voluntà de soi parenti in Affrica tornòe, essendo certo ch'elli devea esser morto. Ecome esso fo là e li Affricani intesero el facto, ucisaro Regolo, del quale assai grande vendecta poi foe. .
IX - CONTO DE BRUTO
1Tarquinio e Prosenna intraro in Roma,
e combattendo l'a0.veriano avuta, si non fosse Coc1es,610 quale franco e forte j molto era, che tucto solo el ponte del Tevere defese sì ch~ ~. essi per cosa alcuna non lo poteano passare. E qua?to esso ) più forte d'onne parte feriano, esso più fermo maglOrmente j.stava. Unde essi, non potendo passare, derieto da·llui el ponte halliar0 8 • E Coc1es gio nell'acqua e ruppe la coscia. Ed arImato poi, notando, el Tevere passòe e·rritornòe anca dalJl'altro lato e tanto sofferio combatendo che la gente sua gionse. E per questo scampò Roma alora. E l'altro dì comenf ciaro la battallia. E Iarom,9 un cavaliere el meliore de tucta 'l'oste de Prosenna e de Tarquinio, si combatette con Bruto a corpo a corpo, e fo fra loro una battallia mortale e grande molto e ciascuno l'altro feria mortalmente. Ma Iaron moria • lO • l . pria, e fa poi l'oste sua tucta sconflcta, ed avero po~ a v~ctoria li Romani. Ma Bruto moria 'lora d'essa batalha pna, de la quale morte pianse ciascuno Romano sì teneramente come fillio o padre fosse de ciascuno stato.
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Bruto fo el primo consolo de Roma, el quale fo moltO' liale ed amadore de Roma e franco d'armi. 1 En quello tem po che li Romani aviano caciato de Roma Tarquinio, ch'a vea per più de .xxx. anni lo 'mperio contra el volere de l - CONTO DE CAMMILLO Romani tenuto, ed esso s'era con Prosenna,2 re de Tosca~ na, acordato d'essere contra Roma, li fillioli de Bruto aveaCammillo combatté e sconfisse quelli di Vegies, l li quali no giurato d'essere con Tarquinio i(n) (i)ntrare 3 in ",,'" avieno isconfitti e' Romani. Ma, perché l'avere, che·ssì guaE questo fo per uno servo suo a Bruto celatamente non partì2 bene, li Romani lo sbandirono e gli guama esso non volse che ciò celato fosse, ché del suo tutto fillioli spropiòne, 4 e 'l servo liberò e 'l fe' sua reda. 5 E poi 6 Cocles: Orazio Coclite. esso: compI. ogg. di feriano. talliaro: tagliarono. 9 Iarom: nella fonte francesce Iaront o Iarunt (Arrunte, figlio di Porsenna), è frutto di ca~tiva lettura o di errore d'amanuense nella copia di lavoro del nostro compilatore. IO avero: ebbero. Pare forma umbra: cfr. Rohlfs 584. 7
e ... contato: ed ebbe raccontato, esposto ciò nel Senato. - e'llo: en lo, nel. 5
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franco d'armi: valente, bravo guerriero. Prosenna: Porsenna, con metatesi popolaresca. i(n> (i>ntrare: nel testo Del Monte, un poco probabile i' 'ntrare. spropiòne: espropriò, con -ne paragogica (cfr. Rohlfs 336). sua reda: suo erede, come figlio adottivo.
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Vegies: Veio. partì: divise.
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starono quanto i.rRoma3 avea. E·ppoi venne Bravio con & bon cavalieri che del suo tempo fosse al mundo, e Guizardo. Gallici e.ccombatté colli Romani e vinsegli, e arse Roma tutta t Girardo e Guido, suoi nepoti anco. Sì adunò cavalieri bene fuori che.cCampidoglio. E·ppoi Cammillo combatté e vinse 1.x. milia e collo re Tebaldo 'lor combateo. La battallia fu Bravio4 e.lla contrada che·ggià contro a·rRoma tutta ribel- f grande e mortaI molto, ma e·lla fine Guilielmo fu desconlata s'era, e·ccoll'avere tutto che allora avea guadagnato andò,' ficto e la gente sua tucta fu morta e presa e Vivian lì fu a.rRoma e'ppartillo bene.infra 'R?ma~i, che .molti}udine.di\ morto, Guizardo, Girardo e Guido presi; es;o solo ne scamtesauro er~. E per quest~ l Romam ~o ns?andlrono e.cchla-l pò. E tornando ad Orenga, non fo dolore facto mai marollo sIgnore e·ppol sempre Il chIamarono Romolo scom'eliP fiero. Tebaldo, senza entervallo alcuno seguendo J la sconficta, venne ad Orenga ad oste. Ciò vedendo, Guilielsecondo. l mo non sconfortòe ma, per conforto de la mollie e de sua '~gente, un mesaggi08 mandòe, che Girardo avea nome a BoXI - CONTO DEL RE T E B A L D O , I von de Bruban, che padre de Guizardo, de Girard~ e de
Tebaldo fo un re di gran poder' e tenea la signoria sua peri Guido era, ed a ~ertram de ~.aves, e ~u~lli ce v~nne~o bene gran parte di Spagna e di Raon<a>. El Soldano de Persia sìl en suo secorso con .~xx. ml~la cavah~n armatl. POI ch'ad li avea la terra sua tolta tucta ch'esso e.lle parti de Bambilo- 0Oreng~ fuaro, batalhe grande molte fiero con Tebaldo, ne nia avea. Esso avea una donna per mollie l che saggia era e~le quah Fulco mul~e meravellie fe' d'armi. Tebaldo avea e'9 dibonaire2 molto, che nome avea Giborge. In quella stagio- .~ un~ sora, che Fehce avea nome, che donzella era bella e ne se guerregiava Tebaldo con Guilielmo, che filiolo de Ai_~savla molto. Quand~ ella entese el pregio che la gente tucta merigo de Nerbona era. Alor avenne che Giborge, che Ifa Ful~o~ dava, de:Ul ennamor.ò né mai altro pensò che posaracina era, se fece cristiana e lasò Tebaldo e li tolseitter cr~s~lana deve!1lre ed a manto averlo. Essa de sua erediOrenga3 e Guilielmo per marito prese. De ciò Tebaldo niente~tate cita e castelli .xxx. avea, de le qual cità l'una, ch'avia sconfortòe, ma esforzatamente4 sovr'a Orenga andò ad~nome Candia, bon porto avea, la quale fort'era erica moloste.5 Alocta6 Guilielmo per aiutorio mandò in onni parte, 'it o . La donzella,che l'amore de Folco obliar non potea en sì venne en suo sucursu Viviano, nepote suo, ch'era un dei;j,alcun modo, per Girardo, suo messo, a Fulcon feo sapere ,~lo voler suo, e co' l'amava, e tanto fe' ch'essa a Fulco parlò l i'rRoma: in Roma, per il consueto fenomeno di assimilazione fOIlQ-'Wcelatamente e, basciando e abraciando ensieme s'acordaro sint:tBtica. . Il d' . l ' B ·.~e confatiendo lO quanto fu en piacer d~amore e' la prese a ravlO: ne a tra JZlOne atma, r e n n o . ' · ' mo11' . 5 risbandirono: tolsero il bando su di lui. 't le ed eIla l'I promise de dare Candìa e le sue terre tucte. l . ' . ' .~JjUndeFulco poi, como ordenò con liei, con cavalaria grande mo/ile: moghe. La fonte delle gesta di Tebaldo e Il poema provenza-..' ·.'.'.~.·.a. ndò a Candia e essa la t le Fo/que de C a n d i e . f ' * erra el. d'le de. Q uan do T eb aId o en2 dibonaire: provo de bon aire, piacevole, generosa.,~tese, essendo sov(ad Orenga l'oste 'lora, ch'Anfelice, sora l Orenga: l'Orange, provo A u r e n g a . ' $ 4 esforzatamente: con violenza. 1~ ; elli: i c~ttadini di Orange, essi. iJ, 5 ad oste: in guerra, con l'esercito. mesagglO: messaggero. 6 A/octa: allotta, allora, con grafia latineggiante comune al testo anche[l 9 e': egli. nelle parole di provenienza non latina. :. \0 confatiendo: confacendo, rendendo legale l'unione aml'rosa.
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sua, l'avea sì 'nganato, se partìo da Orenga e sor Can~ìa andò e le battallie grandi fece con Folco. Ma sopr'a CandIa tanto ad oste stecte, che Folco la cità più tener nonpodea. 'Lor fece ciò a Guilielmo sapere, che morti eran tucti, se non era.n secorsi. Ciò entendendo Guilielmo, encontenente al re LOlS de Franza andòe e tanto fece alora che 'l re Lois de Franza con tucto 'l poder suo venne a socurrare Candìa, e batallie mortali e grandi sì con la gente de Tebaldo fe:, ch'en q.uel tempo al mundo maiur non se fiero. Ma un dI lo re LOlS e Tebaldo combatiero ensieme en campo con tucta lor gente, sì non fu in quel tempo sì gran batallia mai. Ma enfine Tebaldo fu desconficto e la gente sua presa tucta e morta. Partendose sol tucto ll Tebaldo de la batallia, derietro a sé guardando, vedendo la gente spezata e morta tucta, a sé me: desmo disse: «Or veggio eo 12 bene che senza guerra ormaI terranno ei 13 miei nimici el meo». 'Loraper un poco comin~ ciò a lagrimare e, facendo ciò, ricordòsi che ciò non era cos~ che prod'om far dovesse, ma pensare maiurmente deve~ CO'14 i suoi nimici in pace un sol dì el suo tener non podes'" sero, e pensando a ciò disse a sé medesmo: «Eo pr,endarò mollie la filliola d'Aimors de Galie, dond'eo porro mencu,è en oste .c. milia omini ben; sì potrò anco còn ciò e con . \", ore:dìtag~ tanto fare ch'en pace senza guerra un pe'15 de mIO gio non porranno ei miei nimici tenere». Pensando ciò, core sovr'al cor 16 li venne. E 'lora si volse ed ucise un lieri che 'l seguitava, ch'avea nome Davis de Francia. E co' pensò avenne poi, ch'a molier 17 prese la filliola de Galie, sì adunò de la terra d'Aimor e del regno de
maso de Cordes,18 che su zeo 19 era, gente sì grande e bona, che venne ad Arabloia castel suo, dov'era el re Lois ad oste. 'Lora molte battallie grandi fiero, nelle quali, com'essa storia dice, moriero bene .L. milia omini. E tucto che 20 Tebaldo fusse un dei mellior cavalier d'arme, e 'l più scigur0 21 e 'l men temoroso, esso fu troppo magiurmente più cortese e largo e debonaire e de solazo e de buon sentimento; e per la cortesia sua e gran bontade, essendo molte volte ferito e·ne batallie, sì che fo per morto avuto, lo re Lois e li suoi cavalieri che co ·llui ciascuno dì faceano guerra lo piangeano cusì co' la sua gente medesma. En quella stagione che lo re Lois era ad oste sovra Arabloie e che, sì come è decto, con Tebaldo tanto combattuto era, esso prese uno messaggio, che Gefroi avea nome, e 'l mandò a Tebaldo e li fe' asapere ch'esso parlamentare co·llui volea, e Tebaldo al parlamento altamente 22 venne, al quale el re Lois fe' grande onore, e esso a·llui. Tebaldo era cortese e savio molto e entendevele23 molto, in ciascuna ragione24 bel parladore, ed altresì el re Lois el simile era, sì che non drugomanno loro mistiere era. 25 Li doi re da una parte trasserse sì solazando e ridendo ensieme molto e 'nfra l'altre virtuose parole che entendere se deano, che belle fuoro, lo re Lois ei disse com'elli se podea26 de guerra tanto, e Tebaldo ei disse com'elli se podea tanto del conquistar'e non credea ch'Orlando ed Ulivieri avese tanti. E '1 re Lois ei disse: «Eo non n'acuso li altri, ma io per me vorrei esser'a casa e, se non fosse la 'mpromessa ch'ho facta a Guilielmo e al suo lignaggio, tosto ei seria». 18 19
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sol tucto: del tutto solo. eo: io. ei: i. co': come. un pè: un piede, come misura di territorio. lo ... cor: gli crebbe il coraggio nel cuore. molier: moglie (lat. mulier = 'donna').
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2S 26
aumaso de Cordes: emiro di Cordova, in Spagna. zeo: zio. tucto che: benché, con tutto che. sciguro: sicuro, coraggioso. altamente: COl). dignità, fierezza. entendevele: intelligente, acuto. ragione: causa, argomento. non ... era: non c'era bisogno di interprete (drugomanno). se podea: poteva dedicarsi, impegnarsi.
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Respuse Tebaldo: «A questo s'acorda bene mun onele l'aumasor,27 el qual me dice: Lassa stare quista terra la qual tolta ci avete ed eo dai tanta28 de la mia te'n donaròe». E cusi insieme parlando li dai re de guerra ed altre cose, entendendo Lois sì savio ed amesurato parlare e bello, Tebaldo molto li piacque, en core avendo voler grande 'lora come potesse quella guerra a pace retornare. 29 'Lora disse a Tebaldo: «Pensare molto dovemo en ciascuna mainera come guerra sì grande e sì mortale tornar potesse a pace e lassare star la cosa ch'amendare non se può. Ofnon ve sia noia ascoltare que diraggio,30, ché non ve diria cosa che de vostr? onore non fusse. Si vostra sora, sì come savete, ora a mantar era, se 'l fe', de ciò blasmata esser non dé,31 ché '1 melior a marito che trovar potesse prese, sì non si pon032 ormai, poi33 cristiana è facta, per raigion 34 dipartire. Or lascia lor Candìa, suo ereditaggio, ed io lasciarò tucti ei pregion vostri; ed io dirò gran cosa, che per amor vostro, se ciò far volete, ch'eo passarò oltramare ad aitar voi ad acquistar la terra ch'a voi el Soldano de Persi'ha tolta e fare' e'35 là menare Guilielma con tucto suo lignaggio né de là non partire', finché ne sirite36 re coronato in Babilonia. Quel che non conselliasse a far ciò voi, nonn·amaria l'onor vostro né 'l bene de ciò». Tebaldo lo rengratiò molto, dicendo a lui: «Sì gran cosa non siria per me a voi mossa giammai,37 ma se 'l dannaggio mio altamente volete restorare, eo mi proffero a fare vostro volere». E 'lora lo re Lois fé' tale acordo a sua gente gnua,re, mun oncle l'aumasor: (frane.) mio zio l'emiro. doi tanta: due volte tanto, il doppio. 29 retornare: rivolgere, trasformare. 30 que diraggio: quel che dirò (frane.). 31 dé: deve. 32 pono: ponno, possono. 33 poi: poi che, dopo che. 34 per raigion: a buon diritto, senza commettere una colpa (cfr. frane. raison). 35 fare' e': farei io. 36 sirite: sarete. 37 Sì ... giammai: mai io vi avrei proposto un patto cosi straordinario. 27
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e Tebaldo a la sua, sì non fa giamai pace che più piacesse a ciascheduna parte che quella che fe' Tebaldo. E al re Lois disse: «lo faccio pace a fé 38 né male alcun ce 'ntendo. Unde el facto ormai sor 39 voi rimanga». Lois el pregò molto ch'onor fesse a Guilielmo e al suo lignaggio, e Tebaldo ridendo ei rispuse: «Eo el debbo fare, ch'ei so·mmiei parenti». 'Lora el padellion4o suo a Bertram donòe, che lo più rico ch'al mondo fosse era, sì fece onor tanto e doni sì grandi ai baroni tucti e ai cavaliere de Francia che ciascun lui più amava ed onorava, sì che con voler grande Lois e Guilielmo e 'l suo lignaggio e l'altra gente tucta con Tebaldo oltramare passaro e ad oste prima puserse41 ad Aquilea e là batallie molte e grandi fiero con un buon cavaliere, che Furacor avea nome, e con sua gente, che de la terra per lo Soldano de Persia capitano era. Ma a la fine per engegn0 42 presero la cictade. Da poi combattiero apresso con lo Soldano, lo quale ad Aquilea socurrar venia, e fa 'lor la battallia enfra lor grande molto, ma el Soldano fu morto enfine e desconficto. Sì dimorò là tanto Lois, che lo paese de là conquistar tucto ed ebbero Bambilonia, ne la quale coronato el re Tebaldo fue. E ciò facto, el re Lois e sua gente si ritornaro in Francia, ma giammai non fu ad uno dipartiment0 43 pianto grande sì facto come li dai re fiero, ed apresso de loro onn'altra gente. Non fa mai sì gran guerra, come essa fa, e che per ciascuna parte sì altamente mantenuta e menata a fine fosse, come essa fu. E ciò fu propriamente per lo senno e larchezza44 e valore grande del bon re Tebaldo e del re Lois e per la gran franchezza de Guilielmo d'Orenga. 38 39 40
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a fé: sulla mia fede, in b~ona fede. sor: sopra. padellion: padiglione, tenda da campo. puserse: si posero. per engegno: con astuzia, con uno strattagemma. dipartimento: partenza, separazione. larchezza: larghezza, generosità.
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XII - CONTO DEL SALADINO El Saladino 1 fo sì valoroso, largo e cortese signore e d'anemo gentile, che ciascuno ch'al mondo era en el suo tempo dicea che senza alcuno difecto era onne bontà in lui compiutamente. Unde meser Bertram dal Borgno,2 che maestro del Re giovene3 foe, entendendo d'onni omo del Saladino sì dire, per savere ciò, a lui vedere andòe, el quale dal Saladino fo, co' devea, veduto. Stato gran tempo là, meravelliòse molto e delectòe, ciò fo che pensare né vedere non avea possuto ch'en fare o dire el Saladinopotesse o devesse altro fare o dire ch'esso facea. E volendo savere co' ciò essare potea, trovòe che 'l Saladino, per non potere fallire e fare quanto devea, avea uno consellio suo, secreto molto, de solo li melliori e li più conoscenti ch'avesse possuto avere de parte alcuna. E con loro ciaschedun dì tractava e conselliava quello ch'nn·sso dì a fare e dire avea, e se nel dì passato era sut04 da dire o da fare altro ch'era, e che da provedere per lo dì sequente era. Né sì grande facto mai li sopravenne alcuno, che ciò lassasse de ciascun dì fare. Unde meser Bertram disse al Saladino, volendose partire, quel per che venuto era e come non vedere avea possuto né per sé vedea ch'elli avesse altro a fare ch'esso facea, ma conselliòne lui ch'esso amasse per amore 5 una donna che solamente 'lora era la melliore, e amore mectarea lo 'nviamento poi s'ei potesse altro o più, I El Saladino: Yussuf ibn Ayyub, soprannominato Salah eh Din, sul~ tano d'Egitto e di Siria; personaggio notissimo nel Medio Evo, protagonista di numerose leggende e novelle, fino al Decameron boccacciano. 2 Bertram del Borgno: Bertran de Born, sire di Autefort (Altaforte), uno dei più noti trovatori provenzali (sec. XII), guerriero dalla vita avventurosa e personaggio della Commedià dantesca (In! XXVIII 113-42). 3 Re giovene: Enrico, figlio di Enrico II di Inghilterra e di Eleonora d'Aquitania, mori combattendo contro il padre nel 1183. 4 suto: stato. 5 amasse per amore: amasse di vero amore, secondo le regole della cortesia trobadorica.
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. cosa da valere fare. 6 El Saladino li disse, come era loro usanza, esso avea donne e donzelle assai gentile e belle molto e ch'amava co' convenia ciascuna. Messer Bertram li mostrò come esso non era amore, e quale amore era. E sì tosto come esso a lui l'ave contato, fo de la donna il Saladino d'amore fin0 7 ennamorato. E stando gran tempo el Saladino e non potendo pensare né vedere com'elli a la donna potesse parlare né vedere né ciò farli savere, perché cristiana era la donna, ed era in una terra con quale grande guerra el Saladino avea, sforzatamente ad oste venne a la terra là dove era essa donna e·llà fece mangani 8 molti dirizare e fare onne argoment0 9 a ciò che quelli de la terra venissero ad acordo più tosto. Ma quelli dentro, sì come bona gente, acordo né mena lO col Saladino non volsero fare alcuna. Onde esso assediò la cità tanto e la fe' traboccare, che li muri tucti quasi a terra mise. E tanto era esso assedio durato, ch'elli non aveano più, quelli dentro, a mangiare. E 'lora mandò ll la donna al Saladino ch'ei venisse a parlare, ed elli, de core tucto alegro de ciò molto, andò a lei, ed essa pria li parlò e disse: «Per alcuno decto è me 12 che me pensate amare, e che ciò per mio amore avete facto. Se ciò vero è, sono queste le gioie che d'amore diano 13 venire, traboccare pietre e tanto ad oste stare, che doa 14 stare non avemo, né da mangiare più?». El Saladino disse: «Madonna, el Segnore, che per sua gratia me ve donò ad amare, volse ch'a vostra terra venisse en guisa tale, en fare tal guerra, solo per pace d'amore. De quello che 6 e ... fare: l'amore avrebbe sollecitato l'intelligenza del Saladino a fare ancora di più, lo avrebbe spinto verso la perfezione. 7 amore fino: provo fin 'amors, l'amore che non riguarda solo il corpo, ma i sentimenti e l'intelletto dell'innamorato. : mangani: macchin~ da guerra che lanciano proiettili oltre le mura. argomento: accorgimento. lO mena: tregua, patto. 11 mandò: mandò a dire, avvertì. 12 me: a me. 13 diano: devono. 14 doa: dove.
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facto a fede amorosa aggio, en voi sia el punimento e la mercede». 'Lora disse la donna al Saladino: «Eo.vollio che de~ bi lo tuo oste partire e per acordo a me lascI el cor tuo e l mio ne porti, e siano sempre uno in tucta simillianza». E ~o sì foel comiato sor partire. 15 E sì tosto come fa el Saladmo e-ll'oste suo tornato, fe' bandire che ciascuno se.traesse en certa parte. Poi che fa tucta sua gente adunata, <;hsse fr~ loro' «A me sono facte savere sì gran novelle e talI, che l oste tu~ta se convene l6 partire, né la cagione perché l? non seyò né converria qui dire. Onde ciascuno, sì come ama sua vIta, senza al campo tornare, se parta encontenente e mova». En tal guisa fe' el suo oste partire, ch'~l, camp.o un solo. no'nde tornòe. 18 E cusi lassò el campo el pm formto e magmre che fosse mai el qual valse cità più molte ch'essa non valea. E questo li fe' amore en guisa tale cominzare perch'a quale fine savea tornare devea. XIII - CONTO DEL SALADINO Essendo ad oste Saladino a Gerusalem en quel tempo che se perdeo la croce, l quelli de Gerusalem se r~ndi~f(: t~ct.i per morti2 a.llui. Allora un barone sUO.x. de 11 cnstiam 11 domandòe e uno altro barone li ne chiese anca, ed esso li donò loro, li quali essi lassaro. 3 Onde el Saladino dis.se: «.Se questi ho dati a voi, che so' mé sete, bene debbo glI altn a Dea, ch'è signore de me, dare». E così tucti li altri, che milliaia erano molte, per Dio lasciòe. 15
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sor partire: sul partire, al momento della partenza. se convene: è necessario. perché: di questo fatto, della partenza. no'nde tornòe: non tornò di lì (lat. inde).
l en ... croce: la conquista di Gerusalemme da parte del Saladino avvenne nel 1187, dopo la battaglia di Hittin. 2 per morti: convinti di dover morire, arresi senza condizione. 3 lassaro: lasciarono liberi. 4 so'me: sotto di me.
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XIV - CONTO DEL SALADINO Essendo entrato el Saladino en cotale l terra ed avendo, combattendo, quasi tucta la terra venta, el re Riciard0 2 per mare entrò da l'altro lato e tanto d'arme fe' colla forza de li suoi, ch'elli cominciò a venciare de la terra. E combatendo el re Riciardo a pè, fa al Saladino mostrato, ed esso encontenente li presentò uno destrieri, mandando a lui dire ch'ei non se convenia ch'a pè re combatesse.
XV - CONTO DEL SALADINO Cavalcando el Saladino per uno paese ch'ad uno suo cavaliere donato avea, e vedendo esso paese più bello ch'alcuno altro ch'e-llo regno suo fosse, pensò de volere per lui esso ed a lo cavaliere un altro dare. E sì tosto co' ciò avve l pensato, fa pentuto e conobbe el pensieri tale vitioso. 2 Allora sì aspramente penetentiòse3 de tale pensieri ed astinenza fece, che sì meno esso venne de quelle carni che, 'lora quando ciò pensò, avea, che quasi a morte venne.
XVI - CONTO DEL SALADINO Quando al Saladina li fa portata e lecta la legge dei Saracini dove giurare dovea, come era usanza d'onne soldano, cotale: una certa, una. E' la III Crociata. re Riciardo: Riccarclo Cuor di Leone, re d'Inghilterra, fratello del Re giovane ampiamente illustrato dai Conti poco appresso. l
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avve: ebbe. conobbe ... vitioso: capi che aveva avuto un pensiero colpevole, ignobile. 3 penitentiòse: fece penitenza, si impose una pena. l
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e.llo cominciamento esso giurò d'oservare quella legge ch'a Deo piacesse più. Onde doi fratri cristiani,! a lui andando un'ora? dissero a lui: «Noi sim0 3 venuti a te per tua alma salvare. Fa' li tuoi savi venire e mostrarinte4 come la vostra legge è de dannatione». E venuti li savii e disputato assai, li savi de li Saracini dissaro al Saladino finalmente che da fare morire era li fratri tenuto, perché e·lla legge loro scripto era che morto essere dovesse quelli che contra loro legge allegasse.5 El Saladino respuse: «Vero è che ciò è scripto en nella legge, ma eo deggio osservare quella legge ch'a Deo più piace. Eo so ch'a me questi venuti so' per mia alma salvar'e so bene ch'a Deo non piacciarea che de ciò cambio de morte rendesse loro». Onde a loro fe' onore molto e li lasciò andare.
XVII - CONTO DEL RE GIOVENE Un dì, stando el Re giovene con altri cavalieri denanzi al padre - ed era anche! giovene sì che cavalieri non era uno cavalieri venne denanze al padre e temorosamente li domandò un dono. El re non respondendo, el cavaliere molto temorosamente la risposta aspectando stava avante lui. E' cavalieri ch'erano co·llo Re giovene 'lora dissero tucti: «Vero è che la maiure vergogna ch'al mondo sia è d'adimandare l'altrui». E 'l Re giovene rispuse: «Magiur vergogna è, a cui bisogna, non darlo».2
XVIII - CONTO DEL RE GlOVENE Essendo el Re giovene in età de .x. anni, uno dente sovra l'altr~ avea, el quale per alcuna proferta né losinga d~l padre n: de la madre non s'avea lasdato far trare. Un dI un cavalIere venne davante al padre e li demandò un dono,. e lo cavaliere era cortese e bisognoso molto. Lo re non h donava. El Re giovene, vedendoel cavaliere sì e~~oment~so~ ,stare, a la raina2 andò celatamente e quanto pIU pocte pIU tolse da lei,dicendoli da lasarse el dente tr.are. E ~o! al re tornò dicendoli: «Se me darite que4 ve dll~]anda~o,. l.assome trare el dente». El re li promise ciò ch ess~ 11 dIr~a fare. 5 Ed alora se lasciò trare el dente. Ed al re dIsse po:: «Domandove che doniate a questo cavaliere quello che dIm~nda». E poi, celatamente, quello ch'avea avuto da la rama li dé.
XIX - CONTO DEL RE GIOVENE . EI.Re giovene dimandò soi secreti cavalieri:! «Que se dIce dI. m.e?» E un~ cavaliere rispuse: «La gente tucta dice che VOI sIte. el.melhore orno del mondo». E 'l Re respuse: «Eo non tI dImando di quelli, ma dei doi o dei tre».2 escomentoso: sgomento, imbarazzato. " regma; e Eleonora d'Aquitania, celebre protettrice di artisti e poetI. l 4 pocte: potte, poté, con grafia iperlatineggiante. que: quello che. 5 ciò '" fare: che avrebbe fatto quel che gli avrebbe detto. I
doi ... cristiani: due francescani si recarono in realtà dal Soldano, ma questi era al Malik al Kamil, nipote del Saladino. 2 un'ora: una volta. l simo: siamo. 4 mostrarinte: ti mostreremo. 5 allegasse: discutesse, portasse prove. I
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anche: ancora. a ... darlo: non donare a colui che ne ha bisogno.
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r~ma:
I. soi ... ~av~li~ri: ai cavalieri del suo consiglio segreto ai suoi confdentI e consIglIerI. ' I 2 dei ... tre: i pochi che contano, le persone di autorità e potere.
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xx - CONTO
DEL RE GIOVENE
El Re giovene, per la guerra ch'avea ~vuta .col fadr~ e per altri grandi espendi l che facea, ~vea mdebl.ta.tO . colh mercatanti molto. Venendo a morte, 11 mercatanti 11 dimandaro ch'esso loro devesse fare pagare. Esso ~espuse loro che oro né argento né terra avea de che loro sat1sfar~ pot~s se' «Ma» disse «de quello che posso e'3 satisfaragglO VOI». 'Lora a loro lasciò per testamento che :1 ~uo corpo tanto e.lle loro mani staesse e l'anima tanto m mfern?, quanto elli in esere satisfacti estessero. Morto el ~~ glOvene, el padre un dì, in una chiesia intrand<?, trovo m .una cassa el corpo del Re giovene stare ap04 h mercatantl. Dema?-d' '5 ciò era. Fa lui decto como avea testata. Alora dISs; ~~A Deo signore non piaccia che l'anima de. tale o~o in podestà de li demoni stia né 'l corpo ~ am de tah». 'Lora feo il debito suo, che centonaia de mIhata erano molti, satisfare a ciascuno.
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XXI - CONTO DE BRUNOR E DE GALEOCTO SUO FILLIO Brunor aportando per fortuna l al porto de castello de Plor, e, cdme2 era quella malvagia usanza, comb~tette ed ucise el signor de l'Isola, e prese a mollie la bella Gmgante, launde nacque Galeocto, del quale alcuna cosa brevemente l
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espendi: spese. .., . . avea indebitato: aveva contratto debItI, SI era mdebltato. e': eo, io. apo: appo, presso. co': come, perché.
se dirà qui. E·ll'età de .x. anni el padre li avea dati .XII. gentili giovani del tempo suo, con li quali sempre se vestia e mangiava ad una taula. Giocando con loro esso, ch'era più forte ch'alcuno, se lasciava a li compagni vencere le più volte. El padre, per vedere che esso facea, col sinescalco alcuna volta facea ch'eHi ponea innanti ad alcuno de li compagni non cusì buono taliere3 come a lui, ed elli incontenente tolliea de taliere suo e mandavalo in quello. Un'ora4 el padre fe' vestire esso e li altri compagni sai, tucti far uno, d'un samet0 5 verde, e l'altro fe' vestire d'un altro colore bene sì bello come l'altro. Quando esso fa vestito e vidde che quelli no era sì co' li altri vestito, domandò co' ciò era. Respuse el padre che facea solo ciò per lui provare, che de quello colore non se n'era trovato più. Ed elli incontenente fece partire la meità de quello d.el damigella suo e, demezando, se vesté come lui. Quando fa facto cavaliere, vedendo che, s'elli stava in quella contrada, ei convenia mantenere e giurare quella mala usanza, e però se ne partìo d'essa contrada. In quello tempo assai re aveano usanze e costumi rei e vilane multo, de li quali grandi mali e descionori 6 seguiano a cavalieri e a donne e a donzelle. Esso se puse in core d'abactere ciascuno malvagio costume. Pensò che quello del castello de Plor, là due? 'l padre abitava, non potea, perch'elli non potea né devea mectere mano sovra lo padre. Esso mandò a ciascun re, che male costume e usanza avea in sua terra, ch'abactere la devesse infra tal tempo,8 desfidando quel che ciò non facesse e quale ciò de pian09 non volesse fare, per forza d'armi li convene ciò fare. E tanto savio, bello e largo portamento ver de ciascuno facea, che tanti d'onne parti cavalieri trassero 3
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aportando per fortuna: sbarcando per una tempesta. come: siccome, poiché.
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buono taliere: buon piatto, cibo scelto. Un'ora: una volta.. sameto: sciamito, panno pregiato. descionori: disonori. due: dove. infra ... tempo: prima di un tempo determinato. de piano: facilmente, senza contrasti, dal lat. giur. de plano.
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a·llui, che per lo gran senno e valore suo e largezza e per la bona cavallaria che lui seguia, che .XXVIIII. reami se soctomise. Quando combattette collo re Arture primiere, vegendo che 'l re Arture perdea la battallia, temendo che dire non se potesse che 'l re Arture non fosse alora bene fornito, fece la battallia remanere, 'lora dando a lui termine tanto de recombactere anche ch'eì se potesse d'onne parte fornire. Cominciandose poi un dì la batallia Lancelocto, che con lo re Arture era, Galeocto, vegendoli d'armi sì gran facti e valorosi fare, parlò a Lancelocto e, parlando, de lui innamoròe per la cortesia sua e bontà e gran cavallaria. Le parole fra loro fuoro assai bone e belle molto: Insomma, l'uno a l'altro promise de fare quanto direa. lO L'altro dì po' fra lo re e Galeocto e la loro gente la battallia fo grande. Alora quando el re Arture e la sua gente non poteapiù soffrire è che voleano già tornare inesconficta, Lancelocto venne a Galeocto e li disse: «Damme el dono ch'eo te demando». Disse Lancelocto: «È che deggi tenere a signore el re Artur'e ora, qui en presentia de tucti, giuri de sempre stare so' la sua signoria» .. E Galeocto 'lora incontenente, sì come Lancelocto ei disse, fece. Dico che bene grande e utele fe' molto e valorosa cosa Lancelocto che ciò domandòe, e Galeocto altretanto che quello, ch'ei disse, fece. Non era el re Arture simele a li altri re che erano alora né che ora sonno, ma era un re e signore solamente in operare ordenato e in fare ed inviar'e in operare onne bontà d'amore, de cavallaria, de cortesia, de largezza, de lealtà, de fermezza e de ciascun valore, e li cavalieri, ch'erano so' lui, erano solo ordenati in operare, in dir'e in seguire ciò. Bene 'lora era onore magiure assai in seguir'e in ciò fare che, per reggere e signoregiare reami, essere re. Ché Tristano e Lancelocto e altri assai ei 11 regni loro lassaro e dero 12 altrui, volendo cavalieri tali devenire. Ché
quelli ~ re che en bontà ben se regge, ché no è de reami, ma solo d onore corona. Ed onore solo de valore nasce; e valore, come è decto, è 'l fiore che nasce da la più degna parte de l'operatione de le vertù. Donque de quanto Galeocto era magiore, tanto lifo, a fare ciò, onore magiore. Cavalcando un dì Galeocto trovò la sua sora,13 la quale li presentò el cap.~ de Bru~or, padre suo, e de la madre, dicendo a lui che clO avea Tnstano facto. Esso incontenente se fermò e·llo cor suo d'andare.a lo castello de Plor, là dove per la malvagia usanza era Tnstano, e combattere con lui. Ordenò 'lora che lo re de .c. cavalieri stesse al porto con certi cavalieri ed altra gente, perché, s'elli avenisse che la battallia vencesse de Tris~~no, p~r ~oter quella malvagia usanza guastare. Ordenato ClO, ando la e combatette con Tristano. La battallia fra loro fo grande e mortale multo, e durò lungamente. Infine Tristano, che Galeocto conoscea e molto amava per la gran fran~hessa14 e bontà sua, vegendo che Galeocto no avea el meghore de la battallia, li disse e se scusò che de la morte del pad:,e e de la madre sua esso non avea altro possuto fare e che CIO fo el dolore ch'eHi ebbe anche el maggiore e che quello ch'ei fe' luP5 convenia a lui fare o sostenere, e ch'ei se volea vento de la batallia chiamare e farline 16 quella men~a ~h'~ lui piacesse. E li porse la spada; E lo re de .c. cavalIen ~h al porto era, ,:edendo el signore suo in tal perillio, 17 de lUI temendo, trasse m quella parte per volere Tristano mectere.a mort~. Vegendo Galeocto che esso e li altri voleano a~cIdere Tnstano venendo, recontradisse a loro ch'uno non lUi toccasse, com~ amasse la vìta. 18 E 'lor disse a Tristano: «Per la gran bonta e cavallaria tua, perché contra tuo grato 13 14
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direa: avrebbe detto. ei: i. dero: dettero, donarono.
sora: sorella.
iir~nche~sa:
cfr. Cesar e Pompeo, n. 19. lUi: a lUi, Galeotto. farline: fargliene. :~ perillio: pe.riglio, pedcolo, come ... vita: se amava la vita. 15
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so che ciò foe, te perdono quanto offeso m'hai». Poi a lui promectere se fe' che, poi ch'eHi averia Isocta al re Marco menata, ch'esso tornaria a lui in Sorlois, perché esso volea lui e Lancelocto insieme avere. Anche disse Galeocto: «Chi avesse la reina Isolda, la reina Genevria, Tristano e Lancelocto insieme, porria dire che la beltà e la bontà tucta avesse del mondo». E Galeocto ave sì l'anemo suo gentile e grande e puro che sempre solo entese in amare quanto sé o più e de servire ed onorare e adunare insieme ciascun valente e bun 19 cavaliere. Insomma esso ebbe eI più alto e gentile e de bono aiere2o .core ch'alcuno principe o re ch'al mundo fosse.
INDICE
Prefazione ...............................................
Pago
Libro dei Sette Savi di Roma .....................
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Conti di antichi cavalieri
19 bun: buon, buono, nel comune significato antico di valoroso e cortese. 20 de ... aiere: generoso (prov. de ban aire).
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