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L'arte della Rete, l'arte in Rete. Il Neen, la rivoluzione estetica di Miltos Manetas. a cura di Vito Campanelli
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a Solange Valente
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Presentazione Il libro di Vito Campanelli, che prende spunto da un incontro con l’artista Miltos Manetas svoltosi a Napoli presso la Fondazione Morra (29 aprile 2004), non intende fornire una panoramica completa sul tema dell’arte in Rete. Si presenta invece, e giustamente, come un approfondimento su di una specifica corrente estetica: il Neen; ed attraverso l’analisi di tale avanguardia pone, in una chiave completamente nuova ed originale, il rapporto tra l’arte contemporanea e il concetto di Net Art. Analizzare il fenomeno della Net Art in una posizione antitetica rispetto alle categorie che hanno contraddistinto la storia dell’arte contemporanea è un passaggio spiazzante anche per i net-artisti che hanno provato sino ad oggi a ritagliarsi un proprio spazio, ad ottenere – pur tra infiniti distinguo – un riconoscimento dal sistema istituzionale dell’arte (musei, gallerie, critici, collezionisti). Vito Campanelli compie invece un ulteriore passaggio, affiancando la Net Art all’arte contemporanea per giungere alla storicizzazione e anche all’accantonamento della seconda. Il mutato scenario socio-economico-culturale impone infatti nuove forme di sensibilità estetica che sappiano cogliere ed interpretare le evoluzioni in atto. A tali domande il movimento della Net Art ha saputo fornire – secondo Campanelli – risposte convincenti, mentre il sistema dell’arte contemporanea è rimasto ancorato agli schemi della precedente rivoluzione tecnologica ed al medium che ha caratterizzato il secolo passato: la TV. Questa la tesi centrale del volume. Secondo Campanelli, dunque, alla Net Art e ad alcune sue forme di espressione come il Neen di Manetas, occorre guardare per orientarsi nella moderna società della comunicazione massmediatica, e per trovare validi antidoti alle sue degenerazioni. Da quanto precede, sarà chiaro che ritengo estremamente interessante il volume. Esso apre nuovi scenari e motivi di riflessione in un campo, quello dei rapporti tra arte e nuove tecnologie, che è destinato (inevitabilmente) ad occupare uno spazio sempre maggiore nella critica e nella ricerca dei prossimi anni. In sintesi, si tratta di un contributo prezioso per la sua capacità di cogliere e trattare tematiche di grande attualità, e appena accennate nel panorama dell’attuale saggistica italiana.
Francesco De Sio Lazzari
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Indice 1 - Premessa ………………………………………………… p. 11. 2 - Alcune opere Neen…………………………………………p. 20. 3 - Il Manifesto Neen di M. Manetas 3.1 - Manifesto Neen (testo originale) ………………..……..…p. 27. 3.2 - Manifesto Neen (traduzione italiana) ………………….…p. 35. 4 - Il dibattito con M. Manetas (interventi di: Marco Deseriis, Alessandro Ludovico, Ambrogio Borsani, Marco Cadioli, Maria Grazia Mattei) 4.1 - Marco Deseriis, Net.Art. L’arte della connessione…….…p. 44. 4.2 - Alessandro Ludovico, Esiste o meno una specificità della Net Art? ………………………………………..….…p. 48. 4.3 - Ambrogio Borsani, Il rapporto tra vecchi e nuovi media 4.4 - Net Art e mercato dell’arte ………………………………p. 52. 4.5 - Fotografia e memoria del Web: la ricerca di Cadioli…….p. 55. 4.6 - Maria Grazia Mattei, Le avanguardie artistiche “pre-Web”…………………………………………………………….p. 57. 4.7 - Neen vs. sistema dell’arte: alcune opinioni………………p. 62. 4.8 - Marco Deseriis, Estetica del plagio e pratica politica……p. 64. 4.9 - La discussione conclusiva…………………………...…p. 68. 5 - Considerazioni sul Neen di V. Campanelli 5.1 - Una cornice per il Neen……………………………….. .p. 82. 5.2 - Il pensiero Neen…………………………………….…p. 89. 6 - Indice dei nomi e Linkario…………………………... p. 96. 7 - Riferimenti bibliografici……………………………..…p. 102.
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Premessa Miltos Manetas 1 è nato ad Atene (1964) ma si è formato artisticamente all'Accademia di Belle Arti di Brera in Milano. Successivamente si è trasferito negli Stati Uniti, dove attualmente lavora tra New York e Los Angeles, anche se, a causa delle sue continue peregrinazioni, individuare un luogo di residenza di Manetas è piuttosto difficile. Il tema centrale della sua ricerca artistica è la presenza della tecnologia nella vita quotidiana ed i cambiamenti della realtà che sono prodotti da tale onnipervasiva presenza. Manetas utilizza e sovrappone indifferentemente diversi mezzi espressivi: dall’inedito uso della pittura sino ad ardite sperimentazioni multimediali. Il filo conduttore può essere individuato nell’interesse, sempre vivo, con il quale il suo sguardo attraversa lo schermo dei computer, per scoprirvi nuove forme ed emozioni, da coniugare e fondere con le immagini più classiche del suo immaginario di “artista errante”. Le sue tele, come le sue opere fotografiche (da lui definite "vibracolour"), sono popolate da mouse, joystick, cavi di connessione e schermi di computer. Accanto ai computer sono i videogiochi a caratterizzare gran parte della produzione artistica di Manetas, soprattutto le immagini di Lara Croft e quelle dei Pokemon, cartoni giapponesi che rappresentano, secondo Manetas, storie prive di riferimenti per noi che, conoscendo poco o nulla del Giappone, possiamo solo interpretare alla maniera occidentale. Ma l’operazione veramente importante per Manetas non è la comprensione di un diverso sistema culturale quanto piuttosto la trasformazione di oggetti culturali, ovvero l’operazione di acquisizione di un’icona culturale e la proiezione di essa in un nuovo contesto socio-culturale. I mouse, i cavi, così come i Pokemon, sono altrettante icone dei nostri tempi, che costituiscono un meta-linguaggio attraverso il quale è possibile esplorare quel sistema di rappresentazione che si impone, affermandosi come cornice semiotica di una realtà alla quale l’innovazione tecnologica ha impresso strabilianti traiettorie.
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Nella parabola artistica di Manetas è possibile individuare un punto di svolta, da lui stesso indicato in un’intervista realizzata con Stefano Chiodi: «Until 1994 I was a loser: I had no subject and I was doing the usual magazine-art. Then, two things happened: I bought a laptop and I decided to stop with art. Before stop though, I made my first painting (the Sad Tree) and this canvas (actually 5 of them, all identical), put me in a new perspective. I decide that if I succeed so easily to paint, I had to represent an important subject (Goya has always been included in my models), so I start paint computer life. A year later, I discovered videogames and the www adventure (I registered www.manetas.com). I soon realized that I preferred watch my paintings on the web instead than look at the real thing and influenced by an Internet term, the word "mirror site", I decided that I should start doing the same thing in many different plateaux: a multipersona, that illustrates different realities and not an exceptional identity such as Andy Warhol and Beuys were. This is not a new discovery, Borges already previewed it, and I just decided to apply it. In Borges terms, I am a "viewer" more than an "artist" (he also consider himself a reader more than a writer). Also, I never considered art as a "work", but as a portal to access the World. I don't even believe that such a thing as an "artwork" exists, but I believe in special low resolution miracles. Therefore, I started to ignore my art career and put all my efforts on the web + multipersona building» 2. La scoperta del Web rappresenta dunque la conquista di un nuovo territorio nel quale proiettare l’immagine della propria personalità multipla, uno specchio nel quale rimirarsi per cogliere particolari e sfumature di una personalità in rapida evoluzione. Si tratta di una scoperta che segna una svolta radicale nell’avventura artistica di Manetas, l’artista “tradizionale” lascia infatti il posto ad un nuovo io multiforme pronto a re(t)ificarsi. Una costante di Manetas è l’atteggiamento di sfida nei confronti dell’establishment artistico-culturale. Questo aspetto del suo carattere, unito all’insofferenza verso l’espressione “arte contemporanea”, lo ha spinto (nel 2000) a commissionare alla società californiana Lexicon (già famosa per aver inventato alcuni brand come Pentium o Powerbook) la ricerca di una nuova parola in grado di esprimere l’arte
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del tempo in cui viviamo, in luogo degli abusati ''cyber,'' ''digital,'' ''pixel'' e ''net'', anteposti al termine “art”. Il risultato è stato Neen, un palindromo che, per pura coincidenza, ha un corrispettivo nel greco antico in cui significa: "esattamente adesso". Un elemento importante della vicenda è costituito dalla circostanza che la parola Neen è stata scelta tra le tante prodotte da una macchina, un computer destinato a sfornare nomi, grazie ad uno specifico software. Questa circostanza è decisiva da un duplice punto di vista: da un lato evidenzia il particolare rapporto che il Neen costruisce con le macchine, sin dal primissimo momento percepite come entità fondanti dell’estetica Neen; dall’altro, il fatto che la parola sia stata scelta dall’artista giapponese Mai Ueda 3, e non da Manetas, evidenzia come la genesi del movimento sia stata un’opera collettiva. Non si tratta dunque della creazione ascrivibile ad un unico, ben individuabile, artista (concetto tanto caro al sistema dell’arte contemporanea), quanto piuttosto di un processo che coinvolge più personalità e nel quale l’apporto delle macchine risulta immediatamente fondamentale. Anche la casualità che caratterizza il susseguirsi degli eventi è decisiva. Si può infatti affermare che il Neen si sia generato da solo non appena ha incontrato le individualità predestinate a divenirne i “profeti”. Tra queste personalità possiamo, senza alcun dubbio, individuare in Mai Ueda la vera musa ispiratrice. Mai è colei che traghetta Miltos in territori prima inesplorati e lo aiuta a liberarsi definitivamente di ogni residuo della forma mentis accademica acquisita negli anni trascorsi a Brera. Mai Ueda è portatrice di una nuova sensibilità e di un indefinibile quid che è legato indissolubilmente a quell’Estremo Oriente e a quell’universo di codici e comportamenti, tuttora così difficili da cogliere per noi occidentali. Ma oltre alla Ueda altri incontri sono fondamentali. Lo sviluppo concettuale del Neen rimane fermo per circa un anno, prima che la strada di Manetas si incroci con quella di personaggi come: Mike Calvert 4, Angelo Plessas 5, Andreas Angelidakis 6 e Rafael Rozendaal 7. Se prima esisteva solo un nome, dopo tali incroci possiamo vedere una forma che va delineandosi. Una forma che utilizza le sensibilità artistiche di questo originario nucleo di Neenstar, come un medium attraverso il quale liberarsi ed assumere consapevolezza della propria esistenza.
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Un altro passaggio è indispensabile per la comprensione della genesi del Neen: collocare il software Flash 8 in una corretta prospettiva. Si tratta infatti dello strumento privilegiato dai Neenstars, un pennello elettronico attraverso il quale immagini e sensazioni prendono forma. Manetas è solito affermare che i Neenstars sono i moderni filmmakers. Ciò indurrebbe ad individuare in Flash, insieme, la telecamera e la sala di montaggio. Da un punto di vista meramente tecnico questa osservazione è sicuramente giusta: la circostanza che Flash si basi su di una timeline lo avvicina senza dubbio ai software di postproduzione utilizzati nel montaggio di un film. Tuttavia, ad un esame più attento, emerge con chiarezza come Flash costituisca, più che altro, uno strumento per la creazione di scenografie. Ciò che un Neenstar ricerca è, infatti, la possibilità di creare, sfuggendo ad ogni filtro creativo, contesti all’interno dei quali ambientare le proprie narrazioni. Ovviamente, come nel caso di ogni altro medium, nemmeno per Flash si può pensare ad un utilizzo neutro. Dunque anche le dinamiche che si generano dall’interazione con l’interfaccia di Flash devono essere ascritte tra gli elementi costitutivi dell’estetica Neen. L’interazione uomo-macchina, mediata da un linguaggio comune (il software), è assolutamente centrale nella genesi del movimento artistico che questo testo si propone di analizzare. Il testo ha origine da un incontro con Manetas che si è tenuto a Napoli il 29 aprile 2004, nell’àmbito della Preview 2004 del “Sintesi Electronic Arts Festival” 9. Insieme con gli amici di “Sintesi”, qualche mese prima, decidemmo di organizzare un dibattito sul tema della Net Art. La mia scelta si indirizzò subito a Manetas in quanto è in grado di rappresentare, meglio di tanti altri, quel terreno di confine tra Internet e l’arte tradizionale che ci si proponeva di indagare. Il dibattito si è giovato della partecipazione di alcuni importanti testimoni della nascita di tale nuova cultura artistica: Marco Deseriis, autore insieme con Giuseppe Marano di “Net.Art. L'arte della connessione” 10, ha scritto un importante libro, che costituisce il primo tentativo in Italia di fornire un panorama completo di una nuova forma d'arte come la Net Art; Alessandro Ludovico, uno dei maggiori esperti italiani di cultura digitale ed editor di “Neural” 11, un sito (ed un magazine) che costituisce da anni un autentico punto di
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riferimento per quanti provano ad orientarsi nella “cultura elettronica” mondiale; Marco Cadioli, artista di “ispirazione Neen” e docente di “Digital Media” all'Accademia di Comunicazione di Milano (ha esposto a “Sintesi”, in anteprima assoluta, alcuni dei suoi scatti); Ambrogio Borsani, già direttore creativo in alcune delle più importanti agenzie di comunicazione italiane, dirige la rivista di libri rari «Wuz» (mensile dedicato alla storia delle edizioni rare e preziose) ed è docente di “Teoria e tecniche della comunicazione di massa” presso l'Università di Napoli L’Orientale; infine, Maria Grazia Mattei, critico d'arte e giornalista, docente di “Cultura Digitale” presso l'Accademia di Brera Multimediale di Milano, è da sempre in prima fila nell’organizzazione dei più significativi eventi culturali dedicati alle nuove tecnologie della comunicazione. La “Preview_2004” di “Sintesi” si è svolta presso la Fondazione “Morra” che è risultata una sede appropriata per una manifestazione di questa natura 12. Il testo è diviso in quattro momenti principali, ordinati secondo la successione degli eventi che si sono avuti nel giorno dell’incontro con Manetas. Dopo la proiezione di alcune immagini, come prologo del dibattito, Miltos Manetas legge il Manifesto Neen 13 per introdurre i temi dell’incontro. Segue il dibattito qui riportato, rispetto al quale è obbligatoria un’ulteriore premessa: nella scrittura dei testi degli interventi ho cercato di essere il più fedele possibile agli enunciati dei relatori così come sono stati prodotti. Di qui, in alcuni passaggi, l’andamento tipico del linguaggio parlato. Il testo si chiude con alcune riflessioni teoriche che ho sviluppato sulla “filosofia Neen” e sulle tematiche del dibattito. L’esigenza di attenermi agli spunti emersi nel corso dell’incontro con Manetas non mi ha impedito, in alcuni casi, di andare oltre e di esplorare alcuni territori che erano stati solo lambiti. Tali spunti teorici ambiscono a costituire il naturale completamento di quel momento di riflessione e, al tempo stesso, il punto di partenza per nuovi approfondimenti su di un tema, quello dei rapporti tra arte e nuove tecnologie, destinato ad occupare uno spazio critico sempre maggiore nei prossimi anni.
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Nel tentativo di conferire un minimo di interattività a questo libro e dunque ad un medium che non ha, per sua intrinseca natura, questa caratteristica, ho provveduto ad editare in formato HTML il linkario che si trova in chiusura e che raccoglie tutti gli “indirizzi digitali” degli artisti, autori, istituzioni, ecc. ai quali si è accennato nelle pagine di questa pubblicazione. Il linkario è dunque consultabile sul Web a questo indirizzo: http://www.vitocampanelli.it/linkario.htm . Inoltre, ho predisposto un forum dove chiunque potrà comunicare in merito a questo testo, e più in generale sulle tematiche emerse dal dibattito. Il forum è pubblicato a quest’indirizzo: http://www.vitocampanelli.it/forum.htm .
Volendo, infine, esprimere un ringraziamento a tutti quanti hanno reso possibile questo lavoro, esso non può essere limitato a pochi. Tuttavia non posso esimermi dal ribadire la mia più profonda espressione di gratitudine a Miltos Manetas, ai già citati intervenuti al dibattito, ai professori Iain Chambers, Francesco De Sio Lazzari e Vito Galeota, nonché a: Cosimo Campanelli, Danilo Capasso, Francesco Colella, Domenico Del Giudice, Ass. Culturale Magma, Diana Marrone, Mario Masullo, Raffaella Morra, Carmine Onorati, Angelo Plessas, Francesco Quarto, Sintesi Electronic Art Festival, Stefano Stranges, Ivan Maria Vele, Alessandro Verna.
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Note 1
Il sito web personale di Miltos Manetas è: http://www.manetas.com . 2 L’intervista è consultabile a questo indirizzo: http://www.manetas.com/interviews/stefanochiodi.htm . 3 Il sito web personale di Mai Ueda è: http://www.maiueda.com . 4 Il sito web personale di Mike Calvert è: http://www.neen.org/demo/calvert.htm . 5 Il sito web personale di Angelo Plessas è: http://www.angeloplessas.com . 6 Il sito web personale di Andreas Angelidakis è: http://www.angelidakis.com . 7 Il sito web personale di Rafael Rozendaal è: http://www.newrafael.com . 8 Flash, prodotto dalla Macromedia, è un software di grafica vettoriale che permette di realizzare animazioni e filmati multimediali ottimizzati per il Web. Il programma costituisce un vero e proprio standard di riferimento globale per ciascun web designer e, più in generale, per chiunque si cimenti in sperimentazioni con i nuovi media. 9 Il Festival “Sintesi”, che si tiene a Napoli dal 2002 in sedi di straordinario impatto estetico ed architettonico, indaga le zone di confine tra le più moderne espressioni artistiche. “Sintesi” è un Festival che, come suggerisce il nome, è stato dedicato principalmente all’indagine sulle forme di ibridazione delle arti elettroniche. Nelle precedenti edizioni del Festival alcuni dei principali artisti nel campo della musica elettronica e delle arti visive hanno giocato a sovrapporsi ed a coniugare le rispettive ispirazioni per indurre la consapevolezza dell’assoluta infondatezza di ogni distinzione tra generi. Ognuna delle edizioni è stata preceduta da una preview, una sorta di anticipazione delle tematiche che si sarebbero affrontate nelle giornate dell’ “evento istituzionale”. Il sito web ufficiale è: http://www.sintesi.na.it . 10 M. DESERIIS - G. MARANO, Net.Art. L’arte della connessione, Shake Edizioni, Milano, 2003. 11 “Neural” è il più seguito ed autorevole magazine italiano di arte dei nuovi media, musica elettronica e hacktivism. Il sito è aggiornato quotidianamente, mentre la rivista cartacea è stampata ogni quattro mesi. L’indirizzo è: http://www.neural.it .
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Raffaella Morra ha confermato, nelle due settimane del Festival, quelle caratteristiche di competenza e cortesia che hanno reso la Fondazione omonima una delle istituzioni della città più attente alle innovazioni culturali. Poche altre istituzioni culturali napoletane, oltre alla Fondazione Morra, avrebbero saputo cogliere la novità e la rilevanza delle iniziative promosse dall’Associazione Culturale “Magma” che ha inventato e produce il Festival. Il sito web dell’associazione è: http://www.magmaproject.it . Il Festival “Sintesi” è prodotto in collaborazione con l’agenzia di comunicazione “Hub” (http://www.hub-labs.net). 13 Per il testo originale, cfr. p. 27 e per la mia traduzione italiana, cfr. p. 35 .
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“I go to conferences. That's net.art actually. That is an art practice that has to do a lot with the net. You come to the conference. You meet one hundred and a few people from abroad. That's a net. Art is not only the making of a product, which then can be sold in an art market and praised by an art thinker or mediator. Its also a performance. When you are having a good time, its pretty much like when you are creative and you are producing something. When you have a good dialogue, when you are stimulated to come up with new argumentation, with new ideas, that is creativity for me, thus art”.
“Vado alle conferenze. Di fatto, la net.art è questo. È una pratica artistica che ha molto a che fare con la Rete. Vieni alla conferenza. Incontri cento e più persone straniere. Ecco una rete. L’arte non è solo la costruzione di un prodotto, che poi può essere venduto sul mercato dell’arte e osannato da critici e curatori. È anche una performance. Quando ti stai divertendo è come se fossi creativo e stai producendo qualcosa. Quando fai una bella discussione, quando sei stimolato a cercare nuove argomentazioni, nuove idee, per me questa è creatività, e quindi è arte”. Vuk Cosic
(tratto dall’intervista di Josephine Bosma, Vuk Cosic interview: net.art per se, pubblicata sulla mailing list “Nettime” il 27/09/1997. L’intervista è consultabile in inglese a questo indirizzo: http://amsterdam.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-9709/msg00053.html)
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2 - Alcune opere Neen
Figura 1. http://www.25minutestogo.com .
Figura 2. http://www.farewelltophilosophy.com .
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Figura 3. http://www.fataltotheflesh.com .
Figura 4. http://www.heelsandballs.com .
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Figura 5. http://www futureisfake.com .
Figura 6. http://www.misternicehand.com .
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Figura 7. http://www.iwannabuysomeclothes.com .
Figura 8. http://www.luciofontana.com .
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Figura 9. http://www.jesusswimming.com .
Figura 10. http://www.maninthedark.com .
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Figura 11. http://www.oneaftertheother.com .
Figura 12. http://www.romanticus.com .
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Figura 13. http://www.seethrough.org .
Figura 14. http://www.togetherness.org .
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3 - Il Manifesto Neen di M. Manetas 3.1 - Manifesto Neen (testo originale) Websites is the art of our times. Websites are today's most radical and important art objects. Because Internet is not just another "media", as the Old Media insists, but mostly a space", similar to the American Continent immediately after it has been discovered - anything that can be found on the Web, has a physical presence. It occupies real estate. To encounter a logo, a picture or an animation in the Internet, is a totally different experience than to find the same stuff in a magazine or on the television. "Things" in the Internet exist in a specific location. While in magazines and on TV contents are mostly bullets of information, online they constitute a body: they are parts of a new genre. They are Web Entities. These "creatures" are sometimes a mix of humans and software (think of Google), but sometimes are made by information only - such as in the case of Googlism.com, a website able to make a portrait of anything by collecting descriptions about that subject from Google itself 1. Most Web Entities are social entities. They get in touch and they advertise their existence to each other. Similar to human beings, they evaluate, criticize, "link" to each other, and ultimately, they develop a "taste". Bob Dobbs (a friend of McLuhan) said: "advertising is communication between machines". He also suggested that machines came alive in 1967 and that "now they are in an angelic state". According to him, "advertising is communication between angels". Well, some of these Web Entities – or shall we simply call them "Angels"? – communicate already in a "pretty" way. As a result, a new type of "Art", or better, what-may-become Art later, can be found in certain websites. But where exactly?
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The Telic spirit The Web is nothing more and nothing less than what the World has always been: unvisited and unfriendly territories, which are gradually transformed into a domestic landscape. From the Alps to the Japanese garden, this is the scenario: the illusory promise of order and system. But still, the simple rocks and sand in the well-arranged composition of a Japanese garden, for a better-trained intellect, are black holes and chaos. The Web came from this chaos; in a certain way, it came directly out of the Trojan Horse, described in Homer's Iliad, and now we are Ulysses lost in the ocean all over again. But we are not traveling alone: there is a special spirit that helps us navigate and that is the spirit of Telic. Telic is our relationship with the tools that help us to design the World and to see things in a perspective. It is in mobile phones, computers but even in the way our houses and clothes are made. Our times are Telic. Telic means "something directed or tending towards a goal or purpose; "purposeful". For example "I am driving my car to Los Angeles" is a Telic statement. "I am driving my car is not. Telos, in Greek, means "the end" or "the purpose". Telic, firmly believes that it is Telic. (You may never arrive to Los Angeles; you may crash on a tree or something). Telic is super creative, often in a paranoid way. It is serious. It wants to explain every little detail. It will submit footnotes and references. It is "open source" and it accepts updates from anyone. Telic doesn't have a taste; it can be as ugly as an IBM computer. Telic authors and artists have usually jobs in the tech industry, or they teach in Universities. They survive thanks to the grants that other Telic people are managing and they avoid the Art World, which in return also ignores them. But Telic shapes the World. As J.G Ballard wrote: "Science and technology multiply around us. To an increasing extent they dictate the languages in which we speak and think. Either we use those languages or we remain mute". Telic is making sense from these languages but then again, do we really want to make sense? Why shall we be so domesticated and so productive? Why does our "design" sometimes become so irrelevant
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that even the most boring companies are comfortable to sponsor it and use it as their banner? After all, we all know how frustrating a trip in the Internet can be. It easily can feel like a flea market with people offering you stuff in every corner, a nightmare, complete with the occasional buffoons who are providing vulgar entertainment with their "funny" websites. And when it comes to creativity, all you can usually find is all same style designers: the Martha Stewarts of the Net. You wish there is somewhere a secret society; some people who know how to give to you the feelings directly, and who will keep you thinking, even after you'll quit browsing. You wish there were some websites, which will offer the metaphysical suspense of a painting. You wish of Neen. Neen is a frame of Mind "I actually know for sure that there are scenes on the Internet that nobody knows about and nobody cares about, and within those milieus, very specialized sensibilities are evolving". (William Gibson, 2003) 2 . Neen is the crazy little brother of Telic. Invented by the Branding Company Lexicon, the creators of Pentium, Powerbook and hundreds of other brand names; it owes its existence in the realization that certain ideas or animations, certain sounds, words or behaviors are indeed Neen. It was a group of people from all around the planet who started talk about Neen around 2001. These people eventually met, some online and some in the real world and start exchanging their experience. A new art movement has been born, the first of the 21 Century. But still, Neen is mostly a concept and as such it has it's own life, which is independent from the activity of people who practice it. A person who thinks about Neen is a Neenster, while who actually does Neen is a Neenstar. What a Neenstar does may seem sometimes silly but only because it is easy and amazing. A Neenstar is not trying to make sense; he/she doesn't suffer from any stress of production and doesn't respect a pattern. The dream of a Neenstar is to become special Icon - but not the type of icon you usually find in the glossies. A
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Neenstar starts his career by becoming the Icon of his own imagination. Then, he projects that Icon to the outside as if it is a fact. Identity is not a priority for a Neenstar, but one will fetishize oneself anyway and use that as a style: it's a fast way to produce content. But in contrast with contemporary artists, a Neenstar will change identities often, according to the situations: Neen is ultimately a state of mind. People such as Lucio Fontana, who were doing painting by simply slashing a canvas, were Neen before Neen. Because the Internet is the best place to exercise your inertia, Neenstars spend a lot of time online. They are Friends of the information and not Users as the Telic people are. The word "cute", which has a dubious reputation in the West, while it is very respected in Asia, describes most of the times a Neen piece. But it's also Military Cute, Comme des Garรงons for your brains. Neenstars are obsessed with names. They will run a search in the Internet to see if the domain with a new name they envisioned is available. If it is, they will register it. Immediately after, they'll do something fresh and they'll put it online: it will not be your father's website with the usual links, info and stuff - it will be something minimal, strange, romantique. Neenstars will let the webpage to be what we are looking for on the Internet: something never seen before, a new art object. "It's really interesting... (Is it Jeffrey?)" "Contemporary Art", the art of the past century, was based mostly on the following principle: "if you put something in an empty room, it seems strange and significant". A variation of that was: "if you take something out of its context, it seems strange and significant". Another was: "if you change the scale of something, it will seem strange and significant", and a last one: "if you multiply something it also becomes strange and significant". But after 80 years of different combinations for any kind of objects inside the hopelessly empty spaces of our art institutions, nothing seems really interesting. We see clearly now, that the supposed "art" is simply a bunch of trash, just some products bought in a mall or a photo illustration.
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Outside of the Internet, there's no glory. Non-Internet artists are just some freelance employees of other employees (the curators of the exhibitions). To work for somebody else is not necessarily a bad thing, that's after all how beautiful religious pictures have been produced in the past. The problem starts instead, when your commissioner doesn't have a clue of what he/she wants from you. Most art curators and people who commission art today, never really ask for anything specific from the artists that they choose. They want a "story" and the artists are required to provide it: they have to show yet for another time what they (the artists) are already known for. It's an International loop and exhibitions in fact are identity control tests. Institutions bestow curators with confidence and power. They are not suppose to look for any unseen objects but for some evidence of human expression, which they will bring back to their commissioners, as a well-trained dog would do with its ball. They are just sampling stories... No wonder then, that any top level art exhibitions such as the Whitney Biennial, the Documenta in Kassel, the Manifesta and the Venice Biennial, all look alike, and look like Graduation Day for students of anthropology. In these "shows", any realistic representation could as well be used as an illustration for the National Geographic, while any abstract piece becomes mere decoration. The Art World is relaxed and open to anything, because it knows that nothing peculiar will ever happen. Even if the gallery is left empty, the public will search for the label with the name of the artist who did the "work" and it will be satisfied in one way or another. Balloons, beds, chickens. Real Space has lost its emptiness. But in the Internet, where space is created by software and random imagination, an empty webpage is really empty. People and Web Entities ("Angels"), can still invent unpredictable objects to put there. "Collectors" Because Art is ultimately the power to put a form in the chaos, anyone who is busy with forms and concepts is an artist. That today includes "curators", "gallerists", "museum people" and even "collectors". They are all artists, most of them bad, but artists.
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A "collector" however also does another job. Because he is a man with property, he decides what should survive. That's his artistic media after all: the power of keeping a piece into existence. Never this power has been more significant, than for a collector of websites. Very few people yet are cool enough to collect websites. It requires intuition and courage. It is similar to the purchase of an apartment in a ghetto area of Harlem. You need to take the risks. Anybody instead can walk into a Gagosian gallery and buy some contemporary art. It's as easy as buying designer clothes: the House which sells the product guarantees its value and you get what you pay for: a giant certificate of authenticity with some picture on the front. When you buy "Contemporary Art", you buy a copy of what belongs already in a Museum, because contemporary art museums are made specifically for this type of art and will eventually host anything produced by the major galleries. It's an industry of memorabilia. Collecting in this case is not an adventure, but a banal experience, something like opening yet another Savings Account. Larry Gagosian in fact, refers with surprising sincerity to his collectors as "customers". It is ok of course to be a customer, but it is far more interesting to be a collector of websites. The collector of a website has total control on the pieces he owns, because the art in a website is not the animation or the code, or the pictures that the website contains, but the experience of all the above in a unique place somewhere in the cyberspace, under a unique name. What a collector of websites acquires, is a contract that passes to him the ownership of the web domain - the place where the work actually exists. If he decides one day to not pay the hosting fee, the work will disappear. You can burn a painting but its photograph will always permit people to reproduce it. It's not the same with the website though. The name of the website will return to the pool of the available domain names. The whole piece will expire, as if it has never existed. Collecting a website, is a trip to a secret Villa. If a collector decides to keep this experience just to himself, he may put a password on the page and nobody will be able to access it. He will lock the Villa and keep the art a secret and that is ok. But if he will decide to let the piece available for viewing to the public, he will experience the feelings of the ultimate property. You are the
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owner of art that all can enjoy but only you own. In a time where anyone can buy anything, the only really glamorous collecting is the collecting of websites and other digital objects. The pieces which are not considered art yet but will be art later. To be continued ... Miltos Manetas, 2002-2004
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Reference 1
Googlism for Miltos Manetas: miltos manetas is the net miltos manetas is best known in miltos manetas is lying on a brown psychoanalyst's couch that constitutes the only colorful furniture in the entire white and gray loft that he inhabits with miltos manetas is an artist miltos manetas is similar miltos manetas is known for his paintings of computer hardware and vibracolor prints miltos manetas is one of the artists who addresses these mixed messages miltos manetas is a greek artist who works and lives between los angeles and new york city miltos manetas is not an evil force magdalena sawon miltos manetas is a ny/la miltos manetas is an artist whose paintings mostly explore the realm of computers. 2
William Gibson interviewed by Eric S. Elkins: http://www.ugo.com/channels/freestyle/features/williamgibson .
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3.2 - Manifesto Neen (traduzione italiana) I siti web sono l’arte del nostro tempo. I siti web sono l’oggetto artistico più importante e radicale del nostro tempo. Poiché Internet non è solo un “altro media”, come i vecchi media continuano a sostenere, ma piuttosto uno “spazio”, simile al continente americano immediatamente dopo la sua scoperta – tutto ciò che può essere trovato sul Web ha una presenza fisica. È un “bene immobile”. Incontrare un logo, un’immagine o un’animazione in Internet, è un’esperienza totalmente differente dal trovare gli stessi elementi sulla stampa o alla TV. Le “cose” in Internet esistono in una specifica posizione. Mentre nei giornali o in televisione i contenuti assumono prevalentemente la natura di “proiettili d’informazione”, on line essi formano un corpo: sono parti di un nuovo genere. Sono “entità Web”. Queste “creature” sono a volte mix di componenti umane e software (Google 1 per fare un esempio), altre volte invece sono costituite unicamente d’informazione, come nel caso di Googlism.com 2, un sito in grado di creare un ritratto di ciascuno di noi, raccogliendo frammenti di descrizioni proprio da Google 3. La maggior parte delle “entità Web” sono entità sociali. Si mantengono in contatto e si danno reciprocamente notizie circa la propria esistenza. Simili all’umano divenire, esse si valutano, si criticano e si “linkano” l’una con l’altra, e, da ultimo, sviluppano un proprio “gusto”, una propria estetica. Bobb Dobbs (un amico di McLuhan) disse: “pubblicità è comunicazione tra macchine”. Egli inoltre ha rilevato che le macchine hanno cominciato a sviluppare una propria vita e che “ora sono in uno stato angelico”, dunque: “pubblicità è comunicazione tra angeli”. Bene, alcune di queste “entità Web” – o le dovremmo chiamare semplicemente “angeli”? – comunicano già in maniera molto “graziosa”. Come risultato, un nuovo tipo di “arte”, o meglio qualcosa che potrebbe in seguito divenire arte, può essere trovata in alcuni siti web. Ma dove esattamente?
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Lo spirito Telic Il Web è, né più né meno, ciò che il mondo è sempre stato: territori sconosciuti e inospitali che sono gradualmente trasformati in un paesaggio domestico. Dalle Alpi ai giardini giapponesi lo scenario è questo: l’illusoria promessa di ordine e sistema. Tuttavia, ancora oggi, le semplici rocce e la sabbia nei giardini giapponesi ben riusciti sono (per un intelletto meglio allenato) buchi neri e caos. Il Web si origina da tale caos. In qualche modo deriva direttamente dal cavallo di Troia descritto nell’Iliade di Omero, e ora noi siamo tanti Ulisse persi di nuovo nel mare. Ma non viaggiamo soli: c’è uno spirito speciale che ci aiuta ed è lo spirito Telic. Telic è la nostra relazione con gli strumenti che ci consentono di disegnare il mondo e di vedere le cose in prospettiva. Lo possiamo trovare nei telefoni cellulari, nei computer ed anche nel modo in cui sono fatti le nostre case ed i nostri vestiti. I nostri tempi sono Telic. Telic identifica qualcosa che è diretto, o che tende verso un obiettivo, uno scopo. Lo spirito Telic è “finalizzato”. Per esempio: “guido la mia auto verso Los Angeles” è un’affermazione nello spirito Telic; “guido la mia auto” non lo è. Telos, in greco, significa “fine” o “scopo”. Telic crede fermamente che questo sia Telic (potresti non arrivare mai a Los Angeles, potresti infatti scontrarti con un albero o contro qualcos’altro). Lo spirito Telic è supercreativo, a volte anche in maniera ossessiva. È serio. Vuole spiegare anche il più piccolo dettaglio. Si dilungherà in note a piè di pagina e riferimenti. Telic non ha un proprio gusto. Può essere sgraziato come un computer IBM. Di solito gli autori e gli artisti che si identificano nello spirito Telic, lavorano nell’industria della tecnologia, oppure insegnano all’Università. Sopravvivono grazie ai finanziamenti che altri esponenti Telic gestiscono, ed evitano il mondo dell’arte, che dal canto suo li ignora completamente. Ma lo spirito Telic dà forma al mondo. Come J. G. Ballard ha scritto: “La scienza e la tecnologia si moltiplicano intorno a noi. […] Impongono i linguaggi dei quali ci serviamo per parlare e pensare. L’alternativa è tra utilizzare quei linguaggi o rimanere muti”.
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Lo spirito Telic conferisce senso a quei linguaggi, ma la domanda da porci è se vogliamo veramente costruire sensi. Perché dovremmo essere così addomesticati e produttivi? Perché il design che produciamo diventa a volte così insignificante (innocuo) che anche le aziende più noiose si sentono a proprio agio nello sponsorizzarlo e nell’utilizzarlo come proprio banner? Dopo tutto, sappiamo come possa essere frustrante un viaggio in Internet. Si può facilmente avvertire la sensazione di trovarsi in un mercato delle pulci, con persone che ti offrono mercanzie in ogni angolo, un incubo, completato dai buffoni occasionali che forniscono un volgare intrattenimento con i propri siti web. E se vogliamo soffermarci sulla creatività, dobbiamo rilevare come tutto ciò che di solito troviamo è “ispirato” ad un unico stile: quello che possiamo chiamare “il Martha Stewarts della Rete” 4. Alla fine cominci a sperare che ci sia in qualche posto una società segreta; qualcuno che sappia regalarti emozioni in maniera diretta e che continui a farti pensare, anche dopo che avrai chiuso il tuo browser. Desideri che ci sia qualche sito web in grado di offrirti l’attesa metafisica della pittura. Desideri il Neen. Neen è una cornice del pensiero “So con sicurezza che ci sono luoghi in Internet che nessuno conosce e di cui nessuno si preoccupa, ed all’interno di questi milieu, ci sono sensibilità molto specializzate che si stanno evolvendo” (William Gibson, 2003) 5. Neen è il piccolo fratello matto di Telic. Inventato dalla Lexicon, compagnia specializzata in branding (per intenderci sono i creatori di marchi quali: Pentium, Powerbook e centinaia d’altri), Neen afferma la propria esistenza nella realizzazione di idee, animazioni, suoni, parole e comportamenti che sono, senza alcun dubbio, Neen. Un gruppo di persone provenienti dai quattro angoli del pianeta hanno cominciato a parlare di Neen nel 2001. Queste persone si sono anche incontrate, alcune on line ed altre di persona, e hanno cominciato a condividere le proprie esperienze. Un nuovo movimento artistico è nato, il primo del ventunesimo secolo. Ma, nonostante tutto questo, Neen è ancora prevalentemente un concetto che ha una propria vita, indipendente dalle attività delle persone che lo praticano.
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Una persona che pensa al Neen è un Neenster, mentre chi veramente pratica il Neen è un Neenstar. Ciò che un Neenstar fa, può sembrare in alcuni casi stupido, ma solo perché è semplice e sbalorditivo. Un Neenstar non prova a costruire senso (significati); egli/ella non soffre di alcuno stress produttivo e non rispetta un modello predefinito. Il sogno di un Neenstar è di diventare un’icona speciale – ma non il tipo di icona che normalmente troviamo nelle riviste. Un Neenstar inizia la propria carriera diventando un’icona della propria immaginazione. Successivamente proietta quell’icona verso l’esterno come se fosse un qualcosa di concreto. L’identità non è una priorità per un Neenstar, piuttosto un Neenstar la renderà un feticcio in ogni modo possibile e la utilizzerà come uno stile: questo è un modo molto rapido di produrre contenuto. A differenza degli artisti dell’ ”arte contemporanea”, un Neenstar cambierà spesso la propria identità adattandola alle necessità del caso: Neen è in definitiva uno stato d’animo. Persone come Lucio Fontana, che dipingeva semplicemente squarciando la tela, sono state Neen prima del Neen. Poiché Internet è il miglior posto possibile per far pratica con la propria inerzia, i Neenstars passano moltissimo tempo on line. Sono amici dell’informazione e non utenti come le persone Telic. La parola “cute” 6, che ha una dubbia reputazione in Occidente mentre è molto rispettata in Asia, descrive nella maggior parte dei casi un’opera Neen. Ma il Neen è anche un “carino militante”, uno stile ‘comme des garçons’ per i vostri cervelli. I Neenstars sono ossessionati dai nomi. Essi faranno ricerche in Internet per vedere se il dominio corrispondente al nuovo nome che hanno appena immaginato sia disponibile. Se è libero, lo registreranno ed immediatamente dopo realizzeranno qualcosa di fresco e lo metteranno on line. Ovviamente non si tratterà di niente che abbia a che fare con il solito sito web, con i consueti link, informazioni utili e materiali vari. Sarà invece qualcosa di minimale, strano e romantico. I Neenstars faranno delle pagine web quello di cui sono alla ricerca in Internet: qualcosa mai visto prima, un nuovo oggetto artistico.
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“È veramente interessante... (È vero Jeffrey?)” 7 L’ “arte contemporanea”, l’arte del secolo passato, è stata basata prevalentemente sul seguente principio: “se metti qualcosa in una stanza vuota, quel qualcosa appare strano e significante”. Una variazione è stata: “se togli qualcosa dal proprio contesto, quel qualcosa appare strano e significante”. Un’altra ancora è stata: “se cambi il parametro di giudizio di qualcosa, quel qualcosa appare strano e significante”, ed infine l’ultima: “se moltiplichi qualcosa, anche in questo caso, quel qualcosa appare strano e significante”. Tuttavia dopo ottant’anni di differenti combinazioni di qualsiasi tipo d’oggetto nello spazio disperatamente vuoto delle nostre istituzioni artistiche, nulla sembra davvero interessante. Vediamo chiaramente come quella che si suppone sia “arte”, non è altro che spazzatura, solo qualche prodotto comprato in un grande magazzino o un’illustrazione fotografica. Fuori di Internet non c’è gloria. Gli artisti che si muovono fuori da Internet sono solo impiegati freelance di altri impiegati (i curatori delle mostre). Lavorare per qualcun altro non è necessariamente una cattiva cosa: dopo tutto, quante stupende immagini religiose sono state prodotte nel passato! Il problema comincia invece quando il committente non ha la minima idea di che cosa vuole da te. La maggior parte dei curatori e dei committenti d’arte oggi non chiedono mai nulla di specifico agli artisti che scelgono. Essi vogliono una “storia” e gli artisti devono fornirla: devono mostrare ancora, per l’ennesima volta, quello per cui (gli artisti) sono già conosciuti. È un loop internazionale e le mostre sono infatti dei test di controllo dell’identità. Le istituzioni conferiscono ai curatori potere e fiducia in se stessi. Non è previsto in alcun modo che essi debbano cercare qualche oggetto mai visto prima, piuttosto devono individuare forme di espressione umana già sperimentate, che riporteranno dietro ai propri committenti, come un cane ben addestrato farebbe con la propria palla. Sono solo storie campione…
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Nessuna meraviglia dunque che le esibizioni d’arte di alto livello come Whitney Biennial, Documenta in Kassel, Manifesta e la Biennale di Venezia, siano tutte identiche e tutte appaiano come il giorno della consegna dei diplomi per studenti di antropologia. In queste “mostre” qualsiasi rappresentazione realistica potrebbe essere utilizzata come un’illustrazione per il ‘National Geographic’, mentre ogni opera astratta diventa mera decorazione. Il “Mondo dell’Arte” è rilassato ed aperto a tutto, perché sa bene che nulla di particolare accadrà mai. Anche se la galleria rimane vuota, il pubblico cercherà l’etichetta con il nome dell’artista che ha realizzato il “lavoro” e sarà soddisfatto in un modo o nell’altro. Palloncini, letti, polli. Lo “spazio reale” ha perso il proprio vuoto. Ma in Internet, dove lo spazio è creato dal software e dall’immaginazione casuale, una pagina web vuota è veramente vuota. Le persone e le “entità Web” (“angeli”), possono ancora inventare oggetti inaspettati e metterli lì. "Collezionisti" Poiché l’arte è in definitiva il potere di porre una forma nel caos, chiunque è indaffarato con forme e concetti è un artista. Il che oggi ci porta ad includere “curatori”, “galleristi”, “operatori museali” ed anche i “collezionisti”. Sono tutti artisti, la maggior parte di essi pessimi, ma pur sempre artisti. Un collezionista ha comunque anche un altro lavoro. Poiché ha la proprietà, egli decide che cosa deve sopravvivere. Dopo tutto, questo è il suo medium artistico: il potere di mantenere in vita un’opera. Mai questo potere è stato così importante come per un collezionista di siti web. Ancora poche persone sono abbastanza “fighe” da collezionare siti. Richiede intuizione e coraggio. È simile all’acquisto di un appartamento in un ghetto di Harlem (NY). Devi prenderti dei rischi. Tutti possono invece passeggiare in una delle gallerie ‘Gagosian’ ed acquistare dell’arte contemporanea. È facile come acquistare vestiti griffati: la casa che vende i prodotti garantisce il loro valore ed ottieni quello per cui paghi: un certificato di autenticità gigantesco con qualche immagine sul davanti.
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Quando compri arte contemporanea, compri una copia di qualcosa che appartiene già ad un museo, perché i musei d’arte contemporanea sono fatti specificamente per questo tipo di arte e, prima o poi, ospiteranno tutto quanto è prodotto dalle principali gallerie. È un’industria di memorabilia. In questo caso, collezionare non è un’avventura, ma un’esperienza banale, come aprire un altro conto di risparmio. Larry Gagosian definisce, con sorprendente sincerità, “clienti” i propri collezionisti. Va bene essere un cliente, ma è enormemente più interessante essere un collezionista di siti web. Il collezionista di un sito ha il pieno controllo delle opere che possiede, perché l’arte in un sito non è l’animazione o il codice o le immagini che esso contiene, ma l’esperienza di tutto ciò che è in un unico posto, da qualche parte nel cyberspace, sotto lo stesso nome. Ciò che un collezionista di siti web acquista, è un contratto che gli trasferisce la proprietà del dominio – il posto dove l’opera esiste davvero. Se un giorno egli decidesse di non pagare il prezzo dello hosting 8, l’opera scomparirebbe. Puoi bruciare un dipinto, ma una sua fotografia permetterà sempre a qualcuno di riprodurla. Non è lo stesso con i siti web, tuttavia. Il nome del sito tornerà nella cerchia dei domini disponibili. L’intera opera scomparirà, come se non fosse mai esistita. Collezionare un sito web è un viaggio in una “villa” segreta. Se un collezionista decide di mantenere quella esperienza solo per se stesso, può inserire una password nella pagina e nessuno sarà più in grado di entrarvi. Egli chiuderà la villa e manterrà l’arte segreta, e questo è accettabile. Ma se deciderà di lasciare l’opera accessibile al pubblico, proverà l’emozione del massimo sentimento di proprietà. Sei il proprietario dell’arte di cui tutti possono godere ma che solo tu possiedi. In tempi in cui ciascuno può possedere tutto, il solo vero affascinante collezionismo è quello di collezionare siti web ed altri oggetti artistici digitali. Le opere che non sono ancora considerate arte ma che diventeranno arte in seguito. Continua ... Miltos Manetas, 2002-2004
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Note 1
Il più importante ed utilizzato motore di ricerca sul Web. L’indirizzo internazionale è http://www.google.com, ma esistono numerosissime estensioni nazionali, quella italiana è: http://www.google.it . 2 Googlism.com, nato nel settembre 2002, consente di sapere ciò che Google “pensa” di qualsiasi persona il cui nome venga digitato quale chiave di ricerca. Il sistema raccoglie tutte le informazioni reperibili su Google (che, a sua volta, le ricava dai siti presenti in Rete) e le combina in maniera fantasiosa. Il sito non ha alcun collegamento con Google.com, ed è stato realizzato da un team australiano. L’indirizzo è: http://www.googlism.com 3 I risultati ottenuti inserendo in Googlism.com la chiave di ricerca Miltos Manetas: miltos manetas is the net miltos manetas is best known in miltos manetas is lying on a brown psychoanalyst's couch that constitutes the only colorful furniture in the entire white and gray loft that he inhabits with miltos manetas is an artist miltos manetas is similar miltos manetas is known for his paintings of computer hardware and vibracolor prints miltos manetas is one of the artists who addresses these mixed messages miltos manetas is a greek artist who works and lives between los angeles and new york city miltos manetas is not an evil force magdalena sawon miltos manetas is a ny/la miltos manetas is an artist whose paintings mostly explore the realm of computers . 4 Una sorta di Ikea statunitense molto attiva sul Web: prodotti per la casa caratterizzati da un “design” accessibile a tutte le tasche. 5 William Gibson intervistato da Eric S. Elkins: http://www.ugo.com/channels/freestyle/features/williamgibson 6 In Italiano è traducibile con carino, grazioso.
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Il riferimento è al best-seller che Jeffrey Deitch ha scritto insieme a Stuart Morgan: Everything That’s interesting is New: The Dakis Joannou Collection, Hardcover, 1996. 8 Hosting è il contratto con il quale si acquista lo spazio web (una porzione di un disco fisso di un server web) necessario alla pubblicazione di un sito.
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4 - Il dibattito con M. Manetas Il dibattito si è articolato in una serie di interventi degli ospiti, sulla base di mie sollecitazioni. Le domande che ho posto loro avevano la finalità di percorrere insieme alcuni passaggi indispensabili alla comprensione della realtà nella quale si inseriscono la filosofia Neen ed il pensiero di Manetas. Gli interventi, durante il dibattito, sono stati piuttosto ampi. Ho scelto dunque di presentarli, pur nella loro successione cronologica, come singoli momenti. È stata conservata, invece, la forma del dibattito, con domande e risposte, per le fasi di scambio di opinioni maggiormente ravvicinate.
4.1 - Marco Deseriis Net.Art. L’arte della connessione Il libro 1 più che sull’arte digitale, che è forse un territorio troppo vasto, verte sull’arte creata specificamente per Internet. Il sottotitolo è infatti “L’arte della connessione”. Tuttavia il libro lascia aperta un’ambiguità, nel senso che interpreta la Net Art anche come arte di fare network, quindi di andare al di là del medium Internet in quanto tale per allargarsi a forme di sperimentazione che includono il networking ma non necessariamente la Rete. Quindi, da un lato, si può avere una definizione molto “espansa” di Net Art nel momento in cui si fa riferimento a tutta l’arte che viene realizzata attraverso le reti, ed in questo modo si può anche andare indietro nel tempo. Però, forse, questa definizione risulta essere troppo generica, troppo ampia. Dall’altro, abbiamo invece una definizione molto “stretta”, che ricomprende soltanto l’arte creata specificamente per la Rete. Mi interessa molto il ragionamento sviluppato da Miltos perché mi sembra ci sia nel Neen il tentativo di creare un’estetica, laddove quest’estetica sfugge un po’ da tutte le parti. Non mi è chiaro – ed è questa una domanda che faccio a Miltos e poi a chiunque voglia intervenire – quale sia la specificità del rapporto del Neen con la Rete. Per noi la specificità della Rete rispetto ai mezzi precedenti è il fatto che impiega la comunicazione molti a molti. In questo senso la
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Rete può essere vista come un nuovo strumento di distribuzione delle informazioni, al pari della radio e della televisione, e quindi può servirci semplicemente a far arrivare i nostri oggetti a tutte le latitudini. Le cose che produciamo le mettiamo in Rete, e lì possono essere reperite, raggiunte, archiviate e via dicendo. Oppure possiamo usare la Rete come strumento per comunicare direttamente, ed in questo caso non avremo oggetti che vengono distribuiti (sia pure, magari, oggetti temporali come film, musica, ecc.) ma alcuni canali di comunicazione che esistono in quel momento, come il telefono. Quindi abbiamo due aspetti della comunicazione che si mischiano e spesso si confondono: una è la capacità di archiviazione di un medium, quindi di riprodurre informazioni nel tempo; l’altra è la capacità di fornire un canale di comunicazione diretta. La distinzione che proponeva Miltos tra Telic e Neen, mi ricorda un po’ una definizione che aveva dato Lee Felsenstein 2, un hacker californiano, uno dei pionieri che hanno fatto la storia dell’informatica, fondatore del “Community Memory Project” a San Francisco. Già alla fine degli anni Sessanta, Felsenstein portava per le strade i primi terminali stimolando le persone a iniziare ad usarli, a scrivere direttamente. Felsenstein, in effetti, parlava di due attitudini: da un lato c’è quella che potremmo chiamare “vulcaniana”, non alla Strar Treck, ma nel senso di Vulcano che forgia gli strumenti della tecnologia, ciò che appunto si diceva a proposito del Telic: sono coloro che mettono le mani sulla tecnologia e creano le basi del linguaggio. Dall’altro lato, c’è l’attitudine di Mercurio o comunque di chi usa, abita questi strumenti e porta in giro le informazioni. Questa attitudine è fondamentale, nel senso che uno strumento può essere creato, ma se nessuno lo abita rimarrà probabilmente un oggetto morto. Queste due attitudini, peraltro, si compenetrano sempre. Nella Net Art noi abbiamo individuato tre caratteristiche che ritornano in moltissimi progetti che spesso non si definiscono nemmeno Net Art: l’estetica del macchinico, il gioco identitario e la manipolazione dei flussi d’informazione. Queste tre caratteristiche determinano le nuove potenzialità estetiche di questo campo rispetto a quelli precedenti. Quando parliamo di estetica del macchinico, utilizziamo semplicemente un termine un po’ pomposo per parlare di
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sperimentazioni che riflettono proprio sulle concatenazioni linguistiche che si creano attraverso le reti e le comunicazioni tra persone. Il concetto di macchinico è di Deleuze e di Guattari, poi viene ripreso nella metà degli anni Novanta, dalla scena di “Nettime” 3 e dal tedesco Andreas Broeckmann 4 che portano avanti quest’idea di sperimentare facendo, in qualche modo, dello stesso fruitore il contenuto dell’opera. Facciamo un esempio: nel 1996 viene realizzato Refresh 5, uno dei primi progetti di Net Art, in cui tutta una serie di artisti (e non) mettono in collegamento le proprie pagine web attraverso un tag del refresh 6 , che è un comando dell’ HTML, uno di quelli che di solito viene utilizzato all’interno di uno stesso sito o di un Cd Rom semplicemente per “rinfrescare” le pagine: tu stai guardando un pagina, non decidi tu di cliccare per passare a quella successiva ma la pagina scompare e si “rinfresca” in una nuova pagina. Questo comando veniva utilizzato in mondo imprevisto e non convenzionale da un circuito di artisti che vivevano in varie parti del mondo e che collegavano i loro siti attraverso il tag del refresh. Pertanto entrato in un sito, dopo circa dieci secondi, venivi catapultato immediatamente sul sito successivo che magari si trovava in un’altra parte del mondo. Non solo tu potevi (coordinandoti con strumenti quali una mailing list, una chat, ecc.) inserire il tuo sito in questo tracciato a tappe, ma potevi anche prendere l’Home Page 7 di altri siti e a tua volta modificarla. Quindi, in questo modo, si creava una catena, un percorso in continua evoluzione dove evidentemente il concetto non era il contenuto dei siti, perché probabilmente non avevi nemmeno il tempo di visualizzarli, ma era questa rete che si creava e che affermava (nel modificare, nel mettere continuamente le mani sulle cose, nello scambiarle senza osservanza del copyright, ecc.) : noi stiamo creando un nuovo linguaggio, un nuovo codice. L’altro discorso è il rapporto di parentela fra gli hacker e gli artisti. Chi è l’hacker ? Noi abbiamo scritto che il “net artista” è qualcuno che progetta un sistema che può essere modificato o espanso da altre persone. L’hacker è colui che spesso crea il software, crea le condizioni perché un contesto di scambio avvenga, ma questo di per sé non significa che siano artisti tutti gli hacker, nella misura in cui usano i materiali di base di cui è fatta la Rete, il linguaggio, il codice di programmazione e lo modificano continuamente.
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Non tutti vogliono essere chiamati o si sentono artisti. Alcuni di loro, ad esempio, preferiscono chiamarsi artigiani perché dicono: io svolgo una pratica quotidiana ripetitiva, che può essere simile a quella di intrecciare un cesto di vimini, una pratica che è anche molto creativa, molto rilassante da un certo punto di vista, ma non mi interessa il rapporto con il sistema dell’arte, non mi interessa essere riconosciuto socialmente come artista. Io condivido questa impostazione, perché nel momento in cui tu comunichi all’interno di una comunità ed usi un linguaggio, un codice che è comprensibile soltanto all’interno di quella comunità, in qualche modo stai tramandando un sapere, una conoscenza, proprio come nell’artigianato appunto, ma non stai allargando la base di quella conoscenza. Alla fine stai producendo strumenti che vengono utilizzati e quindi sei ancora nel dominio dell’utile. Da questo punto di vista un buon software può essere come un cancello di ferro battuto, o come una cesta di vimini. Ci sono altri elementi che secondo me devono entrare in gioco perché si possa cominciare a parlare di arte. Uno di questi elementi è il gioco identitario. Il gioco identitario è una delle caratteristiche tipiche della Rete che ti permette di creare delle situazioni mitopoietiche, cioè di creare delle storie, delle narrazioni che possono essere compartecipate. Puoi creare nomi, puoi creare movimenti che permettono ad altri di identificarsi ed iniziare a giocare con te.
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4.2 - Alessandro Ludovico Esiste o meno una specificità della Net Art? Esiste o meno una specificità? Vorrei collegarmi a ciò che diceva Marco sulla specificità della Rete in quanto rete, poiché la specificità dei siti è proprio quella di evidenziare, in qualche maniera, il fatto di essere all’interno di un network, cioè il fatto che essi mettono in comunicazione le persone che ne fruiscono. Caratteristiche specifiche ce ne sono poi anche da un punto di vista tecnico. La prima è relativa al diritto d’autore, e nasce dal fatto che l’arte in Rete è un’arte che viene sistematicamente duplicata, ossia non esiste più l’originale. Se Miltos nel suo Manifesto diceva che taluni quadri sono arrivati a noi grazie al fatto che gli artisti stessi ne hanno prodotto più copie, nel caso della Rete l’opera d’arte viene duplicata ogni volta che viene richiesta. Inoltre, come faceva notare Jodi 8 (uno dei primi gruppi di “net artisti”), arriva direttamente nel proprio computer, ovvero a partire dal server i dati vengono trasferiti all’interno del proprio computer. Ciò crea una fruizione personale. Vorrei velocemente collegarmi ad una cosa che diceva Miltos all’inizio, ovvero: «guardate come a volte le cose viste, osservate con un videoproiettore, perdono rispetto a come possono essere su di un piccolo schermo di casa vostra». Ricordo che anche le prime mostre di Net Art fatte a cavallo fra la fine degli anni Novanta e gli inizi del Duemila, venivano criticate con forza per il fatto di non riuscire a ricreare una condizione che era quella pensata e voluta dalla maggior parte degli artisti. Jodi diceva appunto: «noi amiamo il vostro computer (we love your computer) perché ci arriviamo dentro con la nostra opera, arriviamo dentro la vostra stanza, dentro il vostro computer e c’è la nostra opera che viene visualizzata» 9. Dunque si tratta di un’arte duplicata contrariamente a ciò che sono tante altre opere d’arte. È un’arte anche distribuita, perché, nei fatti, viene distribuita a tutti gli utenti attraverso alcuni protocolli di comunicazione. C’è anche qui un dibattito in atto a proposito dei protocolli di comunicazione che per anni sono stati visti come uno standard liberatorio ed espressivo (Felsenstein era uno di quelli che sosteneva questa posizione). Ora c’è un testo, pubblicato proprio nell’ultimo mese da parte di un altro grosso esponente della Net Art che è Alex Galloway 10, uno dei
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fondatori di “Rhizome” 11. È un libro intitolato proprio Protocol 12 nel quale viene sostenuta una tesi contraria, e cioè che i protocolli hanno una doppia funzione: da un lato, hanno permesso e continuano a permettere un’enorme espressione libera e anarchica da parte di chiunque trovi un po’ di spazio in hosting su un server web 13 e riesce a produrre un’idea originale; dall’altro, i protocolli caratterizzano fortemente queste opere perché ne dettano con estrema precisione le regole. Superando questo dibattito, siamo comunque in grado di affermare con certezza che è un’arte estremamente distribuita. Ci sono altre caratteristiche importanti: è un’arte calcolata (cosa che a volte sfugge), cioè non solo viene distribuita arrivando in tutti i computer, ma le opere d’arte sono calcolate in tempo reale; in altre parole, proprio perché sono prodotte attraverso i computer che sono macchine da calcolo, non hanno la staticità e comunque la struttura definitiva di quella che può essere una tela o una scultura, ma sono ogni volta ricomposte a partire da zero. Chiaramente su questo punto si sono inseriti nel tempo alcuni artisti che sono intervenuti su questo calcolo con le tendenze “guastatorie” più diverse. E questo ci porta all’ultima delle principali caratteristiche di molte opere di Net Art. Essendo tutte opere che vengono calcolate da un computer, sono descritte da un preciso linguaggio che può essere quello dell’HTML, può essere quello del software con cui sono state fatte, ecc., comunque hanno una loro descrizione. A dimostrazione di ciò ricordo come proprio nell’ultima edizione di “Ars Electronica” 14 si parlava di “software art” (che è strettamente connessa e collegata alla Net Art, in quanto arte che utilizza il software) e si citavano come opere di “software art” anche alcune operazioni concettuali degli anni Settanta che descrivevano semplicemente un’opera d’arte con una serie di istruzioni. In conclusione, sono queste le caratteristiche che sicuramente danno valore a quell’idea di radicalità, rispetto alle precedenti forme d’arte, cui accennava Miltos nella lettura del Manifesto.
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4.3 - Ambrogio Borsani Il rapporto tra vecchi e nuovi media Io non ho approfondito il medium Internet rispetto agli altri. Da tutte le osservazioni che sono state fatte rilevo che Internet, di per sé, è una geografia sterminata di cui non si conoscono i confini e dove tutto può esistere ma tutto può anche scomparire. In questo universo, la forza di alcune presenze, di alcuni siti che sono più visitati di altri, è dovuta all’azione dei vecchi media. È una constatazione importante. Internet è apparentemente alla portata di tutti. Tuttavia, pubblicare qualcosa in Internet è come collocare il proprio messaggio in un mare. Se nessuno sa che esiste, nessuno può andare a vederlo. È un pò come se noi dicessimo: io faccio il poeta, appoggio i miei libri di poesie in una via di Napoli ed aspetto che la gente vada a trovare il mio messaggio, i miei libri e a leggerli. È quindi un affidarli un po’ al caso, mentre chi ha la potenza commerciale di far visitare i propri siti rimane colui che ha la possibilità di comprare pagine di altri media, pagine di giornali, spazi televisivi. L’aspetto rivoluzionario e più democratico di Internet sono i motori, cioè Google, perché ormai quando si parla di “motori” si parla di Google. Google è l’aspetto più sorprendente, più democratico, più livellatore di Internet, anche per quanto riguarda la Net Art. Per fare un esempio, se io decido di aderire da solo, da un angolo sconosciuto del pianeta, alla “neen art” chiamando il mio sito proprio neenart, Google richiamerà il mio sito quando un utente andrà a digitare le parole neen e art. Visualizzerà il mio sito di fianco ai più conosciuti artisti di “neen art”. Questo – va detto – non è un merito di Internet in sé, quanto piuttosto un merito dei motori che hanno operato alcune scelte. Posso comparire accanto ad artisti di “neen art” e valicare delle distanze abissali, che non sarebbe possibile valicare con l‘arte tradizionale. Invece, se sono un artista di un paesino australiano e decido di fare una mostra delle mie opere nessuno verrà mai a visitarmi, rimarrò relegato in una contrada sconosciuta dell’Australia, nessuno sarà interessato alle mie opere, nessuno mi potrà vedere.
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In questo senso l’opera fatta dai motori, l’opera di Google, è di grandissimo interesse perché può portarmi alla superficie, può farmi conoscere, può rendermi visibile. Ciò che vorrei chiedere a Manetas, ed agli altri esperti, è se la Net Art sia un sovvertimento anche delle regole economiche. Essa prefigura una fruizione totalmente gratuita, e sappiamo bene che quando non c’è interesse economico le cose tendono a scomparire. In realtà potremmo assistere, come già accaduto in altri campi artistici, ad un fenomeno parallelo (rispetto alla Rete), e cioè la Net Art inizierà ad essere portata in giro per gallerie d’arte. In questo caso, da un lato, continuerebbe ad essere scambiata in Rete, dall’altro avrebbe anche una collocazione di tipo economico. Quando, e ci sono esempi storici clamorosi, un’arte non ha un interesse economico tende a suscitare reazioni negative da parte di chi fa, dell’arte, principalmente l’oggetto di scambi economici. Il gallerista ha una vita perché ha un ritorno economico, il critico ha una vita perché anche lui ha – all’interno di un sistema – una collocazione economica, l’artista deve vivere e quindi ha una collocazione economica – tutti hanno una collocazione economica. Se questa Net Art sfugge ad ogni collocazione economica, che tipo di sviluppo può avere? Chi può sostenerla se non solo gli appassionati del Net? Chi può portarla fuori, chi può dare un incremento ed uno sviluppo a questo tipo di arte?
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4.4 - Net Art e mercato dell’arte Vito Campanelli: Nel girare a Miltos la domanda di Ambrogio Borsani, aggiungo uno spunto di riflessione proprio sul rapporto tra collezionista e sito web. Nel Manifesto che hai letto si afferma che «il collezionista ha il pieno controllo delle opere che acquista, tanto che se un giorno egli decidesse di non pagare più il prezzo dell’hosting, l’opera scomparirebbe totalmente, non sarebbe più disponibile». Nulla di nuovo nel mondo dell’arte dove le opere possedute da un collezionista, a meno che non girino per musei, sono assoggettate completamente al regime di proprietà privata, e dunque è esclusa ogni possibilità di una libera fruizione pubblica. Tuttavia la Rete è per definizione uno spazio pubblico. Sotto questo aspetto, dunque, l’acquisto di un sito da parte di un collezionista non costituisce una soppressione di quello spazio pubblico che è la Rete? Miltos Manetas: In realtà trovo un po’ schizofrenica la posizione in cui mi trovo perché faccio questa “cosa” Neen ma sono anche una persona molto Telic. Il Neen è questo: non puoi nemmeno parlarne. Nel momento in cui comincia a sembrare una cosa più seria e non una “cazzata”, si rovina, si distrugge da sé. D’altro canto, a tutti noi piacciono i soldi e vogliamo davvero tanti di quei soldi, e che il pubblico compri le nostre opere, non perché sono opere importanti, ma perché noi le abbiamo fatte. Perché i collezionisti comprano le nostre opere? Perché noi le abbiamo fatte. È una questione di feticcio. Noi siamo speciali. E chi siamo noi? Chiunque decide ed afferma di essere una persona speciale. È molto bello quello che succede con l’arte. Non esiste alcuna ragione oggettiva per cui un’opera merita di essere comprata e invece non lo merita questa bottiglia d’acqua davanti a me. Se invece io la firmo, subito merita anch’essa di essere comprata: l’ho toccata, ed è diventata un feticcio. In tutto questo dibattito sulla Net Art o “neen art” il problema non è come trovare un nuovo criterio oggettivo grazie al quale il sistema dell’arte ci possa assorbire. Il problema è piuttosto come riuscire a rendere feticcio qualsiasi “cazzata” noi facciamo, in modo che la gente la compri e noi ci si possa divertire maggiormente.
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Vito Campanelli: Qual è la via per ottenere tutto ciò? Miltos Manetas: La via per ottenere tutto questo? Beh… possiamo vendere un sito web come un’opera d’arte. Ambrogio Borsani: In esclusiva? Miltos Manetas: Si vende un pezzo di carta in cui si dice che Miltos Manetas ha deciso di registrare il dominio jesuswimming.com 15 . È un’opera unica naturalmente di un enorme valore, perché uno che compra il sito compra anche lo spazio web dove quel sito risiede, ed è solo lui che ce l’ha. Oggi dunque è possibile attribuire un grosso valore ad operazioni di questo tipo, ma non è compito mio pensarci. Io ho solo scritto il mio testo (il Manifesto), così magari sembra tutto più serio. Ehm… ma quale era la domanda? Vito Campanelli: La domanda era: nel momento in cui un collezionista acquista un sito web e decide di porre una password, finisce per oscurare quel luogo al resto della comunità ... Miltos Manetas: Chi se ne frega. Accade lo stesso con la pittura: se un collezionista acquista un Raffaello e poi lo dipinge tutto di rosso, non si vede più niente. Ha il diritto di farlo. Chiunque acquista una cosa è padrone del diritto di conservarla o di rovinarla, distruggerla. Cosa fanno i musei? Prendono opere d’arte vecchie e le rifanno, no? Non è ciò che i musei fanno sempre? Perché tutti i quadri antichi sembrano fatti ieri, con quei colori così vivi? Perché li ridipingono. Quelli che noi chiamiamo i maestri antichi non sono maestri antichi, sono i maestri che dall’antichità sino ad oggi hanno dipinto sopra i maestri antichi. E se una mano non era fatta bene, poi la ridipingevano un po’ di nascosto. Oggi invece abbiamo la fotografia e quindi tutto è più facile. Le cose che vediamo nei musei dunque non sono opere dei maestri antichi, non ci sono artisti in realtà, le opere sono fatte dal tempo, non c’è creatore. Nello stesso modo come non c’è Dio, non esiste un creatore. Nessuno ha creato niente, tutto è venuto fuori dal nulla in maniera casuale, perché voleva venire fuori.
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La mia idea è che non c’è proprietà intellettuale perché non c’è nessun intelletto. Ci sono solo cose che in un dato momento decidono di apparire, ed ecco adesso Les Mademoiselles d’Avignon di Pablo Picasso. Se Picasso non fosse mai nato, l’avrebbe fatta Matisse quell’opera.
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4.5 - Fotografia e memoria del Web: la ricerca di Cadioli. Vito Campanelli: Il problema dell’acquisto di un’opera di Net Art da parte di un collezionista, e l’eventuale scelta di sottrarla alla disponibilità pubblica, si inserisce nel più generale problema della memoria delle forme e dei contenuti della Rete. È un problema che è stato già sottolineato anche da Deseriis nelle conclusioni del suo libro, quando ha scritto che molte opere stanno scomparendo, perché vengono a mancare le forme di finanziamento pubblico che prima le avevano sostenute, o perché le persone che le hanno realizzate hanno altri interessi e dunque seguono nuovi progetti. Si tratta di un problema molto dibattuto, tant’è vero che qui a “Sintesi” è rappresentato dal progetto The Net Observer 16 ed in qualche maniera anche dall’opera di Marco Cadioli, il quale ritiene che la fotografia, ovvero il medium più immediato a nostra disposizione, possa costituire uno strumento per sottrarre le forme del Web all’oblio al quale sembrano destinate. Vorrei che Marco Cadioli ci spiegasse in quale modo ritiene che ciò possa accadere. Marco Cadioli: Come ritengo che ciò possa accadere? Bisogna partire da un’affermazione: la Rete è uno spazio e un luogo. Bisogna usare un modello mentale. Miltos apre il suo documento dicendo che «la Rete è un luogo», e si tratta, a mio avviso, di un concetto fondamentale. Se è un luogo, gli oggetti che incontriamo fanno parte, costituiscono gli elementi di un paesaggio, gli elementi di un paesaggio che si va costruendo. Io ho messo a verifica le teorie fondanti la fotografia tradizionale partendo proprio dalla Camera chiara di Roland Barthes, piuttosto che da altri autori, e applicando queste categorie all’operazione di catturare le immagini che appaiono sullo schermo quando stiamo navigando. Le immagini che ci appaiono sullo schermo sono il luogo, sono l’oggetto che incontriamo. L’operazione di snapshot 17, cioè di cattura di quell’immagine, ha moltissimi punti in comune con la definizione stessa di fotografia come possibilità di catturare ciò che è stato per un attimo davanti all’obiettivo di una macchina e che con un processo meccanico automatico viene fermato su una superficie. Ecco questo accade, allo stesso modo, nel momento in cui io fermo ciò che è sul mio schermo.
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Lo schermo è finestra sul mondo, e quindi, di fatto, fotografo, in un istante indefinito, un’entità che è un’entità web. Che cosa salvo come memoria? Perché l’operazione di fotografare può costituire una memoria? Lo può costituire né più né meno di come noi attribuiamo un valore di memoria alla fotografia. Se noi scattiamo una foto di questo evento, non avremo poi in mano la ricostruzione complessiva dell’evento: non avremo le voci, i movimenti, eppure attribuiamo a quell’immagine che vediamo la funzione di memoria di un evento. Ecco fermare ciò che accade sullo schermo, e che proviene dalla Rete, è un’esperienza limitata rispetto all’idea più ampia della memoria del Web. In effetti, possiamo fermare molto più di un’immagine, possiamo fare addirittura la copia di un intero sito, il che potrebbe ridarci globalmente il senso di quell’esperienza. Da questo punto di vista, quindi, la mia è una forma particolare di memoria che si materializza in fotografie che oggi (perché oggi è la prima volta che le espongo) 18 sono diventate fotografie su carta, su carta sensibile rivelata dagli acidi. Essendo state esposte, queste fotografie saranno sottoposte alle leggi del tempo, e quindi, come ogni foto, andranno per la propria strada: ingialliranno, si strapperanno, saranno perse. Tuttavia, in questo momento, da quel muro sul quale sono esposte diventano memorie di quegli attimi in quei luoghi della Rete.
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4.6 - Maria Grazia Mattei Le avanguardie artistiche “pre-Web” Sono molti anni che seguo l’evoluzioni del mondo digitale. L’ho colto venendo dalla critica d’arte in un momento in cui si affacciavano in Italia i primi computer, i primi strumenti d’elaborazione d’immagine bidimensionale e i primi potenti e costosissimi computer di grafica tridimensionale. Da quell’osservatorio ho detto: “qui è il futuro, qui sta nascendo qualcosa di nuovo”, e così puntualmente è accaduto. Il tipo di evoluzione che sta avendo Internet, quindi, non mi sorprende più di tanto, e vorrei un po’ spiegare questo concetto. Negli anni Sessanta e Settanta abbiamo assistito in tutto il mondo alla nascita di una serie di sperimentazioni di laboratorio connesse con gli strumenti “telematici” di allora, quindi il fax, la posta elettronica (che non era ancora il Web). Queste sperimentazioni avevano come obiettivo non tanto di creare arte (questo dibattito sul se è arte o non è arte, sinceramente mi lascia abbastanza indifferente) quanto sondare, esplorare questi strumenti in una direzione espressiva e comunicativa. In un certo senso era un po’ un tentativo di riportare la funzione di arte, se di arte si deve parlare, in un àmbito di funzione sociale. Del resto, se si va a rileggere la storia dell’arte fino all’arte moderna e contemporanea, si scopre che la funzione sociale dell’arte è anche un modo di leggere il ruolo dell’arte nella nostra società. Mi aveva colpito molto il fatto che questi sperimentatori informatici, ma anche artisti che provenivano dalle arti visive (sto pensando a tutta una serie di esponenti dell’arte programmata comparsa negli anni Cinquanta, un po’ morta all’inizio degli anni Sessanta, e poi trasformatasi in “optical art”), utilizzando quegli strumenti cercassero di sondare una dimensione comunicativa e sociale che passava attraverso forme comunicative che, in qualche maniera, comunicavano a distanza. Miltos ad esempio, nel suo discorso iniziale, ha accennato alla questione della non-autorialità dell’opera. Non è assolutamente un dibattito nuovo, nel senso che tutta una serie di avanguardie legate alle nuove tecnologie, avevano subito sottolineato che non si trattava di un lavoro dell’individuo ma di un lavoro collettivo d’équipe, spesso affermandolo anche in dichiarazioni pubbliche, in manifesti ecc. Mi colpisce il fatto che in queste prime sperimentazioni erano già molto presenti alcuni punti che anche oggi sono emersi, come per
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esempio che si parlasse di diffusione, di distribuzione, di rottura degli schemi, di alcuni parametri culturali come la percezione dello spazio e del tempo, della non esteticità, o meglio della non necessaria esteticità codificata e formalizzata di questi oggetti. La cosa importante era l’azione, era l’atto, la performance (si diceva) telematica. Esattamente come oggi, anche allora si cercavano definizioni, si parlava di “telematic art”, di arte e nuove tecnologie. Se andiamo a rileggere proprio nella storia, dagli anni Sessanta ad oggi, c’è stato proprio un grande fermento sino agli anni Ottanta. Nel 1986 la “Biennale di arti visive” di Venezia, dove ho lavorato insieme a Tommaso Trini, Tom Forest, ecc., aveva lanciato – in un’edizione speciale dedicata ad arte e scienza – un’iniziativa chiamata Network Planetario. La cosa interessante è stata che noi curatori abbiamo lavorato utilizzando la posta elettronica di allora, ma abbiamo messo in scena tutto ciò che le nuove tecnologie, a partire da questo motore immobile che è il computer, riuscivano a generare rompendo schemi espressivi, formali comunicativi. Ovviamente ciò non avveniva automaticamente, ma attraverso l’intervento di una o più équipe, autori, artisti, ecc. Guardando queste animazioni, o comunque queste opere 19, mi sembra quasi di assistere ai primi passi della “computer art”. Anche in questo caso si cercano etichette, ma le stesse denotano un imbarazzo del nostro linguaggio di critici, artisti, operatori culturali, teorici, fruitori, tutti quanti noi, un imbarazzo nell’acciuffare il senso di quello che sta accadendo. Questo imbarazzo cognitivo di fronte ad un fenomeno di enorme portata non è solo dinanzi a Internet. Sono anche il problema del digitale e delle sue prospettive. Vorrei sottolineare questo punto. Che si vada a vedere che cosa accade in Internet oppure off line, ci ritroviamo comunque davanti ad un minimo comune denominatore che è la rivoluzione digitale, questo è un punto fermo. Se assumiamo questo punto di vista, ci rendiamo conto benissimo che possiamo essere disorientati, che il mondo dell’arte contemporanea avrà bisogno di anni per capire che cosa succede nella cultura digitale. Da poco abbiamo scoperto la fotografia e già sta tramontando... Adesso hanno scoperto la video arte, ma la video arte ha dato le sue espressioni migliori negli anni Sessanta e Settanta, e ora si stanno riesumando cose che sono già accadute e già tramontate.
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Il fenomeno dell’espressività digitale, cioè di un’espressione legata all’uso di questi strumenti, ha già una storia ed è quella che rapidissimamente ed in maniera forse un po’ frammentaria ho cercato di tracciare. Ha un background, nasce negli anni bellici, c’è un decennio straordinario che sono gli anni Sessanta, dove veramente si sono viste nascere nuove forme di linguaggio da un “aggeggio”, da una macchina che era nata per fare calcoli veloci e che ha finito per disegnare e rappresentare il nostro pensiero. È una storia recente ma, al tempo stesso, quasi antica direi, perché ciò che sta accadendo oggi nell’epoca digitale è di una rapidità e di una fulmineità tali che si condensano in pochissimo tempo tutto un sapere e tutto un fare. C’è una storia. Le radici sono importanti, perché spesso, nei dibattiti che si fanno, ripetiamo, riportiamo echi di dibattiti d’avanguardia e di sogni ed utopie d’avanguardia che (lo diceva Benjamin) era impossibile si concretizzassero con gli strumenti e con lo sviluppo tecnico di allora, ma sono comunque desideri e pulsioni già presenti nella storia dell’arte e nelle avanguardie di fine secolo. Oggi questi strumenti, non definiti, ci sono, ed è un dato di fatto che questa rivoluzione digitale è in atto, con alti e bassi, bolle speculative o meno, ma è inarrestabile come processo, quindi investirà tutto, compresa l’arte contemporanea. Noi ci occupiamo di un mondo, di uno spazio che obbedisce anche a proprie regole diverse da quelle del mondo cosiddetto off line, ma è uno spazio che è ancora in progress, in via di definizione, e che ha comunque elementi che sono stati già annunciati. Che cos’è cambiato? Perché mi sono appassionata alla cosiddetta “arte telematica”? Mi ero appassionata ad un qualcosa che era pensato, prodotto, sperimentato da gente che aveva visto lontano. Non era ancora accaduto, ma avevano annunciato che stava per accadere qualcosa che avrebbe coinvolto la società. Erano in una fase, secondo me, veramente d’avanguardia. La Rete, e la sperimentazione nella Rete, è comunque una cosa differente. Non è esattamente lo stesso di tipo di produzione e di estetica che si può rintracciare andando a rivedere i lavori degli anni Sessanta di questi gruppi di sperimentatori artistici. Ciò che è certo e che si tratta di un luogo ad ampia diffusione, che catalizza l’interesse di tutti, che è democratico tanto che tutti, come diceva Miltos, possono
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essere autori, artisti, operatori, ecc. Da questo punto di vista, non mi sorprende più e mi fa invece molto piacere sottolineare che le avanguardie avevano annunciato tutto ciò. Il dato importante è la diffusione sociale di questo strumento, più del fatto che lì si crei un’opera d’arte, e che poi se ne possa interessare un gallerista. Il fenomeno sociale, la portata comunicativa e sociale di questo spazio – “ambiente”, come lo ha definito Miltos – è eccezionale. Entriamoci tutti dentro e poi si creeranno correnti e stili. Oggi c’è questo stile Neen, domani ce ne saranno altri. Vorrei riportare l’attenzione di tutti sul fatto che il punto di partenza dietro al quale ognuno di noi dovrebbe mettersi per avere in mano una sorta di bussola di orientamento, il punto, l’ago di questa bussola è proprio la rivoluzione digitale, con tutte le sue potenzialità tecniche. Sono d’accordo con Miltos, quando dice che l’attenzione oggi va spostata non tanto sulle tecnologie, sull’uso feticistico delle tecnologie, ma sull’impatto culturale e sociale. È un’idea che trovo fondamentale: ci sono i virtuosi delle tecnologie e va bene che ci siano anche loro, ma l’importante è che si cominci ad isolare un pensiero culturale su queste cose o comunque che si comincino ad isolare elementi che ci aiutino a capire in che tipo di processo siamo, come ci stiamo trasformando, che cosa significano questi strumenti nella nostra vita, che tipo di estetica e di immaginario collettivo stiamo costruendo. Abbiamo sempre più a che fare con questi colori, con queste forme... Non ce ne rendiamo conto, ma stanno permeando la nostra vita a tutti i livelli, questo è il punto vero. Non credo molto nella necessità che il sistema dell’arte contemporanea si accorga di questi fenomeni. Mi sembra di impoverire il discorso. Penso invece che sia più importante riuscire ad aprire questo laboratorio ad un dibattito sempre più ampio, ad una produzione sempre più ampia, perché investirà comunque anche il mondo dell’arte contemporanea. Semmai il problema, per rispondere a Borsani, è come fanno questi artisti, ricercatori, ecc., a vivere? Ma c’è una tale ricchezza e potenzialità d’inventiva che probabilmente avranno travasi in altre direzioni, non necessariamente in una galleria d’arte. E magari uno su dieci finisce, perché ha trovato la chiave giusta, anche in una galleria d’arte.
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Sto pensando al momento della nascita della “computer graphic art” in cui tutti quanti volevano essere artisti. Che fine ha fatto la “computer graphic art”? A parte degli episodi straordinari come John Whitney 20 e qualcun altro, è finita nel cinema sotto forma di effetti speciali, è finita nelle sperimentazioni, nelle installazioni interattive, nella grafica della Rete. Ci sono dei travasi. Si può pensare che la tecnologia vada dritta e invece prende altre direzioni, e tutto ciò è proprio della natura del digitale: il fatto di poter essere quello ed altro, e di poter mixare e continuamente aprire nuovi canali e nuove piste.
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4.7 - Neen vs. sistema dell’arte: alcune opinioni. Ambrogio Borsani: Preciso che la mia era solo una domanda di approfondimento. Non era un auspicio che questa arte finisse nelle gallerie. Era un domandarsi: escludendo tutto il sistema economico dell’arte, quale può essere il tipo di sviluppo? Miltos Manetas: Non credo che esista alcun sistema, nessun mondo dell’arte e nessun mercato dell’arte. Non ci sono queste cose. Queste cose sembra che ci siano ma in realtà non esistono, perché un artista (come ad esempio Cucchi 21), ieri poteva essere molto famoso e molto caro, e oggi nessuno è più interessato a comprare i suoi quadri. Tutto ciò è effimero. Però, magari, tra duecento anni qualcuno dirà: voglio spendere miliardi per comprare un’opera di Cucchi. Lo stesso è successo con Caravaggio, quindi non esiste nessun sistema dell’arte. Se c’è una cosa bella con l’arte è che veramente non ha nessun sistema, perché si tratta di oggetti che non sono arte, cioè proprio nel momento in cui sono nel loro proprio massimo essere arte, non sono arte. Perché se fossero veramente arte, lo sapremmo già e sarebbe una banalità. Non esiste nessun sistema dell’arte, non ci sono galleristi, non ci sono artisti, non ci sono curatori e non ci sono musei. C’è gente che gioca con queste cose illusorie. Non è un sistema, è un casino, è una specie di nuvola, una nuvola dove le cose appaiono e poi scompaiono. È una cosa quasi metafisica. A proposito poi dell’osservazione che queste cose sono già state sperimentate, viste e straviste dagli anni Settanta, e che sono state già esplorate in tutto il loro potere comunicativo, osservo che non ho mai incontrato un artista che si interessi veramente della comunicazione. Gli artisti si interessano di due sole cose: primo, come passare la vita senza lavorare; secondo, se gli piacciono le ragazze, come trovare un argomento con il quale impressionarle, se gli piacciono i ragazzi, come trovare un modo per portarli a letto. È questa l’occupazione di un artista. Usa l’arte come una password, ed assolutamente non gliene importa niente della comunicazione. Mentre fa tutto ciò, fa anche comunicazione, però non è questo il suo scopo. Dunque dire che tutte queste cose sono state create negli anni Settanta è un po’ come parlare del costume di un disegno vittoriano rispetto ad un vestito della Vivien Westwood 22. Se
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la Westwood, disegnando in stile punk, utilizza un costume vittoriano, non ha alcuna importanza che quel costume sia stato inventato in un preciso periodo rivoluzionario, purché lo usi in un modo punk, cioè lo usi come un coltello per tagliare a destra e sinistra la banalità della vita, per trovare un lato poetico ed in questo senso per il Neen il computer è l’ultima cosa sulla quale fermare l’attenzione. Neen non è per il digitale e non è per il computer. I computer non esistono più perché noi siamo diventati dei computer. Io non sono Miltos Manetas, ma sono Miltos Manetas più manetas.com, e tu sei Grazia più la tua e-mail, non potrai più tornare ad essere una persona senza computer. Non esiste più uno spazio reale ed uno spazio digitale. Ora voi mi incontrate qui ma nello stesso momento qualcuno sta cliccando sulla mia pagina web e sta incontrando quell’altro Miltos Manetas. Allora noi cosa facciamo? Noi non facciamo arte, facciamo un nuovo tipo di stile, carino, bello ed intelligente per vestire quest’altro nostro corpo che si trova in Internet. Vito Campanelli: Miltos è anche famoso per alcune sue provocazioni. In particolare è nota la vicenda del “furto” del dominio whitneybiennal.com e da ultimo l’operazione francescobonami.com. In pratica Miltos ha registrato il dominio che riproduce il nome dell’ultimo curatore della “Biennale di Venezia” e vi ha pubblicato una sorta di manifesto della pittura dal contenuto abbastanza provocatorio. Il Whitney Biennal Museum, che è una delle massime istituzioni artistiche statunitensi, intendeva invece organizzare una mostra sull’arte digitale o sui nuovi media o sui nuovi artisti digitali, ma in realtà non si capiva bene che cosa volesse organizzare. Miltos non condivideva il loro punto di vista. Riteneva, infatti, che l’impostazione istituzionale, che stavano dando alla cosa, non fosse quella giusta e quindi ha ‘rubato’ il dominio whitneybiennal.com e vi ha pubblicato un bellissimo sito che rappresenta uno spazio museale costituito da una serie di animazioni ed interfacce web 23.
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4.8 - Marco Deseriis Estetica del plagio e pratica politica Il plagio è una tra le pratiche più diffuse in campo netartistico ed in generale nella Rete. Che cosa significa plagiare un sito web? Significa semplicemente copiarlo, perché già quando navighiamo l’abbiamo nella nostra macchina, nella cache del nostro browser 24, quindi è già nostro. Di lì è molto breve il passo a registrare un dominio che è molto vicino al nostro obiettivo, riprodurne la grafica perché così sembri ancora più originale e introdurre anche – eventualmente – alcune micro-variazioni. Ci sono moltissime modalità di plagio. Alcune sono giocate verso il sistema-non-sistema dell’arte, ad esempio Vuk Cosic che ha plagiato il sito di “Documenta” nel 1997, le operazioni di Miltos, ecc. Altre sono invece in chiave più politica. Una delle caratteristiche fondamentali delle avanguardie del Novecento era la convergenza tra estetico e politico. Dunque anche in campo netartistico, perlomeno nella definizione espansa che ne abbiamo dato, ci sono stati gruppi che hanno utilizzato domini molto importanti, in termini di visibilità in Rete, per fare operazioni spettacolari. Ad esempio gli Yes Men 25 (che è un gruppo statunitense, anche se in realtà vivono un po’ in giro per il mondo) hanno registrato il dominio gatt.org che identifica il General Agreement on Tariffs and Trade 26, cioè il protocollo precedente al WTO. Hanno riprodotto la grafica del sito ufficiale del WTO, ne hanno mantenuto gli stessi contenuti e li hanno variati solo in alcuni casi, come durante il periodo della protesta di Seattle, allorché provocarono la reazione assolutamente inferocita del direttore del WTO. In pratica il sito modificato dagli Yes Men, pubblicava sotto il marchio WTO, contenuti di segno diametralmente opposto, svelando tutto il gioco ideologico che in qualche modo c’era dietro l’operazione Seattle. Negli anni, gli Yes Men hanno poi mantenuto il sito aggiornandolo automaticamente con un software che permetteva di riprodurre i contenuti del sito originale ogni dieci minuti, senza alcuno sforzo. Così succedeva che molte persone, soprattutto attraverso i motori di ricerca, finivano sul sito gatt.org, lo scambiavano per il sito ufficiale del WTO, scrivevano chiedendo informazioni, e dall’altra parte questi burloni rispondevano pretendendo di essere la WTO e dando informazioni farneticanti.
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Ci sono scambi di mail veramente esilaranti con persone che non capiscono chi gli risponde, ma in alcuni casi, in quattro o cinque situazioni, gli Yes Men sono andati ben oltre, intervenendo essi stessi in conferenze internazionali, come rappresentanti della WTO. Come è possibile, direte? In realtà è possibile perché i primi contatti tra organizzazioni e Yes Men avvenivano tramite mail, e le persone credono ormai ciecamente in questo mezzo, mentre si tratta invece di un mezzo assolutamente opaco. Sei sempre immediatamente rintracciabile, ma se ti dai un’identità diversa, se rubi un’identità, puoi essere molto credibile. Dipende soltanto da come te la costruisci. Gli Yes Men, dunque, in quattro occasioni, sono riusciti ad introdursi in conferenze internazionali facendosi credere portavoce del WTO. La prima volta è stato a Salisburgo, poi in Finlandia a Tampere, in una conferenza sul futuro della fibra tessile, poi in Australia ad una conferenza di contabili, un’altra volta in Canada presso un’Università e addirittura una volta in televisione alla CNBC, ovvero il network satellitare di economia, dove hanno impersonato il ruolo di rappresentanti ufficiali del WTO ed hanno realizzato una performance in cui, di fatto, si sovraidentificavano facendo discorsi che poi diventavano in qualche modo superomistici, nazisti, ecc. La cosa più incredibile è che quasi mai i delegati presenti alle conferenze hanno capito che si trattava di uno scherzo, nonostante gli Yes Men sostenessero tesi come il riciclaggio degli hamburger per combattere la fame nel mondo, ovvero la possibilità di vendere le nostre feci al Terzo Mondo per sfamare quelli che non possono permettersi un hamburger da un dollaro, ma che possono invece permettersi un hamburger riciclato fino a dieci volte per 10 centesimi. Dunque, nonostante sostenessero ipotesi di questo genere, davvero deliranti, l’incrocio iniziale di mail tra la segretaria o l’organizzatore della conferenza e dall’altra parte i falsari, coloro che si erano appropriati di questa identità, faceva fede fino alla catena finale. A questo livello è possibile vedere come si parli di arte della Rete perché il gioco parte da lì, ma poi entra nella realtà, diventa una performance, ha dentro motivi politici, estetici, anche linguistici, perché ovviamente gli Yes Men hanno dovuto curare il linguaggio del marketing, insieme ad un certo tipo di codice. Questo è un esempio ma ce ne sono molti altri. Potremmo soffermarci sul link con il suo potere di depistaggio e parlare di
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®™ARK 27, un’altra organizzazione molto vicina agli Yes Men, che nel 1999, in piena campagna elettorale, ha rifatto il sito di Rudolph Giuliani 28 che era yesrudy.com, sostituendolo con il dominio rudyyes.com che era assolutamente identico, anche nei contenuti, a quello ufficiale, soltanto che i link rimandavano, invece che a pagine interne del sito, a siti esterni come quello del Ku Klux Klan 29, evidenziando proprio il potere mistificatorio del link. Il link è infatti una superficie a due facce, non c’è niente che ti garantisce che la pagina linkata corrisponda esattamente all’oggetto linkante. Quando pensi che cliccando in un punto andrai su di un sito che si occupa di filosofia, niente ti assicura che in realtà non andrai su di un sito che si occupa di salamandre. Questo dipende soltanto dal webmaster che deciderà se mettere un link che è coerente con la superficie della pagina oppure uno che, all’opposto, è completamente incoerente. In definitiva oggi abbiamo tutta una serie di nuovi strumenti per agire sul plagio, soprattutto per inserirlo nei canali di comunicazione. Maria Grazia dice una cosa vera: il problema non è più se è arte o non arte, il problema è quanto la vuoi “sparare grossa”. C’è chi ha dato fastidio alle ultime elezioni presidenziali statunitensi per sei mesi con il sito voteauction.com 30, nel quale si diceva che era possibile dar luogo alla compravendita dei voti. In pratica il sito offriva la possibilità di mettere all’asta il proprio voto tra Gore e Bush, attribuendolo al miglior offerente. Questa operazione ha prodotto ovviamente un delirio: gli autori del sito si sono visti intentare decine di cause per inquinamento del regolare corso elettorale da parte di tutti i dipartimenti di giustizia degli Stati Uniti; ma hanno avuto anche speciali di un’ora e mezza sulla CNN nei quali l’autore del sito ribadiva: «I do business – Io faccio business», ed anche di fronte a chi, per aiutarlo, sdrammatizzava sottolineando come si trattasse di un gioco, lui ripeteva: «Io sto vendendo i voti», contando sull’impossibilità che fosse dimostrato quello che veramente avveniva dietro la superficie del sito. Scorrendo la rassegna stampa di voteauction.com è possibile rendersi conto che non è sempre vero che i nuovi media hanno bisogno dei vecchi media, in quanto sono stati proprio i vecchi media ad utilizzare questa operazione per costruirci sopra una storia infinita. Basti pensare che il solo ‘New York Times’ ha dedicato quattro
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articoli alla storia di voteauction.com, mentre la CNN ci è tornata tre quattro volte. Ciò dimostra che tutto dipende soltanto da quale è la tua ambizione. Gli 0100101110101101.ORG 31, che sono un gruppo italiano, ha registrato – ad esempio – il sito vaticano.org che è il dominio della Santa Sede, realizzando, durante il Giubileo, un sito che era identico a quello ufficiale salvo per alcune variazioni. Successivamente il provider non gli ha rinnovato la registrazione del dominio e questo è tornato in “mani sicure” ovvero nelle mani di un’associazione cattolica 32. Gli esempi che ho proposto testimoniano come gli spazi, per quanto sembra che apparentemente si stiano chiudendo a causa di leggi sempre più restrittive (abbiamo visto da ultimo il decreto Urbani), lasciano comunque sempre aperta la porta alla creazione di nuovi terreni d’azione. Dipende soltanto da quanto coraggio si ha.
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4.9 - La discussione conclusiva Vito Campanelli: Abbiamo parlato di scambi d’identità, di plagi, ma più in generale tutto il movimento della Net Art solleva criticamente un problema: quello del copyright. Chiedo proprio a Maria Grazia se ha senso parlare di copyright, di diritto d’autore, rispetto a quelle manifestazioni che nascono e si sviluppano come interfacce culturali condivise. Il Web è appunto un’interfaccia culturale condivisa: si può parlare di copyright rispetto a questa interfaccia? Maria Grazia Mattei: Non sono un’esperta in questo settore, ma mi sembra veramente una contraddizione in termini. Internet è un fenomeno che sfugge alle regole di economia con cui siamo vissuti sino ad oggi, dunque il mercato reagisce cercando di trovare alcune regole, di fissare dei paletti. Ma si tratta di regole la cui natura estremamente contraddittoria emerge appena diamo uno sguardo intorno a noi: è facile constatare come in tutto il mondo, e non soltanto in Internet, si vada progressivamente affermando la filosofia dell’open source 33 (che è nella natura del digitale). Anche nel campo della produzione industriale acquistano autorevolezza quelle correnti e scuole di pensiero che propongono di fare marcia indietro rispetto all’idea di fissare paletti, alle affermazioni di diritti di proprietà intellettuale. Tutto ciò deriva da un fatto molto preciso. Si sono resi conto che forse conviene stare al gioco, e sviluppare operazioni di marketing, e più in generale operazioni commerciali, nelle quali la scommessa sta nel saper trovare forme di guadagno alternative che derivino proprio dal mettere un’opera (sia essa una composizione musicale, un film, o qualsiasi altra cosa) a disposizione di tutti. Ci sono operazioni in questo senso che partono dalla consapevolezza dell’inutilità di condurre una lotta contro i mulini al vento, in una situazione in cui non esiste una legislazione adeguata al fenomeno Internet. Il mondo del business è smart, va veloce, e cerca di trovare nuove forme di guadagno. Ecco che si preferisce lasciare libere le opere e ci si concentra su come ottenere forme di guadagno alternative rispetto a quelle che derivano dal mero sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale.
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Alessandro Ludovico: Per confermare quello che tu dici, basta pensare a David Bowie che avantieri ha annunciato che invita tutti a scambiare le sue tracce in Rete e ha ottenuto le copertine dei notiziari di mezzo mondo. Volevo fare una piccolissima precisazione rispetto a ciò che ha detto Marco a proposito di voteauction.com, proprio per confermare che per muoversi attraverso i sistemi, soprattutto quelli legali, bisogna essere molto attenti. In realtà, sul sito voteauction.com le persone dichiaravano la disponibilità alla messa all’asta del proprio voto, ma non la disponibilità a venderlo. Sembra una differenza sottile ma è proprio ciò che segna il confine tra il poter essere direttamente denunciati per vendita di voti, e quindi per un reato perseguito negli Stati Uniti, e la possibilità di continuare a esistere senza denunzie. A proposito del diritto d’autore e per tornare al rapporto tra diritto d’autore e arte, mi viene in mente una notizia che ho pubblicato proprio ieri su “Neural”, relativa ad un artista concettuale americano 34 che ha fatto un’azione molto divertente: ha messo sotto diritto d’autore il proprio cervello, ovvero è andato presso lo “United States Copyright Office”, registrando tutti i propri neuroni. Dov’è la trovata concettuale? Secondo la legge degli Stati Uniti, ciò che è messo sotto diritto d’autore vale per settanta anni dopo la morte. Dunque i neuroni di questa persona saranno sotto diritto d’autore per settanta anni dopo la sua morte, e quindi questo personaggio ha pensato bene di mettere in vendita, tramite offerta pubblica, i propri neuroni a partire dal momento in cui morirà, affermando che con i fondi che ricaverà da questa vendita (se vi interessa costano 10 dollari ogni milione di neuroni ed ognuno di noi ne ha circa sei miliardi) manterrà in vita il proprio cervello per altri settanta anni. Ovviamente anche questa è una clamorosa provocazione che però mette ancora più in evidenza quanto possa essere assurda la legislazione sul copyright delle opere in generale. Vito Campanelli: Vorrei esplorare velocemente un altro punto con Ambrogio che ha scritto un libro Le fabbriche di scintille 35 nel quale, ripercorrendo la storia di alcune idee che hanno emozionato i popoli, cerca di capire quali sono i misteri attraverso i quali queste idee si sono prodotte nella mente delle persone che le hanno concepite. In realtà però, come diceva prima Maria Grazia, e come sosteniamo in questo dibattito, nel tempo in cui viviamo tutti ormai ci
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confrontiamo continuamente con le interfacce. In particolare secondo il teorico dei nuovi media, Manovich, preleviamo continuamente informazioni da database, e queste attività vengono ripetute in un continuum che finisce per incidere sul nostro modo di pensare, ma soprattutto sul nostro modo di creare. A te chiedo: questo continuum cui fa riferimento Manovich modificherà il nostro approccio alla creatività? Ambrogio Borsani: Sono domande complesse. Io penso che una delle caratteristiche della nostra epoca è che tutto convive. Convive lo scrittore di romanzi rosa con l’autore di poesia sperimentale, convive chi fa opere d’arte su tela e chi fa operazioni concettuali ed installazioni o ricerca di Net Art. Quello che per me è importante, e che ricerco continuamente, è tutto ciò che ha idee dietro. Poi i termini non sono importanti. Passano, vanno. Che cos’è l’arte è una domanda che si porranno i filosofi, del resto anche loro devono lavorare. A me interessa tutto ciò che produce qualcosa di nuovo, che tira fuori idee, dopodiché oggi tutto può convivere. Si può continuare a fare arte utilizzando un pennello oppure realizzando opere che non richiedono il pennello ma che non richiedono nemmeno il computer, semplicemente opere di puro pensiero. Credo che se oggi esiste una vera apertura è proprio l’apertura alla creatività totale, purché ci sia dietro un’idea. Vito Campanelli: Vorrei soffermarmi su un altro punto che Miltos prima ha posto: uno tra i primi artisti Neen, forse il primo in assoluto è stato Fontana. La cosa bella del Neen è che, traducendosi in uno stato d’animo, fa sì che in ciascuno di noi potrebbe rivelarsi un artista Neen. Anche qui potrebbero esserci filosofi e artisti che inconsapevolmente partecipano al Neen – Maria Grazia, per esempio, si sente un’artista Neen. Chi invece è sicuramente un Neenstar, e lo è consapevolmente, è Marco Cadioli che va in giro per la Rete alla ricerca di immagini, di stimoli, di suggestioni. Marco, ad un certo punto, si è trasformato da semplice navigatore in un fotografo della Rete. Oggi a pranzo scherzando con Miltos, ma scherzando fino ad un certo punto, abbiamo detto che Marco probabilmente è il primo impressionista del Web.
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Tu, Marco, questa definizione la senti vicina? E ci spieghi come dalla semplice navigazione sei arrivato alla fotografia? Marco Cadioli: Credo che ci siano due aspetti in questa operazione. Per utilizzare la terminologia che sta introducendo Miltos: c’è un aspetto Telic nel supporto formale che io pongo alla base del progetto, nella giustificazione formale per cui io affermo che si tratta di fotografie. L’aspetto Neen che Vito sottolinea è nel gesto di navigare in maniera consapevole e di accettare senza giudizio, senza ragionamento, l’esperienza stessa che sto vivendo e che tutti noi viviamo, cioè quella di trovarci in un luogo e da lì il desiderio semplice di scattare alcune foto di quel posto. Esattamente come magari farò tra poco nelle stanze di questa mostra. Spesso mi colpiscono posti che sono alla periferia della Rete, nei luoghi dove c’è sperimentazione, dove si inventa. L’ultima serie di reportages, che ho chiamato “Speak to me” 36, è dedicata a quelli che io chiamo i “networkers”, ovvero i lavoratori della Rete, che sono al servizio di varie società come tanti lavoratori in affitto con il compito di dare informazioni ai clienti, presentare prodotti, “farsi spedire” via e-mail per fare gli auguri alle persone. Io li guardo in maniera neutra, non come prodotti software ma come i primi abitanti di quel luogo e quindi li inquadro, li fotografo facendogli dei ritratti, guardandoli negli occhi. Quando parlano, intrattengo con loro dialoghi che non riguardano il loro scopo primario, perché non mi metto a fare loro domande relative ai prodotti che mostrano. Chiedo, magari, se sono contenti della loro condizione, se pensano e se si pongono domande, se credono in Dio... Ad una robot ho detto: “sei così fredda” e lei mi ha risposto, freddamente: “non più fredda di un tuo altro robot medio”, così appiattendo il dialogo. Il primo fotoreporter? Non lo so. La Rete è così grande che non lo sappiamo per certo ed è difficile affermarlo. Confrontandoci prima con gli altri invitati al dibattito, abbiamo convenuto che sono colui che per primo ha compiuto il gesto di affermare di essere un fotoreporter della Rete. Mi auguro che tra qualche anno ci siano chissà quante migliaia di persone che fotografano la Rete. In questo senso forse è un gesto Neen, è talmente semplice che tra mezz’ora possiamo andare tutti a casa a fare foto in Rete.
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Vito Campanelli: Tutti possono fotografare, ma ci sono fotografie che sono rimaste nell’immaginario collettivo e ci sono foto che tutti noi conserviamo nei cassetti, e che ingialliscono e non hanno alcun valore se non per noi stessi. In chiusura di questo dibattito vorrei fare un’ultima domanda a Miltos. A lui non piace parlare di provocazioni, ma in realtà si smentisce continuamente perché è un personaggio estremamente provocatorio. Basta guardarlo per non avere dubbi al riguardo. Vorrei chiederti se ci fai il regalo di svelarci in anteprima quale sarà la tua prossima provocazione. Miltos Manetas: Probabilmente faremo qui a Napoli una settimana Neen. Non sarà una mostra, ma si tratterà piuttosto di situazioni. Il Neen, infatti, è una specie di “Situazionismo versione 2.0”. Ci divertiremo molto perché la cosa che ci interessa maggiormente è proprio l’entertainment. Ci interessa la poesia delle cose, la superficie delle cose, le cose romantiche, tutto ciò che ci rimane in mente e ci ritorna come una canzone. Infatti alcune opere Neen sono proprio canzoni che Mai Ueda scrive. Sono tutte molto semplici, ce n’è una che fa: «Don’t call me elephant, I’m gonna kill you - Non chiamarmi elefante, ti ucciderò» 37.
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Note 1
op. cit. Per una biografia di Lee Felsenstein si veda: http://www.cpsr.org/am/bios . 3 “Nettime” è la mailing list che ha svolto il ruolo di motore propulsivo per la nascita e lo sviluppo di un dibattito internazionale sulla net culture. Nel giugno del 1995 un gruppo di artisti e pensatori provenienti da tutta Europa viene invitato dalla Biennale di Venezia a gestire uno spazio di discussione pubblica. Questa data segna la nascita di “Nettime”. Tra i principali promotori vi sono Geert Lovink e Pit Schultz, ma anche gli italiani Tommaso Tozzi e Alessandro Ludovico. Nel testo di ingresso alla mailing list si legge: « <nettime> is not just a mailing list but an effort to formulate an international, networked discourse that neither promotes a dominant euphoria (to sell products) nor continues the cynical pessimism, spread by journalists and intellectuals in the 'old' media who generalize about 'new' media with no clear understanding of their communication aspects. we have produced, and will continue to produce books, readers, and web sites in various languages so an 'immanent' net critique will circulate both on- and offline. <nettime> is slightly moderated». L’indirizzo è: http://www.nettime.org . 4 Per una biografia di Andreas Broeckmann si veda: http://www.v2.nl/~andreas/phd/bio.htm . 5 Il progetto Refresh, ideato dal russo Alexei Shulgin (in collaborazione con Vuk Cosic e Andreas Broeckmann), fu lanciato nel settembre del 1996 su diverse mailing lists (tra le quali “Nettime”) con un annuncio che invitava chiunque gestisse un sito web a metterlo in collegamento con gli altri per la creazione di un “Multi-Nodal WebSurf-Create-Session for an Unspecified Number of Players”. L’indirizzo del progetto è: http://sunsite.cs.msu.su/wwwart/refresh.htm . 6 La “sintassi” del linguaggio HTML è costituita da tag. Ogni tag contiene uno specifico comando, quello del refresh aggiorna la pagina web visualizzata sul computer. Questa operazione è estremamente utile allorché si consulta un sito dai contenuti dinamici (ovvero aggiornati di continuo), come ad esempio un magazine. L’operazione di “rinfrescare la pagina” permette di visualizzare tutti i cambiamenti 2
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intervenuti nei contenuti della pagina, a partire dal momento in cui l’abbiamo aperta. 7 Home Page è comunemente definita la pagina di ingresso di un sito. 8 Joan Heemskerk e Dirk Paesmas costituiscono il collettivo belgaolandese che con il nome di Jodi occupa, a partire dal 1995, la scena della Net Art con una serie di progetti più volte premiati e tantissime volte imitati. L’ingresso nel sito http://www.jodi.org dà immediatamente un senso di spaesamento, si ha l’impressione di aver sbagliato a cliccare tasto o peggio che il computer si sia “ribellato” ed abbia iniziato a mostrarci il proprio lato oscuro, popolato da codici incomprensibili che vengono visualizzati su sfondi colorati. Un altro progetto di Jodi, in seguito ripreso e riproposto da altri in tantissime varianti, è http://map.jodi.org . Si tratta di una mappa realizzata con lo stile dei primi elaboratori (segni verdi su di un fondo nero) che rappresenta in forma di grafico una serie di gruppi, network, media indipendenti ed individualità che hanno animato la scena artistica e media-attivistica della Rete in questi ultimi anni. Molto apprezzati sono anche le sperimentazioni sulla decostruzione dei videogiochi che vengono spogliati della propria estetica funzionale e riproposti in chiave critica come oggetti culturali. 9 Riferimento all’intervista realizzata con Jodi dal critico tedesco Tilman Baumgärtel nel 1998. L’intervista è consultabile a questo indirizzo: http://www.intelligentagent.com/archive/spring_jodi.html . 10 Per una biografia di Alexander R. Galloway si veda: http://subsol.c3.hu/subsol_2/contributors0/gallowaybio.html. 11 Fondata a Berlino nel 1996 “Rhizome.org” è uno dei principali punti di riferimento per chi frequenta la zona di confine tra arte contemporanea e nuovi media. “Rhizome.org” non è solo un magazine, ma anche un importante luogo di discussione che si avvale di un'attivissima mailing list, e soprattutto un prezioso archivio delle maggiori opere di Net Art raccolte nella sezione “ArtBase”. L’indirizzo è: http://rhizome.org . 12 A. R. GALLOWAY, Protocol: How Control Exists After Decentralization, The MIT Press, Boston 2004. 13 Una volta che un sito è stato realizzato, per renderlo sempre accessibile ai navigatori, deve essere collocato su un computer (detto web server) costantemente collegato ad Internet. Il servizio di hosting
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(dall’inglese, host [ospite]) consiste dunque nell'ospitare un sito su un computer costantemente connesso alla Rete. 14 “Ars Electronica” è uno dei principali festival internazionali di arte elettronica. Il festival si svolge ogni anno a Linz (Austria) nelle prime settimane di settembre sin dal 1979. A partire dal 1996 il festival ha anche costruito un proprio tempio: l’ “Ars Electronica Center”, un enorme edificio dalle pareti trasparenti che sorge sulle rive del Danubio. Nei suoi cinque piani ospita, tra le altre cose, l’avveniristico “Museo del Futuro”, interamente cablato in fibra ottica, disseminato di installazioni multimediali, archivi digitali e strumenti tecnologici di ogni tipo. L’indirizzo è: http://www.aec.at . Nell’intervento di Alessandro Ludovico si fa riferimento all’edizione del 2003 [N.d.A.]. 15 Jesuswimming.com (fig. 9, p. 24) è un’opera Neen consistente in un’animazione che raffigura un Cristo sanguinante mentre nuota solitario in un perfetto stile libero. Sullo sfondo si alternano elementi grafici che fanno immaginare nuvole in movimento mentre un motivetto, alquanto triste, fa da colonna sonora. L’opera è concepita e realizzata in puro stile Neen: la grafica è volutamente poco curata e la sensazione complessiva è quella di uno schizzo veloce o di un disegno infantile. Anche l’animazione (realizzata con il software di animazione vettoriale Macromedia Flash) è decisamente minimale, si preferisce infatti l’immediatezza del gesto all’esibizione di virtuosismo tecnico. L’opera è visibile a questo indirizzo: http://www.jesuswimming.com . 16 The Net Observer è una piattaforma artistica aperta in cui confluiscono i contributi di differenti artisti, designer, e persone che fanno sperimentazioni con i (nuovi) media. Il punto di partenza del progetto è la presa di coscienza che la Rete non è solo asservita alla comunicazione, ma, all'interno di essa, si è sviluppata una specifica estetica. The Net Observer è molto poco interessato alla comunicazione, è invece innamorato di quel sentimento estetico che pervade il Web e proprio questo sentimento si propone di testimoniare. Il progetto si articola su tre livelli: un primo livello prevede la ricezione delle opere realizzate (o segnalate) dalla rete di netobservers sparsi per il pianeta, e l'esposizione in uno spazio museale virtuale; un altro livello è costituito dalla Fondazione The Net Observer. Chiunque può inviare le proprie opere digitali alla fondazione che si impegna a conservarle ed a incoraggiarne la
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diffusione, mettendo a disposizione le opere stesse per qualsiasi iniziativa no-profit ritenuta in linea con lo spirito del progetto. Il terzo livello, infine, è costituito da iniziative che The Net Observer realizza in proprio o coinvolgendo altre persone. È questo il caso della Collaborative Cover (una cover realizzata a più mani da diversi netartisti) presentata in occasione di “Sintesi”. Il sito del progetto è: http://www.thenetobserver.net . 17 Snapshot (letteralmente istantanea) è un termine che indica la possibilità di fotografare tutto quanto si trova sullo schermo di un computer attraverso il tasto “Stamp/Print”. Una volta premuto il tasto l’immagine dello schermo viene immagazzinata nella memoria del computer, per poterla visualizzare o modificare è necessario incollarla in un programma che consenta di editare le immagini (es. Photoshop). Si tratta di una pratica molto utilizzata soprattutto per fotografare una fase di lavoro che si vuole "fermare", per avere la possibilità di tornare indietro nel caso in cui le variazioni che si stanno per compiere non siano ritenute soddisfacenti. Esistono peraltro anche una serie di programmi che consentono di realizzare delle operazioni di snapshot più accurate di quelle consentite dal tasto “Stamp/Print”. 18 In occasione di “Sintesi” sono state esposte, per la prima volta, alcune delle fotografie di Marco Cadioli. Le opere di Cadioli sono visibili sul sito Internet Landscape: http://www.internetlandscape.it . 19 Qui si fa riferimento alle opere di Manetas proiettate in apertura dell’incontro [N.d.A.]. 20 Per una biografia di John Whitney si veda: http://www.siggraph.org/education/stuff/spacef95/john.html . 21 Enzo Cucchi, nato a Morro d’Alba (provincia di Ancona) nel 1950, è un’esponente della transavanguardia. 22 Vivien Westwood, stilista inglese famosa per la sua eccentricità oltre che per le proprie creazioni, ha introdotto lo “stile punk” nella moda internazionale. 23 La vicenda è spiegata bene in un’intervista che ho realizzato con Manetas per “Boiler” nel 2003. Ad una mia domanda con la quale gli chiedevo di ricostruire l’accaduto, Miltos risponde: «Un mese prima dell’apertura del Whitney Museum, ho notato che non avevano registrato il relativo dominio e poiché non avevo niente altro da fare, ho deciso di comprarmelo e di fare una mostra on line che sarebbe stata più interessante della loro mostra. Ho chiamato immediatamente diversi
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curatori chiedendogli di proporre artisti (e non solo, anche architetti, designers, ecc.) per la WBCOM (whitneybiennial.com) e ho contattato gli organizzatori della Whitney Biennial (ufficiale). Questi mi hanno invitato a discutere e mi hanno proposto di fare la WBCOM, presso una banca vuota di fronte al museo. All’inizio ho pensato: che gentili! Tuttavia, in seguito ho capito che era loro intenzione farmi fare una specie di salotto dei rifiutati. Puoi immaginare: io e i miei amici, con una dozzina di computer nella miseria di una immensa banca vuota, davanti al museo dove tutti si divertono. In quel momento, mi è passata per la testa un’idea terroristica e gli ho detto che avrei invece organizzato un esercito di camion trasformati in monitor, che avrebbe circondato il museo nel giorno dell’inaugurazione. Naturalmente, non avevo nessuna intenzione di farlo, perché anche solo a pensarci mi annoio: non credo più a queste cose da secolo scorso, però poi il ‘NY Times’ ha cominciato a chiamare e chiedere informazioni e io gli ho lasciato pensare che lo avrei fatto veramente. Alla fine, tantissime persone sono venute il giorno dell’inaugurazione per vedere i camion della WBCOM e molta della gente che era nel museo, usciva fuori per cercarli. Molti tornavano dentro e dicevano che avevano visto i camion ma che, dopotutto, non erano granché ! Si è creata una tale confusione che alla fine tutti parlavano della WBCOM invece che della mostra ufficiale, e la storia è diventata una leggenda metropolitana. In diversi paesi, la stampa ha riferito che i camion avevano veramente circondato il museo, il che è vero in un certo senso, perché i camion della WBCOM sono veicoli invisibili ed onnipresenti: sono i suoi websites che puoi vedere ovunque, pieni di opere dei migliori creatori del nostro tempo. La WBCOM è stato un atto terroristico (rubare il nome di un’istituzione ed utilizzarlo per pubblicità), ma è anche stata una mostra teorica che ha inventato nuovi sistemi – come il Flash Turntable (opera di Mai Ueda: http://www.maiueda.com/pornt/turntable.swf), un software che puoi usare per re-mixare animazioni in Flash, allo stesso modo di come faresti con dei suoni. Il Turntable ha dimostrato che oggi le opere d'arte visiva possono funzionare come dei samples (dei campioni sonori) ». L’intervista è consultabile sul sito di “Boiler” a questo indirizzo: http://www.boilermag.it/article.php?sid=173.
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Quando navighiamo tra le pagine di un sito web, queste vengono scaricate nella memoria cache del nostro browser (ovvero il programma che utilizziamo per navigare, es. Internet Exolorer, Mozilla, ecc.) allo scopo di rendere più veloce la navigazione. Ogni volta che torneremo su di una pagina già visitata, infatti, questa sarà caricata dal nostro disco fisso e non dalla Rete, con evidenti risparmi di tempo. 25 La storia degli Yes Men è raccontata nell'omonimo film documentario (prodotto da United Artists/Mgm e presentato alla “Berlinale” nella sezione Panorama), di prossima uscita nelle sale italiane. Mike Bonanno e Andy Bichlbaum iniziano, un po' per caso, plagiando il sito della World Trade Organization (www.gatt.org), il cui dominio era stato registrato dal network di attivisti ®™ARK (www.rtmark.com). Solo alcune modifiche minimali indicavano che non si trattava del sito originale, ma un visitatore poco attento poteva non farci caso. Tramite il sito gli Yes Men raccolgono una serie di inviti a parlare e presenziare convegni e manifestazioni in giro per il mondo, in quanto portavoce del WTO. Negli ultimi mesi, con le elezioni presidenziali americane alle porte, gli Yes Men sono concentrati sulla politica interna e hanno organizzato una ‘campagna elettorale’ per George W. Bush (a sua insaputa e certamente contro la sua volontà) con la quale (attraversando gli Stati Uniti con un grosso bus, del tutto simile a quelli utilizzati dai candidati alla presidenza) provano a spiegare alla gente il programma elettorale di Bush, e cercano di fare riflettere su cosa comporti in termini di giustizia sociale, guerra, politiche ambientali, fiscali, ecc. Intervistato sull’argomento, Andy Bichlbaum afferma: «realizzeremo performance, faremo una serie di comizi elettorali su varie tematiche, incontreremo e parleremo con i Repubblicani, con la gente comune. Quello che ci interessa è dire la verità. Vogliamo cercare di fare pensare la gente, questo ci interessa, fare in modo che capiscano quanto tremenda e pericolosa è la politica di Bush, ad ogni livello. Informare su come stanno davvero le cose, dare gli strumenti e le informazioni per decidere da sé». Il sito degli Yes Men è: http://www.theyesmen.org. 26 Il GATT è una accordo (stipulato nel 1947) ad ampio raggio, anche se non propriamente internazionale, con il compito di favorire la liberalizzazione del commercio. In seguito l’accordo viene
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sostituito dall’istituzione (nel 1995) dell'organizzazione mondiale del commercio, World Trade Organization, che ha la funzione di regolare gli scambi commerciali fra le nazioni. 27 ®™ARK è un network di attivisti molto vicini agli Yes Men (talvolta vengono persino confusi). La caratteristica principale degli ®TMark, rispetto ad altri gruppi dediti al plagiarismo, è nelle modalità adottate per realizzare le proprie campagne di sabotaggio. Raccolgono infatti finanziamenti per le proprie iniziative e li accumulano in fondi di investimento collettivo (mutual funds) con cui pagano i webmaster, stampano manifesti e volantini, pubblicano inserzioni sui giornali, realizzano spot televisivi e radiofonici. Il sito degli ®™ARK è: http://www.rtmark.com . 28 Sindaco di New York dal 1993 al 2001; è celebre per la campagna contro il crimine denominata “tolleranza zero” (la campagna si concretizzava nel non accettare la benché minima infrazione con lo scopo preventivo di evitare reati più gravi). Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 ha ottenuto un altro rilancio enorme di popolarità per lo slancio e la forza morale con cui ha seguito instancabilmente gli scavi a Ground Zero e si è prodigato per dare conforto ai parenti delle vittime (famosa è la foto che lo ritrae con il cappello da pompiere, insieme con le squadre di soccorso, sulle macerie delle Torri Gemelle). 29 Organizzazione segreta fondata nel 1866 a Pulaski (Tennessee), negli Stati Uniti, dopo la guerra di secessione per difendere i diritti dei bianchi ed impedire l'emancipazione dei negri e le loro conquiste civili. Gli affiliati, i Ku-Kluxer, si riuniscono di notte in covi, indossando lunghi camici bianchi con cappucci, svolgendo complessi e misteriosi rituali. Il loro spettrale abbigliamento, nelle feroci spedizioni, ha anche lo scopo di terrorizzare i neri inducendoli ad abbandonare ogni forma di lotta e di protesta. Il gruppo razzista nel 1871 fu messo fuori legge, ma rinacque nel 1915 mostrando un nuovo volto: il suo odio razziale non comprendeva più solo i neri, ma tutti quelli che non fossero di origine anglosassone o che parlassero una lingua differente dall'inglese e che, soprattutto, appartenessero ad una religione diversa da quella protestante. L’elemento più inquietante è che i leader dell’organizzazione razzista, a cominciare dal capo indiscusso Sam Bowers, quasi mai sono finiti in carcere, sempre salvati all'ultimo momento da giurie amiche. 30 Voteauction significa letteralmente: voto all'incanto.
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Attualmente il sito voteauction.com è visitabile a questo indirizzo: http://www.vote-auction.net . Se le precedenti elezioni presidenziali americane sono state caratterizzate da voteauction.com, quelle attuali nascono nel segno di sellthevote.com, un’altra provocatoria iniziativa con la quale gli Ubermorgen continuano a demistificare l’apparente democraticità del sistema americano. Altre iniziative da segnalare, seppur non connotate dallo stesso spessore di sellthevote.com, sono: votergasm.com e fthevote.com, due siti che promettono appassionanti incontri sessuali, il primo ai giovani che si recheranno alle urne, il secondo a quelli che voteranno contro Bush. Gli indirizzi sono: http://sellthevote.com , http://www.votergasm.com e http://www.fthevote.com ; il sito degli Ubermorgen è invece: http://www.ubermorgen.com . 31 Per una biografia degli 01.ORG si veda: http://www.fabioparisartgallery.com/001/homeroba.html. Il sito degli 01.ORG è: http://www.0100101110101101.org . 32 Nonostante la perdita del dominio il sito è ancora on line a questo indirizzo: http://www.0100101110101101.org/home/vaticano.org/spoof/index.ht ml . 33 Il movimento dell’Open Source (letteralmente: codice aperto) si è diffuso, a partire dalla fine degli anni Novanta, all’interno del più ampio movimento per il Software Libero che affonda invece le proprie radici negli anni Sessanta. La posizione dei fautori dell’Open Source è che il codice sorgente di qualsiasi software debba essere sempre visibile e disponibile, mentre ammettono che specifici accordi di licenza possano stabilire quanto sia permesso fare con quel codice. I sostenitori del Software Libero rifiutano invece qualsivoglia distinzione (e restrizione), in virtù di una visione etica e libertaria della programmazione. Per un elenco completo dei criteri che un programma deve rispettare per poter essere definito open source si rimanda a: http://www.apogeonline.com/openpress/op_definition.html . 34 L’artista in questione è Jonathon Keats. La notizia è pubblicata su “Neural” al seguente indirizzo: http://www.neural.it/nnews/modernisminc.htm . 35 A. BORSANI, Le fabbriche di scintille. Cultura e storia della creatività, Lupetti, Milano 2000.
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Un’opera di questa serie è stata esposta a “Sintesi”. È possibile ascoltare il brano a questo indirizzo: http://www.maiueda.com/songs/dontcallme.mp3 . 37
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5 - Considerazioni sul Neen di V. Campanelli 5.1 - Una cornice per il Neen La specie umana, dal momento della sua comparsa, si è relazionata esclusivamente con oggetti tangibili e materiali – in una parola: con atomi. Ciò è avvenuto per tanti secoli in maniera inconsapevole, ma non è questo il punto, l’aspetto più stupefacente è che, all’improvviso (60 anni rispetto ad un’intera parabola evolutiva sono un attimo), l’uomo si trova a confrontarsi (consapevolmente o meno) con una realtà in cui i bit sostituiscono gli atomi in sempre maggiori contesti. Manetas, al riguardo, sottolinea come “non esiste più uno spazio reale ed uno spazio digitale”, sono entrambi sovrapposti in un’unica esperienza. Nella nostra stessa persona, le rappresentazioni sensibili e quelle digitali si sommano. È la “rivoluzione digitale”, sottolinea con forza la Mattei, e nessuno ne è escluso. Viviamo dunque una realtà nella quale, a dare credito ad uno dei massimi esperti di economia della comunicazione, lo spagnolo Manuel Castells: «l’espressione culturale si forma intorno al caleidoscopio di un ipertesto globale ed elettronico. Intorno ad Internet ed al multimedia, le manifestazioni della comunicazione e della creatività umana sono linkate ipertestualmente. […] Mentre le esperienze individuali possono esistere al di fuori dell’ipertesto, le esperienze collettive ed i messaggi condivisi – vale a dire la cultura come medium sociale – sono perlopiù catturate in questo ipertesto. Esso costituisce la sorgente della virtualità reale in quanto cornice semantica delle nostre vite. Virtuale, perché si basa sui circuiti informatici e su fugaci messaggi audiovisivi; reale, perché questa è la nostra realtà, dal momento che l’ipertesto globale fornisce la maggior parte dei suoni, delle immagini, delle parole e delle forme, nonché delle connotazioni che usiamo nella costruzione dei significati in tutti i campi dell’esperienza» 1. Castells aggiunge che, al di fuori della network society, esiste vita unicamente nelle comunità culturali fondamentaliste che costruiscono autonomamente le fonti del significato (spesso intorno alle verità trascendenti di Dio, Nazione, Famiglia, Etnia e Territorialità).
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Una comunità che pretende di rimanere indifferente alla rivoluzione in atto è sicuramente quella dell’arte contemporanea, con i propri artisti, curatori, critici, tutte quelle componenti del “sistema arte” che secondo Manetas non esistono, “sono una nuvola”. Quel sistema non esiste. Non si tratta di un paradosso, siamo semplicemente di fronte all’ologramma di un mondo scomparso, la rappresentazione di un’antica società in cui tutto era soppesato in termini di atomi. La logica binaria che pervade il nostro mondo ci induce a rifiutare ogni barricata culturale. O si è dentro oppure si è fuori. L’artista contemporaneo (nel senso di coevo a chi scrive) non può che esprimere la propria condizione umana di conduttore di impulsi elettronici, di nodo di un network, di satellite di un’infosfera. Mentre l’arte non è altro che uno specchio posto davanti al mondo, noi guardiamo lo specchio e spesso in esso vediamo ciò che i nostri occhi non hanno saputo cogliere. Il monitor del nostro computer è comunemente considerato una finestra sul mondo. Viene da chiedersi, allora, dove dovrebbe essere posto lo specchio. Davanti al nostro usuale mondo fatto di atomi, oppure davanti a quell’altro, sempre nostro, che vediamo attraverso un monitor? Io credo che dovunque piazzeremo lo specchio, vedremo sempre lo stesso: un nuovo essere umano, una nuova società, un nuovo paesaggio. Siamo infatti in un mondo nuovo, con una nuova sensibilità dinamica ed interfacciata. Il nostro pensiero scorre a velocità che possiamo solo definire, mai immaginare, all’interno di capelli di fibra ottica in perenne estensione. Milioni di input, sensazioni, immagini, suoni, infinite possibilità di interconnessione sono alla nostra portata in ogni istante. Ci integriamo in reti sempre più ramificate, avvertiamo un istinto primordiale che ci spinge ad estendere quotidianamente i nostri network, a linkare e creare scambi tra diverse reti a sempre più livelli. Abbiamo abbandonato, come una fastidiosa reliquia degli anni Ottanta, la conflittualità generalizzata per sostituirla con la collaborazione (altrettanto generalizzata). L’evidenza degli ultimi anni ha determinato in una collettività evoluta di lavoratori cognitivi (e cioè i lavoratori della conoscenza, della comunicazione, dell'immateriale) la piena convinzione della necessità di agevolare e sostenere la costituzione di reti di relazioni interpersonali. La totale eterogeneità
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dei partecipanti ad una medesima rete favorisce lo sviluppo di relazioni a così diversi livelli da raggiungere una trasversalità forse mai così profonda nello sviluppo della nostra specie. Cogliamo oggi i frutti maturi di quella cultura digitale che da più di 40 anni 2 – silenziosamente – forgia la realtà determinando l’agire sociale. L’uomo che diventa nodo di un network non può non trasferire questa attitudine nelle proprie azioni quotidiane. E così la pratica del file sharing 3 trova un corrispettivo nella disponibilità generalizzata a scambiare informazioni, nella positivistica convinzione delle possibilità scaturenti dalla più ampia circolazione sociale delle conoscenze. Si apre quindi la strada ad una nuova socialità “includente” più che “escludente”. La forza di un’idea è infatti oggi determinata non solo dal suo intrinseco valore (requisito minimo senza il quale sono del tutto nulle le possibilità di emergere dal magma delle infinite scintille che la velocità di circolazione delle informazioni produce senza sosta), ma soprattutto dalla possibilità di attrarvi intorno il più ampio numero possibile di “pari”. Allo stesso tempo si apre la strada ad una nuova estetica, mentre si diffondono nuove forme in grado di interpretare, più che di rappresentare, il mutato scenario socio-culturale. Tra queste la Net Art che costituisce una delle più affascinanti e sorprendenti forme del presente. La legittimità del termine Net Art (nella iniziale formulazione del sintagma un punto separava le parole net e art), lo svilupparsi di questo concetto, il suo evolversi in network socio-culturali, in stili, in estetica, sono questioni alle quali hanno già dato importanti risposte Marco Deseriis e Giuseppe Marano nel libro che non a caso è stato più volte citato in queste pagine e che, come accennato nella Premessa, costituisce la prima riflessione organica sviluppata su tali tematiche in Italia 4. Di fatto la Net Art è la più diretta e genuina emanazione dell’onda prodotta dall’impatto sulla scena artistica del nuovo medium. Un “meteorite” ancora più veloce di quello che con il suo impatto aveva dato vita alla Pop Art. Affermare che la Net Art sta ad Internet come la Pop Art sta alla TV è estremamente banale, ma non per questo meno vero. Se del resto
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si può leggere nell’arte pop “un’ironizzazione della civiltà consumistica” 5, è altrettanto verosimile individuare nell’arte net un’ironizzazione della civiltà della comunicazione. La Net Art infatti si è sempre prestata, sin dalle sue primissime origini, ad essere il terreno di scontro privilegiato, la giungla dove si annidano i “contras del subadvertising” 6. Quale o quali sono dunque gli àmbiti di questa nuova forma d’arte? Quando Deseriis parla degli Yes Men, mostra di credere ad una definizione della Net Art molto estesa, in grado di abbracciare anche esperienze di “guerriglia semiotica” che trovano nella Rete solo un pretesto o, al più, un terreno d’azione. Ma il concetto di Net Art può essere ulteriormente esteso? È possibile andare oltre quelle specificità che Alessandro Ludovico individua in un’arte che è duplicata, distribuita, calcolata e descritta da un codice d’istruzioni? Secondo me quest’estensione è possibile a patto di intendersi su alcuni punti. In particolare – se limitiamo la Net Art a quel movimento della metà degli anni Novanta quando una serie di artisti, prevalentemente mitteleuropei, diedero vita ad alcune sperimentazioni sui protocolli di rete e ad una serie di importanti discussioni sulle specificità e le potenzialità del mezzo – è chiaro che stiamo parlando di una parentesi che si è ormai chiusa. Ritengo invece che si possa e si debba andare oltre quella fase pionieristica, e che a tale scopo è necessario allontanarci per un momento dal concetto di Rete per considerare uno spettro più ampio di manifestazioni culturalmente rilevanti. Provare a definire la Net Art ponendosi dal punto di vista della Rete può costituire una pratica estremamente rischiosa. Il postulato più naturale sarebbe, infatti, l’esclusione di tutte quelle esperienze che non si traducono in un sito web o quantomeno in altre forme di ipertesto, ma se ciò fosse, ecco un altro problema: troverei più adeguati termini quali “software art” o “Web art”. La Net Art, invece, è qualcosa che va oltre le applicazioni specifiche e che descrive una propria traiettoria che attraversa stili, movimenti ed istanze troppo eterogenee per essere ricondotte ad unità. Cos’è dunque la Net Art? A questa domanda sarei tentato di rispondere con un’altra domanda: che cos’è l’arte contemporanea? ”Arte contemporanea” è una espressione che descrive, come un contenitore generico, tutti i
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movimenti artistici che si sono sovrapposti a partire dagli anni Sessanta 7 sino alla fine degli anni Ottanta 8 e la cui eredità non è stata ancora compresa nella sua portata. Si tratta dunque di una definizione che deve essere storicizzata, e per tale motivo non può essere utilizzata anche per gli avvenimenti artistici successivi. In particolar modo non è adeguata rispetto alle sperimentazioni, che pur affondando le proprie radici in quel trentennio (come ci ha ben ricordato la Mattei) si sono sviluppate intorno ad un nuovo medium: Internet. Ricomprendere nella definizione “arte contemporanea” anche movimenti e tendenze artistici nati successivamente all’avvento del Web è un grosso errore di prospettiva. Si tratta, sì, di fenomeni contemporanei, nel senso che appartengono alla nostra epoca, ma, dal punto di vista della critica artistica e della ricostruzione storica, hanno bisogno di differenti approcci che tengano conto della specificità del nuovo medium e soprattutto dei contesti sociali e culturali che ne sono scaturiti. La definizione “arte contemporanea” può ben continuare ad essere utilizzata per interpretare quei manufatti artistici contemporanei che raccolgono l’eredità degli anni Sessanta-Ottanta. Gli artisti che continuano ad utilizzare i mezzi espressivi che hanno caratterizzato la fine del secolo scorso, ignorando i mutamenti del linguaggio e le nuove istanze estetiche e sociali che la Rete ha posto, sono da considerare sicuramente come i prosecutori della tradizione che va sotto l’etichetta “arte contemporanea”. Si tratta di artisti che sono pienamente organici a quel sistema dell’arte che sopravvive nell’applicazione sistematica delle quattro varianti dello “strano e significante” evidenziate da Manetas nel Manifesto: «se metti qualcosa in una stanza vuota, quel qualcosa appare strano e significante»; «se togli qualcosa dal proprio contesto, quel qualcosa appare strano e significante»; «se cambi il parametro di giudizio di qualcosa, quel qualcosa appare strano e significante»; «se moltiplichi qualcosa, anche in questo caso, quel qualcosa appare strano e significante». È un’arte che preferisce ignorare la rivoluzione copernicana in atto per l’incapacità di interpretarla e che, al più, utilizza i nuovi media per rifare le cose che ha già fatto.
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Sembra più opportuno, di conseguenza, che non si continui ad estendere una definizione nata in un’epoca precedente alla nostra epoca e al nostro medium. Certo non continueremo a definire “arte contemporanea” tutte le espressioni artistiche fino al 3000 ... La Net Art, e quant’altro saremo capaci di produrre con la nostra immaginazione di abitanti di un pianeta in continua evoluzione, sono definitivamente fuori del dominio “slargato e stiracchiato” dell’arte contemporanea. Sono invece propenso ad includere nel concetto di Net Art tutti i movimenti artistici che si sono sviluppati a partire dall’avvento del nuovo medium, e ciò indipendentemente dal fatto che pongano o meno la Rete al centro della propria ricerca estetica. I nuovi media infatti, come spiega Lev Manovich 9 nel suo The language of New Media 10, hanno modificato per sempre la nostra percezione ed il nostro paesaggio. Secondo il teorico dei nuovi media, poiché la distribuzione di tutte le forme culturali avviene ormai attraverso il computer, l’uomo finisce per non rapportarsi più con un computer, ma con una cultura codificata in forma digitale. Tuttavia un codice non è mai un meccanismo di trasporto neutrale, ma esso influenza i messaggi che viaggiano su di esso, come insegna la teoria della “non trasparenza del codice” che ha avuto in Whorf-Sapir la sua formulazione più estrema. Se ne induce che la codificazione di una cultura è un processo che determina profonde trasformazioni nella cultura codificata. Manovich individua la principale delle trasformazioni in atto, nel progressivo sostituirsi del database, in luogo della narrazione, quale rappresentazione culturale predominante. La rappresentazione del mondo come una serie di voci non ordinate si sostituisce alla traiettoria causa-effetto di voci ed eventi solo apparentemente disordinati, tipica della narrazione. Se il database diventa la forma culturale prevalente, le interfacce uomo-computer diventano interfacce uomo-computer-cultura, rappresentando le modalità con cui i computer ci presentano i dati culturali e consentono di interagire con essi. Se ciò è vero, è legittimo affermare che anche l’arte sia investita dal più generale e radicale processo di codificazione culturale, soprattutto nella direzione del superamento di ogni distinzione tra contenuto e forma o mezzo. L’interfaccia, che sostituisce nel moderno paradigma la forma ed il mezzo, è inscindibilmente fusa con il contenuto al punto che considerarla come livello separato, «un
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qualcosa che si può modificare arbitrariamente, significa eliminare la dimensione artistica» 11. In definitiva, collocare nel concetto di Net Art anche le manifestazioni artistiche contemporanee che apparentemente nulla hanno a che fare con il nuovo medium, significa semplicemente constatare che gli artisti non possono, in alcun modo, essere considerati immuni rispetto al processo di codificazione culturale in atto. Ognuno di essi, in qualsiasi direzione si orienti la sua ricerca estetica, è comunque partecipe di un network culturale, sociale, estetico ed emotivo. Bisogna comunque fare attenzione. Come avverte Manovich, spesso musei, gallerie d'arte ed altre istituzioni culturali usano il termine "net art" per simbolizzare le "arti dei nuovi media" (o arti digitali) nel loro insieme. Così facendo, ne danno un’interpretazione restrittiva e fuorviante che li conduce a focalizzare l’attenzione verso i progetti legati al Web, mentre vengono ignorate molte altre e differenziate pratiche digitali, quali installazioni interattive computerizzate, musica elettronica, cinema interattivo e hypermedia 12 . Questa interpretazione restrittiva va sicuramente censurata, perché individua banalmente – nel medium espressivo utilizzato – l’elemento in grado di distinguere una pratica artistica dalle altre. Soprattutto è un prospettiva viziata da un errore, perché si continua a considerare il Web come un mezzo espressivo e non come un’interfaccia culturale e sociale. La Net Art, più che come l’arte del Web, deve essere interpretata come l’arte del tempo che viviamo, tempo in cui la Rete ha assunto un ruolo centrale nel determinare la formazione e lo sviluppo di contesti socio-culturali, parametri estetici e quant’altro in grado di influenzare le nostre vite. Certo, all’interno della cornice rappresentata dalla Net Art coesistono stili e motivazioni differenti, ognuno dei quali potrebbe dar vita a movimenti artistici più o meno specifici ed è questo il caso del Neen.
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5.2 - Il pensiero Neen Maria Grazia Mattei, facendo riferimento alle avanguardie della fine del secolo scorso, sottolinea come “gli artisti avevano già visto”, avevano già aperto uno squarcio sulla realtà che oggi costituisce lo sfondo delle nostre azioni. In realtà nessuno, o quasi, aveva capito ciò che quelle sperimentazioni tentavano di esprimere. Solo oggi possiamo raccoglierne la preziosa eredità, perché abbiamo finalmente i mezzi e la consapevolezza per farlo. Volendo cercare un aggancio con le avanguardie storiche del XX secolo si potrebbe essere tentati di stabilire una similitudine tra Neen e Dada, ma si sbaglierebbe di grosso. Il vero aggancio è col Situazionismo. Manetas stesso è consapevole di questa eredità e la palesa nelle battute finali del dibattito, affermando che il Neen è soprattutto situazioni, è un “Situazionismo versione 2.0”. Certo si tratta di un Situazionismo spogliato del materialismo storico e dell’ideologia marxista, ma esiste comunque un reale terreno comune che è dato soprattutto dal rifiuto del sistema dell’arte (che possiamo leggere in chiave “debordiana” come un rifiuto della società dello spettacolo), ma anche dalla consapevolezza che la soppressione e la realizzazione dell’arte sono aspetti inseparabili di uno stesso superamento dell’arte. Non è dunque possibile tenerli separati. Manetas ha ben presente questo punto quando afferma, nel Manifesto, che «ciò che un Neenstar fa, può sembrare in alcuni casi stupido, ma solo perché è semplice e sbalorditivo. Un Neenstar non prova a costruire senso (significati); egli/ella non soffre di alcuno stress produttivo e non rispetta un modello predefinito. Il sogno di un Neenstar è di diventare un’icona speciale – ma non il tipo di icona che normalmente troviamo nelle riviste. Un Neenstar inizia la propria carriera diventando un’icona della propria immaginazione. Successivamente proietta quell’icona verso l’esterno come se fosse un qualcosa di concreto». Diventare un’icona della propria immaginazione, ecco possiamo leggere qui la negazione e la realizzazione dell’arte, in una parola il suo superamento. Ma oltre ciò, la scelta dell’effimero, dell’espressione semplice ed immediata, il gusto per la provocazione e per il gioco, la perenne ricerca del paradosso, della situazione da ribaltare, il ricorso al détournement ed infine la continua tensione verso “situazioni” da
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creare, costituiscono altrettante giunture tra il pensiero situazionista ed il Neen. Ma il Neen, più che un frutto tardivo di vecchie avanguardie, è soprattutto figlio del Web, si origina da esso. Il Web, come ricorda Manetas, non è solo “un altro media”, è invece uno spazio, è quel luogo documentato dai reportages di Cadioli ed abitato da entità, “entità Web”. Si tratta di entità che hanno una propria socialità, e si danno reciprocamente conferma della propria esistenza attraverso un circuito autoreferenziale di link. Hanno anche, in alcuni casi, una vita autonoma che non è frutto del determinismo tecnologico, ma effetto della propria natura mutevole di oggetti il cui sviluppo è lasciato all’interazione con altre entità. Soprattutto affermano una propria estetica assumendo forme sorprendenti. Sono proprio queste forme a restituirci “l’attesa metafisica della pittura”. Manetas, fedele alla tradizione aristotelica, si esprime in termini apofatici o negativi; in altri termini, non dice che cosa è il Neen, ma dice ciò che non è Neen 13. Il Neen soprattutto è l’opposto del Telic. Questo alter ego, questo termine di paragone per il Neen, permette a Manetas di costruire un universo di attitudini, derivanti da un sentire che, proprio in quanto Telic, non appartiene al Neen. Telic è lo spirito che ci indirizza attraverso il caos da cui si è originato il Web. È uno spirito sempre finalizzato, sempre diretto verso qualche obiettivo (la parola telic deriva infatti dal sostantivo neutro telos che nel greco classico significa: scopo, fine, obiettivo). Il concetto di Telic si definisce dunque in rapporto agli strumenti tecnologici che danno forma a questo nostro mondo e che forniscono i presupposti tecnici per la creazione di nuovi linguaggi e nuovi significati. Nicholas Negroponte e i ricercatori del glorioso “MIT” 14, con la loro incrollabile fede nello sviluppo tecnologico, costituiscono la perfetta icona dello spirito Telic. Efficientismo, ipercreatività, abilità informatiche, capacità di accumulare un numero spropositato d’informazioni, ma anche la mancanza di gusto sono gli elementi distintivi dell’approccio Telic. Il Telic è essenziale per l’esistenza del Neen, non solo perché permette di descriverlo (attraverso il metodo della negazione) ma soprattutto perché ne costituisce il substrato. Le fondamenta sulle
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quali si è innestato quel corpo sociale che chiamiamo Web sono state edificate proprio da persone Telic. Il rapporto tra Neen e Telic è dunque di natura mutualistica, proprio nel senso che a tale aggettivo dà la biologia, che con esso descrive, per esempio, la simbiosi tra due piante. Uniti da un legame come quello che c’è tra funghi e licheni, Neen e Telic costituiscono aspetti irrinunciabili della nostra società e non è possibile pensare all’uno se non in funzione dell’altro. Neen e Telic articolano la grammatica e la morfologia della network society, disegnano il rapporto tra scienza e arte, tra strumenti ed estetica nella definizione di quello spazio ancora indeterminato che è il Web. Una delle caratteristiche principali del Neen è che non ha bisogno di una precisa definizione per essere compreso; in proposito Manetas riferisce: «capita spesso che parlo di Neen ad una persona qualsiasi (per esempio il manager di un’azienda) e immediatamente, mentre non saprebbe dirti cosa è Neen, sa invece cosa non è per niente Neen! La maggiore parte delle cose attorno a noi, non sono Neen; e ciò che rimane potrebbe essere una semplice cazzata o appunto Neen. Mettersi d'accordo senza poter spiegare il perché: ecco, questa è l'unica garanzia che ciò che facciamo, vale la pena di essere realizzato» 15. Si può addirittura essere un Neenstar senza essere a conoscenza dell’esistenza del Neen. Lucio Fontana, ad esempio, inconsapevolmente lo era e molti di quelli che oggi passano il proprio tempo a realizzare bellissime forme sul Web, senza alcun obiettivo, lo sono. Il Neen è alla portata di tutti. È uno stato d’animo che può attraversare qualsiasi corpo, indifferente a tutte quelle distinzioni e classificazioni che sono invece così essenziali per il Telic. I Neenstars sono i perfetti architetti di questo nostro mondo. Gli oggetti che progettano non hanno alcuna finalità, probabilmente non saranno nemmeno capaci di mantenersi in piedi, tuttavia sono cute. Grandiosi nella propria effimera bellezza, colpiscono al cuore ed incantano per la semplicità del gesto. Tutto nasce dall’immaginazione del Neenstar e viene fuori naturalmente, senza alcuno sforzo. Un Neenstar non è ossessionato dalla creatività né si preoccupa di costruire significati. Si limita a proiettare all’esterno le immagini che prendono forma nella sua mente.
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Neen è poesia, è musica. Sono le cose che non sapremmo definire ma che ci emozionano, è un’emozione tanto fragile e preziosa che si frantuma se solo ne parliamo. Provare a definirla è come schiacciarla sotto un piede. Nel Neen possiamo individuare quel ritorno ad una visione estetica del mondo che secondo Mario Perniola (professore di ‘Estetica’ all’Università “Tor Vergata” di Roma e all’Università di Kyoto) costituisce la più forte alternativa alla violenza della comunicazione massmediatica. Perniola evidenzia come l’attuale società sia diventata, attraverso la comunicazione, “il luogo per eccellenza dell’oscurantismo, del dispotismo e delle barbarie.” La comunicazione massmediatica si sottrae a ogni determinazione, aspira a “essere contemporaneamente una cosa, il suo contrario e tutto ciò che sta in mezzo tra i due opposti”. Esponendo il messaggio a tutte le sue possibili varianti finisce per abolirlo. Il suo obiettivo, infatti, è sempre il dissolvimento di tutti i contenuti. L’unica alternativa agli effetti della comunicazione è rappresentata, secondo Perniola, da un sentimento estetico delle cose, un’estetica non ideologizzata ma fattuale, che sappia reintrodurre nella società e nella cultura sentimenti come il disinteresse economico (o meglio un interesse-disinteressato “che sollecita un riconoscimento proprio in virtù del fatto che prescinde dall’interesse economico”), la discrezione, la moderazione, il gusto per la sfida, l’arguzia e la seduzione 16. Ecco il Neen è proprio questo. È il tentativo di opporre alle logiche di marketing che regolano il mondo dell’arte un sentimento di disinteresse economico, che non prescinde dalla necessità di un riconoscimento, ma che antepone l’approvazione e l’ammirazione da parte della “comunità dei pari” a quella dei “mercanti d’arte”. È discrezione nei termini in cui questa parola, intesa come capacità di cogliere le differenze, ci rimanda ad un mondo di finezze estranee alla volgarità della comunicazione. È moderazione nella misura in cui ogni Neenstar ha pienamente consapevolezza della relatività del proprio universo rispetto ai milioni di universi “altri” che si sviluppano intorno agli infiniti nodi della Rete. È sfida, globale e continua, rivolta alla macchina della produttività e della creatività a comando. È sfida alla noia che ci impone un sistema che è capace solo di riprodurre se stesso, nell’applicazione
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isterico-paranoica degli stessi consunti modelli di “fruizione culturale”. È arguto il Neen quando utilizza i linguaggi e gli strumenti della comunicazione e li rivolta contro il sistema che li ha prodotti. È seducente il Neen, anzi si potrebbe dire che è soprattutto seduzione. Ma un Neenstar non è un seduttore sensuale, il cui piacere culmina nel possesso, è piuttosto un seduttore intellettuale, ovvero quel tipo di seduttore che secondo Kierkegaard trasforma la propria stessa esistenza in un’opera d’arte. Resta da chiedersi se questo tentativo di restituirci una dimensione estetica delle cose possa realmente scuotere dalle fondamenta la monolitica “fabbrica della cultura” intorno alla quale prospera la società della comunicazione. Non è facile dare una risposta e del resto non è ragionevole fare previsioni. Siamo solo all’inizio dello scontro tra due tipi di civiltà. Davanti ai nostri occhi nascono e si diffondono “entità Web” (dunque entità reali) che appaiono figlie di una nuova sensibilità. Quanto siano in grado di attecchire è legato soprattutto alla capacità di diffondersi viralmente nel sistema ovvero all’attitudine ad agire come un virus. In tal senso, questo contributo vuole essere il tentativo di inoculare il “virus Neen” nelle menti di quanti vi entreranno in contatto, per contrastare quel “pensiero unico massmediatizzato” che prova a colonizzare tutto, anche il nostro nuovo medium.
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Note 1
Epilogo di Manuel Castells al libro di Pekka Himmanen, L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli, Milano 2001. 2 Basti pensare che già nel marzo del 1960 lo scienziato J.C.R. Licklider – studioso di psicoacustica e celebre direttore dell’ “IPTO” (Information Processing Techniques Office) presso l’ “ARPA” (Advanced Research Projects Agency) – pubblicò un saggio dal titolo: Man-Computer Symbiosis (La simbiosi uomo-computer), che avrebbe avuto una grandissima influenza su tantissimi psicologi e studiosi di informatica dell'epoca. Licklider in seguito avrebbe gettato le basi teoriche per la realizzazione di “ARPAnet”, la prima rete in grado di collegare computer distanti fra loro, con possibilità di interscambio di documenti ed applicazioni. 3 Quando visitiamo un sito web, il nostro computer (che si comporta come client) non fa altro che inviare una richiesta ad una particolare macchina, chiamata server, che risponde inviandogli i file richiesti. Nel file sharing, invece, i computer coinvolti si comportano tutti come server e client allo stesso tempo. In poche parole, possiamo scaricare i file dagli altri computer sparsi nella Rete (e quindi ci comportiamo come client), ma anche gli atri possono scaricare file da noi (e quindi ci comportiamo anche come server). Il sistema è quanto di più democratico abbia mai prodotto la comunità degli internauti: metto a disposizione le risorse che ho sul mio PC (musica, programmi, video, ecc.) ed in cambio ottengo la possibilità di accedere alle risorse di milioni di altri utenti. La democraticità del sistema non è però molto apprezzata dalle corporations che vedono nel file sharing una grossa minaccia al sistema economico imperante che è basato su una rigida applicazione del copyright. 4 Un’interessante ricostruzione del fenomeno Net Art è offerta anche da Domenico Quaranta nel suo Net Art 1994-1998. La vicenda di Äda’web, Vita e Pensiero, Milano 2004. 5 Così si esprime Gillo Dorfles in Ultime tendenze nell’arte di oggi. Dall'informale al neo-oggettuale, Feltrinelli, Milano 2001. 6 Il subadvertising è la pratica di riutilizzare il linguaggio e gli schemi narrativi tipici dei mass media ed in particolare della
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pubblicità (in inglese, advertising), per produrre un senso opposto e demistificante. 7 Recentemente Francesco Poli (professore di ‘Storia dell'arte’ presso l'Accademia di Brera a Milano) ha individuato, nelle ricerche internazionali dalla metà degli anni Cinquanta, la svolta dell’arte contemporanea. 8 Anche Gillo Dorfles (nella premessa al libro precedentemente citato) affronta il tema della possibile inadeguatezza del termine “arte contemporanea” rispetto ad alcune tendenze emerse già alla fine degli anni Sessanta e sviluppatesi poi nel ventennio successivo. 9 Il sito di Manovich è: http://www.manovich.com . 10 L. MANOVICH, The language of New Media, The MIT Press, Boston 2001. Cfr. l’edizione italiana: Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2004. 11 Ivi, pag. 94. 12 Questi concetti sono espressi da Manovich nell’intervista realizzata con Luca Barbeni e pubblicata su Teknemedia: http://www.teknemedia.net/magazine/net_art.html?a=dettagli&magazi ne_id=293 13 Nella logica di Aristotele, l’apofatico “separa una cosa da un’altra” cioè nega l’appartenenza di un predicato ad un soggetto. 14 Massachusetts Institute of Technology: http://web.mit.edu 15 Questo passaggio è tratto dall’intervista che ho realizzato con Manetas nell’aprile del 2003 per il magazine “Boiler”: http://www.boilermag.it/article.php?sid=173 . 16 M. PERNIOLA, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino 2004.
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6 – Indice dei nomi e Linkario Il linkario è consultabile sul Web a questo indirizzo: http://www.vitocampanelli.it/linkario.htm . 0 0100101110101101.ORG - http://www.0100101110101101.org pp. 67, 80. 0100101110101101.ORG, biografia http://www.fabioparisartgallery.com/001/homeroba.html A Angelidakis Andreas - http://www.angelidakis.com pp. 13, 17. Ars Electronica - http://www.aec.at pp. 49, 75. B Boiler magazine - http://www.boilermag.it pp. 76, 77. Broeckmann Andreas, biografia http://www.v2.nl/~andreas/phd/bio.htm pp. 46, 73. C Calvert Mike - http://www.neen.org/demo/calvert.htm pp. 13, 17. Cosic Vuc, intervistato da Josephine Bosma http://amsterdam.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l9709/msg00053.html pp. 19, 64, 73.
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Quarta di copertina Beware Villagers! Well, I am now terrified! Vito Campanelli who is between other things a "profesional scholar", is now writing a book centered on my ideas and operations. "But I was doing it only for the heck of it", I want to scream: "I wasn't serious... How can you ever take seriously something called Neen?". I close my eyes and I picture an old piece (1968 I think) by Paul McCarthy, it consists in a few photographs where you can see a bowling ball flying on a park, over some trees, etc. Looking at these pictures, you can quite feel the pain of a peacefull tourist who receives this ball coming out of the blue on his head! Neen is one of these "Bowling ball" concepts: You can shoot them from the top of the mountain and until they arrive down to the valley they have become a snowslide. The book of Vito Campanelli is for me the first taste of that snowslide. And it hurts! Attenzione Abitanti! Bene, ora sono terrorizzato! Vito Campanelli, che tra le altre cose è uno "studioso professionista", sta scrivendo un libro incentrato sulle mie idee ed operazioni. "Ma io lo stavo facendo solo per gioco", voglio gridare: "Non ero serio... Come puoi pensare di prendere sul serio qualcosa chiamato Neen?". Chiudo gli occhi e immagino un vecchio lavoro (del 1968 penso) di Paul McCarthy. Sono alcune fotografie nelle quali si può vedere una palla da bowling volare in un parco, sopra gli alberi, etc. Guardando quelle immagini, si può facilmente provare il dolore di un pacifico turista che riceve sulla propria testa quella palla proveniente dal blu! Il Neen è uno di questi "concetti-palle da bowling": Puoi lanciarle dalla cima della montagna e, prima che siano arrivate a valle, si trasformeranno in una valanga. Il libro di Vito Campanelli è per me il primo assaggio di quella valanga. E fa male! Miltos Manetas
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Tra gli artisti contemporanei, Miltos Manetas (Atene, 1964) è riuscito meglio di altri ad interpretare le nuove esigenze, i nuovi fermenti, ed a muoversi creativamente nella zona di confine tra arte e nuove tecnologie, lì dove si delineano le forme di un nuovo ancora tutto da inventare ... L’atteggiamento di sfida nei confronti dell’establishment, che da sempre caratterizza l’artista greco, si è unito alla necessità di interpretare le molteplici istanze poste dall’avvento dell’era digitale. Di qui la teorizzazione del Neen, da parte di Manetas, come prima avanguardia estetica del nuovo secolo. La parola Neen vuole indicare l’arte propria dei “neenstars”, una nuova generazione di “visual artists”, com’è affermato nel Manifesto Neen e come si leggerà in questo libro.
Vito Campanelli (Napoli, 1971), saggista e teorico dei nuovi media, contribuisce a differenti web-zines (tra le quali Boiler e Neural) ed è collaboratore presso la cattedra di Teoria e tecniche delle comunicazioni di massa, nella Facoltà di Lettere dell'Università di Napoli “L'Orientale”. E’ tra i soci fondatori della web agency Klash.it ed è ideatore del progetto The Net Observer.