Sub_Cultura

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Libera accademia di belle arti di Brescia cattedra di Graphic Design Multimedia anno accademico 2009/2010

“SUBCULTURA” Dentro una società illusoria

Docente relatore

Diego ruggeri

alunna

Priscilla Fois n° matricola: 1003

Docente di indirizzo

Diego Ruggeri




Priscilla Fois Grafich design multimedia anno accademico 2009/2010


Indice Introduzione Capitolo 1 . Subcultura . Cambiamenti sociali

Capitolo 2 . Realismo fantastico . Simbolismo . Arte classica in un mondo alieno

Capitolo 3 . Manifesto della pittura popsurealista . Low brow . Art brut e outsider art . Popart

Capitolo 4 . Graffittismo e la sua influenza . Dalla propaganda alla POPaganda . Guerriglia marketing



Introduzione Questo lavoro nasce dall’ interesse e dalla curiosità nei confronti di una realtà che mi ha cresciuto. La passione per la Street art mi ha accompagnato nella formazione d e l m i o s t i l e d a G r a p h i c d e s i g n e r. In questa tesi volevo dimostrare cosa sta succedendo nelle nuove generazioni, come sta cambiando il modo di pensare e di vedere le cose, di come ci si pone verso il futuro. Ho realizzato il tutto intorno ad un personaggio di mia invenzione, per rendere la cosa più divertente. Questo personaggio diventa p r o t a g o n i s t a d e l l a m ia t e s i a d a t t a n d o s i a g l i a m b i e n t i u r b a n i , l u o g h i che prediligono gli artisti della nuova generazione. Correnti artistiche hanno caratterizzato il processo di evoluzione del mondo del writing, e del pop surrealismo. I mezzi di comunicazione e la pubblicità hanno sostenuto lo spettatore ad abituarsi a qualsiasi immagine, il mondo sta cambiando e l’arte è uno di quei settori che r a p p r e s e n t a n o n e l m ig l i o r m o d o i c a m b i a m e n t i s o c i a l i . Spero che con questa tesi, si riesce a fare un piano completo di q u e l l o c h e è e d i q u el l o c h e s a r à i l m o n d o d e l l ’ a r t e , m a a n c h e d e l l a p u b b l i c i t à e d e l l a g r af i c a .


Nel linguaggio corrente il termine “Subcultura” è usato con una connotazione negativa, indicando una scarsa o inadeguata dotazione di mezzi culturali. Nel vocabolario antropologico il termine disegna un sottoinsieme di elementi culturali, sia immateriali che materiali: valori, conoscenze, linguaggi, norme di comportamento, stili di vita, strumenti di lavoro. Elaborato o utilizzato, tipicamente da un dato settore o strato di una società, I membri di questa subcultura usano differenziarsi dal resto della comunità, con uno stile di vita o un modo di vestire simbolico e alternativo rispetto a quello dominante. Quando una subcultura è caratterizzata da un’opposizione sistematica alla cultura dominante, spesso ci si riferisce ad essa come controcultura, la quale, negli ultimi tempi, è difficile identificare a causa del fatto che uno stile un’idea è stata assorbita dalla cultura di massa per scopi commerciali. In sostanza con il termine subcultura volevo racchiudere un modo di vivere che caratterizza l’arte. Essere un’artista vuol dire esprimere la propria personalità attraverso un mezzo espressivo artistico, in un senso più stretto si definisce artista colui che crea opere che hanno una valenza creativa. L’arte è l’espressione più autentica della società in tutte le sue valenze sia positive che negative, è la testimonianza del disordine quanto dell’ordine, essa fa parte dello stato di fatto di una società; essa è destinata a rappresentare sia i limiti e le deformazioni, quanto le altezze estetiche e le armonie che una società è in grado di esprimere.

“Credo che un artista moderno debba occuparsi dei problemi della società” Di Hans Werner Henze. 1


Dal mio punto di vista l’artista è colui che vede più avanti degli altri, anticipando i media e immaginandosi il futuro per come sarà. Noi la chiamiamo controcultura perché non la conosciamo e questo ci spaventa e gli attribuiamo un’emozione negativa, si sa che all’uomo spaventa ciò che non conosce. Andare contro controcorrente , e quindi far parte di un sottoinsieme all’interno della nostra società, fa si che si creano i presupposti per una nuova tipologia di cultura , con nuove ideologie e nuovi modi di espressione. Penso che unire il concetto si subcultura con il modo espressivo dell’arte, sia una combinazione arcaica che, ha dato origine a ciò che noi chiamiamo presente. Non sono in molti che comprendono appieno i movimenti per lo più giovanili, soprattutto se manifestate sottoforma di espressione artistica, poche persone danno importanza all’artista e al modo di vedere la vita. La subcultura del nostro presente è il movimento artistico culturale del graffitismo o writing. È un’ aspetto dell’espressione artistica che, dalla fine del ‘900 fino agli anni 2000, fa uso dei muri delle città per esprimere la propria arte. Se prendiamo in considerazione la frase di Mc Luhan, il quale identificava l’artista come “precoci sistemi d’allarme”, si può identificare il movimento del graffitismo non più come atto vandalico ma bensì come forma anticipatoria di una società futura. Infatti è quello che sta accadendo negli ultimi decenni, questa manifestazione artistica tanto contestata sta entrano sempre più nel mondo commerciale dell’arte e della pubblicità, principale fonte di espressione. Questo tipo di arte è la più autentica rappresentazione del rumore della nostra civiltà,il graffitismo è il risultato del nominalismo esasperato che conferisce all’individuo ogni tipo di licenza. I graffiti, sparpagliati sui muri della nostra città, sottolineano il rumore mediale della nostra società. Ritornando al discorso della sotto cultura c’è da citare il teorico dei media e sociologo Dick Hebdige, il quale sostiene che una sottocultura è una sovversione alla normalità. Essa viene percepita come negativa a causa della sua natura di critiche per la società standard dominante; egli afferma che le sotto culture riuniscono le persone dalla mentalità simile che si sentono trascurati dalle norme della comunità e permette loro di sviluppare un senso di identità. Esistono dei modi per distinguere chi fa parte di una subcultura e sono: l’associazione con il territorio, il più delle volte per le strade ma si intende anche i club o i ritrovi, attraverso i loro movimenti fuori casa e in forme non domestiche di appartenenza a gruppi sociali diversi da quelli della famiglia, attraverso il loro rifiuto della banalità e della vita ordinaria. Tutto ciò mi fa pensare, questi elementi studiati dal sociologo Hebdige non appaiono gli stessi parametri di identificazione,sempre nei limiti, di un’artista? Non è dunque banale associare persone che appartengono a alla contro cultura agli artisti? I migliori artisti erano quelli che andavano controcorrente che disprezzavano la banalità del loro tempo e in qualche modo la volevano cambiare utilizzando la loro dote artistica.

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Se si procede nello studio del libro “subculture: il significato dello stile” di Dick Hebdige, si arriva a un punto in cui il sociologo associa lo studio della cultura con quello del simbolismo collegato al modo di rapportarsi con la società dominante. È normale per i membri delle subculture segnalare la loro adesione attraverso un uso simbolico e distintivo di stile, che comprende anche l’abilità dell’arte espressiva. La subcultura contemporanea viene adottata sempre più dalla cultura di massa per scopi commerciali. Le aziende spesso cercano di capitalizzare il fascino sovversivo delle sottoculture in cerca di una nuova “moda”, questo processo di appropriazione culturale spesso può causare la morte o l’evoluzione della subcultura, esercitando un flusso sostante di stili che potrebbero essere commercialmente adottati. Un altro punto importante è quello della concezione del mondo al quale quella cultura appartiene. I comportamento di un membro della sottocultura sono dati dall’inserimento di esso all’interno di uno scenario più ampio, che a quanto pare non apprezza.

“le ragioni per cui si aderisce a una subcultura siano da ricercare più nei ‘microambienti della vita quotidiana’ che non nelle grandi determinanti della vita sociale.” A. Sobrero: (Antropologia della città)

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Nella prima metà del secolo Gaetano Salverini scriveva:” La libertà significa il diritto di essere eretici, non conformisti di fronte alla cultura ufficiale e che la cultura , in quanto creatività, sconvolge la tradizione ufficiale.” Nella cultura come la nostra, che giustamente e sacrosantemente ha ormai da tempo eliminato la distinzione tra “alto” e “basso”, sarebbe impensabile non collocare il graffitismo nella categorie delle “arti”, sia pure quelle “ povere”. A ben vedere le così dette Belle Arti non cono mai state sempre belle e fin dall’antichità a rappresentarle non ci sono state soltanto le Muse e le Grazie, ma anche Medusa, Gorgone, le Graie. E le maschere sono sempre state mostruose. Cosa difficile da accettare, così come è stato a lungo difficile accettare ( e per molti lo è ancora) il fatto che un quadro ben dipinto o un pezzo di musica ben suonato possono essere brutti non ostate la fama dei loro autori. Da tempo però si è capito ( o per lo meno si è tentato di far capire) che un concerto rock e un concerto alla scala fanno parte di un medesimo sistema socio culturale e che il passato e il contemporaneo posso talvolta unirsi, basta pensare quanta tragedia greca sia inserita nelle cinematografie western. Per non parlare di quel magma che è la musica così detta popolare, di cui i graffiti sono cugini. Stessi impulsi, stessa brama, stesso tessuto cromatico, stessa discontinuità qualitativa,stessa volgarità. Ma sulla volgarità occorre aprire una parentesi. Il termine ha svariate eccezioni. Per quanto riguarda i graffiti e i murales si tratta quasi sempre di una sana sguaiataggine che può scendere o salire di tono a seconda della fantasie, della creatività e della perizia tecnica dell’autore. Una sguaiataggine che , al di là del fastidio per le molte errate collocazioni, non deve suscitare istinti censori. Mentre dovrebbero, ma non lo fanno, dovrebbero suscitare un sentimento di offesa se non al pudore ma almeno al buon gusto , ai tantissimi osceni messaggi della pubblicità. Soprattutto quella della moda. Ci si offende perché un muro viene sporcato da un graffito magari spiritoso, e non ci si offende perché muri vengono inondati da immagini di ragazzine debosciati. Un’indiretta conferma viene anche dal fatto che ormai una parte più avveduta( e meno volgare) di pubblicità appaia da qualche tempo mascherata sotto forma di graffiti o murales. Il che deve assolutamente scandalizzare, così come non deve scandalizzare il fatto che, sulle orme di Basquiat e Keith Haring i più dotati, o i più famosi, graffitari che abbiano visto aprirsi le porte di gallerie o istituzioni pubbliche.

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Quello che è certo, e che la lettura del fenomeno come danneggiamento o imbrattamento da parte di piccoli gruppi, è certamente riduttiva. Il writing ( ola Street art) non è una patologia del comportamento urbano, né un vizio di forma sulle nostre pareti. La definirei piuttosto una reazione. È una reazione allergica alla saturazione visiva dello spazio pubblico e all’intrusività della comunicazione commerciale. E come reazione , sembra essere commisurata alla causa e più che giustificabile. Gli innumerevoli tentativi di repressione del fenomeno nelle sue forme originali, evolute o affievolite , sono stati forse utili a reprimere i singoli casi , ma non l’idea di fondo. L’idea ciò che lo spazio cittadino sia uno spazio comune che debba essere interagibile e fruibile con tutti, in modo democratico. L’immagine delle nostre città è cambiata molto nei secoli, ma una cosa è certa: le città sono sporche e lo sono sempre state. Che l’inquinamento sia organico o chimico, olfattivo o visivo, questo si dipende dal periodo storico. Se ormai pochi si sognano di rovesciare le proprie deiezioni per le vie del centro, i bisogni indotti da Armani occupano gran parte della città senza che nessuno replichi il fatto. Ci lamentiamo forze di tanta sozzura, o la associamo alle magnifiche e progressive sorti della nostra crescita economica? Se accettiamo che il nostro spazio venga modificato in modo permanente dall’evolversi delle nostre necessità , dovremmo tollerare di buon grado le sue modificazioni anche quando sono causate e realizzate da fasce di popolazione che non producano fatturato . Le vane crociate della tinta unita mirano a un modello di città obsoleto , in cui è un potere centrale a determinare l’estetica per l’intera comunità, a pretendere un’omogeneazione che faccia spiccare i consigli per gli acquisti, a decidere che il grigio è bello a ogni costo . I cambiamenti sociali hanno in’effetto, inarrestabile, sullo spazio pubblico. Accettare questa semplice affermazioni farebbe risparmiare tempo e risorse alle nostre amministrazioni pubbliche e consentirebbe di apprezzare l fenomeno dell’arte urbana, in tutte le sue forme, un una prospettiva più coerente con lo spazio e con il periodo storico in cui viviamo.

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Il tema della realtà è un’ argomento ricorrente nel mondo dell’arte, pittori filosofi e intellettuali si sono cimentati nell’interpretazione di questo fattore, tanto a noi sconosciuto quanto essenziale per il nostro essere. Che sia del passato o del presente la realtà gioca un ruolo penetrante, che cambia il modo di vedere e comprendere l’arte. Come diceva Menna Filiberto, nel suo celebre libro”linea analitica dell’arte moderna, le figure e le icone”, l’arte contemporanea non è altro che un tentativo di appropriazione estetica globale della realtà, ciò significa che l’arte ha il solo scopo di interpretare la realtà del suo tempo,con l’esigenza di costruire in un sistema i propri mezzi espressivi, e attribuire loro un’autonomia specifica. l’arte è uno dei mezzi di comunicazione più potente che si nasconde dietro una funzione illusoria,diventando così una testimonianza storica, come il realismo, nato nei primi anni dell’800, aveva la necessità di rappresenta la realtà del suo tempo per raccontare la storia di quel secolo, era scappato dall’arte del secolo precedente, cioè il barocco Roccocò, che invece avevano lo scopo di mostrare la bellezza della realtà anche se fittizia, senza preoccuparsi del suo contesto storico. Se si nota l’andamento storico dell’arte europea, c’è un continuo ritornare e scappare dalla realtà. È quello che sta accadendo nel nostro presente con il pop surrealismo, che non è altro che una forma espressiva che si distacca dalla realtà per rappresentare una propria realtà quasi fantastica, legata al mondo dei sogni. Anche perché questa corrente, che nasce dalla cultura urbana, dai fumetti, dai manga, deriva da una società la quale è abituata alla finzione, una società che ha le fondamenta su un mondo illusorio creato da persone, che noi conosciamo come pubblicitari, che creano una sorte di mondo finalizzato a vendere o promuovere un prodotto. Come sosteneva il celebre pensatore Marc Augè, il quale pensava che il mondo era basato sull’abbondanza di immagini che ne deriva un’astrazione dello sguardo, immagini di attualità, di guerra, di pubblicità o di così detta tele-verità si mescolano e si sovrappongono senza sosta, in un confuso melange di reale e fittizio pur nella consapevolezza che si tratti di fatti reali. Egli , nel suo celebre trattato “la Guerre des rêves”,colpisce la vita sociale al punto da farci dubitare della realtà. Servizi televisivi assumono l’aspetto di finzione imitando il reale, idoli si formano su internet in un unico dialogo con gli interlocutori senza volto, queste nuove divisioni tra realtà è finzione influenza: l’immaginario individuale(sogni), l’immaginario collettivo(simboli dei miti) e opere di

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In questo libro Augè sottolinea la minaccia sulla vita sociale , la confusione su queste tre zone distinte della fantasia, determinando una cultura che definisce i confini specifici tra sogno e finzione, ma questo è ‘un altro argomento. Tornando al nostro tema c’è da citare Debord che nel 1967 fece una tragica profezia, descrivendo già allora la perdita di senso e di consistenza del reale in funzione di un immenso, straripante, eternamente debordante, vero e proprio “cattivo sogno della società moderna incatenata”, messo in scena in ogni aspetto della nostra vita quotidiana principalmente attraverso l’invadenza delle immagini. Un paesaggio chiuso in cui i punti di riferimento ci portano inevitabilmente verso il passato: falliti i sogni delle utopie urbanistiche moderne, ciò che appare oggi sono città contemporanee, sospese tra le necessità commerciali di costruisce tra chi vi agisce economicamente, e le frustrazioni di chi si trova invece ad abitarle. Il concetto di Debord rispecchia il pensiero di alienazione, già centrali nelle riflessioni di Karl Marx ma reinterpretati alla luce delle trasformazioni della società europea nel secondo dopoguerra. Lo sviluppo dell’economia nell’età contemporanea, con l’emergere dei nuovi fenomeni sociali del consumismo e della centralità dei mass media,favorisce l’alienazione dell’uomo, il quale viene allontanato dal libero sviluppo delle sue facoltà naturali creando una forma si assoggettamento psicologico in cui ogni singolo individuo è isolato dagli altri, ed esiste nella più totale passività. In sostanza citare personaggi come Augè o Debord fanno riflettere sulla frammentazione e sulla passività della società odierna, che istiga la rivendicazione dell’autonomia dell’esperienza individuale attraverso la creazioni di situazioni: momenti di aggregazioni ed esperienza artistica e culturale, grazie ai quali l’individuo può trovare la sua condizione di soggetto attivo nella società. Come fare a unificare una società ormai canalizzata nel proprio sistema, e fargli riscoprire l’arte la fantasia e l’emozione che ti suscita un’opera? Se non si può portare il pubblico nel contesto artistico, allora si porta l’arte nel contesto sociale. Lavorando nella strada, luogo “sociale” per eccellenza, si favorisce l’arricchimento culturale di un’ individuo ed è quello che fa la Street art, il così detto Graffitismo. Obbiettivo principale è quello di riempire i muri con opere provocanti, che hanno come unico scopo quello di strappare gli individui dall’indifferenza nei riguardi di un mondo che ci vede seduti ed infelici davanti ad i nostri computer, prigionieri all’interno di una società sempre più globalizzata e capitalista, che non esalta, ma al contrario, cerca di amalgamare le differenze; schiavi della violenza televisiva e dell’inquinamento ambientale.

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Negli ultimi anni, l’esperienza estetica è vissuta sotto il segno di due costanti: da un lato troviamo un’artista che si concentra in se stesso, riflettendo sui propri procedimenti e sulle funzioni mentali, e dall’altro lato, si porge sul mondo, penetra nello spazio e in qualche modo lo modifica. L’arte così detta contemporanea fornisce modelli alternativi di comportamento, si trasforma essa stessa in azione estetica e in evento vitale. L’oltre passare i confini è la tecnica utilizzata dall’artista, e i veicoli privilegiati sono il gesto e l’azione che porta ad esso. L’arista del XXII secolo pone la propria attenzione sui problemi del linguaggio e della specificità disciplinare nei corrispettivi campi operativi. Egli assume un atteggiamento analitico nei confronti dei procedimenti espressivi, spostando la propria attenzione da una prospettiva metalinguistica, considerando arte il momento stesso in cui fa concretamente dell’arte. In questa operazione analitica, l’artista incontra non poche difficoltà inerenti alla natura stessa del linguaggio, in quanto il procedimento comporta una sorta di scollamento tra il fare arte e fare il discorso sull’arte, ed è proprio questo punto che spiega bene l’atteggiamento dell’arte che si sta sviluppando in questi ultimi anni, un’arte pratica corporea di getto che da rilievo all’atto stesso di fare arte, senza pensare troppo a cosa fare ma farlo e basta. Il bello e che non pensandoci produce un forte interesse nei confronti del pubblico, perché è un’espressione artistica, fatta da persone per persone. Diciamo che lo spettatore e l’artista sono sullo stesso piano, non ci sono grandi paroloni che proclamano la bravura del creativo, ma sono le azioni di questo artista che fanno parlare di lui, e in un secondo luogo si viene a scoprire chi è. Ecco perché secondo me il pop surrealismo ha un grande impatto sulla gente, prende come soggetti cartoni animati che noi ricordiamo perché protagonisti del nostro passato, super eroi nei quali da piccoli ci immedesimavamo e li riporta in un contesto artistico, colloca questi personaggi davanti ai critici i quali sono obbligati a farla diventare arte. Alla gente piace ed attira perché adotta un linguaggio comprensibile ad ogni fascia d’età, e un metodo di rappresentazione simile alla street art, cioè diretto, accessibile a chi unque e comprensibile a tutti.

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Riprendendo il discorso sull’arte c’è da sottolineare una cosa: che essa è creata dall’intelletto umano il quale adotta determinate regole figurative e concettuali prese dal mondo in cui vive, cioè dalla cultura che lo circonda. Cosi dicendo si considera il fatto che l’intelletto umano prima di riflettere sul mondo deve riflettere su se stesso, il varco tra intelletto e realtà non è garantito a priori, così come non è garantito a priori tra linguaggio dell’arte e il mondo. L’impostazione analitica dell’arte moderna, o più nello specifico della low brow, rientra in un più vasto articolato e complesso culturale ed è attraversata dall’avventura strutturalistica del proprio secolo. Si ha l’esigenza di costruire in un sistema i propri mezzi espressivi, attribuendo loro una autonomia specifica, cosa ricorrente nel pop surrealismo, che nasce da una miscela multiculturale nella quale si mescolano i richiami al mondo ludico dell’infanzia, rientrando così in una realtà che riflette la complessità odierna. Il succo del discorso sta nel fatto che l’arte si sa che rispecchia il proprio contesto storico e le proprie sfumature culturali, che ha come punto di riferimento la concretezza reale della vita ma che quest’ultima ormai non ha più un ruolo rilevante come prima, si può supporre che il muro che delimitava il mondo della realtà con il mondo della finzione, ormai non esiste più: creando cosi un linguaggio espressivo che naviga nei sogni e nei ricordi.

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Per creare arte non si da più importanza ai metodi accademici ai significati complessi e intellettuali, ma si fa dell’arte pura e semplice fatta da persone per persone, non si realizzano più opere artistiche per committenti ricchi ma per persone comuni, si riesce a fare ciò perché si usa un contesto urbano e soggetti riconducibili alla propria infanzia o ai propri sogni. E sono questi elementi che secondo me danno un valore aggiuntivo all’arte di questo secolo, un arte che non ha limiti perché non li pone, un arte che viene a contatto con la gente che prende ispirazione dalla cultura e quindi dalle cose vere accessibili a tutti. Ormai non si fa più distinzione tra cultura, arte, pubblicità, marketing, vandalismo è tutto riducibile ad un’unica parola cioè arte contemporanea. Con il termine arte contemporanea voglio indicare tutto ciò che la società produce senza distinzione fra le cose, arte è pubblicità, la pubblicità può essere arte che può diventare vandalismo e che può essere pubblicità, tutto ciò è nella nostra cultura nella nostra società e siccome la società non è altro che il riflesso di ciò che noi siamo allora noi siamo tutto questo. Questa percezione di unificazione la sento molto forte, questa teoria è data da esperienze che ho vissuto. Ad esempio un giorno mi trovavo da mio nonno, un signore di 85 anni molto vitale ma sempre con la mentalità del suo tempo, gli feci vedere un’opera di Banksy precisamente quella della regina di Inghilterra seduta sopra un’altra donna, a lui piacque molto e rise una sacco a vedere quell’immagine così diretta, non ho dovuto spigargli nulla perché quell’immagine parlava da se la regina seduta su una donna con la gonna alzata. Questo mio piccolo esperimento sta ad indicare che quest’arte questa cultura sembra molto particolare e bizzarra, e lo è, ma d’altro canto è comprensibile perfino a mia nonno un uomo di 85 anni che non ha studiato, e non conosce nulla di arte. Secondo me se io facevo lo stesso esperimento con mio nonno ma al posto di un’opera di Bansky gli proponevo un quadro cubista o un quadro di Dalì, non avrebbero scaturito la stessa comprensione che invece ha prodotto lo stencil di Bansky. Questa immediatezza nei confronti di un pubblico così detto “popolare” deriva dalla popart, si pensi ad Andy Wharol con le sue Merylin soggetto conosciuto da tutti inserito in un contesto artistico, che ha scaturito un forte interesse ma soprattutto riconoscimento, perché viene apprezzato ciò che si conosce.

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“Dire che viviamo in un mondo di simboli è dir poco: in realtà, è un mondo di simboli a vivere in noi” (cit.Jean Chevalier) Etimologicamente la parola “simbolo” deriva dal latino e significa “insieme” cioè mettere insieme due parti distinte, e viene utilizzato per esprimere un concetto o un’idea in modo indiretto. Nelle arti visive il termine simbolismo indica comunemente un movimento artistico nato e sviluppatori in Francia a partire del 1880. Il simbolismo è il tratto caratteristico di importanti correnti artistiche del ‘900 quali il Surrealismo e la pittura metafisica, ma nella sua eccezione più generale, simbolismo definisce l’uso di elementi convenzionali con implicito significato allegorico per esprimere un concetto o un’idea in modo indiretto. Si può dire che tutta l’arte visiva sia un fenomeno simbolico, se essa unisce due significati lontani , o meglio sintonizza su un significato comune due individui distinti , l’artista e lo spettatore che comunicano empaticamente grazie al medium rappresentato dall’opera e dai suoi intrinseci significati simbolici. Per cui un segno, una forma, un’ oggetto possono far riferimento ad una realtà che non viene raccontata o svelata esplicitamente, ma resa comprensibile alla nostra capacità percettiva, al di fuori dei normali processi razionali. Alla base di questo concetto che esplica in modo chiaro il significato di simbolo io posso aggiungere che il simbolismo è una forma di protesta, un modo di esprimere un concetto in modo chiaro e diretto. Sono venuta a conoscenza di un’ articolo pubblicato nel 1975 da Pier Paolo Pasolini sul corriere della sera, il testo si intitolava “il vuoto del potere in Italia”, ma è oggi piuttosto conosciuto con il titolo di “L’articolo delle Lucciole”. In quell’articolo Pasolini coglieva nella progressiva scomparsa delle lucciole dalle città e campagne italiane un simbolo dell’omologazione culturale della modernità. Ai suoi occhi la lucciola rappresentava l’essere umano, e le sue parole rappresentavano l’alienazione crescente della società italiana. Alla base dell’articolo di Pasolini si può associare il simbolo della “Tag”,cioè di un breve messaggio che si trova sui muri della città, con il simbolo delle lucciole. In entrambi i casi si utilizza un’ immagine che rappresenta, appunto, simbolisticamente, la società.

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Come Pasolini vede nella scomparsa delle lucciole il simbolo della scomparsa di un’età dell’oro della società italiana, si può vedere nella comparsa del Tag e della Street art in generale il segno di una resistenza all’omologazione culturale delle nostre società che parte dal basso. Il Tag , i graffiti e la Street art in generale hanno da sempre rappresentato un segno visivo di questa “intelligenza del presente”, per meglio dire, una forma di resistenza silenziosa ma invadente, nei confronti del deludente status contemporaneo. La forza della Street art è tale che anche il graffito più scontato acquista un valore sovversivo agli occhi del passante qualunque , perché produce immagini che non si arrendono. Ma oggi , mentre assistiamo alla moltiplicazione di forme artistiche che si richiamano alla Street art ed alla definitiva consacrazione di quest’ultima da parte del Mainstream, cioè una forma d’arte di tendenza, dall’altra parte viene a mancare interesse verso questa arte considerata ancora come atto vandalico, forse per la totale mancanza verso l’apprendimento del significato di queste immagini. Ritornando al discorso di simbolo c’è da delineare la natura del simbolo, il simbolo può essere individuale o collettivo: il primo è un simbolo che potremmo definire “autobiografico”; in quanto sintetizza e richiama una storia umana, il simbolo collettivo, invece, è un simbolo che sta per una credenza, fede o passione condivisa da più individui. Si pensi alla cultura pop moderna che ci circonda, l’arte ormai è simbolo. Prende come soggetti simboli esistenti e li riporta sui lavori proprio per suscitare riconoscimento da parte dello spettatore, si pensi a Ron English e al suo uomo del Mc Donald obeso, li ha utilizzato un simbolo collettivo(il pagliaccio di Mc Donald) e lo ha reso obeso, per mandare un messaggio a chi come lui è contro la multinazionale, oppure esistono writer che creano un simbolo individuale da inserire in un contesto urbano che di conseguenza cambia in simbolo collettivo perché riconosciuto. Si pensi all’artista Shepard Fairey, nome d’arte Obey, che ha realizzato un proprio simbolo, prendendo il volto di Andre the Giant, un famoso lottatore di wrestling francese, inserendolo nelle vie delle città ha dato vita al riconoscimento di quel volto nei confronti dell’artista. I due esempi che ho riportato producono determinati messaggi perché inseriti in un determinato contesto, infatti il simbolo è strettamente legato al luogo in cui si trova: si pensi al triangolo in una chiesa cristiana è considerato simbolo della trinità, mentre sulla lavagna di una scuola è una semplice figura geometrica. Stesso ragionamento con il volto di Andre the Giant, se inserito in una scuola di wrestling sta a onorare la notorietà e la bravura del lottatore, in un contesto urbano viene associato alla produzione di un’artista di strada. La scelta da parte degli artisti contemporanei di utilizzare un “simbolo” è dovuta alla capacità di quest’ultimo di sintetizzare messaggi e di comunicarli con immediatezza. Il simbolo è strumento di richiamo identitario. Alla base di quanto ho appena detto c’è da porsi una domanda importante, il perché si vuole lasciare un segno o un simbolo che può essere riconducibile a un’ individuo?

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La risposta è data dalla situazione sociale e culturale nella società odierna; la personificazione causata dallo spazio urbano ha come ovvia contro reazione la necessità di distinguersi, di spiccare tra la folla di individui anonimi e identici. Scrivere il proprio nome è un modo forte per affermare la propria presenza e la propria personalità, in più di un modo. Ci si distingue da quelli che non scrivono, diventando parte di un’ elite underground. Ci si distingue tra i propri pari, con dimensioni più grandi, scrivendo di più, più spesso, in punti più pericolosi. La perdita di identità individuale è data dallo sfasamento temporale dovuto a una urbanizzazione, anche se in Europa è arrivato in modo più tardivo rispetto a New York dove il boom dei graffiti è arrivato negli anni ’70. Il boom della televisione, la necessità di “fama” inserita dai mass media, ne derivano la trasformazione della fama in necessità- la Street fame garantita dal writing rappresenta una via d’uscita dall’anonimato, è la via d’accesso per la celebrità prima di tutto tra gli altri writer e poi presso il grande pubblico degli utenti della città, forzati a subire questa forma d’espressione (esattamente come sono costretti a subirsi la pubblicità). A Milano verso la metà degli ani ’90 alcune firme hanno iniziato diventare di colpo leggibili da tutti, in stampatello: l’aspirazione a una fama più generalizzata doveva concretizzarsi per forza nella città della moda e dell’advertising. È stata una piccola rivoluzione, non semplicemente stilistica. È un cambiamento di approccio, un’apertura al pubblico che avrebbe cambiato senza possibilità il background urbano. La spaccatura tra gli stili di writing, il wildstyle di stampo New York contro lo stile più semplice e leggibile, è l’unico vero conflitto stilistico all’interno del movimento: le origini contro la novità, l’ermetismo contro una apertura al pubblico, la focalizzazione sulla qualità contro quella del numero di firme . la ripetizione ossessiva di un marchio leggibile è ispirata evidentemente alle tecniche di diffusione del’advertising, alla promozione di un brand che deve rimanere nella memoria. L’ipocrisia di chi si scaglia contro i graffiti, mentre al contempo impone i propri messaggi pubblicitari in dimensione abnorme, ben semplifica l’atteggiamento della città nei confronti del fenomeno. Una doppiezza dominata da logiche economiche, per cui lo sporco e l’occupazione dello spazio pubblico sono accettate e tollerate solo in nome del denaro, come testimoniano le innumerevoli campagne di Street art marketing che negli ultimi anni hanno riempito le città. Ritornando al discorso della necessità di distinguersi nella società odierna c’è da aggiungere che l’utilizzo delle firme rappresentano un percorso stilistico, esprimono molte delle caratteristiche di un writer e spesso ne rispecchiano la personalità, per così dire, artistica. Per molti writer è importante scrivere “bene”, per alcuni è molto importante scrivere tanto. Spesso all’inizio si scrivere per farsi conoscere, riempire le città di tag è la via più veloce per raggiungere la Street fame.

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Le limitazioni date dalle lettere scelte e dalla leggibilità del gesto, rendono la realizzazione di una firma qualcosa di difficoltoso, che richiede uno studio e una preparazione adeguati. Ogni nome ha uno stile, talvolta caratteristico, spesso richiama o cita lo stile di altri: la forma particolare di alcune lettere si diffonde , viene copiata , assorbita , digerita e nel tempo sfuma. Si tratta di un’opera continua di lettering, di produzione e realizzazione di nuovi caratteri, rigorosamente hand-made, e insieme una gara per la notorietà in cui lo stile non conta mene della quantità. Ogni singola firma è frutto di una ricerca stilistica , è un’opera realizzata in condizioni estreme, in una frazione di minuto in cui il tempo resta sospeso e tutti i sensi sono tesi allo spasimo, in cui la tensione per la realizzazione calligrafica, il controllo del respiro e del tratto devono essere bilanciati con l’attenzione al mondo esterno. Le firme sono graffiti, riassumono in’intera cultura in pochi tratti di spray : la ricerca e l’azione, lo stile di fama, l’occupazione dello spazio pubblico, l’estetica e il vandalismo. Se qualcuno si fosse chiesto il perché di tante firme in giro la risposta è semplice: non esiste. O almeno, non c’è n’è solo una: ogni writer che scrive la propria firma sui muri da una motivazione differente dovuta anche alla propria esperienza. Le firme i bombing non sono il fine sono un mezzo, sono delle scatole che contengono il messaggio o un’insieme di messaggi, un mix di motivazioni. Non possiamo e non sembra utile compilare un elenco di motivi( che vanno dal bisogno di sentirsi diversi a quello di omogeneizzare al gruppo di writer, dal bisogno di riscossa al marketing di se stesso). Le cause finali sono diverse, come lo sono i writer che occupano l’intero spettro che dal puro vandalismo alla pura arte. Se qualcosa li accomuna e solo la scelta delle lettere come veicolo per esprimere il proprio messaggio. Qualunque esso sia: le lettere sono u N limite forte, sono la regola del gioco, circoscrivono la comunità e escludono il resto. Rendono il risultato in qualche modo omogeneo.

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Non c’è da meravigliarsi che l’arte contemporanea da sempre più spazio a forme alternative di espressione,d’altro canto non è la prima volta che accade Basquiat e Harring sono ormai storicizzati ma essi hanno dato il via all’utilizzo dello stile underground nell’arte. Il mondo artistico che ci circonda è sempre più caratterizzato dalla rielaborazione della street art, che aveva come punto di forza il contesto urbano; oggi giorno il contesto è cambiato come anche i mezzi ma si tratta semplicemente di un’evoluzione di questo mondo. Il Pop Surrealismo può definirsi il l’insieme della cultura underground e l’abilità tecnica data dal’utilizzo dei computer, portando il tutto in un contesto artistico che viene esposto al museo e quindi viene inserito in tutti i suoi meccanismi. La nuova pittura figurativa che si affaccia sulla ribalta internazionale dell’inizio degli anni novanta si distingue sensibilmente da quella dei due decenni precedenti. Manifesto di quella che sarà una fenomenale ondata di nuove proposte artistiche è la conosciutissima copertina dell’album Dangerous che il pop surrealista Mark Ryden illustra su commissione di Michael Jackson nel 1991; un’opera che segna la conclusione dell’arte del novecento e apre uno scenario del nuovo millenio. Questa opera non è altro che la metafora della società occidentale odierna. In essa un certo barocchismo esuberante nei dettagli e nei sensi, che fu preannunciato da Arthur Rimbaud che nella sua poesia cancella i tradizionali legami logici che per secoli avevano regolato la struttura della poesia, una poesia che non è più solamente un mezzo di comunicazione ma ha il compito di evocare un mondo fantastico. Nel suo insieme l’opera simboleggia la consacrazione dei nuovi miti pop come divinità del mondo contemporaneo. Segna il momento della nascita di moderne icone e idoli fantasiosi . in un momento storico in cui vengono a mancare le ideologie politiche e religiose, delle vere figure da leader, si aspira a religioni sostitutive per evadere dal principio di realtà. Si ricorre sempre più frequentemente a un’ immaginario forte e a forme simboliche contemporanee che acquistano un’importanza fondamentale nella società globalizzata. Ed ecco che questi artisti offrono una vasta visuale si sogni, agli incubi e alle fantasie che rispecchiano il passaggio di un’epoca. Questa corrente di pittura innovativa , carica di racconti pop e di folclore , trova un terreno fertilissimo soprattutto nella West Cost degli stati uniti, patria della Walt Disney e dei film di fantascienza, oltre che fabbrica efficiente dei cartoon.

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Con l’avvio degli anni novanta gli illustratori cominciano a conquistare la scena e ad entrare nelle esposizioni collettive di gallerie prestigiose, dotati di grande abilità pittorica, e talento ingegnoso, essi creano opere capaci di comunicare con tutti , offrendo un’esperienza estetica multipla. Questi artisti applicano un linguaggio visivo che attinge di continuo al mondo della televisione, realizzando il loro micro mondo servendosi di una gamma cromatica vastissima dando vita a figure e personaggi che discendono direttamente dai cartoni animati, dai manga e dai comics. In realtà questi nuovi pittori sono straordinari osservatori del mondo contemporaneo che impiegano una pittura eloquente e potente per veicolare i loro messaggi. Si tratta di messaggi importanti, di verità oscure: mediante immagini apparentemente leggere e spiritose sanno esprimere con forte immediatezza i disagi e le polemiche sociali della post modernità.

C’è chi lo identifica con una rivincita della pittura figurativa su astrattismo e arte concettuale, chi con una rivalsa delle arti minori su quelle accademiche, chi come una vendetta delle subculture. Sembra insomma che il Pop surrealismo si sia affacciato al sistema dell’arte contemporanea come un vendicatore mascherato. È stato il pittore Robert Williams a coniare il termine LowBrow Art (arte di basso profilo) e lo ha sbandierato con orgoglio fin dagli anni ’70 , fiero delle sue radici underground. Da ragazzo aveva trasformato il suo garage in un laboratorio in cui si creavano automobili da design e delle decorazioni mostruose e bizzarre, lavorando con materiali di scarto. Nel 1994 nasce a San Francisco la rivista Juxtapoz, fondata dallo stesso Williams , con questa rivista il movimento trova uno strumento di diffusione attraversi il quale mostrare al mondo la propria ricerca. Pin-ups anni ’50 sembrano strizzare l’occhio a provocanti lolite, odierne rivali di una Alice gotica che saltella su scenari ispirati a Bosh e ai suoi strani animali , con buffi ominidi e innocui demoni che padroneggiano il paesaggio. Atmosfere paradossali in cui si muovono sinuose

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presenze che talvolta rimandano alle inquietudini visionarie di fil di David Lynch. Il Pop surrealismo è l’incontro di svariate culture come la Street art, la Pop art, la Tatoo art, l’illustrazione più bizzarra, il mondo dei manga: in sintesi, tutto ciò che nasce dal territorio e da sotto culture che si nutrono di video game, di musica indie punk e hip hop. “Lowbrow” è l’esatta contrapposizione di “Highbrow” termine usato come sinonimo di alto spessore culturale riferito alla letteratura , alla musica ed alla cinematografia come alle arti in genere. Il termine coniato identifica una corrente artistica che nasce dai bassi fondi della realtà di quartiere,che lotta contro un sistema d’elite che sta via via andando in decadenza; Low brow e Pop surrealismo abbandonano i canoni informali e minimalisti per tornare ad un nuovo e splendido elemento figurativo ricco di contenuti moderni. È un’arte di forte impatto e di immediata leggibilità che per anni è stata sistematicamente evitata dalla critica e quindi inserita dal sistema artistico, i lavori che fanno parte di questa corrente si estraniano totalmente dal lavoro delle gallerie ufficiali. Gli artisti lavorano nella condizione sfavorevole di essere ignorati dal pubblico, questo fattore però gli permette di esprimersi in totale libertà utilizzando per auto prodursi la commercializzazione della propria arte attraverso gadget e editoria. Nascono così gallerie specifiche e un mercato parallelo a quello dominante, ma nell’ultimo periodo questa corrente artistica si è fatta sentire grazie all’utilizzo di internet e quindi alla velocità con cui viaggiano le immagini. I riferimenti stilistici di questi artisti vanno dalla capacità di stilizzazione dell’antica arte orientale al Rinascimento transalpino di Bosch e Bruegel ricco di mostruose simbologie, dal mondo della satira di Daumier a quello del fumetto underground, dei cartoon e dell’illustrazione editoriale, dall’Arte Pop di Warhol alla sintesi necessaria del segno di Haring, fino al Writing. Personalmente ritengo che la Lowbrow Art sia piuttosto rimasta vincolata alle tematiche che hanno influenzato la corrente alla sua nascita, e che pop surrealista sia l’attitudine a rappresentare un immaginario e una realtà che hanno a che fare con inconscio e preconscio più che con lo stato cosciente. È un errore ridurre al figurativo la portata del fenomeno facendogli perdere le conquiste duramente guadagnate solo per farlo ammettere nel sistema dell’arte. Mentre il Surrealismo di Dalì, Ernst e del movimento fondato da André Breton nel 1924 a Parigi proiettava dall’inconscio personale immagini oniriche, sensazioni e moti dell’anima, il Pop Surrealismo si rende più comprensibile servendosi di icone e immagini affermate nell’inconscio collettivo. Nel riprodurre figure antropomorfe attraenti quanto inquietanti guarda alla dimenticata parentela dell’umano con gli animali, nell’interpretare una natura reale o inventata riprende malinconicamente i nostri bisogni e istinti animali, si rivolge a sentimento e immaginazione schivando il filtro della ragione e dipinge l’impossibile con perizia di particolari, simboli o tratti infantili, utilizzando immaginari che fin dalla notte dei tempi rientrano nella sfera del fantastico. È dunque un’arte capace di rappresentare con estrema lucidità la sovrapposizione tra fiction e realtà che vive l’Occidente in questi anni, ritraendo con visionario realismo la percezione alterata che ha di sé e della realtà l’individuo contemporaneo. E ciò basterebbe

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Il termine Art brut nasce da una definizione di Jean Dubuffet nel 1947, assieme ad Andrè Breton il termine definisce l’attività creativa di artisti che creano senza intenzioni estetiche, per una personale pulsione emotiva caratterizzata da una comunicazione immediata e sintetica di grande efficacia pur nella banalità dell’esecuzione. Non esistono più convenzioni formali, ciò che predomina è il puro istinto, un linguaggio primitivo caratterizzato da uno stile semplificato, infantile, irrazionale,quello dei bambini degli ignoranti dei malati di mente. Il risultato è una pittura di grande originalità di forme , di modi espressivi, di tecniche, di materiali, di assemblaggi, dove il colore viene sommariamente trattato, con libertà ed esuberanza, le linee sono casuali ed elementari, i soggetti enigmatici, talvolta indecifrabili, nel nome della più assoluta spontaneità e immediatezza. Entro questo ambito troviamo le prime forme di graffitismo, lo stesso Dubuffet realizza un vasto ciclo di lavori( “Mires” e “Nonlieux”), producendo un graffitismo urbano tutto sommato raffinato, con notevoli valenze estetiche che ne fanno inevitabilmente l’espressione ricercata di un’arte di frontiera. L’art Brut (Arte grezza), che prenderà il nome oltreoceano di Outsider art, vuole affermare che la capacità espressiva è una caratteristica potenzialmente presente in qualsiasi persona, indipendentemente dalla sua cultura anzi la parola liberà espressiva fa da padrone al concetto base di questa forma d’arte, che si distacca dalle regole accademiche, non viene sottomessa dalle leggi del mercato non deve rispondere a nessuno non deve compiacere nessuno. Lo stesso Dubuffet definisce l’Arte Brut come “ L’arte che si ignora, che non conosce il proprio nome, prodotta dall’ebbrezza creativa senza alcuna destinazione” , egli raccoglie disegni di bambini , di malati di mente, di emarginati, ricercando i rapporti ed analogie con la pittura arcaica ed i graffiti dei popoli primitivi, dando vita ad una collezione che oggi è inclusa nel museo “dell’Art Brut” in svizzera. Essendo in realtà Jean Dubuffet un uomo molto colto , di raffinata sensibilità, è evidente una sua posizione di tipo intellettualistico, tesa alla ricerca di un nuovo linguaggi libero da ogni tipo acquisizione intellettuale , concentrato sulla creazione artistica e non già sul prodotto artistico, sull’atto dell’fare e non sul manufatto. Egli stesso sperimenta nuovi possibili linguaggi , e per sottrarsi alla concettualità del disegno la forma grafica più pura e più lontana dalla materia, si avvicina appunto al graffitismo, dove la forza del segno e la violenza dell’azione meglio esprimono l’impulsività del creativo. Si proclama la più assoluta libertà dell’espressione, in qualche modo si codifica un linguaggio che finirà per avere inevitabilmente caratteristiche proprie , non estranea alla politiche surrealiste, o alla aggressività dell’espressionismo, perché Art brut è un’ estetica del

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Si parte dagli anni ‘ 60 con la nascita della cultura pop, fenomeno che influenzò il campo artistico musicale scegliendo un linguaggio universale e accessibile a tutti; si continua con un viaggio nell’arte psichedelica esplosa negli anni ’70, per arrivare al periodo della Street culture, cioè a quella cultura di strada che è stata il terreno fertile per i graffittisti degli anni ’80 che diedero vita alla Street art. Facciamo un passo in dietro alla pop art che è stata la corrente artistica che ha portato alla nascita di questa forma di cultura urbana. La cultura Pop è nata grazie alla ribellione da parte di alcuni artisti nei confronti del clima instauratosi negli anni ’50, una cultura informale e d’èlite; ben presto questi artisti si accorsero che la società stava cambiando, che si caratterizzava sempre più come società di massa dominata dai tratti positivi e ottimistici del consumismo. Ed è proprio l’incontro tra arte e cultura dei mass-media che nacque la Pop Art. La sua nascita avviene negli Stati Uniti intorno alla metà degli anni’50 con le prime ricerche di Robert Raushenberg; ma la sua esplosione avviene soprattutto nel decennio degli anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione con la Biennale di Venezia nel 1964. I maggiori rappresentanti di questa tendenza sono tutti artisti americani, in ciò si definisce anche una componente fondamentale di questo stile: essa appare decisamente il frutto della società e della cultura americana. Cultura largamente dominata dall’immagine, un’ immagine che proviene dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dal paesaggio urbano largamente dominato dai grandi cartelloni pubblicitari. La Pop Art ricicla ,in una pittura che rifà in maniera fredda ed impersonale, le immagini proposte dai mass-media. Si va dalle bandiere americane di Jasper Jhons alle bottoglie di Coca-Cola di Warhol. Dai fumetti di Lichtenstein alle locandine cinematografiche di Rosenquist. La Pop art documenta quindi in maniera precisa la cultura popolare americana ( da qui quindi il suo nome, dove pop sta per popolare), trasferendo in icone le immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai mass-media. L’apparente indifferenza per le qualità formali dei soggetti proposti, così come il procedimento di pescare tra oggetti che apparivano non estetici, ha indotto molti critici a considerare la pop art come una specie di nuovo dadaismo. Se ciò può apparire in parte plausibile, diverso è il fine a cui giunge la pop art, in essa infatti è assente qualsiasi intento dissacratorio, ironico o di denuncia.

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Il più grosso pregio della Pop Art rimane invece quello di documentare, senza paura di sporcarsi le mani, i cambiamenti dei valori indotti nella società e dal consumismo. Quei cambiamenti che consistono in una preferenza per valori legati al consumo di beni materiali e alla proiezione degli ideali comuni sui valori dell’immagine, intesa in questo caso soprattutto come apparenza. E in ciò testimoniano nei nuovi idoli o miti in cui le masse popolari tendono ad identificarsi. Miti ovviamente creati dalla pubblicità e dai mass-media che proiettano sulle masse più bisogni indotti, e non primari, per trasformali in consumatori sempre più avidi di beni materiali. In sostanza un quadro di Warhol che ripete l’ossessiva immagine di una bottiglia di Coca-Cola ci testimonia come quell’oggetto sia ormai diventato un referente più importante, rispetto ad altri valori interiori o spirituali, per giungere a quella condizione esistenziale che i mass media propagano come vincente nella società contemporanea Se si parla di Pop art non si può non parlare di Andy Warhol. Un personaggio eccentrico che ha cambiato il modo di vedere un’opera d’arte, ora non sto qui a parlare della sua carriera ma mi interessa in particolar modo la sua riproducibilità tecnica. E’ una concezione diffusa che Andy Warhol, artista considerato apatico, indifferente e passivo, influisse in misura molto limitata sulle sue stesse opere: si è spesso ritenuto che le sue opere fossero state eseguite da altri che si servivano di idee e soggetti neppure da lui inventati. Egli ha iniziato a utilizzare molte tecniche artistiche per poi raggiungere il suo stile. L’opera generata da Warhol era “doppiamente distante dalla fonte, una prima volta tramite la fotografia e la seconda tramite il ricalco e la stampa. Il processo di massa che sarà per

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Andy la vera scoperta della sua arte è che Walter Benjamin chiarirà nel suo magistrale trattato “ L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”.In questo saggio, Benjamin sostiene che l’introduzione, all’inizio del XX secolo, di nuove tecniche per produrre, riprodurre e diffondere, a livello di massa, opere d’arte ha radicalmente cambiato l’atteggiamento verso l’arte sia degli artisti sia del pubblico. Secondo Benjamin, tecniche quali il cinema, il fonografo o la fotografia invalidano la concezione tradizionale di “autenticità” dell’opera d’arte. Infatti, tali nuove tecniche permettono un tipo di fruizione nella quale perde di senso il distinguere tra fruizione dell’originale e fruizione di una copia. Ad esempio, mentre per un quadro di epoca rinascimentale non è la stessa cosa guardare l’originale o guardarne una copia realizzata da un altro artista.In forza di ciò, si realizza il fenomeno che Benjamin chiama la “perdita dell’aura” dell’opera d’arte. L’aura, secondo Benjamin, era una sorta di sensazione, di carattere mistico o religioso in senso lato, suscitata nello spettatore dalla presenza materiale dell’esemplare originale di un’opera d’arte. Questo concetto, che viene adottato da Benjamin nel settore cinematografico, lo si può adottare nella pop art e soprattutto nell’opera di Warhol. Il concetto della perdita dell’aura è un concetto che caratterizza la società moderna ma soprattutto l’arte moderna. La cultura di massa ha fato si, che l’aura delle opere d’arti svanisse per puntare sulla notorietà di quest’ultima, ed è un po’ la tecnica che ha utilizzato la pop art riuscendo nel suo intento. Siccome la Street art, come ho detto in precedenza, nasce in una cultura di massa che non valorizza il singolo, si adotta la ripetitività per farsi conoscere e apprezzare, oppure no, dalla gente. Ecco perché la pop art ha avuto, dal mio punto di vista, una forte influenza per la Street art o Graffittismo, perché ha buttato le basi concettuali e tecniche per far si che questa nuova forma d’arte diventasse tale.

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urban medium Quando agli inizi degli anni novanta il mondo dei graffiti è uscito allo scoperto è stato subito chiaro che l’unica maniera con la quale i media affrontavano il tema era catalogandolo come vero e proprio vandalismo. Senza nessuna scusante o eccezione. Questo ha fatto in modo che con il passare degli anni l’opinione pubblica non cogliesse la vera natura , l’essenza del fenomeno. Gli stessi media hanno poi censurato chiunque avesse una visione delle cose differente:coloro che pensavano che la Street art e i graffiti non fossero solo atti vandalici, chiunque reclamasse più spazi pubblici,meno cartelloni pubblicitari e più libertà per esprimersi in maniera spontanea e creativa. Chiunque sentisse l’esigenza di abbellire le nostre città e di migliorarne l’aspetto rilanciando la cultura del sociale. Un fattor dominante per questa forma espressiva è internet, che ha permesso attraverso la documentazione di pezzi illegali di far conoscere e celebrare gli artisti che promuovono alla diffusione di questa forma artistica. Con il passare degli anni si inizia a notare i primi cambiamenti .case d’asta, gallerie e musei si interessano al fenomeno , ne documentano i vari aspetti e promuovono artisti provenienti dalla strada insieme a quelli più “istituzionali”. Tutto ciò ci fa capire come si sta evolvendo il panorama legato all’arte di strada, potremmo addirittura parlare di “fine art”, cioè tutta quell’arte sviluppata principalmente con scopi estetici e distinti dalla utilità. soltanto guardando altri paesi , tuttavia, s’intuisce quanto stia crescendo il valore e il riconoscimento ai protagonisti di questo fenomeno. Non dimentichiamo ce i graffiti cono apparsi per la prima volta alla fine degli anni ’70 a New York, alcune delle opere attuali dimostrano che stiamo assistendo alla consacrazione di un nuovo movimento artistico. Mal grato le nostre città continuano ad essere coperte da scarabocchi,si sta finalmente marcando la differenza tra arte e imbrattamento,tra chi vuole solo provocare e sporcare e l’artista che vuole comunicare e anche abbellire . Molte amministrazioni comunali si sono adoperate per affrontare il tema partendo da basi costruttive e idee nuove. l’amministrazione di Barack Obama, per esempio , ha creato un team di esperti in tema di graffiti per iniziare una campagna di legalizzazione. A New York è stato realizzato un murales di 60 metri all’aria aperta che ha suscitato la reazioni positive di tutti i media della città. Anche in Italia si sta negli ultimi tempi affrontando il tema in modo serio, e dopo anni di sterile polemica e molte esposizioni mediocri , finalmente sembra essere iniziata un’epoca di dialogo costruttivo e da eventi curati da specialisti. Sta avvenendo tutto ciò perché Le scritte murali, i graffiti, i segni, sono ormai divenute pratiche semio –linguistiche ed il Writing rappre-

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senta, per i giovani di tutto il mondo, il mezzo più idoneo per veicolare i propri messaggi,il più delle volte cifrati, per manifestare la propria creatività, le proprie opinioni, le proteste, l’identità e l’appartenenza ad un gruppo, assumendo un significato anche simbolico. La tecnica del graffito nasce in California, a Los Angeles, dove era pratica diffusa tra i lustrascarpe della città apporre una sigla sul muro della propria zona di lavoro, per evitare l’occupazione dello spazio da parte si altri concorrenti. Le gang cominciarono successivamente a dipingere il proprio nome su muri delimitati, come dimostrazione di controllo sul territorio nel confronto di gang rivali. Ben presto si diffuse questa tecnica di delimitazione del territorio fino ad arrivare a New York dove, per la prima volta, un Writer firmò la sua opera grafica con il proprio nome , senza associarlo a quello di una gang di appartenenza, dimostrando così la propria autonomia in questa attività che fino ad allora era associato ad un atto puramente vandalico, da allora invece le cose iniziarono a cambiare conferendole le caratteristiche di volontario e individuale prodotto artistico, non più di semplice sigle identificativa. Mentre la creatività che sta alla base dell’opera si avvicina sempre più a una condizione spontanea si esplosione energetica quasi biologica, i writers tracciano la propria firma sui muri, ama anche sulle fiancate delle carrozze dei treni e delle metro,dapprima utilizzando un solo colore poi aggiungendo 3 colori e lo sfondo fino a raggiungere un livello grafico complesso caratterizzato da molteplici stili. Il graffitismo americano è, per molti aspetti, collegabile alla Pop Art, ed insieme rappresentano due vicende dell’arte contemporanea non facilmente “liquidabili”, vista la vivacità del dibattito che coinvolge questi due movimenti, le avanguardie del ‘900 hanno portato la nascita di questi due movimenti. Negli anni ottanta, contaminandosi profondamente con la musica ma non solo, anche con la moda e con la pubblicità, l’Aereosol Art dilaga nel mondo in concomitanza con il diffondersi del movimento Hip Hop, di cui rappresenta l’espressione visiva, ed è un fenomeno tutt’oggi in evoluzione. È interessante notare come certi atteggiamenti dell’uomo si ripresentano in epoche e luoghi lontani, senza apparenti relazioni, quasi che una comune cultura universale tocchi trasversalmente tutta l’umanità. La pratica di apporre segni sui muri ha radici antichissime, parte da quando, sulle pareti di una caverna circa 20.000 anni fa, una mano primitiva disegnò con una fanghiglia color ocra rudimentali figure di bisonti , uomini e cervi, la più antica testimonianza pittografica che ci sia pervenuta. Lo sviluppo della concettualità, l’origine del pensiero religioso e spirituale, l’evoluzione della cultura hanno avuto inizio quando l’uomo ha liberato la sua creatività e, con strumenti umili e semplici, ha inciso le pareti rupestri della sua caverna, affrescando le mura di chiese e palazzi continuando, ancora oggi, a dipingere facciate di condomini, scritti in una lingua figura di cui a volte ignoriamo la chiave di lettura, che però trova la strada per giungere la nostra mente. L’utilizzo poi delle lettere alfabetiche per ottenere risultati estetici più propriamente consoni al disegno libero, tipico, come abbiamo visto,

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del fenomeno del writing, di origine occidentale ed anzi americana, ha curiosi richiami con una pratica diffusa nella civiltà islamica. La religione islamica, che segue norme iconoclaste, vieta categoricamente l’uso della decorazione figurativa, così che, nel caso in cui necessiti un abbellimento o un ornamento, l’essenza e la complessità della rappresentazione vengono espresse mediante ornamentazioni geometriche, intrecci e sequenze ripetitive di decori ad espressione fondamentale simbolica, complessi e tormentati “ghirigori”, disegni geometrici stilizzati, insomma tutto quello che l’occidente ha descritto con il termine “arabesco”: tuttavia, tra le varie tipologie di ornamento, la forma calligrafica risulta predominante. In oriente, l’ideogramma costituisce di per sé, prima che un mezzo per esprimere un concetto, un’opera d’arte grafica che sottostà a precisi concetti estetici, tanto da aver dato origine ad una vera e propria arte. È quindi molto antico l’uso di lettere in chiave decorativa, riscoperto dai writers americani in un’epoca recente ad ascolto della moderna cultura visiva come espressione di un patrimonio culturale comune a tutta l’umanità. Caratteristica fondamentale del graffitismo è stata quella di produrre un’arte fuori dagli schemi e realmente rivoluzionaria, con la peculiarità di essere un’arte non vendibile(essendo realizzata su supporti quali i vagoni ferroviari o le pareti urbane) e quindi anomala, sottratta al diffuso strapotere delle leggi del mercato, tipiche di un sistema economico che a suo piacimento crea, crea celebra e distrugge singoli artisti e correnti. In secondo luogo, un’altra caratteristica peculiare è quella di aver

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instaurato un dialogo diretto tra l’artista ed il pubblico, coinvolto anche a suo malgrado, in manifestazioni visive di creatività spontanea, al di fuori degli ambienti canonici di musei o gallerie ed escludendo i normali canali di diffusione dell’arte, critici, mercanti e collezionisti, anche se , in molti casi, il sistema dell’arte, con le sue lusinghe economiche, ha finito per assorbire il significato di questo rito metropolitano, privilegiando gli esiti e le espressioni individuali di alcuni artisti, trascinandoli nelle gallerie e nei musei e in qualche modo decretando la parabola artistica del fenomeno, o per lo meno, compromettendola irrimediabilmente.

poetica La poetica iniziale del gruppo di pittori statunitensi, che hanno dato origine alla Graffiti Art, nasce dalla consuetudine, da parte di questi giovani, di disseminare scritte e immagini sui muri della città, valorizzando così l’arredo urbano, ispirati dalla Pop Art, al fumetto. Queste “decorazioni urbane” erano integrate con scritte di protesta ed elementi di identificazione etnica segno di degrado di aree troppo spesso abbandonate al proprio destino. Queste scritte erano il mezzo migliore per diffondere le proprie opinioni e proteste, la propria identità sociale o l’appartenenza ad un gruppo, assumendo anche un significato simbolico. La Graffiti Art rappresenta e vuole rappresentare un’arte rivoluzionaria e fuori dagli schemi tradizionali, e ci riesce benissimo anche per la sua caratteristica unica di non essere un’arte commerciale perché realizzata su supporti quali vagoni ferroviari o pareti urbane e quindi liberata dal dominio incontrastato del sistema dell’arte. Altra caratteristica, non di minor importanza, è quella della sua veloce e diretta mediazione con il pubblico che viene coinvolto anche in questo caso, attraverso canali non consoni all’arte quali musei. Un’arte di reazione ed opposizione ad una società che crea distinzioni sociali e che emargina i quartieri poveri, un’arte che si esprime sia per far prendere coscienza del fenomeno della emarginazione sociale, che spetta di diritto a qualsiasi persona umana che vive in questo mondo. Questa forma di ribellione si espande anche verso l’arte stessa, perché fenomeno d’espressione della società da cui ha origine. A differenza dei suoi precursori, le creazioni di Haring nascono in studio e non per le strade e si realizzano unicamente su carta, supporto favorito anche per quanto riguarda le sue prime esperienze elaborate nell’ambito della pittura aperta e negli ambienti pubblici, questo perché obbiettivo dell’artista era quello di lavorare su cartelloni pubblicitari . L’inclinazione di Haring, di esprimersi in un contesto pubblico non nasce da un’esigenza di ribellione o di una brutale appropriazione di uno spazio cittadino, come nel caso delle gang di quartiere, perché Haring non cerca l’anonimato ma la popolarità, evitando qualsiasi confronto con gli altri artisti ed elaborando uno stile e una poetica del tutto personale e facilmente riconoscibile. La sua predilezione per uno spazio pubblico dalla meditazione dell’arte di Christo. Inoltre , la scelta di lavorare sui cartelloni pubblicitari , trasforma il significato stesso dello spazio propagandistico, che diventa così uno spazio di auto propaganda e di diffusione di messaggi chiaramente diversi rispetto a quelli che solitamente contengono.

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in una società in cui il messaggio culturale è quello di basare la propria esperienza su stili di vita che ti danno la fama per 15 minuti. Il nostro subconscio riceve miglia glia di messaggi pubblicitari al giorno, e attraverso questa dieta quotidiana di propaganda che si forma la nostra mente. Il desiderio di fare un segno su questo mondo ci porta a interessanti innovazioni, soprattutto in arte e nel design. Tecniche nuove associate alla parola arte creano il mondo dei graffiti che non sono altro che il sottoprodotto di una società inondata dalla pubblicità. Si può pensare che il mondo dei graffiti sia il risultato diretto della pubblicità, ma questo è un’ argomento molto complesso che nasce dal fatto che la pubblicità gioca un ruolo importante nella formazione di un individuo contemporaneo, ed è attraverso l’educazione che ci fornisce la pubblicità che noi vediamo il mondo e giudichiamo gli altri. I media, utilizzando una vasta gamma d stereotipi, studia il modo migliore per operare nella nostra psiche dando così un’educazione collettiva eliminando l’individualismo. La pubblicità ha fatto molta strada dai metodi arcaici di attrazione. Sono lontani i tempi in cui la pubblicità era basata su fatti reali, mentre ora si è passati alla estetizzazione delle merci, e di conseguenza un mondo in cui la promessa fatta crea un consumatore nevrotico ossessivo compulsivo. Gradualmente, nel corso dei decenni, fertili menti creative hanno gravitato verso l’industria della pubblicità, rendendosi conto che nella pubblicità si trova un’arte della comunicazione, e che essa può generare un sostanzioso guadagno. Annunci diventano molto di più di una semplice pubblicità, esse incorporano arte di ogni genere di gusti, con forti significati culturali che evocano certe emozioni nello spettatore. C’è da considerare il fatto che il target che interessa maggiormente ai pubblicitari, è quella dei bambini o meglio adolescenti, perché risulta che assorbono meglio le informazioni, e sono ottimi consumatori. Il perché sono così vulnerabili è dato dal fatto che nell’età adolescenziale si è alla ricerca di un’identità da inserire nella società moderna, e si sa che le agenzie pubblicitarie vendono stili di vita e identità individuali presi dalla cultura popolare. Una delle ipotesi emerse dal lavoro strategico, è che la pubblicità dovrebbe lavorare sulla necessità dell’individuo di esporre se stesso assumendo stili di vita e valori che confermano il suo essere. In questo caso la merce come le bombolette spray, anche se tale prodotto non è un grande portatore di ricchezze, viene associato a uno stile di vita fatto di ribellione che rende il prodotto molto commerciale.

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Val la pena a questo punto stabilire le linee di demarcazione che separano i vari termini utilizzati per descrivere i graffiti. Aereosol art e graffiti sembrano essere due termini diffusi tuttavia, hanno due significati differenti. L’aereosol art si configura come una tecnica pittorica aereo grafica spesso associata ala produzione di graffiti writing i quali invece si differenziano perché considerati come artisti scrittori che creano opere illegali. In seguito si è aggiunto il termine di Street art, che però si riferisce per lo più al mondo degli stencil, sticker. Come la pubblicità anche i graffiti contano sulla quantità di copertura o di penetrazione, insieme naturalmente alla qualità della fornitura, è facile vedere come queste due entità sono così simili. Come loghi commerciali perdono la loro lucentezza e le città iniziano a guardare la stessa cosa, segnali stradali graffiti e loghi diventano un simbolo di individualità, che rispettino l’impulso dell’uomo di lasciare una traccia nel mondo. La tua “Tag”, cioè un sopranome scelto come firma dai writers, prende una vita propria, diventa qualcosa di separato qualcosa ce essendo davanti agli occhi dell’opinione pubblica viene anche osservato. Il desiderio di lasciare una propria traccia nella città di porta a volere la fama e la notorietà, aumentando l’autostima con amici ma soprattutto con persone che non ti conoscono. La pubblicità ha giocato un fattore decisivo per la formazione di graffiti in due modi principali. Ideologicamente esso si manifesta in forma di fama, la concorrenza tra una grande varietà di writers e artisti che lottano per il rispetto in forma di capitale della sotto cultura. L’influenza di “altri” è la manifestazione visiva della società attraverso la parola e l’immagine creano un fattore visivo dominante nella società moderna. Il desiderio di notorietà e di fama produce una sorta di bombardamento nelle strade cittadine della propria tag, e questo metodo non è

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altro che quello utilizzato nel settore pubblicitario. In fin dei conti Areosol art, i graffiti e la Street art sono una manifestazione del proprio essere che vuole dire “io ci sono” in questo mondo capitalista che elimina l’individualismo, è una sorta di pubblicità di se stessi con il proprio stile si crea una vera a propria campagna pubblicitaria. “i graffiti spesso prendono in prestito l’estetica della segnaletica e il gergo di campagne pubblicitarie. Le lettere delle insegne, lo stile cavernicolo delle scritte nelle caverne, le luci al neon sono solo alcuni segni della città che hanno influenzato il lettering dei graffiti” ( cit. Tristan Manco, 2004) Come illustrato in precedenza, questa è una manifestazione della dimensione visiva dei graffiti. Allo stesso modo, in un ciclo in cui è difficile distinguere l’arte imita la vita o viceversa, si vedeva l’evoluzione della pubblicità in in un mondo in cui gli stili di vita sono contrassegnati da delle march, mentre allo stesso tempo, ha visto i graffiti muoversi verso il riconoscimento attraverso il lettering urbano. In sostanza si può discutere sul fatto che i graffiti e la pubblicità giocano la stessa partita di pallone, unica differenza è il campionato. La pubblicità punta ad un’ immediato profitto economico, puntando ad esporre il prodotto in modo accattivante, e fare in modo che molte persone sono consapevoli del prodotto. Il graffitismo è uno strumento utilizzato da persone con il loro programma, tuttavia non include il profitto come suo obbiettivo. L’ordine principale di un artista di graffiti è l’esposizione per mezzo di tecniche di guerriglia. Questi artisti puntano come obbiettivo quello di trasmettere il proprio messaggio. Il processo di risveglio da parte del pubblico nei confronti del mondo del graffitismo è stato molto lento, ma ora come ora si può dire che questa forma di testimonianza personale viene accettata da tutti in modo positivo. I graffiti hanno impiegato molti anni prima di essere accettati, questa fertilizzazione culturale può essere considerata come un processo che comporta un continuo dare e avere da entrambe le entità, un processo che espande il significato dei simboli.

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I muri sono, da sempre, luogo d’elezione della propaganda politica. Non sorprende che la Street art commenti, critichi o incoraggi l’agenda politica. È successo più volte in passato, sia in Italia che all’estero, dai murales politici alle frasi di protesta nell’Italia degli anni di piombo. Nella campagna elettorale americana è stata utilizzata l’arte in modo diverso. La promozione delle pratiche artistiche e il supporto al National Endowmwnt for the Arts ( il fondo statunitense che, a livello federale, promuove le arti figurative e lo spettacolo) sono stati i primi punti della campagna elettorale di Barack Obama: forse è proprio questa posizione, insieme al resto del programma di quello che si presenta come homo novus della politica americana, che ha suscitato l’azione e l’impegno politico da parte di molti artisti. La Street art costituisce un medium innovativo per la propaganda, in grado forse di attirare l’attenzione più dei manifesti elettorali tradizionali. Artisti come Ron english il quale ha ritratto Abrahm Obama, un mash-up tra il volto di Abramo Lincoln e quello del candidato democratico, o come il ritratto di Obama realizzato da Shepard “Obey the Giant” Farey, probabilmente uno degli Street artist più noti al mondo, che ha realizzato una stampa a tiratura limitata, prodotta in tre versioni (Hope, certamente la più famosa, Progress e Change). Il poster di Obey è stato ripreso dalla campagna ufficiale di Obama, ha fatto il giro del mondo, egli è consapevole del potere comunicativo del proprio lavoro e ha dichiarato, in un’ intervista, di aver colmato Consapevolmente un gap, cioè uno spazio che intercorre fra due cose discontinue, di immagini nella comunicazione di Obama. La prova della viralità dei poster di Shepard Fairey( come sempre, incollati in moltissime città americane, illegalmente, in luoghi visibilissimi e in formato gigante) è la quantità di remix che hanno fatto seguito al ritratto, ormai diventato un’icona quasi al pari del ritratto del Che eseguito da Alberto Korda. Di sicuro questo ritratto , anche grazie ai molti imitatori, ha avuto un ruolo molto importante per la campagna presidenziale statunitense, dando unità al messaggio politico e contribuendo alla creazione del consenso; ma lo stesso Obey avverte: “Non votate Obama solo perché vi piacciono i miei poster. Leggete il suo programma prima di votarlo.”. Il timore è che la Street art, ormai onnipresente e multi utilizzata in ambito commerciale politico, possa ridursi a essere esclusivamente l’ennesima forma di advertising e diventare così comune da non essere nemmeno notata, perdere insomma tutto il suo vigore e risulta-

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re indistinguibile dalle affissioni pubblicitarie che critica. D’altra parte, dopo Andy Warhol, è sempre più difficile distinguere tra arte, propaganda e pubblicità, e probabilmente questi confini si fanno sempre meno interessanti.

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Il termine “Street art” indica quelle forme d’espressione artistica che sono sviluppate e diffuse negli spazi urbani. Gli autori si servono dell’intera città per manifestare la propria creatività, trasformando gli edifici e gli oggetti stradali in supporti per le loro opere. Il risultato di questa ricerca formale è uno stile che si diversifica con disegni, installazioni, adesivi.. coinvolgendo attivamente l’ambiente in cui si manifesta. Una creazione originale può valorizzare un mediocre angolo della città, le opere possono essere criticate o apprezzate ma in ogni caso i passanti rimangono sorpresi dalle modifiche del paesaggio urbano. La qualità estetica della Street art non risolvono tuttavia il problema dell’illegalità del fenomeno,che viene spesso paragonato ad atti di vandalismo. Gli autori occupano le superfici pubbliche private senza alcuna autorizzazione, commettendo in questo modo dei reati penali. Le città sono riempite da innumerevoli segni comunicativi (scritte,disegni,simboli), di cui solo una minima parte può essere considerata come vera arte. La situazione è quindi confusa ed è difficile trovare un parere oggettivo sul concetto di Street art, portando spesso alla tensione con gli organi istituzionali, che generalizzano il fenomeno e tentano di arginarlo. Anche se ostacolati, gli artisti urbani non hanno smesso di esprimere il proprio talento nelle strade di tutto il mondo e la continua evoluzione ha permesso di sperimentare tecniche e forme stilistiche fra le più innovative degli ultimi decenni. La libertà creativa è decontestualizzata rispetto ai tradizionali ambienti accademici, come le gallerie d’arte e gli studi professionali, per creare un contatto più intimo fra l’autore, la città ed i suoi abitanti. La Street art è il veicolo principale per esprimere liberamente messaggi alternativi, ideologie o forme di protesta sociale: il suo scopo non è quindi economico, ma essenzialmente comunicativo. D’altra parte, il mercato dell’arte ha capito l’importanza commerciale della Street Art e tenta di sfruttarla per i propri guadagni finanziari. Personaggi stravaganti della Street culture come l’inglese Bansky, hanno ormai lasciato il segno nell’immaginario visivo contemporaneo, diventando autori di fama internazionale. Le creazioni di Bansky sono ricercate dai maggiori critici di tutto il mondo e vendute all’asta per cifre da capogiro (spesso senza nessun accordo con lo stesso artista, che da anni rimane nell’anonimato).

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La Street art è un ottimo mezzo di comunicazione, dalle qualità peculiari: può contare su differenti metodi di espressione ed è in grado di stringere un forte legame fra il messaggio ed il territorio in cui è inserito. I brand hanno quindi assimilato il linguaggio urbano, per sviluppare campagne di Guerrilla marketing ispirate proprio all’arte di strada. Lo Stickering è sicuramente la forma più sfruttata nel Guerrilla aziendale, grazie ai bassi costi di riproduzione ed alla facile diffusione in serie. È sufficiente creare un logo peculiare o un messaggio curioso, realizzarne numerose copie e riempire la città incollando gli adesivi. I passanti notano il simbolo pubblicitario ed attraverso la sua ripetizione nei luoghi più imprevisti, imparano a distinguerlo dalle altre marche, ne parlano e si interessano alla sua immagine. Il valore commerciale può essere ottenuto se i consumatori riconoscono il brand urbano all’interno del punto vendita, lo apprezzano e quindi ne considerano l’acquisto. La strategia ruota attorno all’abitudine visiva, creando l’impressione di un’icona onnipresente nell’ambiente cittadino, diffusa perchè di moda o per un suo valore stilistico. Un altro sistema è quello di inserire sugli stickers un indirizzo internet, a cui l’utente attratto può fare visita, per approfondire meglio la conoscenza dei prodotti offerti. Il posizionamento del guerrilla è analizzato secondo parametri precisi, tenendo in considerazione i punti d’incontro dei gruppi sociali più influenti. Rimangono i dubbi per l’effettiva dimostrazione della praticità del prodotto, difficile da comunicare attraverso un semplice adesivo. L’unica eccezione è quella di una qualità estetica, legata alla stessa immagine utilizzata sullo stickers. Un celebre esempio di Guerrilla Marketing ispirato al fenomeno dello stickering è quello di A-Style. Nel 2000, Marco Bruns, un ragazzo milanese, ha ideato un logo peculiare, una lettera A maiuscola, che associata a 2 pallini dà l’impressione di un atto sessuale. Il ragazzo ha cominciato a stamparne degli adesivi, da regalare ad amici e parenti, inizialmente senza nessuna intenzione commerciale. Lo sticker A-Style è stato così diffuso per le strade di Milano, attaccato in modo spiritoso su auto, semafori e pali della luce. Il logo ambiguo ha presto attirato la curiosità dei passanti e l’autore ha deciso di aumentarne la produzione: con una spesa di circa 70 euro, ha stampato migliaia di adesivi e grazie all’aiuto degli amici, ha incollato il marchio per le maggiori città italiane. Tenendo conto dell’apprezzamento del pubblico, Bruns ha creato una serie di magliette, con la stampa A-Style e le ha proposte ad alcuni negozi di Milano. Da quel momento il mercato del brand è cresciuto esponenzialmente, i consumatori che hanno apprezzato lo stile degli Stickers sono diventati clienti della linea d’abbigliamento ed oggi Marco Bruns è a capo di un’azienda con un fatturato di oltre 15 milioni di euro. Tenendo conto del caso A-Style, la Street Art Guerrilla sembrerebbe essere un sistema vincente: un basso costo di diffusione ed un alto potere di contatto con il pubblico. In realtà la situazione del mercato è molto più complessa. Lo spazio disponibile per la diffusione degli adesivi e degli stencil, è ormai completamente saturo. Le città sono stracolme di questo tipo di messaggi, suddivisi fra interventi di vera Street art e quelli a scopo promozionale. Ogni angolo di strada è sovraffollato da simboli di ogni genere e si è perduto completamente il

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valore peculiare del mezzo comunicativo. Gli adesivi non attirano più l’attenzione dei passanti, perché ce ne sono troppi: si è creato un ambiente confusionario, senza nessun valore pubblicitario (anche se nell’insieme la massa di adesivi mantiene un certo fascino visivo). Le aziende hanno abusato del metodo di Guerrilla Stickers a causa della sua economicità, non considerando le conseguenze di un sovraccarico comunicativo. Nello sfruttamento esagerato degli adesivi, i brand hanno dimenticato l’importanza della peculiarità nell’azione di guerrilla, senza seguire l’insegnamento dei veri artisti di strada: essere originali e creare uno stile personale. Rimangono altre forme espressive della Street art, che possono essere sfruttate dalle aziende per sviluppare un messaggio pubblicitario, ma con diversi problemi strutturali.La scelta dei graffiti o degli stencils è forse quella più pericolosa, per le possibili ripercussioni penali dell’azione, considerata come un atto vandalico dalle istituzioni. Un artista di strada può rimanere nell’ombra e colpire senza essere scoperto, ma una campagna di guerrilla deve promuovere un prodotto riconoscibile. Come vedremo nel case study di PSP, questa forma di Guerrilla Graffiti non è consigliabile per uno scopo pubblicitario, ottenendo risultati negativi piuttosto che un’influenza positiva. Le installazioni tridimensionali potrebbero essere un buon metodo per incuriosire i consumatori, senza pesanti ripercussioni giudiziarie. In questo caso la necessità di mostrare la praticità del prodotto, riconduce tuttavia la street installation ad essere considerata come una forma di Guer-

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Bibliografia Poma Marco, (2010), “L’arte serena dell’inganno mediale”, La compagnia della stampa. Ganz Nicholas, (2006), “Graffiti world”, L’ippocampo Menna Filiberto, (2001), “Linea analitica dell’arte moderna”, Einaudi. Kolger Julie, Calcara Giorgio. (2010), “Apocalypse now”, Silvana Editoriale, Milano. Augé Marc, (1997), “La guerre des rêves”, Seuil, Parigi. Debord Guy, (2008), “La società dello spettacolo”, Dalai Editore. Conrad Jay Levinson, (1989), “Guerriglia marketing”, Mariner Books. Chevalier Jean, (1999), “ Il dizionario dei simboli”, Rizzoli. Pasolini Pier Paolo, (1975), “ Il vuoto del potere in Italia”, articolo di giornale. Gallino Luciano, (2006), “ Dizionario di sociologia”, Utet. McLuhan Marshall, (2008), “Gli strumenti del comunicare”, Il saggiatore. Hebdige Dick, (1979), “ Subculture: the meaning of style”, Manco Tristan, (2010), “ Pop up”, Panini Franco Cosimo. Mininno Alessando, (2006), “ Street virus book” Benjamin Walter, (2000), “ L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, Einaudi.



Desidero innanzitutto ringraziare il Professor Diego Ruggeri per i preziosi insegnamenti durante il primo anno di studi universitari e le per le numerose ore dedicate alla mia tesi. Inoltre, ringrazio sentitamente Emanuele Sangalli che è stato sempre disponibili a dirimere i miei dubbi durante la stesura di questo lavoro. Intendo poi ringraziare Arianna pagani, amica e fotografa, che mi ha assistito nella realizzazion del video e delle fotografie inserite nella mia tesi. ringrazio mio padre per la sua bravura manuale, artifice della realizzazione del pupazzo di pezza protagonista della mia tesi. ringrazio mia mamma per essere stata vicina ogni momento durante questi anni di lavro.ringrazio tutta la mia famiglia che mi ha appoggiato e che ha creato in me dandomi la forza di raggiungere l’obbiettivo prefissato. ed infine, ma non meno importanti, ringrazio tutti i miei amici che mi sono stati vicino.

Grazie Priscilla Fois





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