33 mxc domenica 13 ore 21 trio debussy

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ore 21

Torino Chiesa della Madonna di Loreto

Trio Debussy Saint-Saëns Fauré Ravel

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LA MUSICA È ASSICURATA


Camille Saint-Saëns (1835-1921) Trio con pianoforte n. 1 in fa maggiore op. 18 Allegro vivace Andante Scherzo. Presto Allegro Gabriel Fauré (1845-1924) Trio in re minore op. 120 Allegro ma non troppo Andantino Allegro vivo Maurice Ravel (1875-1937) Trio in la minore Modéré Pantoum. Assez vif Passacaille. Très large Final. Animé Trio Debussy Piergiorgio Rosso, violino Francesca Gosio, violoncello Antonio Valentino, pianoforte

Il serioso Saint-Saëns, la cui opera è un singolare mix classico-romantico, il raffinato Fauré che di Saint-Saëns fu l’allievo prediletto e il geniale Ravel a sua volta il più dotato e insigne discepolo di Fauré: quasi ideale “staffetta” entro la musica cameristica francese di fine Ottocento inizio Novecento. Tre musicisti e tre opere pur dissimili, quelle in programma, di grande impatto emotivo e innegabile valore, esemplificative dell’evoluzione, specie sotto il profilo linguistico e massimamente armonico, della musica francese. Al

1863 risale il Trio op. 18, frutto giovanile di un Saint-Säens in stato di grazia, laddove Fauré settantottenne condusse a termine il suo stupendo Trio nel 1923 lavorandovi sia a Parigi sia ad Annecy-le-Vieux (a propiziarne la genesi il fedele editore Durand), mentre il capolavoro raveliano è addirittura antecedente, dacché precede di poco lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Con l’op. 18 ci troviamo dinanzi al suo primo Trio con pianoforte: Saint-Saëns ne scriverà un secondo nel 1892, a distanza di un trentennio. Pianista provetto ed eccellente organista, all’epoca già insegnava all’École Niedermeyer ed era titolare all’organo della Madeleine. Tra i motivi ispiratori di tale Trio ci sarebbe un periodo di vacanza nei Pirenei. Se nell’Allegro iniziale, incandescente e lussureggiante, si ammirano in egual misura charme, cordiale esuberanza e scorrevole fluidità ritmica, ma anche certe rarefatte delicatezze, ecco che l’Andante s’impone per un suo specialissimo colore: con quel mesto bordone di ascendenza vagamente folklorica, vistosamente montagnard, quasi a evocare una ghironda. Al suo interno un dolce elemento melodico emerge per bellezza e intensità. Poi ecco il tono rustico e bonario di un sonante Scherzo venato di ironia coi suoi energici pizzicati e l’impagabile verve che lo percorre. Da ultimo un sereno Allegro in bilico tra naïveté, soave grazia e già scaltrita capacità di maneggiare con sicurezza ed equilibrio i bei temi squadernati con naturalezza invidiabile, giù giù sino all’assertiva joie de vivre delle ultime misure. E dire che il buon Camille contava appena ventotto anni. Chapeau. Quanto a Fauré, il Trio op. 120 venne eseguito per la prima volta il 12 maggio 1923 alla Société Nationale dal trio Krettly-Sanzévitch-Patte. Una formazione di lusso, quella costituita dai ben più illustri Casals, Thibaud e Cortot lo condusse al successo di lì a poco, nel mese di giugno. Pressoché rispettoso della forma-sonata, il luminoso primo tempo s’inaugura con una limpida linea melodica del violoncello di cui s’impadronisce poi il violino mentre è il pianoforte a far intendere lo scherzoso e ondeggiante secondo tema. Fitti spunti dialogici nello sviluppo, dove i temi paiono rigenerare costantemente se stessi, conducono alla ripresa abbreviata. Adagiato nella serena tonalità di fa maggiore, l’Andantino centrale, vero e proprio fulcro espressivo del Trio, presenta una melodia di straordinaria bellezza dal sapore armonico vagamente modale: uno di quei temi pressoché indimenticabili, capaci di far presa anche sull’ascoltatore più refrattario, il cui lirismo richiama alla mente sia il pianistico Notturno n. 6 sia i movimenti centrali dei due Quartetti con pianoforte. Un’irresistibile felicità (sorprendente se si pone mente all’età dell’autore e alla sordità ormai cronica, ragionevole causa della sua ultima, melanconica stagione) si sprigiona infine nell’effervescente Allegro vivo, brillante e magnificamente raggiante: il cui brio non concede tregua, coinvolgendo fin dall’apparizione dell’incisivo tema iniziale dalle inflessioni quasi popolaresche. A dir poco un capolavoro di genuina freschezza. È con singolare entusiasmo che Ravel compose il Trio tra la primavera e l’estate del 1914 nella quiete dei luoghi natali. Alla prima esecuzione (28 gennaio 1915) provvidero Alfredo Casella, il violinista Gabriel Willaume e il violoncellista Louis Feuillard, in un concerto parigino della Société Musicale Indépendante. I temi di ampio respiro e le opulente sonorità esaltano l’individualità timbrica di ogni strumento fin dall’impalpabile tema di

canzone popolare basca dal cullante andamento che avvia l’ampio Modéré. A questa prodigiosa idea scaturita dal mondo dei sogni altre ne succedono, appartenenti anch’esse al regno di fiabe e incantesimi; così il secondo tema che ricorda la Pavane de la Belle au bois dormant. Esasperati contrasti e una fantomatica figura al grave fanno lievitare il movimento che va infine dileguando su deboli rintocchi. L’Assez vif «è il movimento dell’agilità e dell’eleganza» (Enzo Restagno). «Un virtuosismo sorridente, con effluvi che si sprigionano nella serrata contestura ritmica», domina l’abbagliante pagina impregnata di esotismo, collocata in funzione di Scherzo. Ravel l’intitola Pantoum in riferimento a un genere di declamazione della cultura malese desunta dall’opera di Gautier e Baudelaire. Tre temi ne costituiscono la nervatura: acuminato il primo, sentimentale il successivo, quasi conturbante danza dalla scrittura volta a suggerire una chitarra, mentre il terzo è una metamorfosi del primo, a valori ampi. Poi la febbrile chiusa in cui Ravel sciorina uno sfolgorio di baluginanti sonorità. Un senso di austera gravità promana dal Très large prossimo all’Adagio del Concerto in sol. Dalle brume emerge una lenta melodia espandendosi in un clima di solenne arcaismo accentuato da armonie modali. Per contro il festoso Final si apre con il polverio di un’ipnotica figurazione e pare di sentir «risuonare quel fruscio degli archi che sortiva l’effetto di smaterializzazione nel primo dei Poèmes de Mallarmé». Poi un grazioso spunto di danza, un tripudio di turbolente sonorità e il pianoforte che intona «un peana trionfale intorno al quale gli archi piroettano», avviando a conclusione uno dei vertici dell’arte raveliana nel segno di un’euforizzante brillantezza. Attilio Piovano Costituito nel 1989 in seno al Conservatorio di Torino, il Trio Debussy è attualmente il più longevo trio italiano e uno dei rari trii a “tempo pieno” nel panorama della musica da camera internazionale. Il suo repertorio comprende più di 170 opere da Mozart ai giorni nostri, 30 delle quali sono state scritte appositamente per il Trio ed eseguite in prima assoluta. Ha al suo attivo centinaia di concerti nelle più importanti società concertistiche italiane ed estere; da sempre attento e curioso verso nuovi progetti ha creato nel 2005 il Festival “Tra Futuro & Passato” nel quale il pubblico ha potuto ascoltare nuove opere contemporanee e repertori classici sapientemente accostati. Numerose sono le collaborazioni con realtà musicali di estrazione differente: in quest’ottica si segnalano quelle con il fisarmonicista Massimo Pitzianti, con il gruppo Manomanouche (con l’uscita di un cd nel 2009) e recentemente con Paolo Conte, che ha scritto alcune opere in occasione del ventennale del Trio Debussy, festeggiato con una serie di 5 concerti all’Unione Musicale di Torino. Dal 2010/2011 collabora con l’Unione Musicale alla realizzazione del progetto Atelier Giovani, nel corso del quale ha eseguito, affiancato da giovani musicisti, l’integrale da camera di Brahms e Mozart. Nella stagione 2012/2013 oltre all’integrale da camera di Schubert ha iniziato un progetto di esplorazione della musica da camera francese tra Ottocento e Novecento riscoprendo opere desuete. È appena uscito l’ultimo cd con due tra i più grandi capolavori del repertorio per trio, l’opera 100 di Schubert (in edizione integrale) e il Trio di Ravel.


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