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Torino Piccolo Regio Giacomo Puccini

Alexander Gadjiev pianoforte

Lunedì 14.IX.2015 ore 17

Beethoven Chopin Stravinskij

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Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata n. 7 in re maggiore op. 10 n. 3 Presto Largo e mesto Minuetto. Allegro Rondò. Allegro

Fryderyk Chopin (1810-1849) Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 35 Grave – Doppio movimento Scherzo Marcia funebre. Lento Finale. Presto

Igor Stravinskij (1882-1971) Trois mouvements de Petruška trascritti per pianoforte dall’autore Danse russe (Danza russa) Chez Petruška (Nella cella di Petruška) La semaine grasse (La fiera dell’ultimo giorno di Carnevale)

Alexander Gadjiev, pianoforte

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Nel novembre del 1792, Beethoven si trasferì a Vienna per perfezionare i suoi studi e per dare un nuovo corso alla sua carriera. Il musicista, allora poco più che ventenne, cercò di farsi largo sull’illustre ribalta musicale della città con una serie di lavori estroversi, adatti ad essere eseguiti in società, come minuetti e danze tedesche o variazioni su melodie favorite. Accanto a queste pagine disimpegnate, Beethoven iniziò a far conoscere la sua personalità artistica attraverso la pubblicazione di composizioni destinate a un ascolto più riflessivo, come le Sonate per pianoforte. Nelle tre Sonate dell’op. 10 completate nel 1798, l’identità del musicista era forse messa troppo in risalto per gli ascoltatori del tempo; infatti, il giornalista della prestigiosa rivista «Allgemeine Musikalische Zeitung» le giudicò eccessivamente originali e osservò che molte idee belle e interessanti erano accostate in modo sconcertante, in particolare nella Sonata n. 3. La composizione prende avvio con un Presto dal carattere virtuosistico; le battute iniziali, con la loro brillantezza e le pause dall’effetto teatrale, sembrano anticipare l’Allegro vivace e con brio del “Trio degli spiriti” che Beethoven completerà nel 1808. Un’altra caratteristica in comune tra la Sonata e il Trio è il forte contrasto tra primo e secondo movimento. Il Largo e mesto è una pagina talmente cupa e desolata da aver spinto molti biografi a cercare un evento nella vita dell’autore che giustificasse tanta mestizia, senza peraltro riuscire a trovarlo. Dopo gli ultimi singhiozzi della coda del secondo movimento, il Minuetto si pone come una dolce consolazione, che raggiunge un tono quasi umoristico nel Trio centrale. Tale stato d’animo ritorna, amplificandosi, nel Rondò, che esordisce con un motivo interrogativo di tre note; è una domanda che non trova risposta e che domina tutto il movimento alternandosi a episodi contraddistinti dalla grande vivacità. Ogni anno Fryderyk Chopin dedicava i mesi invernali ai concerti e alle lezioni private e quelli estivi alla composizione; tra le pagine più interessanti che scrisse nell’estate del 1837 c’è una marcia funebre. Per quasi due anni il musicista lasciò riposare questo lavoro fra i suoi appunti, finché un giorno decise di costruirvi intorno quella che sarebbe stata la sua Sonata n. 2. La marcia divenne allora l’astro oscuro intorno a cui gravitavano tre movimenti contraddistinti dall’insistente ricorrenza delle tonalità minori. Già le battute introduttive del Grave insinuano un’atmosfera tragica; dopo un episodio iniziale agitato, che vede il drammatico alternarsi di piani e forti, sorge una melodia tenera e malinconica, di cui, nella sezione centrale, torneranno solo alcuni brandelli che si ricomporranno nella conclusione. Lo Scherzo è un movimento impetuoso che racchiude al suo interno un valzer dolcissimo: anche la Marcia Funebre custodirà nella parte centrale un tesoro simile. Il senso opprimente di questa marcia non è solo dovuto al celebre tema, ma soprattutto all’incedere ostinato, implacabile che l’accompagna e che si arresta solo per il timido 4


affacciarsi di una melodia evanescente, sostenuta da note arpeggiate. Un ascoltatore attento come Robert Schumann trovava che questo movimento contenesse qualcosa di ripugnante, ma era l’infaticabile rincorrersi di terzine che costituisce il Finale a destare in lui le maggiori perplessità: «Quello che appare nell’ultimo tempo sotto il nome di Finale è simile a un’ironia piuttosto che a una musica qualsiasi. Eppure, bisogna confessarlo, anche in questo pezzo senza melodia e senza gioia soffia uno strano, orribile spirito che annienterebbe con un pesantissimo pugno qualunque cosa volesse ribellarsi a lui, cosicché ascoltiamo come affascinati e senza protestare sino alla fine, ma anche, però, senza lodare: poiché questa non è musica. Così la Sonata finisce come ha cominciato, enigmaticamente, simile a una sfinge dall’ironico sorriso». Per tutto l’Ottocento, e ancora agli inizi del Novecento, le trascrizioni per pianoforte di opere liriche e lavori sinfonici godevano di un grandissimo successo presso gli amatori, perché permettevano di portare tra le mura domestiche quella musica che altrimenti sarebbe rimasta confinata all’interno dei teatri. I Trois mouvements de Petruška del 1921 non rientrano però in questa categoria, pur derivando da una sgargiante pagina orchestrale: il balletto che Igor Stravinskij compose nel 1913 per i Ballets Russes di Djagilev. Con i Trois mouvements l’autore voleva offrire ai virtuosi della tastiera una composizione che mettesse in mostra la loro tecnica e il loro talento: non è un caso, infatti, che ancora oggi molti interpreti la includano nel loro programma in occasione delle competizioni pianistiche più prestigiose. Il lavoro ripercorre alcuni degli episodi salienti del balletto senza avere pretese narrative. La Danse russe si ispira alla prima scena in cui le tre marionette protagoniste si esibiscono in un mercato. Il movimento è una girandola di temi vivacissimi modellati su melodie tradizionali russe; il tema delle marionette è il primo a presentarsi e tornerà diverse volte, anche in una versione più lenta e malinconica che darà avvio al finale. Con il secondo movimento la musica diventa frammentaria, irregolare, enigmatica, perché ritrae l’intimità di Petruška. Nonostante sia solo un pupazzo, egli soffre perché prova un amore non ricambiato e perché si è accorto di condurre una vita miserabile; la sua problematica interiorità si traduce in un accordo fortemente dissonante. La semaine grasse riporta la gaiezza del primo movimento per evocare il via vai di una folla colorata attraverso nuovi temi di danza di ispirazione tradizionale. Nel finale questa festa sembra volgere in tragedia: le battute conclusive sono funestate da un tremolo sull’accordo di Petruška, che proietta l’ombra drammatica e indecifrabile del burattino su tutta la composizione. Liana Püschel 5


Alexander Gadjiev è nato nel 1994 a Gorizia in una famiglia di musicisti. Ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di 5 anni con la madre, Ingrid Silic, e ha proseguito con suo padre Siavush Gadjiev, noto didatta russo. Ha vinto il primo premio assoluto in diversi concorsi giovanili. All’età di nove anni ha suonato il Concerto in do maggiore per pianoforte e orchestra di Haydn ottenendo ottime critiche. Ha tenuto il suo primo recital all’età di dieci anni. Tra il 2005 e il 2008 ha suonato come solista al Palazzo del Governo di Trieste nell’ambito della stagione concertistica Chamber Music, al Teatro Alfieri di Torino, al Teatro Fumagalli di Cantù, a Lubiana, all’Auditorium e al Teatro Bratuz di Gorizia. Dopo il successo ottenuto al Concorso pianistico di Lubiana è stato invitato ai festival di Lubiana e di Feldkirchen. Nel 2009 ha suonato il Concerto di Grieg con l’Orchestra ArsAtelier di Gorizia sotto la direzione di Marco Feruglio e con l’Orchestra dell’Opera di Lubiana sotto la guida di Igor Svara. Nel 2010 ha tenuto recital solistici all’Auditorium Pollini di Padova, al Museo Revoltella di Trieste e al Festival Pianistico del Ridotto del Teatro Verdi di Trieste, alle Filarmoniche di Lubiana e Maribor. Nel 2012 ha suonato con l’Orchestra della Radio Slovena il Concerto di Čajkovskij sotto la guida di En Shao. Nell’aprile dello stesso anno ha vinto il terzo premio alla prima edizione del “FVG International Piano Competition”. Nel giugno del 2012 ha vinto la IX edizione del “Premio delle Arti” svoltasi a Trieste, con giudizio unanime della giuria. Sempre nel 2012 si è diplomato al Conservatorio di Cesena con lode e menzione speciale e ha debuttato a Parigi, suonando al Centro Culturale Italiano nell’ambito della rassegna “Suona Italiano”. Nel maggio 2013 ha suonato a Roma nello splendido Museo dell’Ara Pacis, e a novembre dello stesso anno ha vinto la XXX edizione del prestigioso Premio Venezia, rassegna alla quale possono partecipare solo i diplomati eccellenti dei Conservatori italiani. Grazie a questa vittoria si è esibito, tra gli altri, al Teatro La Fenice di Venezia in concerti solistici e con orchestra e ha debuttato a Londra. Dall’autunno 2013 si perfeziona nella classe di Pavel Gililov al Mozarteum di Salisburgo. Nel giugno 2014 ha raggiunto la semifinale del prestigioso “Gina Bachauer International Artists Piano Competition”. Ad agosto è stato selezionato per partecipare alla finale del “Premio Busoni” di Bolzano e ad aprile 2015 ha suonato con l’Orchestra della Fenice il Concerto n. 1 di Šostakovič, sotto la direzione di Temirkanov.

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Impaginazione e stampa: Alzani Tipografia - Pinerolo (TO)


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