Torino Chiesa dello Spirito Santo
FestivalJosquin RenĂŠ Clemencic clavicordo
Domenica 19.IX.2010 ore 11 Des Près
MITO SettembreMusica
Quarta edizione
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“Splendor musicae” capolavori sconosciuti del Rinascimento
Josquin Des Près (1450 ca-1521) Inviolata, integra et casta es, Maria Benedicta es, coelorum regina Ave Maria Stabat Mater dolorosa nell’intavolatura di Antonio de Cabezón (1510 ca-1566)
René Clemencic, clavicordo
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Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino
n concerto di clavicordo è un’esperienza speciale, che richiede un atteggiamento U speciale. Non perché la musica eseguita sia più difficile di quella che si ascolta in qualsivoglia altro concerto. Il punto è che si tratta di un’esperienza inattuale, del tutto diversa da quella che siamo oggi abituati – o costretti – a instaurare con il suono. Nessuno strumento implica un rapporto così intimo con chi lo suona e con chi lo ascolta; richiede di aprire la propria mente e il proprio cuore a una totale disponibilità. Un grande pianoforte da concerto, un violino dai suoni caldi e svettanti, un’imponente orchestra sinfonica, vengono in un certo modo incontro allo spettatore, lo prendono per mano – o lo afferrano – e lo attirano a sé. Nella penombra delle sue sonorità discrete, nei chiaroscuri dei suoi tasti ipersensibili, il clavicordo attende. Attende che ci accostiamo a lui, che entriamo gradatamente nella sua dimensione fisica e psichica, disponendoci all’ascolto. Colpiti ogni giorno e ovunque dal disperante bombardamento di suoni, musiche e rumori che ci assalgono dalla radio, dalla televisione, dagli altoparlanti e dagli schermi pubblicitari delle stazioni, dall’incessante inquinamento acustico che è il più sottovalutato e taciuto, ma non il meno micidiale degli inquinamenti che uccidono il pianeta e i suoi abitanti, dobbiamo per una volta, inaspettatamente, tendere l’orecchio. Dobbiamo protenderci verso la musica, anziché proteggerci dalla violenza della sua intrusione, riallineare i nostri parametri uditivi e interiori a un habitat sonoro e mentale ormai scomparso dall’esperienza quotidiana. Anche dai rapporti personali: saper ascoltare, non solo sentire; sapersi mettere in sintonia con l’altro, non lasciar scorrere i discorsi dell’interlocutore restando chiusi nel cerchio del proprio io… Due sono i caratteri salienti del clavicordo: da una parte il ridotto volume sonoro, che ne fa lo strumento dell’intimità, dall’altra la possibilità di variare l’intensità dei suoni variando la pressione delle dita sui tasti (come nel pianoforte e a differenza del clavicembalo, il cui suono è a intensità fissa). Il suo timbro, pur se tenue, è ricco, bello, penetrante. È il più espressivo fra gli strumenti a tastiera perché l’esecutore, oltre al volume, può modificare leggermente l’intonazione e perfino ottenere un “vibrato”, effetto impossibile per qualsiasi altro strumento da tasto: la dimestichezza con la tastiera può dar vita a una gamma eccezionale di sfumature. Le sue origini appaiono assai remote; nel Quattrocento assume la conformazione classica, che rimarrà in uso fino al tempo di Beethoven, il quale dichiarava che la qualità vera di un interprete si poteva cogliere in maniera infallibile sentendolo suonare il clavicordo più che gli altri strumenti. Su un clavicordo René Clemencic celebra oggi l’incontro di due grandi figure della musica del Cinquecento: Josquin Des Près, il vertice della polifonia europea, e Antonio de Cabezón, il maestro dell’organo spagnolo del XVI secolo. Divenuto cieco in tenera età, Cabezón fu organista al servizio dell’imperatrice Isabella e poi anche di Carlo V, che gli affidò l’istruzione musicale dei suoi figli; quando uno di loro, Filippo, divenne reggente, lo nominò maestro di cappella e di camera. Viaggiò in Italia, nelle Fiandre, in Germania e in Inghilterra. Un’ampia parte delle sue composizioni si trova nella raccolta intitolata Obras de Música para Tecla, Arpa, y Vihuela, stampata postuma a Madrid nel 1578 a cura del figlio Hernando; contiene oltre 100 pezzi adatti ad essere suonati sull’arpa, sulla vihuela (uno strumento della famiglia del liuto, di forma simile alla chitarra) e soprattutto sulla tastiera (“tecla”, termine che appare per primo nel titolo), composti in uno stile vivace, libero, talvolta reso singolarmente intenso da cromatismi quasi barocchi. I brani in programma appartengono a una categoria particolare: non sono composizioni originali, bensì intavolature di composizioni di Josquin Des Près. L’intavolatura è un modo di scrivere la musica usato soprattutto nel Cinque-Seicento per gli strumenti a tastiera o a pizzico (ad esempio il liuto); si serviva delle lettere alfabetiche (o di altri codici), disposte in maniera tale da riflettere la posizione che le dita assumono sulla tastiera (o sul sistema di corde, nel caso del liuto). In molti casi, i pezzi intavolati sono adattamenti di brani originariamente scritti per voci: si tratta di “riassumere” la polifonia a tre, quattro o più voci di un madrigale o di una messa, adattandola alle caratteristiche tecniche e foniche dello strumento. La musica godette con ciò di uno
straordinario mezzo di diffusione: polifonie complesse, che avrebbero richiesto l’intervento di numerosi cantori e suonatori specializzati, potevano essere suonate e ascoltate con la mediazione di strumenti maneggevoli e l’intervento di un solo esecutore, quindi anche in ambito domestico. Le intavolature di musiche di Josquin hanno inizio vivente il compositore e perdurano ben oltre la sua morte: quelle per tastiera coprono un arco temporale di oltre 60 anni, dal 1521 fino al 1583, segno della capillare diffusione che questi arrangiamenti erano in grado di assicurare. Vi sono maniere diverse di realizzare un’intavolatura: una semplice trascrizione, nella quale all’originale sono apportati solo quei leggeri cambiamenti e aggiunte richiesti dalla natura dello strumento; oppure una vera e propria ri-creazione, caratterizzata da una fiorente ed elaborata opera di ornamentazione. Quest’ultima è la strada intrapresa da Cabezón: con inesauribile fantasia, egli riveste di ornamenti e passaggi l’opera originale; di fronte a tali cascate di suoni, vien da pensare che l’esecuzione dovesse avvenire talora a tempo un po’ più lento rispetto a quello in cui il brano era cantato. Dal punto di vista tecnico, l’opera di Cabezón dimostra la crescente consapevolezza delle possibilità insite negli strumenti a tastiera. Nelle intavolature, il compositore le sperimenta su alcuni dei capolavori sacri di Josquin. Nella veste di “obras glosadas” sono presentati oggi quattro pezzi a tema mariano: oltre al fantastico Stabat Mater (che Cabezón rielabora in due versioni), la fantasia dello spagnolo si esercita sui mottetti Inviolata, integra et casta es, Maria (a sua volta basata su una sequenza monodica diffusa un po’ in tutta l’Europa latina), Benedicta es, coelorum regina e su Ave Maria, seconda parte del mottetto Pater noster. Quest’ultima composizione è forse l’ultima scritta da Josquin; morendo, egli lasciò un legato disponendo che fosse cantata ogni anno al passaggio delle grandi processioni davanti alla sua casa nella città di Condé. Suonata con il clavicordo, la meditazione di Cabezón sull’estremo lavoro del grande maestro acquista un’aura di ancor più profonda, commovente spiritualità. Angelo Rusconi
Compositore, direttore d’orchestra, virtuoso di flauto, musicologo e scrittore, dottore in filosofia, collezionista di incunaboli e sculture, René Clemencic è nato a Vienna nel 1928. Contemporaneamente agli studi di filosofia, matematica e musicologia a Parigi e nella sua città natale – si è laureato nel 1956 all’Università di Vienna – ha studiato flauto a becco, clavicembalo e prassi esecutiva della musica antica in Olanda e a Berlino, teoria e composizione con Erwin Ratz e Josef Polnauer (allievi e amici di Schönberg) e teoria dodecafonica con Johannes Schwieger. Come compositore, Clemencic è affermato e apprezzato da tempo. Il suo oratorio in lingua ebraica Kabbala è stato messo in scena al Mittelfest di Cividale in Friuli, a Vienna, a Londra e a Budapest, mentre L’Apokalypsis, testo in greco antico, è stato accolto con entusiasmo nella grande Sala d’Oro del Musikverein. A Caserta e Napoli è stato presentato il Concerto per archi; il suo Stabat Mater è stato eseguito, affiancato a quello di Pergolesi, al Festival di Todi, a Budapest e a Praga. Nel 2009 è stata rappresentata in prima assoluta a Vienna la sua opera da camera Nachts unter der Steinernen Brücke che ha avuto luogo nella rimessa dell’ex panificio Ankerbrot di Vienna, ora destinata a spettacoli teatrali; quest’anno invece ha diretto per 15 serate Il Nascimento dell’Aurora di Albinoni alla Kammeroper di Vienna. Oltre a varie onorificenze austriache e di altre nazioni, René Clemencic ha ricevuto il premio “Anima Mundi” della Biennale di Arte Sacra di Venezia. Responsabile per quarant’anni della stagione “Musica Antiqua” al Musikverein, dal 2005 gli è stata dedicata una serie di concerti intitolata Clemencic Consort. Da qualche anno Clemencic presenta sul clavicordo concerti solistici di musiche sconosciute del Rinascimento, che sono ormai arrivati alla XXV edizione.