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Torino Conservatorio Giuseppe Verdi Domenica 19.IX.2010 ore 21

FocusTurchia Istanbul 1710 Hespèrion XXI Jordi Savall direttore


MITO SettembreMusica

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Istanbul 1710 Dimitrie Cantemir Il Libro della Scienza della Musica e le tradizioni musicali sefardite e armene

Taksîm (kanun, viella, oud, lira e tamburo) Improvvisazione Der maka¯ m-ı ‘Uzzâl us¸u¯ les¸ Devri-i kebı¯r (118) Büyuk Devr (Kantemiroglu mss.) Los Paxaricos (I.59) – Maciço de Rosas (II.41) Sefardita (Turchia) Taksîm (kanun) Improvvisazione Der maka¯ m-ı Muhayyer us¸u¯ les¸ Muhammes (285) (Kantemiroglu mss.) Canto e danza (duduk) Armenia Taksîm (oud) Improvvisazione Der maka¯ m-ı Hüseynî Sema¯ ’ı¯ (268) Baba Mest (Kantemiroglu mss.) El Rey Nimrod Sefardita (Smirne) Taksîm (lira) Improvvisazione Der maka¯ m-ı Su¯ rı¯ Sema¯ ’ı¯ (256) (Kantemiroglu mss.)

Der maka¯ m-ı Ra¯ st “Muras¸s¸’a” us¸u¯ les¸ Düyek (214) (Kantemiroglu mss.) Lament: Ene Sarére (duduk) Barde Ashot (Armenia) Hermosa muchachica (III.29) Sefardita (Gerusalemme) Taksîm (kanun, tamburo, santur e oud) Improvvisazione Der maka¯ m-ı [Hüseynı¯ ] us¸u¯ les¸ Çenber (96) Edirne’li Ahmed (Kantemiroglu mss.) Taksîm e Maka¯ m “Esmkhetiet-Yis kou ghimeten-Tchim guichi” Barde Sayat Nova (Armeno) Taksîm (kanun, tamburo e oud) Improvvisazione Der maka¯ m-ı ‘Uzza¯ l us¸u¯ les¸ Berevs¸a¯ n (148) ‘Alı¯ Ha ¯ ce (Kantemiroglu mss.)

Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino


Las Estrellas de los cielos (II.58) Sefardita (Smirne) Taksîm (kemanche, kanun, oud e tamburo) Improvvisazione Der maka¯ m-ı Hüseynı¯ Sakı¯ l-i Agˇ a Rız·a¯ (89) (Kantemiroglu mss.)

Hespèrion XXI Jordi Savall, lira a 6 corde, viella a 5 corde, direzione

Musicisti ospiti: dalla Turchia Kudsi Erguner, ney Derya Türkan, kemanche, lira Yurdal Tokcan, oud Fahrettin Yarkin, percussioni Murat Salim Tokaç, tamburo Hakan Güngör, kanun dall’Armenia Gaguik Mouradian, kemanche Haïg Sarikouyoumdjian, ney, duduk dalla Grecia Dimitri Psonis, santur da Israele Yair Dalal, oud dal Marocco Driss El Maloumi, oud dalla Spagna Pedro Estevan, percussioni

Ideazione del programma e selezione delle musiche: Jordi Savall


l crocevia tra i due continenti europeo ed asiatico, Istanbul per gli ottomani, A Costantipoli per i bizantini, è già all’epoca di Dimitrie Cantemir (1673-1723) un vero centro di riferimento della storia. Nonostante il ricordo e la presenza molto evidenti dell’antica Bisanzio, è diventata il vero cuore del mondo religioso e culturale musulmano. Miscela straordinaria di popoli e di religioni, essa attira sempre numerosi viaggiatori e artisti europei. Cantemir vi sbarcò nel 1693, all’età di 20 anni, dapprima come ostaggio, poi come rappresentante diplomatico del padre, che governava la Moldavia. Diventò un famoso interprete di tanbur, sorta di liuto dal lungo manico, e fu anche un compositore molto apprezzato per il suo lavoro Kûâbu ‘Ilmi’l-Mûsîkî (Il Libro della Scienza della Musica), che dedicò al sultano Abmed III (1703-1730). Questo è il contesto storico nel quale prende forma il nostro progetto “Il Libro della Scienza della Musica di Dimitrie Cantemir e le tradizioni musicali sefardite e armene”. Vogliamo presentare le musiche strumentali “colte” della corte ottomana del XVII secolo, tratte dall’opera di Cantemir, in dialogo e alternanza con le musiche “tradizionali” del popolo, rappresentate qui da materiale di tradizione orale di musicisti armeni e da quello delle comunità sefardite accolte, in seguito alla loro espulsione dal regno di Spagna, nelle città dell’impero ottomano come Istanbul o Smirne. Nell’Europa occidentale l’immagine culturale ottomana è pervenuta molto distorta a causa della lunga lotta dell’Impero ottomano per avanzare in Occidente, che ci ha fatto dimenticare la ricchezza culturale, e soprattutto l’ambiente di tolleranza e diversità che esisteva nell’Impero in quell’epoca. Come osserva Stefan Lemny, nel suo interessante saggio su Les Cantemir, «in realtà Maometto II, dopo la presa di Costantinopoli, aveva risparmiato la vita degli abitanti cristiani e fatto ben di più, poiché, qualche anno dopo, aveva incoraggiato il ritorno delle vecchie famiglie aristocratiche greche nelle abitazioni del quartiere chiamato Fener, vestigia dell’epoca bizantina». Più tardi, durante il regno di Solimano – l’età dell’oro dell’Impero – i contatti con l’Europa s’intensificarono, sviluppandosi nello stesso tempo le relazioni diplomatiche e commerciali. Così lo ricorda Amnon Shiloah, nella sua eccellente opera sulla musica nel mondo dell’Islam: «Benché Venezia possedesse una missione diplomatica permanente ad Istanbul, l’Impero si rivolse alla Francia. Verso la fine del XVI secolo, il trattato concluso nel 1543 tra Solimano e “il re dei cristiani” Francesco I fu un fattore decisivo di avvicinamento, che favorì lo sviluppo d’incontri. In quell’occasione, Francesco I inviò a Solimano un’orchestra in segno di amicizia. Il concerto dato da questo complesso sembra avere ispirato la creazione di due nuovi ritmi (battute), entrati da allora nella musica turca: frenkcin (12/4) e frengi 14/4)». A partire dal 1601, il Patriarcato della Chiesa ortodossa, punto di riunione dell’aristocrazia greca proveniente da ogni angolo dell’Impero (dalle isole dell’Egeo, dal Peloponneso, dalle regioni europee o dell’Asia Minore) s’installò definitivamente nel quartiere chiamato Fener, dove si erano già sistemate le vecchie famiglie aristocratiche greche dopo la caduta di Costantinopoli. Così, per l’esistenza di questo nucleo di popolazione, l’antica capitale bizantina continuava a rappresentare il centro dell’ortodossia di tutto l’Impero. A questo titolo, l’Accademia – o Grande Scuola – del Patriarcato esercitava una vera egemonia culturale. Basandosi sulla lettura di Cantemir, Voltaire rievoca le materie che vi si potevano studiare: il greco antico e moderno, la filosofia di Aristotele, la teologia e la medicina. «Riconosco – precisa – che Demetrius Cantemir ha riportato molte antiche favole; ma non può essersi ingannato sui monumenti moderni che ha visto con i suoi occhi e sull’accademia dove ha studiato». Il Libro della Scienza della Musica di Dimitrie Cantemir, che ci è servito come fonte storica di base, è un documento che va visto sotto molti aspetti: innanzitutto come fonte fondamentale di conoscenza della teoria, dello stile e delle forme musicali


ottomane del XVIII secolo, ma anche come una delle più interessanti testimonianze sulla vita musicale in uno dei più importanti paesi orientali. Questa raccolta di 355 composizioni (di cui 9 dello stesso Cantemir), scritte con un sistema di notazione musicale inventato dall’autore stesso, rappresenta la più importante collezione di musica strumentale ottomana dei secoli XVI e XVII che sia giunta fino ai nostri giorni. Ho iniziato a scoprire questo repertorio per la prima volta nel 1999, durante la preparazione del progetto su Isabella I di Castiglia, quando il nostro collaboratore e amico Dimitri Psonis, specialista di musiche orientali, ci ha proposto un’antica marcia guerriera, appartenente a questa raccolta, come illustrazione musicale del momento della conquista di Costantinopoli da parte delle truppe ottomane di Maometto II. Due anni più tardi, in occasione della nostra prima visita a Istanbul per un concerto con Montserrat Figueras ed Hespèrion XXI e un incontro al Centro Culturale Yapi Kredi, abbiamo avuto la fortuna di ricevere in dono, dai nostri amici di Istanbul Aksel Tibet, Mine Haydaroglu ed Emrah Efe Cakmak, la prima edizione moderna della musica contenuta nel Libro della Scienza della Musica di Dimitrie Cantemir. La musica di questa raccolta e la storia di quest’uomo mi hanno immediatamente affascinato, e mi sono impegnato a studiare l’una e l’altra, al fine di conoscere meglio questa cultura così vicina a noi e che al tempo stesso ci appariva così lontana per pura mancanza di conoscenza. Ero deciso a cercare il contesto storico ed estetico che permettesse di farne un programma interessante. Sei anni dopo, durante la preparazione del progetto ORIENT-OCCIDENT, ho potuto selezionare quattro magnifici maka¯ m, che gli diedero una nuova dimensione, per il fatto di essere le sole musiche orientali che non provenivano da una tradizione orale, ma da una fonte scritta d’epoca. Finalmente, nel 2008, come naturale continuazione di questo primo progetto di dialogo tra Oriente e Occidente, abbiamo potuto riunire un magnifico gruppo di musicisti della Turchia (oud, ney, kanun, tanbur, lira e percussioni), e insieme a musicisti dell’Armenia (duduk, kemanche e ney), di Israele (oud), del Marocco (oud) e della Grecia (santur e morisca) e ai principali solisti specialisti abituali di Hespèrion XXI, abbiamo preparato e realizzato questo spettacolo. Ne approfitto per ringraziarli tutti di tutto cuore, ben cosciente che senza il loro talento e le loro conoscenze questo progetto non si sarebbe potuto realizzare. Per cominciare, il lavoro più delicato era fare la selezione di una decina di pezzi, in un insieme di 355 composizioni, scegliendo i più rappresentativi e vari tra i maka¯ m che ci erano sembrati più belli, consapevoli che questa scelta si faceva sulla base della nostra sensibilità occidentale. Dopo questo vero e proprio “imbarazzo della scelta”, bisognava completare i brani scelti per la parte ottomana, con la realizzazione dei corrispondenti taksîm, ossia veri preludi realizzati in forma d’improvvisazione prima di ogni maka¯ m. Parallelamente, abbiamo affrontato la selezione dei pezzi sefarditi e armeni. Per il repertorio sefardita, abbiamo scelto delle musiche provenienti dal repertorio ladino conservato nelle comunità di Smirne, Istanbul e altre regioni appartenute all’antico Impero ottomano; per il repertorio armeno abbiamo selezionato i brani più belli tra le differenti opzioni che ci sono state proposte dai musicisti armeni. Tutte queste musiche sono oggi interpretate in maniera probabilmente molto diversa da quella dell’epoca di Cantemir. Occorreva dunque, per allargare la conoscenza su altre possibilità nell’interpretazione, appoggiarsi a diverse narrazioni, spesso fatte da viaggiatori europei, che ci parlano delle particolarità della musica ottomana dei tempi passati, e ci offrono una serie di considerazioni interessanti sull’esecuzione, la pratica, gli strumenti e le orchestre di corte o quelle militari, e sulle cerimonie delle confraternite mistiche. Sono tali le osservazioni, del 1553, di Pierre Belon, che ci parla della straordinaria abilità dei turchi nella fabbricazione degli archetti e delle corde dei liuti a partire da intestini che «sono più comuni qui che in Europa». Egli aggiunge che «molta gente sa suonare uno o più tipi (di strumenti),


il che non accade (egli precisa) in Francia o in Italia»; menziona anche l’esistenza di una grande varietà di flauti e ci parla della meravigliosa dolcezza della sonorità del miskal (flauto di Pan). Il viaggiatore italiano Pietro Della Valle, invece, nel 1614 afferma che la dolcezza di questo strumento «non eguaglia quella del lungo flauto (ney), dei dervisci». Verso il 1700 possiamo sentire lo stesso Cantemir spiegarci: «Forse si troverà strano in Europa ciò che qui vi riferisco – riconosce nella sua Storia dell’Impero ottomano – sul gusto della musica in una nazione reputata barbara tra i cristiani». Egli ammette che la barbarie ha potuto regnare all’epoca della crescita dell’Impero, ma, con la fine delle grandi conquiste militari, le arti, «frutti ordinari della pace, hanno trovato posto a loro volta in questi spiriti». Ed egli conclude con queste parole, che devono avere fatto meditare i suoi lettori europei: «Oso perfino affermare che la musica dei turchi è molto più perfetta di quella dell’Europa quanto al ritmo e alla proporzione delle parole, ma è anche così difficile da comprendere che a fatica si troveranno tre o quattro persone che conoscono a fondo i principi e le delicatezze di quest’arte» (HEO, II, p. 178). Sottolineiamo questa osservazione sulla complessità di una musica che “è molto più perfetta di quella dell’Europa quanto al ritmo”, perché l’abbiamo sperimentata concretamente; soltanto tra i nove maka¯ m che abbiamo selezionato si trovano le battute (o ritmi) seguenti: 14/4, 16/4, 10/8, 6/4, 12/4, 8/4, e 2/4. Di queste sette battute solamente i ritmi 6/4 e 2/4 sono abituali nel mondo occidentale. La battuta determina il ritmo e il tempo ma il tempo è stabilito su basi più soggettive, legate anche alle circostanze, al contesto sociale e in conclusione a situazioni sempre dipendenti dall’evoluzione dei costumi. Come nel mondo occidentale, dove la maggioranza delle danze in origine molto vive (come la follia, la ciaccona, la sarabanda o il minuetto), che si sono sviluppate a partire da tradizioni popolari, diventano abbastanza moderate o anche lente dopo avere subito per molti anni l’influenza della pompa e del carattere cerimoniale della corte, sembrerebbe evidente che un fenomeno simile si sia prodotto nella musica di corte ottomana. E in effetti, le danze e le musiche strumentali che i musicisti di questa corte creano, ispirandosi a musiche popolari, subiscono progressivamente, soprattutto nel XIX secolo, un notevole rallentamento, motivato dalle influenze formali della corte stessa e anche dall’idea religiosa che ogni musica di una certa nobiltà debba essere controllata e moderata. Noi crediamo che all’epoca di Cantemir questa evoluzione non fosse ancora cominciata: la sintesi di musica classica e popolare è molto evidente nelle composizioni di questo periodo, specialmente nelle opere riunite nella raccolta di Cantemir o nelle composizioni di Eyyûbi Bdekir Agha (morto nel 1730). È negli anni tra il 1718 e il 1730, molto rigogliosi per le arti e conosciuti come “Lâle devri” o dei Tulipani neri – nome che deriva dai giardini di tulipani coltivati sulle rive del Bosforo – che i musicisti di corte scoprono, in questi giardini imperiali, l’arte dei bardi popolari (âsik). È per questo che la nostra scelta interpretativa dei tempi è molto più animata di quella che si può ascoltare abitualmente nelle interpretazioni attuali di queste musiche del repertorio ottomano. Altra differenza importante è la strumentazione. Diversamente dai complessi attuali che interpretano quasi sempre tutti i pezzi con tutti gli strumenti a disposizione, abbiamo proceduto a un dosaggio variato della strumentazione, in modo tale che si possano avere tutti gli strumenti insieme nelle sezioni equivalenti al nostro “rondò”, o ritornello, mentre nelle altre sezioni del maka¯ m i diversi strumenti alternano i loro interventi, e sono presenti a seconda del carattere della sezione o in funzione dello sviluppo del pezzo. Facciamo infine notare che mentre la prima notazione utilizzata dai musicisti turchi è stata di tipo sostanzialmente alfabetico, la notazione inventata da Dimitrie Cantemir è di grande intelligenza e di grande precisione, permettendo di differenziare chiaramente i diversi modi di accordare i bemolli o i diesis in funzione dei modi utilizzati. Non è dunque solamente il desiderio di mostrare che questo immaginario dialogo


musicale è possibile, ma soprattutto ricordare che corrisponde a una vera realtà storica. A parte la grande varietà e ricchezza culturale della Istanbul del tempo di Cantemir, non va dimenticata la presenza, alla corte imperiale, di musicisti greci, armeni ed ebraici, confermata da varie fonti. Il conte di Saint-Priest, ambasciatore francese a Istanbul, annota i pregiudizi degli ottomani riguardo alle arti in generale, che li hanno portati a lasciare ai non musulmani la professione di musicista. Difatti «la maggior parte dei musicisti al servizio del Grande Signore, che passano per gli Orfeo dell’Impero turco – come sarà lo stesso Cantemir – sono di origine greca, ebraica o armena». Più tardi, verso gli ultimi anni del XVIII secolo e l’inizio del XIX, l’armeno Nikigˇos e il suonatore di tanbur Tanburî Ishaq (morto intorno al 1815), faranno parte del consesso dei nomi più illustri. È in questo contesto di eccellenza musicale che Dimitrie è particolarmente rinomato per il suo virtuosismo al tanbur. Il cronista Ion Neculce esprime a questo riguardo un’ammirazione superlativa: «Nessuno a Costantinopoli – egli dichiara – era capace di suonarlo meglio di lui». Questo strumento «è il più completo e perfetto tra tutti quelli conosciuti o almeno che noi abbiamo visto» e quello che «riproduce con precisione e senza difetto il canto e lo sgorgare della voce dal respiro dell’uomo». Questa opinione può sembrare esagerata, se non teniamo conto che, a quell’epoca, questo strumento era suonato sia pizzicandolo come un liuto, sia con l’archetto, tenendolo come una viola da gamba, e che proprio la viola da gamba era a sua volta considerata, nella stessa epoca in Francia, lo strumento che poteva imitare meglio tutte le sfumature proprie della voce umana. Desidero ringraziare Amnon Shiloah, Stefan Lemny, Ursula e Kurt Reinhard per i loro lavori di ricerca e di analisi sulla storia, la musica e l’epoca, che mi sono serviti per documentare alcune fonti delle mie note. Jordi Savall Edimburgo, agosto 2009 Traduzione: Luca Chiantore / MUSIKEON.NET

Hespèrion XXI Riuniti da un intento comune – lo studio e l’esecuzione della musica antica basandosi su premesse nuove e moderne – e affascinati dall’immensa ricchezza del repertorio musicale ispanico ed europeo precedente il 1800, Jordi Savall, Montserrat Figueras, Lorenzo Alpert e Hopkinson Smith fondarono nel 1974 l’ensemble Hespèrion XX. Con il nuovo millennio, Hespèrion continua a essere un valido strumento di ricerca e, come tale, ha aggiunto al proprio nome il numero romano corrispondente al nuovo secolo appena iniziato: si chiama pertanto Hespèrion XXI. Per oltre 30 anni Hespèrion ha collaborato con prestigiosi artisti, riscattando dall’oblio numerose opere inedite e valorizzando così il repertorio medievale, rinascimentale e barocco. Dalla sua creazione è stato impegnato in un’intensa attività artistica in tutto il mondo, partecipando regolarmente ai principali festival internazionali. Un repertorio così esteso richiede una formazione varia e interpreti dall’eccezionale virtuosismo e dalla profonda conoscenza delle diverse epoche stilistiche. Per questo Hespèrion XXI è diventato un ensemble internazionale, formato dai migliori solisti di ogni specialità, capaci di cambiare il loro stile in funzione del programma. Tenendo conto delle diverse possibilità che circondano l’esecuzione della musica antica oggi, l’originalità di Hespèrion XXI è l’audacia delle sue scelte: la creatività individuale nel lavoro di gruppo e nella ricerca di una sintesi dinamica


tra l’espressione musicale, lo studio stilistico-storico e l’immaginazione creativa dei musicisti del XX secolo. La discografia di 57 cd è la miglior testimonianza della ricchezza di possibilità che il gruppo continua a offrire. L’ultima uscita discografica (Alia Vox) è Istanbul Dimitrie Cantemir 1673-1723. Hespèrion XXI è sostenuto dall’INAEM.

Jordi Savall è uno dei personaggi musicali più poliedrici della sua generazione. Da oltre 30 anni la sua attività di violista, direttore, pedagogo, ricercatore e creatore di nuovi progetti, musicali e culturali, fa di lui uno dei principali artefici dell’attuale rivalutazione della musica antica. È fondatore e direttore dei gruppi musicali Hespèrion XXI (1974), La Capella Reial de Catalunya (1987) e Le Concert des Nations (1989). Negli ultimi dieci anni ha inciso più di 170 cd per la sua etichetta discografica Alia Vox. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti vi sono Officier de l’Ordre des Arts et des Lettres, Creu de Sant Jordi, Membro d’Onore della Konzerthaus di Vienna, Laurea Honoris Causa dell’Université Catholique di Louvain, dell’Universitat de Barcelona e dell’Universidade de Evora. Le sue uscite discografiche hanno ricevuto diversi MIDEM Classical Awards e svariate nomine ai Grammy Awards. Tra i suoi ultimi progetti ricordiamo i libri-cd Le Royaume Oublié. La Tragédie Cathare et la Croisade contre les Albigeois e Dinastia Borja: Església i poder al Renaixement. Il libro-cd Jerusalem. La Ville des deux Paix: la Paix céleste et la Paix terrestre, ha ricevuto nel 2009 i premi Orphée d’Or de l’Académie du disque lyrique 2008, Caecilia 2008 come migliore disco dell’anno scelto dalla stampa e MIDEM Classical Award 2010. Ha recentemente ottenuto anche lo Händelpreis der Stadt Halle 2009 in Germania e il Premio Nacional de la Música Catalana del Consell Nacional de la Cultura i de les Arts. Nel 2008 Savall è stato nominato dall’Unione Europea “Ambasciatore per il dialogo interculturale” e “Artista per la pace” all’interno del programma “Ambasciatori di buona volontà” dell’UNESCO. Nel 2009 è stato nuovamente nominato “Ambasciatore della creatività e dell’innovazione” dall’Unione Europea.

Kudsi Erguner, famoso in tutto il mondo per la sua maestria nel suonare il ney (flauto di canna turco) è unanimemente considerato un punto di riferimento per la musica ottomana e per la musica sufica, che è sopravvissuta grazie alla Scuola Erguner fondata da Ulvi Erguner e portata avanti dal figlio Kudsi. Nato in Turchia nel 1952, inizia la sua carriera musicale a Radio Istanbul nel 1969. Insieme al padre si esibisce frequentemente in danze rituali ipnotiche e spirituali della tradizione Mevlevi-sufi durante le cerimonie dei dervisci. Nel 1972 si trasferisce a Parigi, dove nei primi anni Ottanta fonda l’Istituto Mevlana, dedicato allo studio e all’insegnamento della musica sufica classica. Ha collaborato con Peter Gabriel, Maurice Béjart, Robert Wilson, Peter Brook, George Aperghis, Didier Lockwood e Michel Portal. Ha inciso più di cento cd, coprendo ogni sfaccettatura della musica ottomana tradizionale. Ha inoltre scritto i libri Les Contes de Mesnevi, Les Saints des Derviches Bektachi e La Fontaine de Séparation che sono stati tradotti in inglese, portoghese, greco e turco. La sua ricerca musicale spazia fino a India, Pakistan, Afghanistan, Giappone e Nord Africa. Grazie alla collaborazione con Kudsi Erguner molti artisti locali sono saliti alla ribalta internazionale, ad esempio Nusret Fethi Ali Khan e Anvar Brahem. In oltre quarant’anni di carriera, attraverso i concerti e le incisioni discografiche, il genio creativo di Erguner non solo ha diffuso la musica tradizionale turca in tutto il mondo, ma ha contribuito a portarla ai massimi livelli.


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