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Torino Sala 500 Lingotto

Sonig Tchakerian violino Roberto Prosseda pianoforte

MartedĂŹ 14.IX.2010 ore 17

Bach-Schumann Paganini-Schumann


MITO SettembreMusica

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Johann Sebastian Bach / Robert Schumann (1685-1750)

(1810-1856)

Dalle Sonate e Partite per violino solo BWV 1001-1006 con accompagnamento pianistico di Schumann, WoO 8 (1853): Sonata n. 1 in sol minore BWV 1001 Adagio Fuga (Allegro) Siciliana Presto

Partita n. 1 in si minore BWV 1002 Allemanda – Double Corrente – Double (Presto) Sarabande – Double Tempo di Borea – Double

Sonata n. 2 in la minore BWV 1003 Grave Fuga Andante Allegro

Niccolò Paganini / Robert Schumann (1782-1840)

(1810-1856)

Dai 24 Capricci op. 1 con accompagnamento pianistico di Schumann, Ahn. O 2 (1853-55): n. 20 Allegretto n. 22 Marcato n. 5 Agitato

Sonig Tchakerian, violino Roberto Prosseda, pianoforte


Schumann allo specchio Robert Schumann è uno dei compositori che hanno fatto maggior (e miglior) uso di musiche altrui. Ciò che stupisce non è tanto la quantità numerica dei casi di citazione nelle sue opere (più di un centinaio, comprese le autocitazioni), ma, soprattutto, la sua totale immedesimazione con materiali “altri”. Del resto, per Schumann il riferirsi a temi, strutture o idee musicali preesistenti non è solo una maniera di giocare con l’esterno, con il passato o con le convenzioni: è molto di più, è il nucleo fondante della sua concezione creativa. Infatti egli basa la sua poetica, peraltro originalissima, proprio su quelli che oggi sono propriamente detti “rapporti intertestuali”, ossia sulle relazioni a volte esplicite, altre volte allusive, in certi casi del tutto nascoste o addirittura inconsce con oggetti o brandelli di memorie musicali (e anche letterarie) esterne. E spesso succede che i temi che Schumann prende “in prestito” da altri compositori suonino più intimamente schumanniani dei propri – si pensi al Lied di Beethoven An die ferne Geliebte, che appare al termine del primo movimento della Fantasia op. 17: non solo sembra il tema più originale, ma suona anche come la conseguenza naturale degli altri precedenti.

Ciò avviene in maniera ancor più esplicita con le Sonate e Partite di Bach, nella versione con l’accompagnamento pianistico aggiunto da Schumann. Qui Schumann non cita Bach, ma, mantenendo invariata la parte violinistica, la riveste e la rivive con un proprio sguardo attraverso l’accompagnamento pianistico. Bach completò le Sonate e Partite nel 1720, senza pubblicarle, cosa peraltro normale all’epoca: è musica, questa, concepita per l’esecuzione domestica e privata, e proprio grazie a ciò Bach era libero di sperimentare soluzioni ardite senza la paura di un pubblico giudizio. La prima edizione fu pubblicata solo nel 1802 da Simrock, seguita da una seconda edizione nel 1820 e da una terza stampata a Lipsia (dove Schumann allora risiedeva) nel 1843. Lipsia era la città dove Bach aveva vissuto dal 1723 al 1750 e dove, tra il 1835 e il 1847, Felix Mendelssohn era stato direttore dell’orchestra del Gewandhaus. Com’è noto, fu proprio Mendelssohn che riscoprì la Passione secondo Matteo (eseguita a Lipsia nel 1841, dopo la “prima” moderna a Berlino nel 1829). È meno noto, invece, che lo stesso Mendelssohn tenne anche un concerto come pianista al Gewandhaus nel 1840 con il violinista Ferdinand David, suonando la Ciaccona dalla Seconda Partita di Bach con l’aggiunta del suo accompagnamento pianistico. Mendelssohn sentì l’esigenza di una versione “più fruibile” dal pubblico lipsiense e così aggiunse una parte pianistica che potesse rendere più chiare le armonie, altrimenti troppo vaghe e non percepibili per i non addetti ai lavori 1. Schumann era presente al concerto: se ne ricordò tredici anni dopo, nel gennaio 1853, quando scrisse al suo editore Breitkopf & Härtel dell’idea di realizzare l’accompagnamento pianistico per varie musiche di Bach per violino solo. Dopo la risposta positiva dell’editore, Schumann si mise all’opera e in un solo mese completò la sua versione delle Sonate e Partite.

Non stupisce, a ben vedere, che i capolavori bachiani per violino solo attirassero tanto l’attenzione di Schumann, specie se pensiamo che l’idea di coniugare melodia e contrappunto, di creare un trompe-l’oeil sonoro, era da sempre principio fondante del linguaggio schumanniano e, ancor di più, delle sue più visionarie utopie. Già a partire dalla sua op. 1 Schumann aveva ricercato e sperimentato forme di polifonia “virtuale” talmente concettuali da essere al limite della percettibilità: si pensi ai suoni “sottratti” nella cadenza finale delle Variazioni Abegg, o alla Innere Stimme dell’Humoreske op. 20 – una voce scritta in partitura, ma da non suonare. Lo stesso Bach, peraltro, si era già spinto molto in là in tal senso, affidando al solo


violino (strumento fondamentalmente monodico) le complesse fughe delle tre Sonate, in particolare quella della Sonata n. 2 che presenta, nel punto culminante, la fusione del soggetto con la sua inversione.

Non tutti sanno che Bach, oltre che organista e cembalista, era anche un provetto violinista e conosceva quindi bene l’arte di sfruttare le potenzialità timbriche e strumentali degli archi. Il figlio Carl Philipp Emanuel confermò a Johann Nikolaus Forkel che il padre «nella sua giovinezza, e fino alla tarda età, suonò il violino con molta precisione ed energia, e così poteva tenere l’orchestra in miglior ordine di quanto avrebbe potuto fare con il clavicembalo. Egli comprendeva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco». Con le Sonate e Partite, in effetti, Bach ha lasciato ai violinisti un’opera di imprescindibile importanza, una summa delle potenzialità tecniche ed espressive che il violino solo può ottenere. La sua musica, però, non è mai strettamente idiomatica, nel senso che mantiene la sua pregnanza espressiva anche se trasferita su altri strumenti. Non a caso, delle Sonate e Partite esistono numerose, efficaci trascrizioni, delle quali la più celebre è forse la Ciaccona dalla Seconda Partita trascritta per pianoforte da Busoni 2. Non è così per le musiche di Schumann. È difficile, ad esempio, pensare a un’orchestrazione dei suoi lavori pianistici 3. Al contrario di Bach, Schumann trova solo nel pianoforte il suo vero, completo universo timbrico, che è però ben lungi dall’essere autoreferenziale. Proprio mediante il pianoforte, Schumann sa evocare timbri orchestrali, suoni della natura, sa concepire note anche inaudibili o esistenti solo nella sua immaginazione. Ecco dunque che l’abbinarsi del pianoforte schumanniano alla polifonia violinistica bachiana dà risultati sorprendenti e compiuti. Le celebri Sonate e Partite suonano ora antiche e nuove al contempo. Il pianoforte agisce come un prisma attraverso cui è possibile una nuova percezione delle linee bachiane, riflesse nella poetica schumanniana. L’intervento di Schumann rimane sempre molto discreto: in genere il pianoforte, oltre ad amplificare le armonie del violino, si limita a replicare alcuni incisi tematici, anche per moto contrario o in canone. Solo in alcuni casi, come nella Ciaccona, la parte pianistica presenta l’aggiunta di nuovi spunti, fungendo da moltiplicatore dei contrappunti del violino, come una sorta di versione “allo specchio” della parte originale.

Ciò avviene anche nel caso analogo dei Capricci di Paganini, a cui Schumann aggiunse l’accompagnamento pianistico. L’ascolto dal vivo di un concerto tenuto da Niccolò Paganini sconvolse Schumann e gli stimolò due raccolte di Studi per pianoforte oggi quasi mai eseguite: l’op. 3 e l’op. 10. In entrambe, Schumann tenta una trasposizione pianistica del virtuosismo paganiniano, trascrivendo però abbastanza letteralmente quei difficili passaggi (questi sì, idiomaticamente pensati per il violino). Successivamente, tracciò un ritratto musicale di Paganini nell’omonimo brano che fa parte del Carnaval op. 9. Non pago di ciò, nel 1853 tornò ai Capricci per realizzarne l’accompagnamento pianistico, completando il lavoro nel 1855, a pochi mesi dalla morte. La pubblicazione è avvenuta solo nel 1941, nella versione rivista da Georg Schünemann. L’operazione, non dissimile da quella relativa alle Sonate e Partite di Bach, non è però volta a individuare un nuovo tipo di virtuosismo, ma a nobilitare, arricchendolo, quello originale di Paganini. La presenza del pianoforte consente infatti di evidenziare le finezze armoniche insite nella scrittura originale, addolcendone le asprezze senza peraltro smussare la brillantezza e l’ardore della parte violinistica. Ancora una volta, Schumann fa proprie musiche e concezioni creative altrui, senza snaturarle, eppure rinnovandole. Si può quindi parlare in questi casi di una composizione di Schumann, o si tratta


di un mero arrangiamento o trascrizione? A proposito del problematico rapporto dell’“autorialità” in simili casi, Schumann aveva le idee chiare sin da giovane: «Certe persone appaiono indipendenti solo quando si appoggiano a un altro io. Ad esempio, lo stesso Shakespeare, che notoriamente trasse gran parte degli argomenti delle proprie tragedie antiche da novelle e simili» 4. E ancora: «È difficile spiegare perché certe reminiscenze ci disturbano più in certi compositori che in altri: forse dipende dal fatto che in alcuni casi i rispettivi naturali caratteri del modello e dell’imitatore siano poco imparentati fra loro, sicché gli elementi che vengono ripresi suonano estranei nel secondo, mentre ciò non succede nei casi in cui i due caratteri sembrano possedere somiglianze innate» 5. E in effetti, nell’aggiungere un accompagnamento pianistico alle Sonate e Partite di Bach, così come ai Capricci di Paganini, Schumann dimostra a posteriori che quella musica già gli apparteneva: ecco perché la nuova parte pianistica non suona come un’inutile appendice a un capolavoro già compiuto e perfetto, ma come un esplicitarsi, naturale, di contenuti armonici e tematici già implicitamente presenti nell’originale. Il pianoforte, discretamente, illumina e fa emergere quelle voci lontane, interiori, che nella polifonia violinistica erano solo alluse o sottintese: quelle Innere Stimmen che rappresentano il cuore della poetica schumanniana. Roberto Prosseda

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Mendelssohn era particolarmente sensibile al problema della comprensione di Bach da parte del pubblico moderno, in un momento in cui ancora non esisteva la moderna concezione di filologia. Nelle sue esecuzioni della Passione secondo Matteo, egli tagliò alcune parti per alleggerire l’ascolto, così come ristrumentò le Suite per orchestra adattandole agli strumenti dell’orchestra del Gewandhaus. 2 Anche Brahms realizzò una versione pianistica della Ciaccona, per sola mano sinistra. Molti altri compositori/pianisti, tra cui Rachmaninov e Godowsky, pubblicarono proprie trascrizioni delle Sonate e Partite di Bach. 3 Maurice Ravel orchestrò il Carnaval op. 9 di Schumann, ma senza raggiungere i risultati esaltanti (seppur anche in quel caso snaturanti) ottenuti con la più celebre trascrizione dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij. 4 Robert Schumann: Aforismi, in Gli scritti critici, a cura di Antonietta Cerocchi, I, Milano, Ricordi-Unicopli, 1991, pp. 287-292: 289. 5 Robert Schumann: Musica per pianoforte, in Gli scritti critici, cit., II, pp. 941-960: 947.


Sonig Tchakerian, di origine armena, ha iniziato a suonare il violino da piccola, sotto la guida del padre. Trasferitasi in Italia, si è diplomata a sedici anni con Giovanni Guglielmo con il massimo dei voti e la lode. Si è perfezionata per alcuni anni con Salvatore Accardo a Cremona, oltre che con Franco Gulli a Siena e con Nathan Milstein a Zurigo. Premiata al Concorso Paganini di Genova (nel 1980) e all’ARD di Monaco di Baviera (nel 1982 e nel 1988), tiene recital per violino solo o con pianoforte (collabora tra gli altri con Bruno Canino e Andrea Lucchesini, con il quale ha eseguito l’integrale delle Sonate di Beethoven) per importanti società di concerti. Come solista ha suonato con orchestre quali la Royal Philharmonic di Londra, la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks di Monaco, l’Orchestra Verdi di Milano, le orchestre del San Carlo di Napoli e dell’Arena di Verona, I Solisti Veneti, l’Orchestra di Padova e del Veneto, con direttori quali Piero Bellugi, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Antonio Janigro, Daniel Oren, Claudio Scimone, Emil Tchakarov. È tra i pochi violinisti a eseguire dal vivo l’integrale dei Capricci di Paganini, che ha registrato anche in cd nel 2003. Insieme al marito, il direttore d’orchestra Giovanni Battista Rigon, ha fondato le Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza, festival dove ogni anno invita alcuni tra i più noti musicisti italiani a interpretare con lei capolavori della musica da camera. Il festival si svolge nel celebre teatro del Palladio ed è regolarmente trasmesso da Rai RadioTre. Ha fatto parte del Trio Italiano, con il quale le è stato assegnato all’unanimità il Premio Gui di Firenze (nel 1990) e ha registrato l’integrale di Beethoven, Schubert e Schumann. Molto apprezzata anche come didatta, insegna al Conservatorio di Padova. Ha tenuto corsi di perfezionamento per l’APM di Saluzzo e per il Gubbio Summer Festival. Dall’anno accademico 2009/2010 è titolare della cattedra di violino ai corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Suona un magnifico violino di Gennaro Gagliano, costruito a Napoli nel 1760. In occasione delle Colombiadi del 1992 ha avuto l’onore di tenere un concerto con il violino di Paganini, il Guarneri del Gesù detto “Il Cannone”. Ogni anno, nell’ambito del progetto Bottega Tartiniana, suona l’Amati appartenuto a Giuseppe Tartini in un concerto presso la casa natale del grande musicista, a Pirano d’Istria.

Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino


Roberto Prosseda ha recentemente guadagnato una notorietà internazionale in seguito a una serie di registrazioni dedicate a capolavori e musiche inedite di Felix Mendelssohn, unanimemente elogiata dalle più autorevoli riviste specializzate («American Record Guide», «Fanfare», «Diapason», «Fono Forum», «Amadeus»). Nella stagione 2006/2007 è stato protagonista del “Mendelssohn discoveries tour”, una serie di concerti in Europa, Cina e America, in sale come Wigmore Hall di Londra, Philharmonie di Berlino e Gewandhaus di Lipsia, in cui ha presentato più di quindici brani di Mendelssohn in prima esecuzione assoluta. Nato a Latina nel 1975, ha intrapreso gli studi di pianoforte con Anna Maria Martinelli e Sergio Cafaro. Alla sua formazione hanno contribuito Dmitri Bashkirov, Leon Fleisher, Alexander Lonquich, William Grant Naboré, Boris Petrushansky, Franco Scala, Charles Rosen, Karl Ulrich Schnabel, Fou Ts’ong, docenti con cui ha studiato presso l’Accademia Pianistica Internazionale di Imola “Incontri col Maestro”, l’International Piano Foundation e ai corsi di Sermoneta. Si è affermato in vari concorsi internazionali (“Micheli” di Milano, “Casagrande” di Terni, “Schubert” di Dortmund, “Mozart” di Salisburgo). Ha suonato come solista con la Filarmonica della Scala, la Gewandhausorchester di Lipsia, la Mozarteum Orchester di Salisburgo, l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, i Berliner Symphoniker, la New Japan Philharmonic, la Moscow State Philharmonic, la Bruxelles Philharmonic. In Italia ha tenuto concerti per il Teatro alla Scala, l’Orchestra Verdi e le Serate Musicali di Milano, l’Accademia Filarmonica Romana, il Teatro la Fenice di Venezia, il Maggio Musicale Fiorentino e gli Amici della Musica di Firenze, l’Unione Musicale di Torino, il Teatro Comunale di Bologna, il Festival Pontino, il Festival Pianistico di Bergamo e Brescia, la Biennale di Venezia. Oltre a quelle di Mendelssohn, ha inciso tutte le opere pianistiche di Petrassi e Dallapiccola e un album chopiniano di grande successo. Fra i suoi impegni più recenti vi sono concerti come solista nella stagione sinfonica della London Philharmonic e della Gewandhausorchester diretta da Riccardo Chailly, con cui ha registrato l’inedito Concerto in mi minore di Mendelssohn pubblicato nel settembre del 2009.


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