COME È PROFONDO IL NERO BARONCIANI, GILLIAM, CARDANA E FERRACCI: STORIE E VISIONI TRA REALTÀ E FANTASIA
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BorgoBlu nasce nel 2005 da un'idea del titolare che dopo 10 anni di esperienza nel settore delle piscine e degli impianti sportivi, decide di investire in un’azienda per la realizzazione di spazi esterni. La prospettiva è quella di inserirsi nel mercato con una specializzazione di architettura del paesaggio per offrire al cliente un servizio chiavi in mano, seguendo ogni fase lavorativa. BorgoBlu realizza: piscine fuori terra, interrate prefabbricate o in cemento armato, idromassaggio, sistemazione del giardino dall'impianto irriguo e di illuminazione; dal laghetto artificiale alla fontana fino ad arrivare all'arredo, i gazebo, gli ombrelloni, i pergolati. L’azienda si occupa anche del settore sportivo con progettazione e realizzazione di impianti chiavi in mano: campi da tennis, calcetto, calcio, bocce, con superfici sia in resine acriliche che con erba sintetica e fornisce attrezzature per ogni tipo di sport ed arredi per spogliatoi. Ormai lontana dall’immaginario comune di bene di lusso, la piscina è oggi un desiderio realizzabile. Se lo spazio lo consente, le soluzioni sono davvero molte e per tutte le tasche.
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L'EDITORIALE del DIRETTORE | ANDREA LUCCIOLI
La verità, vi prego, sulla E45. E sulla nostra sicurezza. The Mag è una rivista che non fa cronaca, se non in minima parte. La nostra è una scelta editoriale precisa e voi che ci conoscete da tempo lo sapete. Motivo per cui un editoriale del direttore dovrebbe parlare di altro. E invece no. Questa volta qualche riga va detta su questa faccenda brutta che, oltre ad aver tagliato in due l’Italia generando quotidianamente danni per milioni di euro all’economia, ha messo allo scoperto le nostre fragilità, le nostre paure. Per fragilità penso alle infrastrutture dai piedi d’argilla di questo Paese che un giorno si indigna di fronte ai crolli e quello dopo ha già dimenticato tutto. Le paure, invece, sono quelle di sempre: chi, transitando lungo viadotti della E45 che dall’Umbria arrivano in Emilia, non ha avuto la percezione di qualcosa di vetusto, scarsamente manutenuto? Di opere, insomma, che stanno perdendo la sfida col tempo. E allora che sia fatta chiarezza. In primis tra Procura e Anas. Perché vi assicuro che una delle cose peggiori riguardo la chiusura del viadotto Puleto è stata questa pseudo guerra di perizie tecniche contrapposte. Con da una parte c’è la magistratura che ha messo i sigilli e ci ha detto chiaramente che quel viadotto è a rischio collasso immediato. Dall’altra, invece, Anas che ha fornito una versione diametralmente opposta. Il viadotto non è a rischio, al massimo possiamo evitare di farci transitare i mezzi pesanti. Delle due una. Come è possibile che su un dato tecnico che dovrebbe essere acclarato o quantomeno verificabile in tempi brevi ci sia un rimpallo del genere? L’unica cosa che ho capito di questa vicenda, alla fine, è che tutto ciò, in un Paese civile o che vuole essere tale, è semplicemente inaccettabile. Sperando in buone nuove a breve, in questo numero di The Mag abbiamo deciso di mostrarvi “l’altra E45”, ovvero una strada fatta anche di storie, di paesaggi mozzafiato e molto altro. Esperienze, asfalto e sguardi su un mondo che quotidianamente vive parallelamente alle nostre città. I ragazzi del Centro Fotografico Tifernate ci hanno svelato in anteprima e in esclusiva l’eccezionale materiale che andrà a comporre la mostra che aprirà i battenti il 2 marzo a Città di Castello. Un’esposizione da non perdere, ora più che mai. E poi abbiamo incontrato e intervistato quel genio del cinema mondiale che porta il nome di Terry Gilliam. Il regista americano ha presentato a Montone la sua ultima fatica, un “infinito” Don Chisciotte. Abbiamo fatto anche due chiacchiere con Alessandro Baronciani, l’illustratore cult di tutta una generazione di giovani e meno giovani che ha presentato al Cinema Metropolis “Negativa”, una graphic novel dalle tinte horror. Non vi svelo le altre sorprese, vi anticipo solo che nelle prossime pagine troverete anche Banksy e la storia di una ragazza che ha disegnato l’Infinito di Leopardi. Ci risentiamo tra due mesi, sperando che nel frattempo nessuno abbia giocato sulla nostra pelle. Saluti.
The truth, please, about the E45. And about our safety.
The Mag is not a magazine that does news, if only to a small degree. Ours is a decisive editorial choice and if you know us, you know this well. And this is why the director’s editorial should talk about something else. But actually, not this time. This time, there are a few words that need to be said about this ugly matter that, besides cutting Italy in half causing daily damage worth millions of Euros to the economy , has unveiled our frailties and fears. By frailties I mean the shaky infrastructure in this country, that one day causes outrage towards these collapses and the very next day has forgotten everything. The fears, on the other hand, are those of always: who, passing along the E45 viaducts which go from Umbria into Emilia Romagna, hasn’t had the perception that it is outdated and badly maintained? Of structures, in short, losing the battle with time. Then there needs to be transparency. First and foremost between the state prosecutor and Anas. Because I assure you that the most annoying thing about the closure of the Puleto viaduct has been this pseudo-war of conflicting technical opinions. On one side the legal authorities sealed it off and clearly stated the viaduct to be at immediate risk of collapse. On the other side, Anas, instead, has provided us with a dramatically opposing version, saying the viaduct is not a risk, as long as we avoid heavy loads using it. Which one is it? How is it possible that with a technical matter that should be a proven fact or at the very least verifiable in the short term , information is being bounced around like this? The only thing I know is that all of this, in the end, in a civil country, or one which would like to be, is simply unacceptable. Hoping for good news soon, in this issue of the Mag we have decided to show you “the other E45”, a road steeped in history, with breathtaking landscapes, and much more. Experiences, tarmac and glances at a world that day by day lives parallel to our cities. The guys from the Tifernate photographic centre have given us an exclusive preview of the exceptional material we will find in the exhibition due to open on the 2nd of March in Città di Castello. An exhibition not to be missed, now more than ever. And then we met with and interviewed the great cinema genius that goes by the name of Terry Gilliam. The American director was in Montone to present his latest work, "the 'limitless' Don Chisciotte". We also had a chat with Alessandro Baronciani, the cult illustrator for an entire generation of young, and not so young, people, who presented "negative" at the metropolis cinema, a graphic novel with shades of horror. I won't reveal any other surprises, but I will tell you that over the next few pages you'll also find Banksy and the story of the girl who drew the "Infinito di Leopardi". I'll be back in two months’ time, hoping that in the meantime there won't be any more role playing at our expense. Regards.
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Cristina Crisci
Lucia Fiorucci
Maria Vittoria Malatesta Pierleoni
Luca Benni Matteo Cesarini
Architetti Altotevere
Simona Polenzani
Christy Mills
Carlotta Cardana
Febbraio/Marzo 2019
Direttore Responsabile Andrea Luccioli
David Ferracci
Lorenzo Martinelli
Luca Marconi
50 Reportage
Banksy e Icy & Sot sotto lo stesso tetto
66 Reportage
E45 la grande via Alessandro Baronciani
Francesca Ballarini
Centro Fotografico Tifernate
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INFO & CONTATTI
Anna Chiarella
Emanuele Vanni Illustrazione di Copertina: Alessandro Baronciani
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pubblicità Simona 389 05 24 099 redazione info@the-mag.org www.the-mag.org Data pubblicazione: Febbraio 2019 - rivista bimestrale - N°38 Grafica, fotografia e impaginazione: Moka comunicazione, via Cacciatori del Tevere, 3 - Città di Castello (PG) P. IVA 02967110541 - mokacomunicazione.it Stampa: Litograf Editor S.r.l. - Via C. Marx, 10 06011 Città di Castello (PG) P. IVA 02053130544 Editore e Proprietario: Moka comunicazione Direttore Responsabile: Andrea Luccioli Traduzioni: Christy Mills Iscrizione al Tribunale di Perugia: n. 20/12 del 27/11/2012. Questo numero è stato chiuso il 2 febbraio 2019 alle 10:00
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Terry Gilliam
I miei sogni ben piantati sulla terra
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Carlotta Cardana
Uno sguardo curioso sulle sottoculture conteporanee
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Alessandro Baronciani Ribelliamoci alle nostre ombre
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Graziano Scarabicchi
Sono un attore camaleontico
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L'INTERVISTA
I miei sogni ben piantati sulla terra Testo Andrea Luccioli - Illustrazione David Ferracci
Dovrebbe essere un’esperienza veramente incredibile fare un viaggio nella testa di Terry Gilliam. 18
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L'INTERVISTA
Il regista di Minneapolis, in quaranta anni di carriera, ci ha abituato a pellicole di enorme impatto visivo dove l’immaginazione si lega alla realtà creando mondi affascinanti. E a volte bizzarri. Ma questo lo sanno un po’ tutti. O almeno lo sanno tutti quelli che hanno un minimo di dimestichezza con il cinema di Gilliam. Quello che molti non sanno, invece, è che il regista è cittadino onorario di Montone, qui ha una residenza e vi passa buona parte del suo tempo. Gilliam presidente onorario dell’Umbria Film Festival, ogni tanto si diverte a regalare qualche sorpresa. Come quella del 4 gennaio, quando ha presentato
a l teatro S a n Fedele di Montone il suo ultimo lavoro: “L’uomo che uccise Don Chisciotte”. Il film – molto acclamato a Cannes - è liberamente ispirato al “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes ed è uno dei più grandi development hell della storia del cinema: sono stati addirittura otto i tentativi di realizzare la pellicola in circa 20 anni.
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Il risultato? Da vedere. Anche perché in questo numero di The Mag non vogliamo fare la recensione al film, ma vogliamo parlare di Gilliam… con Gilliam.
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L'INTERVISTA
sia la tensione tra queste due cose a creare uno storytelling interessante».
A margine della prima proiezione di Montone (poi replicata al PostModernissimo di Perugia), siamo infatti riusciti ad intervistare il regista ed ex membro dei Monthy Python (l’unico americano del collettivo comico britannico che spopolò negli anni ’70) e ovviamente come prima domanda non potevamo non chiedergli se si sentisse più Don Chischotte o Sancho Panza. «Pensavo di essere più simile a Don Chischotte, ma Tony Grisoni, che ha scritto con me la sceneggiatura del film, è convinto che io assomigli di più a Sancho Panza. Con tutta probabilità sono entrambi. Perché il punto è che nel personaggio di Don Chischotte convivono due persone: l’uomo pazzo e il contadino con i piedi per terra. Ecco, io sono entrambi». Nei suoi film c’è sempre questo stretto rapporto tra fantasia e realtà, li ritroviamo entrambi, contemporaneamente. «Perché penso che non si possa avere l’uno senza l’altro. Ho sempre amato essere un sognatore. Mi piace fantasticare sulle cose, ma non per questo voglio volare via dalla realtà. Credo che 22
Il film ha avuto una gestazione lunghissima, trasferte in Spagna, infortuni, stop e ripartenze, quante volte lo ha cambiato nel corso degli anni? «È cambiato in tanti piccoli modi andando avanti nella lavorazione. Perché, vedi, hai una sceneggiatura, hai un progetto e poi il vento cambia: arriva qualcuno che viene fuori con una nuova idea che mi piace e io la inserisco. Però alla fine arriviamo sempre allo stesso risultato che stavo cercando di raggiungere. Diciamo che invece che seguire una linea retta ho seguito una linea ondulata». Come ha scelto gli attori per un film di questo genere? «Non lo so. Io cerco sempre di ottenere il meglio che riesco a trovare. Voglio i migliori attori perché in questo modo non devo dirigerli, fanno loto tutto il lavoro! (Ride, ndr). Ecco perché mi piace lavorare con attori bravissimi, perché portano un grande valore aggiunto a quello che abbiamo scritto. E poi si spera sempre che siano persone con le quali sia divertente lavorare perché ognuno deve concentrarsi su quello che si fa senza che questo diventi pedante, noioso o difficile».
Molti americani scelgono la Toscana, lei perché ha preferito l’Umbria? «L’Umbria era più economica della Toscana, ecco perché l’abbiamo scelta (ride, ndr). Quando ero impegnato nelle lavorazioni del ‘Barone di Munchausen’, un amico dello staff mi disse: Oh, abbiamo appena comprato una casa in Umbria, lì costano pochissimo, dovresti andare a darci un’occhiata. Così sono andato, qualche anno dopo ho trovato qualcosa che mi piaceva e l’ho comprata!».
Cosa le piace degli umbri? «Le persone in Umbria sono stupende! Questa terra mi piace perché le persone sono molto generose, sono molto rilassate e questo è fantastico. La cosa peggiore? Ehm… è vicina alla Toscana! (ride, ndr). Quando guido per andare a Firenze e arrivo a Castiglion Fiorentino, guardo fuori e penso: qui è un deserto! In Umbria invece è tutto verde e bello. È veramente buffo, sono diventato rapidamente italiano in questo senso: tutti quelli che non sono delle tue parti diventano stranieri e nemici! (ride ancora, ndr)».
IL SINDACO RINALDI: "UN GRANDISSIMO PIACERE AVERLO CON NOI A MONTONE" Essere il sindaco di Terry Gilliam non è una cosa che capita tutti i giorni. Mirco Rinaldi, primo cittadino di Montone, ha tra i suoi concittadini un personaggio decisamente insolito: il regista americano. Gilliam, infatti, ha ricevuto le chiavi della città, è cittadino onorario ed è diventato, in pratica, un fantastico testimonial della bellezza della splendida cittadina tifernate. Se il suo “Don Chisciotte” è stato proiettato per ben tre volte al teatro San Fedele e poi al PostModernissimo di Perugia è anche grazie all’impegno del sindaco: «Volevamo farlo già la scorsa estate, ma poi ci sono stati degli intoppi – spiega – Alla fine ci siamo riusciti questo inverno ed è stata una specie di grande festa che gli abbiamo organizzato». Tre pienoni e grande soddisfazione, «avessimo fatto un’altra serata avremmo riempito lo stesso – continua Rinaldi -. È stato un momento bellissimo per tutta Montone e anche per Gilliam che se ne è uscito a modo suo dicendo sul palco che abbiamo fatto più noi per la promozione del film che la società che lo distribuisce nei cinema italiani!». Il regista americano ha diradato le sue apparizio-
ni umbre, ma incontrarlo non è poi così difficile, «per il festival c’è sempre, magari adesso viene un po’ di meno rispetto a qualche anno fa, ma ogni volta per tutti noi è un piacere averlo qui». Curiosità. Don Chisciotte per Gilliam – e non solo per lui – è una specie di ossessione. Nel 2013 il regista, parlando di questo progetto, diceva: “Lo voglio fare per farlo fuori dalla mia vita. Sono diventato posseduto dalle mie idee, e fino a quando avrò una catarsi queste rimangono e rosicchiano ogni parte della mia vita”.
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Tradizionale modernitĂ Testo di Lucia Fiorucci Arredi: Meozzi Mobili Interior design: Ark Project Camaiti&Cangi Foto: Riccardo Mendicino
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Vittoria e Riccardo si sono trasferiti nella “casa vecchia” dopo il loro matrimonio lo scorso agosto. Veniva chiamato così da sempre, questo casolare nella Valtiberina Toscana, di proprietà dei nonni di lui. La porzione recuperata, in particolare, era utilizzata all’epoca come cantina e rimessa. Dal 2013 Riccardo, geometra di professione presso la società Ark Project Camaiti & Cangi, ha iniziato i lavori di recupero quasi per divertimento e passione. Poi è arrivato il momento, invece, di concretizzarli e insieme con Vittoria hanno dato vita nuova a questa “casa vecchia”, che ora profuma tanto di famiglia e tradizione.
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"L’utilizzo delle resine per alcuni pavimenti e l’installazione dell’impianto domotico, hanno dato un’aria di modernità e freschezza all’appartamento" 28
I caratteri architettonici tradizionali sono stati mantenuti grazie al recupero dei solai in legno e dei pavimenti in cotto. Poi l’utilizzo delle resine per alcuni pavimenti e l’installazione dell’impianto domotico, hanno dato un’aria di modernità e freschezza all’appartamento. Anche gli arredi seguono questa dicotomia antico e moderno. Infatti nella zona giorno, vicino all’antica madia in legno c’è la cucina Modulnova praticissima, dalle linee decise e moderne. Così come il divano Freemood di Désirée, grandissimo e molto comodo, vicino a delle poltroncine di legno di un vecchio cinema di chissadove. In camera da letto, la parete a cornici dorate sopra al letto che rimanda a qualcosa di antico e remoto, dialoga perfettamente con l’armadio Flat di Caccaro lineare e geometrico posto proprio di fronte.
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Traditional Modernity text by Lucia Fiorucci forniture Meozzi Mobili interior design: Ark Project Camaiti&Cangi photo: Riccardo Mendicino
Vittoria and Riccardo moved to the ‘old house’ after their wedding last August. It had always been called this, the farmhouse in the Upper Tiber Valley of Tuscany, property of his grandparents. The restoration part, in particular, had been used at that time as a wine cellar and storage space. Since 2013 Riccardo, professional surveyor with Ark Project Camaiti & Cangi, followed the work of restoration almost just for fun and for passion. Then the moment arrived instead where it actually happened and together with Vittoria they gave new life to the ‘old house,’ which now smells much like family and tradition. The traditional architectural character was maintained thanks to the restoration of the wooden attic beams and the floors in terra-cotta tile. Then the use of resin for some of the flooring and the installation of a home automation system, gave a modern vibe and a freshness to the apartment. Even the furnishings follow this dichotomy of antique and modern. In fact, in the living area, near the antique wooden kitchen cupboard, there is a very practical Modulnova kitchen, of decisive and modern lines. Like the Freemood by Desiree sofa, very large and comfortable near some old cinema wooden armchairs from who-knows-where. In the bedroom as well, the wall with gilded framing above the bed which recalls something antique and far away, goes perfectly with the linear and geometric Flat by Caccaro wardrobe, which stands right in front of it.
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OCCHIO DEL CURIOSO
NOTE TO THE CURIOUS
Nell’intervento di recupero Riccardo e Vittoria hanno dato importanza alla memoria storica della casa dei nonni. Oltre al recupero dei pavimenti e dei solai lignei, infatti, non mancano soglie in pietra serena con qualche incisione, o elementi della tradizione rurale toscana, come la piccola pala del mulino ad acqua. È stato recuperato anche un piccolo altare a cui ci si arriva grazie ad una scalinata in pietra, e un bellissimo lavatoio sempre in pietra serena. Durante i lavori, poi hanno trovato una romanticissima pianella con un cuore disegnato. E ora fa da regina al centro del solaio.
In the restoration work, Riccardo and Vittoria gave importance to the historical memory of the grandparents’ house. Besides the restoration of the flooring and attic beams, the threshold in grey sandstone with some incisions or elements of rural Tuscan tradition, like a small shovel from the water mill. A small altar was recovered as well, to which you can arrive thru a stone staircase and a beautiful sink again in grey sandstone. During the work they found a romantic tile with a heart designed on it. And now it resides as queen at the center of the attic.
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la mia nuova avventura al Ristorante Garden
lo chef Marco Bistarelli
Abbiamo incontrato lo chef Marco Bistarelli, che da circa un anno è alla guida del nuovo Ristorante Garden: nuovo nella forma e nella sostanza visto che bar, sala e cucina sono stati completamente rinnovati per adattarsi alla creatività dello chef e per soddisfare al meglio le esigenze dei clienti. Tra le innovazioni però, forse la più importante è quella che riguarda il mondo del wedding: tantissimi servizi personalizzati dedicati ai futuri sposi, partendo dal menu all'allestimento della sala fino ad arrivare a musica, fotografia, abiti, trucco, capelli, confettata e tanto altro, per rendere il giorno più importante davvero unico e indimenticabile.
A tutto questo aggiungiamo un team di professionisti del wedding: Francesca e Chiara, insieme allo Chef Marco Bistarelli, al maître Serafino e a tutto lo staff in sala accolgono le coppie e le accompagnano in tutti gli step necessari per arrivare al matrimonio, consigliandoli al meglio e curando tutti i dettagli. La struttura, inoltre, è pensata per adattarsi a tutte le situazioni: lo splendido spazio esterno con piscina, veranda e giardino è la cornice perfetta per la bella stagione ma in caso di maltempo nessun problema: la sala interna può ospitare fino a 280 persone. Come ultimo punto, vorremmo spendere due parole sulla cucina; pulizia ed eleganza sia nella presentazione che nella scelta degli ingredienti sono le parole chiave che meglio
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Vista da Palazzo Nardi
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a cura di Architetti nell’Altotevere Libera Associazione
Punti di vista L’acropoli della città del castello
SGUARDI
Alla fine è sempre lei. Città di Castello. Da qualsiasi punto di vista la si osservi, la sua immagine è riconoscibile a chiunque e da ogni punto della nostra bellissima vallata. Ad occhi chiusi ne sapremmo ridisegnare il profilo, scandito dal ritmo preciso della posizione della torre civica, del campanile rotondo, della cattedrale e del municipio.
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Vista da via dell'Ariento
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Vista da Colle Plinio
Ed infatti la “città del castello” nasconde un'acropoli da cui emergono gli elementi principali della sua caratterizzazione territoriale più forte. Il campanile rotondo (sec.XI-XII), la cattedrale (sec. XI- XVI), la torre civica (sec.XIII), il municipio (sec.XIV) sono alcuni degli edifici che la incoronano. Ed essa, probabilmente, è stata la vera ragione di insediamento della città in questo punto preciso della valle del Tevere: una lieve altura in vicinanza di un guado sul fiume, ma ad una quota al riparo dalle sue furie e nello stesso tempo non troppo distante da altre fonti idriche alternative come i due bacini della Scatorbia, quello naturale e quello segreto, cioè separato. Attorno ad essa sembra essersi riallestito in forma di arroccamento quanto rimaneva della città all'indomani delle distruzioni operate dai barbari nel corso del VII secolo e lo storico tifernate Ascani prova a ricostruirlo descrivendo un nucleo urbano dotato di una piazza principale, due decumani, via inferior e via superior e quattro porte nella cinta muraria, rispettivamente porta del Vingone a nord, porta del Ceretolo a est e le due a sud chiamate del Garliano e di San Basilio, quest' ultima di ingresso al cardo. Nella parte più elevata dell'acropoli colloca quel che rimane del tempio romano legato alla figura di Plinio il giovane. Alcuni sostengono che il tempio fosse dedicato alla Felicità, divinità intensamente umana, anche in ragione del nome di Castrum Felicitatis che la città ha avuto per un certo lasso di tempo, a che la sua collocazione sia stata parzialmente coincidente con l'attuale cattedrale.
Vista dal Monte Penna
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Vista da Monte Urbano, nei pressi di San Donnino
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In effetti c'è da osservare che questa porzione di acropoli risulta ben visibile dalla località di Villa Plinio dove era collocata la residenza del celebre romano. Ma una ulteriore suggestione sull'insediamento tiberino si manifesta se li si osserva dalle pendici della Massa Trabaria da cui lo si vede al centro della valle su cui domina la perfetta geometria piramidale di Monte Acuto. In qualche modo si percepisce il senso di questa collocazione nella correlazione con le popolazioni umbre a cavallo di entrambi i lati dell'Appennino, e torna in mente, facendo sorridere per le abitudini balneari odierne, la traduzione del vocabolario di latino di Fanum Fortunae: città marittima dell'Umbria.
Vista dalla collina di Fontecchio
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Vista da Bocca Trabaria, appena sopra San Giustino
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"[…] vicino alla mia proprietà c'è una città, chiamata Tiferno Tiberino, che mi ha eletto patrono fin quasi da bambino. Essa festeggia i miei arrivi con molto più affetto che calcolo, si rammarica delle mie partenze e si felicita per i miei successi. Qui io, per ricambiare i favori, poiché in amore essere superati è indegno, ho costruito con le mie finanze il tempio la cui consacrazione, essendo stato completato, sarebbe empio rimandare più a lungo. Sarò pertanto lì il giorno della dedicazione che ho stabilito di festeggiare con un banchetto." Plinio il Giovane, all’amico Fabato
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REPORTAGE
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Banksy e Icy & Sot sotto lo stesso tetto Siamo andati a dare uno sguardo alla mostra con le “rockstar� della street art antisistema al Moco Museum di Amsterdam 51
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Se c’è una “rockstar” della pop art “impegnata” di questi anni Duemila, questa è sicuramente Banksy. Un artista che non necessita di grosse presentazioni, anche perché nessuno sa chi sia realmente al di là delle voci che lo individuerebbero in Robert Del Naja, membro dei Massive Attack. Banksy ha generato molte influenze negli artisti della sua generazione e con tutta probabilità il miglior prodotto di questa cultura della street art “antisistema” è il duo iraniano Icy & Sot. Due giovani artisti e fratelli nati nel 1985 e nel 1991 a Tabriz e consacrati definitivamente al grande pubblico dopo il loro approdo a Brooklyn, New York. Bene, c’è un posto ad Amsterdam dove fino a qualche giorno fa è stato possibile trovare, sotto lo stesso tetto, sia Banksy che Icy & Sot. Parliamo del Moco, il Modern Contemporary Museum di Amsterdam che si trova all’interno di Villa Alsberg, casa padronale dei primi del 1900 che sta nella zona di Museumplein, in centro. Uno spazio prezioso per tutti gli amanti 53
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dell’arte moderna e che ospita numerosi capolavori di artisti molto famosi degli ultimi decenni. Curiosità, a progettare il Moco è stato Eduard Cuypers, cugino di Pierre Cuypers, l’architetto del famoso Rijksmuseum, dove, per intenderci, potete trovare la “Ronda di notte” di Rembrandt. Ma torniamo al Moco. Noi di The Mag siamo andati a dare uno sguardo e ci siamo letteralmente persi in uno spazio delizioso che custodisce opere eccezionali. Iniziamo da Banksy. Nel museo sono stati esposti una cinquantina di opere tra pezzi originali e materiale recuperato da edifici demoliti. Ci sono i grandi classici iconici che hanno trasformato l’artista in un vero e proprio fenomeno mondiale: Laugh Now, Barcode, Girl with Balloon, Kids on Guns, Pulp Fiction, Flower Thrower, Monkey Queen, Kate Moss, Bomb Hugger, Soup Can e via dicendo. Centro della mostra l’enorme dipinto Beanfield. Cosa dire su Banksy? Poco. Di lui si sa tutto tranne la sua identità. I suoi pezzi sono comparsi via via in diverse città, Londra in primis, e proprio nella capitale inglese ci sono mappe che segnano dove andare per trovare i suoi pezzi. La mostra, divisa su quattro livelli, offre tantissimi spunti di riflessione grazie ai messaggi contenuti nelle opere di Banksy che, a ben vedere, vengono ripresi e amplificati al piano inferiore dai pezzi di da Icy & Sot. Il duo iraniano, infatti, ha da sempre legato il nome a interventi di arte urbana nei quali si affrontano temi come i diritti umani, la giustizia ecologia, le questioni sociali e le politiche internazionali. In Iran le 56
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opere dei due fratelli – realizzate con la tecnica dello stencil - sono addirittura vietate. Nonostante le difficoltà incontrate, il duo continua comunque la sua opera di rappresentazione della società iraniana in tutte le sue contraddizioni e ampia il suo sguardo parlando di temi internazionali come l’oppressione, la libertà, la guerra, i sogni. I due fratelli hanno diverse mostre attive a New York e lo scorso anno sono stati protagonisti di un’azione artistica a Wall Street quando hanno piazzato un gigantesco biglietto da un dollaro accartocciato nel financial district della Grande Mela come protesta contro il capitalismo. La mostra di Icy & Sot al Moco è terminata qualche giorno fa, mentre l’esposizione di Banksy è stata prolungata. Nel museo è comunque possibile trovare pezzi di Warhol, Basquiat, Haring, Koons, Kusama, Hirst e una stanza in 3D dedicata a Roy Lichtenstein. Ad affiancare Banksy, nelle prossime settimane, saranno invece le opere di Daniel Arsham. Cos' è
MOCO MUSEUM di Amsterdam Il museo Moco si propone di portare l’arte moderna e contemporanea al pubblico con un concetto originale. Dal 2016, l’anno in cui ha aperto i battenti, il Moco espone le opere iconiche di artisti riconosciuti a livello internazionale. La collezione è costituita da lavori d’arte moderna e contemporanea, con una raccolta unica dell’artista di strada Banksy. https://mocomuseum.com/it/
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E45 LA GRANDE VIA Testo Maria Vittoria Malatesta Pierleoni
Il prossimo 2 marzo verrà inaugurata presso il Quadrilatero di Palazzo Bufalini di Città di Castello la mostra fotografica “E-45 La grande via”. Si tratta di 280 scatti di storia, paesaggi e quotidianità che guideranno lo spettatore in un viaggio fotografico su un argomento ora più che mai attuale. 66
guarda il video
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La mostra, visitabile fino al 17 marzo, è il risultato di un anno e mezzo di lavoro dei soci del Centro Fotografico Tifernate coordinata dal suo fondatore Enrico Milanesi e dal presidente Chiara Burzigotti da cui ci siamo fatti raccontare qualcosa di più su questo progetto. Com’è nata questa iniziativa? Enrico – «Il progetto è nato come impegno fotografico per stimolare i soci a lavorare non sulla singola fotografia ma sviluppando un “impegno a lungo termine”. La E45 è un universo, quindi è necessariamente stata circoscritta in un range di 80 chilometri che vanno da Verghereto a Umbertide. Oggetto d’interesse non è stata solo la strada in quanto infrastruttura ma anche la vita intorno a quest’arteria e le miriadi di situazioni intorno». Perché farla proprio in questo momento? Enrico – «Abbiamo lavorato per circa un anno, singolarmente e in gruppo, portando avanti di volta in volta piccoli obiettivi geografi68
ci che potevano spaziare dalla vita dei camionisti, problematiche stradali, le varie stazioni di servizio… Il materiale è man mano aumentato a livello quantitativo e abbiamo sentito l’esigenza di chiudere, almeno momentaneamente, questa ricerca fotografica. Questa mostra avrà sicuramente un seguito perché non abbiamo sviluppato in modo completo tutte le tematiche». Chiara - La nostra è stata una ricerca sul territorio. Siamo tutti spettatori non osservanti della realtà che ci circonda e ci premeva focalizzare l’attenzione su tutto quello che sfugge agli occhi dei più. Siamo partiti dal paesaggio intorno alla E45 che non ha nulla da invidiare alle altre Regioni, un patrimonio da
mostrare e tutelare. Abbiamo indagato il quotidiano, siamo entrate nelle case di chi lì ci vive che ci hanno mostrato le loro realtà per poi ritrarre anche le attività commerciali, industrie e negozi espandendoci poi verso le aree di sosta della superstrada dove abbiamo incontrato trasportatori e viaggiatori. A questo proposito, qual è il rapporto che è emerso tra la strada e chi la frequentate e vive lì? Chiara – «Agli occhi di un esterno vivere in una strada così trafficata potrebbe apparire come un elemento disturbo. Chi abita vicino al serpente stradale accusa problematiche legate all’inquinamento acustico, dovuto specialmente al
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passaggio dei camion le cui vibrazioni entrano addirittura in casa. Frequenti le lamentele e le richieste di barriere acustiche che però non sono mai state soddisfatte”. Tra le tante storie raccontate, ce n’è qualcuna che vi ha colpito in particolare? Enrico – «Da approfondire sicuramente sarà quella legata alla vita dei camionisti. Sono attori con delle storie incredibili dietro. Molti sono stranieri provenienti da Paesi dell’Est. Si tratta di gente che vive dentro il camion che diventa a tutti gli effetti una casa, con telefono, antenna satellitare, cucina,letto… E grande voglia di comunicare. Sono stati estremamente disponibili a collaborare con noi 72
per questa Mostra. Sarebbe interessantissimo creare una mostra specifica di questo mondo, anche uscendo dall’E45!» È stato difficile, a livello organizzativo, mettere insieme tanti punti di vista diversi su una stessa prospettiva? Enrico – «Oltre all’impegno materiale di realizzare una mostra, l’obiettivo più grande è quello di fare gruppo e di stare insieme. A livello di Associazione è estremamente importante avere un gruppo coeso che tramite la passione della fotografia, una sorta di cuore pulsante porta con sé il reciproco confronto e la condivisione, basi sulle quali stringere anche una bella amicizia. Questa linea, a più riprese, ha dato i
suoi frutti nel tempo, siamo presenti come Associazione nel territorio da ormai 40 anni». Chiara – «Uno degli obiettivi dell’Associazione è sempre stato anche quello di rendere partecipi di più persone possibili. Chiunque abbia avuto il desiderio di esprimersi fotograficamente in questa mostra ha avuto il suo spazio, in base all’impegno offerto. Del resto, il gruppo riesce a valorizzare il lavoro di ogni singolo. Anche nel caso di questa Mostra, il lavoro di tutti ha dato un risultato importante a livello organizzativo e di qualità di materiale fotografico». Alla luce degli ultimi terribili fatti di cronaca, può una mostra di
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questo tipo fare da motore per sensibilizzare comunità ed Istituzioni a livello si sicurezza ed infrastrutture? Chiara – «Sicuramente sì. Per questo motivo abbiamo voluto raccontare fotograficamente il periodo in cui stavano avvenendo i lavori di riqualificazione del manto stradale. L’Anas è stata molto collaborativa con noi: ha accolto positivamente la nostra richiesta di entrare dentro i cantieri e viaggiare con i loro mezzi per poter documentare la realtà di quello che stava accadendo. L’aspetto della sicurezza verrà sicuramente fuori guardando la Mostra e per dargli ancora più spazio ci piacerebbe affiancarle un convegno per poter parlare in modo più approfondito dell’argomento».
Mentre chiudiamo in redazione questo numero di The Mag, la Procura di Arezzo sta decidendo il futuro del viadotto Puleto della E45. Le voci in questi giorni si sono rincorse e siamo sicuri che le polemiche non si fermeranno a prescindere dalla decisione della magistratura. Dalla sua parte Anas continua a chiedere la riapertura, magari condizionata, del viadotto che, a quanto sostiene la socità, non presenterebbe particolari criticità. L’assessore regionale ai Trasporti, Giuseppe Chianella, ha auspicato a breve una soluzione: «Speriamo che arrivino novità dalla Procura. L’Anas ha spiegato che c’è bisogno di manutenzione, ma che non ci sono problema di stabilità. Chiedo una riapertura, anche se limitato. Gli effetti si tanno facendo sentire sull’economia locale».
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Siamo fatti di Storie d'Amore
Via Scipiome Lapi, 2/c - CittĂ di Castello (PG) Tel. 075 855 62 32 - info@gioielleriachiatti.it gioielleriachiatti.it seguici anche su: facebook, instagram e twitter
TRADIZIONE CONTADINA D’AUTORE Agnese, la Ghighetta di Apecchio, è tornata dopo molti anni alla gestione del Ristorante country house Dogana Vecchia aperta nel 1982. Il ristorante propone i piatti della sua tradizione, contadini e poveri, già lungamente sperimentati dalla “Ghighetta” di Apecchio. Agnese vicino a sé tiene la foto del 1975 di quando, con Ave Ninchi e Veronelli, presentò in TV il Bostrengo, un dolce povero, laborioso e montanaro, la cui ricetta si può scaricare nel video del 1975: “A tavola alle 7: il Bostrengo”. Tra i piatti della tradizione ci sono i Cugni che, in campagna, si preparavano sfruttando le parti non utilizzate dell’uovo (il tuorlo serviva per i dolci e le tagliatelle del “padrone”) e la farina che avanzava. Per il condimento recuperavano la pasta di salsiccia che rimaneva nella macchina dopo l’insaccamento cui, essendo insufficiente, si aggiungevano cotiche e fagioli. Ghighetta propone molti altri piatti della tradizione contadina: i ravioli triangolari, i cappelletti piccoli come una volta, i gnocchetti farina e granturco ai ceci, il salmì del prete, gli arrosti cotti nel forno a legna, la tagliata dei carbonai, le crostate con le marmellate fatte di frutta a metri zero e, infine, il baccalà: all’alloro, in agrodolce, in umido, al forno. LA DOGANA VECCHIA Loc. Croce di Castiglione, 47 Città di Castello (PG) Tel. 348 64 94 794 - 075 96 97 492 www.ristorantedoganavecchia.it ghighettasas@gmail.com
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LA RICETTA DEI CUGNI Per 8/10 persone Pasta: Gr 500 di farina tipo 0, gr. 150 di farina tipo 1, albume di 6 uova medie, gr. 300 di acqua. Impastare aggiungendo acqua se necessario. Stendere una sfoglia con il mattarello (o la macchina per la pasta) di spessore pari a quella delle tagliatelle. Tagliare la pasta a strisce tipo tagliatelle, larghe circa cm. 1,5. Prendere le strisce con la mano destra e con la mano sinistra strappare la pasta ogni 6/8 cm circa, in modo da formare i “cugni”. Stendere i cugni sulla spianatoia cosparsa di farina affinché non si attacchino. Cuocere in acqua bollente con una manciata di sale (q.b.). Sugo: Pasta di salsiccia gr. 300, cotiche cotte a parte e pulite dal grasso tagliate a listelli corti e fini gr. 100, Pomodori passati gr. 300, Fagioli borlotti già bolliti gr. 300, Sedano, carota,cipolla, sale e pepe q.b. Soffriggere sedano, carota e cipolla ridotti a dadini minuscoli o macinati. Appena imbiondito il soffritto, aggiungere la pasta di salsiccia e la cotica e cuocere per circa 30 minuti, quindi versare il pomodoro passato e cuocere a fuoco lento. Aggiungere i fagioli già cotti e continuare la cottura fino ad amalgamare il composto. Versare in una padella il sugo, aggiungere i cugni cotti e servire.
In collaborazione con:
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ZAFFIRO BIANCO Preziosa come la pietra da cui prende il nome,
rivestimenti, si evidenzia sul fondo bianco
la linea Zaffiro è il perfetto mix tra classico e
con delicatezza, lasciandosi intravvedere e
moderno, tra arte e funzionalità. Il motivo
sorprendere. Eleganti e funzionali al tempo
disegnato sulle superficie degli oggetti, che
stesso, le ceramiche della collezione Zaffiro
richiama alla mente i classici disegni che
sono un omaggio all’artigianalità italiana che
tradizionalmente
fonde arte ed alta manifattura.
decoravano
piastrelle
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FOTOGRAFIA
Carlotta Cardana di
Maria Vittoria Malatesta Pierleoni
È stata una delle maggiori protagoniste dell’ultima edizione del Cortona on the Move, classe 1981 di Verbania e residente Londra, dove divide il suo tempo tra lavori commissionati, viaggi e progetti personali. Stiamo parlando di Carlotta Cardana, fotografa freelance che ha risposto per The Mag ad alcune domande sui temi che indaga la sua ricerca fotografica: dalla costruzione dell’identità al senso di appartenenza e sub-culture.
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Ben and Hayley
Modern Couples, 2013. Mod sta per Modernism, sottocultura inglese degli anni Sessanta di cui le coppie ritratte sono esponenti.
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FOTOGRAFIA
Louise Ellman
Ritratto di Louise Ellman, parlamentare per Liverpool Riverside, per 209Women, una mostra dedicata a celebrare i 100 anni dal voto delle donne, immortalate da altrettante fotografe britanniche o residenti in UK.
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Frederick Forsyth
Ritratto dello scrittore britannico, 2016. Commissionato per una rivista francese
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FOTOGRAFIA
Matt and Fay
Modern Couples, 2013. Mod sta per Modernism, sottocultura inglese degli anni Sessanta di cui le coppie ritratte sono esponenti.
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Come ti sei avvicinata alla fotografia? E quando hai deciso di farne una professione? «Ho iniziato a fotografare quando ero una ragazzina, ho chiesto la mia prima macchina fotografica per il mio tredicesimo compleanno. Mio padre e mio zio erano appassionati di fotografia. Quindi in un certo senso è sempre stata in casa. I miei primi scatti erano destinati a documentare i momenti della vita, quelli passati insieme con amici e parenti o le vacanze. Non l’ho considerata una professione fino a quando mi ero quasi laureata al DAMS di Torino in Teatro e Arti della Scena e ho seguito un corso di fotografia organizzato dai vari foto club. Dopo la laurea ho infatti deciso di dedicarmi alla fotografia in maniera professionale per cui mi sono iscritta all’Istituto Italiano di Fotografia e da lì ho cominciato a lavorare». Come decidi quale storia raccontare e come ti avvicini a ciò che andrai a fotografare? «C’è molta poca pianificazione all’inizio. Faccio un minimo di ricerca ma il più delle volte mi sono ritrovata davanti delle situazioni, storie o personag-
gi che trovavo interessanti e avevo possibilità di sviluppare attraverso rapporti personali. Ad esempio, il lavoro sui nativi (ndr The Red Road Project) è nato da un’amicizia ventennale con Danielle, quello sui Mod (ndr Modern Couples) perché mi ero appena trasferita a Londra ed avevano attirato la mia attenzione… e così via. Generalmente penso un po’ alle storie che ci sono nel posto in cui mi trovo al momento, a come poterle raccontare fotograficamente, a seconda anche dei temi che possono interessare alle riviste con cui lavoro e alle quali poterli poi proporre. Ad esempio, quando sono andata in Giappone ho realizzato dei commissionati ma una volta lì ho avviato dei progetti personali». Hai spesso raccontato temi legati alle comunità e alle subculture. Cosa ti affascina di questo? «Trovo molto più interessanti le cose che non sono mainstream e la persone che non si identificano, per un motivo o per un altro, alle correnti predominanti ma che sono più portate a questionare la società contemporanea. Mi attira tutto ciò che
può essere definito inusuale e fuori dal comune». È difficile entrare in questa sorta di mondi per poi svilupparne un progetto? «Dipende fondamentalmente da cultura a cultura e dall’approccio che si usa. Nel caso dei Mod, ad esempio, non era particolarmente difficile, tanto riconoscerli che avvicinarli. Sono figure che curano molto l’aspetto fisico e non hanno problemi a farsi fotografare. Tanto più si trattava di un progetto di foto a coppie ed è molto difficile in questi casi ricevere un no. Nel caso dei nativi americani invece è più complicato. Si tratta di una comunità che storicamente ha avuto un rapporto un po’ combattuto con i media e con tutti coloro che non ne fanno parte. Il fatto che io lavori con una nativa rende il processo più facile ma quando lei (ndr Danielle SeeWalker) non c’è, vedo la differenza. Comunque credo che stia tutto nell’approccio che uno ha. L’importante è essere onesti, genuini e avere delle buone motivazioni ed empatia». Ti definisci portrait and documentary photographer.
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FOTOGRAFIA
Adriana and Tomas
Modern Couples, 2013. Mod sta per Modernism, sottocultura inglese degli anni Sessanta di cui le coppie ritratte sono esponenti.
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Amanda and Jon
Modern Couples, 2013. Mod sta per Modernism, sottocultura inglese degli anni Sessanta di cui le coppie ritratte sono esponenti.
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Julian and Elijah
The Red Road Project, 2015. Il titolo indica il sentiero piĂš giusto da seguire nella vita, un concetto molto sentito nella cultura del Nativi.
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Come sei arrivata a scegliere il ritratto come mezzo stilistico preferenziale? «Per me la fotografia rappresenta un mezzo per poter conoscere nuove persone e situazioni. Il ritratto mi permette di creare una connessione con chi mi è sconosciuto e mi è sempre piaciuto questo mezzo per questo, perché ha il potere di creare una situazione molto intima». Ritieni che i tuoi lavori possano, in futuro, contribuire alla creazione di un patrimonio di memoria storica? «Forse sì, soprattutto nel caso del lavoro sui nativi americani, dove emerge l’aspetto di riportare com’è la situazione al giorno d’oggi, senza pretese fotogiornalistiche. Credo che le mie fotografie non possano essere considerate documenti nel senso classico del termine ma penso possano contribuire alla creazione di un patrimonio di memoria storica, tenendo comunque ben presente che il tutto è filtrato dalla mia esperienza. Nel caso dei nativi poi, mi sembrava necessario controbilanciare la narrativa predominante su questo tema, raccontare un altro tipo di storia».
Quanto tempo occupano i tuoi editing? Te ne occupi in prima persona? «Nel caso dei lavori commissionati è un processo molto facile e veloce e lo faccio per conto mio. Quando si tratta dei progetti personali invece è un lavoro eterno, lento e in continua trasformazione. Quando ritiro i provini a contatto dal laboratorio non faccio mai l’editing immediatamente dopo. Li metto da parte e faccio passare del tempo. Quando sono nel mio studio di Londra, appendo delle stampe sulle pareti e invito delle persone a cui li faccio vedere per poi parlarne. Tutto si svolge in maniera molto informale e mi circondo tanto di amici che di esperti di fotografia ma anche gente che non ne ha molto a che fare ma di cui rispetto l’opinione. Mi è anche capitato in passato di contattare fotografi professionisti che conoscevo per fargli vedere le mie foto ed avere una loro opinione più tecnica». Cosa vuol dire essere una fotografa italiana a Londra? «Sono finita a Londra un po’ per caso. Vivevo in America Latina, ho vissuto a Buenos Aires e Città del Messico.
Quando nel 2010 ho deciso di tornare in Europa, l’Italia era nel pieno della crisi economica, così come la Spagna. Escludendo le lingue che non parlo, ho scelto Londra pensando che mi ci sarei potuta installare più facilmente. Inoltre questa città mi è sempre piaciuta, amo la sua ampia offerta culturale e l’industria fotografica è fiorente. Per me, che sono una fotografa editoriale, ci sono molte riviste con cui posso collaborare e tanti clienti commerciali con cui posso lavorare». Torneresti in Italia? «Non è una cosa a cui sto pensando. Mi piace tornare per le vacanze e per vedere la mia famiglia ma a livello lavorativo non mi sento particolarmente incentivata». A cosa stai lavorando ora e quali sono i tuoi progetti futuri? «La mia priorità è finire The Red Road Project che è anche il motivo per cui faccio tanti viaggi in America ma contemporaneamente sto lavorando anche su dei progetti che ho avviato quando ero in Giappone e dove tornerò ad aprile».
carlottacardana.com - instagram/carlottacardana
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Graziano Scarabicchi
«SONO UN ATTORE CAMALEONTICO GLI OCCHI CELESTI? LA MIA ARMA IN PIÙ» 94
L’attore tifernate si racconta: sessanta spot televisivi per grandi marchi internazionali e un sogno nel cassetto, un ruolo da cattivo in una fiction o al cinema
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restare il proprio volto per 60 spot televisivi di grandi marchi non è una cosa per tutti. Serve preparazione e talento. Se hai due occhi celeste chiaro meglio ancora. Ditelo a Kate Winslet, la star di Hollywood che si è trovata davanti Graziano Scarabicchi - tifernate classe 1985 - e i suoi occhi inconfondibili durante lo spot mondiale della Longines. Nato a Santa Maria Tiberina, dopo le scuole superiori è andato a Milano per un percorso accademico triennale culminato con una masteclass al Piccolo Teatro di Milano. Dove lo avete già visto? L’elenco è lunghissimo. Il suo volto è finito negli spot di brand come Decathlon, Ferrero, Kia, Tim, Vodafone, Fiat, Monge, Moment, Linkem, Lube ed è stato diretto da registi come Muccino, Paolo Genovese e molti al-
tri. A dicembre lo abbiamo visto in uno spot spot della Kinder e a breve in uno per Poste Italiane. Insomma, il ragazzo è in gamba perché collezionare 60 commercial non è facile, affatto. «Considerando le persone che decidono chi può o non può fare uno spot, direi che la mia è una bella impresa. Dietro un video commerciale ci sono almeno una quindicina di teste a scegliere la faccia giusta, in primis quella del cliente che vuole un volto convincente per il suo prodotto». E quindi cosa serve per arrivare a farne 60? «Bisogna essere immediati. In questo senso: occorre avere un viso e una presenza rassicurante, che sappia dare fiducia. Non avere sovrastrutture. Nella vita come nel lavoro io non
indosso maschere e questo mi consente di interpretare qualunque personaggio. Non tutti possono farlo. Bisogna conoscersi a fondo, devi sapere chi sei completamente, essere centrato. Solo così potrai essere il volto giusto in diverse situazioni. Sei la materia base e devi sapere se sei argilla o cemento. Partendo da qui puoi fare ciò che vuoi». Dici di conoscere te stesso. Allora ti chiedo: chi è Graziano Scarabicchi? «Un ragazzo che è partito da Santa Maria Tiberina con tanti sogni e aspirazioni e non avrebbe mai immaginato che sarebbe arrivato fin qui e che sarebbe stato tanto difficile. Questo è un mondo dove c’è tanta competizione e per raggiungere certi traguardi bisogna lavorare duro. Io sono camaleontico, cambio tantissimo:
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«Bisogna conoscersi a fondo, devi sapere chi sei completamente. Solo così potrai essere il volto giusto in diverse situazioni» dal giovane padre senza barba al magazziniere col furgone, dal ragazzo della porta accanto a quello che fa mille sport”. Come sei riuscito a fare così tanti spot? «Mi sono specializzato. Io vengo da una famiglia che lavora il ferro, ma ho voluto intraprendere un’altra carriera e mi sono specializzato negli spot. Ho sempre pensato che sia meglio essere protagonista in uno spot che fare la comparsa al cinema. Sono il numero uno nei commercial perché sono convinto che nella vita ognuno di noi è il numero uno in quello che è il suo talento, il tuo settore». Come hai iniziato? «Dalla base. Ero un ragazzino che sognava di essere in tv. Ho studiato, ho rubato il mestiere durante i colloqui e
i provini. Sono andato ovunque, ho lavorato sodo, sono cresciuto e ho saputo sfruttare al meglio le mie particolarità. La mia, ad esempio, sono gli occhi celesti. Ne ho fatto un pregio per essere unico e ci ho costruito una carriera». Il 2018 si è chiuso alla grande per te. «Ho girato 15 spot, due film e tre videoclip musicali. Ho anche recitato in uno spettacolo teatrale. È stato un anno di grandi soddisfazioni e anche questo 2019 è iniziato molto bene». Qualche sogno nel cassetto? «Sto lavorando per crescere ancora e vorrei fare anche altro. Nel futuro voglio rivolgere la mia attenzione verso fiction e film. Mi piace cambiare, non mi affeziono
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«Sono andato ovunque, ho lavorato sodo, sono cresciuto e ho saputo sfruttare al meglio le mie particolarità.»
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troppo alle cose e ho sempre bisogno di nuovi stimoli che mi facciano migliorare. Per questo 2019 vorrei concentrarmi in ruoli per il cinema e le fiction, toccare con mano altre possibilità. Anche se, mi rendo conto, non è facile». Perché? «Purtroppo non conta solo la bravura. La realtà è complessa e spesso i produttori scelgono sempre gli stessi volti, gli stessi attori. Altre volte si scelgono i personaggi in base ai follower che hanno suoi social, altre volte si preferiscono quelli che vengono dai reality perché hanno già un forte seguito e quindi hanno un richiamo sicuro. Questo rende tutto più difficile, ma anche stimolante e mi spingere a fare sempre meglio, a conoscermi ancora di più per saper usare al meglio quelle sfumature che fanno la differenza». C’è qualche ruolo in particolare che ti piacerebbe fare? «I ruoli del cattivo. Perché sono lontani da me, sono qualcosa all’infuori di me e questo è uno stimolo anche per conoscersi meglio».
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ALESSANDRO BARONCIANI
Ribelliamoci alle nostre ombre di Andrea Luccioli
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L’illustratore Alessandro Baronciani a Umbertide per raccontare “Negativa”, la sua nuova graphic novel horror che parla di Stella, fotomodella sempre sotto i riflettori ma con le tenebre dentro. Che fine hanno fatto i negativi? In un mondo pieno di fotografie e immagini, a sparire sono stati i negativi. Questo è uno dei pensieri che negli ultimi mesi hanno frullato nella testa di Alessandro Baronciani, fumettista e illustratore che al Cinema Metropolis di Umbertide ha presentato “Negativa” (BAO Publishing), la sua ultima graphic novel. Una pubblicazione che, rispetto al passato di Baronciani, vira decisamente verso toni horror con una storia che racconta luci e ombre della vita di una bellissima fotomodella di nome Stella. Il tratto inconfondibile di Baronciani questa volta ci regala un lavoro in bianco e nero, la scelta perfetta per raccontare di chi, nonostante sia sempre sotto i riflettori, non abbia quasi un’ombra ma nasconda delle tenebre nel suo inconscio. Ad Umbertide c’eravamo anche noi di The Mag insieme a tante altre persone affascinate dalla mano e dalla fantasia di Baronciani. Lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti raccontare qualcosa su di lui e su Stella.
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NEGATIVA Stella è praticamente nata sotto ai riflettori. Fotografata tanto da non avere praticamente più un privato, è tra le celebrità più amate al mondo. Un giorno, le persone intorno a lei iniziano a morire. E l'esistenzialismo di Alessandro Baronciani si tinge di sangue, ma quel sangue è grigio. Un libro inquietante perché racconta un orrore che nasce da dentro e per questo è impossibile da considerare altro da noi. Un libro disegnato come se il segno fosse calligrafia, e le immagini parole che sapevamo già, ma non osavamo pronunciare. Un libro importante perché svela dove si nasconde l'ombra interiore di chi legge, quella che mentre abbiamo il libro aperto tra le mani sguscia via per pugnalarci alle spalle.
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“Negativa” è progetto per molti versi complesso. Da dove sei partito per la sua realizzazione e come lo hai sviluppato? «È stato molto divertente mettermi a lavorare di nuovo ad un progetto, diverso da quelli che avevo realizzato. Volevo partire dal bianco e nero e mi piaceva l'idea di fare un libro per cui stampare in bianco e nero avesse un senso. Da lì è nata l'idea del negativo, delle immagini che oggi non hanno più una destinazione. Poi ho immaginato Stella, la protagonista. La fotomodella più fotografata al mondo oggi in epoca digitale, senza più un negativo, un'ombra. "Negativa" è la storia della ribellione delle nostre ombre«». Con il personaggio di Stella sembra che tu voglia esplorare la parte più oscura delle persone, è così? Da cosa nasce questo bisogno? «Mi interessava esplorare il mondo della paura. Il fatto che ancora oggi l'horror sia rimasto un genere in cui puoi sperimentare e divertirti allo stesso momento. Un po' come quando si va sulle montagne russe: quando ci stai sopra hai paura, poi quando scendi ed è tutto finito, ti senti felice. In un certo senso l’horror è liberatorio, a differenza della fantascienza che non riesce ad essere consolatoria perché è ‘finita’. Non ci saremo quando succederà e se è distopica è insopportabile perché è così vera che non sai dove scappare». Il tuo legame con la musica è sempre forte, che colonna so-
nora abbineresti alla lettura di Negativa? Cosa hai ascoltato mentre realizzavi questo progetto? «Ho ascoltato tantissima musica per realizzarlo, non basterebbe una pagina intera per elencare tutti i gruppi. Mi è capitato di iniziare un lavoro con sottofondo il primo disco in alto a destra della mia collezione e finirlo con l'ultimo in basso. La musica mi esclude dal mondo. Crea quella zona preziosa dove rie-
sci a creare le storie. Probabilmente, visto l'argomento, durante la lavorazione di "Negativa" ho ascoltato più dark wave di quando avevo sedici anni!» Hai sempre sviluppato vie di comunicazione particolari, come nel progetto “Come svanire completamente”. Da cosa nasce questa tua voglia di sperimentare?
«Ho sempre paura della parola sperimentare, mi fa venire in mente persone che saltano sulle tele con i piedi colorati. Non è così. Mi piace pensare a delle storie, anzi mi piace raccontarle e per poterlo fare devo arrivare fino al libro, l'oggetto libro, realizzato nel modo migliore possibile per raccontare la storia. Deve funzionare in tutti gli aspetti. Deve essere concreto. Non campato in aria. Deve essere possibile realizzarlo. Quando ho immaginato "Negativa" o "Come Svanire Completamente" ho cercato il modo migliore per poterlo creare». Se fossi un cineasta, chi saresti e perché? «Non saprei. Posso dirti che, a sedici anni, mentre i miei amici erano sul muretto d'estate a parlare con le ragazze io andavo da solo a vedere la rassegna di Wim Wenders al cinema di quartiere. C'era un caldo assurdo in quel cinema d'estate ma c'erano dei film che non avevo mai visto prima. Il mio preferito era "Il cielo sopra Berlino" lo avrò visto centinaia di volte. Mi piaceva la scena dove Nick Cave cantava. Poi Hitchcock, fino a Gondry. Per quanto riguarda il cinema italiano, mi piace tantissimo Risi e tra i registi attuali metto tra i miei preferiti Virzì. Amo in generale i film in bianco e nero italiani. Non so perché, mi fermo sempre a guardarli quando passano in televisione. Catturano l'attenzione. Secondo me in Italia per far tornare la gente al cinema bisognerebbe girare di nuovo in bianco e nero».
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I tuoi personaggi sono spesso insicuri e con grandi difficoltà di comunicazione. Perché? Credi che sia uno dei grandi problemi del nostro tempo? «Non penso che i miei personaggi siano particolarmente insicuri, penso semplicemente è difficile comunicare. Oggi soprattutto. Una volta, per conoscere una persona
Qual è lo stato di salute del fumetto in Italia? «Ci sono tanti fumetti che mi piacciono, le librerie hanno cominciato ad avere un reparto dedicato ai fumetti. Sono molto contento che ci siano tanti lettori che apprezzano le graphic novel».
dovevi trovare il modo di presentarti a lei. Oggi invece ci presentiamo davanti una persona attraverso un avatar, una immagine. Le immagini stanno divorando il mondo. Stanno divorando i libri, per questo le graphic novel sono diventate così popolari. Le immagini prendono il nostro posto tant'è che pensiamo sia più importante una immagine di un momento passato insieme, o addirittura pensiamo che un momento importante lo è soltanto se lo fermiamo con una immagine».
ALESSANDRO BARONCIANI Fumettista, illustratore, art director, grafico e musicista. Classe 1974, pesarese di nascita ma milanese d’adozione, ha pubblicato per “La Repubblica XL” e “Rumore Magazine”. Cantante e musicista punk con il gruppo “Altro”, ha dato vita al progetto darkwave “Tante Anna”. Nel 2006, pubblica per Black Velvet Una storia a fumetti, raccolta delle
sue prime autoproduzioni. Sempre per Black Velvet, pubblica "Quando tutto diventò blu" e "Le ragazze nello studio di Munari". Nel 2013 dà avvio alla collaborazione con BAO Publishing, per la quale pubblica "Raccolta – 1992/2012". Nel 2015, sempre per BAO Publishing, pubblica "La distanza", sceneggiato da Colapesce. Negativa è il suo ultimo libro.
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“Così ho disegnato l’Infinito di Leopardi” L’illustratrice Francesca Ballarini e il ritratto “pop” del poeta di Recanati
Quando il disegno incontra la poesia. È un Giacomo Leopardi mai visto quello disegnato da Francesca Ballarini in occasione per le celebrazioni per i 200 anni dalla prima stesura de “L’infinito”. 108
Illustrazioni che sono finite su tazze, taccuini, t-shirt, segnalibri, shoppers: tutti ispirati a “Infinito Leopardi”, il grande evento che per tutto il 2019 animerà Recanati per celebrare la poesia “perfetta”. A disegnare L’Infinito e Leopardi, come detto, la matita di una giovane illustratrice e visual artist jesina, Francesca Ballarini, per brevità chiamata Nina. Laureata all’ISIA di
Urbino in comunicazione visiva e illustratrice freelance, dal 2012 cura l’immagine disegnata del Macerata Opera Festival - Sferisterio. Disegna con inchiostri, pennini e pennelli, carboncini, lettere, macchie e graffiti, per aziende agricole, teatri, festival e case editrici, in Italia e all’estero. Partendo da segni d’inchiostro, elabora e ricerca codici illustrati pittorici, di forme macchie
e lettere, che compongano di volta in volta un nuovo linguaggio visivo narrante. A cosa ti sei ispirata per creare queste illustrazioni? «Disegnare (per) Leopardi è stata emozione e responsabilità mischiate assieme: a volte affiorava l’eccitazione, a volte una voce dentro che m’imponeva un po’ di
severità e controllo degli animi entusiasti. Leopardi è presente, contemporaneo come non mai: rileggerlo ora e coglierne nei suoi scritti l’ironia, la verità pungente, è stato come andare a spillare acqua fresca a una fonte senza tempo. Un guizzo che ti porta all’oggi, a una visione del mondo attuale, che ricorda quanto Leopardi possa essere amato in maniera assoluta,
senza età. Questo mi ha spinto a uscire un po’ fuori dalla figurazione classica che a volte ci rimane di lui, densa, bruna, e invece così impregnata d’immaginazione pulsante. I disegni - figure e parole scritte che ne sono nati, riprendono così una leggerezza che va oltre la visione abituale, quel ponte forse necessario per avvicinarsi a Leopardi, come fosse un primo amore».
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“Così ho disegnato l’Infinito di Leopardi”
La tua linea "Infinito Leopardi" di cosa si compone? «Con Sistema Museo abbiamo pensato a due linee, una più classica, col ritratto di Giacomo, un ritratto sintetico, un po’ beffardo, che accompagna alcune citazioni disegnate a mano: le troviamo sui taccuini, sulle tazze, sui segnalibri, borse e t-shirt. È un oggetto che prova ad accorciare lo spazio tra noi e Leopardi. Avvicina, con grazia. La seconda linea che uscirà a breve, è una versione più pop, colorata, vivida che riporta altri suoi pensieri ancora, sulle copertine di quaderni su cui scrivere e disegnare. Per l’Infinito in particolare c’è un disegno, una deriva verso l’orizzonte, fatto di poche linee, ché basta poco per perdersi. Una sedia piccola, vuota - un ricordo forse - in un grande spazio, di linea collina onda mare cosmo, chi lo sa, sotto un cielo d’immaginato».
Bio di Francesca Ballarini Seppur giovanissima, Francesca ha già avuto importanti esperienze nell’arte:, curando le immagini per la scenografia dell’Aida di Giuseppe Verdi, con la regia di Francesco Micheli, in scena all’Arena Sferisterio e al Teatro Comunale di Bologna tra il 2014 e il 2017, e per La Creazione del Mondo di Haydn, in scena il 29 novembre 2018 al Festival Donizetti Opera, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo. Per conoscere l’illustratrice: http://about.me/francescanina.
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“Così ho disegnato l’Infinito di Leopardi”
21-24 marzo 2019
GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA A RECANATI Il Comune di Recanati è impegnato nelle celebrazioni dei 200 anni dalla prima stesura di uno dei più celebri componimento della storia della poesia: L’Infinito di Giacomo Leopardi. Per tutto il 2019, infatti, si svolgerà nella cittadina marchigiana Infinito Leopardi, un evento che tra mostre, spettacoli, conferenze, pubblicazioni possa sollecitare la necessità di tornare a pensare all’infinito e alle infinite espressioni dell’uomo nella natura, tema portante e modernissimo del pensiero leopardiano. Il 21 marzo cade la Giornata mondiale della poesia, facendo di Recanati a titolo assoluto il centro della manifestazione. Per l'occasione Recanati, dal 21 al 24 marzo, diventerà palcoscenico per conferenze, spettacoli, concerti dove ragionare sul tema dell’infinito nella letteratura, nella matematica, nella musica, nell’arte. Tema portante sarà il ruolo della poesia nel mondo contemporaneo partendo da uno dei più grandi poeti di sempre: Giacomo leopardi. Un lungo weekend animato da iniziative che vedranno come protagonisti personalità del mondo della cultura a 360°. Nelle prossime settimane sarà pubblicato il calendario degli eventi su www.infinitorecanati.it
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Cinema Metropolis
Luca Benni & Matteo Cesarini Cinema Metropolis Umbertide
The Favourite
Oscar 2019, l'anno degli outsider? Dieci nomination per La Favorita e Roma. Tra i miglior film Black Panther, BlacKkKlansman, Bohemian Rhapsody, La Favorita, Green book, Roma, A star is born e Vice. Delle critiche "italiane" in sede di Mostra del cinema di Venezia per la presenza di un film targato Netflix abbiamo già parlato. Ora "Roma" del regista messicano Alfonso Cuaron, punta ancora più in alto con 10 nomination fra cui quella come miglior film. Oltre a "Roma" potrebbe essere la volta buona per l'innovativo regista greco Yorgos Lanthimos (Alpis, The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro) che torna con La Favorita, anche questo presentato a Venezia lo scorso settembre (e la dice
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lunga sulla bravura del presidente Barbera e degli organizzatori del festival degli ultimi anni nel riuscire a ottenere in anteprima film che poi finiscono sempre in odore di Oscar). Entrambi hanno ottenuto la candidatura a miglior film, insieme ad altri sei concorrenti: il cinecomic Black Panther, che ha già fatto la storia per essere il primo film tratto da un fumetto candidato all'Oscar, BlackkKlansman di Spike Lee, racconto del primo infiltrato nel Ku Klux Klan, Bohemian Rhapsody che racconta la storia del grande
Freddie Mercury e dei Queen, Green Book, viaggio nell'America sudista e razzista del musicista nero Don Shirley, il popolarissimo A star is born di e con Bradley Cooper e Lady Gaga e Vice, l'uomo nell'ombra, storia dell'ascesa politica di Dick Cheney, interpretato da Christian Bale, che a buon diritto ha ottenuto una candidatura fra gli attori protagonisti insieme a Bradley Cooper per A star is born, Willem Dafoe per l'interpretazione di Vincent Van Gogh in Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità, Rami Malek che è Freddie
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Cinema Metropolis
Cuaron (Roma), con il greco Yorgos Lanthimos per La Favorita e il polacco Pawel Pawlikowski per Cold War, film che insieme a Roma è nella cinquina dei migliori film in lingua straniera. L'Italia è rimasta fuori anche quest'anno, la candidatura di Dogman di Garrone non ha raggiunto le preselezioni. Unica soddisfazione per l'Italia dalla candidatura fra i film d'animazione di Spider-Man: Un Nuovo Universo, nello staff che ha realizzato una nuova tecnica che unisce le tecnologie digitali con lo stile dei disegnatori di fumetti c'è anche un'italiana: Sara Pichelli, disegnatrice di Porto Sant'Elpidio, classe 1983. Puntiamo un attimo il riflettore su Bohemian Rhapsody, biopic dedicato a Freddie Mercury e ai Queen: secondo quanto riferisce il magazine di cinema online Deadline, riportando i dati del box office, il film sulla storia di Freddie Mercury (interpretato da Rami Malek) e della sua band è diventato il film musicale più visto di sempre nella storia del cinema, a livello mondiale: il film ha conquistato 5 nomination agli Oscar 2019, tra cui Miglior Film e Miglior Attore Protagonista. Mercury in Bohemian Rhapsody e Viggo Mortensen, smaliziato autista italoamericano in Green book. Ricambio generazionale quindi, nessun classico Spielberg o Tom Hanks, ma tanti sconosciuti ai più e tanti stranieri, segno di apertura verso nuovi soggetti e nuove idee. Nella cinquina dei registi, ad esempio (dove è da registrare la totale assenza di donne) solo due sono americani e solo uno è bianco, Adam McKay, regista di Vice - L'uomo nell'ombra. L'altro americano è Spike Lee autore di BlackkKlansman che dovrà fare i conti con il messicano Alfonso
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fra la fine della seconda guerra e l'inizio della guerra dei balcani, tratteremo di due performance di Petr Stembera e Sanja Ivekovic.
Se parliamo di creatività nell'Est Europa (e non di vino come facilmente si potrebbe pensare dal titolo), dobbiamo iniziare col considerare il loro isolamento rispetto al resto del mondo e la conseguente alterità che questo ha creato. Artisti come Marina Abramovich e l'ex compagno Ulay, di cui si è parlato molto sia prima che dopo la mostra di Palazzo Strozzi, non sono casi isolati sorti dal niente, ma figli e fratelli di artisti parte di una tradizione ben connotata. Vorrei approfittare di questa rubrica per parlarvi non di loro, ma di due contemporanei che si sono mossi in parallelo e per una ragione o per l'altra rimasti nell'ombra. Quindi, senza dilungarmi troppo, dando per buona la conoscenza del lavoro della Abramovich e della politica protezionistica sovietica
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Petr Stembera (Plzen – Repubblica Ceca – 1945), è tra i protagonisti del circolo artistico di Praga degli anni '70. Ha favorito l'esportazione della Performance Art sia nei paesi occidentali che nei paesi del Blocco Sovietico. Nei primi anni, l'interesse di Stembera si rivolge ad esperienze fisiche e psicologiche estreme espresse in azioni di Body Art che ha iniziato a documentare con fotografie in bianco e nero accompagnate da brevi descrizioni. In Grafting del 1975 allo stesso modo con cui un frutticultore realizza un innesto, egli ha innestato un ramo preso da un arbusto nel suo braccio. Questa performance estrema è stata condotta con l'assistenza di Jan Mlcoch in una casa abbandonata sull'argine di Kosarkovo. Stembera infilò un ramoscello nel suo avambraccio destro e lo lasciò per tutto il pomeriggio dentro al suo corpo, finché non finì al pronto soccorso per avvelenamento del sangue. La natura rappresentava in quel momento
un simbolo del mondo a lui alieno. Sanja Ivekovic (Zagabria – Croazia – 1949), ha studiato grafica presso l'Accademia di Belle Arti di Zagabria dal 1968 al 1971. La sua carriera artistica è iniziata durante la primavera croata nei primi anni '70 quando, insieme ad altri artisti, si staccò dagli ambienti accademici. Gran parte del suo lavoro è centrato sulla sua vita e sul ruolo delle donne nella società di oggi. Fu la prima artista in Croazia ad etichettarsi come artista femminista. Ha svolto un ruolo chiave nel Centro per gli studi femminili a Zagabria sin dalla sua apertura nel 1994. Nell'opera Trikotnik, documenta la performance svolta a Zagabria il 10 maggio 1979, il giorno della visita del presidente Tito in città. L'artista descrive l'interazione che ha avuto luogo tra lei (sul balcone del suo appartamento), una persona che poteva vederla da un tetto e un poliziotto che presumibilmente comunicava tramite walkie-talkie con l'osservatore. Il testo che accompagna le fotografie recita: “L'azione inizia quando esco sul balcone e mi siedo su una sedia, sorseggio whiskey, leggo un libro e faccio gesti come se svolgessi un'azione onanistica. Dopo un certo periodo di tempo, il poliziotto suona al mio campanello e ordina "le persone e gli oggetti devono essere rimossi dal balcone".” Va aggiunto che quel giorno oltre al decoro urbano era stato richiesto alle donne di non uscire in strada. Non sorprende come quest'opera sia diventata fortemente simbolica per il movimento femminista jugoslavo.
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La musica di L.M. Banksy
Sono due donne ed arrivano dagli Stati Uniti, ma guai a considerarle il sesso debole. Hanno grinta, talento e fascino da vendere. Uniche e diverse, ma accomunate dall'aver attinto dalle radici della musica americana per rielaborare in maniera intima i propri sound con le influenze newyorkesi. Lei, la "veterana" classe 1972 Charlyn Marie “Chan” Marshall, meglio nota come Cat Power, è una delle donne simbolo dell’indie rock USA da oltre
vent'anni dal suo esordio con "Dear Sir" nel 1995 a questa parte ed è da poco tornata a deliziarci con il decimo album della sua carriera "Wanderer", a sei anni di distanza dall’inusuale e altrettanto sorprendente "Sun". L'altra lei, la "consolidata promessa" classe 1981 Sharon Van Etten, è tra le cantautrici maggiormente dotate della sua generazione per qualità di scrittura e temperamento espressivo, che a 10 anni dal debutto con "Because I Was in Love" torna, con il quinto album a cinque anni di distanza dal disco che sostanzialmente l’ha consacrata ("Are We There"), con un lavoro ambizioso e variegato “Remind Me Tomorrow”. "Wanderer" è il disco di Cat Power per antonomasia, quasi un suo classico, dove equilibrio e stabilità faticosamente raggiunti sembrano precari, pronti a dissolversi in un sospiro. I brani sono semplici e diretti come nella migliore tradizione Marshall, 11 gemme
preziosissime che si susseguono fragili come sospinte, una ad una, dolorosamente: 1. Wanderer 2. In Your Face 3. You Get 4. Woman (feat. Lana del Rey) 5. Horizon 6. Stay 7. Black 8. Robin Hood 9. Nothing Really Matters 10. Me Voy 11. Wanderer/Exit “Remind Me Tomorrow” rappresenta, sotto tanti punti di vista, un vero e proprio nuovo inizio per Sharon Van Etten. Cambiare era certamente un rischio, ma accartocciarsi su qualcosa che aveva già conosciuto la sua migliore espressione sarebbe stato controproducente. E così, oggi, la ritroviamo diversa, la ritroviamo madre e più serena, anche oltre i confini del più classico rock - folk. Posata la chitarra si dedica alle tastiere per regalare musica e liriche emozionanti: 1. I Told You Everything 2. No One's Easy to Love 3. Memorial Day 4. Comeback Kid 5. Jupiter 4 6. Seventeen 7. Malibu 8. You Shadow 9. Hands 10. Stay
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BECOMING THE MAG
di Andrea Luccioli
«In adolescenza ho cominciato ad unire i puntini»
Fumettista e illustratore, David Ferracci ci ha regalato una splendida tavola su Terry Gilliam. Noi di The Mag, da parte nostra, lo abbiamo intervistato per scoprire qualcosa di più sulla sua arte e su quello che fa. Continua così con lui il nostro viaggio alla scoperta dei ragazzi del collettivo “Becoming X” 116
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Quando hai deciso di diventare un illustratore e perché? «In adolescenza ho cominciato ad unire i puntini. Disegnavo ripetutamente, soprattutto storie a fumetti. La mia forte voglia di raccontare, non importa se a vignette o ad un immagine sola, mi ha fatto capire che ne avrei voluto fare una professione».
Phillips, Alex Toth, Alberto Breccia, Jorge Zaffino, ultimamente Paul Azaceta e Greg Smallwood. Un discreto elenco di bravi fumettisti che mi stimolano continuamente».
Quali sono i tuoi soggetti preferiti? «Quando non lavoro su commissione, sicuramente un soggetto appunto e non un oggetto. Benché adori far comunicare i miei sfondi e le ambientazioni delle mie storie, provo più soddisfazione nel soffermarmi su un particolare, un difetto, una posa e valorizzarli con la giusta composizione».
In un mondo dove i creativi sono sempre di più, anche grazie alle nuove tecnologie, qual è il segreto per restare originali? «Le tecnologie sono solo un mezzo. L’originalità, o lo stile, è il risultato di un percorso e se bruci le tappe non riuscirai a raggiungere una certa maturità. Quando sperimento lo faccio sempre con l’obiettivo di imparare qualcosa di nuovo. Il bisogno di crescita alimenta l’opera ed il risultato non potrà che essere lo specchio di quello che sei».
Qual è stata la tua formazione? «Ho frequentato l’Istituto d’Arte a Deruta e la Scuola Internazionale di Comics a Roma. Guardandomi indietro un secondo, realizzo che ho potuto mettermi molto di più in gioco grazie alle esperienze extra. In adolescenza ho partecipato a parecchie estemporanee di pittura, ho collaborato per varie aziende grafiche, qualche autoproduzione a fumetti ed ho sempre avuto una mania per capire il funzionamento dei programmi che oggi uso per lavorare». Che tecniche usi e prediligi? «Quando mi approccio al fumetto mi piace una china a pennello con linee essenziali rafforzate da toni di grigio in digitale. Con l’illustrazione è diverso a seconda del target e del soggetto, diciamo che scansiono il disegno a china diluita e lo completo in digitale. In ogni caso adoro arricchire il tutto con texture campionate». Chi è il tuo maestro/fonte di ispirazione? «Ci sono i maestri del nero americano e argentino come John Paul Leon, Tommy Lee Edwards, Sean
Il lavoro di cui sei più orgoglioso? «Sempre l’ultimo».
Come sei finitao in mezzo al progetto Becoming X? «Praticamente ci sono da sempre. Venni contattato per la trasmissione originaria di Becoming X negli studi di Radiophonica. Ho abbracciato subito l’idea di Becoming X come serie di eventi estemporanei, il vero sposalizio tra performance visiva e musicale. Con molti dei ragazzi ho legato parecchio e posso dire che oramai sono la mia seconda famiglia». Com'è l'esperienza dei live drawing? «I live drawing sono ipercinetici, vieni risucchiato in questo frullatore di colori, musica e abbracci. Collaborare con altri artisti e professionisti è sempre stimolante, anche se ci si sporca tanto. Fortunatamente non mi limito solo a disegnare, ma per la maggior parte degli eventi mi occupo anche di proiezioni: disegno su pc accompagnato da musica, spesso musicisti dello stesso Becoming X. Riuscire a portare su schermo un film disegnato è una forte soddisfazione,
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ogni volta». Parlaci del materiale che hai realizzato per The Mag «L’omaggio a Terry Gilliam è stato come sfogliare un bell’album dei ricordi, che non è il tuo. Ho visto molti dei suoi film, alcuni più di una volta. Ho cercato di metterceli tutti, ma non basterebbe un intero The Mag. Mi ha sempre colpito il suo marcato utilizzo del grandangolo nei film, come se volesse proporci la sua personale visione della faccenda. È per questo che ho voluto sottolinearlo con un colore. L’illustrazione è stata creata completamente in digitale. Spero di avergli reso giustizia e che ai lettori piaccia». LA BIO DI DAVID FERRACCI Classe 1989, uscito dall'Istituto d'Arte frequenta la Scuola Internazionale di Comics a Roma proseguendo, così, il suo percorso nel mondo del fumetto. Dal 2011 collabora con la rivista Terrenostre come illustratore, grafico e tecnico del montaggio video. Dal 2015 ha disegnato per “Dead Blood” (Noise Press), “Mostri” e “Gangster” (Bugs Comics), “Stazione 31” (Passenger Press), “2053: Le nuove acque” (Manticora Autoproduzioni) e “Memento Mori” (Raven Distribution). "Black Knot" è il suo ultimo graphic novel.
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KING CRIMSON
A UMBRIA JAZZ ARRIVA THOM YORKE, VOCE DEI RADIOHEAD. GLI ALTRI BIG: DIANA KRALL, PAOLO CONTE E I KING CRIMSON Quella di quest’anno si preannuncia come un’edizione eccezionale per Umbria Jazz. In attesa della presentazione ufficiale del cartellone, in queste settimane sono spuntati i nomi dei primi big attesi a Perugia. La notizia che ha creato più stupore è quella dell’arrivo di Thom Yorke, cantautore, polistrumentista, compositore britannico e storico frontman dei Radiohead sarà a Perugia, in concerto Sabato 20 luglio all’Arena Santa Giuliana. Parliamo di uno degli artisti più im-
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portanti ed influenti del nuovo millennio e inserito nella lista dei 100 migliori cantanti di sempre secondo Rolling Stone, Thom Yorke eseguirà brani dalle sue opere da solista The Eraser, Tomorrow’s Modern Boxes e Atoms For Peace’s Amok con il produttore/collaboratore di lunga data Nigel Godrich e il visual artist Tarik Barri. “The Eraser” è il titolo del suo primo album solista, pubblicato nel 2006 e prodotto da Nigel Godrich, produttore dei Radiohead.
L’album ha debuttato nella Top 10 in UK e negli USA, ricevendo una nomination ai Britain’s Mercury Prize e una nomination ai Grammy Awards nella categoria “Miglior Album di Musica Alternativa”. Nel 2014 viene pubblicato a sorpresa il secondo album solista “Tomorrow’s Modern Boxes”. Tra il primo e il secondo disco solista, nel 2009 Thom Torke fonda insieme a Flea (Red Hot Chilli Peppers), il produttore Nigel Godrich, il batterista Joey Wronker e il percussionista Mauro Refosco, il gruppo “Atoms For Peace”, pubblicando nel 2013 l’album di debutto “Amok”. Entrato nella shortlist per le candidature all’Oscar come autore di Suspirium, colonna sonora del remake di Suspiria di Luca Guadagnino, ma fuori dalle nomination, la colonna sonora è stata premiata come miglior canzone originale ai Soundtrack Stars Awards 2018. Proseguendo con le altre star attese, è stata già confermata la presenza di Diana Krall che sarà a Umbria Jazz 19 il prossimo 13 luglio, ore 21 sempre all’Arena Santa Giuliana. La serata seguente, 14 luglio, stessa ora e location, sarà la volta di Paolo Conte. Il 18 luglio sarà la volta dei King Crimson, che celebreranno nel 2019 il 50° anniversario del gruppo e quale modo migliore, per la leggendaria band capitanata da Robert Fripp, se non un tour mondiale che li vedrà toccare tre continenti e calcare i palchi dei maggiori festival ed arene estive. Umbria Jazz annuncia il primo week end della edizione estiva 2019 (Perugia, 12-21 luglio) che sarà quindi all’insegna
della canzone: il grande songbook americano che da sempre impreziosisce il repertoria della bionda star canadese, e la canzone d’autore che fa dell’Avvocato astigiano uno dei più amati storyteller italiani. Sono soltanto le prime anticipazioni di un cartellone che si annuncia stellare, sia per il programma dell’arena, che ospita i grandi eventi, sia per le proposte più di nicchia riservate agli spazi al chiuso come il teatro Morlacchi e la Galleria Nazionale dell’Umbria.
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“CIAO CUORE”, IL NUOVO TOUR DI RICCARDO SINIGALLIA FA TAPPA A PERUGIA
È “Ciao cuore” di Riccardo Sinigallia il miglior disco del 2018 per i 120 giornalisti che hanno votato per il “Top 2018”, il referendum sui migliori
album italiani del 2018 promosso dal “Forum del giornalismo musicale”. Riccardo Sinigallia il 15 febbraio sarà in concerto al Rework Club di Perugia, nell'ambito del nuovo tour 2019. Ciao Cuore (Sugar), uscito il 14 settembre 2018, arriva a quattro anni di distanza dall’ultimo progetto discografico di Sinigallia, ed è un disco di relazioni dirette. Ogni canzone diventa un personaggio e ogni personaggio ha una storia da raccontare. È un volo tra l’immaginario e la realtà immediata dell’artista. Ci si muove nei quadri in cui le storie e le impressioni si intrecciano e si lasciano spiare, accompagnati da suoni puri e editing decisi. Ancora una volta, ma in maniera più risoluta, Sinigallia ci accompagna alla scoperta di quei tratti sonori che hanno lasciato impronte riconoscibili nel cantautorato contemporaneo italiano. Il continuo mettersi in gioco, la minuziosa ricerca musicale nei più svariati campi e la sua profonda sensibilità ar-
tistica, si riversano in Ciao Cuore”. C’è una “firma”, uno stile ben preciso che ha sempre connotato ogni produzione di Riccardo Sinigallia, sin dagli esordi, tanto da diventare precursore di una corrente che oggi, a circa 30 anni di distanza, si è consolidata. E da considerarlo il primogenito della “scena” che oggi è piena espressione di una certa vitalità della musica italiana. Insieme al fratello Daniele Sinigallia, da sempre Riccardo si è dedicato alla ricerca musicale e all’approfondimento del rapporto con le parole. Co-firma e produce alcuni successi della recente storia musicale italiana come “Due destini” e “La descrizione di un attimo” per i Tiromancino, “Vento d’estate” e “Lasciarsi un giorno a Roma” di Niccolò Fabi o “Cara Valentina” per Max Gazzè, o come l’album “Non erano fiori” di Coez, contribuendo significativamente alla popolarità della scena romana dagli anni ’90 fino ad oggi.
Cultura, Teresa Severini, ha individuato nella mostra “un’immensa opportunità culturale di aggregazione e di incentivazione del turismo, capace di democratizzare l’arte, proprio come intendeva Warhol nell’obiettivo di renderla fruibile a tutti”. A specificare i tratti del percorso ideato dagli organizzatori è stato il presidente di “New Factory Art”, Gino Capitò: “Ci siamo garantiti, rispetto ad altre mostre sulla Pop Art
attualmente in svolgimento in altre città italiane, il Golden Book realizzato da Warhol con tecniche particolari ed altre molto significative e preziose che illustreranno al pubblico agevolmente il percorso intrapreso dall’artista dagli anni ’50 fino all’inizio degli ‘80”. Tutte le iniziative e i prezzi dei biglietti per la mostra principale sono reperibili sul sito internet www.pubbliwork.it/andy-warhol.
ANDY WARHOL…IN THE CITY, INIZIATA LA MOSTRA A PERUGIA C’è tempo fino al 17 marzo per visitare la mostra “Andy Warhol …in the City” e la corposa serie di eventi ad essa collegati. Già aperta da qualche giorno presso il Centro servizi camerali “Galeazzo Alessi” di via Mazzini la mostra con oltre 120 opere esposte tra grafiche storiche, litografie, serigrafie e offset, con una formula propositiva davvero particolare. “Si tratta di un format nuovo – ha spiegato Angelo Ciliani, curatore della mostra – finalizzato a coinvolgere un po’ tutta la città attraverso diverse location, e capace di proporre una selezione ampliata di opere rispetto alla mostra che proprio 10 anni fa vide Perugia come tappa d’esordio di un evento che, sommando le date italiane a quelle europee, ha conteggiato più di otto milioni di visitatori”. L’assessore comunale alla
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AL MORLACCHI DI PERUGIA ARRIVA ALICE IN WONDERLAND E LE GEOMETRIE DEL SOGNO UN PROGETTO ARTISTICO CAPACE DI RACCONTARE L’ONIRICO TRA RECITAZIONE E DANZA Arriverà in Umbria il prossimo 20 marzo (ore 21.00) una tappa del tour europeo del Circus-Theatre Elysium di “Alice in Wonderland e le geometrie del sogno”. Lo spettacolo unico al mondo, in cui un cast di trenta atleti acrobati e ballerini professionisti racconterà attraverso la più innovativa delle arti circensi la fiaba di “Alice nel mondo delle meraviglie”, sarà al teatro Morlacchi di Perugia. Basata sulla leggendaria storia di Lewis Carroll, la performance vedrà sul palco i personaggi di Alice, il Cappellaio Matto, il Coniglio, il Gatto del Cheshire e la Regina Nera nella loro interpretazione circense, sullo sfondo di impressionanti e suggestive scene 3D. La storia di Alice si arricchisce anche nella linea dell’amore. La ragazza si innamora infatti del Principe Azzurro ma, per coronare il loro sogno romantico, entrambi dovranno superare ostacoli inimmaginabili. Il Circus-Theatre Elysium è stato fondato nel 2012. Un circo collettivo che abbraccia i più esperti produttori, i migliori registi e attori. Tutto è iniziato con pochi numeri, riuniti sotto il titolo "Fairytale Show". Sold-out in Francia, ha preso
vita in "Alice in Wonderland", applaudito oggi non solo in Ucraina, ma anche in Russia, Bielorussia, Francia e Cina. Un progetto artistico nato dall’ispirazione di Oleg Apelfed, capace di raccogliere intorno a sé un cast di professionisti di respiro internazionale, che ha dato vita a un circo moderno, mostrandone per primo le mille sfaccettature e le possibilità di rappresentazione scenica. Progetto portato avanti anche grazie a Maria Remneva, direttrice del Circo Nazionale dell’Ucraina che, con oltre vent’anni di esperienza, ha vinto molteplici premi tra cui tre medaglie d’oro e vincitrice della competizione internazionale degli artisti circensi a Parigi.
GEMELLARTE, TERNI E SAINT OUEN CERCANO TALENTI EMERGENTI Prima edizione a Terni per il festival internazionale indipendente, che rilancia il gemellaggio con Saint Ouen e la Francia grazie a mostre ed eventi in contemporanea e a una doppia residenza artistica. Alla call, aperta fino al 10 febbraio, possono partecipare gli artisti emergenti del territorio nelle categorie pittura, scultura, fotografia, street art, video, installazione e performance. Creare un ponte fra le città italiane e straniere già gemellate, favorendo lo scambio culturale, la condivisione dell’arte e dei rispettivi patrimoni, con la ricerca e la promozione di nuovi talenti, nonché la riscoperta del senso di cittadinanza e dei propri territori, abbattendo tutte le frontiere. È la missione di GemellArte, festival internazionale indipendente che lancia
la sua prima edizione: la prima tappa sarà divisa fra Terni, città di elezione dei suoi organizzatori, e la francese Saint Ouen, a pochi chilometri da Parigi, gemellata dal 1962, grazie a una doppia residenza artistica ospitata in contemporanea dal Caos – Centro arti opificio Siri e dalla Galerie Mariton dall’8 al 16 maggio. Per la residenza verranno scelti due artisti, uno italiano e uno francese, selezionati dalle Commissioni di valutazione incaricate nel
Paese ospitante, attraverso una call aperta ai talenti dei rispettivi territori nelle categorie pittura, scultura, fotografia, street art, video, installazione e performance. Le due città oggetto dello scambio ospiteranno gli artisti scelti, i quali saranno invitati a produrre le loro opere in situ, interagendo con il territorio e i suoi abitanti, o prendendo spunto da essi. Le opere prodotte nel corso della residenza rimarranno nelle città che ospitano gli artisti.
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foto: Jacopo Gennari
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