Shake it out!

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La primavera di Florence: via quegli smartphone, è tempo di abbracciarci


protagonista dei tuoi sogni

BorgoBlu nasce nel 2005 da un'idea del titolare che dopo 10 anni di esperienza nel settore delle piscine e degli impianti sportivi, decide di investire in un’azienda per la realizzazione di spazi esterni. La prospettiva è quella di inserirsi nel mercato con una specializzazione di architettura del paesaggio per offrire al cliente un servizio chiavi in mano, seguendo ogni fase lavorativa. BorgoBlu realizza: piscine fuori terra, interrate prefabbricate o in cemento armato, idromassaggio, sistemazione del giardino dall'impianto irriguo e di illuminazione; dal laghetto artificiale alla fontana fino ad arrivare all'arredo, i gazebo, gli ombrelloni, i pergolati. L’azienda si occupa anche del settore sportivo con progettazione e realizzazione di impianti chiavi in mano: campi da tennis, calcetto, calcio, bocce, con superfici sia in resine acriliche che con erba sintetica e fornisce attrezzature per ogni tipo di sport ed arredi per spogliatoi. Ormai lontana dall’immaginario comune di bene di lusso, la piscina è oggi un desiderio realizzabile. Se lo spazio lo consente, le soluzioni sono davvero molte e per tutte le tasche.

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L'EDITORIALE del DIRETTORE | ANDREA LUCCIOLI

La luce in fondo al tunnel Dove vai? Se lo chiede, con le sue foto, il giovane Matteo Bianchi. Il ragazzo che ha realizzato il progetto “Quo vadis?” che in tantissimi hanno potuto vedere nelle scorse settimane all’interno della mostra fotografica sulla E45 allestita a Città di Castello dal Centro fotografico tifernate. Perché farci un editoriale? Perché non avevo altre idee, ovviamente! Scherzo. Perché le domande sono affascinanti, quelle sulle direzioni da intraprendere ancora di più. La E45, come ho scritto nel numero scorso, è una strada che attraversa mezza Italia e che, dopo la storia brutta del viadotto Puleto (per cui ancora non si vede una luce) è diventata un po’ lo specchio del nostro Paese: un coacervo di fragilità. Bianchi racconta anche questo e ci mette “le facce” di chi, quotidianamente, ha a che fare con la grande strada. A livello nazionale infuoca il dibattito sulla TAV, per anni abbiamo ascoltato di faraonici progetti per il Ponte di Messina, siamo il Paese della infinita Salerno-Reggio Calabria e via discorrendo: la E45 non è un altro che un tassello di questo nostro peregrinare verso qualcosa. Già, ma quo vadis? Ecco, sulle risposte non siamo così tanto bravi, anzi. Però noi di The Mag, oltre alle domande, qualche soluzione ve la offriamo. Così in questo numero troverete alcune chiavi di violino per accordare meglio la vostra vita. Abbiamo voluto mettere tanta musica non a caso: ci sono i Massimo Volume che cantano da trent’anni tutte le nostre cattive abitudini, il maestro Remo Anzovino che ha messo in musica “L’Infinito” di Giacomo Leopardi a Recanati in una serataevento. C’è quel genio di Riccardo Sinigallia che qualche mese fa ci ha regalato un disco, “Ciao Cuore” e un concerto perugino da poco, che mostrano come la musica italiana sia in salute e con tante cose da dire. Abbiamo fatto un salto a Bologna al concerto di Florence and the machine, dove la signorina Welch ci ha detto a chiare lettere di spegnere i telefonini e abbracciarci tanto. Mi è sembrata un’ottima soluzione, almeno nell’immediato, a questi tempi fatti di odio sul web, indignazione da tastiera e via dicendo. Ma non ci siamo fermati qui, siamo andati ad ascoltare la voce dei nostri antenati a Villa Mosaici a Spello con le parole del grande Valerio Massimo Manfredi e abbiamo poi preparato uno speciale sul Bahuaus. Infine siamo arrivati alla luce in fondo al tunnel, ovvero lo sguardo luminoso e illuminato sulla nuova splendida Biblioteca di Città ci Castello che vi mostriamo con un occhio “diverso” e affascinante. Ma ora torniamo all’inizio. Dove vai? Ah, mica lo so. Però The Mag va avanti con passione e ha imparato a prendere il meglio di quello che c’è intorno.

THE LIGHT AT THE END OF THE TUNNEL Where are you going? Young Matteo Bianchi asks himself with his pictures. The guy who created the project “Quo Vadis” which so many were able to see in recent weeks at the E45 photography display organized in Citta’ di Castello by the Tifernate Photography Center. Why write an editorial about this? Because I didn’t have other ideas of course! I’m kidding. Because questions are fascinating, the ones about which direction to take are even more so. The E45, as I wrote in the last issue, is a road that cuts across half of Italy and that, after the awful story of the Puleto viaduct (for which no solution has been found yet) has become a little bit like a mirror of our country: a jumble of fragility. Bianchi tells about this as well and displays the faces of those who deal with the big road daily. The debate about the TAV is getting hotter across the nation, for years we have heard about the pharaonic projects for the Messina Bridge, we are the country of the neverending Salerno Reggio Calabria highway, and so on: E45 is just a piece of this pilgrimage of ours towards something. Yes but “quo vadis” (where are we going?”). Well, we are not that great with answers, on the contrary. But we at The Mag, besides the questions, offer you some solutions. So, in this issue you will find some treble clefs to tune up your life better. It is not a coincidence that we have included a lot of music: you will find Massimo Volume (maximum volume), who for thirty years have been singing about all of our bad habits, the maestro Remo Anzovino who has put into music “L’infinito” by Giacomo Leopardi during an evening event in Recanati. There is also that genius, Riccardo Sinigallia, who, a few months ago has gifted us with an album, “Ciao Cuore” and more recently with a concert in Perugia, which showed how Italian music is healthy and has many things to say. We went to Bologna, at the concert of Florence and the Machine, where miss Welch told us clearly to turn off the cellphones and hug each other a lot. It seemed to be a very good solution, at least for the moment, for our times made of hatred on the web, keyboard indignation and so on. But we didn’t stop there, we went on to listen to the voice of our ancestors at Villa Mosaici in Spello with the words of great Massimo Manfredi and we have then prepared a special issue on Bahuaus. Lastly, we have arrived at the light at the end of the tunnel, that is the bright and enlightened look at the new, beautiful library of Citta’ di Castello that we show you with a “different” and fascinating eye. But now, let’s go back to the beginning. Where are you going? Oh, I don’t know. But the Mag moves forward with passion and has learned to take the best of what is around it.

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Cristina Crisci

Lucia Fiorucci

Maria Vittoria Malatesta Pierleoni

Luca Benni Matteo Cesarini

Architetti Altotevere

Simona Polenzani

Christy Mills

Marco Somà

David Ferracci

Lorenzo Martinelli

Febbraio/Marzo 2019

Direttore Responsabile Andrea Luccioli

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Grafiche evasioni Marco Somà

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Sguardi Luca Marconi

100 anni di Bauhaus pubblicità Simona 389 05 24 099

Matteo Bianchi

Enrico Milanesi

Emanuele Vanni Foto di copertina: Matteo Bianchi

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redazione info@the-mag.org www.the-mag.org

Data pubblicazione: Aprile 2019 - rivista bimestrale - N°39 Grafica, fotografia e impaginazione: Moka comunicazione, via Cacciatori del Tevere, 3 - Città di Castello (PG) P. IVA 02967110541 - mokacomunicazione.it Stampa: Litograf Editor S.r.l. - Via C. Marx, 10 06011 Città di Castello (PG) P. IVA 02053130544 Editore e Proprietario: Moka comunicazione Direttore Responsabile: Andrea Luccioli Traduzioni: Christy Mills Iscrizione al Tribunale di Perugia: n. 20/12 del 27/11/2012. Questo numero è stato chiuso il 1 aprile 2019 alle 14:00


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FLORENCE AND THE MACHINE "Togliete quei cellulari e abbracciatevi"

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66 Fotografia

Matteo Bianchi - L’ALTRA E45

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Musica Remo Anzovino per Leopardi

Reportage

Valerio Massimo Manfredi a Villa Mosaici a Spello

102 Fotografia

La nuova biblioteca di Città di Castello 13



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Via G. Di Vittorio, 1 CittĂ di Castello T. 075 850 1834 facebook/Ottica 2M CdC


REPORTAGE

“Togliete quei cellulari e abbracciatevi!” Testo Maria Vittoria Malatesta Pierleoni Fotografia Matteo Bianchi

Florence Welch, insieme alla sua “Machine” a Bologna: un concerto tra rock, amore e incantesimi. Finché non c’è la Brexit c’è speranza, «siamo inglesi ma siamo anche europei», il saluto della 32enne cantante.



REPORTAGE



REPORTAGE

Assistere ad un concerto di Florence e The Machine è l’equivalente a tinte rock e raffinate di cadere vittima di un incantesimo. Lo si capisce subito, quando pochi minuti dopo le 21, le luci dell’Unipol Arena di Bologna si fanno soffuse catalizzando l’attenzione sui supporti in legno del palco e sui tendaggi ampi, dai toni caldi che adornano impeccabilmente il luogo dove si compirà il rito. Florence Leontine Mary Welch fa il suo ingresso, senza un filo di trucco, con la frangetta rubino spettinata, statuaria ma eterea in un lungo vestito verde che ricorda le atmosfere di un quadro preraffaellita. Accolta da una marea di flash colorati allestiti da tremila devoti, attacca con l’emozionale June. Dopo tre anni di assenza dai palcoscenici italiani, regala al pubblico (quasi) tutto il lavoro degli ultimi due anni, High as Hope, senza far mancare intramontabili inni come Dog Days Are Over, Cosmic Love provenienti dall’album d’esordio Lungs, le note di classici Only if for a Night, Shake it

Out dal secondo Ceremonials, What Kind Of Man, Ship to Wreck e Delilah da How Big, How Blue, How Beautiful. La trentaduenne che riversa nei testi tutte le sue fragilità facendone un punto di forza (Hunger docet) incanta per due ore tutte le anime infondendo un senso di appartenenza e di comunione, perché la musica unisce e siamo tutti sotto lo stesso cielo, pieno di canzoni. L’acmé della serata lo raggiunge infatti Sky full of songs dove la voce, dopo essersi caricata lentamente, fa scoppiare il suo vigore originario ibrido tra gospel ed esoterico e si fonde con le percussioni da grande orchestra. Perennemente scalza eppure senza mai toccare terra, domina il palco con salti e piroette mentre l’estensione vocale grintosa è intervallata dalla voce impacciata, quasi da bambina, con cui si rivolge al pubblico. Negli intermezzi parla d’amore, lo diffonde con le parole e sembra suonarlo con le mani che disegnano in aria gli accordi. Con la stessa leggiadria racconta agli spettatori dei viaggi

a Firenze con la madre e quanto la colpisca ogni volta il calore dell’Italia, specie se paragonato alla freddezza di quello della South London in cui è cresciuta. «Siamo inglesi ma siamo anche europei», del resto. Almeno finché Brexit non ci separi. Questa macchina da guerra tiene alta la bandiera del rock ma lancia anche personali messaggi di pace e amore: «mettete via i cellulari e abbracciate la persona al vostro fianco!» che il pubblico non può che eseguire. Il concerto di Florence e the Machine si rivela così un’esperienza completa: catartica, piena di richiami alla musa Patti Smith, di rock suonato e di fantasmi ormai del passato e chiude con Shake it out, una sorta di benedizione per tenere lontani i demoni interiori. L’incantesimo è sciolto e la serata si conclude. La star è senza dubbio Florence ma non è affatto da sottovalutare il lavoro della macchina che riesce a starle dietro e che, per chi se la fosse persa, tornerà quest’estate al Milano Rocks (30 agosto).



Loc. Sasso, 11 a 5 km da Città di Castello Tel: +39 075 855 23 16

Specialità Ciaccia sul panaro Ricche colazioni e merende Carne alla brace Sfiziosi antipasti Carne alla griglia Dolci fatti in casa

Umbrian Speciality “Ciaccia sul panaro” (a typical bread, filled with different ingredients such as ham, salami, grilled vegetables or cheese). Rich breakfast and snacks Staters Grilled meat Homemade cakes



Siamo stati al ristorante Il Borghetto e abbiamo scoperto un elegante locale che serve piatti di prima scelta con un’attenzione particolare alla stagionalità dei prodotti e alla valorizzazione del territorio. Il ristorante propone ogni giorno pasta, pane e dolci fatti in casa, e gli ingredienti locali sono sempre predominanti nel menù. Ad esempio le carni sono a kilometro zero, mentre gli oli sono il Moraiolo umbro e il Gentile di Anghiari. La cantina del ristorante è ben fornita e ampio spazio hanno anche ottimi vini del territorio; il maître Marco Ciarabelli ci ha raccontato che spesso i turisti decidono di assaggiare i vini locali solo per curiosità ma poi rimangono piacevolmente stupiti.


La cucina del ristorante, gestita dalla chef Grazia Liori, vanta anche una specialità giapponese: la carne di Kobe. Il Borghetto propone esclusivamente manzo di Kobe originale, di provenienza garantita. Da anni il ristorante organizza cene tematiche dedicate a prodotti di altissima qualità, come l’olio o il vino, con l’abbinamento di menù che si sposano bene con i sapori del prodotto protagonista. Le cene a tema uniscono sapori e saperi perché sono introdotte da un breve intervento del produttore. Per conoscere le date delle prossime cene basta seguire su FB la pagina ilborghettoristorante.

lo staff

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Sofia e Manuel, dopo dieci anni di fidanzamento hanno coronato il loro sogno, sposandosi. E a settembre scorso si sono trasferiti nella loro bellissima casa, preparata apposta per le nozze. La posizione è mozzafiato, nella campagna urbinate. Era la casa della nonna di Manuel, costruita una decina di anni fa. L’hanno ristrutturata con cura seguendo le loro idee e i consigli di Marzia, il loro architetto di fiducia. La distribuzione degli spazi è partita dall’idea di Sofia, e cioè adibire a cucina la parte “tonda” della casa. Da lì poi si è distribuito tutto il resto, realizzando un unico spazio aperto insieme con il soggiorno. Per l’arredamento hanno scelto pochi pezzi, ma, oltre che funzionali, caratterizzati da minimalismo e leggerezza. Le linee nette e molto pratiche della cucina Modulnova sono spezzate dai colori eterei. I pensili e l’isola sono bianchissimi, mentre le colonne forno-frigo-dispensa, incorniciate dal muro concavo, sono grigio cenere come il tavolo. Qui ingentiliscono il tutto le sedie Eames originali Vitra con base cromata e la sinuosa seduta in grigio ghiaccio, insieme all’abbondante luce che entra dalle finestre. Per il soggiorno, molto ampio e luminosissimo, hanno scelto il divano Monopoli di Désirée, delle vere e proprie isole di benessere, con i cuscini modulabili per lasciare la stanza libera da ostacoli. Accanto, il bel tavolo Air di LAGO, scelto da Sofia e che dona matericità e leggerezza, è incorniciato dalle sedie All Plastic firmate da Jasper Morrison per Vitra, scelte da Manuel e dalle piante che tanto piacciono a Sofia. Sicuramente hanno scelto entrambi molto bene, stanno insieme benissimo creando un angolo fresco e accogliente, un po' alla “Jungalow” di Justina Blakeney. La leggerezza fa da padrona anche in camera da letto, con il letto Fluttua e i comodini sospesi firmati LAGO, incorniciati come delle edicole. E non è da meno nel bagno. Anche qui il lavabo è sospeso, con i cassetti in vetro. Il piacere di abitare la zona notte è esaltato anche dalla comoda cabina armadio attrezzata in due pareti, raccordate da una capiente isola contenitiva centrale.

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Minimalismo cortese Testo di Lucia Fiorucci Arredi: Meozzi Mobili

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Le linee nette e molto pratiche della cucina sono spezzate dai colori eterei. I pensili e l’isola sono bianchissimi

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Courteous minimalism text by Lucia Fiorucci forniture Meozzi Mobili

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Sofia and Manuel, after being engaged for 10 years, have finally fulfilled their dream of getting married. Last September they moved into their beautiful home, which was prepared just for their marriage. Its position is breath taking, in the countryside of Urbino. It was Manuel’s grandmother’s house, which was built around ten years ago. They have renovated it with care, following their own ideas and Marzia’s advice, their trusted architect. The distribution of the areas began with Sofia’s idea to build the kitchen in the “round” part of the house. From there, then, all the rest has been built as an open space together with the living room. For the furniture they have chosen a few pieces that, apart from their functionality, are characterized by minimalism and lightness. The clean, clear-cut and practical lines of the Modulnova kitchen are interrupted by the ethereal colors. The cabinets and the island are very white while the column oven, fridge and pantry, framed inside the concave wall, are ash grey like the table. Here the original Vitra Eames chairs bring a gentle touch to it all with their chromed base and the sinuous seat, icy grey in color, together with the abundant light coming from the windows. For the very ample and sunny living room, they have chosen the Monopoly couch by Desiree, which are really and truly wellness islands, with modular pillows to leave the room free of obstacles. Next to it, the beautiful Air by Lago table, chosen by Sofia, which gives materiality and lightness, and is framed by the All Plastic chairs designed by Jasper Morrison for Vitra, chosen by Manuel, and are surrounded by the plants that Sofia likes so much. Certainly, they have both chosen very well, and they go really well together, creating a cool and welcoming corner, a little like “Jungalow” by Justina Blakeney. The lightness is prevalent in the bedroom as well, with the bed Fluttua and the suspended night stands designed by Lago, framed like an aedicule. The bathroom too, is nothing less. Here as well the handbasin is suspended with glass drawers. The pleasure of using the bedroom area is enhanced by the walk-in wardrobe extended on two walls joined together by a spacious center island.

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OCCHIO DEL CURIOSO

NOTE TO THE CURIOUS

La ricerca minimalista e raffinata degli arredi di Sofia e Manuel è caratterizzata dalla cura dei dettagli, utilizzando pochi colori morbidi che arricchiscono la semplicità delle linee. Come le sedie Eames grigio ghiaccio della cucina, o le sedie color edera del soggiorno, o ancora i comodini rosa cipria nella camera da letto. In più la dicotomia leggerezza e matericità, insieme all’abbondante luce che entra dalle finestre e i tocchi di verde intenso delle piante, rispecchiano perfettamente le personalità dei due, che se avessero mai pensato ad una casa, sarebbe stata questa.

The minimalist and polished style of Sofia and Manuel’s furniture is characterized by the attention to the details, utilizing few soft colors that enhance the simplicity of the lines. Like the ice grey Eames chairs, or the ivy color chairs in the living room, or the pale pink night stands in the bedroom. Furthermore, the dichotomy of lightness and materiality, together with the abundant light that comes in from the windows and the touch of the intense green of the plants, perfectly reflect the personality of the two of them who, if they would have ever imagined a house, it would have been this one.


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La tradizione

Il nostro valore piĂš grande I sapori genuini e le antiche ricette sono la nostra forza, le materie prime del nostro orto e le carni da allevamenti locali sono la miglior garanzia di qualitĂ . Voc. Busterna, Calzolaro, Umbertide (PG) +39 075 9302322 - info@ilvecchiogranaio.com - www.ilvecchiogranaio.com

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GRAFICHE EVASIONI

Marco Somà

«Il mio talento? Fatto di passione e tanto lavoro» Testo Redazione Tavole Marco Somà

L’illustratore Marco Somà a Città di Castello, ospite dell'associazione GROW HUB e della libreria Paci per il laboratorio “Dentro la fiaba”, ci racconta come nasce un suo libro e di come dietro la magia delle storie per bambini c’è sempre un grande lavoro. 42


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È uno dei giovani illustratori italiani più apprezzati e conosciuti. Il suo è un tratto unico, così come la delicatezza delle sue storie. Fiabe leggere. Lui è Marco Somà, cuneese classe 1983 laureato in Pittura all’Accademia della sua città. Lavora come illustratore di libri per ragazzi, è docente di illustrazione e nei giorni scorsi è venuto a Città di Castello con una dote eccezionale: alcune sue tavole che hanno fatto sgranare gli occhi a grandi e piccini. Noi di The Mag l’abbiamo incontrato a margine del suo laboratorio di illustrazione che si è tenuto presso l’Oratorio degli Angeli all’interno del progetto “Dentro la fiaba” e abbiamo cercato di scoprire chi c’è dietro i disegni che potete ammirare in queste pagine. Quando hai scoperto di avere un talento per il disegno e le illustrazioni? «Non so se si può parlare di una scoperta e non so se si può parlare di talento perché io vedo l’illustrazione come un lavoro per cui ho scoperto a 19 anni che questa era la mia strada. Vedendo delle illustrazioni pubblicate ho detto ‘ok, questa deve essere la direzione in cui andare’. Quindi ho iniziato a studiare, ho lavorato tanto, per tanti anni, ho fatto un po’ di gavetta e poi sono arrivato a pubblicare il primo libro dopo 10 anni di studi, prove, cose sbagliate. Insomma la strada è stata lunga. Per questo che non parlo di talento, è il frutto di tanto lavoro con alla base la passione». Hai deciso da subito quindi che sarebbe stato il tuo mestiere? «Si lo ho deciso a 19 anni. Ho avuto la fortuna di capirlo abbastanza presto. Avevo le idee chiare». È stato il tuo unico lavoro? «Beh ho fatto tanti lavori. Ho fatto anche l’insegnate, ho lavorato in fabbrica… Chi fa l’illustratore lo sa bene che è difficile iniziare vivendo subito di questo.

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Nel frattempo si fanno altre cose per vivere, però diciamo che le idee le avevo già chiare e questo è stato una fortuna». Perché hai deciso di dedicare il tuo lavoro di illustratore ai libri per bambini e ragazzi? «Bella domanda. Ho subito pensato che il mio pubblico di riferimento dovevano essere i bambini. Credo molto nei bambini, sono una forza! Hanno le idee molto chiare, allo stesso tempo non sono del tutto compromessi. Sono ancora nuovi al mondo per cui aver la possibilità di raccontargli qualcosa, di mostrargli qualcosa, secondo me è una bella cosa, una bella occasione. Sia chiaro, sono anche un pubblico abbastanza difficile, sono selettivi, per cui è anche una bella sfida e a me piacciono le sfide». Dove trovi i soggetti per le storie che racconti? «Dappertutto, mi guardo molto attorno. Dalla fotografia tantissimo, poi dal cinema e anche dal fumetto. E ovviamente dalla storia dell’arte che alla fine è la fonte di tutto. Si parte da lì». Disegni, tieni corsi, workshop, mostre, ma quale è l'attività che ti dà più soddisfazione? «Non lo so, nel senso che io considero ovviamente come attività principale quella di disegnare e fare libri. Perché poi è da lì che nasce tutto il resto. Non può esistere l’attività di laboratorio e workshop se non facessi l’illustratore. Però forse come soddisfazione personale direi laboratori con i bambini, perché sono una fonte di ispirazione incredibile. Quando torno a casa dopo un laboratorio io sono contento, sono soddisfatto. Loro, i bambini, sono dei vulcani. Quando li vedi lavorare capisci che alla fine che tutti quei giri fisime mentali che uno si fa sullo stile, la tecnica non c’entrano nulla. Loro ti danno degli input, delle idee… ti fanno vedere le cose da un altro punto di vista molto più interessante. Spesso noi adulti siamo troppo concentrati sulle cose da grandi, mentre dovremmo fare più attenzione a quello che ci dicono i bambini». Come nascono i tuoi personaggi? «Dalla fotografia, dal cinema, dall’arte. Tutti questi aspetti mi condizionano tanto e poi da tutto quello che mi circonda. Per esempio il mio cane è una fonte inesauribile di ispirazione. Vedere i sui atteggiamenti, come si comporta. Poi magari li applico ai miei personaggi che son quasi sempre animali per cui mi viene in automatico».

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GRAFICHE EVASIONI

Il progetto a cui sei più legato? «Il richiamo della palude. Per la storia, per il contenuto e per il lavoro che c’è stato dietro di ricerca. Sicuramente quello che mi ha lasciato più qualcosa dentro». Chi sono i tuoi maestri e i disegnatori cui ti ispiri? «Sono tanti, molti li ho fatti vedere anche ai ragazzi. Shaun Tan, joana Concejo, Maurice Sendak, Fabian Negrin, Beatrice Alemagna. Poi nella storia dell’arte Piero Della Francesa, Paolo Uccello… I rinascimentali, ma anche Giotto. Per noi illustratori, infine, Hieronymus Bosch per i personaggi le atmosfere, i suoi mondi… ispirazione incredibile. Devo dire che forse sono più legato ai grandi artisti classici che ai contemporanei” Progetti nel cassetto? “Ne ho tanti, ma sono fermi e non so se mai avranno una realizzazione. Ho tanti progetti su cui stai lavorando, futuri libri con autori vari. Uno di nuovo con Davide Kalì, sempre per www.kiteedizioni.it. Al momento sto lavorando a un libro con Luca Tortolini, un autore molto interessante. E’ la vera storia di King Kong. Lì il cinema è entrato nella storia, nel testo non solo per le immagini Ci sono molte citazioni». Che tecniche preferisci utilizzare? «Lavoro a matita, con il tratto e poi il computer per una sorta di collage digitale. Sotto la matita vado a inserire delle carte colorate che faccio io con tecniche varie come l’acrilico, acquerello o matite colorate. Oppure carte che trovo in giro, che riciclo, recupero e poi utilizzo per creare delle texture o dei fondi colore I miei colori sono una sovrapposizione di tante carte. Sono dei colori unici perché li ottengo da una somma e da una combinazione mia personale». Che musica ascolti quando lavori? «Non ascolto musica. Raramente, ascolto De Andrè. Sono legato al passato anche nella musica. Preferisco ascoltare documentari, adesso sono in fissa con Alessandro Barbero, storico delle mie parti, per cui mi ascolto la storia. Mi aiuta a concentrarmi meglio. La musica tende ad influenzarmi troppo».

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foto: Jacopo Gennari

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SGUARDI

a cura di Architetti nell’Altotevere Libera Associazione

100 anni di Bauhaus NON SOLO ARCHITETTURA

Il 1 aprile del 1919, a Weimar, Walter Gropius fonda la Staatliches Bauhaus, che contribuisce alla diffusione del modernismo in architettura. Era la scuola di arte e architettura della Germania: nel 1925 spostò la sua sede a Dessau e poi a Berlino nel 1932, per essere quindi chiusa per ordine del regime nazista nel 1933. Ma il pensiero e fondamenti della scuola furono diffusi a livello internazionale anche dopo la chiusura, e restano tuttora attuali.

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edificio del Bauhaus a Berlino, oggi museo e archivio

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Ingresso dell’edificio del Bauhaus a Berlino, oggi museo e archivio

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manifesti

Uno dei principali obiettivi del Bauhaus era di unificare arte, artigianato e tecnologia, superando l’annosa antinomia arte-artigianato. La novità principale, infatti, risiedeva nell’insegnamento basato su laboratori sia per designer sia per gli artigiani, in risposta alle esigenze che già dalla fine dell’Ottocento avevano dato vita ai movimenti Arts and crafts e Deutscher Werkbund. La Scuola si fonda sul ritorno a competenze empiriche-artigianali anche col sostegno delle nuove tecniche, della conoscenza artistica e di una preparazione onnicomprensi-

va, al passo coi tempi e libera dalla dittatura degli stili, in un mondo culturalmente dotato per quanto traumatizzato dagli orrori della Grande Guerra. L’idea madre è che “l’obiettivo finale di ogni attività artistica è la costruzione”. La scuola, oltre a Gropius, vanta direttori di notevole importanza nel panorama culturale del Novecento. Al celebre architetto succede infatti Hannes Meyer dal 1928 al 1930, e quindi Mies Van der Rohe che dirigerà la scuola fino alla chiusura definitiva. Inoltre, i corsi erano tenuti da personalità artistiche che hanno

segnato le arti figurative del secolo scorso, come Wassily Kandinsky e Paul Klee, ma anche Johannes Itten, Josef Albers e László Moholy-Nagy. Oggi sono passati cento anni dalla fondazione, la didattica è ancora attuale e gli insegnamenti sono alla base dei corsi universitari di design, nonché un patrimonio culturale importantissimo in tutto il mondo. Per il centenario numerose sono le manifestazioni volte a celebrare l’importante scuola di design e arti applicate.

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De RigĂš, pannello in cotone

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Anche noi di Architetti nell’Altotevere vogliamo dare il nostro contributo ai 100 anni del Bauhaus. Il prossimo 24 e 25 maggio, in occasione di “Open! Studi aperti in tutta Italia” - evento ideato e promosso dal 2017 dal Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori con l'intento di promuovere la figura dell'architetto nel territorio - organizzeremo l’evento “100 ANNI DI BAUHAUS. NON SOLO ARCHITETTURA”. Poiché il Bauhaus non è stato solo ar-

chitettura, ma anche arredamento, design, artigianato, arte, grafica e danza, abbiamo legato il tema al nostro territorio: vi parleremo anche di Aldo Riguccini. Tifernate di nascita, De Rigù - come amava firmarsi - avvia un'ampia e variegata produzione di valore artigianale e artistico che interessa ambiti del design moderno: dalla moda all'arredo. Le due giornate saranno quindi l’occasione per regalare alla città un volume a lui dedicato. La pubblicazione racchiuderà un catalogo di immagini delle

sue creazioni facenti parte di collezioni private fornite ad Architetti nell’Altotevere dai cittadini tifernati in occasione della mostra da noi organizzata nel 2013. Un omaggio quindi non solo a De Rigù, ma anche a Città di Castello. Nella bellissima cornice della nuova Biblioteca Carducci di Città di Castello, potrete partecipare non solo ad estemporanee d’arte e performance di danza con vestiti originali di De Rigù e coreografie ispirate al Bauhaus, ma anche a conferenze.

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SGUARDI

ADe Rigù, ceramica

Ci sarà spazio anche per i più piccoli, con due momenti molto importanti a loro dedicati. Il primo è una piccola lezione sul Bauhaus a misura di bambino. Il secondo, ma non per importanza, è l’istituzione del Concorso di Architettura under 11 “non solo aula”. Il concorso è rivolto agli studenti delle scuole primarie del territorio tifernate. La celebrazione del centenario della nascita della Scuola del Bauhaus, quindi, è occasione per celebrare non solo la nascita del design moderno ma

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anche la nascita della didattica moderna fondata sull'esperienza diretta della realtà, sull'equilibrio tra espressione della creatività e la conoscenza. Proponiamo quindi ai più piccoli, ma anche ai loro insegnanti e ai genitori di riflettere sul concetto di “design” e della sua importanza nella vita di tutti i giorni. Durante le due giornate sarà poi possibile votare i progetti, e a chiusura dell’evento ci sarà la premiazione dei vincitori.

Ritenendo che questo evento, avendo anche visibilità nazionale possa non solo promuovere la nostra città e il suo territorio, ma anche dare spazio all’apertura dei confini parlando di Bauhaus ed esperienze culturali internazionali, vi invitiamo... certi della vostra curiosità. E a breve potrete trovare il programma dettagliato dell’evento al link www.studiaperti.com.


De Rigù, tavolo in legno e metallo

«A questo punto non ci saranno più conffini tra artigianato, scultura e pittura; tutti questi aspetti saranno una cosa sola: Architettura» Bruno Taut

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FOTOGRAFIA

L’ALTRA E45 QUELLO CHE NON SAPPIAMO SULLA GRANDE ARTERIA CHE HA CAMBIATO LA NOSTRA VITA testo

Redazione fotografia

Matteo Bianchi

Quo Vadis? È il titolo del viaggio fotogiornalistico di Matteo Bianchi, con i testi di Maria Vittoria Malatesta Pierleoni che offre una prospettiva alternativa alla “vista” di chi attraversa la grande strada

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FOTOGRAFIA

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Tra i filoni narrativi che hanno contribuito al grande successo di pubblico della mostra fotografica collettiva "E-45 – La grande Via", sulla quale è calato il sipario lo scorso 17 marzo e di cui vi abbiamo parlato nello scorso numero, spicca sicuramente il reportage di approfondimento Quo Vadis?. Classe anghiarese 1990, Matteo Bianchi è la mente pensante dietro questo progetto. Da sempre appassionato di fotografia, lo scorso anno, mentre frequentava il corso di fotogiornalismo presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze, sotto la guida del collettivo Terraproject ha gettato le basi per il suo primo progetto personale. In tempi definibili non sospetti, specie se visti nell’ottica dei recenti fatti di cronaca locale e nazionale, la tematica scelta è stata quella del deli-

cato rapporto tra paesaggio e infrastrutture, tra natura e uomo che trova il proprio paradigma espressivo nelle comunità dell’Appenino toscoemiliano e la E45. Con l’occhio e l’obiettivo affinato dallo studio dei lavori dei più esponenti fotografi, tra tutti Alec Soth, Matteo affida a 20 scatti il racconto della vita all’interno di Valsavignone, Montecoronaro, Le Ville di Montecoronaro e Verghereto, luoghi vicini a casa e quindi tanto noti quanto logisticamente accessibili. Il lavoro si incentra così sulla loro esistenza, cambiata, sotto tanti aspetti, dalla costruzione del tratto di superstrada E45 e dalla chiusura della vecchia statale SS3 bis Tiberina che, contemporaneamente allo stato di degrado in cui versa, comporta giorno dopo giorno crescenti disagi

per i residenti. Se da un lato infatti quella che è stata definita la Grande Via ha favorito i collegamenti verso i maggiori centri abitati, dall’altro ha accelerato il processo di spopolamento di queste comunità montane in cui l’età media si alza e il calo demografico progredisce inesorabilmente dagli anni ’70 ad oggi. Lungi dai riferimenti letterari e cinematografici, l’espressione latina scelta per il titolo (it.«dove vai?») è una domanda che rimane volutamente aperta e si rivolge a tutti coloro che, in misura diversa, hanno a che fare con la E45. Con piglio decisamente fotogiornalistico, Quo Vadis? non ha alcuna pretesa di esaustività ma si “limita” a voler offrire una prospettiva, suggerendo o allargando laddove già esista, lo sguardo su ciò che per chi vive in queste zone è naturale e imprescin-

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dibile sebbene, forse, mai osservato e valorizzato abbastanza. «L’E45 è qualcosa con cui convivo da quando sono nato, al punto che non sarei neanche capace di immaginarmi il paesaggio senza gli enormi piloni e il rumore dei tir che la attraversano. Come per tutto ciò che si ha sempre sotto gli occhi, non viene mai da domandarsi che cosa ci sia dietro e quale impatto abbia su chi vive in questi posti, dove io stesso ho trascorso spesso molti momenti della mia infanzia. Volevo così poter raccontare che cosa ci fosse oltre alla strada. Mi sembrava importante focalizzare l’attenzione sulle persone “invisibili” che continuano ad abitare le comunità sempre più isolate, affrontando quotidianamente le conseguenze della vicinanza ad un’arteria stradale di im-

portanza vitale» è quello che risponde Matteo a chiunque gli chieda che cosa lo abbia stimolato ad intraprendere quest’avventura fotogiornalistica. Attraverso panoramiche e dettagli, gli scatti raccontano di questi spazi, un tempo abitati e ora più somiglianti ad architetture fantasma e involucri isolati, danneggiati dalle intemperie, sempre più inglobati, trasformati dalla natura circostante, dagli anni che passano mentre i selezionatissimi e tecnicamente rigorosi piani americani descrivono le storie di chi li ha vissuti da sempre, di chi vi ha investito speranze e aspettative, finendo poi per fare i conti con una ben più aspra realtà, di chi torna solo di tanto in tanto perché ha preferito una via di fuga all’emarginazione. I testi, curati da M.Vittoria Malatesta Pierleoni, accom-

pagnano le foto richiamandosi ad una scelta stilistica ben delineata che ha fatto del coinvolgimento e della partecipazione degli abitanti una risorsa fondamentale. Sono così il risultato di ricerche, documenti, studi e interviste. Leggendoli si ha come la sensazione di sentirsi ospiti graditi degli abitanti di quelle case ma soprattutto di avere il permesso di accedere ai loro ricordi ed esperienze. Quo Vadis? è un lavoro parzialmente concluso, ancora in itinere per rimanere nei latinismi ma già totalmente riuscito nel non facile compito di delineare una personale ed intima mappa topografica contribuendo così alla memoria storica e culturale di un paesaggio e una comunità che rischiamo di perdere. matteobianchiphoto.com

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Il ristorante nasce a fine ‘800 in una casa di Corso Matteotti. Originariamente si chiamava “Ristoratore l’Appennino” ed apparteneva alla famiglia della signora “Nena” dalla quale ha preso in nome attuale. Nel 1991, dopo vari spostamenti, lo abbiamo acquistato, trasferendo l’attività in questo locale e mantenendo le tradizioni tramandate dal figlio della signora “Nena” integrandole con il nostro stile. In particolare il piatto che proponiamo era uno dei piatti più famosi dell’antico ristorante ed era chiamato anche “Lo sformato dell’Antiquario”, poichè è stato ritrovato in un cassettone del ‘600 dall’antiquario Poggini di Anghiari e donato alla signora “Nena” che lo ha introdotto nel suo menù. RISTORANTE LA NENA Corso Matteotti, 10/14 Anghiari (AR) Tel. 0575 789491 www.ristorantenena.it mail: nena@anghiari.it

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SFORMATO DI FAGIANO O DELL’ANTIQUARIO Pulire il fagiano e tagliarlo a tocchetti, mettere in padella e portare a cottura. Una volta cotto, spolparlo dall’osso e battere finemente, setacciarlo per rimuovere eventuali piccole ossa salvando l’olio di cottura. A parte preparare circa 2 lt. di besciamella aromatizzata con tartufo fresco. Mescolare e assemblare il tutto aggiungendo un uovo, trasferire nello stampo e infornare a 180° per un tempo che può variare dai 10 ai 30 minuti a seconda della dimensione dello stampo. Impiattare, spolverare con tartufo fresco e servire caldo.

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Primavera Decorazioni primaverili abbinate al turchese brillante: questa linea è un inno alla natura, perfetta per ogni occasione, ideale per esaltare i piatti di stagione.


INTERVISTA

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Riccardo Sinigallia

Una questione di cuore e musica Testo Andrea Luccioli

Riccardo Sinigallia è una delle figure più importanti della musica italiana degli ultimi 25 anni. Il suo ultimo disco “Ciao Cuore” è stato osannato dalla critica e gli ha dato notevole visibilità anche con il grande pubblico. Lo abbiamo intervistato in occasione del suo concerto a Perugia. 85


INTERVISTA

Se c’è un personaggio che ha attraversato gli ultimi 25 anni della musica italiana, sotto molteplici vesti, è sicuramente Riccardo Sinigallia. Cantautore, musicista e produttore, il suo nome compare dietro decine di progetti e formazioni che hanno rappresentato e rappresentano la “meglio musica italiana”. Di recente è venuto a Perugia, in concerto. Ha presentato il suo ultimo lavoro, “Ciao Cuore”, con cui ha avuto riconoscimenti di critica e pubblico. Un album che arriva a quattro anni da precedente “Per tutti” e ci consegna un artista maturo e consapevole.

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Lo abbiamo intervistato, a ridosso del concerto perugino, cercando di capire di più su chi è oggi Riccardo Sinigallia e dimenticandoci, per un attimo, di associarlo ripetutamente ai Tiromancino. Riccardo, cosa hai fatto negli ultimi quattro anni, ovvero la distanza che separa i tuoi ultimi due dischi? «Tantissime cose sempre legate alla musica, ho lavorato al disco di Motta, con i DeProducers per il disco Botanica, mi sono occupato di film, colonne sonore e ho scritto diverse canzoni».

‘Ciao Cuore’ è il tuo quarto album, cosa c’è di nuovo rispetto ai precedenti lavori? «C’è di nuovo che questo disco ha aperto un ulteriore capitolo. Gli altri dischi, in qualche modo, facevano parte di una trilogia che mi ero imposto di scrivere e concludere. Dopo di che, mi sono detto, se avessi avuto ancora qualcosa da dire lo avrei fatto. E alla fine è arrivato Ciao Cuore». Come sei arrivato a questo disco? «È stato un percorso iniziato con una riflessione. Ad un certo punto mi sono detto: non ce la faccio a non fare dischi. Smetterò solo nel momento in cui


dovessi rendermi conto che non ho più nulla da dire. Ma evidentemente il richiamo a scrivere è ancora forte». Il disco è andato forte tra la critica. «È vero, mentre con il pubblico faccio sempre un po’ più fatica. Soprattutto con il pubblico generalista, mentre vedo con una certa felicità che i miei lavori sono molto apprezzati tra gli appassionati di musica». Sei così difficile? «Ma no, i miei dischi non sono così sofisticati. C’è ovviamente una ricerca sonora, ma non c’è nulla di ostico». L’immagine del disco è suggestiva ed evocativa. «È nata così. Alla fine del disco mi sono reso conto che ogni pezzo aveva la possibilità di essere rappresentato, che simboleggiava qualcosa e ho pensato ad un ritratto di famiglia. Il disco era, in pratica, una specie di famiglia allargata. Insieme alla fotografa Ilaria Magliocchetti abbiamo cercato di rappresentare questa idea, questa sensazione. Ad esempio sulla cover del disco c’è mia figlia con una maglietta con scritto ciao cuore». Sei in giro a suonare da gennaio giusto? «Sì, il tour è iniziato da un po’. Al nord abbiamo raccolto un bel pubblico, al sud un po’ meno. Ma io sono contento, credo di avere il pubblico che ho sempre sognato, quello che ti ascolta con attenzione e partecipazione. Non è scontato».

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REPORTAGE

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MASSIMO VOLUME Testo e foto di Andrea Luccioli

TUTTE LE NOSTRE CATTIVE ABITUDINI

Il report del concerto dei Massimo Volume all’Auditorium San Domenico di Foligno. La band di Emidio Mimì Clementi ha portato sul palco gran parte dell’ultimo disco, “Il Nuotatore” e diversi pezzi che hanno segnato la storia della band. Il loro rock chirurgico ci ha raccontato, ancora una volta, tutti i punti dove la nostra vita ristagna

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REPORTAGE

Setlist: Litio Una voce a Orlando Dymaxion Song Le nostre ore contate Amica prudenza Nostra Signora del caso Fred La ditta di acqua minerale L’ultima notte del mondo Silvia Camagni Compound Il nuotatore Mia madre & la morte del gen. Josè Sanjurjo Vedremo domani La cena Coney Island Il primo dio Qualcosa sulla vita Fuoco fatuo

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Chi sono i Massimo Volume? Sono il gruppo italiano che più di chiunque altro, in trent’anni di carriera, ha saputo raccontare e mostrare i punti dove la vita ristagna. Occorre prendere in prestito questa immagine dal testo della loro “Le nostre ore contate” per cercare di capire chi sono i Massimo Volume e cosa è oggi l’immensa band che si è presentata sul palco dell’Auditorium San Domenico di Foligno per presentare dal vivo l’ultima fatica, “Il Nuotatore”. Album profondissimo, forse un po’ meno immediato dei precedenti lavori, ma che ci ha consegnato un gruppo in formissima e con tantissime cose da dire. Sulla nostra vita, ovviamente. Sì perché i Massimo Volume questo sanno fare bene con il loro rock asciutto, ruvido e con quel cantato

“spoken” che è il loro marchio di fabbrica: raccontare la vita, soprattutto lì dove ristagna. Al centro della scena, ovviamente, lui: Emidio Clementi, ovvero il Mimì che Manuel Agnelli insieme ai suoi Afterhours canta in Bye Bye Bombay e che dopo un paio di progetti solisti e altrettanti libri, ha ripreso in mano i Massimo Volume ed è tornato a raccontare storie. Storie fatte di imperfezioni, di un’umanità sporca e strisciante, ma anche piena di slanci e lampi di bellezza. I Massimo Volume conoscono a memoria tutte le “nostre cattive abitudini, quasi sempre appagate” e ce le sbattono in faccia con un rock chirurgico, puntuale. Vittoria Burattini alla batteria, il grande Egle Sommacal alla chitarra, la new entry Sara Ardizzoni alla

seconda chitarra dopo l’addio di Stefano Pilia e Clementi al basso/ voce: questa la formazione che al San Domenico ha messo in fila 19 pezzi che rappresentano al meglio la loro carriera, la loro grandezza. Un concerto che ha raccolto tantissimi fan anche da regioni vicine e che i ragazzi di Re:Play e Zut! hanno voluto fortemente portare a Foligno a testimonianza di come la città sia ormai un crocevia di culture, generazioni ed esperienze artistiche di grande valore. A noi, dopo oltre un’ora e mezzo di grande musica, ci resta addosso la sensazione di esserci trovati davanti ad uno specchio. I Massimo Volume ci hanno mostrato la nostra vita in forma rock, i nostri fallimenti, i nostri sogni e le nostre debolezze senza dare un giudizio, assolvendoci tutti.

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Testo e foto Redazione

«I nostri antenati ci parlano, scaviamo per conoscere chi eravamo e chi siamo» Valerio Massimo Manfredi e la sua “lezione” per il primo anno di apertura di Villa Mosaici a Spello: «Abbiamo un’eredità rara e siamo dei privilegiati, possiamo toccare il nostro passato». Dal marzo 2018 VMS ha fatto registrare 27mila visite da tutto il mondo.

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Un anno dopo. Villa Mosaici, Spello. Una delle più grandi scoperte archeologiche degli ultimi anni festeggia un anno dall’apertura della struttura-museo che gli è stata costruita intorno e che, in 365 giorni, ha raccolto oltre 27mila visite da più parti del mondo. VMS, Villa Mosaici Spello, è stata festeggiata dalle Istituzioni, ovvero il sindaco Moreno Landrini e la presidente del Consiglio regionale, Donatella Porzi e celebrata da Francesca Boldrighini, archeologa della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e soprattutto da un cittadino onorario di Spello molto particolare: l’archeologo e scrittore italiano di fama internazionale Valerio Massimo Manfredi. VMS in pillole. Tutto è iniziato casualmente nel luglio 2005, appena fuori le mura di Spello, in località Sant’Anna, quando venne alla luce un complesso monumentale romano di notevoli dimensioni. Dalla terra affiorarono i resti di un mosaico antico, che diedero il via alle operazioni di scavo e, a seguire, di restauro. Un accurato lavoro, svolto in sinergia da Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione Umbria, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e Comune di Spello, ha permesso di recuperare e musealizzare una delle scoperte archeologiche più prestigiose degli ultimi anni. Le indagini archeologiche hanno individuato venti ambienti, probabilmente relativi al corpo centrale di una villa di età tardo imperiale. Splendidi i mosaici pavimentali recuperati. La fluidità del disegno e 95


REPORTAGE

la resa cromatica, soprattutto dell'ambiente più grande, testimoniano l'alta qualità tecnica della bottega, le cui maestranze potrebbero venire da Roma per rispondere all'esigenza di un committente particolarmente facoltoso e di una specifica collocazione sociale. Un anno dopo. Chi ha potuto visitare VMS non ha dubbi: si tratta di un gioiello assoluto che testimonia la ricchezza storica e culturale dell’Umbria e non solo. «Siamo di fronte a 500 metri quadri di bellezza – ha detto Valerio Massimo Manfredi nel suo intervento di fronte a decine di persone in fila dal pomeriggio per assistere alla sua lezione -. Noi abbiamo un enorme privilegio, quello di vivere in questo Paese. Un posto dove possiamo toccare con mano la nostra storia. Possiamo camminare su ciò che ci hanno lasciato i nostri antenati e questo è straordinario». La meraviglia di VMS, secondo Manfredi, «è che 96


ci dà la possibilità, come gli altri ritrovamenti di epoca romana, di scoprire come vivevano i nostri antenati e questo significa conoscere noi stessi, la nostra storia. Non c’è alcuna civiltà che può vantare una storia lunga come la nostra, nemmeno quella cinese». Manfredi, nel suo discorso, ha raccontato di molti mosaici, non solo di quelli spellani, a dimostrazione che l’arte e le strutture musive sono una testimonianza fondamentale della nostra civiltà. «Ci restituiscono immagini di vita vissuta e ci consentono di dialogare con i nostri antenati – ha detto Manfredi – Villa Mosaici è fatta per noi, per arrivare a noi. Sapete perché cerchiamo esperienze come questa e perché scaviamo? Perché non vogliamo che queste storie raccontate qui muoiano. Abbiamo un’eredità più unica che rara».

Le Stanze di Villa Mosaici Stanza degli uccelli – Presenta una decorazione geometrica con sei ottagoni che racchiudono uccelli, tra cui le pernici. Richiamano la caccia e la buona tavola. Stanza delle anfore – Particolarissima decorazione con quattro anfore stilizzate disposte a croce, un soggetto che trova confronto solo con un pavimento proveniente da una villa di Roma, nell’area di Tor Marancia. Il triclinio – È l'ambiente principale della Villa, la stanza da pranzo usata per banchetti dove si mangiava sdraiati come nell'antica Grecia. La decorazione dei pavimenti è incentrata su Bacco, la ven-

demmia e il vino. Stanza del sole radiante – Deve il nome all’ottagono centrale con un sole radiante che irraggia una vegetazione palustre, costituita da canne con infiorescenze. Alcuni uccelli sono disposti tra la vegetazione: si riconoscono un'upupa e un'anatra. Il sole, l’ambiente palustre e l’abbondanza di uccelli richiamano la fertilità del territorio. Stanza del mosaico geometrico – È probabile che si trattasse di una camera di letto. La stanza ha una pavimentazione a mosaico con motivo detto a ‘croce di quattro squadre’, una decorazione semplice ed elegante, giocata sul contrasto cromatico, che dà vita ad altre geometrie.

Stanza degli scudi – Questa stanza presenta un motivo geometrico a “pelte” continue, ossia lo scudo greco a forma di luna crescente. Ambiente riscaldato – Appartiene all’epoca più antica della Villa. La presenza di suspensurae, i pilastrini in mattoni che permettevano di creare un’intercapedine tra le fondamenta dell’edificio e il pavimento, ci testimonia che si trattava di una stanza riscaldata. Il peristilio – È il cosiddetto portico che cingeva il giardino o cortile interno al centro della Villa. Presenta una pavimentazione geometrica a tessere monocrome.

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F O L I G N O

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Le nostre città sono paesaggi stratificati, unici. Le nostre città sono fatte di anime, relazioni e strutture da decifrare, narrare, scoprire. Da questa ricerca, dalla voglia di sperimentare e di pensare alle città del presente, del passato e soprattutto del futuro, nasce “Mirapolis”, il Festival di architettura pensato per la città di Foligno e tutto il territorio umbro dall'associazione culturale che porta lo stesso nome della manifestazione. La prima edizione della rassegna (prevista dal 26 al 28 aprile in diverse location di Foligno), curata da Cecilia Cairoli e Alessandra Lancellotti, avrà come tema i “Paesaggi Urbani”, e nasce con la volontà di valorizzare le diverse anime della città e del suo sistema di relazioni con il territorio umbro. Mirapolis è il primo festival in Umbria che esplora le molteplici sfaccettature dell'architettura cercando di coinvolgere sia esperti del settore che appassionati, il tutto attraverso numerosi eventi che animeranno la città per tre giorni. La rassegna si dividerà in due percorsi paralleli che vedranno la partecipazione di tanti protagonisti. Insieme lavoreranno per costruire una sorta di ecosistema creativo fatto di opere, momenti e spazi di condivisione e confronto. Il primo sarà “Mirapolis Festival – Paesaggi urbani”, un percorso per professionisti e studenti che approfondirà i temi legati al mondo dell’architettura.

A P R I L E

Il secondo, invece, sarà il “FuoriMirapolis”, un percorso per appassionati e curiosi che raccoglierà esperienze variegate e intercetterà spunti collegati al mondo dell’architettura. I due percorsi coinvolgeranno numerosi Enti e Associazioni a livello nazionale e internazionale: il Festival vuole essere una speciale occasione di crescita e visibilità per realtà locali legate al settore tecnico, per creare una fitta rete di sinergie e interazioni in tutti i campi legati all'architettura, all'urbanistica, al design e alla creatività. Tanti i partner che già hanno dato il loro patrocinio o collaboreranno all’evento: Comune di Foligno, Ordine degli Architetti di Perugia, Ordine degli Ingegneri di Perugia, Fondazione Umbra per l'Architettura, Università degli Studi di Perugia Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale, Politecnico di Torino, Accademia delle Belle Arti di Perugia, Facoltà di Scienze Politiche, Profoligno, Società Italiana di Ergonomia e Fattori Umani, Laboratorio di Scienze sperimentali di Foligno, Associazione Architetti dell'Alto Tevere, Associazione Archinapsi, Hopeandspace, Associazione Italiana Sclerosi Multipla e anche soggetti privati come Cinema Clarici, Fantauzzi Arredamenti, Flexform, Terra & Paglia e altri che saranno annunciati a breve. Mirapolis Festival vuole essere un contenitore di idee, un laboratorio per nuove sinergie. In programma, nei tre giorni della kermesse, lectio magistralis, interventi su temi collegati al mondo dell’architettura e del design, proiezioni cinematografiche, incontri a tema sull’abitare, innovazione e digitale, concept didattici, showbuilding molto altro ancora. Ci saremo anche noi di The Mag, che saremo media partner dell’evento.

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MUSICA

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Remo Anzovino a Recanati

ÂŤSono andato oltre la siepe a cercare LeopardiÂť 101


MUSICA

A Recanati il concerto evento del maestro Remo Anzovino che ha celebrato i 200 anni de “L’Infinito” con un componimento originale e un concerto per piano solo in cui le sue composizioni si sono mischiate alle immagini di Mario Giacomelli e alle parole del poeta recanatese Se c’era un pianista e compositore in Italia capace di trascrivere in musica “L’Infinito” di Giacomo Leopardi, quello era sicuramente il maestro Remo Anzovino. E così è stato. Grandi occhiali e capelli ondulati, in perenne movimento e con una dote artistica enorme, Anzovino al Teatro Persiani di Recanati ha portato sul palco un componimento originale per celebrare i 200 anni della poesia delle poesie e ha condito il tutto con un concerto in cui le sue musiche si sono accompagnate alla perfezione con le foto di un altro maestro, Mario Giacomelli. Immagini su cui sono state aggiunte frasi e parole del poeta recanatese. Un connubio perfetto per una delle serate più intense del programma di eventi che la città di Recanati ha voluto dedicare al suo illustrissimo concittadino. In tutto un’ora e mezza abbondante di concerto in cui Anzovino ha presentato anche il suo nuovo lavoro, “Nocturne” e che si è chiuso con un bis fuori dagli schemi, ovvero “Get up, stand up”, di Bob Marley suonata al piano, con ritmo affidato al pubblico e gran crescendo in levare chiuso da lunghi applausi. Prima, però, in un silenzio intimo e profondo, si è assistito ad una performance intensa e appassionata. «Andare oltre la siepe e prenderci il piacere, questo ha voluto insegnarci Leopardi. È il godimento dell’immaginazione quello che ha voluto comunicarci: andare oltre quello che i nostri occhi vedono, fino all’estremo orizzonte», così Anzovino ha raccontato il suo approccio al poeta e all’Infinito quando si è seduto al suo piano per comporre il brano di apertura del concerto. «Recanati mi ha fatto un dono, mi ha

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dato la possibilità di essere qui stasera e io ho voluto ringraziare con un mio dono, questa musica», ha detto poi. Per chi non lo conoscesse, il maestro Anzovino di recente ha realizzato due importanti colonne sonore. La prima è quella del documentario “Van Gogh. Tra il grano e il cielo” e l’altra è sempre una pellicola di docu-arte, “Gauguin a Tahiti – Il Paradiso perduto”. In qualche modo, quindi, la sua composizione per Leopardi si è inserita in un solco artistico ben preciso: «Mi è capitato di pensare a cosa potesse accomunare Van Gogh e Leopardi – ha detto Anzovino – E ho trovato uno spunto eccezionale. Con la sua poesia Leoperdi va oltre i pregiudizi, con l’immaginazione riesce a provare emozioni fortissime ed è riuscito a trasmettercele. Andava oltre la siepe e ci ha mostrato come andarci anche a noi. Van Gogh, nel suo periodo in Provenza, dipingeva tronchi azzurri e cieli gialli, andava oltre la sua siepe e contro le siepi del suo tempo, come Leoparti. Entrambi, poi, erano degli uomini particolari, bizzarri per certi versi e rifiutati un po’ da tutti». Durante il concerto Anzovino ha suonato diverse delle sue composizioni più conosciute, tutte accomunate da una grande ricerca della melodia e uno stile riconoscibile. Il feeling con il pubblico è stato l’altro elemento in più di una serata speciale: «Un concerto di pianoforte solo è una sfida, ad ogni brano bisogna saper dare al piano un suono diverso”, ha spiegato al temine della sua esibizione, “il teatro Persiani mi ha aiutato molto, è una struttura splendida con un’acustica meravigliosa che restituisce tutto quello che il pubblico dà».


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Biblioteca Comunale “Giosue Carducci” di Città di Castello

NELLA REGGIA DEI LIBRI DOPO 20 ANNI APRE LA NUOVA BIBLIOTECA ED È BELLISSIMA Testo Cristina Crisci Foto Enrico Milanesi

Tra il Parmigianino e l’ebook Anche se l’attribuzione dell’affresco riemerso nel corso dei cantieri deve essere ufficialmente confermata, la nuova biblioteca in queste prime settimane di vita sta diventando una casa comune, dove centinaia e centinaia di persone sono entrate.

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Giovanni Magherini Graziani, L'Arte a CittĂ di Castello, vol. 2 Atlante, CittĂ di Castello 1897

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Qui le decorazioni del Cinquecento e oltre 50 mila volumi (tra incunaboli e cinquecentine del Fondo Antico), convivono con il prestito digitale dei libri di carta e connessioni internet ultraveloci. Palazzo Vitelli a San Giacomo, costruito dalla famiglia dei Vitelli nei primi decenni del XVI secolo, tiene insieme oggi conservazione e promozione culturale, con 12 mila volumi in consultazione, sale dedicate ai bambini, laboratori, isole tematiche, oltre 60 diverse riviste e le maggiori testate dei quotidiani italiani, una piattaforma di consultazione e un servizio di prestito digitale per prelevare e riconsegnare i libri. Rinascimento e contemporaneità sono le parole chiave di Città di Castello perché queste due dimensioni temporali convivono in tanti contesti e trionfano anche nella nuova biblioteca che dopo 20 anni di cantiere finalmente riconsegna un palazzo storico insieme a un luogo necessario alla città. E per accoglierlo a dovere nel giorno dell’inaugurazione sono scesi nei vicoli del cen-

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tro storico famiglie, bambini, giovani e rappresentanti istituzionali in un grande bibliocorteo. Tutti con un libro in mano per le strade, a trasferire fisicamente i libri dal punto prestito Nel Frattempo (ora chiuso) verso la nuova sede, disegnando davvero una bella immagine, per una delle più belle biblioteche del centro Italia. Il bibliocorteo di domenica 10 marzo ha suggellato una giornata importante per Città di Castello: «E’ il giorno zero della nostra nuova biblioteca», ha detto il sindaco Luciano Bacchetta, a capo del corteo istituzionale e di ‘popolo’ che ha sfilato da corso Cavour verso via XI Settembre, accompagnato dalla Filarmonica Puccini, dai figuranti dei quartieri Prato e Mattonata, dalla Compagnia dei Balestrieri e dei Capitani dell’arme antica. Tutti in fila, parole in mano e sorriso in volto per entrare in biblioteca: la musica, le associazioni, la storia di un giorno fatto di visite ininterrotte fino a notte, a vedere il palazzo della cultura.

Centinaia i visitatori che da quel giorno sono entrati nelle splendide sale di palazzo Vitelli dove i libri regnano nelle sontuose stanze che si fanno meravigliosamente a misura di bambino perché, soprattutto loro, possano essere ispirati dalla bellezza dei soffitti. Antonella Agnoli, esperta di biblioteche e progettista ha ricordato: «In questi lunghi anni, mentre lentamente procedeva il restauro il mondo è cambiato, sono cambiate le tecnologie, l’informazione non è mai stata così a portata di mano. Vi chiederete: perché abbiamo ancora bisogno di biblioteche, di luoghi fisici se tutto quello che contengono può essere comodamente visto, letto, ascoltato da casa? La risposta è: perché oggi più che mai sono necessari luoghi dove le persone possano stare insieme e fare delle cose. La nuova biblioteca potrà diventarlo solo a patto che sia in grado di coinvolgere tutti i cittadini, anche quelli che pensano (sbagliando) che non sia un luogo per loro».


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FOTOGRAFIA

IN LUCE Come un giocatore di scacchi conosce le mosse di ogni singolo pezzo per pianificare strategie complesse, così un fotografo è un maestro nel leggere la luce per disegnare con le ombre. Enrico Milanesi, da fotografo quale è, ci propone una lettura della nuova biblioteca di Città di Castello bagnata dalla luce. È lei la protagonista di questo servizio fotografico. Si insinua, taglia, colora, accarezza, disegna e dà linfa. Metafora di un palazzo storico riportato al suo antico splendore e che ora, pieno di luce, ha nuova vita.

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ONLINE È possibile registrarsi per accedere a MediaLibraryOnLine, la piattaforma di prestito digitale per le biblioteche pubbliche attiva 24 ore su 24. Si potrà così consultare gratuitamente on line un’infinità di quotidiani, riviste ed e-book, ascoltare musica e audiolibri. ORARI Gli orari di apertura: dal martedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19, il sabato dalle 9 alle 13 e la domenica dalle 15 alle 19 fino a maggio. BIBLIOTECA CARDUCCI Il vicesindaco e assessore alla cultura Michele Bettarelli: «La concezione innovativa della biblioteca sperimenterà orari e modalità di fruizione molto elastiche». COSTI L’assessore ai lavori pubblici Luca Secondi ha fatto il punto sui poderosi interventi, «circa 7 milioni di euro, di conversione di un palazzo rinascimentale a funzioni moderne di accesso alle informazioni e al sapere».

LA PARTECIPAZIONE Una partecipazione eccezionale. Gli abitanti di Città di Castello sono scesi nelle vie per formare un lungo serpentone che ha unito la sede provvisoria della biblioteca "NelFrattempo" alla nuova struttura. L'inaugurazione è stata un momento di collegamento tra il recente passato e il futuro e questo grazie alle decine di persone che hanno voluto testimoniare la forza aggregatrice della cultura. Un segno di civiltà e di amore per la città.

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BECOMING THE MAG

“BLACK KNOT”, COME NASCE UN NOIR Il perugino David Ferracci ci racconta il grande lavoro dietro la sua graphic novel ambientata in un’America ucronica. Un’opera dove si scopre che morire non è sempre la fine di tutto

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BECOMING THE MAG

Lo abbiamo conosciuto nel numero scorso di The Mag, quando ha realizzato per noi un’incredibile tavola originale su Terry Gilliam. Parliamo di David Ferracci, illustratore del collettivo “Becoming X” – di cui già vi abbiamo ampiamente parlato – e a cui stavolta abbiamo voluto chiedere qualcosa di più su “Black Knot”, una graphic novel a sfondo poliziesco nata dalla sua mente (e dalla sua mano) con l’aiuto di Giovanni “Fubi” Guida. Un’opera estremamente affascinante, ambientata in un’ucronia dove l’America è così simile ma così diversa da quella che conosciamo e che ci farà scoprire come alle volte morire non è la fine di tutto. Uno degli aspetti più intriganti di Black Knot sta proprio nel grande lavoro fatto dal nostro Ferracci, con tavole dotate di notevole potenza visiva. Abbiamo fatto qualche domanda a David per capire qualcosa di più di questo lavoro. Da dove nasce l’idea di Black Knot? «Nasce dai miei viaggi in treno durante la Scuola di Comics a Roma attorno il 2012. In quel periodo ero molto suggestionato da un certo tipo di ibridazione dei generi nel fumetto e mi sarebbe piaciuto riproporla usando il Noir come base. Ho cominciato a scrivere creando dapprima il protagonista e poi, come una sorta di suo diario personale, raccontare i suoi casi. Lui stesso usciva dal classico cliché dell’investigatore privato poiché possedeva

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il potere di poter comunicare con i morti (pur avendo tutte le carte in tavola di alcolismo e depressione). Per completare l’obiettivo ho associato alla storia un’ambientazione dapprima futuristica, poi ucronica, ossia una sorta di deviazione temporale, dove il percorso storico aveva preso tutt’altra piega. Questo tipo di ambientazione mi ha permesso di avere una base storica solida su cui poi poter fare delle variazioni e lavorare di design. La fase di documentazione iniziale mi ha richiesto parecchio tempo, ma all’epoca avevo tutto il tempo per creare una ‘bibbia’ completa di tutto l’occorrente». Che tipo di lavoro c’è dietro una graphic novel come questa? «In primo luogo ho completato tutta la successione degli eventi in maniera cronologica. A un certo punto ho sentito la mancanza di quel tocco di personalità e stile di scrittura che a me ovviamente mancava. Così ho fatto un passo indietro e ho coinvolto Giovanni “Fubi” Guida. Lui da grande professionista ha preso tutta la mia matassa di documentazione scritta e disegnata e gli ha dato un certo taglio. Poi sono passato alla fase di storyboard e layout per improntare la struttura delle pagine e avere un’idea ben precisa di quello che sarebbe stato il risultato finale. E’ stata la fase più lunga, dove ho potuto creare uno stile narrativo grafico e mettere in pratica anni di letture. Fatto

questo sono passato direttamente alle chine. Tutte queste fasi sono state supervisionate dall’editor Luca Frigerio che ci ha seguito fase dopo fase dalla scrittura alle tavole complete. In seguito, in parallelo alla fase di lettering a cura di Marco Della Verde, Alessandra Delfino ed io abbiamo creato la veste grafica dell’intero progetto dall’intestazione del titolo all’impaginazione del colophon. Una volta stampato, abbiamo cominciato a lavorare sulla pubblicità. Ovviamente lavorando io nel mondo del videomaking ho colto la palla al balzo unendo le due cose. Non ho solo creato il booktrailer con una colonna sonora originale composta ad hoc da Tommaso Angelini, ma ho creato anche tutta una serie di contenuti multimediali che permettessero al futuro lettore di gustarne più di un semplice assaggio». È previsto un seguito? Progetti futuri? «Ci sono sicuramente buone intenzioni per il volume 2 di Black Knot. La necessità mia e di Fubi di sperimentare e raccontare la storia di questi personaggi ci galvanizza. C’è l’intenzione di dare più respiro a una storia di atmosfera che lo richiede. Aggiustare il tiro cercando di analizzare valutando anche i feedback che abbiamo ricevuto dai lettori del primo volume. Alzare l’asticella a livello narrativo sia grafico che scritto».


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Cinema Metropolis

CINEMA METROPOLIS

Un bis da applausi di Luca benni & Matteo Cesarini

Da qualche settimana l'offerta del Cinema Metropolis si è arricchita grazie all'apertura della seconda sala all'interno del Museo Rometti (che ospita la collezione storica delle Ceramiche Rometti).

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Cinema Metropolis

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Cinema Metropolis

Si tratta di un progetto ambizioso e innovativo, in linea con le più avanzate tendenze che vedono i musei trasformarsi in centri culturali a 360 gradi, da luoghi di conservazione di un patrimonio a centri di produzione di nuovi stimoli e nuova cultura. Il Museo Rometti, che già da qualche mese è stato rivitalizzato da numerose iniziative didattiche e culturali organizzate al suo interno, è stato dotato di un proiettore di nuova generazione, di uno schermo e delle sedute necessarie per trasformarlo in una seconda sala da 50 posti. La programmazione, in linea con la straordinarietà della location, da subito è stata incentrata sulla qualità, privilegiando documentari d'arte (proiettati fra gli altri in uscita nazionale i titoli "Canova", "Leonardo Cinquecento", "Wunderkammer") e produzioni indipendenti, senza tralasciare la proiezione di film in lingua originale e di pellicole ad hoc per i più piccoli, decuplicando così notevolmente le proposte del cinema Metropolis.


Alcuni film appena passati in Sala Rometti: "Santiago Italia" di Nanni Moretti, film di chiusura del Torino Film Festival 2018; "Sofia" di Meryem Benm'BarekAloĂŻsi, premiato per la sceneggiatura nella sezione Un certain rĂŠgard del festival di Cannes;

"Un valzer tra gli scaffali", regia di Thomas Stuber, film in concorso alla Berlinale 2018; "La gabbianella e il gatto", regia di Enzo D'A lò, a 20 anni dalla prima uscita al cinema, in edizione restaurata. Tutta la programmazione disponibile al sito www.cinemametropolis.it

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Wim Delvoye

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Prendendo spunto dal 2 maggio prossimo, Giornata Mondiale dei Blogger, ho pensato di parlare di un artista che ha fatto del suo sito internet la pietra d'angolo della sua produzione: Wim Delvoye (Wervik 1965). Il suo sito personale, che trovate all'indirizzo wimdelvoye.be,

so la Gallery Hyundai di Seul, al Tinguely Museum di Basilea e al Museum of Contemporary Art di Teheran, hanno portato in scena una serie di lavori realizzati dall'artista nell'ultimo ventennio, dai quali si deduce una forte passione per l'Oriente. Tra oggetti di uso quoti-

alizzate da Delvoye vorrei nominare la serie Cloaca, composta da complicatissimi macchinari sempre più efficienti, man mano che gli aggiornamenti tecnici progredivano ed in grado esclusivamente di produrre escrementi. La natura ludica, quasi infantile di Cloaca I, II, III e IV, ha

è la riproduzione del noto facebook game Farmville; cliccando su ogni edificio potrete visionare la particolare produzione artistica legata ad un materiale o ad un dato contesto. Fra le varie opere spicca la performance Art Farm del 1997, nella quale trasformò in opere d'arte viventi i maiali appartenenti a una fattoria cinese, tatuando sulla loro pelle alcuni simboli iconici della cultura occidentale, dai monogrammi di celebri brand di moda a famosi personaggi dei fumetti. Le sue più acclamate mostre pres-

diano realizzati in acciaio inossidabile intarsiato con arabeschi e tappeti che assumono forme animali, si osserva anche il connubio tra artigianato e alta tecnologia che negli anni ha contraddistinto l'approccio di Delvoye alla materia, come nel caso degli pneumatici decorati da pattern intricati, dei modellini di camion con sembianze di cattedrali gotiche realizzati in acciaio tagliato al laser, e di una serie di sculture dagli echi ottocenteschi e integrate da figure in 3D del test di Rorschach. Fra tutte le opere provocatorie re-

favorito la diffusione tramite web, specialmente sui social network del nome di quest'artista che echeggia negli ambienti di settore già da una decina d'anni pur avendo avuto la sua prima personale italiana solo nel 2018 a Roma.

wimdelvoye.be


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La musica di L.M. Banksy

Gli Idles e il Rock In un contesto musicale purtroppo dominato da generi come Hip Hop, House, Rap, Trap, Edm come può trovare conforto un appassionato di duro rock e delle sue derivazioni? Se aggiungiamo anche le sempre più frequenti perdite fisiche, spesso improvvise, di importanti musicisti del genere parrebbe che non ci sia soluzione. Ed invece giunge da Bristol, incazzosa e delicata al tempo stesso, la risposta una vera e propria ancora di salvataggio. Sono gli IDLES si sono formati nel 2009 ed hanno già due album capolavoro all'attivo, "Brutalism" (2017) e "Joy as an Act of Resistance"

(2018), album seminali divenuti già dei benchmark per le band del genere. Ad ogni loro uscita gli IDLES si confermano una delle band più interessanti in circolazione, il loro lavoro e la loro bravura trovano poi conferma e sublimazione nei loro sudati ed incendiari live. Da un punto di vista prettamente musicale recuperano la tradizione senza inventarsi nulla di nuovo, ma questo è il punk ai tempi della Brexit: i loro pezzi parlano di rabbia, fragilità, populismo e stereotipi di genere, veicolando messaggi disruptive di cui il rock contemporaneo aveva davvero bisogno. Ma sanno anche parlare di

sentimenti, di perdite e di fragilità che diviene forza. Non amano le etichette e non certo vogliono farsi catalogare sbrigativamente come punk, se proprio vogliamo provarli a definire usando loro parole dovremmo usare il termine "heavy post-punk", per via della natura motorik della sezione ritmica e del fatto che chitarre e voce sono belli pesanti. Loro sono Joe Talbot (voce e testi), Adam Devonshire (basso), Mark Bowen (chitarra solista), Jon Beavis (batteria), Lee Kiernan (chitarra ritmica), loro sono gli IDLES, non fate l'errore di non tenerli a mente perchè loro non sono solo a "fucking punk band".

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Obiettivi su Burri Il Maestro attraverso lo sguardo dei grandi della fotografia

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Città di Castello, come ogni anno dal 2015, celebra Alberto Burri con l’iniziativa del “12 marzo”, giorno natale dell’artista, presso gli spazi espositivi degli Ex Seccatoi del Tabacco. Anche quest’anno, con la mostra “Obiettivi su Burri – Fotografie e fotoritratti di Alberto Burri dal 1954 al 1993”, la Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri ha realizzato a cura di Bruno Corà un evento che non solo ricorda Burri, ma che, per la prima volta, compie una ricognizione esauriente sui maggiori e più assidui professionisti della fotografia che lo hanno ritratto in differenti momenti della sua vita. I ritratti, a partire dagli anni Cinquanta, scrutano e fissano in stampe di grande intensità e valore storico, espressioni, azioni, luoghi, frequentazioni, abitudini e momenti solitari di Burri. Per questo nuovo “12 marzo” sono stati allestiti ben 2.300 metri quadrati di nuovi ambienti museali opportunamente messi a norma presso gli Ex Seccatoi, nei quali avranno luogo, oltre all’evento in programma, future iniziative rivolte ad approfondire lo studio e la conoscenza dell’opera di Burri e l’influenza da lui esercitata sull’arte contemporanea. Tra i grandi fotografi sono presenti in mostra opere di Aurelio Amendola, Gabriele Basilico, Giorgio Colombo, Vittor Ugo Contino, Plinio De Martiis, Gianfranco Gorgoni, Giuseppe Loy, Ugo Mulas, Josephine Powell, Sanford H. Roth, Michael A. Vaccaro, André Villers, Sandro Visca, Arturo Zavattini e altri. Nell’occasione sarà edito un catalogo a cura della Fondazione che ospiterà i saggi e i contributi critici di Bruno Corà, Aldo Iori, Rita Olivieri e Chiara Sarteanesi, nonché agli apparati bibliografici e le schede biografiche dei fotografi, redatti da Greta Boninsegni. La mostra resterà aperta tutta l’estate. Previste visite guidate e un ciclo di conferenze sull’opera di alcuni tra i fotografi che hanno operato assiduamente con il Maestro.

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LA STAGIONE PRIMAVERILE DEL FESTIVAL DELLE NAZIONI Un assolo al pianoforte di Danilo Rea e tre concerti con alcune delle formazioni cameristiche più interessanti del panorama italiano: Trio Metamorphosi, Duo Scudeller e Quartetto Cherubini. È questo il programma della prima Stagione primaverile del Festival delle Nazioni, che si svolgerà a Città di Castello fino a giovedì 2 maggio. Appuntamenti da non perdere, tutti a ingresso libero, che proporranno organici, sonorità e programmi musicali diversissimi. La Stagione primaverile è stata aperta nei giorni scorsi dal Trio Metamorphosi, mentre il secondo appuntamento è previsto per domenica 7 aprile con le due giovanissime sorelle violiniste Elisa e Giulia Scudeller, rispettivamente 17 e 19 anni, che si esibiranno alle ore 17, nella Sala degli specchi

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del Circolo degli Illuminati di Città di Castello. Il terzo concerto sarà affidato al Quartetto Cherubini composto da quattro sassofonisti. Nel concerto in programma domenica 28 aprile alle 17, al Teatro degli Illuminati, l’ensemble proporrà brani originali e arrangiamenti, da Johann Sebastian Bach a John Lennon e Paul McCartney, da Léo Delibes a Michael Nyman e Astor Piazzola. Chiuderà la Stagione primaverile l’assolo di Danilo Rea, in programma giovedì 2 maggio alle 21, sempre al Teatro degli Illuminati. Un concerto per piano solo in cui sarà l’improvvisazione del famoso jazzista a farla da padrone. Temi e brani tratti dai repertori più disparati nello stile inconfondibile che contraddistingue Rea. Info: 075 8521142, www.festivalnazioni.com.


“UMBRIA CHE SPACCA” A PERUGIA ARRIVANO MOTTA E GAZELLE PERUGIA - A pochi giorni dall’annuncio del primo headliner (Motta, 6 luglio, ingresso gratuito), “L’Umbria che spacca” tira fuori dal cilindro un secondo nome: sarà Gazzelle infatti il protagonista della serata di domenica 7 luglio. Sono già state attivate le prevendite del concerto con Perugia che si aggiunge così alle date estive del tour del giovane artista romano, tra i nomi di punta del panorama musicale italiano contemporaneo, che dopo aver collezionato diversi sold out, tra cui quelli nei palazzetti di Roma e Milano, ripartirà da giugno con i live del “Punk tour – Estate ‘19”. Inizia a comporsi e ad arricchirsi così il cartellone della settima edizione del festival organizzato dall’associazione culturale Roghers Staff con il patrocinio della Regione Umbria, del Comune di Perugia, dell’Adisu e della Galleria Nazionale dell’Umbria. La location, come già annunciato, è quella della scorsa edizione con il ritorno nella splendida cornice dei Giardini del Frontone, nei giorni 5, 6, 7 luglio 2019, oltre che alla Galleria nazionale dell’Umbria per la sezione ‘La Galleria che spacca’. Il punto cardine del festival sarà, come sempre, la valorizzazione delle eccellenze musicali umbre. Negli ultimi anni, l’Umbria è stata in grado di ricreare un ambiente musicale fertile, di produrre cultura, bellezza ed arte; questo grazie ai giovani che portano avanti realtà come L’Umbria che Spacca. L’obiettivo di questa nuova edizione sarà quello di offrire agli utenti un programma variegato e di qualità: concerti (2 palchi in contemporanea con oltre 30 artisti umbri, italiani e stranieri), food made in

Umbria (durante i tre giorni di festival sarà servito solo cibo umbro) e tanto altro che verrà annunciato nei prossimi mesi. Anche quest’anno Coop Centro Italia sarà main sponsor dell’evento ed anche quest’anno sarà partner dell’associazione nello sviluppo e nella promozione del “Co(op)ntest”, concorso musicale a partecipazione gratuita tramite il quale band provenienti dal territorio Umbro saranno selezionate da una giuria tecnica composta da addetti ai lavori del mondo della musica live italiana ed avranno quindi l’occasione di suonare durante i 3 giorni della rassegna di fronte agli oltre 3000 partecipanti giornalieri che ospita il festival. Media partner del festival sarà, come lo scorso anno, Radio Cult, giovane web radio perugina. I prossimi nomi del festival, i timing dei concerti, le informazioni su come arrivare, dove alloggiare e tutti i servizi utili saranno comunicati prossimamente e per questo invitiamo a rimanere in contatto con le pagine social del festival e a consultare il sito ufficiale.

ONLY WINE, L’EDIZIONE 2019 DAL 27 AL 28 APRILE: COSA C’È DA SAPERE E’ stata presentata a Roma, davanti ad una platea di giornalisti ed esperti di settore, la sesta edizione di Only Wine Festival, il Salone Nazionale dei Giovani Produttori e delle Piccole Cantine, organizzato da AC COMPANY in collaborazione con AIS (Associazione Italiana Sommelier) a Città Di Castello (PG) ed in programma il 27 e il 28 aprile 2019. La crescita esponenziale di questo format, nato dall’intuito del giovane imprenditore umbro Andrea Castellani, ha portato infatti il Festival ad uscire dai confini mediatici dell’Umbria e a suscitare perciò l’interesse della stampa nazionale ed internazionale per un evento dedicato non solo al vino ma anche e soprattutto all’imprenditoria giovanile. “Ci siamo resi conto, sei anni fa ormai, che nel panorama delle iniziative dedicate al

vino in Italia, tantissime e di qualità, mancava una manifestazione dedicata ai giovani produttori – ha affermato Andrea Castellani – Da qui è nata la collaborazione con l’Associazione Italiana Sommelier che seleziona le 100 cantine protagoniste”. Al suo fianco ieri sera c’erano Riccardo Carletti, Assessore al Commercio e al Turismo del Comune di Città di Castello; Sandro Camilli, presidente di AIS Umbria; Tiziana Croci, delegata AIS di Città di Castello; Chiara Giannotti, Wine and Food Writer e testimonial dell’edizione 2019. Non potevano mancare alcune aziende produttrici, in questo caso quelle del Lazio, tra i protagonisti del Festival, venute a portare la loro testimonianza con la loro storia e i loro vini: Le Macchie, Marco Muscari – Tomajoli; Emiliano Fini e San Vitis. Banchi d’assaggio con degustazioni libere,

degustazioni guidate con i più rinomati e stimati sommelier, aree tematiche e tante tante curiosità nei palazzi del Centro Storico di Città di Castello. Sono solo alcuni degli elementi che arricchiranno anche quest’anno una manifestazione cresciuta moltissimo nel tempo. Oggi Only Wine Festival ha assunto sempre più il ruolo non solo di vetrina importante per il territorio (a cominciare dal fatto che i vini a cui è dato spazio sono prodotti da vitigni autoctoni rappresentativi del territorio stesso) ma anche, e soprattutto, di occasione per promuovere la cultura enoica a livello nazionale ed internazionale come autentica espressione delle eccellenze e del dinamismo che stanno caratterizzando sempre di più l’Italia dal punto di vista vitivinicolo. onlywinefestival.it

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