Copyright: Pablo Picasso e Françoise Gilot, Golfe-Juan, Francia, agosto 1948 Pablo Picasso with Françoise Gilot, Golfe-Juan, France, August 1948 © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos
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L'EDITORIALE DEL DIRETTORE ANDREA LUCCIOLI
Si stava meglio quando si stava meglio
In copertina Copyright: Pablo Picasso e Françoise Gilot, GolfeJuan, Francia, agosto 1948 Pablo Picasso with Françoise Gilot, Golfe-Juan, France, August 1948 © Robert Capa © International Center of Photography / Magnum Photos
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A forza di dire che “non esistono più le mezze stagioni”, alla fine le mezze stagioni sono sparite sul serio. Potevamo pensarci prima invece che rimpiangerle adesso. Quello che è appena passato è stato il maggio più nuvoloso, piovoso e freddo che il sottoscritto abbia mai visto (e non sono proprio un novizio in termini di primavere). Questo per dire, alla faccia di quelli che sbeffeggiano il movimento verde di Greta Thunberg, che la nostra amata Terra ci sta velatamente sussurrando qualcosa: il climate change non è proprio una roba da radical chic, ma un (drammatico) dato di fatto. Eviterò di farvi lo spiegone sul clima, ma visto che la questione ambientale è un’urgenza, con The Mag abbiamo deciso di affrontare uno degli aspetti collaterali – e neanche tanto - della faccenda: il difficile futuro delle api. Non pensiamo mai abbastanza alle api. Quei simpatici insetti che producono miele, infatti, sono una risorsa fondamentale per la sopravvivenza dell’ecosistema, delle colture, della biodiversità e anche del mondo così come lo conosciamo. Oddio, magari qualcosa di questo mondo me lo risparmierei volentieri, però ora concentriamoci su altro. Del futuro delle api abbiamo parlato con Marco Valentini, apicoltore toscano che nel 2014 ha creato il bee-friendly CAMPUS che in cinque anni ha formato più di mille apicoltori con un approccio etico e sostenibile. Ecco, magari con questo servizio non diventerete tutti apicoltori, ma da domani avrete un occhio di riguardo in più sui comportamenti “ambientalmente etici”. Anche perché, se non ci diamo una mossa, il rischio è che dopo la pri-
mavera ci giochiamo anche l’estate. Niente scherzi eh! Bene, evitando accuratamente di discutere di elezioni Europee, in questo numero abbiamo scelto di parlarvi anche di altre cose molto interessanti. A cominciare da un focus sulla fotografia “importante”. Siamo andati ad Ancona a vedere la mostra, bellissima, con gli scatti di Robert Capa. Sì, quello dell’immagine dello sbarco in Normandia. E poi abbiamo intervistato Maria Mulas. Se non sapete chi è avete un’occasione eccezionale per scoprire uno degli occhi più gustosi, lucidi e accattivanti del Novecento (e non solo). I suoi ritratti a grandi personaggi e il suo racconto dei salotti milanesi degli anni ’70 sono qualcosa di imperdibile. Così come imperdibile è il Museo di Calvi dell’Umbria, uno scrigno pieno di cose incredibili che in pochi, troppo pochi, conoscono. Bene, noi vi diamo una lunga serie di motivi per andarlo a visitare, a cominciare dalla mostra “Luce” appena inaugurata. Parlavamo prima di personaggi ed ecco quello di questo numero: Manuel Agnelli. Il leader degli Afterhours, che oramai si trova un po’ ovunque (da X-Factor a Ossigeno su Raitre) è venuto ad Assisi con il suo “ego-show” generazionale. Noi c’eravamo e ve ne parliamo in lungo e in largo. Abbiamo anche molto altro, ovviamente, come una vetrina su alcuni di festival che ci aspettano questa estate in Umbria e non solo. Ah, ultima cosa, siete stanchi del revival anni ’80? Bene, stanno per tornare i ’90. Sì, magari non è stato un decennio eccezionale, però non si stava meglio quando si stava peggio?
La casa a pagina 28 è arredata da MEOZZI
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Cristina Crisci
Lucia Fiorucci
Giugno/Luglio 2019
Direttore Responsabile Andrea Luccioli
Maria Vittoria Malatesta Pierleoni Luca Benni Matteo Cesarini
Architetti Altotevere
Simona Polenzani
Christy Mills
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Reportage Perché è ancora possibile salvare le api
Marco Giugliarelli
Chiara Dionigi
Lorenzo Martinelli
Luca Marconi
Matteo Bianchi
40 Fotografia MARIA MULAS
Cristiana Mapelli
pubblicità Simona +39 389 05 24 099
Emanuele Vanni
redazione info@the-mag.org
Data pubblicazione: Giugno 2019 - rivista bimestrale - N°40 Grafica, fotografia e impaginazione: Moka comunicazione, via Cacciatori del Tevere, 3 - Città di Castello (PG) P. IVA 02967110541 - mokacomunicazione.it Stampa: Litograf Editor S.r.l. - Via C. Marx, 10 06011 Città di Castello (PG) P. IVA 02053130544 Editore e Proprietario: Moka comunicazione Direttore Responsabile: Andrea Luccioli Traduzioni: Christy Mills Iscrizione al Tribunale di Perugia: n. 20/12 del 27/11/2012. Questo numero è stato chiuso il 2 giuno 2019 alle 19:00
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Intervista Ezio Bosso - “Ho un sogno, dare una casa alla mia orchestra�
Becoming X Chiara Dionigi
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Reportage Pep Bou nel Paese delle Meraviglie www.the-mag.org
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REPORTAGE
PerchÊ è ancora possibile salvare le api Testo Maria Vittoria Malatesta Pierleoni Fotografia Matteo Bianchi
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Non mangeremo più miele? Si parla tanto dello scioglimento dei ghiacciai e del pericolo di estinzione degli orsi polari, ma molto poco, invece, della "sofferenza" delle api, perché? Ma allora è vero che le api si possono estinguere?
Sono molti dei quesiti a cui ha cercato di dare una risposta esaustiva Marco Valentini, pioniere dell’apicoltura biologica in Italia che nel 1980 ha fondato una delle prime aziende apistiche biologiche. Vive ad Anghiari (AR) dal 1994 e svolge la professione di apicoltore, certificando la propria azienda secondo il metodo di agricoltura biologica di cui è anche manager. Nel 2014 ha creato il bee-friendly CAMPUS che gestisce con i figli Adelaide e Lorenzo e che ha formato in soli 5 anni più di 1.000 apicoltori con un approccio etico e sostenibile e la prima community in Italia volta a fornire un aiuto agli imprenditori ed appassionati del settore. Oltre ad essere docente di corsi di formazione e convegni riguardanti l’analisi sensoriale del miele, apicoltura biologica, biologia delle api, patologia apistica, vanta numerose collaborazioni con aziende leader nel settore della medicina naturale quali Aboca Erbe SPA ed è socio di Agronomi Senza Frontiere con all’attivo molti progetti umanitari. Un curriculum davvero notevole, insomma. Anche per questo abbiamo chiesto a Marco di fare un po' di chiarezza sul delicato tema della sopravvivenza delle api.
Apicoltore, insegnate, manager di una delle aziende leader nel settore apistico… viene da chiedersi innanzitutto da dove nasce la passione per questi insetti incredibili? «È una domanda molto complicata alla quale nemmeno io saprei come rispondere. L’amore per gli animali e l’ambiente lo coltivo da sempre, ma forse potremmo partire da quando si era formato uno sciame a casa di quella di che poi sarebbe diventata mia moglie. Ero amico di suo fratello, studente all’epoca di Veterinaria, e insieme lo abbiamo preso. Io mi ero iscritto ad Agraria e anche se poi non ho terminato gli studi, ho poi continuato su questo filone». Perché la scelta dell’apicoltura biologica? «La bioetica è una filosofia di vita che seguo fin da ragazzo e che ho portato avanti anche quando ho cominciato a produrre miele. Questa parola, per il senso comune, richiama uno stile che forse non si comprende bene fino in fondo, c'è chi intende infatti cibi sani, senza residui chimici. Si tratta però solo della parte culminante di un progetto più ambizioso che si propone di dimostrare che c’è una via per produrre gli alimenti, alternativa alla tendenza dominante,
priva di plastica, inquinamento all’ambiente e che evita l’uso dei pesticidi. Noi siamo stati pionieri in questo settore. Quando negli anni Settanta si respirava un’aria di innovazione auspicando un mondo diverso, in agricoltura questo si è tradotto senza dubbio nella scelta del biologico. Noi siamo qui a dimostrare che vivere così è possibile e anche economicamente funziona». Come spiegherebbe allora il concetto di bee-friendly? «Il bee-friendly poggia le basi sulla pratica di un allevamento che rispetta non solo le api ma che è amico degli animali in quanto tali. Noi, nello specifico, cerchiamo di produrre al meglio il nostro miele e allevare le api sane. Forse dovremmo tornare a considerare gli animali come erano nell’antichità, quando prima di sacrificarli si compivano dei riti in segno di rispetto: si possono utilizzare i loro prodotti ma anche averne il massimo rispetto in quanto ci offrono loro stessi». Perché la minaccia che riguarda la sopravvivenza delle api è avvertita ora più che mai? «Perché la situazione sta peggiorando. Già nel 2002 c’erano state mortalità importanti negli alve-
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ari, pari al 30% del totale in Spagna, Italia, Francia, numeri che in un altro tipo di allevamenti sarebbero stati etichettati come una catastrofe. Fortunatamente l’ape, che è un animale molto prolifico e ama l’abbondanza, può ricreare in modo abbastanza semplice delle nuove colonie così le notizie su questa moria non hanno avuto troppa risonanza. Quando però nel 2007 è successa la stessa cosa anche in America, dove sono morti fino all’80% degli alveari e l’impatto mediatico è molto forte, tutta l’opinione pubblica mondiale ha scoperto che le api erano e sono tuttora in pericolo. Ciò ha avuto ripercussioni economiche e non solo. L’agricoltura negli Stati Uniti è a livelli industriali molto spinti, basti dire che l’80% di tutte le mandorle del mondo viene prodotto in una valle della California. Quando si è scoperto che non c’erano abbastanza api, sono stati richiamati gli apicoltori che vengono pagati appositamente per fare impollinazione. Il reddito dell’apicoltore ha cominciato così a non dipendere più solo dalla produzione di miele ma dall’impollinazione che è diventato un vero e proprio lavoro. Questo ci fa capire che sia-
mo in mano agli apicoltori da una parte e alle api dall’altra. Se gli apicoltori smettessero di fare il loro lavoro e se le api morissero, ci sarebbe una carestia paurosa». Quali potrebbero essere le conseguenze della scomparsa delle api? «Le api hanno un ruolo insostituibile per la salvaguardia del pianeta e per la sicurezza alimentare mondiale. Si tratta di organismi che ricoprono un ruolo chiave nella conservazione della biodiversità grazie alla capillare azione di impollinazione: 70 delle 100 più importanti colture a scopo alimentare non esisterebbero senza la sola Apis mellifera. Purtroppo, l’alterazione degli ecosistemi, dovuta alle violenze ambientali perpetrate dall’uomo nella sua corsa al profitto che include l’uso di pesticidi e veleni e dalla scarsa tutela della genetica delle api ha creato un ambiente sempre più ostile che minaccia il benessere e la sopravvivenza di questi animali. Perderne l’unicità biologica significherebbe andare incontro al rischio di disastro ambientale e non solo. L’ape impollina gratuitamente; qualora non lo
facesse più, lo stesso lavoro, fatto dall’uomo avrebbe un costo che ricadrebbe sulla comunità». Come si potrebbe dunque affinare la consapevolezza del vivere in maniera etica in questo senso? «La politica dovrebbe occuparsene in prima persona e prendere dei provvedimenti volti alla sostenibilità. Ad esempio, dovrebbe provvedere ad eliminare gli erbicidi. Chi produce biologico è la prova che si può coltivare senza fare uso di questi pesticidi. Temo tuttavia che molti agricoltori non si rendano neanche conto di quanto sia minacciata la sopravvivenza delle api e andrebbero sensibilizzati in questo senso. Del resto, sono persone abituate a pensare in maniera ecologica in quanto subiscono anche loro i danni provocati da un ambiente degradato. È un dato di fatto che non esista nessuna pratica umana che può essere economicamente sostenibile senza esserlo anche dal punto di vista della tutela ambientale. Le battaglie per un mondo migliore devono partire dal quotidiano!»
Marco Valentini Risiedente ad Anghiari (AR) dal 1994 svolge la professione di apicoltore, certificando la propria azienda secondo il metodo di agricoltura biologica di cui è anche manager. Nel 2014 ha creato il bee-friendly CAMPUS che gestisce con i figli Adelaide e Lorenzo e che ha formato in soli 5 anni più di 1.000 apicoltori con un approccio etico e sostenibile.
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Un prezioso contributo arriva anche dal libro Perché è ancora possibile salvare le api e come l’ho spiegato a mia nipote. Qual è stata la spinta decisiva a scriverlo? «All’inizio doveva essere un articolo di risposta alle numerose critiche rivolte da parte di alcuni estensori alla Carta di San Michele all’Adige, un documento scientifico redatto da apicoltori e ricercatori che denuncia che l’ape deve essere tutelata e rispettata anche dal punto di vista genetico. Volevo replicare alle accuse usando un linguaggio semplice e immediato e al tempo stesso approfondire tutti gli aspetti che riguardano il rischio del declino delle api. Quando però il numero di pagine è cresciuto al punto da non potersi più definire “articoletto” mi è venuta l’idea di trasformarlo in un testo rivolto ai più giovani che spiegasse in termini facili concetti difficili. La struttura dialogica è quindi funzionale a questo tentativo di semplificazione. La mia nipote “effettiva” è ancora troppo piccola per comprendere le conseguenze della mancata tutela delle api così mi rivolgo in modo più ampio ad ipotetici nipoti, con conoscenze scientifiche di base. L’idea di fondo rimane quella di sviluppare una coscienza etica tale da limitare i danni e sono contento di aver scritto questo testo per le generazioni future, le uniche che potranno effettivamente salvare il mondo. «I bambini sono i migliori ambientalisti, li rovinano gli adulti quando cominciano a parlare della sostenibilità economica». www.bee-friendly.it www.bioapi.it www.apisnaturae.com
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MODA
Si chiama “Cosmica” ed è il nuovo marchio di abbigliamento ideato da Maria Chiara Metelli. La giovane creativa folignate ha presentato la sua prima collezione di t-shirt in cotone organico per quello che lei stessa definisce “il brand che parla al posto tuo”. Le t-shirt di “Cosmica”, infatti, riportano ricami e serigrafie che attingono a piena mani dal gergo corrente tra di un certo mondo giovanile e non solo. Frasi che spesso diventano “iconiche” di un linguaggio breve ma puntuale. Il progetto Cosmica coinvolge anche Elia e Pierluigi Metelli, rispettivamente fratello e cugino di Maria Chiara che hanno creduto fin da subito nell’idea. I pezzi “cosmici” possono essere acquistati presso lo shop online www.mycosmica.com o nello store folignate Officina34. “Per me è un’esperienza entusiasmante e che avrà tantissimi sviluppi”, ha detto Maria Chiara Metelli durante la presentazione avvenuta presso il Relais Metelli a Foligno. www.mycosmica.com
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Nata nel 2002 in Umbria, Aimet è una giovane azienda che si occupa della fornitura di gas metano ed energia elettrica a privati ed imprese in Umbria e nelle Marche e offre un servizio diretto ai cittadini tramite gli sportelli di Umbertide, Città di Castello, San Giustino, Montone (oltre che San Benedetto del Tronto per le Marche).
Sono le persone che, insieme alla convenienza economica, hanno reso l’azienda uno dei maggiori operatori energetici del centro Italia. Grazie alla presenza di personale qualificato e competente, infatti, viene mantenuto vivo e costante il contatto con i clienti per discutere di tematiche energetiche, affrontare le esigenze di ogni singola persona/impresa e dare assistenza alle forniture. Lo sportello di Città di Castello è stato inaugurato lo scorso febbraio, trasferendosi in via Piero della Francesca, 6 per accogliere i clienti in uno spazio più moderno e funzionale e con orario di apertura ampliato (martedì e mercoledì dalle 9:00 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 17:30, venerdì dalle 9:00 alle 13:00). Tra i punti di forza di Aimet c’è proprio la vicinanza al cliente, attraverso una fitta rete di sportelli sul territorio in grado di offrire un servizio capillare, costante e personalizzato; inoltre Aimet si contraddistingue per offerte chiare e trasparenti, assistenza continua alle forniture, convenienza economica e qualità nella gestione.
tenenza al fine di elaborare una proposta attualizzabile. Un'apposita Commissione di valutazione ha poi esaminato i lavori pervenuti verificando l'attinenza del progetto al tema del Concorso, l'originalità della proposta progettuale e il legame con il territorio, e ha decretato le scuole vincitrici alle quali sono stati assegnati premi in denaro destinati all'acquisto di materiale didattico per un importo complessivo di 4.000 euro. In questo modo Aimet intende reinvestire una parte degli utili prodotti a favore dei territori in cui opera, sostenendo le comunità locali e, nel caso del concorso, gli istituti scolastici. Aimet vi aspetta dunque nei suoi uffici di Città di Castello, Umbertide, San Giustino e Montone.
Da sei anni Aimet promuove anche un concorso rivolto alle scuole sul tema del risparmio energetico. Quest'anno sono state 9 le scuole partecipanti provenienti dai Comuni di Umbertide, San Giustino e Città di Castello. Per l'edizione 2019 del Concorso, gli studenti hanno ideato progetti sul tema “Come dovrebbe cambiare la nostra scuola per essere energeticamente sostenibile”, tenendo conto delle peculiarità e delle risorse del territorio di apparLo sportello di Città di Castello
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Testo di Lucia Fiorucci Arredi: Meozzi Mobili È da un po' di tempo che Gaia e Giovanni abitano nella loro casa. Hanno preparato il loro “nido” nell’attesa del la nascita della loro bimba. E infatti, la casa è accogliente, luminosa e familiare. Aiutati dal buon gusto della mamma di lei, hanno realizzato questo progetto che rispecchia perfettamente le loro necessità e la loro idea di casa. La morbidezza degli ambienti è data soprattutto dal solaio di copertura in legno e pianelle. È un classico, e proprio per questo si abbina perfettamente al pavimento in rovere e ad un arredamento moderno. Loro hanno scelto mobili firmati LAGO. Sono arredi accattivanti, dalle linee nette e pulite, ma eterei perché sospesi. Danno poi un’idea di tepore e benessere perchè finiti con colori tenui, vetri e soprattutto legno naturale. La zona giorno è tutta aperta e molto luminosa. Così la cucina, oltre ad essere funzionale, si rende protagonista. È bellissima, sospesa, geometrica, perfetta nella sua distribuzione. Decisamente elegante con le ante in rovere, e il piano in vetro così come le ante delle colonne e del lavastoviglie sospeso, comodissimo. E il tavolo Loto, sempre di LAGO, riprende il rovere delle ante. Particolare nella sua forma, oltre che molto comodo perché allungabile nei quattro lati, con un’apertura appunto che ricorda il fiore di Loto. Il divano firmato Saba , morbidissimo, è in velluto color verde bosco. Si stacca dai colori tenui del resto degli arredi, ma mantiene il carattere raffinato di tutto l’appartamento. Anche in camera da letto è tutto firmato LAGO, rigorosamente sospeso e dai toni delicati del cipria . Le sospensioni sopra ai comodini sono calde, grazie ai paralumi in corda lilla.
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Un nido caldo come il legno
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La zona giorno è tutta aperta e molto luminosa. CosĂŹ la cucina, oltre ad essere funzionale, fa parte dellâ&#x20AC;&#x2122;arredamento
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A warm nest, like wood text by Lucia Fiorucci forniture Meozzi Mobili
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Gaia and Giovanni have been living in their home for a while. They prepared their “nest” while they were awaiting the birth of their baby girl. And in fact, their home is welcoming, sunny and easygoing. Helped by her mom’s good taste, they realized this project which reflects their needs and and their ideas of home perfectly. The softness of the rooms is mostly by the loft ceiling in wood and tile. It is a classic, and it exactly for this reason that it goes perfectly with the flooring in oak and modern furnishings. They chose furniture made by LAGO. They are attractive furnishings, of clear and clean lines, but eretheral because they are suspended furnishings. They give the idea of warmth and wellness because they are finished in tenuous colors, glass and mostly natural wood. The living space is open and very bright. As is the kitchen, besides being functional, it is the main attraction. It is beautiful, suspended, geometric, perfect in how it is arranged. Decidedly elegant with cabinets in durmast, and the counters in glass as are the cabinets of the columns and of the suspended dishwasher, very useful. And the Loto table, by LAGO, matches the oak of the cabinets. Particular in its form, besides being very convenient because it can be extended on four sides, with an opening which calls to mind the Loto flower. The sofa, made by Saba, very soft, is in velvet in woodsy green. The rest of the furnishings detach from the light colors, but the refined character of all the apartment remains. In the bedroom as well, all is made by LAGO, rigorously suspended and in delicate shades of powder. The lamps above the bedside tables are warm, thanks to the lamp shades in lilac cord.
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OCCHIO DEL CURIOSO
NOTE TO THE CURIOUS
Benché gli arredi siano decisamente contemporanei, con linee morbide e soluzioni accattivanti, mantengono sempre un carattere caldo e familiare grazie all’uso del legno. Il legno, poi, è usato sapientemente anche per i pavimenti e per le travi del soffitto, che rendono l’ambiente tradizionale e accogliente.
Although the furnishings are decidedly contemporary, with soft lines and captivating solutions, they maintain a warm, homey feeling, thanks to the use of wood. The wood, then, is used wisely even for the flooring and for the beams of the ceiling, which make the room traditional and welcoming.
La tradizione
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FOTOGRAFIA
TESTO DI MARIA VITTORIA MALATESTA PIERLEONI
Autoritratto in verde, 1998
FOTOGRAFIA
Conversare con Maria Mulas significa avere da subito l’impressione di trovarsi a uno dei cocktail party milanesi che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, la fotografa di Manerba del Garda ha arricchito con la sua presenza e ha reso eterni immortalandoli.
All’occhio di chi osserva le esperienze di vita, gli scorci urbanistici, le incursioni nel campo della moda, gli slanci degli affetti convogliano la sensazione di emergere dal passato esattamente come quando, in camera oscura, le immagini prendono magicamente in fase di sviluppo. I racconti fotografici di Maria Mulas esposti a Palazzo Inghirami a San Sepolcro in occasione della mostra "La fotografia è il mio pensiero" a cura di Romano Boriosi, racchiudono grazie al sapiente uso del grandangolare 20 mm, le sperimentazioni concettualistiche nel campo della fotografia tra gli anni Sessanta e Settanta e tutto il coinvolgimento empatico dell’autrice con i personaggi da lei inquadrati della Milano che conta. Ed ecco che davanti al suo obiettivo sono passati critici d’arte come Lea Vergine, Peggy Guggenheim, personalità del teatro e del cinema come Virna Lisi e Silvana Mangano, Liz Taylor, icone della poesia e della letteratura Umberto Eco e Jeorge Borges, artisti come Andy Warrol, Jasper Johns, Keith Haring, Alberto Burri, muse del fashion Paloma Picasso e Miuccia Prada, solo per citarne alcuni. Impossibile non farle qualche domanda!
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Prima di iniziare a fotografare lei dipingeva. Come è avvenuto questo passaggio? «Amavo la pittura e mi sentivo l’arte dentro ma è stata una parentesi molto breve della mia vita. Dipingevo per me e non ho mai esposto i miei quadri. Avrei voluto fare la pittrice ma allora bastava un segno sulla tela per essere definiti artisti e avevo la sensazione che chiunque potesse farlo. Le fotografie invece erano meno “assalite” della pittura e mi piacevano veramente». Il suo passato da pittrice, seppur breve, l’ha poi influenzata a livello fotografico? «Sì moltissimo. Non saprei dire se è più importante fare un ritratto con la fotografia o uno con la pittura. Col tempo ho capito che la risposta sta in ciò che si vuole che dicano questi ritratti. Ci deve essere una scelta alla base, una decisione. Tutti ormai scattano dappertutto ma non si sa cosa ne tireranno fuori. Quel che conta è l’idea. Se non ci sono le idee si può fare quello che si vuole ma non succede niente». Quanto conta per lei l’istinto in fotografia? La domanda sorge spontanea perché è impossibile non notare un certo rigore nella
costruzione dell’immagine e mi chiedo se non ci sia una sorta di compromesso tra questo e l’architettura della foto. «L’istinto po’ conta ma non è sufficiente, bisogna anche sapere perché si fa qualcosa. Senza questo, si fa molta fatica. Per il resto sì, ci ha visto bene. C’è molto studio e lavoro dietro ogni fotografia». A proposito di ritratto, potremmo azzardare nel dire che si tratti del suo mezzo stilistico preferito? «Assolutamente sì. Gli oggetti ci sono sempre e si possono fotografare quando si vuole. L’uomo invece cambia ogni secondo, non è sempre uguale, anche se così sembra. Per questo motivo sono legata al ritratto delle persone, che siano artisti o meno. In qualche modo posso restituire quello che io stessa vedo e percepisco delle persone che fotografo. La fotografia è in fondo un eterno presente». Ha avuto la fortuna di venire a contatto con tanti intellettuali, attori, artisti e personaggi provenienti dal mondo della moda. Come ha avuto occasione di avvicinarli? «Per i più sono personaggi fuo-
Alberto Moravia, 1985
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FOTOGRAFIA
Keith Haring, 1986
FOTOGRAFIA
Jeff Koons and Ilona Staller, Venezia 1990
FOTOGRAFIA
ri dalla regola. Io li vedevo però nella norma e non avevo nessun problema a fotografarli. Avvicinarli è stato facile perché frequentavamo tutti, ai tempi, il mondo dell’arte e gli stessi ambienti, soprattutto le gallerie come fossero casa nostra. Mi piaceva in quel momento ciò che vedevo e lo fermavo. I soggetti erano tutti sodalizi o buone conoscenze. È stato tutto molto interessante». Lei ha reso ordinario ciò che per noi è un po’ straordinario: i personaggi glamour. Penso ad esempio ad Andy Warhol e al ritratto in cui lei lo ha reso eterno… «Mi rendo conto che si tratta di persone che ad un primo impatto potrebbero incutere un po’ di ansia. Col passare del tempo però mi sono detta che siamo pur sempre tutti esseri umani. Noi li vediamo immensi se vogliamo, migliori, forse di più di quel che sono in realtà ma se li guardiamo con l’occhio con cui vediamo noi stessi, nella normalità e non come divinità, scopriremo che siamo uguali. Andy inizialmente mi metteva in soggezione, lo hanno descritto come un tipo scostante ma con me non lo è mai stato, si è rivelato non solo un artista geniale ma era anche una persona brillante, disponibile e
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simpatica».
zano e lo rendono più intimo».
Nella mostra di San Sepolcro omaggia l’arte, un esempio tra tutti la rivisitazione in chiave contemporanea della Madonna del Parto. Da dove viene l’ispirazione di riprendere dei capi-
In campo fotografico c’è stato il passaggio dalla camera oscura al digitale e ormai si scatta perfino con lo smartphone. Qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie e il computer? «Da pochissimo tempo sono passata al digitale ma ho sempre usato e continuo a preferire la pellicola. Mi piace sviluppare i negativi, fare i provini per la stampa … e se vogliamo è qualcosa anche meno alla portata di tutti. Adesso è tutto meno faticoso. Possiamo dire che sto un pochino sperimentando le nuove tecnologie ma la pellicola rimane il massimo, ha sempre un riferimento: il negativo». Progetti futuri? «Mi piacerebbe organizzare una mostra a Milano nella quale rielaborerò qualche argomento che ho già trattato più qualcosa di nuovo ma nulla di definito ancora… sto sperimentando!».
saldi della storia dell’arte? «Quel quadro mi piace molto, come ritratto e come idea e San Sepolcro mi sembrava la città giusta per esporre quello scatto. Una Madonna contemporanea in cui il soggetto e il periodo storico differenti non intaccano la sacralità del momento anzi lo enfatiz-
La mostra è stata prorogata fino al 16 giugno presso il Palazzo Inghirami, via XX Settembre, Sansepolcro, aperta tutti i giorni (escluso il lunedì) negli orari: 10.30 – 13.00/16.00 – 19.00.
Jorge Luis Borges
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Lo scrigno di Calvi dell’Umbria: meraviglia in “Luce” Testo redazione Fotografia Marco Giugliarelli
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Borgo di confine, la sua recente riscoperta nasce dall’eccezionale museo che ospita pezzi unici di Brueghel, Voet e Van Wittel. Fino ad agosto sarà possibile visitare anche una bellissima mostra fotografica
Ci sono tesori in Umbria che spesso non conosciamo. Calvi dell’Umbria e il suo splendido museo ne sono un esempio. Anche se, è bene dirlo, grazie ad una serie di fortunate iniziative non ultima la mostra fotografica “Luce” inaugurata pochi giorni fa e realizzata da Regione e Sistema Museo - questo piccolo scrigno della nostra terra è salito meritatamente alla ribalta attirando turisti e curiosi. Il borgo. Calvi dell’Umbria è un borgo “sentinella” di 1.800 anime poggiato sul Monte San Pancrazio, terra baciata dal sole dove l’Umbria si perde negli uliveti della Sabina. Qui, un tempo, non era difficile trovare viandanti diretti a Roma tramite la vecchia via Flaminia. Sempre qui si trova il Museo del Monastero delle Orsoline, progettato dall’architetto Ferdinando Fuga e realizzato dal 1739 al 1743. Abitato dalle suore dell’ordine delle Orsoline fino al 1994, il Museo ospita il mobilio settecentesco portato in dote dalle suore al monastero, delle tele di soggetto sacro provenienti dalle chiese locali, una pala lignea cinquecentesca ed un crocifisso in legno della fine del XV secolo. L’intero percorso museale prevede anche la visita al Presepe Monumentale in
terracotta del XVI secolo, realizzato da Giacomo e Raffaele da Montereale presso la Chiesa della Confraternita di Sant'Antonio, e alle Cucine Storiche Settecentesche, il lavatoio, la spezieria e la legnaia del Monastero delle Orsoline. Le meraviglie. L'allestimento museale è costituito da più di centoventi opere d'arte, raccolte e conservate presso il rinnovato museo, ampliato grazie al generoso lascito ricevuto dalla prestigiosa famiglia Chiomenti Vassalli che ha donato all’'amministrazione comunale la straordinaria Collezione “Pasquale Chiomenti - Donata Chiomenti Vassalli”. Questo attento lavoro di ricollocazione e riprogettazione ha dato vita ad una nuova dimensione visuale e allo stesso tempo funzionale, rivolta principalmente alla fruizione pubblica di questa esclusiva ed unica collezione d’arte. Il contenitore culturale offre opere straordinarie di artisti del calibro di Pieter Brueghel con “La Parabola dei Ciechi”, di Guido Reni con “La Maddalena Penitente”, di Jacob Ferdinant Voet con il “Ritratto della Regina Cristina di Svezia”, uno spettacolare dipinto di Pompeo Batoni “La fuga di Enea da Troia”. Non solo. Il nuovo percorso espositivo si è fregiato
di opere uniche tra cui la "Veduta di Roma del Campo Vaccino dal Campidoglio con la loggia dell'Aracoeli" di Gaspar Van Wittel e "Ritratto del Cardinale Scipione Borghese" di Lavinia Fontana ed altri capolavori barocchi da scoprire. A spiccare, come già accennato, è la tela di Pieter Brueghel il Giovane raffigurante “La parabola dei ciechi” (databile al primo quarto del XVII secolo), che reinterpreta in chiave moderna l’opera del padre, Pieter Brueghel il Vecchio, esposta a Napoli. Dietro ai quattro ciechi, un paesaggio abbozzato, ispirato ai dintorni di Bruxelles il pittore fiammingo affronta non solo la condizione umana, ma è un monito ad aprire bene gli occhi, tutti e due, senza mai cessare di guardare al mondo e agli altri con amore sincero verso la verità e la libertà. La mostra. La mostra “LUCE”, realizzata in collaborazione con il Comune di Calvi dell’Umbria sarà visitabile fino a domenica 25 agosto. Per tutta la durata della mostra saranno attivati percorsi dedicati con visite tematiche e laboratori per bambini. Visite guidate con l’ausilio di torce elettriche, immersi nella penombra delle sale del museo e attività legate alla luce e al suo stretto legame con l’arte.
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Mama Office è il concessionario Olivetti per eccellenza con sede a Città di Castello specializzato in prodotti e servizi per l'ufficio: dalla vendita, noleggio e assistenza tecnica di fotocopiatrici, scanner, stampanti, registratori di cassa e mobili di diverse misure e per tutte le esigenze al servizio di consulenza post-vendita per la configurazione dei prodotti e la risoluzione di eventuali problemi. La novità del momento è però il registratore di cassa telematico collegato direttamente con l’Agenzia delle Entrate: entro giugno 2019 infatti, le attività commerciali con un fatturato superiore ai 400mila euro annui, avranno l’obbligo di passare alla cassa telematica (per tutti gli altri il termine è posticipato al prossimo dicembre).
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Anche le ricevute fiscali, spesso utilizzate dagli artigiani, saranno sostituite dallo scontrino elettronico. Olivetti, azienda leader nel settore, ha già presentato cinque nuovissimi misuratori di cassa telematici in grado di connettersi ad internet tramite wifi, cavo o sim card. Per tutte le attività che dovranno affrontare questa spesa nel 2019 è inoltre previsto un contributo che permette di recuperare il 50% del costo sostenuto fino a 250 €. Anche per chi opterà per la modifica dei vecchi registratori di cassa Olivetti è previsto un rimborso fino a 50 Euro recuperabili con l’IVA del mese successivo. Mama Office offre anche il servizio di noleggio con un pacchetto mensile che include la macchina, il controllo, le verifiche e la gestione.
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La Fondazione Giorgio Cini inaugura un’importante retrospettiva antologica dedicata ad Alberto Burri, a coronamento di una stagione di grandi celebrazioni internazionali per l’artista umbro. La mostra è organizzata con Fondazione Burri, in collaborazione con Tornabuoni Art e Paola Sapone MCIA e in partnership con Intesa Sanpaolo. L’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia presenta dal 10 maggio al 28 luglio 2019 BURRI la pittura, irriducibile presenza, ampia e importante retrospettiva antologica dedicata ad Alberto Burri, a coronamento di una stagione di grande celebrazione dell’artista umbro sia in Italia che all’estero. La mostra, curata da Bruno Corà, Presidente della Fondazione Burri, e organizzata dalla Fondazione Giorgio Cini e dalla Fondazione Burri in collaborazione con Tornabuoni Art e Paola Sapone MCIA, in partnership con Intesa Sanpaolo, è un progetto concepito appositamente per Venezia che ripercorre cronologicamente le più significative tappe del percorso del Maestro della ‘materia’ attraverso molti dei suoi più importanti capolavori. Dai rarissimi Catrami (1948) agli ultimi e monumentali Cellotex (1994), BURRI la pittura, irriducibile presenza con circa 50 opere provenienti da importanti musei italiani e stranieri, dalla Fondazione Burri e da prestigiose collezioni private, ricostruisce nella sua interezza la parabola storica di uno dei più gran-
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di protagonisti dell'arte italiana ed europea del XX secolo e riporta Burri a Venezia dopo la memorabile personale che nel 1983 vide protagoniste 18 opere del ciclo Sestante nel suggestivo edificio degli ex Cantieri Navali alla
Giudecca, segnando una tappa fondamentale nella carriera dell’artista. Il percorso espositivo offre al visitatore l’opportunità unica di ammirare una selezione inedita di opere che rappresentano tutti i più famosi cicli realizzati da Burri: dai primi e rari Catrami (1948) e dalle Muffe (1948), presentati in stretto confronto con gli iconici Sacchi (194950), ai Gobbi (1950), per arrivare alle affascinanti Combustioni (1953), i Legni (1955), i Ferri (1958), le contorte Plastiche (1960) e l’evoluzione straordinaria dei Cretti (1970), divenuti uno dei temi di ricerca più iconici di Burri, fino ai grandi Cellotex, realizzati fino a metà degli anni Novanta. La mostra veneziana - il cui titolo si rifà alla celebre definizione data dallo stesso artista alla sua opera, e alla difficoltà di tradurla in parole - offre così una lettura penetrante del modo in cui questo pioniere della nuova pittura del secondo Novecento ha affrontato il tema centrale del suo tempo: quello dell’utilizzo e della trasformazione della materia in opera d’arte. “Dopo un quarto di secolo dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1995, la mostra pone in evidenza la trasformazione recata da Burri nell'arte del XX secolo - spiega Corà Non è improprio paragonare l'innovazione linguistica introdotta da Burri con la 'presentazione' sistematica della materia reale al posto della mimesi rappresentativa, alla rivoluzione giottesca compiuta nel sostituire ai cieli d'oro della pittura medioevale il celeste che si poteva osservare in natura. In entrambe le inno-
vazioni veniva introdotto il 'vero' nella pittura al posto della finzione imitativa di esso. Lo shock prodotto da Burri negli anni dell'immediato dopoguerra - continua il curatore - si può misurare solo con l'effetto ottenuto in tutto l'arco di esperienze artistiche da lui influenzate: dal New Dada di Rauschenberg, Jonhs e Dine, al Nouveau Réalisme di Klein, César, Arman e Rotella, dall'A rte Povera di Pistoletto, Kounellis, Pascali e Calzolari all'arte processuale e fino al neominimalismo a base monocroma”.Nella mostra alla Fondazione Cini vengono ricostruiti alcuni fondamentali passaggi della pittura di Burri quale caposcuola della pittura materica: sono ad esempio stati riuniti per l’occasione alcuni grandi Sacchi del 1952, larghi 2,5 metri ciascuno, che Rauschenberg ebbe l’occasione di osservare l’anno successivo durante la preparazione della propria mostra alla Galleria dell'Obelisco di Gaspero Dal Corso e Irene Brin dal titolo Scatole e feticci, in occasione di una visita compiuta nello studio di Burri, e che lo impressionarono così fortemente da indurlo a cambiare l’approccio al lavoro, giungendo nel 1954 a dipingere i Combine Paintings sotto l'evidente influsso burriano. In esposizione c’è anche un nucleo rilevante di Plastiche e un monumentale Cellotex del 1979 di quasi
3 metri per 4. BURRI la pittura, irriducibile presenza porta inoltre a compimento un percorso di riconoscimenti internazionali che negli ultimi anni ha ulteriormente affermato la grande attualità dell’opera di Alberto Burri,
confermandolo tra i grandi maestri dell’arte italiana del Novecento: nel 2015 in occasione delle celebrazioni del Centenario della nascita dell’artista il Solomon R. Guggenheim Museum di New York ha dedicato a Burri una retrospettiva antologica, così come la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen K21 Ständehaus di Düsseldorf, a cui si sono aggiunte manifestazioni in numerose istituzioni italiane, tra cui la grande mostra nella sede della Fondazione Burri a Città di Castello (Perugia) a fine 2016. Prosegue inoltre a Città di Castello, presso gli Ex Seccatoi del Tabacco la mostra “Obiettivi su Burri – Fotografie e fotoritratti di Alberto Burri dal 1954 al 1993”, una ricognizione esauriente sui maggiori e più assidui professionisti della fotografia che lo hanno ritratto in differenti momenti e circostanze della sua vita. I ritratti, a partire dagli anni Cinquanta, in cui Burri iniziava a consolidare il suo percorso artistico, scrutano e fissano in stampe di grande intensità e valore storico, espressioni, azioni, luoghi, frequentazioni, abitudini e momenti solitari del grande artista per il quale la pittura rappresentò una scelta di vita e un impegno radicale e senza compromessi con l’autenticità della propria vocazione poetica.
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â&#x20AC;&#x153;Ho un sogno, dare una casa alla mia orchestraâ&#x20AC;? Testo Cristiana Mapelli
Il maestro Ezio Bosso, a Todi per la direzione dello Stabat Mater, ci racconta il suo rapporto con la musica, con Jacopone e ci parla dello stato della cultura in Italia. 67
INTERVISTA
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Maestoso. Questo è l’aggettivo più giusto per descrivere lo spettacolo di Rossini andato in scena per “Iubel”, il festival dedicato a Jacopone da Todi e che ha visto sul palco tuderte della chiesa di San Fortunato, la Europe Philharmonic Orchestra diretta da Ezio Bosso e con i solisti Rino Matafù, Andrea Pellegrini, Floriana Cicio, Isabel Lombano Marino (Fondazione Pavarotti) e il Coro Filarmonico Rossini di Pesaro.
Direttore d’orchestra e compositore, Bosso da tempo ha ricominciato una intensa attività concertistica e dopo aver portato oltre 100 mila spettatori nei migliori teatri con il suo recital per solo pianoforte (evento considerato la tournée di musica classica più importante della storia italiana), è reduce da una lunga serie di trionfi alla testa di alcune delle migliori orchestre italiane e internazionali nella riconquistata veste di direttore d’orchestra, dopo anni di forzata pausa. Le parole dello Stabat Mater, attribuite a Jacopone, sono state musicate da oltre 400 compositori di 38 Paesi con una produzione da record e in modo pressoché costante dal XV secolo a oggi. Queste parole, nate proprio a Todi, sono state portate in scena da un’orchestra con più di 120 elementi nella versione del compositore pesarese all’interno della chiesa di San Fortunato, nella cui cripta si trova la tomba di Jacopone. C’eravamo anche noi e abbiamo intervistato il maestro poco prima della performance.
Allora Maestro siamo nel chiostro adiacente alla chiesa di San Fortunato per la rappresentazione dello Stabat Mater di Rossini con le parole di Jacopone da Todi. Che emozioni le dà questa esperienza? «Questo è uno dei casi in cui si va oltre le emozioni e si vive il sentimento. Io ho un rapporto mistico, nel senso puro del termine, con la musica, con la parola. Per me le parole sono importanti. Ho paura ad usarle anche adesso in questa intervista. Non basta l’emozione, l’emozione è la parte più superficiale: quindi quello che conta è l’impatto, quello di una città così bella, di un posto così bello. Poi da uomo di studio penso a quanto sia importante, quanto sia fortunato e quanto la musica ci dia la fortuna enorme di conoscere e di poter approfondire. Siamo nel mondo francescano, uno dei rari spazi francescani puri che ci sono in Europa. Non so neanche dove girarmi, sono un bambino sperso e solo una cosa so: son proprio piccolo». Non è la prima volta che è venuto a Todi, so che ha già visitato e
che ha suonato qui. «È dagli anni novanta che la frequento, poi nel 2016 ho fatto l’ultimo concerto del mio recital per pianoforte, credo l’ultimo festival. L’avete fatto ancora? (Sì, ndr) Bene! Meno male, sennò dicevo gli ho portato pure male. Dicevo, è bella Todi, poi a me piace fare i giochi: Todi è fondata per l’aquila con lo stendardo che arriva, il mio nome, l’etimo del mio nome vuol dire aquila… quindi è come se mi fossi posato qui». Come si sente in veste di direttore? «Ma io sono un direttore, non mi trovo qui per caso! Siete voi che continuate pensare che io sia un pianista, non lo sono mai stato. Suono il pianoforte perché un direttore deve suonare il pianoforte. Ora farò una battuta: ogni volta che dite che sono un pianista, muore un pianista vero! Io metto tutto me stesso quando suono ed è vero che studio il pianoforte da tutta la vita, però io sono un direttore di orchestra che scrive la musica e suona il pianoforte se ce n’è bisogno e non c’è nient’altro».
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Ha calcato moltissimi palchi, ha un sogno nel cassetto per il futuro? «Dare una casa alla mia orchestra, a questo progetto di donne e uomini provenienti da tutta Europa, che vanno dai 23 ai 65 anni, che vogliono fare la musica. Portare la musica a credere nella musica non è un sogno è al di là del sogno. Spero che qualcuno ci trovi una casa, è il modo per continuare a portare musica senza ansia, appunto come se fossimo a casa». Si investe abbastanza in cultura in Italia? «Non si investe mai abbastanza. Non è che c’è un più o un meno. Non è mai abbastanza perché investire in cultura significa investire nel futuro di tutti, senza un’età. Vuol dire creare una società che si ascolta, una società che si stupisce, vuol dire una società che ricorda quello che ha fatto male, e se vede che sta andando male prova a correggere il tiro. La memoria è fondamentale e la cultura è una forma di memoria. Ma non vuol dire per non ripetere, si può cadere negli errori ma fare in modo di correggere il tiro con dolcezza». C’è voglia di arte in Italia? «Le persone hanno tanta voglia dell’arte. Hanno voglia dell’ars, di quel fuoco unito al tecnes di chi il fuoco lo sa fare. Hanno voglia di stupore, hanno voglia di sapere. Quindi credo che la cosa migliore sia fare di più per l’arte. Se noi tutti, persone di responsabilità, persone con ruoli di responsabilità, non ci spendiamo per migliorare la fruizione dell’arte, ecco, siamo messi male».
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Pier Luigi Manfroni
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L' appennino toscano, nella provincia di Arezzo, è una zona dell'Italia centrale in cui la natura la fa ancora da padrona e La Locanda del Viandante vuole offrire ai suoi ospiti, la possibilità di vivere un soggiorno a stretto contatto con il paesaggio circostante: il parco naturale, la semplicità della vita, la convivialità, l'aria buona, l'amicizia. L'Osteria propone una cucina tipica toscana a base di prodotti freschi e genuini dell'Appennino toscano e delle buone ricette collinari. Seguiamo il ritmo naturale delle stagioni e offriamo esclusivamente ingredienti prodotti direttamente dalla conduzione del Ristorante. Zucche, legumi, fave, piselli, pomodori, cavoli, patate, cetrioli, melanzane, carote, prezzemolo e buona parte dell’olio sono infatti prodotti da Santina che con passione poi li trasforma in splendidi piatti per gli ospiti. Loc. Cerreto - Ponte alla Piera, 11 - Anghiari Tel. +39 0575723016 Cell. +39 3347956056 www.locandadelviandante.com
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LOMBATINA DI AGNELLO AL FORNO CON ASPARAGI Cuocere la lombata di agnello in forno a 200 gradi per 30-40 minuti dopo averla condita con aglio rosmarino timo sale e pepe qb. Cuocere a vapore o bollire gli asparagi assieme alla verza di finocchio tenendoli al dente e aggiungere un filo d' olio di frantoio.
In collaborazione con:
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Linea Sorrento I colori del sole e del mare di Sorrento sono i protagonisti in questo piatto dalla linea classica e pulita.
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di Andrea Luccioli
Chiara Dionigi â&#x20AC;&#x153;Lavoro con i super nani e vivo con la matita in manoâ&#x20AC;? Nuovo appuntamento con gli illustratori del collettivo Becoming X: in questo numero scopriamo la mano e la fantasia di Chiara Dionigi cheap-bologna
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Si fa chiamare “Muumma”, è un’illustratrice, e tra le altre cose nella vita lavora con “nani e super nani”, ovvero tiene laboratori creativi per i piccini delle scuole materne ed elementari.
studiare grafica da autodidatta per poi studiare alla scuola di illustrazione Ars in Fabula di Macerata».
Lei è Chiara Dionigi, ha un soprannome che deriva da una “strana storia” legata alla sua prima macchina e ad un fidanzatino americano e fa parte del collettivo Becoming X con cui va in giro a disegnare tra festival e altri appuntamenti. Si occupa, tra le altre cose, del materiale grafico del progetto “Bella Ciao” di Dj Ralf. È lei l’artista che conosceremo in questo numero di The Mag, la ragazza che “vive con la matita in mano”.
Il lavoro di cui sei più orgogliosa? «La mia prima commissione. Ero terrorizzata ma sono stata molto brava. E poi ovviamente i prossimi che verranno».
Ciao Chiara, benvenuta sulle pagine di The Mag. Conosciamoci un po’, Quando hai deciso di diventare un'illustratrice e perché? «Ho sempre disegnato di nascosto, avendo timore di far vedere quello che facevo. Quando ho scoperto “Greta la Matta” di Geert De Kockere e Carll Cneut, ho capito che attraverso l'illustrazione puoi raccontare tutto, senza filtri e senza sovrastrutture. Questo ti dà totale libertà ed altrettanta responsabilità e rispetto verso il tuo lavoro e chi ne usufruisce». Quali sono i tuoi soggetti preferiti? «Mi piace disegnare la gente, come è e come me la immagino». Parlaci della tua formazione. «Dopo il liceo ho studiato cinema e lavorato in teatro. Dagli storyboard per il cinema ho iniziato a
Che tecniche usi e prediligi? «Non c'è una tecnica che ancora sento mia più delle altre. Sperimento e mischio tecniche tra loro, ma i disegni che amo li faccio a matita. E ancora li tengo per me». Avrai a che fare ogni giorno con illustratori e disegnatori, ma se dovessi scegliere, chi è il tuo maestro o fonte di ispirazione? «Ne ho due: Carl Cneutt e Dave McKean».
In un mondo dove i creativi sono sempre di più, anche grazie alle nuove tecnologie, qual è il segreto per restare originali? «Mettersi in gioco. Io ho sempre avuto la paranoia che quello che io immaginavo potesse essere troppo strano o non compreso. Studiare, esercitarsi, parlare con la gente, scoprire altri illustratori e viaggiare, sono tutte azioni fondamentali per crearsi un proprio stile». Come sei finita in mezzo al progetto Becoming X? «Diversi anni fa ormai mi invitarono a disegnare un mostro gigante sul muro del Marla, un locale a Perugia. Il collettivo si stava appena costituendo e mi ci infilai subito con enorme piacere. In pochissimi anni stiamo diventando una realtà importante e riconosciuta». Com'è l'esperienza dei live drawing? «L'idea di ibridare immagini e musica mi affascina. Il live drawing è una performance a tutti gli effetti. È totalizzante. Ovunque ti giri ci sono mani che disegnano e teste che viaggiano tra la musica e la carta. Farne parte è potentissimo e credo che si percepisca anche da fuori».
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Chiara Dionigi. Classe 1978. Dopo il liceo ho studiato cinema e lì mi sono appassionata alla narrazione per immagini. Ho lavorato con video, fotografia partecipando a mostre ed eventi come “Fotografia Europea”; per poi arrivare al collage e infine al disegno. Ormai da alcuni anni sono una delle menti dietro alle grafiche per Dj Ralf e La Terra Managment. Collaboro come illustratrice e grafica con varie realtà locali e nazionali, Festival ed associazioni. La mia opera “La dolce vita della classe operaia” fa parte di “Imago Mundi” - Luciano Benetton Collection. Vivo e lavoro tra Assisi e Perugia, sempre con la valigia pronta e le matite temperate.
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Metti una sera con Manuel Agnelli
Mi avrete solo come voglio io Testo Andrea Luccioli
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Setlist Place To Be (Nick Drake cover) Padania Male Di Miele Come Vorrei Pelle Ti Cambia Il Sapore The Bed (Lou Reed cover) Bianca Una solitudine troppo rumorosa (Bohumil Hrabal) Shadowplay (Joy Division cover) State Trooper (Bruce Springsteen cover) Dove Si Va Da Qui Video Games (Lana Del Rey cover) Né Pani Né Pesci Adesso È Facile È Solo Febbre Avevamo Studiato Per L’Aldilà (Eugenio Montale) Perfect Day (Lou Reed cover)
Encore Saluto Alle Virtù (San Francesco d’Assisi) Ballata Per La Mia Piccola Iena Ci Sono Molti Modi
Encore 2 Shipbuilding (Elvis Costello cover) Non È Per Sempre Quello Che Non C’è
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Il leader degli Afterhours al Lyrick di Assisi con un progetto “intimo ma non troppo” insieme al compagno di viaggio Rodrigo D’Erasmo. Cover, letture e tanti brani storici della band
Si potrebbe dire che l’ego di Manuel Agnelli sia un posto sconfinato e non si sbaglierebbe di molto. Sia chiaro, lo stiamo dicendo senza dare accezioni negative: noi lo adoriamo il signor Agnelli. In qualsiasi forma si presenti: con i suoi Afterhours, come giudice di X-Factor, con la sua trasmissione “Ossigeno” su RaiTre o in versione solista +1 (dove il più uno è solitamente il fido Rodrigo D’Erasmo). Questa è la premessa per meglio capire cosa sia successo di recente al Teatro Lyrick di Assisi quando è andato in scena “An evening with Manuel Agnelli”. La data zero del suo tour solista è stata un’enorme celebrazione dell’artista Agnelli in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue mille personalità. Brani suoi, pezzi di altri, suonati in maniera asciutta, nuda, chirurgica. Ma sempre con una forza potentissima. La stessa forza che esaltato un Lyrick pieno in ogni suo posto per il meraviglioso istrione. Questo è stato in sintesi lo spettacolo che ha dato il via ad un tour che ha registrato consensi di critica e soprattutto di pubblico. Merito anche dell’enorme hype che si è generato intorno ad Agnelli. Gli
ultimi anni della carriera musicale del leader degli Afterhours sono stati decisamente fortunati e lo hanno ormai incastonato nel firmamento delle star musicali del panorama nazionale. Il nostro Manuel, per farla breve, è riuscito a diventare pop restando alternative. Ma torniamo all’esibizione del Lyrick, uno show già sold out poco dopo l’apertura della vendita dei biglietti. Che sarebbe stata una serata importante lo si è capito subito, a cominciare dalla splendida cover iniziale di “Place to be” di Nick Drake che ha dato la cifra dell’intimità che avrebbe regalato il resto della serata. La doppietta “Padania” e “Male di miele” ha subito riportato il teatro nella dimensione Afterhours insieme a “Come vorrei” e la struggente “Pelle” che regala brividi ad ogni esecuzione. Prima della seconda cover, “The Bed” di Lou Reed, è arrivata “Come ti cambia il sapore” e anche qui Manuel Agnelli ha dato prova della capacità di scrivere testi e musiche viscerali, mai banali. Intorno al musicista – oltre al ciuffo e al violino di Rodrigo D’Erasmo – una specie di salotto a fare da sfondo. Poltrone, un divano, lampade, luci soffuse, li-
bri, una scrivania: niente effetti speciali, solo affetti domestici. Una scenografia per consentire ad Agnelli di passare dalla dimensione musicale a quella di più riflessiva di oratore, lettore, narratore. La sua prima lettura è stata “Una solitudine troppo rumorosa” di Bohumil Hrabal, cui hanno fatto seguito, nel corso dello show, “Avevamo studiato per l’aldilà” di Eugenio Montale e il “Saluto alle virtù” di San Francesco, omaggio alla terra del concerto. Nel flusso di coscienza del cantante milanese sono arrivate poi le cover “minimal” di “Shadowplay” dei Joy Division, “State trooper” di Springsteen, “Video games” di Lana Del Rey, la bellissima “Perfect Day” di Lou Reed e “Shipbuilding” di Elvis Costello. Il tutto a impreziosire un set molto articolato con ben due gruppi di encore in cui sono finite quattro grandi hit degli Afterhours: “Ballata per la mia piccola iena”, “Ci sono molti modi”, “Non è per sempre” e “Quello che non c’è”. Applausi a pioggia e fan in visibilio, Agnelli ha fatto di nuovo centro.
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THE MAG JAZZ
Danilo Rea di Cristina Crisci
«QUEL GIORNO IN AUTO CON CHET BAKER» Melodia e improvvisazione, un grande amore per la musica e per le sue derivazioni, meglio quelle che stanno fuori dagli spartiti.
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A Città di Castello per un concerto del Festival delle Nazioni Primavera ho incontrato Danilo Rea, da 40 anni uno dei maggiori pianisti jazz in circolazione. Ho ascoltato per un po’ le prove nel Teatro degli Illuminati vuoto e ho pensato che starei a guardare per ore le mani dei pianisti mentre suonano. Una vita passata tra le note del pianoforte nei teatri e festival in giro nel mondo, ma che ricordi ha dei suoi esordi? «Una grande paura. Ho iniziato nelle scuole, sono partito da lì, poi i primi concerti, il trio di Roma (con Roberto Gatto e Enzo Pietropaoli). In uno dei nostri primi concerti eravamo talmente impauriti che una sera Gatto mi disse di cantargli il brano perchè lo aveva completamente dimenticato… tanta era l’emozione. Invece poi andò benissimo e fu l’inizio di una storia lunga». Da bambino lei sognava di fare il pianista? «So solo che mi divertivo a improvvisare: a 7 anni prendevo lezione di pianoforte, poi tornavo a casa e improvvisavo. Suonare è stato del tutto naturale, ma non ho mai pensato alla musica come a una professione. Poi sono arrivati i concerti, in molti mi hanno chiamato e così è andata, un po’ come passare dal gioco al piacere di suonare per il pubblico». Ha avuto la possibilità di collaborare con i grandi del jazz, persino con Chet Baker… «Eravamo giovani, prima gli ho fatto da autista, poi ho suonato con lui… sono esperienze forti perché quando lavori con questi mostri sacri loro partono già dal presupposto che tu sia competente e conosca il
jazz. Così lui iniziava e non ti diceva neanche cosa aveva intenzione di suonare: mi è capitato di alzare le mani e dire: ‘ basta questa non la conosco’». Collaborazioni anche nella musica italiana, da Gino Paoli a Mina, poi Rino Gaetano… «Io ho iniziato con Riccardo Cocciante e Rino Gaetano nel progetto New Perigeo, un gruppo progressive. Ero appena uscito dal conservatorio, avevo 21 anni, con me sono stati ambedue molto carini: anche da lì è partita una serie di concerti con grandi cantanti … fino al duo con Gino Paoli che è l’espressione più importante, per me, del duo cantautore e pianoforte». Lei ha accennato prima alla sua partecipazione trasversale in zona progressive: quali sono i suoi gusti musicali, che musica ascolta? «Ascolto molta musica, ma solo fino a un certo periodo storico. Sono un cultore di Andrè, Paoli e Battisti, ho avuto modo di collaborare in diversi progetti con Mina insieme al trio, ma ho anche inciso dischi su Beatles e Rolling Stone, poi posso pure finire ad ascoltare l’opera. Quello che conta, per me è l’improvvisazione». Qual è la miglior canzone d’autore in versione jazz?
«’Senza fine’, un brano che hanno suonato anche i grandi jazzisti americani perché ha una struttura armonica tipica del jazz». Se lei dovesse spiegare il jazz a un bambino cosa direbbe? «Parlerei della libertà completa dell’interpretazione: la classica è perfezione, il jazz una melodia che ci guida e ci si improvvisa sopra». Qual è il suo rapporto con l’ Umbria? «Sono ambasciatore nel mondo di Umbria Jazz, terra in cui sono cresciuto alla quale sono molto legato e le devo tanto perché se siamo stati portati in giro per il mondo, è anche grazie al lavoro fatto da Umbria Jazz». Impegni musicali? «Mi sto concentrando su un nuovo progetto per piano solo con composizioni originali, per tirar fuori me stesso». Che consiglio darebbe a chi vuol fare pianista? «Divertirsi, emozionarsi, studiare, studiare e trovare motivi per emozionare, poi ancora divertirsi e raccontare qualcosa. Non esiste virtuosismo fine a se stesso, bisogna arrivare vicino a chi ci ascolta».
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Field Hospital X
Per chi di voi vorrà avventurarsi alla Biennale di Venezia 2019, che chiuderà i battenti il 24 novembre, dopo aver visitato la mostra “BURRI la pittura, irriducibile presenza” (giorno di chiusura programmato: 28 luglio) immancabile appuntamento per ogni tifernate, voglio consigliare di prestare particolare attenzione al Padiglione Israele che si trova all'interno dei Giardini dell'Arsenale. Il Padiglione Israele infatti da qualche anno si dimostra fra i più all'avanguardia e anche quest'anno non ha voluto tradire le aspettative. Voi ormai conoscete la mia propensione per l'arte relazione, e quanto creda che questo filone rappresenti una delle nuove frontiere estetiche da tenere sott'occhio. Aya Ben Ron (Haifa – 1967), è un artista multidisciplinare, nota per progetti site-specific, installazioni e video che esaminano le prospettive di cura ed etica medica. Ben Ron vive e lavora a Tel-Aviv, in Israele, ed è un professoressa alla School of
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the Arts dell'Università di Haifa. Nel Padiglione nazionale presenta Field Hospital X (FHX) un’istituzione internazionale e itinerante il cui scopo è indagare il modo in cui l’arte può agire e reagire di fronte a problemi sociali e valori corrotti. FHX nasce con l’intento di creare un ambiente sicuro in cui proiettare No Body, un video dell'artista stessa che parla di abusi famigliari e racconta altre storie che meritano di essere ascoltate. Ispirandosi alla struttura e alla pratica degli ospedali, delle assicurazioni sanitarie e dei centri di cura, offre uno spazio in cui le voci messe a tacere possono essere ascoltate e le ingiustizie sociali possono essere viste. FHX inaugura il suo percorso qui, per poi spostarsi in diversi luoghi di tutto il mondo, con l’obiettivo di svilupparsi ed espandersi. Basta presentarsi all'ingresso, cliccare sul display, prendere il numero e sedersi mentre si aspetta il proprio turno guardando video esplicativi. Quando viene chiamato il
nostro numero, si va verso il banco informazioni, lì ci viene chiesto di scegliere fra quattro bracciali con frasi diverse (io ho scelto “i don't want to think about it”, i miei amici hanno scelto “i am ready – are you ready?”), a quel punto si sale nel mezzanino e si aspetta di entrare in una delle tre cabine insonorizzate dove ci viene chiesto di emettere un urlo controllato. Finita questa procedura si sale al piano superiore dove, stesi su poltrone reclinate, ci viene mostrato il video corrispondente al nostro braccialetto. Alla fine del trattamento, prima di uscire, ci viene consegnato un altro bracciale di gomma che da loro viene definito di “supporto” con la scritta “here anyone can live free”.
labiennale.org
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La musica di L.M. Banksy
L'OMBRA DEI VAMPIRE WEEKEND Dopo essersi fatta desiderare per sei anni, la band dopo “Modern vampires of the city” torna con l’album "Father of the Bride" e dimostra con il suo siero indiepop che è possibile diventare adulti senza smettere di saper suonare musica con “leggerezza”. Per tanti anni pubblico e critica rock hanno spesso coltivato un pregiudizio contro la "leggerezza" ed hanno attribuito valore solo a quel che suonava drammatico e impegnato. Ecco perché, ad esempio, molti hanno riconosciuto la grandezza dei Beach Boys solo tardivamente. Nei Vampire Weekend non c’è un Brian Wilson, ma la loro storia e questo album dimostrano che la "leggerezza" è una virtù se inseguita con talento e fantasia, qualità che abbondano nel leader della band nonchè cantante ed
autore Ezra Koenig. Father of the Bride è infatti un disco luminoso come lo sono i dischi di Vampire Weekend, ma di certo più sofisticato e maturo, ricco di stili che convivono con grazia seppur con segni e temi anche discordanti. Canzoni razionali costruite con un senso artigianale per gli arrangiamenti e con dettagli definiti ma seducenti, meno punkeggianti di come potevano essere in Contra e nel loro primo disco omonimo, ma che rendono il disco pregno di un pop amabile. Un lavoro collettivo che in meno di un'ora suona 18 brani, pezzi che si è portati a canticchiare subito, come se già li si conoscesse. Questo nuovo lavoro dopo undici lunghi anni (e tre bellissimi album) permette inoltre alla band di tornare finalmente dalle nostre parti, con un'unica data al
Magnolia di Milano il 9 luglio, occasione da non perdere. TRACKLIST 01. Hold You Now (feat. Danielle Haim) - (02:33) 02. Harmony Hall - (05:08) 03. Bambina - (01:42) 04. This Life - (04:28) 05. Big Blue - (01:48) 06. How Long? - (03:32) 07. Unbearably White - (04:40) 08. Rich Man - (02:29) 09. Married in a Gold Rush (feat. Danielle Haim) - (03:42) 10. My Mistake - (03:18) 11. Sympathy - (03:46) 12. Sunflower (feat. Steve Lacy) - (02:17) 13. Flower Moon (feat. Steve Lacy) - (03:57) 14. 2021 (01:38) 15. We Belong Together (feat. Danielle Haim) - (03:10) 16. Stranger - (04:08) 17. Spring Snow - (02:41) 18. Jerusalem, New York, Berlin - (02:54)
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Siamo p per un r degli an rubriche
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pronti revival nni 90? di Luca benni & Matteo Cesarini
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Cinema Metropolis
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un massiccio ritorno degli anni Ottanta nell'immaginario pop collettivo. Dalla moda all'oggettistica, alla musica, fino al cinema e alle serie tv, è stato tutto un recupero di quell'immaginario. Basti pensare all'enorme successo riscosso da serie come Stranger Things e alla conseguente riaccesa attenzione verso le atmosfere ala Stephen King che da un po' di tempo dominano il mercato cinematografico. Atmosfere intrise non solo di suspence ma anche di giovinezza, innocenza e vita di provincia. Come dice Simon Reynolds in Retromania (Minimum Fax, 2017) "il ritorno culturale di una decade è stato programmato dopo 25/30 anni". Il fenomeno già si è visto in maniera estesa con gli anni ottanta appunto - essendo l'ambito cinematografico che ci interessa in questa sede, ricordiamo che il primo ad occuparsene è stato J.J. Abrams con "Super 8" nel 2011, anche se il nostro Fausto Brizzi già c'era andato giù pesante con "Notte prima degli esami" in tempi non sospetti, era infatti il 2006. Comunque sia, le contaminazioni con gli anni ottanta sono giunte alla saturazione, quanti di noi sono si sono annoiati alla seconda stagione di Stranger Things? Quindi forse è giunta l'ora di un prepotente ritorno degli anni novanta. Il fatto che Backstreet Boys e Spice Girls stiano tornando sulle scene non può che essere un segno. Oppure il fatto che la saga di giappo-
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nese di Evangelion sbarchi su Netflix. Certo, l'estatica degli anni Ottanta è più chiara e si è codificata meglio nel corso degli anni, quella dei novanta è più complessa e variegata, per certi versi anche più complicata e piena di tendenze e situazioni diverse nel corso della decade, tipo che parlare di grunge e boybands nello stesso articolo può far sorridere... La 90s mania sta per riportare sulla scena - e per la prima volta in sala – un autentico protagonista di quella decade: Sonic, la mascotte di casa SEGA. Conosciuto con il nome completo di Sonic the Hedgehog, il celebre porcospino blu superveloce è il protagonista di una delle serie di videogiochi più venduta di tutti i tempi, capace di rivaleggiare con l'altra grande mascotte dei videogiochi degli anni novanta, ovvero Mario della Nintendo.
Dal suo debutto ad oggi, avvenuto a giugno del 1991 per la console Sega Mega Drive, la serie ha venduto più di 800 milioni di copie (considerando sia le copie fisiche sia i download), divenendo il 7° franchise videoludico più venduto al mondo. In questa prima apparizione sul grande schermo, il personaggio di Sonic cercherà di salvare il pianeta Terra e fermare il suo arcinemico Dottor Robotnik, scienziato malvagio interpretato da Jim Carrey che vuole conquistare il mondo usando gli anelli di Sonic. Il film dovrebbe uscire a novembre ma la diffusione del primo trailer ha già creato non pochi problemi alla Paramount in quanto ai fan del videogioco non è affatto piaciuto il design antropomorfo del porcospino, costringendo regista e produttori a uscire con un comunicato ufficiale in cui si annuncia una revisione della grafica del personaggio. A proposito, per non farci mancare niente, sta per
tornare sul mercato anche la console stessa, versione Sega Mega Drive Mini, una console plug & play da attaccare alla TV, identica all'originale ma con dimensioni più contenute e 40 giochi classici preinstallati (fra cui la saga di Sonic ovviamente), continuando una recente tendenza inaugurata qualche anno fa da Nintendo con le sue console Nes Mini e Super Nintendo Mini. Prima ancora dell'uscita di Sonic, gli anni novanta saranno i protagonisti indiscussi di questa estate cinematografica anche grazie ad altri grossi franchise che stanno per tornare in sala. C'è innanzitutto l'operazione live action della Disney, con la riedizione con attori in carne ed ossa di buona parte del catalogo classico. Dopo Dumbo, La bella e la bestia, Il libro della giungla e Cenerentola, già usciti nei mesi scorsi, quest'anno tornano due pezzi – è proprio il caso di dirlo – da novanta: Aladdin e Il Re Leone. Il primo, remake del cartoon uscito in Italia nel 1993, è in sala proprio in questi giorni, trainato da un incontenibile Will Smith nei
panni del Genio. Il secondo, remake in live action del classico uscito nel 1994, sarà diretto da John Favreau (regista di Iron Man) ed uscirà ad agosto. Sempre in casa Disney, a fine giugno sarà la volta del ritorno di Toy Story, altra saga di grande successo giunta oggi al quarto episodio. Il primo capitolo, primo film sviluppato completamente in computer grafica, venne realizzato dalla Pixar e distribuito da Walt Disney Pictures nel 1995 (in Italia nel 96). Anche stavolta i giocattoli Woody e
Buzz Lightyear saranno i protagonisti della storia. Infine, anche se non sarà un sequel ma uno spin off, con Men in Black: International torneremo a seguire le avventure dei MIB, l'organizzazione segreta che all'oscuro di tutti, persino del governo degli Stati Uniti, controlla l'afflusso di extraterrestri sul pianeta Terra. Il primo film, tratto dal fumetto omonimo di Lowell Cunningham, è uscito nel 1997 ed è stato uno dei ruoli di maggior successo di Will Smith al cinema. L'ex principe di Bel Air, in coppia con Tommy Lee Jones, compare anche nei due seguiti (Men in black II del 2002 e Men in black 3 del 2012) e chissà che non ci scappi un cameo anche in questo episodio spin off che avrà come protagonista Chris Hemsworth.
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Testo Maria Vittoria Malatesta Pierleoni Foto Matteo Bianchi
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La Mole Vanvitelliana di Ancona ospita dallo scorso 16 febbraio "Retrospective", la mostra dedicata a Robert Capa, uno dei più importanti fotoreporter del ventunesimo secolo e padre fondatori, insieme ad HenriCartier Bresson, George Rodger, David Seymour e William Vandiverd dell’agenzia Magnum Photos.
Curata da Denis Curti, "Retrospective" riprende fedelmente l’esposizione originariamente curata da Richard Whelan, biografo e studioso di Robert Capa, pseudonimo per l’ungherese Endre Friedmann (Budapest, 22 ottobre 1913- Thai Bihn, 25 maggio 1954). Articolata in 13 sezioni la rassegna è composta da oltre 100 immagini in bianco e nero che offrono più di una lettura: Copenhagen 1932, Francia 19361939, Spagna 1936-1939, Cina 1938, Gran Bretagna e Nord Africa 1941 – 1943, Italia 1943 – 1944, Francia 1944, Germania 1945, Europa orientale 1947, Israele 1948-1950,
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Indocina 1954. Così il visitatore – spiega il curatore - potrà decidere su quale orientare la propria attenzione: la storia recente, le guerre, le passioni, gli amici. Sarebbe riduttivo etichettare Capa come fotografo di guerra sebbene lo scatto del miliziano ferito a morte durante la Guerra civile spagnola sia diventata l’icona che lo ha consacrato al fotogiornalismo. Quest’ultima, insieme alla serie di fotografie dello sbarco in Normandia delle truppe americane, contraddistinte dall’essere straordinariamente ravvicinate sui campi di battaglia, sono sì il centro del suo lavoro ma ad Ancona c’è anche tanto altro. Eli-
minando le barriere fotografo e soggetto, dai suoi scatti emerge quel sentimento tipico di chi in prima persona aveva vissuto esperienza analoghe a quelle immortalate. Come scrisse il suo amico Jhon Steinbeck Capa sapeva di non poter fotografare la guerra perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino, mostrando l’orrore di un intero popolo attraverso gli occhi di un bambino. Assai interessante è la sezione dedicata alle fotografie scattate da Robert Capa in Sicilia, tra il 1943 e il 1944. In essa sono riuniti molti primi piani, scattati nei paesi dell’ en-
Copyright: Morte di un miliziano lealista, fronte di Cordoba, Spagna, inizio settembre 1936 Death of a loyalist militiaman, Cordoba front, Spain, early September 1936 Š Robert Capa Š International Center of Photography / Magnum Photos
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Copyright: Contadino siciliano indica a un ufficiale americano la direzione presa dai tedeschi, nei pressi di Troina, Sicilia, 4-5 agosto 1943 Sicilian peasant telling an American officer which way the Germans had gone, near Troina, Italy, 4-5 August 1943 Š Robert Capa Š International Center of Photography / Magnum Photos
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troterra in cui sono passate le truppe americane dopo il loro sbarco nell’Isola: sono ritratti di gente comune entusiasta ed ospitale, proprio come il piccolo pastore di Troina intento ad indicare la strada a un grande soldato statunitense. È in queste foto che Capa corrobora l’idea che “Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino” perché è da vicino che la fotografia diventa un’emozione. Questo mantra è anche la frase scelta dalla Magnum Photos per festeggiare il traguardo dei 70 anni di attività. Sofferenza, miseria, caos e crudeltà ma anche intimità, immediatezza, calore ed empatia. Raramente ha foto-
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grafato morti o feriti gravi prediligendo ritrarre i sopravvissuti, nonostante la totale distruzione. Molte immagini hanno raccolto le gioie della pace e il trionfo dello spirito umano malgrado le avversità. Se la tendenza della guerra è quella di disumanizzare, la strategia del fotografo ungherese è stata quella di “ripersonalizzarla” registrando singoli gesti ed espressioni del viso della gente comune. Completano il percorso le sezioni dedicate ai ritratti che testimoniano come si distinse anche come fotografo in tempo di pace, ritraendo artisti, come i pittori Pablo Picasso e Henri Matisse, fotografi, attori come Ingrid Bergman, Gary Coo-
per, intellettuali del calibro degli americani Ernest Hemingway e il trittico che omaggia la relazione con Gerda Taro, la ragazza con la Leica. Dopo quelle di Steve McCurry, Henri Cartier-Bresson e Sebastiao Salgado, questa mostra completa un percorso espositivo che il Comune di Ancona e Civita Mostre e Musei in collaborazione con Magnum Photos e la Casa dei Tre Orci hanno voluto dedicare ai grandi maestri della fotografia del Novecento e contemporanea.
Pe maggiori informazioni: www.mostrarobertcapa.it
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SGUARDI
a cura di Architetti nellâ&#x20AC;&#x2122;Altotevere Libera Associazione
Speciale Open! Studi Aperti 2019
100 anni di Bauhaus NON SOLO ARCHITETTURA
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Si è conclusa lo scorso 25 maggio la due giorni dedicata allâ&#x20AC;&#x2122;Architettura, ma non solo. Si tratta di Open! Studi Aperti 2019, la manifestazione promossa dal Consiglio Nazionale degli Architetti per valorizzare e far conoscere il lavoro dellâ&#x20AC;&#x2122;Architetto e promuovere la cultura del territorio, giunta ormai alla terza edizione.
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Anche a Città di Castello, noi di Architetti Altotevere Libera Associazione abbiamo aderito per la seconda volta al progetto, grazie anche al patrocinio del Comune di Città di Castello. E quest’anno, nella magnifica cornice della Pinacoteca Comunale, abbiamo presentato “100 anni di Bauhaus. Non solo Archi-
tettura” con un programma ricco di eventi. Si è parlato di Bauhaus, spiegandolo agli adulti ma anche ai bambini e omaggiandolo con le performance live di artisti tifernati e con la danza. Abbiamo poi reso un contributo al nostro amato De Rigù, presentando alla cittadinanza il volume “Aldo Riguccini, dalla Pittura
al Design”, curato dall’Associazione insieme con Luciano Vanni, aiutati dal prezioso supporto grafico di The Mag e finanziato dal Comune. De Rigù è arrivato al cuore di tutti i partecipanti ad Open! anche grazie ai passi di danza dei giovani ballerini dell’Associazione Danza Classica e Moderna Diamante Renzini.
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PORCO MONDO Bozzetto di Giampaolo Tomassetti dipinto dai bambini
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«Le idee racchiuse in se stesse s’inaridiscono e si spengono. Solo se circolano e si mescolano, vivono, fanno vivere, si alimentano le une con le altre e contribuiscono alla vita comune, cioè alla cultura» Gustavo Zagrebelsky
Non solo. I bambini sono stati i veri protagonisti di questo Open! 2019, grazie al “Concorso Architetto under 11 – Non solo Aula” al quale hanno partecipato 350 alunni delle scuole primarie del territorio tifernate, suddivisi in 17 classi e 10 plessi scolastici. Un ottimo risultato per noi, che abbiamo indetto per la prima volta questo concorso. Ma anche per loro che, con i loro lavori pieni di colori, idee e fantasia, hanno ricevuto due primi premi e due menzioni speciali, queste ultime omaggiate dalla Fondazione Palazzo Albizzini e da Il Poliedro
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La nostra forza? La Tradizione. Cuciniamo piatti tipici dell'Umbria e della Toscana. Prova la nostra braceria, goditi la pasta fatta in casa, ruvida come una volta! Ampi spazi per cenare insieme a molte persone e per godersi il pasto con i bambini Loc. Monestevole 497, Umbertide Tel. +39 075 941 7963
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osteriacantinapacella@gmail.com /osteriacantinadipacella /la_cantina_di_pacella
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Buona la prima per “Mirapolis” e sguardi già al 2020 Tanti appassionati e addetti ai lavori al primo festival umbro di architettura Si è chiusa con ottimi numeri e tanti progetti per il futuro la prima edizione di “Mirapolis”, il festival di architettura che si è svolto a Foligno e di cui noi di The Mag siamo stati media partner. Oltre mille persone hanno partecipato alle decine di
incontri e iniziative organizzate all’interno di “Mirapolis” e di “FuoriMirapolis”, ovvero i due percorsi del festival. Il primo per professionisti e studenti, il secondo per appassionati e curiosi. Conferenze, lectio magistralis, tour alla scoperta di spazi urbani, performance di danza, mostre, dj set, aperitivi, concerti corali e proiezioni per oltre 30 appuntamenti in 16 diverse location differenti: questi alcuni dei numeri della kermesse. Questa prima edizione, curata da Cecilia Cairoli e Alessandra Lancellotti dell’associazione culturale Mirapolis, ha avuto per tema i “Paesaggi Urbani”, ovvero una riflessione volta a valorizzare le diverse ani-
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me della città e del suo sistema di relazioni con il territorio regionale. Il festival ha avuto l'obiettivo di esplorare le molteplici sfaccettature dell'architettura urbana cercando di coinvolgere sia esperti del settore che appassionati. Tra gli incontri più importanti di questa prima edizione si segnala la lectio magistralis dell’architetto Franco Purini, un tour alla scoperta dei luoghi legati a Giuseppe Piermarini, l’incontro “Sete circulos/Seven circles” con l’architetto Pedro Campos Costa e il “Laboratorio Umbria” con i professori Paolo Belardi, Fabio Bianconi e Fabrizio Fiorini dell’Università degli studi di Perugia, Dipartimento di Ingegneria civile. Molto soddisfatti gli organizzatori che già pensano al prossimo anno: la futura edizione sarà ancora più ricca, tanto che l’associazione culturale Mirapolis si è già messa a lavoro.
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HOME VENICE, IL GRANDE FESTIVAL DELLA LAGUNA: LINE UP PIENA DI BIG Quest’estate anche l’Italia avrà il suo grande festival: Home Venice Festival. Dal 12 al 14 luglio il parco San Giuliano di Mestre sarà il magnete delle ultime tendenze musicali internazionali. Home Venice Festival con la sua line-up, il suo taglio artistico ipercontemporaneo anticipa i tempi ed è già pronto a fare tendenza. Un evento reso possibile dalla collaborazione tra il Comune di Venezia, Vela e Home Entertainment, società che per nove anni ha organizzato Home Festival a Treviso. Veniamo agli artisti che si esibiranno in Laguna. Venerdì 12 luglio l’headliner sarà Aphex Twin. Dall’Inghilterra, poi, arriva una delle band più amate del rock indipendente, gli Editors. Per la scena electro immancabile un altro nome di fama mondiale, il producercompositore Jon Hopkins. Ci saranno poi i The Vaccines, Alborosie e Moodyman e gli italiani Canova.
Sabato 13 luglio a dominare la scena è il re della techno Paul Kalkbrenner. Ad impreziosire la line up arriva LP per la sua unica data italiana. In nome dell’elettronica atterra a Home Venice anche la celebre band di Berlino formata dal duo Gernot Bronsert e Sebastian Szary, meglio noti come Modeselektor. Sonorità indie invece con Gazzelle. Sabato brilla sul palco veneziano un altro gioiello tutto italiano, Tedua e dopo di lui il rapper romano Franco126. Domenica 14 spazio alle evoluzioni del rap con Young Thug, controverso e osannato artista statunitense e poi Mura Masa, Gué Pequeno, Boomdabash, Anastasio, Christina Effe, Elettra Lamborghini e molti altri.
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Pep Bou nel Paese delle Meraviglie Testo Redazione Fotografia Marco Giugliarelli
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L’artista catalano ha incantato il Teatro Morlacchi con il suo spettacolo fatto di bolle di sapone, musica e magia I sogni hanno la forma delle bolle di sapone. Al Teatro Morlacchi di Perugia, in occasione della mostra “Bolle di sapone. Forme dell’utopia, tra vanitas, arte e scienza” della Galleria Nazionale, è andato in scena “Experiències”, lo spettacolo teatrale dell’artista di fama mondiale Pep Bou. Catalano, attivo già da molti anni, con del sapone da piatti liquido, acqua non troppo calcarea e della musica, Bou è in grado di creare delle magie: fiori di aria, onde di luce, arcobaleni che galleggiano nel vuoto. Lo spettacolo del Morlacchi è stato questo: un paese delle meraviglie per gli occhi affamati di sogni di grandi e piccini. Uno spettacolo frutto di quasi quattro decenni di sperimentazione di conoscenza teorica e pratica del mondo della fisica applicato alla bellezza. Una sintesi senza precedenti tra il linguaggio audiovisivo e teatrale che affascina gli spettatori che accorrono agli spettacoli di Bou
in tutto il mondo. “Experiències” è un viaggio per grandi e piccini verso mondi poetici e onirici. In una sua intervista di qualche anno fa, Pep Bou spiegava che «la magia, ancora una volta, è il risultato dalla manipolazione delle bolle di sapone. Con la mano le prendo una dentro l'altra, le tiro fuori: è come se facessi un poetico parto. Usando il vapore le bolle volano verso il cielo, scendono, danzano, invadono il palcoscenico». Pep Bou è attivo fin dalla fine degli anni sessanta come attore e mimo, la sua formazione di architetto, di appassionato di arti visive, di sperimentatore degli spazi effimeri e delle forme duttili, lo ha spinto a tentare un’avventura unica, quella di fare teatro con le bolle di sapone, che in pochi anni lo ha reso famoso in tutto il mondo, da Londra a Mosca, dalla Finlandia alla Nuova Zelanda.
I suoi spettacoli sono basati sulla creazione di bolle di sapone che sembrano avere un carattere e dei sentimenti come dei veri e propri personaggi; ma la condotta imprevedibile di queste particolarissime “attrici” rende differente ogni rappresentazione e moltiplica le opzioni espressive. Uno spettacolo sorprendente, insolito e davvero per tutti. Cosa significa continuare a divertire le persone con le bolle di sapone per quasi 40 anni? “Significa continuare a fare un mestiere, magari significa avere inventato uno stile - ha detto Pep Bou proseguendo l’intervista - La stessa cosa può capitare ad un pittore, ad un grande regista di cinema qual è stato Fellini. Da trent' anni comunque riesco a fare un lavoro che vuol dire bellezza e con cui riesco a condividere emozioni assieme al mio pubblico”.
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THE SEASON A VILLA LA PIETRA: GLI APPUNTAMENTI Sono stati i giovani cantanti lirici dell’Accademia Verdiana di Parma ad aprire la quindicesima edizione di The Season con il concerto Cantando Verdi nel ventunesimo. La rassegna estiva organizzata in lingua originale dalla New York University a Firenze prosegue fino al 27 giugno con altri tre appuntamenti, tutti a ingresso gratuito, ma con prenotazione obbligatoria a lapietra.reply@nyu.edu o telefonando allo 055 5007210. Il 12 giugno (ore 21.30 - The Continuum Theater) sarà in programma Furiosus, un’opera lirica in due atti del compositore e docente della New York University Roberto Scarcella-Perino tratta dall’Orlando Furioso, capolavoro della letteratura cavalleresca di Ludovico Ariosto. Si tratta di una nuova produzione di NYU Florence (dopo la prima assoluta tenutasi a Città della Pieve). Il libretto di Flora Gagliardi, ci porta dal mondo conosciuto alla luna, attraverso le narrazioni dell’autore su
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Cristiani e Saraceni, sortilegi e seduzioni, matrimoni segreti ed identità celate. Per celebrare la tredicesima partecipazione al programma di The Season, la Continuum Company di New York metterà in scena Le canzoni per una notte d’estate, un cabaret con le musiche dei più importanti compositori nel panorama del teatro musicale del XX secolo (20 giugno, ore 21.00 – Limonaia). Gli studenti del corso di Commedia dell’Arte della NYU Tisch School of the Arts di NY presenteranno Buffo tartuffo, un adattamento del Tartufo di Molière, una folle carrellata di personaggi e colpi di scena di uno dei commediografi più amati al mondo (27 giugno, ore 21.00 – Teatrino). The Season è la celebrazione estiva di collaborazioni creative tra artisti, scrittori, musicisti, ed intellettuali che trovano a Villa La Pietra il tempo e lo spazio necessari per perfezionare le proprie creazioni, collaborare con altre discipline, creare nuove opere o reinterpretare i classici. Il risultato del loro lavoro viene presentato ad una “prima” ad un pubblico eterogeneo nello scenario suggestivo dei giardini di questa Villa del XV secolo.
UMBRIA JAZZ 2019: UN CARTELLONE STELLARE. ATTESA PER YORKE, LAURIN HILL E I KING CRIMSON Duecentottanta eventi, per la maggior parte gratuiti, dodici diverse location, dai grandi spazi dell’Arena Santa Giuliana e Piazza IV Novembre al club di Via della Viola: una novantina di band in cartellone con centinaia di musicisti. Sono questi i principali numeri di una edizione che conferma Umbria Jazz tra i maggiori eventi del settore a livello mondiale. Con, in più, la suggestione unica che le deriva dalla sua formula: la magnifica cornice di uno dei centri storici più belli d’Italia in cui ascoltare jazz. Tanta musica, dunque, ma anche seminari di formazione, un concorso per nuovi talenti, iniziative e laboratori per i bambini, enogastronomia, una mostra fotografica in Galleria, lezioni di ballo swing, dj set. Non solo, dopo tanti anni si torna a San Francesco al Prato. L’ultima volta fu nell’edizione 1997, poi il terremoto e i lavori di ricostruzione e recupero. Quest’anno, con la struttura inaugurata in questi giorni, UJ tornerà a portare buona musica con un progetto del pianista Uri Caine.
IL CARTELLONE PRINCIPALE. Venendo all’Arena Santa Giuliana, il programma dei concerti principali di Umbria Jazz 2019 è delineato. Il 12 luglio si esibirà trio Max Gazzè, Alex Britti e Manu Katché “In missione per conto di Dio”. Ci sarà poi la voce e il piano di Diana Krall (la cantante si esibirà il 13 luglio, ore 21) e Paolo Conte (il 14 luglio, stessa ora e location). Il 15 luglio non ci sarà la pianista Hiromi, che ha cancellato il tour estivo negli Stati Uniti e in Eu-
ropa: al suo posto sul palco Michel Camilo (pianista dominicano), oltre al confermato George Benson. Il 16 luglio è la serata di Umbria Jazz 2019 dedicata alla musica latina con due progetti di Chick Corea e Richard Bona. Il 17 luglio ospiti di Umbria Jazz Nick Mason’s Saucerful
tour mondiale: appuntamento per il 18 luglio. Il 19 sarà la volta di due ensemble guidati dal talento acclamatissimo di Kamasi Washington e Michael League con i suoi Snarky Puppy. Nel cartellone di UJ c’è anche Thom Yorke, il cantante dei Radiohead arriva a Perugia il 20 luglio con un
Of Secrets: Nick Mason, Gary Kemp, Guy Pratt, Lee Harris e Dom Beken suoneranno le canzoni dei Pink Floyd in uno show previsto all’Arena il 17 lugno. Si tratta di un concerto unico per celebrare i primi lavori musicali dei Pink Floyd, che includono i brani tratti dagli album ‘The Piper At The Gates of Dawn’ e ‘A Saucerful Of Secrets’. Data italiana a Umbria Jazz 2019 per i King Crimson, leggendaria band capitanata da Robert Fripp che celebrerà nel 2019 il 50esimo anniversario del gruppo con un
suo progetto solista. Yorke eseguirà brani dalle sue opere da solista The Eraser, Tomorrow’s Modern Boxes e Atoms For Peace’s con il produttore/collaboratore di lunga data Nigel Godrich e il visual artist Tarik Barri. Il programma di Umbria Jazz 2019 chiuderà il 21 luglio con ospiti Christian McBride e la voce incredibile di Lauryn Hill, la voce dei Fugees. http://www.umbriajazz.com/
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TUTTE LE DONNE SOTTO LA LUNA DEL LAGO: ANCORA MONTELAGO: CARMEN CONSOLI E I BOWLAND A MOON IN JUNE IL FESTIVAL CELTICO HA UN PROGRAMMA A TUTTO FOLK Con il titolo ‘Just like a women’ torna anche quest’anno, per la quinta edizione, il festival ‘Moon in June’, in programma all’Isola Maggiore del Lago Trasimeno il 21, 22 e 23 giugno 2019. E sarà appunto un’ondata di universo femminile ad invadere la piccola perla al centro del lago umbro. Il tramonto lacustre quest’anno sarà caratterizzato da suggestive atmosfere musicali visti i concerti in programma della ‘cantantessa’ Carmen Consoli (domenica 23 giugno, ore 19.45), e del trio iraniano-fiorentino dei Bowland, band rivelazione dell’edizione 2018 del talent show X-Factor guidati dalla magica voce della cantante Lei Low, con in apertura il reading-concerto anche di Maria Antonietta, una delle giovani voci più interessanti della scena musicale italiana (sabato 22 giugno, ore 19.45). Il 21 giugno, ad ingresso libero, anche la novità del Premio ‘Sergio Piazzoli’, in omaggio al pronoter perugino scomparso qualche anno fa e a cui è stata intitolata la Fondazione SergioPerLaMusica, con esibizioni e riconoscimenti che coinvolgeranno gruppi e artisti umbri che si sono contraddistinti nella loro carriera. ‘Moon in june’ porterà così ancora una volta musica di qualità in scena al tramonto. Ma non solo. Ad arricchire questa edizione anche le installazioni del collettivo di artisti Becoming X i quali faranno dialogare arte visuale e sonorizzazione musicale. Sempre nella splendida cornice del Trasimeno, la manifestazione propone quindi tre giorni “unici ed irripetibili” per continuare ad animare l’affascinante scenario dell’Isola situata nel cuore del Trasimeno.
Diciassette volte Montelago! L’1, 2 e 3 agosto, a Taverne di Serravalle di Chienti (Mc), nel cuore dell’Appennino umbromarchigiano, il Festival celtico più amato d’Italia rinnova l’appuntamento con un’edizione in cui la musica è al centro della scena. Dopo anni di ricerca e innovazione che ha trasformato il Festival in una fucina d’arte, Montelago intercetta l’ultima evoluzione del genere celtico, puntando dritto al cuore del folk declinato in tutte le sue possibilità, capace di ridestare le anime sonore di mezza Europa. Ventiquattro live, 21 band, 3 palchi ufficiali e spazi dedicati all’improvvisazione. On stage i maggiori nomi della scena mondiale, vere leggende come la folk metal band spagnola Mägo De Oz, trent’anni di storia ma freschi di pubblicazione dell’album Ira Dei e il maestro gaitero, José Ángel Hevia Velasco, l’artista asturiano che ha venduto più di due milioni e mezzo di dischi. E ancora gli italiani Folkstone che presentano il loro ultimo lavoro Diario di un ultimo, la country-band finlandese Steve ‘N’ Seagulls, o gli scozzesi Talisk, premiati dalla BBC come Folk Band of the Year 2017, oltre ai polacchi Beltaine, e poi The Sidh, Folkamiseria, Lennon Kelly, Lyradanz, The Gamblers, The Led Farmers, Katia Zunino, Clara Popolo, Giuliano Gabriele, Raffi. Una maratona più potente, libera ed ecologica che mai, a cui si aggiungono l’energia esplosiva delle band protagoniste del V European Celtic Contest, concorso per nuove proposte del panorama folk europeo, e gli immancabili stage strumentali e dell’artigianato per tutti gli appassionati. Montelago Celtic Festival è un evento firmato La Catasta e organizzato in collaborazione con Regione Marche, Provincia di Macerata, Comune di Serravalle di Chienti (Mc), Cosmari, Contram, Protezione Civile e con il patrocinio di Federazione Italiana Rugby, Legambiente e Scuola Holden per il Montelago Storytelling.
CASTING THE CASTLE II A partire dal prossimo 22 giugno gli spazi del castello di Civitella Ranieri ad Umbertide ospiteranno la seconda edizione di Casting the Castle, progetto a cura di Saverio Verini. Come suggerisce il titolo, l’iniziativa si propone di restituire un’immagine inedita del luogo, improntandola ad una forte interazione con i visitatori. L’inaugurazione, prevista per le ore 18.00, presenterà il progetto articolato in due parti: una serie di performance di Cristian Chironi (1974), Francesca Grilli (1978) e Cesare Pietroiusti (1955), disseminate negli ambienti del meraviglioso castello medievale che da 25 anni ospita un programma di residenze per artisti visivi, scrittori, compositori e ricercatori provenienti da tutto il mondo e una mostra di collage realizzati da Mark Strand (1934 - 2014), tra i massimi poeti contemporanei statunitensi. La seconda edizione è concepita come “seconda occasione” per gli artisti che hanno trascorso un periodo di residenza negli anni passati che avranno
OLTRE CINQUANTA OPERE DEL MAESTRO DEL DISEGNO OMAR GALLIANI AL CIAC DI FOLIGNO Il Ciac, Centro italiano arte contemporanea di Foligno ospiterà fino a ottobre “Il corpo del disegno” di Omar Galliani, mostra antologica dedicata al maestro indiscusso del disegno italiano. L’esposizione, a cura di Italo Tomassoni, ripercorre l’intera produzione dell’artista, dagli anni Settanta ad oggi, attraverso il fitto dipanarsi del disegno, linguaggio d’elezione ed elemento fondante della sua poetica, utilizzato anche per opere a carattere monumentale. Il progetto, allestito nella città che ospita diversi capolavori dell’arte contemporanea, tra i quali la Calamita Cosmica di Gino De Dominicis, sarà arric-
così la possibilità di proporre progetti sviluppati in maniera embrionale a Civitella Ranieri oppure nati in altri contesti, riadattati agli spazi del castello. I tre interventi, tutti a carattere performativo, sono stati pensati per intensificare l’atmosfera già di per sé incantata del castello offrendo al pubblico la possibilità di visitare gli ambienti in un’occasione inedita, che testimoni la vitalità unica della Fondazione e la sua unicità nell’ambito delle residenze per
artisti. Casting the Castle proporrà anche una mostra del poeta statunitense Mark Strand (Director’s Guest a Civitella nel 2012), i cui collage saranno esposti per la prima volta in Italia. La mostra sarà visitabile, su appuntamento, fino al 13 luglio.
chito da un intervento site-specific di Omar Galliani che, nel corso della mostra, traccerà sulla parete principale del museo una figura femminile, ideale collegamento tra le grandi tavole che costituiscono il cuore dell’esposizione. «Tra grandi frammenti anatomici di un corpo disegnato – scrive Omar Galliani –, sospeso e perduto tra veritiere o improbabili costellazioni dai nomi mitici (Berenice, Cassiopea, Orione, Prometeo), un mio sottile segno di matita attraverserà le pareti del CIAC, rincorrendosi per oltre 25 metri. Un corpo androgino ripetuto più volte sempre uguale, come un suono perduto o dimenticato nei cieli di altri disegni, per la prima volta esposti qui insieme. La permanenza del disegno al di là del foglio o della tavola invaderà la parete. Un affresco destinato all’oblio della cancellazione, che resterà nella me-
moria di un video trasmesso in tempo reale all’esterno del museo». Il percorso espositivo comprenderà una cinquantina opere che, negli anni, sono state presentate nei principali musei italiani ed internazionali.
Per informazioni e prenotazioni: civitella.org | news@civitella.org oppure telefonicamente: 075.782.5228.
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