Il nostro autunno è rosa
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l'editoriale del direttore
Andrea Luccioli
Il rosa è il mio colore preferito
C
Il nostro autunno è rosa
Ottobre rosa - è il mese della prevenzione contro il tumore al seno
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’è una frase di Wallace Stevens che mi frulla in testa in questi giorni. Suona come una bussola e dice che siamo «In quell’istante dell’anno quando, tac, l’autunno s’abbatte sull’estate mezza nuda». Il punto è che non solo l’estate, ma anche noi eravamo un po’ nudi quando è arrivato questo autunno. E, aggiungo, il problema non è tanto che non ci siano più le mezze stagioni, ma quanto noi siamo pronti (o meno) ad affrontare il cambiamento. Lo dico in un giorno di ottobre, il primo per la precisione, in cui si parla tanto di cambiamenti (climatici, politici, umorali) e senza voler attaccare pistolotti su Greta, governi gialloverdi che diventano giallorossi e compagnia bella, sto cercando una soluzione per gestire tutto questo. E voglio cercare di farlo senza tirare in ballo la parola più odiata di questi ultimi tempi: resilienza. Per favore, ‘sta roba che bisogna essere resilienti lasciatela a quelli che leggono i libretti new age à la page. A noi piace soffrire e combattere: così vogliamo affrontare le cose. Ecco, allora combattiamo. Scendiamo in campo e prendiamoci la consapevolezza di questo tempo malandato fatto di gente che urla e poco ascolta. The Mag ha deciso di farlo a modo suo con un numero molto rosa. A cominciare dalla copertina che è arrivata così, in un istante, come l’autunno di
Wallace. Ed è arrivata probabilmente perché in questo numero raccontiamo molte storie di donne. Come quella dell’avvocato Emanuela Splendorini che ha aperto un blog “La borsa delle donne” dove parla di finanza comportamentale e del rapporto, complicatissimo, che hanno le donne con i soldi. Oppure le storie delle donne che hanno combattuto il tumore al seno e qualche giorno fa hanno sfilato come modelle in piazza ad Arezzo per Ermanno Scervino. E poi ci sono le donne in musica del Riverock, il festival di Assisi che ha portato sul palco un tris meraviglioso formato da Joan As Police Woman, Cristina Donà e Ginevra Di Marco. Poi c’è molto altro. Un incontro con un personaggio eccentrico e unico: Luigi Serafini, ovvero l’autore del “Codex Seraphinianus”, una specie di enciclopedia immaginaria disegnata quasi 40 anni da e di cui Serafini ha parlato a Città della Pieve in occasione de “Il Nostro Tempo”, rassegna incentrata sullo scorrere delle lancette. E poi vi sveliamo in anteprima alcune delle opere dell’attesa mostra milanese di quel genio di Wes Anderson, il regista dei Tenenbaums per intenderci. E poi una bellissima intervista al grandissimo della fotografia Vasco Ascolini e molto altro ancora. Tanti buoni motivi per cui il nostro autunno è molto rosa!
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Maria Vittoria Malatesta Pierleoni Lucia Fiorucci
Cristina Crisci
Luca Benni Matteo Cesarini Architetti Altotevere
Simona Polenzani
Christy Mills
Alessia Mariani
ottobre / novembre 2019
Direttore Responsabile Andrea Luccioli
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Emanuela Splendorini
Enrico Milanesi
Valter Scappini
Lorenzo Martinelli
Luca Marconi
Francesco Biagini
Emanuele Vanni
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42 CODEX SERAPHINIANUS IL FAVOLOSO MONDO IMMAGINARIO DI LUIGI SERAFINI pubblicità Simona Polenzani +39 389 05 24 099 Alessia Mariani +39 348 35 45 588 redazione info@the-mag.org
Data pubblicazione: Ottobre 2019 - rivista bimestrale - N°42 Grafica, fotografia e impaginazione: Moka comunicazione, via Cacciatori del Tevere, 3 - Città di Castello (PG) P. IVA 02967110541 - mokacomunicazione.it Stampa: Litograf Editor S.r.l. - Via C. Marx, 10 06011 Città di Castello (PG) P. IVA 02053130544. Editore e Proprietario: Moka comunicazione - Direttore Responsabile: Andrea Luccioli Traduzioni: Christy Mills Iscrizione al Tribunale di Perugia: n. 20/12 del 27/11/2012. Questo numero è stato chiuso il 1 ottobre 2019 alle 20:00
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MUSICA
UN TRIS DI DONNE SOTTO LE STELLE DEL RIVEROCK Joan As Police Woman, Cristina Donà e Ginevra Di Marco
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#PinkHeart IL CORAGGIO DELLE DONNE È UN ABITO BELLISSIMO
Dino Battaglia / Tiferno Comics UN ATTO D'AMORE A MANO LIBERA
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Emanuela Splendorini LA VERA PARTITA CON IL DENARO LA GIOCHIAMO DENTRO DI NOI
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FOTOGRAFIA
Vasco Ascolini 20
Alla corte del Maestro della luce
LA VERTIGINE DEL NERO di Maria Vittoria Malatesta Pierleoni e Enrico Milanesi con Valter Scappini
Poco conosciuto in Italia, considerato un Maestro della luce all’estero, specialmente in Francia dove è stato nominato Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal Ministero della Cultura e negli Stati Uniti, Vasco Ascolini, reggiano d’Emilia classe 1937, è un raro esempio di coerenza stilistica e cacciatore di emozioni su pellicola fotografica che ha creato un nuovo modo di guardare la fotografia.
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FOTOGRAFIA
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Molte delle sue immagini sono oggi conservate nei più importanti musei d’arte del mondo e delineano un percorso che prende le mosse dalla fotografia di scena, si insinua negli spazi architettonici e museali, con un tocco metafisico in cui domina la figura umana, la luce è complice e partecipe alla celebrazione del buio, secondo una ricerca personale continua. Siamo andati nella sua casa di Reggio Emilia insieme agli amici del Citerna Fotografia Enrico Milanesi e Valter Scappini per conoscerlo meglio. Guardando la tua produzione viene da chiedersi: come nasce la caratteristica predominante negli scatti dei bianchi e neri assoluti? «La mia cifra è il frutto di un percorso. Ho cominciato col fotoreportage, nell’epoca in cui Mario Giacomelli imperava e io volevo documentare quello che succedeva nel Ricovero per anziani di Reggio. All’epoca non cercavo ancora il nero, usavo solo i toni scuri. Mi sentivo però un intruso in quelle stanze a ritrarre persone così sofferenti quindi ho smesso. Contemporaneamente, il Teatro Municipale di Reggio stava diventando il più importante canale di diffusione della cultura e serviva una figura professionale che si occupasse di documentare l’Archivio. Iniziai così l’avventura di fotografo documentario ufficiale che sarebbe poi durata per venti anni. Lavoravo 2 serate per l’Archivio fotografando balletti, mimi ed opere teatrali mentre la terza replica la riservavo come occasione di studiare l’essere umano in quanto tale. Da lì è nata la scelta stilistica di utilizzare il nero per potenziare il bianco ma anche la gamma di colori. Il nero, in quanto negazione degli altri, li contiene tutti». Si può dire che fotografia e teatralità parlino lo stesso linguaggio. Oltre a ricorrere al nero, una delle tue costanti è il frammento. Da dove viene questa scelta? «Per me la fotografia è mostrare poco e far immaginare molto. Scelgo di fotografare solo una parte per poter stimolare 23
FOTOGRAFIA
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Per me la fotografia è mostrare poco e far immaginare molto. Scelgo di fotografare solo una parte
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FOTOGRAFIA
ÂŤCamminare nel nero per tanto tempo convoglia un senso di smarrimento e vertigineÂť 26
l’immaginario di chi guarda: è la teoria della parte per il tutto, la cosiddetta pars pro toto, così resta sempre un alone di mistero. Nascondendo una parte della realtà inquadrata si avverte la sensazione di disagio per ciò che non ci è dato di vedere mentre dove la luce accarezza i corpi, li ridisegna e li rivela. Gli esseri umani possono diventare statue e le statue persone. La fotografia non deve finire nel supporto cartaceo ma deve continuare al di fuori. Non a caso, uno dei miei film preferiti è La rosa purpurea del Cairo, dove gli attori escono dallo schermo e interagiscono al di fuori». Sarebbe azzardato dire che certi stilemi del teatro si ritrovino in qualche modo trasposti anche in architettura e scultura? «C’è una corrispondenza se non addirittura un proseguimento della mia ricerca personale, tranne in una fotografia per la quale non ho rispettato il sacro principio delle linee laterali che non devono cadere. Per necessità ho inventato una nuova geometria e, lavorando in analogico, non ho potuto correggerlo come invece si potrebbe fare ora. C’è perfino un confronto con il tempo: la figura umana è caduca e avrà una fine mentre le sculture sono eterne». Perché ha deciso di lavorare più all’estero e hai preferito la Francia in particolare, rispetto all’Italia? «Sono italiano per nascita ma per quanto riguarda il mio lavoro, l’Italia mi è stata matrigna. Per fortuna sono stato adottato da Francia e Stati Uniti dopo il Teatro Municipale. Dalla Francia sono arrivate le prime committenze per i musei più importanti, dal Louvre al Rodin e gli incarichi
per il Ministero della Cultura. Quando portai alcune mie foto ai Rencontres ad Arles, la conservatrice alla fotografia del museo Reattù ne scelse alcune per completare la mostra Fissità nell’eternità e mi assicurarono l’incarico per dell’anno dopo. Uno dei momenti più belli della mia carriera. Allo stesso tempo, il Lincoln Center di New York si stava adoperando per introdurmi in alcune gallerie». Spesso le tue foto vengono associate al senso di vertigine che convogliano. Sei d’accordo? «Assolutamente. Camminare nel nero per tanto tempo convoglia un senso di smarrimento e vertigine che io stesso ho provato e che associo anche al silenzio e alla paura».
Enigma, mistero e metafisica sembrano le tue dominanti. Quali sono i maggiori modelli di riferimento? «Sono sempre stato un accanito lettore fin da bambino e i libri d’avventura di Salgari e Kipling, stimolavano già la mia immaginazione. Da ragazzo ho letto e riletto molti romanzi di Stevenson e Cuore di tenebra di Conrad. Mi affascina Borges per la sua capacità di commistione di immaginario e reale, come la Metafisica di De Chirico del resto e sono sempre stato colpito dall’uso del nero in Caravaggio, Goya e Rembrant». Il tuo lavoro va metabolizzato: non è di immediata intuizione. Quale prerequisito deve quindi avere chi osserva le foto? «Deve essere appassionato sia di 27
FOTOGRAFIA
«Sono sempre stato un accanito lettore fin da bambino e i libri d’avventura di Salgari e Kipling, stimolavano già la mia immaginazione»
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fotografia che di storia dell’arte oltre che avere la sensibilità che contraddistingue ciascuno di noi. Quella che lancio è sì una sfida culturale ma anche la ricostruzione di un senso. È lasciando la porta del reale socchiusa che si ravviva la nostra capacità immaginativa che ci spinge a scavare nell’inconscio e nella memoria». Che ne pensi di quella che prende sempre più piede come “fotografia fast-food”, vittima del fenomeno della massificazione? «Bisogna vedere il prodotto su carta per sbilanciarsi ma sono sicuro ci siano delle speranze. Nello specifico, tollero ma non condivido che si faccia una suddivisione tra la fotografia di reportage, la regina della fotografia, e quella umanistica. Ritengo la street art fotografia di reportage senza far fatica, priva di futuro e passato che dovrebbe limitarsi ad assurgere al fotogiornalismo in quanto difetta di coscienza, studio e preparazione». Un fotografo che apprezza? «Ho guardato molto Mimmo Jodice del quale apprezzo tutto il lavoro prima del suo passaggio al digitale e Pierre Soulages per essere riuscito ad inventare altri tipi di nero, come un chimico».
www.vascoascolini.com
L’intervista completa : 29
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Daniela e Fabrizio abitano nella loro casa nella zona residenziale di Sansepolcro da ormai ventiquattro anni. Avevano bisogno di un ambiente in più, e dopo la ricerca iniziale di un nuovo appartamento, hanno deciso di ristrutturare completamente la loro casa. Hanno quindi demolito tramezzi e rivisto gli spazi in base alle esigenze di spazio e comodità e sono andati così a creare un open space nella zona giorno. Con il pavimento di rovere a listoni e l’arredamento lineare e semplice hanno dato un tocco di modernità al vecchio appartamento rendendolo subito nuovo. Nella zona giorno, benché unica, il camino divide la cucina dal soggiorno. Il suo basamento in marmo nero continua anche nel piano di appoggio delle basi della parete attrezzata, semplicissima e lineare, dando una grande sensazione di ordine. Nel soggiorno, invece, lo spazio è stato sapientemente suddiviso con il grande divano ad angolo e il bellissimo tavolo Tender firmato Desalto in cristallo allungabile. Per sfruttare al meglio lo spazio, hanno utilizzato una panca Air di Lago. La cucina Modulnova, ricavata nello spazio esistente è comoda con il tavolo snack per i pranzi veloci. È illuminata dalla luce della finestra che riflette il bianco delle ante. In camera da letto il protagonista è l’ormai iconico letto Fluttua di Lago, coordinato con comodini e comò. Le ante in vetro dell’armadio contribuiscono con i loro riflessi a creare una romantica atmosfera.
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Arredi: Meozzi Mobili
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Nel soggiorno, invece, lo spazio è stato sapientemente suddiviso con il super divano a elle e un bellissimo tavolo in cristallo allungabile. 34
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Daniela and Fabrizio, have lived in their house in the residential area of Sansepolcro for twenty-four years by now. They needed an extra room and after an initial search for a new apartment, they decided instead to completely renovate their own home. So they tore down the partitions and reconsidered the rooms on the basis of their need for space and comfort and so went forward in creating an open space in the living area. Then the flooring in durmast oak slats and the simple, linear furnishings gave a modern touch to the old apartment, making it immediately seem new. In the living area, even though it is one space, the fireplace divides the kitchen from the living room. The base of the fireplace, in black marble, extends into the entertainment center wall, simple and linear, giving a great sensation of order. In the living room instead, the space has been wisely divided with a large corner sofa, and the beautiful Tender table with Desalto crystal which is extendable. In order to use the space better, they have used an Air bench by Lago. The Modulnova kitchen, which was built into the existing space, is comfortable with a small table for quick lunches. It is well-lit by the light coming from the window which reflects the white of the cabinets. In the bedroom, the main feature is the iconic Fluttua bed by Lago, with coordinating nightstands and dresser. The mirrored wardrobe doors contribute with their reflections to create a romantic atmosphere.
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NOTE TO THE CURIOUS Thanks to a few wise moves, the little apartment, by now archaic, was transformed into a comfortable apartment with modern and practical lines. It was a renovation that touched each part of the house, windows, doors, inculding the plumbing and electrical systems, which gave new life to the old house.
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L'Intervista
di Andrea Luccioli
Faccia a faccia con uno dei piÚ bizzarri e incredibili artisti italiani che nel 1981 scrisse e illustrò un libro di culto: il Codex Seraphinianus
immaginario
Il favoloso Mondo
Luigi Serafini
di
A
breve, nel volgere di qualche mese, la sua opera più famosa compirà 40 anni e lui spiega che insieme alla casa editrice proverà a “farne un’edizione speciale, che però sia l’ultima stavolta (ride, ndr)! Magari aggiungerò anche un altro capitolo con qualche nuova tavola”. A parlare è Luigi Serafini e l’opera in questione è il suo “Codex Seraphinianus”, un libro immaginario scritto e illustrato con oltre mille disegni realizzati dall’artista italiano classe 1949. Non lo conoscete? Male, anzi malissimo. Perché il Codex è un’opera mistica, mitica e mitologica. E’ una “nonciclopedia” immaginaria e parallela al nostro mondo. Un enorme miracolo della creatività, una letizia. Piccola nota personale: quando scoprii questo testo avevo poco più di una ventina d’anni e mi imbattei nelle tavole del Codex attraverso alcuni siti internet che si occupavano di illustrazione ed esoterismo. Oggi, dopo
aver conosciuto personalmente Serafini, ho capito che quella scoperta non fu casuale. O meglio, la sua modalità non lo è stata. La ragione me l’ha suggerita lui stesso a Città della Pieve, a margine di un incontro molto interessante all’interno della rassegna “Il nostro tempo” di cui è stato ospite e che è stata il trampolino per intervistare questo autore unico. Serafini, infatti, è un appassionato del web nella sua dimensione comunicativa e di collegamento. Racconta che il Codex è nato negli stessi anni in cui nascevano le email e la sua fortuna è stata proprio una “condivisione” anche attraverso una sorta di passaparola via web. In questo modo, come dicevo, è arrivato al sottoscritto. “Il Codex non ha mai avuto una campagna promozionale – spiega Serafini -, eppure in questi anni ho conosciuto tantissime persone che lo hanno scoperto nei modi più impensabili attraverso il passaparola che spesso nasceva da una
L'Intervista
L'Intervista
comunicazione avvenuta tramite il web”. Serafini, lunghi capelli sale e pepe, è un fiume in piena quando si racconta. Ha mille storie che tira fuori da un cilindro invisibile e sono tutte intrecciate con la sua vita di “autore” e architetto che si è laureato “dopo 2-3 anni che avevo finito gli esami - dice - e solo perché un caro amico, fermandomi in strada, mi disse le stesse cose che mi diceva mia madre: perché non prendi questa laurea”. La tesi? Ovviamente la scrisse basandosi sulle tavole del Codex, quelle in cui lui stesso ha disegnato alcuni lavori architettonici del suo mondo
immaginario. La cosa davvero incredibile del mio incontro pievese con Serafini è stato il fatto che per oltre due ore abbiamo parlato del Codex in mille situazioni diverse e attraverso tanti personaggi senza mai però parlare apertamente del Codex. Potenza di un personaggio davvero speciale e che di recente ha rappresentato l’Italia a Istanbul per la Biennale d’arte contemporanea: “Appena sono arrivato in Turchia ho mandato email a tutti, al Consolato, all’Istituto di cultura italiana e via dicendo - dice sorridendo -. Non mi ha risposto nessuno, davvero incredibile!”.
La domanda che da sempre ho voluto fare a Serafini? Da dove è nato il Codex, la sua genesi. “Una risposta ora, a posteriori, che senso avrebbe? Preferisco raccontare altre cose. Io credo che le origini delle nostre azioni siano legate ai luoghi. Le mie origini sono un po’ umbre e un po’ marchigiane e qui nasce il Codex, tra queste terre. Le estati importanti dell’infanzia, quelle in cui formiamo il nostro inconscio, per me si svolgevano in una delle città più antiche della nostra storia, Amelia, dove avevo una nonna. L’altra città dove mi trovavo spesso era a Pedaso, sull’Adriatico, dall’altra mia nonna. In mezzo la piana meravigliosa di Colfiorito. Ricordo che quando si saliva fino a Colfiorito si avevano suggestioni particolari: era come arrivare in cima e
poi incominciare la discesa. In questi spazi ci sono le radici del Codex”, racconta. Serafini è incredibile, basta lanciare un piccolo sassolino nelle sue stanze e lui inizia a raccontare le sue storie di vita che sono perfettamente intrecciate ad altre mille storie. Una specie di flusso in cui spuntano fuori personaggi e fatti inaspettati. Viene naturale, quindi, cercare di scoprire se il Codex sia stato in qualche modo una sorta di lunga psicoanalisi o narrazione interiore. “Non saprei, bisognerebbe chiederlo allo psicoanalista che non ho mai incontrato, così scopriremmo cosa c’è dietro al Codex. Io ho solo interpretato il mio pezzo di passaggio terreno a cominciare dal 1971, quando ho fatto un giro on the road, come direbbe Kerouac, negli
L'Intervista
Stati Uniti per arrivare al 1981, l’anno in cui nasceva l’email e io ero fissato con l’idea di voler realizzare qualcosa che girasse: avevo bisogno di un editore per compattare le mie idee e farle girare”. Ma chi è veramente Luigi Serafini’ “Sono un satrapo della patafisica, ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie”, spiega. La cosa più bella legata al Codex? “Il fatto che è stato una specie di passaporto per conoscere tantissime persone e tantissimi vecchi. Ho conosciuto la senilità di Fellini ad esempio e di tante persone: questo è meraviglioso”.
Un momento dell'incontro al Teatro degli Avvalorati di Città della Pieve all'interno della rassegna "Il nostro tempo" ideato da Mimma Nocelli
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Belvedere Il Ristorante Belvedere di Citerna è stato aperto intorno al 1970, per poi essere rilevato nel 2014, dopo diverse gestioni, dallo chef Enzo Demaria che ha introdotto una cucina raffinata e moderna, composta prevalentemente da piatti a base di pesce. L’atmosfera del locale è elegante, accogliente e suggestiva, grazie soprattutto alla bellissima vetrata che si affaccia sull’incantevole borgo di Citerna e sulla vallata sottostante.
Citerna viene catalogata fra i “100 borghi più belli d’Italia”, caratteristica che di per sé rende d’obbligo la visita se ti trovi in Alta Valle del Tevere. Percorrendo la sinuosa strada che sale verso la collina dove sorge il paese, puoi godere di uno spettacolo mozzafiato e ammirare gli splendidi casolari (bellissimi in questa zona quelli dipinti a strisce bianche e rosse) sapientemente ristrutturati in questi ultimi anni di rinnovato interesse internazionale per quelle zone a cavallo tra Umbria e Toscana. Corso Garibaldi, 66 - 06010 Citerna (PG) Tel-Fax +39 075 859 2148
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Ottobre Tutti i colori dell’autunno in un piatto: le decorazioni si appoggiano delicatamente sul bianco dello sfondo per incorniciare ed esaltare le ricette di stagione.
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REPORTAGE
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#PinkHeart
Il coraggio delle donne è un abito bellissimo Ad Arezzo una sfilata per celebrare il coraggio, Scervino e Sugar portano in passerella le donne operate al seno
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REPORTAGE
Un omaggio al coraggio delle donne e al loro grande cuore. “#PinkHeart”, è questo il nome scelto per l’evento che nei primi giorni di settembre, in Piazza Grande ad Arezzo, ha portato in passerella alcune delle donne dell’Andos, l’Associazione Nazionale Donne Operate al Seno che hanno indossato gli abiti di Ermanno Scervino. Un appuntamento che porta la firma dello stilista e di Beppe Angiolini, il creatore della boutique Sugar: insieme hanno voluto realizzare una notte di stelle, glamour, ma soprattutto un momento per celebrare le donne, la loro voglia di vivere e lottare nonostante la malattia che le ha colpite. In passerella, sotto gli occhi di circa 5mila persone, sono andati i capi della collezione di Scervino A/I 2019-2020 e una limited edition disegnata appositamente: vestiti indossati da 25 modelle, tra queste alcune delle donne di Andos. L’evento è stato presentato da una vecchia conoscenza di The Mag, ovvero Filippa Lagerback (ricordate la sua intervista nel numero 6?), ha visto la partecipazione di numerosi ospiti famosi tra cui Luciana Littizzetto, Martina Colombari, Paola Barale, Marco Columbro e l’esibizione di Ornella Vanoni. «Una festa della città - ha spiegato Beppe Angiolini -. E per tutte donne che hanno avuto un tumore. Abbiamo voluto lanciare
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un messaggio positivo, far sentire il nostro sostegno e la nostra ammirazione, esaltare la loro bellezza e unire la città nella condivisione di una cosa bella. Credo molto in questa iniziativa ed è giusto stare al fianco di chi combatte la battaglia per la vita, oggi finalmente senza timori e senza vergogna, grazie al coraggio delle donne». «Una iniziativa che trasmette positività e ottimismo, non ci aspettavamo tutta questa attenzione nei nostri confronti, sono qui per portare il grazie di tutte le nostre donne», ha detto commossa Michela Rinaldini, che dopo la malattia è diventata presidente di Andos, un’associazione che ha come finalità creare occasioni di auto aiuto e attività per il benessere delle donne operate «Sono felice che in passerella ci siano donne dell’Andos che hanno vissuto questo problema - ha fatto sapere lo stilista Scervino - loro hanno vinto la sfida alla grande ed è bello poterlo raccontare con un tocco di stile».
a destra: Martina Colombari, Ermanno Scervino, Filippa Lagerback, Beppe Angiolini, Federica Fontana e Paola Barale in basso La performance di Ornella Vanoni e l'allestimento in Piazza Grande
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a cura di Architetti nell’Altotevere Libera Associazione
Speciale CASEARMONICHE
La fabbrica del Duomo di Città di Castello
Evento Collaterale della 52° Edizione del Festival delle Nazioni
L’idea di un’edizione, la sesta, di Casearmoniche che raccontasse la storia lunga e complessa della Cattedrale di San Florido e Sant’Amanzio, è nata lavorando all’articolo “L’Acropoli della Città del Castello” uscito proprio in questa rubrica solo alcuni mesi fa.
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la maestosa cupola, decorata da Tommaso Conca, ca 1795
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In particolare, è l’immagine lontana del gruppo del campanile con il Duomo e le torri che abbiamo colto dal punto di vista di Colle Plinio a Celalba e che ci suggestiona: da lì si percepisce, in mezzo alla valle, una piccola altura su cui spicca il gruppo monumentale e si comprende quale luogo privilegiato Plinio stesso scelse per erigere il suo Tempio della Felicità.
Il caratteristico campanile romanico di forma cilindrica, completato nel XII sec.
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Dall’individuazione di quel luogo inizia la storia della nostra acropoli che presto, con San Florido appunto, si trasformò nel complesso monumentale della Cattedrale la cui storia correrà parallela alle vicende storiche di Città di Castello. Raccontare questa storia
dall’età tardo-romana alla fine dell’Ottocento significa raccontare la storia della nostra città nell’evoluzione di quella che abbiamo voluto chiamare “fabbrica”. Infatti l’incessante lavoro di costruzione, ricostruzione e completamento durato 11 secoli racconta le vicende
Cripta, Altare della Confessione: dietro la grata si vede il sarcofago in pietra con le reliquie dei Santi Patroni
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La grandiosa volta del Presbiterio, con l'Assunzione di Maria fra una teoria di Angeli e Santi tifernati. Opera di Marco Benefial, 1749
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della città stessa, i suoi domini, le sue ricchezze, le sue distruzioni in una storia complessa. Guidati dai testi di Ascani, che abbiamo scelto per la completezza delle informazioni e accuratezza delle ricostruzioni dei fatti - anche quando ci lascia solo delle ipotesi – abbiamo fatto intraprendere un percorso indietro nel tempo alla cittadinanza che ogni anno ci segue sempre più numerosa: dall’immagine attuale della cattedrale,
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che è quella completata a fine ottocento, sono stati individuati quegli elementi che ancora oggi ci permettono di ricostruire le trasformazioni che la fabbrica subì nel tempo. In particolare, abbiamo ricostruito la chiesa barocca, rinascimentale e medievale e abbiamo toccato altri luoghi correlati a questa storia come il campanile rotondo, la residenza Antica Canonica e la sala di Santo Stefano.
Il nostro racconto si è chiuso quindi all’epoca imperiale con la costruzione del Tempio della Felicità di Plinio, di quello che fu il primo passo per la costruzione della nostra acropoli. L’evento si è concluso con un “banchetto pliniano” come quello da Plinio stesso organizzato per celebrare la costruzione del tempio consumato presumibilmente proprio nella piazza antistante.
ÂŤErimus ergo ibi dedicationis die, quem epulo celebrare constituiÂť Plinio, Epistol. lib. IV, ep. 1
da sinistra verso destra: Un momento presso il Portale Laterale Gotico. - Particolare dell'affresco della volta del Presbiterio con San Florido e la sua CittĂ di Castello. - La Sala di Santo Stefano, presso il Palazzo vescovile, ca 400 d.C. - Il nostro conclusivo "banchetto Pliniano".
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Speciale Tiferno Comics 2019
Un atto d’amore a mano libera di Redazione
Pietro Alligo, curatore della mostra Dino Battaglia “La perfezione del grigio tra sacro e profano” ci racconta chi era il grande fumettista italiano e perché è considerato, a ragione, uno dei più grandi disegnatori a livello mondiale.
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Un grande atto d’amore verso uno dei più grandi autori del fumetto mondiale di sempre. Fino al 3 novembre a Città di Castello, nelle sale di Palazzo Vitelli a Sant’ Egidio, va in scena un’eccezionale mostra su Dino Battaglia in cui si ripercorre la carriera dell’uomo e si celebra “la mano” dell’artista. “La perfezione del grigio tra sacro e profano”, questo il titolo dell’esposizione curata da Pietro Alligo che a The Mag ha raccontato chi era Battaglia e cosa ha rappresentato per il mondo del fumetto. «Appena mi hanno comunicato che si sarebbe fatta la mostra su Battaglia mi sono subito messo a
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lavoro e ho chiesto la planimetria di Palazzo Vitelli per capire, stanza per stanza, come dislocare le tavole secondo i periodi storici e lavorativi. Per questo abbiamo deciso di iniziare questo percorso raccontando dei suoi esordi al Corriere dei piccoli». E poi? «Passo dopo passo abbiamo voluto raccontare l’evoluzione straordinaria di Battaglia dal momento in cui non gli hanno più imposto la
g a bia di un numero imposto di strisce e vignette in poi. I suoi nuovi editori gli hanno permesso di liberare tutta la sua creatività ed è stato in quel momento che è esplosa la sua carriera. Così Battaglia ha iniziato a mostrare le sue straordinarie capacità visive disegnando la grande letteratura,
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da Poe a Maupassant, da Mellville a Lovercraft. Ha permesso al lettore di immergersi nelle grandi storie della letteratura. Una volta una persona mi disse che i disegni di Battaglia erano talmente straordinari che non era necessario leggere le pagine, ma osservare le sue tavole». Quanto è stato importante Battaglia per il mondo del fumetto? «Tantissimo, anche se avrebbe potuto ottenere sicuramente di più in termini di notorietà. Non avere un personaggio seriale è stato per lui uno scoglio commerciale e divulgativo. Pensiamo a Crepax con la sua Valentina o Pratt con
Corto Maltese: loro hanno creato un personaggio che li ha addirittura superati per popolarità. A Battaglia tutto questo non interessava perché non voleva essere abituato alla serialità. Lui era uno sperimentatore, disegnava quello che gli piaceva ed era un grande amante della letteratura: ha disegnato racconti, romanzi e tragedie. È stato sempre grandissimo in ogni campo della narrazione». Ci racconti il “suo” Battaglia. “Quando uscì Totentaz nel 1974 cercai il suo indirizzo a Milano per andare a incontrarlo.
Ho passato in tutto un paio d’ore della mia vita con Battaglia. La prima volta ho conosciuto sia lui che la moglie Laura nel loro appartamento e ho visto come lavorava: non realizzava delle grandi tavole, le sue erano piccole e cesellate. La seconda volta che l’ho incontrato gli portai dei cartoncini bianchi. Lui diceva sempre che era così pigro da non volere nemmeno uscire
"Dino era uno sperimentatore, disegnava quello che gli piaceva"
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"La seconda volta che l’ho incontrato gli portai dei cartoncini bianchi. Lui diceva sempre che era cosÏ pigro da non volere nemmeno uscire di casa a comprarli" 80
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grigio per lui in realtà era pieno di colore: era perfetto appunto. E poi abbiamo messo sacro e profano perché Battaglia ha disegnato la vita dei santi e subito dopo i racconti gotici di Poe e Lovercraft». Questa mostra sembra un atto di grande amore. «Assolutamente, è così. Un atto di amore totale in cui noi restituiamo, in piccola parte, l’arte e la bellezza che Battaglia ci ha donato».
di casa a comprarli e per questo glieli presi io. Anni dopo, proprio quei cartoncini, li ho ricomprati disegnati da lui”. Perché è stato scelto questo titolo per la mostra? “Perché il suo grigio era perfetto. Più di ogni altro disegnatore Battaglia ha lavorato fregandosene del fatto che quel grigio non avesse una grande riproducibilità in fase di stampa. Sono sicuro che quel
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Daniele Angeli
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Vento, aria e situazionismo: la mostra en plen air de La Défense The Mag è andato a dare uno sguardo nel quartiere finanziario parigino dove è stata allestita un’esposizione dove l’arte si mischia col tessuto urbano testo e foto di Andrea Luccioli
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«Paris La Défense est aujourd’hui le plus grand musée a ciel ouvert d’Europe!». Che tradotto significa che ad oggi il quartiere parigino d e l l a D é fe nse è il più grande mu s e o a cielo aperto d’Europa. Questo sta scritto nella brochure che trovate in giro per il quartiere finanziario della capitale francese e bisogna dare atto che l’affermazione è assolutamente veritiera. tà». Fino alla fine di ottobre, infatti, questa zona di Parigi ospiterà una grande mostra “site specific” con opere di Pierre Ardouvin, Philippe Ramette, Fujiko Nakaya, Choi Jeong Hwa, Benedetto Bufalino, Tadao Cern, Pangrok Sulap e Designs in Air, artisti che sono stati chiamati a creare delle opere d’arte proprio per la Défense dove, a dirla tutta, c’è già una collezione en plein air che conta una settantina di pezzi e che ora verrà arricchita dai materiali di “Les Extatiques – L’art au grand air”. La mostra è curata da Fabrice Bousteau che ha voluto scegliere come tema portante quello dell’aria e del vento per «proporre agli artisti di suonare con l’aria. L’aria che ispira, ma anche che soffia su questo territorio soggetto ai venti e inventato per riflettere l’aria della moderni-
Una mostra, quella parigina, che mischia in maniera prepotente il tessuto urbano con l’arte. Con la creatività che rimodella l’architettura e le prospettive del quartiere. Attraversare la Défense diventa così un’esperienza unica e The Mag è andato a dare uno sguardo per voi e vi presenta un reportage esclusivo. Abbiamo provato a seguire la piccola mappa che si trova nei pressi di alcune opere. Il primo “contatto” visivo è così con l’opera di Fujiko Nakaya che ha costruito il suo ennesimo gioco di nebbia artificiale che – sospinta da ben 500 ugelli – crea forme sempre differenti in base al vento e alla luce del sole. Una nebbia che si mischia con i fiori dello specchio d’acqua da cui
sale la foschia stessa. Il passaggio successivo è quello del fiore fucsia di Choi Jeong Hwa con il suo enorme “Breathing flower” fatto di petali gonfiabili che si muovono e lo fanno sbocciare e poi richiudere e poi di nuovo sbocciare. Opera “ambientalista” che punta il dito contro le aree verdi della Corea che in questi anni è stata spazzata via dalla cementificazione. Davvero impressionante è l’opera di Benedetto Bufalino che prende un’auto, la capovolge e la sospende in aria su un lampione. Una critica all’inquinamento e uno sguardo sarcastico all’auto come bene di consumo. E poi come non rimanere in silenzio (interrogativo) davanti alla scultura/installazione concettuale di Pierre Ardouvin che ha realizzato un enorme cartello di metallo con scritto “Chi semina vento?”. Raccoglie le risposte alle domande di chi passa da quelle parti e che poi vengono sparse dalle correnti che soffiano sull’Esplanade. Una sorta di riflessione collettiva delle scelte degli individui che viene affidata al vento. Luke Egan e Pete Hamilton, ovvero il sodalizio artistico Designs in Air ci regala un’enorme piovra che pare arrampicarsi su un edi-
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Una mostra, quella parigina, che mischia in maniera prepotente il tessuto urbano con l’arte.
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ficio. Le allusioni sono tante, in primis la rivolta dell’ambiente deturpato e sfruttato, un po’ come il grande fiore coreano. Situazionismo puro nella scultura di Philippe Ramette che raffigura un’enorme altalena, ovvero il momento dello slancio, della fantasia e della fuga dalla realtà grazie al gioco che viene sospesa in aria. La chiave di lettura? Il gioco come momento di unione tra terra e cielo, inteso come spazio leggero, fantastico e libero. E poi troviamo Pangrok Sulap, collettivo della Malesia che attraverso l’incisione su legno, stampa materiali disegnati in situ in cui si parla delle comunità emarginate della regione di Sabah. Passiamo a Tadao Cern, che espone le immagini del suo progetto “Blow job”, titolo volutamente pornografico che presenta ritratti di persone fotografate mente sul loro volto viene soffiato un forte getto d’aria. Da segnalare, sempre in zona ma extra mostra, l’enorme scultura rossa di Alexander Calder (1976) e la panchina gigante (dove fare foto assurde) di Lilian Bourgeat. www.ladefense.fr
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Wes Anderson and Juman Malouf at Kunsthistorisches Museum Wien Photo: Christian Mendez
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La “Wunderkammer” di Wes Anderson e Juman Malouf: tesori eccentrici e mirabilia La maxi esposizione curata dal registra e dalla designer sarà in mostra alla Fondazione Prada di Milano fino al 13 gennaio di Redazione
«Salve, sono Wes Anderson, sì quel Wes Anderson che nella vita fa il regista di film eccentrici e voi state per entrare nella mia Wunderkammer». La frase è pura immaginazione e ci serve per introdurre “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori”, ovvero il progetto espositivo concepito proprio da Wes Anderson e Juman Malouf che sarà in mostra presso la sede milanese della Fondazione Prada fino al 13 gennaio.
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Organizzata in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la mostra riunisce 537 opere d’arte e oggetti selezionati dal regista cinematografico Wes Anderson (Houston, 1969) – l’autore di pellicole come I Tenenbaum”, “Il treno per Darjeeling”, “Moonrise Kingdom” e “Grand Budapest Hotel” - e dall’illustratrice, designer e scrittrice Juman Malouf (Beirut, 1975) e provenienti da 12 collezioni del Kunsthistorisches Museum e da 11 dipartimenti del Naturhistorisches Museum di Vienna. I due musei gemelli inaugurati nel 1891 sono tra le istituzioni culturali più rilevanti in Austria e in Europa. Il progetto esplora un lungo arco temporale che si estende dal 3.000 a.C., datazione attribuita all’oggetto più antico in mostra, un bracciale di perle in faience egizia del Kunsthistorisches Museum, al 2018, l’anno a cui risalgono tre uova di emù provenienti dalla raccolta del Naturhistorisches Museum. “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori” è una riflessione sulle motivazioni che guidano l’atto di collezionare e sulle modalità con le quali una raccolta è cu-
stodita, presentata e vissuta. Guardando al passato e ispirandosi al modello della Wunderkammer, la mostra sfida i canoni tradizionali che definiscono le istituzioni museali, proponendo nuove relazioni tra queste e le loro collezioni, tra le figure professionali e il pubblico dei musei. La scelta delle opere, effettuata seguendo un approccio non accademico e interdisciplinare, dimostra non solo una conoscenza approfondita dei due musei da parte di Anderson e Malouf, ma testimonia anche risonanze e corrispondenze inattese tra i lavori raccolti e gli universi creativi dei due artisti. Il percorso espositivo è costituito da gruppi di opere: dagli oggetti di colore verde ai ritratti di bambini, dalle miniature agli strumenti di misurazione del tempo, dalle scatole agli oggetti in legno, dai ritratti di nobili e gente comune a soggetti naturali quali il giardino, meteoriti e animali presentati come reperti scientifici o come rappresentazioni artistiche. La selezione, tra le altre, comprende Il sarcofago di Spitzmaus, una scatola di legno egiziana che contiene la mummia di un toporagno del IV secolo a.C., a cui il titolo della mostra rende omaggio;
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opere d’arte classica come Busto di matrona, scultura romana in marmo della seconda metà del I sec. a.C. e Ritratto di mummia: Giovane uomo con corta barba (prima metà del II secolo d.C.), una preziosa testimonianza della pittura egizio-romana; dipinti cinquecenteschi e seicenteschi come Ritratto di Casimiro di Brandeburgo-Bayreuth, Margravio di Bayreuth (1522) e Ritratto di vecchio uomo e fanciulla (1530-‘40) entrambi di Lucas Cranach il Vecchio, Ritratto del Duca Giovanni Federico, Elettore di Sassonia (1550-‘51) di Tiziano Vecellio e Ritratto di Isabella d’Este (1600-1601) di Peter Paul Rubens; strumenti militari come Elmo in forma di volpe (1526-29), appartenuto a Ferdinando I e Armatura per bambino (1568-1570) realizzata per Carlo d’Austria, figlio dell’Arciduca Ferdinando II; suppellettili e oggetti preziosi come Fenice (1610-20), una scultura in avorio realizzata dal Maestro delle Furie, Coppa a forma di conchiglia con Nettuno (1620-30) di Ottavio Miseroni e Smeraldo su piedistallo in rame dorato (1596), proveniente dal Naturhistorisches Museum, un manufatto costituito da smeraldi di diverse dimensioni provenienti dalla Colombia, assemblati in Tirolo per simulare un esemplare eccezionale per dimensioni e qualità.
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Wes Anderson and Juman Malouf at “Spitzmaus Mummy in a Coffin and other Treasures” Kunsthistorisches Museum Wien Photo: © Rafaela Proell
1 Veduta della mostra "Spitzmaus Mummy in a Coffin and othe
4 Veduta della mostra "Spitzmaus Mummy in a Coffin and othe
2 Veduta della mostra "Spitzmaus Mummy in a Coffin and othe
5 Veduta della mostra "Spitzmaus Mummy in a Coffin and othe
Treasures" - Kuntshistorisches Museum, Vienna. Sarcofago di un toporagno c. IV sec. a.C., legno dipinto, 21.9x11.6x11.4cm, Kuntshistorisches Museum Wien - Collezione egizia e del vicino Oriente. Foto: Jeremias Morandell, Progetto allestitivo di Wes Anderson e Juman Malouf con Itai Marguela (Marguela Architects) Copyright: KHM-Museumsverband
Treasures" - Kuntshistorisches Museum, Vienna. Dettaglio Stanza 4 Foto: Jeremias Morandell, Progetto allestitivo di Wes Anderson e Juman Malouf con Itai Marguela (Marguela Architects) Copyright: KHM-Museumsverband
3 Miniatura di Armatura da torneo
Germania, metà del XVI sec. - Ferro, incisioni nere, legno, pelle nera. 36.5x19x16.5 cm - Kuntshistorisches Museum Wien, armeria imperiale Copyright: KHM-Museumsverband
Treasures" - Kuntshistorisches Museum, Vienna. Duca Giovanni Federico, Elettore di Sassonia Tiziano Vecellio, detto Tiziano - c.1550/51 - Dipinto - Kuntshistorisches Museum Wien, pinacoteca Foto: Jeremias Morandell, Progetto allestitivo di Wes Anderson e Juman Malouf con Itai Marguela (Marguela Architects) Copyright: KHM-Museumsverband
Treasures" - Kuntshistorisches Museum, Vienna. Figlio dell'uomo irsuto, Petrus Gonsalvus (n1576) Germania, c.1580 - Dipinto - Kuntshistorisches Museum Wien, pinacoteca. Foto: Jeremias Morandell, Progetto allestitivo di Wes Anderson e Juman Malouf con Itai Marguela (Marguela Architects) Copyright: KHM-Museumsverband
6 Veduta della mostra "Spitzmaus Mummy in a Coffin and othe
Treasures" - Kuntshistorisches Museum, Vienna. Gatto Sconosciuto, XVIII - Olio su tela - Kuntshistorisches Museum Wien, pinacoteca. Foto: Jeremias Morandell, Progetto allestitivo di Wes Anderson e Juman Malouf con Itai Marguela (Marguela Architects) Copyright: KHM-Museumsverband
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Diamante Danza: Grand Opening! Un taglio del nastro tinto d’oro quello della “Diamante Danza” che raccogliendo l’importante eredita’ di Alessandra Carmignani con i 50 anni di attività della scuola, si lancia, con una nuova sede e nuovi percorsi formativi, nella sfida alla competitività con il nuovo comparto direttivo rappresentato da Francesca Bizzirri e Maria Cristina Goracci. “Celebrare” ed “inaugurare”, questo il fulcro tematico della splendida giornata dedicata all’apertura della nuova sede in Via Collodi: ampie sale luminose dotate di pavimentazione flottante di ultima generazione con riciclo naturale ed indotto dell’aria, fun-
zionalità degli ambienti dotati di ogni comfort, ampi parcheggi, con attività limitrofe a completamento dei servizi offerti agli utenti. Ad un passo dal centro storico, sede naturale di provenienza della scuola, la splendida zona residenziale che accoglie “Diamante Danza”, contornata dal verde, è stata molto apprezzata e subito testata nei primi giorni di apertura, raccogliendo ampi consensi. La nuova immagine del logo, curata dall’artista Pino Nania, sempre vicino all’Associazione in innumerevoli iniziative , completa con rigore ed eleganza l’impatto visivo della nuova location.
per info:
3927772312 / 3933786031 Via Collodi, 3 zona Meltina / C. di Castello 105
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EMANUELA SPLENDORINI
La vera partita con il denaro la giochiamo dentro di noi 106
Attraverso il suo blog “La borsa delle donne”, l’avvocato Emanuela Splendorini affronta il delicato tema della ffinanza comportamentale declinata al femminile. Ha creato una community “in rosa”, tiene corsi e scritto un libro
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apete cos’è la finanza comportamentale? È qualcosa che fa bene al portafogli e soprattutto alle persone, alla loro consapevolezza e all’autostima. E ancora, sapete cos’è la consapevolezza finanziaria? È un argomento che le donne spesso non conoscono o non vogliono conoscere. Da qui è iniziato il cammino di Emanuela Splendorini, avvocato, ma prima di tutto donna, mamma ed ex moglie come scrive nella bio del suo blog “La borsa delle donne”. Emanuela ad un certo punto della sua vita – scrive – si è “spezzata”, si è scoperta diversa dalla donna rigida e inflessibile che era e ha cominciato a fare i conti con sé stessa e non solo. È qui che arriva il blog nato dal «desiderio di avvicinare le donne ad un argomento tanto utile quanto odiato, quello della consapevolezza finanziaria». «Il rapporto che noi donne abbiamo con il denaro è molto legato al rapporto che abbiamo con noi stesse, con il valore che ci riconosciamo e quindi alla nostra autostima - dice -. Imparare a conoscere e gestire il denaro non è difficile, l’importante è partire da un punto forse mai preso in considerazione ovvero noi stesse, dimenticandoci quello che di spaventoso, rigido e freddo abbiamo sempre pensato sul denaro». Insomma, tanti buoni motivi intervistare Emanuela e scoprire qualcosa di più del suo progetto. Parlaci di te: chi sei, da dove vieni e dove vuoi arrivare. «Io sono tante cose insieme, ho fatto tante cose e sfuggo ad una definizione omnicomprensiva, come del resto ognuno di noi, le macro aree della mia
vita possono racchiudersi in due parole: Donna e Avvocato. Alla domanda dove voglio arrivare, mi permetto di rispondere dopo, così mi preparo l’atterraggio con le prossime domande». “La borsa delle donne” è il tuo blog, perché hai scelto questo nome e perché hai deciso di avviare questo progetto di informazione finanziaria al femminile. «Ho scelto questo nome per due ragioni. La prima perché dentro la borsa di ogni donna c’è la sua vita dentro poi perché la borsa, intesa in senso finanziario, richiama immediatamente il concetto denaro. Il progetto è nato strada facendo. È l’unione di due esperienze, quella professionale come avvocato dove mi occupo prevalentemente di cause bancarie e quella di donna, non donna avvocato, solo donna, immersa e talvolta fagocitata dal caleidoscopico universo femminile. La scoperta che ha unito questi due mondi è stata quella di rendermi conto che la maggior parte di noi donne ha un rapporto conflittuale con il denaro». Perché c'era bisogno di un progetto del genere secondo te? «Semplicemente perché in Italia, attualmente, non esiste un progetto come il mio. Nessuno si sogna di dire seriamente che la vera partita con il denaro si gioca dentro di noi, che tutto dipende principalmente da fattori diversi, rispetto a quelli classici sulla gestione del denaro. Il denaro ci mette in relazione con la vita, con i bisogni e con i desideri, quindi il rapporto con il denaro è lega107
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to alle riposte interiori che diamo rispetto a ciò con il quale il denaro ci mette in relazione. Siamo cresciuti con l’idea che il denaro fosse qualcosa di esterno a noi, con il quale saremmo entrati in relazione solo da adulti, ma non è affatto così. Le esperienze, i ricordi, le credenze che ci portiamo dentro fin da bambini legate al nostro valore personale, al nostro poterci permetterci certe cose o certi comportamenti, al senso di possibilità riguardo a certi beni o certi sogni sono rimasti incastrati da qualche parte dentro di noi e dimenticati, nella totale (in)consapevolezza che sarebbero stati loro a determinare il nostro vero rapporto con il denaro. Quindi è lì che dobbiamo intervenire prima di tutto. In Europa e in America la questione è chiara e prende il nome di finanza comportamentale. Lo psicologo israeliano Daniel Kahneman ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 2002 portando alla luce queste fondamentali dinamiche. In Italia continuiamo a fare finta che il problema si affronti solo altrove». Parlare di finanza non è semplice, farlo al femminile, forse, lo è ancora di più. Che linguaggio hai voluto utilizzare per raggiungere i tuoi lettori? «Parlare di finanza non è sempre semplice, ma se non affrontiamo l’argomento dal giusto punto di vista, se continuiamo a parlare del denaro sempre in modo tradizionale è come costruire castelli di sabbia in riva al mare. Rispetto al denaro le donne hanno molti punti a sfavore legati a ragioni storiche e culturali, ma ne hanno altrettanti a favore perché hanno tendenzialmente una spiccata capacità a frugarsi dentro, rovesciarsi e ricominciare. Il linguaggio che uso è familiare, amichevole, colorato, aperto, racconto cose apparentemente semplici di vita quotidiana nelle quali credo che ognuna di noi possa ritrovarsi».
Non ti sei fermata solo al blog, tieni corsi, hai creato una specie di community, insomma, sei diventata un punto di riferimento. «Sì, a mia insaputa la maggior parte delle volte. Mi spiego meglio. Il mio è un argomento inconsueto per un blog al femminile e ancora noto che non ci sentiamo del tutto libere e a nostro agio a parlare di questo argomento, soprattutto in modo così semplice, quasi ci sentissimo a disagio a fare una cosa che riteniamo non debba appartenerci, perché di fatto non ci è mai appartenuta veramente. Poi, mi capita di incontrare persone o ricevere mail o messaggi di donne che in silenzio leggono e applicano quello che scrivo e mi spiazzano per la loro bellezza e gratitudine. Insomma, queste principesse come se la cavano col portafogli? «Alla grande direi… quando si permettono… ‘di tornare a casa’… ». Progetti futuri? «A gennaio dovrebbe uscire il mio libro, che è un viaggio molto speciale all’interno di un bosco dove la protagonista vede e trasforma quello che le impediva di tornare al suo castello poi di nuovo i corsi e tutto quello che verrà. All’inizio mi hai chiesto dove voglio arrivare, ora posso risponderti. Voglio mostrare quante più cose possibili in grado di cambiare quello che pensavamo di vedere o di poter fare. Voglio mostrare che ci sono ponti e strade per raggiungere quello che stavamo cercando e che questi partono esattamente dal punto dove ci troviamo ora. Le regole e i metodi sulla gestione del denaro li lascio a chi fa questo di mestiere, a me interessa solo mostrare come costruire castelli sulla roccia. Ognuno di noi poi lo arrederà come meglio preferisce. È ambizioso lo so, ma realistico». www.laborsadelledonne.it
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di Andrea Luccioli
Francesco Biagini “Mostri spaventosi? Macchè, sono creature meravigliose!”
Idra
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BECOMING THE MAG
Disegnare è forse la piÚ efficace forma di comunicazione per me, senza cui mi sentirei perso becoming werewolf
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Mostri, grossi mostri spaventosi. Anzi, più sono grossi e spaventosi e meglio è! Sono le creature di Francesco Biagini, l’illustratore del collettivo Becoming X che vi facciamo scoprire in questo numero di The Mag e che ci ha tenuto svegli non poche notti con i suoi enormi esseri oscuri. Ma non lasciatevi ingannare, quelle bestie del demonio sono solo una meravigliosa finzione. Un tratto disegnato che serve a scacciare via le paure, esorcizzarle. Perché? Ce lo spiega lui stesso! Quando hai deciso di diventare un illustratore e perché? «Fino al termine dell’università la mia più che un’attività lavorativa era un hobby, da cui non ero nemmeno convinto sarebbe nato nulla. Poi, però, alla totale mancanza di offerte lavorative “normali” ha corrisposto un progressivo incremento di proposte da parte di medi e poi grandi editori. Così ha iniziato la mia corsa nel settore del disegno. Sul perché, forse l’unica risposta che mi viene è che non posso farne a meno. Disegnare è forse la più efficace forma di comunicazione per me, senza cui mi sentirei perso». Quali sono i tuoi soggetti preferiti? «Temi oscuri e tetri, assolutamente. Tutto quello che può creare inquietudine nell’osservatore in un paradossale mix di repulsione/
fascino: quale effetto può avere l’immagine di una creatura che si sporge verso di noi dal buio digrignando i denti ed indossando le sue stesse interiora come la stola di un cardinale, ma al contempo mantenendo la compostezza di una statua ellenistica che ne contraddice apparentemente la natura orribile? Molti pensano che basti mettere delle parti a casaccio, bava e artigli insanguinati ed ecco fatto il mostro, invece io preferisco rifarmi alla stessa etimologia di “monstrum”, ovvero prodigio, meraviglia. È una cosa che faccio da sempre, mi viene automatica. L’ho sempre vista come una specie di meccanismo di difesa contro paure ben più terribili come la perdita di persone care o il male arrecato dai miei simili». Qual è stata la tua formazione? «Liceo classico con risultati appena sopra la sufficienza per non essere bocciato. Laurea con lode in letteratura nordamericana su un autore a me molto caro, H. P. Lovecraft, il padre dell’ormai inflazionatissimo diopiovra Cthulhu. Nel frattempo, frequento il corso di fumetto tenuto da Claudio Ferracci, direttore della Biblioteca delle Nuvole, che mi permette di conoscere altri talenti locali con cui inizio una collaborazione agli albori dei forum di disegno online e con cui realizzo via via storie brevi e progetti vari. Da questo poi riesco a venire notato da un editore francese (Soleil) per cui disegno il volume “Terra Inferno”, scritto da Cristiano Fighera. Tutto ciò mi serve da palestra e diventa parte effettiva della mia formazione, cosa che poi cerco di trasmettere ai miei allievi negli otto anni in cui ho insegnato fumetto ed illustrazione presso il NID di Perugia». Che tecniche usi e prediligi? «Carta, pennelli e inchiostro. Per molti oggi è cosa obsoleta, ma dopo aver passato quasi un decennio a lavorare in digitale mi sono dovuto arrendere al fatto che il mio colpo d’occhio e il bilanciamento che uso nei neri può funzionare solo in analogico, dandomi la visione d’insieme e non facendomi perdere nei dettagli come invece mi accade quando lavoro al computer. Ora ho trovato una specie di equilibrio, realiz-
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Il bilanciamento che uso nei neri può funzionare solo in analogico
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Elric cover
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zando in digitale delle matite molto approssimative ma che posso modificare e correggere velocemente in fase di realizzazione e, una volta stampatele in A3, inchiostrarle su carta”. Chi è il tuo maestro/fonte di ispirazione? «Inizialmente artisti come Bosch, i Simbolisti o Doré, per nominare epoche diverse, per poi arrivare a contemporanei fondamentali come Giger o Beksinski. A questi aggiungo illustratori come Frazetta, Brom, Chichoni o Wayne Barlowe e disegnatori come Mignola, Moebius, Nihei, Mari o Corben. Una forte fonte di ispirazione mi viene anche dal cinema, ambito a cui spesso hanno collaborato diversi dei suddetti autori, di cui potrei citare opere per me fondamentali come Alien, Bram Stoker’s Dracula o la trilogia de Il Signore degli Anelli». Il lavoro di cui sei più orgoglioso? «Onestamente, non si tratta di un lavoro vero e proprio, ma di un volume che ho autoprodotto interamente da me (con l’aiuto all’impaginazione di Daniele Pampanelli), “Materia Obscura”. È un enorme libro cartonato che raccoglie quasi tutte mie opere extra-lavorative (commision, sketch, copertine varie) realizzate a china mentre ero impegnato nel disegno digitale. Una sorta di valvola di sfogo piena di immagini che ho deciso di raccogliere e stampare senza alcuna collaborazione con case editrici, qualcosa che potessi davvero definire “mio”. Pensavo me ne sarebbero rimasti scatoloni interi per gli anni a venire ed invece nel giro di pochissimo è praticamente esaurito». In un mondo dove i creativi sono sempre di più, anche grazie alle nuove tecnologie, qual è il segreto per restare originali? «Oggi l’asticella qualitativa si è alzata a livelli mai visti prima e come dite voi la concorrenza si è fatta spietata. Non credo proprio di avere la ricetta infallibile per navigare in questa burrasca, ma personalmente ritengo che o hai una tecnica a livelli talmente alti da essere incontestabile, o hai qualcosa di forte da dire (nei temi, nella narrazione, nel messaggio): oggi ad un colloquio un editor ti concede po-
chi secondi, durante i quali devi colpirlo con la forza delle tue immagini, nessuno si aspetta di vederti crescere col tempo, serve che tu sia pronto da subito a correre. In ogni caso, il tuo talento deve essere unito ad una velocità di esecuzione che regga con i ritmi forsennati dell’editoria, altrimenti ne resterai schiacciato”. Come sei finito in mezzo al progetto Becoming X? «Mi hanno invitato a disegnare in diretta durante una puntata della web radio Radiophonica, da lì sono entrato nel collettivo». Com'è l'esperienza dei live drawing? «Divertente, anche se ammetto di giocarmela sempre nella mia comfort-zone: difficile vedermi ad una serata live per bambini (mai dire mai, comunque)». Puoi parlarci della “Guida da combattimento ai mostri grossi?” «Sono stato contattato dalla redazione del blog cinematografico “I 400 calci” e mi hanno proposto di illustrare questo bestiario di alcune tra le più celebri creature del cinema horror, fantasy, fantascienza, etc. Per me è stata una (impegnativa!) boccata d’aria che mi ha permesso di omaggiare molti dei mostri del grande schermo a cui sono legato, tipo Alien, Predator, La mosca, per dirne alcuni (più altri che non mi sarei mai sognato di disegnare, come i Pomodori Assassini). In tutto si tratta di un grosso volume di una cinquantina di capitoli, uno per creatura, che uscirà per Lucca Comics 2019».
LA B-IO IN PRIMA PERSONA Francesco Biagini Sono un illustratore e disegnatore di fumetti, nato e cresciuto a Perugia. Da anni collaboro con case editrici principalmente francesi (Soleil), americane (Boom! Studios, Liquid Comics) o indiane (Graphic India), oltre che con produzioni italiane sia editoriali che multimediali. Ho vinto vari premi in Italia e partecipato a mostre sia collettive che personali.
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rubrica
Cinema
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VENEZIA 2019
Luca Benni & Matteo Cesarini Cinema Metropolis Umbertide
VENEZIA 2019 Il resoconto di Venezia 76, tra starlette, polemiche (come sempre) e un’edizione particolarmente ricca di titoli che ha regalato tantissime perle e alcuni film davvero maiuscoli.
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oker del regista Todd Phillips è stato premiato con il Leone d’oro per il miglior film alla 76ª Mostra del cinema di Venezia. Il film è ispirato al Joker, personaggio di DC Comics tra i più classici nemici di Batman, creato nel 1940 da Bill Finger, Bob Kane e Jerry Robinson. Il film, presentato proprio in anteprima durante il festival di Venezia, è stato recensito dalla stampa specializzata con reazioni molto positive: interpretato da Joaquin Phoenix, Robert DeNiro e Zazie Beetz, Joker è diretto da Todd Phillips (Una notte da leoni), che è autore anche della sceneggiatura in collaborazione con Scott Silver (8 Mile). Racconta le vicende di Arthur Fleck, che lavora come clown freelance sognando di sfondare nel mondo della stand-up comedy. Purtroppo per lui prenderà una pessima decisione, in grado di scatenare una serie di eventi poco piacevoli.
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VENEZIA 2019
Il Gran premio della giuria a J'accuse - L'ufficiale e la spia è andato a Roman Polanski: dopo le polemiche del primo giorno, la regista argentina e presidente della giuria di Venezia 76 Lucrecia Martel è riuscita a mettere da parte i propri sentimenti di femminista (al suo esordio aveva detto "non mi alzerò ad applaudire Polanski alla première" e infatti ha visto il film in proiezione per la stampa) e a premiare il racconto del caso Dreyfus, una pagina di storia drammatica della Francia attanagliata dall'antisemitismo. Il premio Marcello Mastroianni per l'attore emergente, andato a Toby Wallace (già visto nella serie The Society), giovane protagonista di Babyteeth della regista australiana Shannon Murphy, storia di un'adolescente malata di cancro che vive il suo primo grande amore con un giovane spacciatore. In sala la regista e la sua giovane coprotagonista Eliza Scanlen.
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L'Italia vince con Luca Marinelli, Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile per Martin Eden, e con Franco Maresco per La mafia non è più quella di una volta. È stato Paolo Virzì a consegnare a Luca Marinelli - considerato giustamente uno dei migliori interpreti della sua generazione (Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg Robot e tanto altro) - la Coppa Volpi per il miglior attore. Lo ha vinto per Martin Eden, l'adattamento di Jack London fatto dal regista Pietro Marcello, già apprezzato per il bellissimo e onirico "Bella e perduta" del 2015. 121
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La giuria ha deciso di assegnare il premio speciale della giuria al film di Franco Maresco La mafia non è piÚ quella di una volta che vuole fare il punto sull'antimafia a Palermo a 25 anni dalle stragi di Capaci e via D'Amelio e lo fa con un film tra finzione e realtà che mette a confronto due personaggi antitetici, la fotografa impegnata Letizia Battaglia e lo stravagante organizzatore di feste di piazza Ciccio Mira. 122
Per finire, la nostra personale "watch list" di VENEZIA 76, segnatevi questi titoli, di alcuni sono già state annunciate le date di uscita, per altri sarà più complicato ma almeno si eviterà di perdere dei potenziali capolavori: Marriage Story di Noah Baumbach, J’accuse di Roman Polanski e Martin Eden di Pietro Marcello. E ancora: gli ottimi Ad Astra di James Gray, Joker di Todd Phillips, Babyteeth di Shannon Murphy, Ema di Pablo Larrain, La vérité di Kore-Eda Hirokazu, Atlantis di Valentyn Vasyanovych (Premio Orizzonti per il miglior film), il documentario indagine Collective di Alexander Nanau (prodotto HBO Romania).
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30 anni da Tienanmen
Song Dond / Performance
In questo periodo di proteste che sconvolgono la serafica tranquillità cinese, le poche immagini che ci arrivano si sovrappongono a quelle dei moti di Piazza Tienanmen avvenuti fra il 15 aprile e il 4 giugno 1989. In una società fatta di immagini, in mancanza di una sovrabbondanza di esse, ci è difficile comprendere l'importanza di queste rivolte. Non potendo avere un'esatta percezione di ciò che in questo momento sta accadendo dall'altra parte del mondo, cerchiamo di ripercorrere grazie all'aiuto di due artisti ciò che successe trent'anni fa a Pechino. Sto parlando dei due esponenti della New Art Documentary Song Dong (Beijin 1966) e Yin Xiuzhen (Beijin 1963) e della performance Breathing – Performance at Tienanmen Square and the Back Sea, messa in scena dal primo e documentata dalla seconda nel 1996 nell'omonima piazza. Alle prime luci dell'alba l'artista si è steso al centro della piazza con la faccia rivolta verso terra; l'amica Yin ha iniziato a riprendere la scena e l'audio con dovizia di particolari e più delle immagini di questa
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performance, che sono disponibili al pubblico, è mio rammarico non potervi far ascoltare l'audio, vera parte fondamentale di quest'opera. I significati, molteplici, sono espliciti, stiamo assistendo a quelle rivolte represse nel sangue sette anni prima, stiamo vedendo l'impotenza del popolo cinese, siamo davanti ad un corpo inerme, agonizzante, quel corpo non ha voce, ma solo respiro. Le proteste sono iniziate il 15 aprile 1989 dopo l'annuncio della morte di Hu Yaobang, ex braccio destro di Deng Xiaoping, unico riformatore e riabilitatore di molti intellettuali di spicco incarcerati durante la rivoluzione culturale. La dipartita del politico e la damnatio memoriae messa in scena dal partito unico, fu percepito come l'ennesimo caso di insabbiamento volontario e malapolitica, contribuendo così a portare in piazza tutti gli studenti delle università cinesi oltre a semplici cittadini. Le richieste della protesta erano semplici: libertà di espressione, di stampa, elezioni oneste e liberi scambi con gli altri paesi nel mondo. Il sit-in andò
avanti nonostante il discorso del leader del partito comunista Zhao Ziyang, unico politico riformista e dalla parte degli studenti (questo discorso del 20 maggio, porto alla sua destituzione, alla condanna agli arresti domiciliari fino alla sua morte nel 2005 e al silenzio legato alle celebrazioni del suo funerale, per le autorità avrebbe potuto scatenare una nuova protesta), fino alla notte fra il 3 e il 4 giugno, quando l'esercito decise di disperdere i manifestanti con i carri armati, molte furono le vittime e molti di più gli arresti (di quel giorno rimangono le impressionanti e commoventi foto di Stuart Franklin). Le proteste non ebbero un'immediata efficacia, ma piantarono il seme della Cina riformista contemporanea e ispirarono il lavoro di innumerevoli artisti: dal movimento sopracitato denominato New Art Documentary alla generazione dei Draghi Spezzati per finire con l'occupazione della Factory 798 e della creazione di un vero e proprio polo intellettuale nella capitale del dragone.
rubriche
La musica di L.M. Banksy
L’improvviso ritorno di Nick Cave Nick Cave non finirà mai di stupirci. Lo avevamo lasciato alla fine dello “Skeleton Tree Tour" con queste parole: "Ho sempre amato il format Question&Answer (domanda-risposta), non le interviste formali sul palco precedenti, bensì le domande del pubblico successive. C’è stata una connessione con il pubblico attraverso i recenti concerti dove tutti abbiamo mostrato una sorta di desiderio di aprirci e penso che una conversazione diretta con il pubblico potrebbe essere preziosa." Ed è così che prima ha aperto una sezione Q&A sul suo sito web, The Red Hand Files che usa per interagire con i suoi ammiratori, un vero tesoro per i sostenitori irriducibili. Successivamente diede inizio ad un
suo personalissimo tour (nel quale ora si trova nel bel mezzo) “Conversation With Nick Cave”, composto dalle domande del pubblico, dalle risposte dell'artista ed intervallato da momenti al pianoforte. Ma la vera chicca giunge il giorno seguente il suo sessantaduesimo compleanno quando, Nick Cave, sulle pagine del suo Red Hand Files, decide di farci un enorme regalo ed annuncia l'uscita del nuovo doppio album con i fedeli Bad Seeds: "Caro Joe, puoi aspettarti un nuovo album in uscita la prossima settimana. Si chiamerà ‘Ghosteen' e sarà un album doppio". Album a sorpresa quindi per uno dei più importanti cantautori contemporanei che ha anche rivelato la tracklist, la cover e anche come
ha costruito questo nuovo lavoro: "Le canzoni del primo album sono i bambini" ha scritto Cave "Le canzoni del secondo album sono i loro genitori. Ghosteen è uno spirito migrante". Il cantante ha anche spiegato che la prima parte comprende otto canzoni, mentre la seconda consiste in due canzoni legate da un pezzo parlato. Le canzoni del primo album sono: "The Spinning Song", "Bright Horses", "Waiting For You", "Night Raid", "Sun Forest", "Galleon Ship", "Ghosteen Speaks" e "Leviathan", mentre il secondo disco è formato da "Ghosteen", "Fireflies" e "Hollywood". Sia lodato Nick Cave, sempre.
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MUSICA
Un tris di donne sotto le stelle del Riverock
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Sul palco del festival di Assisi, che quest’anno ha festeggiato i dieci anni, sono salite le divine in rosa: Cristina Donà , Ginevra Di Marco e Joan As A Police Woman di Redazione
I dieci anni del Riverock festival di Assisi si sono tinti di rosa per un doppio eccezionale concerto. Sul palco, infatti, sono saliti due progetti totalmente al femminile e che hanno visto per protagoniste tre grandi donne della musica.
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MUSICA
Un concerto, quello di Joan, che potremmo definire ipnotico 128
Ad aprire le danze ci ha pensato l’insolito – ma non troppo – duo tra Ginevra Di Marco e Cristina Donà. Insolito perché in pochi si sarebbero aspettati che le due cantautrici, dopo alcuni concerti insieme lo scorso anno, potessero decidere di proseguire la loro collaborazione. E invece così è stato. Nei mesi scorsi è arrivato un disco “Così vicine”, a suggellare un progetto che poi ha preso una sua dimensione live che, appunto, è transitata anche in terra umbra. Di Marco e Donà hanno deciso di unire la loro cifra stilistica per creare un progetto che dal vivo sul palco del Riverock le ha viste intrecciare i loro rispettivi repertori in un concerto che di fatto ha celebrato la loro lunga e prestigiosa carriera artistica. Cantautrice la Donà, grande interprete la Di Marco, hanno saputo coagulare note al femminile in maniera appassionata regalando uno spettacolo che ha visto con loro sul palco il gruppo dello spettacolo “Stazioni Lunari”, Francesco Magnelli (piano e mag-
nellophoni), Andrea Salvadori (chitarra, loop, tzouras), Luca Ragazzo (batteria), con l’aggiunta del produttore e co-autore degli ultimi dischi di Cristina Donà, Saverio Lanza (chitarra). Cambio di palco e poi è stata la volta della polistrumentista newyorkese, Joan As Police Woman, originale e stravagante, artista che negli anni ha collaborato con artisti del calibro di Elton John, Lou Reed, Nick Cave, Rufus Wainwright, Antony e Battiato. Dopo aver pubblicato “Damned Devotion” lo scorso anno, l’ultimo acclamato disco di studio, Joan As Police Woman è tornata da poco con “Joanthology”, il multi-album con i migliori successi. Un concerto, quello di Joan, che potremmo definire ipnotico. La sua forte presenza scenica, pur senza eccessi, ha calamitato l’attenzione del pubblico. Si è divisa tra pianoforte e chitarra suonando e cantando i brani della sua antologia e alcuni pezzi dall’album di cover che sta per pubblicare.
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"RACCONTO STORIE (CHE CONTENGONO STORIE (CHE CONTENGONO ALTRE STORIE))" IL 6 DICEMBRE ROBERTO MERCADINI PORTA “FELICITÀ FOR DUMMIES” ALLA SALA DEI NOTARI DI PERUGIA
VINICIO CAPOSSELA “DI CITTÀ IN CITTÀ… (E PORTA L’ORSO)” ARRIVA ANCHE A PERUGIA IL TOUR TEATRALE ‘BALLATE PER UOMINI E BESTIE’ AL TEATRO MORLACCHI IL 9 DICEMBRE Grazie al tour di ‘Ballate per Uomini e Bestie’ l’inedito concerto-spettacolo di Vinicio Capossela, ispirato all'omonimo album pubblicato il 17 aprile scorso, fa tappa anche in Umbria. Appuntamento a Perugia lunedì 9 dicembre (ore 21) nel suggestivo scenario del Teatro Morlacchi. Capossela, accompagnato da una banda di musicisti di straordinario talento, condurrà il pubblico in un viaggio attraverso un medioevo fantastico fatto di bestie estinte, creature magiche, cavalieri erranti, fate e santi. Il nuovo tour teatrale toccherà, oltre che Perugia, le principali città italiane, da ottobre a dicembre. Dopo la serie di concerti-atti unici e gli importanti live all’estero andati in scena nei mesi estivi, con l’avvio dell’autunno Capossela, porterà il suo spettacolo di città in città, per esibirlo nei più importanti teatri classici, di tradizione ed enti lirici italiani. Capossela presenterà dal vivo quindi anche a Perugia il suo nuovo progetto discografico, “Ballate per uomini e bestie” (La Cùpa/Warner Music), undicesimo lavoro in studio uscito lo scorso maggio, un’opera di grande forza espressiva che guarda alle pestilenze del nostro presente travolto dalla corruzione del linguaggio, dal neoliberismo, dalla violenza e dal saccheggio della natura. Sono già aperte le vendite per l'acquisto dei biglietti, anche online su TicketOne.
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Felicità for dummies - felicità per negati, questo il titolo del monologo di Roberto Mercadini in scena il prossimo 6 dicembre (ore 21.00) alla Sala dei Notari di Perugia, in cartellone per la stagione Tourné 2019/2020, promossa da Associazione Umbra della Canzone e della Musica d'Autore in collaborazione con MEA Concerti. "Qual è il significato originario della parola “felicità”? Cosa c’entrano gli alberi? E i vichinghi? E le galassie? E i calciatori brasiliani? Perché William James Sidis, l’uomo più intelligente della storia, ha avuto una vita così infelice? Cosa non aveva capito, lui che era in grado di comprendere ogni cosa? Che gli avrebbe detto Dante? E un calciatore brasiliano? E una galassia? E un guerriero vichingo? E un albero? Perché mi piacciono tanto le domande? Negli ultimi tempi me ne sono fatte molte. Ho incontrato persone immensamente felici. Ho speso ore intere ad osservare animali e persino oggetti che sembravano avere molto da insegnarmi. Il frutto di tutto ciò è questo monologo. Sarei felice di farvelo ascoltare".
Roberto Mercadini è nato a Cesena nel 1978. Con oltre 150 date all’anno, porta sui palcoscenici di tutta Italia i suoi monologhi su temi che spaziano dalla Bibbia ebraica all’origine della filosofia, dall’evoluzionismo alla felicità. Fra i suoi monologhi: "Fuoco nero su fuoco bianco – un viaggio nella Bibbia Ebraica" con traduzione dall’ebraico antico dell’autore, "Noi siamo il suolo, noi siamo la terra" monologo per una cittadinanza planetaria (produzione di Banca Popolare Etica), "Felicità for dummies - felicità per negati", "Vita di Leonardo - l'avventura di vedere davvero" spettacolo prodotto dal Teatro Stabile d'Abruzzo in occasione del 500esimo anniversario della morte di Leonardo da Vinci (regia di Alessandro Maggi). Fra i suoi libri: "Storia perfetta dell'errore" (Rizzoli, 2018), "Sull'origine della luce è buio pesto" (Miraggi, 2016), "Rapsodie romagnole" (Ponte Vecchio, 2014).
L’artista associato è: MONDRIAN Scopri di più seguedo il link nel codice qr
Arte&Arte è un progetto originale di Quartucci recupero materiali per la scoperta e la divulgazione dell’arte contemporanea Recupero Materiali Quartucci - www.quartucci.it - T.075 857 82 07
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