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ELIO GERMANO Una giornata con

RECITARE E' UNA COSA NECESSARIA foto: Giovanni Santi

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presenta

vitra.

LA CASA A PAGINA 20 È STATA ARREDATA DA MEOZZI

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Come cambiano le cose How things change Di volta in volta non è che le cose diventano più facili. Nel fluttuare continuo degli eventi cui spesso accenno quando scrivo questi piccoli editoriali, intendo proprio riferirmi alla madre di tutte le certezze: le cose cambiano. Cambiano in continuazione e non c’è possibilità alcuna di fermarle. Nemmeno ai più audaci e temerari è concesso dominare all’infinito alcuna situazione. Allora si può fare solo una cosa: adattarsi ai cambiamenti e coglierne il senso giusto, se c’è; se non c’è invece bisogna inventarselo. Adeguarsi ai cambiamenti può essere facile e anche emozionante; altre volte difficile perché il tempo va velocissimo e certe cose avrebbero bisogno di più spazio per dilatarsi fino a giungere a compimento (o magari è solo che siamo troppo lenti noi del tempo che corre, imperterrito). Di come le cose possano cambiare si parla in queste pagine, attraverso le storie, tante, di persone che dominano il loro tempo seguendo le passioni, tracciando strade nuovo, fino a diventare altro. Come un attore che calca ogni giorno un palcoscenico diverso e da lì traccia la sua parabola, «necessaria quanto l’aria», dice Elio Germano ritratto sullo sfondo di Anghiari nella copertina di questo numero di The Mag, giugno luglio 2017. A raccontare di come la vita possa cambiare è anche Brunello Cucinelli che non ha bisogno di presentazioni, uno che dal basso è salito nell’olimpo degli imprenditori più osannati per questo suo modo di vivere il tempo con un’etica particolarmente illuminata; ma anche Alessia Uccellini che tramanda la storia (lunga due secoli) del ristorante di famiglia dividendosi tra i fornelli e le quattro figlie. C’è anche chi, come Nero Cavargini, a colpi di matita, il tempo lo disegna mentre Caterina Minni col suo Inchiostro vince la battaglia più difficile. Cambiano i luoghi, ma resta ancora il nostro piccolo servizio Around Th World - seconda puntata - dedicato agli italiani che dall'A ltotevere vivono all’estero. Si va fino in Nigeria.

From time to time it is not that things become easier. In the continuous fluctuation of events, of which often I make reference to when I write these short editorials, I mean precisely referring to the mother of all the certainties: things change. They change in continuation and there is no possibility at all to stop them. Not even to the most audacious and fearless is it conceded to dominate any situation infinitely. Therefore, we can do only one thing: adapt ourselves to the changes and gather the right meaning from them, if there is one; and if there isn’t one we must invent one. Adapting oneself to changes can be easy and even exciting; other times difficult, because time goes so quickly and some things would need more space to expand until they reach completion (or maybe it is just that we are too slow for the time that rushes by undeterred). About how things can change is spoken of in these pages, through the stories, many of people who rule their time following their passions, blazing new paths, until becoming something else. Like an actor who tread every day on a different stage and from there traces his parabola, “necessary as much as air”, says Elio Germano, portrayed in the backdrop of Anghiari on the cover of this number of The Mag, June July 2017. To tell us how life can change is also Brunello Cucinelli, who needs no presentation, one who from the bottom has climbed the Mount Olympus of entrepreneurs highly praised for his way of living these times with particularly illuminated ethics; but also Alessia Uccellini who passes along history (two centuries long) of the family restaurant, dividing herself between the stove and four children. There are also those who, like Nero Cavargini, with strokes of a pencil designs time, while Caterina Minni with her Ink wins the most difficult battle. The places change, but our small service Around the World remains – second episode – dedicated to the Italians who from the Upper Tiber River Valley live abroad. We go as far as Nigeria.

Altro giro, altra corsa, andiamo piano che se chiudo gli occhi (An)Other tour, (an)other race, we are going slowly because if I close my eyes it is already summer. è già estate. Buona lettura.

Happy reading.

Ps: Grazie ai ragazzi che rispondono puntuali, grazie a tutte le persone che si lasciano raccontare con garbo e disponibilità, grazie a chi ci aiuta a vario modo a fare questo lavoro, a costruire ogni volta un giornale nuovo e sempre grazie a chi c’è stato, fino a qui.

Ps: Thanks to the guys who respond punctually, thanks to all the people who allow themselves to share with kindness and willingness, thanks to those who help us with this work in various ways, to make each time a new magazine and always thanks to the ones who are there.


20 Our Home

Appartamento en plein air

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Cover story

Elio Germano

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Data pubblicazione: Giugno 2017 - rivista bimestrale - N°28 Grafica, fotografia e impaginazione: Moka comunicazione, via Cacciatori del Tevere, 3 - Città di Castello (PG) P. IVA 02967110541 - mokacomunicazione.it Stampa: Litograf Editor S.r.l. - Via C. Marx, 10 06011 Città di Castello (PG) P. IVA 02053130544 Editore e Proprietario: Moka comunicazione Direttore Responsabile: Cristina Crisci Responsabile di Redazione: Marco Polchi Traduzioni: Christy Mills Iscrizione al Tribunale di Perugia: n. 20/12 del 27/11/2012. Questo numero è stato chiuso in redazione il 3 Giugno 2017 alle 13:00 Per maggiori informazioni e tanti altri eventi visita / for more information and events go to www.the-mag.org

Alessia Uccelini

Una mamma chef

Andrea Cavargini I colori di Nero

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Brunello Cucinelli Sul filo dell'etica

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Around the world

INFO E CONTAT TI pubblicità Simona 389 05 24 099 redazione marcopolchi@th einfo@the-mag.o mag.org rg www.the-mag.o rg

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The Mag Crew

Cristina Crisci

Andrea Luccioli

Michele Corgnoli

Marco Polchi

Andrea Tafini

Marco Bonatti e Marco Montedori

Simona Polenzani

Maria Vittoria Malatesta Pierleoni

Christy Mills

Emanuele Vanni

Massimo Zangarelli

Grazie a

Carlo Stocchi, Mirna Ventanni, Francesco Polchi e Andrea Lensi

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Lucia Fiorucci

Roberto Leonardi

Claudia Belli

Sonia Pulcinelli


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p e r fe z i on i s t i

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s t a mpa

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Ne la China e la Matita, Stefania Lusini, presenta un'illustrazione realizzata per un suo ultimo progetto ispirato al libro di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno. Stefania lavora come freelance nel campo dell'illustrazione, del disegno grafico, della stampa e dei progetti di animazione. Tiene workshop e corsi per bambini e adulti sulle tecniche di illustrazione e stampa. Vi raccontiamo la sua storia a pagina 78, nella sezione Around the world. http://www.stefanialusini.com/


P rim a di tu t to

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Appartamento en plein air di Lucia Fiorucci

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L’appartamento di Cristina ed Emanuele era mal organizzato anche se spazioso. Demolendo i tramezzi della zona giorno, questa è diventata un grande e comodo open space. Il parquet in rovere naturale lega le varie parti dell'ambiente, dove i loro tre bambini possono anche giocare tranquillamente. Cristina è da sempre appassionata di design, si nota da alcune intuizioni femminili e delicate. Ad accoglierci all’ingresso c’è uno degli “amori a prima vista” della padrona di casa: il divano Aspen di Cassina in pelle bianca. Dietro la parete grigia e curata che separa l’ingresso dal resto dello spazio, troviamo la cucina Modulnova color sabbia amande. Una composizione ampia e efficiente con l’isola attrezzata con prese di corrente. I fuochi invece sono stati posizionati davanti alla finestra così da richiedere un sistema di aspirazione integrato nel soffitto. Il suo vero punto di forza è però il lavello monoblocco in pietra piasentina, un elemento di carattere ed estrema funzionalità. I toni delicati della cucina sono alternati al rosso lucido della madia, sopra la quale spicca un quadro dell'artista Kiki Fleming. Per creare poi una connessione tra la zona cucina e l’area living, la stessa pietra piasentina del lavello è stata utilizzata per rivestire il basamento del camino, geometrico e lineare come la parete attrezzata di Lago. Anche il tavolo da pranzo è firmato Lago, col piano in rovere wild e le gambe in cristallo, la cui trasparenza è ripresa dalle sedie. I capotavola, invece, sono sinuosi e pieni di materia grazie alle due Panton Chair bianche di Vitra. Il lampadario Fil de Fer di Cattelani & Smith crea una texture naturale sulla parete grigia, dove è nascosto il ripostiglio a cui si accede attraverso una porta invisibile a filo muro. Anche il bagno della zona giorno è schermato da una porta in vetro Rimadesio con profili minimal in alluminio. Qui ci sono toni turchesi ed esotici, illuminati dai faretti in cristallo e metallo cromato. Un’altra porta in vetro, il modello Velaria di Rimadesio, separa l’open space dalla zona notte, dove per arrivarci bisogna salire dei gradini in cristallo, sorretti da un’insolita fioriera in acciaio.

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Cristina è da sempre appassionata di design, si nota da alcune intuizioni femminili e delicate



La pietra piasentina del lavello è stata utilizzata per rivestire il basamento del camino, geometrico e lineare


L’OCCHIO DEL CURIOSO Dall'ingresso esterno non si penserebbe che l’appartamento sia così grande e luminoso. In più, le ampie finestre del soggiorno guidano l’occhio verso il terrazzo. Questo è stato ampliato così che d’estate il salotto si trasferisce en plein air. La vecchia ringhiera in ferro laccata di rosso è stata sostituita da un bellissimo parapetto in cristallo che lascia spazio al verde brillante del giardino e dal verde acqua della piscina, così sinuosa e invitante. Un po’ in disparte c’è una piccola pertinenza dove è rimasto il forno a legna della nonna. Qui Cristina ed Emanuele hanno installato una piccola cucina per le loro cene d’estate.

A NOTE TO THE CURIOUS From the external entrance, one would not think that the apartment is so bright and large. In addition, the large windows of the living room guide the eye towards the terrace. This has been enlarged so that in summer the living room moves en plein air. The old fence in red lacquered iron has been substituted with a beautiful crystal railing which leaves space for the brilliant green of the garden and the aqua green of the swimming pool so curvy and inviting. A little on the side, there is a small addition where grandmother’s wood oven can still be found. Here Cristina and Emanuele have installed a small kitchen for their summer dinners.



"En plein air" Apartment

by Lucia Fiorucci

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Cristina and Emanuele’s apartment was poorly laid out, even though it was spacious. Knocking down the walls of the living area, this became a large, comfortable open space. The natural oak wood floors unite the various areas of the room, where their three children can play peacefully. Cristina has always been passionate about design, which you can notice by some delicate, feminine touches. Welcoming us at the entrance there is one of those “love at first sight” of the lady of the house: the Aspen sofa by Cassina in white leather. Behind the handsome grey wall which separates the entrance from the rest of the house, we find the Modulnova kitchen in the color white sand. It is a large and efficient composition with an island equipped with electrical outlets. The stove, however has been positioned in front of the window, so needing a ventilation system in the ceiling. Its true strength is, however, the big sink in Piasentina Stone, an element with character and extreme functionality. The delicate tones of the kitchen are alternated by the glossy red of the cabinet, above which a painting by the artist Kiki Fleming stands out. To create a connection between the kitchen and living area, the same Piasentina stone from the sink was utilized to cover the base of the fireplace, geometric and linear like the wall done by Lago. Even the dining table is by Lago, with a tabletop in wild oak and the legs in crystal, whose transparency is matched by the chairs. The heads of the table, however, are curvy and full of substance thanks to the two white Panton Chairs by Vitra. The Fil de Fer lamp by Cattelani and Smith creates a natural texture on the grey wall, where the closet is hidden, accessible through an ‘invisible’ door, aligned with the wall. The bathroom of the living area is also shielded by a door in Rimadesio glass with minimal profiles in aluminum. Here there are exotic turquoise tones, illuminated by crystal and chrome spotlights. Another glass door, the Velaria model by Rimadesio, separates the open space from the bedrooms, where you have to go up crystal steps to get there, supported by an unusual steel flowerbox.

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Andrea Cavargini

I COLORI DI NERO di Claudia Belli – foto Molotovstudio

Andrea Cavargini si fa chiamare Nero, ma il suo è un mondo pieno di colori e di nero c'è solo la china. Ha cominciato come colorista, collabora con il mondo della pubblicità, della moda, è disegnatore e, nel frattempo, insegna ai ragazzi. Tra una tazza d'orzo e le attenzioni del suo cane Ghita, Andrea ci ha raccontato come si diventa professionista del disegno e come si affrontano i ritmi del suo mestiere.

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Dunque Nero, mentre studiavi alla facoltà di Lettere e Filosofia ad Arezzo frequentavi il corso di Fumetto e Illustrazione alla Scuola Internazionale di Comics a Firenze: quanto è stato importante per la tua formazione questo duplice percorso? «La doppia università fu merito dei miei genitori che mi imposero di iscrivermi anche ad una “scuola vera”, per usare le parole di mio padre, se volevo andare a Firenze. In quel periodo ho conosciuto persone con cui sono ancora legato da profonda amicizia e sono cresciuto molto dal punto vista tecnico. Inoltre durante i corsi sono stato notato dal mio insegnante Simone Peruzzi, uno dei più talentuosi coloristi italiani, e dopo che mi sono diplomato mi ha preso come suo assistente per alcuni anni. È stato un grande maestro di vita

to non è detto che la bravura porti in automatico ad avere un lavoro, ci vuole anche la fortuna di essere al posto giusto al momento giusto per ottenere un buon ingaggio. Spesso poi i tempi di consegna sono molto stretti e alcuni possibili clienti vorrebbero pagarti solo con belle parole. Inoltre è un mestiere in cui è utile avere un piano “B”, o perlomeno essere pronti a cambiare o integrare». Quanto è difficile essere creativi collaborando con i professionisti della moda? «Il settore della moda è un mondo in cui non avrei mai pensato di finire; é particolare perché sei a contatto con persone dalla forte personalità e dall’estro creativo pronunciato, ma che spesso non sanno disegnare molto bene (ride ndr). Devi prendere le bozze e le idee che ti inviano e creare il disegno finito esattamente come lo ha immaginato il cliente; è difficile poter mettere del proprio in un processo di questo tipo. Per quanto riguarda i ritratti e le illustrazioni su commissione privata invece è molto più facile poter essere creativi».

anche riguardo a serietà professionale e rapporto con colleghi e clienti».

Passi gran parte della giornata nel tuo studio, ti rimane del tempo da dedicare ai tuoi lavori personali? «Poco! Solitamente la mia giornata inizia la mattina presto e, salvo quando devo uscire per incontrare qualche cliente o perché insegno, resto alla scrivania almeno 10 o 12 ore filate. Il mio è un lavoro strano. C’è un’alternanza tra periodi frenetici quando si è sotto consegna e periodi di calma piatta (si spera pochi) tra un lavoro e l’altro. Nei momenti più calmi cerco di portare avanti i miei progetti personali. Scrivo, disegno storie e faccio illustrazioni, ma sono sempre attività subordinate al lavoro pagato e che quindi devo accantonare ogni qual volta mi entra una nuova commessa».

Nel tuo mestiere arte ed esigenze dei clienti devono convivere, cosa significa essere un disegnatore? «Non uso mai il termine artista quando parlo del mio lavoro, secondo me è un termine abusato da molti; vista la natura di quello che faccio ho sempre preferito definirmi artigiano. Il mestiere del disegnatore è piuttosto impegnativo. Innanzitut-

Dove cerchi gli stimoli per mettere in moto l'immaginazione e per dare forma alle idee? «Tutto può diventare uno stimolo positivo. Dalla chiacchierata con un amico, al documentario che guardi in tv. Cerco di andare spesso al cinema, vado ogni tanto a qualche concerto e visito le mostre degli artisti che mi piacciono. Leggo, compro e studio cataloghi d’arte e artbook ogni volta che

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posso. Ascolto la radio, guardo telefilm, faccio giochi di società e di ruolo, sia su carta che su schermo. Tutte attività che mi intrattengono con le trame delle loro storie e che allo stesso tempo mi forniscono spunti per quando ho bisogno di disegnare qualcosa». Il tuo studio è pieno di piccoli oggetti e pezzi da collezione, cosa significano per te? «Mi è sempre piaciuto leggere. Libri e fumetti in-

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gombrano ogni spazio a mia disposizione, a casa, al lavoro, perfino la mia vecchia camera ne è piena. Assieme ai film e alla musica rappresentano una grande fonte di ispirazione e di compagnia. Buona parte del resto del mio ciarpame viene invece dalla necessità di una valvola di sfogo dopo aver perso papà. Così mi sono riscoperto un pò bambino e quando sono andato a vivere per conto mio, per contrappasso alla serietà adulta della casa ho addobbato


lo studio con oggetti e poster provenienti dalla mia vecchia camera, aggiungendone ogni tanto di nuovi. Da vero nerd in stile The Big Bang Theory!». Qualche anno fa hai dato vita insieme ad altri ragazzi all'Accademia del Fumetto, come nasce questa idea? «Sono state due le ragioni che hanno messo in moto il tutto. La prima è che volevo trasmettere

il concetto che Fumetto e Illustrazione sono mezzi espressivi di tutto rispetto al pari di cinema e letteratura. La seconda motivazione è legata all'impegno che mi ci è voluto per poter studiare ciò che mi piaceva, mi sono sempre considerato fortunato per aver avuto la possibilità di seguire il mio percorso. Da questa consapevolezza è nata la voglia di creare qualcosa per altre persone con la mia stessa passione ma con minori possibilità».

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Andrea Cavargini

ALL THE NERO'S COLORS By Claudia Belli – photo Molotovstudio They call Andrea Cavargini, Nero, but his world is one full of colors and the only black thing in it is the India ink. He began as a colorist, he collaborated with the world of advertising, fashion, working as a designer and in the meantime, he taught his kids with that same passion of his. Over a cup of orzo coffee and the festive attention from his dog, Ghita, this young illustrator told us how one becomes a professional in design and how he fights against the high pace of his job. So, Nero, while you studied at the Faculty of Literature and Philosophy in Arezzo, you attended a comics and illustrations course at the International School of Comics in Florence: how important was this double course of study for your education? «The double university was thanks to my parents who made me attend a “real school” as well, to use the words of my father, if I wanted to go to Florence. In that period, I met people with whom I am still connected to in close friendships and I grew a lot from a technical point of view. Besides this, during the courses I was noticed by my teacher, Simone Peruzzi, one of the most talented Italian colorists, and after I graduated he took me as his assistant for a few years. He was a great life teacher as well, regarding being a serious professional and my rapport with colleagues and clients». In your job, art and needs of clients must go together, what does it mean to be a designer? «I don’t ever use the word artist when I speak of my job, in my opinion it is a word that is abused by many; considering the nature of what I do, I have always preferred to call myself an artisan. The job of a designer is pretty demanding. First of all, it is not your skill that automatically brings you a job, you need the luck of being at the right place at the right time to get a good job. Then the delivery times are often very tight and some possible clients would like to pay you only with their nice words. In addition, it is a job in which it is useful to have a plan “B”, or at least be ready to change or supplement». How difficult is it to be creative working with professionals in fashion?

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«The fashion industry is a world in which I would never have thought to end up in; it is particular because you are in contact with people of strong personalities and with a pronounced creative flair, but who often don’t know how to design very well (laughs, editor’s note). You have to take the rough copies and the ideas that they send you and create the finished design exactly how the client imagined it; it is difficult to be able to put your own ideas into a process of this kind». You spend a large part of your day in your study, do you have any time left to dedicate to your personal works? «Little! Usually my day begins early in the morning and apart from when I have to leave to meet a client or because I am teaching, I stay at my desk at least 10-12 hours in a row. Mine is a strange job. There is an alternation between chaotic periods when one is under delivery times and periods of dead calm (we hope few) between one job and another. In the calmer moments, I try to work on my personal projects. I write, design stories and make illustrations, but they are always jobs that go after paid jobs and therefore which I have to set aside every time a new commission comes in». Where do you search for stimulus to start up your imagination and to give form to your ideas? «Everything can become a positive stimulus. From the chat with a friend, to a documentary that you watch on TV. I try to go to the cinema often, I go to concerts every so often and I visit the exhibitions of artists that I like. I read, I buy and I study art catalogues and artbooks every time I can. I listen to the radio, I watch TV series, I play board and role games, both in person as well as on the computer. All activities which entertain me with the plot of their stories and at the same time give me ideas for when I need to design something». Your study is full of little objects and pieces of collections, what do they mean for you? «I have always liked to read. Books and comics take up every space that I have, at home, at work, even my bedroom is full. Together with films and music, they represent a great source of inspiration and company. A large part of the rest of my junk instead, comes from the need for a pressure valve after having lost papa. In this way, I rediscovered the child in me and when I went to live on my own, to counter the adult seriousness of the house, I decorated the study with objects and posters from my old bedroom, adding a new one every so often. Like a true nerd in Big Bang Theory style!».


A few years ago, together with some other guys, you set up the Academy of Comics, how did this idea come to life? «There were two reasons why everything began. The first was that I wanted to transmit the concept that Comics and Illustrations are expressive means that are equal to cinema and literature. The second motivation was tied to the commitment that I had to have to be able to study what I liked, I always considered myself lucky to have had the possibility of following my course. From this awareness, the desire to create something for other people with my same passion but who had less possibility, was born».

CARBONARA A MODO MIO Sulla ricetta della carbonara si aprono sempre diverse diatribe, per risolvere la faida tra le varie scuole di pensiero Andrea decide di arricchirla con più ingredienti con lo spirito di chi, avendo poco tempo, ama cucinare usando gli ingredienti che il frigo offre e rompendo gli schemi. Si comincia con il soffritto, cipolla ma anche aglio per non sbagliare, la pancetta cuoce poi lentamente. La pasta viene aggiunta direttamente sulla padella e, a fiamma rigorosamente spenta, si aggiunge un uovo e il pepe (nero, ovviamente). Parmigiano o pecorino? Entrambi, con in aggiunta un tocco di gorgonzola. È una carbonara che accontenta tutti, più ricca e saporita del solito e come dessert pancake allo sciroppo d'acero, un dolce anglosassone che generalmente viene servito per la colazione o il brunch, ma le regole sono fatte per essere infrante e i disegnatori lo sanno benissimo.

CARBONARA MY WAY Carbonara recipes always open up different diatribes, to resolve this feud between the various schools of thought, Andrea decides to enrich his with many ingredients with the spirit of one who, having little time, loves to cook using ingredients that the fridge offers and breaking the mold. He begins with the lightly fried onion but also garlic so he won’t make a mistake, the pancetta cooks slowly. The pasta is added directly in the pan and, the flame is rigorously off, the egg and pepper (black of course) is added. Parmesan or Pecorino? Both, with an additional touch of gorgonzola. It is a carbonara that pleases everyone, richer and more tasty than usual and for dessert, pancakes with maple syrup, an Anglo-Saxon dessert which is generally served for breakfast or brunch, but the rules are made for breaking and designers know this well.

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mini cronaca in due parti di un giorno con elio germano

UOMINI, BESTIE, CITTÀ E COSE Testo Michele Corgnoli • Foto Giovanni Santi Un grazie speciale ad Andrea Merendelli e allo staff dell'associazione Effetto K

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Nella foto e in quella successiva, Elio Germano sul palcoscenico del Teatro di Anghiari per lo spettacolo "Viaggio al termine della notte"

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Le citazioni in grassetto sono estratte da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, lette da Elio Germano nello spettacolo di sabato 13 maggio al Teatro di Anghiari. Prima Parte Breve racconto di un pranzo e delle riflessioni che sono rimaste scritte un po' sulle tovagliette del Talozzi Bistrot e un po' nell'anima. Presenti Elio Germano e la crew del reading musicale Viaggio al termine della notte, Alessandro Fiori e la sua band, il gruppo del Teatro di Anghiari. C'eravamo anche noi per The Mag. È mezzogiorno di un sabato alle porte dell'estate, all' ombra dei palazzi storici di Anghiari resiste il freddo. Una dozzina di persone, provenienti da diverse direzioni, viandanti nel giorno e nella notte, artisti e saltimbanchi, si trovano a metà della lunga strada dritta che taglia in due la “città della battaglia”. Perfetto crocevia nel quale il pranzo, la messinscena, il giorno intero, si trasformano in occasione per riflettere sul mondo contemporaneo, con leggerezza eppure densità. Nel bel mezzo della strada un attore, giovane e agguerrito, affatto divo nonostante il successo che negli ultimi anni ha riscontrato sul grande schermo: Elio Germano. Ci sediamo a tavola e creiamo un capannello, dal quale parte una conversazione a più voci e diverse portate. La lettura, rilettura o almeno lo sfogliare le pagine del Viaggio al termine della notte di Celine, è stata pratica recente per molti dei presenti anche in occasione della elaborazione che andrà in scena la sera stessa in un Teatro di Anghiari che si sa già pieno. Per questo forse aleggiano tra i commensali le parole e l'umore cupo nei confronti delle umane istituzioni, che è proprio del romanzo francese scritto ai tempi della grande crisi, quella passata, ma ancora potente anche nella crisi attuale. «...Non posso trattenermi dal dubitare che esiste una qualunque genuina realizzazione del nostro più profondo carattere, tranne la guerra e la malattia, quelle due infinità dell'incubo» Un romanzo buio, nichilista, crepuscolare, e inconsolabilmente disilluso sulla bontà della natura umana,sulla società e sulla vita in generale. Recitare è un meccanismo di sopravvivenza, una cosa necessaria a tutti per vivere, dice qualcuno, lo facciamo di continuo, dobbiamo

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capire che la narrazione non può prendere il posto di ciò che deve narrare,ribatte qualcun altro. La politica, ad esempio, con lo storytelling portato al estremo, si riduce ad essere narrazione vuota, e i politici abili narratori senza qualità. Recitare, non fingere. Immedesimarsi, arrivare a capire l'altro come se stesso. Se fosse possibile non avremmo più bisogno di regole ne di leggi, cita ancora qualcun altro. Caffè! Conclude un ultimo. «Tutti fieri allora d'aver fatto risuonare queste utili verità, siamo rimasti là seduti, incantati, a guardare le dame del caffè» Seconda Parte Dopo il pranzo e il romanzo, rimane da parlare dello spettacolo, della scena e dei suoni. «La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte» Sul palco uno scrittoio con abat-jour, una scena semivuota; al centro i musicisti e l’invenzione sonora che si dimostra vero fulcro dello spettacolo. Teho Teardo crea un ambiente che è fusione di sonorità cameristiche che guardano a un futuro tecnologico, grazie anche al felice incontro di archi, chitarra ed elettronica. Elio Germano legge il romanzo Viaggio al termine della notte in un’intermittenza (voce naturale/voce distorta) dove la prosa esce dalla sua dimensione tradizionale fino a divenire suono. La sua interpretazione vocale, sempre seduta, a mezzo busto, procede attraverso quelle che sembrano delle contenute improvvisazioni jazzistiche; prosegue per rotture sintattiche e semantiche, e continui intarsi di toni e umori. Germano è principalmente questo: voce. Usa il corpo quasi solo per sfogliare con violenza le pagine del copione e lasciarle volare intorno, mentre il pubblico a occhi e semichiusi segue le immagini e i toni in un dormiveglia febbrile. Le immagini potenti evocate dal testo, nel quale farsa e tragedia convivono, si alternano e a volte sovrappongono con le atmosfere cinematiche di Teho Teardo, creando una colonna sonora di sospetto e smarrimento; quello di un uomo dei primi anni Venti. E quindi uomo di ogni tempo. «Quando non si ha immaginazione, morire è poca cosa, quando se ne ha, morire è troppo».

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Elio Germano

MEN, BEASTS, CITY AND THINGS Text Michele Corgnoli – Photos Giovanni Santi A special thanks to Andrea Merendelli and to the staff of the Effetto K association Translator’s note:The quotes in bold are taken from Journey to the End of the Night by Louis-Ferdiand Céline, read by Elio Germano in the show the 13th of May at the Anghiari Theatre.

First Part

Short account of a lunch and of the reflections which remain written a little on the place mats of Talozzi Bistrot and a little in the soul. Present were Elio Germano and the crew of the reading musical Journey to the End of the Night, Alessandro Fiori and his band, the group of the Anghiari Theatre. We, for The Mag, were also there. It is midday on a Saturday just at the beginning of the summer, in the shades of the historical buildings of Anghiari it is still cold. A dozen people, coming from different directions, passengers of the day and the night, artists and street acrobats, meet halfway down the long straight road that cuts the “city of the battle” in two. Perfect crossroads in which the lunch, the staging, the entire day, transform themselves in opportunity to reflect on today’s world, with casualness and yet density. Right in the middle of the road, an actor, young and determined, by no means acting like a celebrity despite his success that he has had in recent years on the big screen: Elio Germano. We sit at a table and we make a small crowd of people, from which a conversation starts with many voices and different courses. The reading, re-reading or at least leafing through the pages of Journey to the End of the Night by Céline, has been a recent experience for many of the present also for the occasion of the elaboration which will go on stage the same evening in the Anghiari Theatre which we know is already full. For this reason, dark words and mood may be hovering over the dining companions in regards to human institutions, which is precisely from the great French romance written during the times of the great Depression, the one of the past, but still powerful even in the present crisis.

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«…I cannot help myself from doubting that there exists any genuine realization of our deepest character, besides war and sickness, those two infinities of nightmare». A dark, nihilist, twilight and inconsolably disillusioned romance about the goodness of human nature, society and life in general. Acting is a survival mechanism, a necessary thing for everyone to live, someone says, we do it continuously, we have to understand that the narration cannot take the place of that which must narrate, answer back to someone else. Politics, for example, with storytelling brought to the extreme, lowers itself to be empty narration, and politicians, able narrators without quality. Acting, not faking. Identifying yourself with someone, understanding the other as you know yourself. If it were possible we would not need any more rules or laws, someone else says. Coffee! A last one ends. «Everyone, proud of having echoed these useful truths, stayed there, sitting, enchanted, to watch the coffee ladies».

Second part

After the lunch and the romance, he stays to speak about the show, the scenes and the sounds.

«Life is this, a shard of light which ends in the night». On the stage a desk with a table lamp, a half empty scene; at the center, the musicians and the sound track invention which demonstrates itself to be the true crux of the show. Teho Teardo creates an atmosphere that is a fusion of chamber music which looks to a technological future, thanks to the happy meeting of strings, guitars and electronica Elio Germano reads the romance Journey to the End of the Night in an intermittent (natural voice/distorted voice) where the prose comes out of its traditional dimension until it becomes sound. His vocal performance, always seated, head and shoulders, evolves by way of those that seem to have contents of a jazz improvisation; continues to syntactic and semantic breaks, and carries on embellishing his tones and moods. Germano is principally this: voice. He uses his body only to turn the pages of the text violently and let them fly around, while the public with half-closed eyes follow the images and the tones in a feverish half sleep. The strong images evoked from the text, in which farce and tragedy live together, alternate and sometimes overlap with the cinematic atmosphere of Teho Teardo, creating a suspenseful and bewildered soundtrack; that of a man in his early twenties. And so, a man of all times.

«When one does not have imagination, dying is a little thing, when one has it, dying is too much».


Elio Germano con la sua "spalla" musicale Teho Teardo

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IN UMBRIA LE CONCHIGLIE E IL MARE Villa Capelletti | Città di Castello foto Anna Fabrizi


IN ESPOSIZIONE Anche se non c’è il mare, a Città di Castello ci sono le conchiglie, anzi la collezione privata di conchiglie più grande d’Europa, con circa 600 mila esemplari catalogati. Si chiama Malakos ed è stata inaugurata ad aprile a Villa Cappelletti. Tre mila sono gli esemplari in esposizione. LA PASSIONE DEL BIOLOGO Il museo è il frutto del lavoro decennale del biologo Gianluigi Bini, fiorentino di nascita ma tifernate d’adozione, che ha raccolto e studiato circa 15 mila specie diverse, provenienti da ogni angolo del mondo, dal Polo Nord al Mare Adriatico. L’idea di un museo malacologico nasce nel 2005 quando Bini ha dato il suo nome alla conchiglia, Cinguloterebra Binii e ha iniziato a progettare un’esposizione di tutte le conchiglie raccolte nelle sue esplorazioni dei fondali marini a bordo di navi oceanografiche. DOVE Al piano terra di Villa Capelletti, nel complesso del Centro delle tradizioni popolari: 40 teche e quasi 3 mila esemplari, disposti come un viaggio esplorativo del mondo attraverso le conchiglie di tutti i mari. L’idea è di farne un vero centro di Educazione Ambientale. VETRINE INTERNAZIONALI Riferimento del CNR di Bologna che invia periodicamente campioni per l’esame, Gianluigi Bini ha già incassato i complimenti del Principe e della la Pricipessa Akishino del Giappone venuti a Città di Castello per ammirare l’esposizione. Inoltre è arrivato anche il riconoscimento della National Geographic Society: il magazine italiano della società ha dedicato all’esposizione tifernate un servizio. In arrivo anche la convenzione con Google Arts & Culture. ORARI Per visitare Malakos ecco gli orari: dal 1 aprile al 31 ottobre dalle ore 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30 (chiuso lunedì), salvo festivi e prefestivi. Biglietto intero 5 euro ridotto 3 euro (gruppi oltre 15 persone, studenti fino a 25).

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di Maria Vittoria Malatesta Pierleoni - foto allestimento: Alessandro Sarteanesi, foto inaugurazione: Michele Sereni

La location Palazzo Vitelli alla Cannoniera, già sede della Pinacoteca Comunale di Città di Castello, apre le porte alla mostra Violenti confini. Inaugurata il 29 aprile alla presenza di un numeroso pubblico, del vicesindaco e assessore alla Cultura Michele Bettarelli e dell’assessore regionale Fernanda Cecchini, l’esposizione sarà visitabile fino al 9 luglio. Il progetto, ideato e curato dalla casa editrice Magonza forte del contributo scientifico dell’antropologo e sociologo Pietro Bellasi, affronta il delicato tema del confine inquadrandolo sotto molteplici punti di vista.

Marco Baldicchi, mentre nella seconda i lavori di Alighiero Boetti, Mircea Cantor, Dina Danish, Margherita Moscardini e Pietro Ruffo interpretano il confine come sinonimo di trauma. Proseguendo, le opere di Filippo Berta, Nicolò Degiorgis, Mona Hatoum e Jon Rafman, affrontano la sfumatura Le opere sociale e relazionale del Attraverso installazioni, dipinti, disegni, sculture, fo- tema e, a seguire, quelle tografie e video realizzati di Christo, Paolo Icaro, da 21 artisti internazionali Jirí Kolár, Sandro Martini, ed eterogenei nella manie- Claudio Parmiggiani e Giura di esprimersi, si delinea seppe Spagnulo propongono il confine come limite un percorso trasversale e soglia da oltrepassare. che sprigiona tutto il proL’ultimo ambiente, attraverprio potenziale artistico, so i lavori di Flavio Favelli, evocativo e creativo in cinque ambienti all’interno Mario Giacomelli, Adrian Il progetto Paci, Dim Sampaio e Luca del suggestivo scenario Violenti confini rappresenta della Pinacoteca che, per Vitone allarga la prospettiun’occasione di confronto va fino all’introspezione e l’occasione, fa da sfondo e riflessione su argomenti all’aspetto biografico del all’incontro tra passato e attuali come i flussi miconcetto. presente. gratori e la chiusura delle frontiere e al tempo stesso Gli artisti Info traccia un’ideale percorso Nella prima sala antiche Orari di apertura deldove arte, geografia e la mostra da martedì a mappe provenienti dalstoria si fondono, valodomenica, dalle 10.00 le collezioni museali di rizzando il patrimonio Città di Castello dialogano alle 13.00 e dalle 14.30 culturale umbro e testimoidealmente con l’intervento alle 18.30. Chiuso il lunedì niando come l’interesse (non festivo). site specific del tifernate

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per l’argomento attraversi epoche diverse. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Magonza con approfondimenti sulle opere, sugli artisti e un apparato iconografico dei lavori esposti a cura di Pietro Bellasi, Alberto Fiz e Saverio Verini.


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Brunello Cucinelli di Cristina Crisci

SUL FILO DELL'ETICA Racconta del suo passato «di quando, non avevamo una lira, ma eravamo felici» e ai giovani che cercano lavoro dice: «Il curriculum? Meglio portarlo a mano, suonare al campanello delle aziende e presentarsi» foto: Sante Castignani

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«Dissi a mio padre che mi sarei messo a fare cachemire’ e lui rispose: ‘Fai un po’ tu, che Dio ti aiuti’» Brunello Cucinelli, con la sua lezione sospesa tra etica, imprenditoria, filosofia di vita e quotazioni in borsa, ha riempito la sala gotica del Museo del Duomo a Città di Castello, su invito dall’associazione Sulle Orme di Francesco. Centinaia i giovani, gli imprenditori e le persone che hanno partecipato all’incontro (introdotto da Franco Ciliberti e dal vescovo monsignor Domenico Cancian). La luce della fede torna molto spesso nelle parole di Cucinelli, conosciuto nel mondo come il re del cachemire, uno la cui ‘parabola’ di imprenditore umanista ed etico sta facendo parlare tantissimo di sè. E lo si capisce subito: «La crisi della civiltà è perché i grandi valori si sono affievoliti, il Papa ci invita ad un risveglio: bisogna essere custodi del Creato. Mio nonno diceva: ‘Che Dio vi mandi il giusto vento, la giusta nebbia’. Questo perché bisogna credere in un equilibrio di giustizia tra profitto e dono. L’essere umano è tanto più creativo quanto è più a posto con il Creato. Vivi secondo natura, rispetta gli altri». Parla a lungo citando Sant’Agostino, Socrate, Kant, l’amore per la conoscenza, il made in Italy, la qualità dei prodotti e l’Umbria: «Viviamo nel posto più bello al mondo». In un’epoca dove tutto va velocissimo nella sua azienda i colleghi non si possono mandare mail di lavoro dopo l’orario di chiusura (le 17,30): «Ci vuole riposo per conservare l’anima creativa. Sì perché il rapporto tra le persone è la cosa più importante da coltivare. Occorre vivere e produrre un risveglio morale e civile, respirare e tornare alla semplicità. E soprattutto tempo per noi stessi: noi dobbiamo curare l'anima.

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L'anima deve mangiare tutti i giorni». Nelle parole di Cucinelli riecheggia spesso l’eco della sua infanzia contadina, la semplicità e la profondità dei rapporti col padre, del quale cita frasi di vita. Come quando decise di fondare la sua azienda. Era il 1978 e, diplomato geometra, aveva lasciato gli studi alla facoltà di Ingegneria per iniziare a produrre maglioni in cashmere colorati.«Un giorno dissi a mio padre: ‘Mi metto a fare cachemire’. Lui rispose: ‘Fai un po’ tu, che Dio ti aiuti». Ispirato da quell’idea nuova e contro ogni pensiero pessimista, sviluppa «il grande sogno di un lavoro rispettoso della dignità morale ed economica dell’uomo. Il sogno di un capitalismo che valorizzi l’uomo». La sua ricetta coniuga una profonda conoscenza dei grandi del passato, ma lo sguardo è rivolto al futuro, così’ lontano che ogni sua azione è come pensata per durare nei secoli. «L’innovazione, insieme all’umana sostenibilità, è un valore che porta alla genialità. Un’azienda è di successo se tutti lavorano bene. Tutti i dipendenti dell’impresa (1.500 in questo caso, ndr) aggiungono un loro grado di genialità sotto diverse forme», dice alla folta platea che lo segue mentre racconta di come decise, nel 2012, di quotare l’azienda alla Borsa di Milano. Ma anche quando racconta del suo profondo legame col Monastero di San Benedetto a Norcia dove va spesso a curare l’anima, o indietro nel tempo nel 1985 quando acquistò il Castello diroccato di Solomeo per farne la sede della sua azienda. Eppure sdrammatizza e ammette che, in realtà, più che l’imprenditore lui avrebbe voluto fare il monaco part time.


Le foto di pag. 66, 67 , 68, 69 sono di ATV Report

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Brunello Cucinelli by Cristina Crisci

ON THE EDGE OF ETHICS

He tells of his past «of when, we didn’t have a lira, but we were happy», and to the youth who are in search of work, he says: «Your CV? Better to bring it in person, ring the doorbell of the company and present yourself».

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Brunello Cucinelli, with his lesson suspended between ethics, entrepreneur, philosophy of life and stock activity, has filled the gothic room of the Duomo Museum of Citta di Castello, upon invitation from the association Sulle Orme di Francesco. Hundreds of youth, entrepreneurs and the people who participated in the meeting (introduced by Franco Ciliberti and by the Bishop Domenico Cancian). The light of faith returns often in the words of Cucinelli, known in the world as the king of cashmere, a man whose entrepreneurial, humanistic and ethical ways are making the world speak very much about him. And you understand it immediately: «The crisis of civilization is because the great values are diminished, the Pope invites us to a revival: we need to be caretakers of the Creation. My grandfather would tell me: that God sends you the right wind, the right fog. This is because we need to believe in a balance of justice between profit and gift. Human beings are much more creative when they are right with the Creation. Live according to your nature, respect the others». He spoke a long time, citing Saint Augustine, So-


crates, Kant, love of knowledge, Made in Italy, the quality of products and Umbria: We live in the most beautiful place in the world. In an age where everything goes very fast, in his company the colleagues cannot send work emails after closing hours (17:30): «Rest is necessary to conserve the creative soul. Yes, because the relationship between the people is the most important thing to cultivate. We need to live and produce a moral and civil awakening, to breathe and return to simplicity. And above all, time for ourselves: we must care for our souls. The soul has to eat every day».

and economic dignity of man. The dream of a capitalism that gives value to man».

His recipe unites a profound knowledge of the greats of the past, but his sight is towards the future, so far that every action is thought to last centuries. «Innovation, together with human sustainability, is a value that bring us to geniality. A company is a success if everyone works well. All the workers of the company (1,500 in this case, editor’s note) add their level of geniality in different ways», he says to the large audience that listens while he shares of how he decided, in 2012, to estimate the company to the In the words of Cucinelli echoes of his farm childhood, stock exchange in Milan. simplicity and the depth of his relationship with his father, from whom he cites life phrases. As when he decid- But even when he tells of his deep connection with the ed to set up his company. It was in 1978 and graduated as Monastery of Saint Benedict of Norcia, where he often surveyor, he left his studies at the Faculty of Engineering goes to heal his soul or back in time in 1985 when he to begin to produce sweaters in colored cashmere. «One bought the dilapidated Solomeo castle to make it the site day I said to my father I am going to make cashmere. He re- of his company. And then he downplays it and admits sponded ‘Do as you want, may God help you’». Inspired by that, in reality, more than an entrepreneur, he would have that new idea and against every pessimistic thought, de- wanted to be a monk, part time. veloped the «great dream of a respectable job with moral

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Il mondo in un'azienda. No, non è un modo di dire. Se è vero che operatori dell'e-commerce, collaboratori e partner da tutta Europa (Spagna, Germania, Norvegia...) ma anche da Corea, Russia, Giappone e USA si sono ritrovati, lo scorso 11 maggio, alla zona industriale di Città di Castello. Per quale motivo? La presentazione della nuova CMC CartonPack, macchina interamente ideata e costruita a Città di Castello dalla CMC di Giuseppe Ponti. La CartonPack crea imballaggi e confezioni esattamente su misura per prodotti che devono essere spediti, riducendo al minimo lo spreco di ulteriore materiale. CartonPack è la punta di diamante del settore packaging della CMC, con la quale l'azienda tifernate ha vinto il prestigioso Best Future Machine Award nell'ambito di Interpack 2017 a Düsseldorf, in Germania; si basa su una tecnologia già consolidata in un'altra macchina - la Carton Wrap – ed è utilizzata dai maggiori colossi mondiali dell'e-commerce. «Creiamo lavoro e innovazione di altissimo livello in Altotevere, e li esportiamo in tutto il mondo», ha detto proprio Giuseppe Ponti. Al quale, nell'occasione, abbiamo fatto alcune domande.

Giuseppe Ponti di Marco Polchi

QUI, DOVE REGNA L'INNOVAZIONE 72


Vista la richiesta avete già in programma una seconda presentazione il 27 luglio. Cosa significa per lei portare qui persone e imprenditori da tutto il mondo? «Vuol dire mostrare le tecnologie più avanzate del pianeta a tutti gli operatori del settore, arrivati da moltissimi paesi, che si stanno avvicinando alla nostra realtà e ne sono sempre più interessati. La CMC si sta specializzando ed espandendo sulle settore delle macchine messe a punto per il mercato dell'e-commerce, che sta crescendo del 30 % all'anno». L'innovazione è il vero punto forte. «Sì, questo è il regno dell'innovazione, dove creiamo, costruiamo e collaudiamo nuove e avanzatissime macchine per varie tipologie di clienti. Solo in questo ambiente se ne possono vedere quattro esempi di ultima generazione (le indica una ad una, ndr): CMC Carton Wrap, CMC Carton Pack, CMC Laser Pack e un sistema di magazzino automatico per libri... In pratica qui c'è il futuro».

E per l'Altotevere cosa vuol dire? «Una cosa molto semplice ma fondamentale: lavoro. Io do lavoro fuori, mantengo 170 stipendi qui, più altri 150 esterni. E più cresciamo noi, più aumenta il lavoro da offrire». Una battuta sul premio che ha ricevuto a maggio a Dusseldorf. «È stata una soddisfazione personalissima per me e per i miei collaboratori. La felicità è doppia se penso che non abbiamo vinto a Canicattì, con tutto il rispetto, ma nel tempio della tecnologia europea e mondiale. Non è poco, qualche smacco ai tedeschi glielo diamo sempre!».

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ALESSIA UCCELLINI UNA MAMMA CHEF

TRA RISTORANTE E TV di cristina crisci

Alessia Uccellini, quattro figlie (sĂŹ, tutte femmine!), un marito, una laurea in architettura in tasca e qualcosa come due secoli di storia sulle spalle del ristorante Il Fiorentino di Sansepolcro che, con amore e passione, gestisce seguendo le orme lasciate dalla sua famiglia.

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Dunque Alessia, tu porti avanti una delle esperienze più longeve per quanto riguarda la ristorazione nel territorio, il Fiorentino di Sansepolcro fondato nel 1800. Siamo nel 2017: qual è la ricetta della lunga vita di un ristorante? «Il Fiorentino non è solo un ri-

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storante, ma un pezzo di storia della città e della mia famiglia. Alla base di tutto metterei la qualità, poi la capacità di riciclarsi per soddisfare le esigenze dei clienti di diverse epoche; infine la passione, la dedizione, i sacrifici e il coraggio credo siano l’elisir di lunga vita di questo luogo».

Hai raccolto il testimone da tuo padre, personaggio molto amato a Sansepolcro, quindi sei a tuo modo una figlia d’arte: è stato un passaggio naturale o maturato nel tempo? «Mio padre mi ha lasciato una pesante eredità… non è stata una cosa semplice essere ‘la fi-


glia di Alessio del Fiorentino’. Il passaggio è stato sia naturale che maturato nel tempo. In realtà avevo intrapreso un’altra strada con il 110 e lode di una laurea in architettura e una meravigliosa esperienza alla Galleria degli Uffizi. Anche questo però deriva dal babbo che mi

ha trasmesso geneticamente la passione per la storia dell’arte, per Sansepolcro e per Piero della Francesca». Poi dall’arte alla ristorazione… cos’è accaduto? «Per una bega familiare che ha portato alla divisione immobiliare

fra albergo e ristorante, mi sono trovata a scegliere se rimanere a Firenze o tornare a casa. A questo punto non me la sono sentita di buttare via 200 anni di storia: è stata una scelta di amore per la mia famiglia. Sono tornata. Devo dire che le nonne, la mamma e crescere nella

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cucina di un ristorante sono state cose determinanti per la scelta finale». Il grande pubblico ti conosce per le tue partecipazioni a Geo & Geo dove da mamma chef dispensi consigli e ricette. Che tipo di esperienza è quella televisiva? «L’esperienza televisiva è cominciata per gioco attraverso le tv locali grazie ad Augusto Tocci e Alex Revelli e alla cucina del Rinascimento. Poi sono arrivate cose più importanti per Sky Alice, la Prova del Cuoco, Campanile Mediterraneo su Rai Uno, Uno Mattina, Linea Verde, fino a Geo con cui collaboro ormai da quattro anni. La tv è un grande palcoscenico ed una grandissima opportunità, ma anche un’arma a doppio taglio perché devi essere sempre all’altezza delle aspettative». Quali sono le difficoltà più grandi che incontri, ogni giorno, nel tuo lavoro? «La più grande di tutte è gestire da sola il lavoro che prima si faceva in quattro persone di famiglia. Chiaramente devo avvalermi di validi collaboratori, ma il costo del lavoro è molto elevato in questo paese per cui è difficile salvaguardare l’occupazione per tutti nei periodi più tranquilli. L’altro grande problema è stata la liberalizzazione delle licenze per cui chiunque può improvvisarsi ristoratore e questo non fa bene al mercato: è una lotta per sopravvivere in cui ci si deve continuamente reinventare».

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Quali progetti hai per il tuo futuro? «Ho avuto da pochi giorni la riconferma per Geo nella prossima stagione, in estate sarò a Londra con un piatto toscano in un banchetto speciale per l’investitura a Cavaliere della Regina di un nostro cliente. Inoltre penso che il Fiorentino abbia delle potenzialità inespresse che mi sembrano vicine e tangibili e mi auguro realizzabili». Una tua giornata tipo? «Sveglia presto e a letto tardi, rincorrendo bambine, marito un ristorante con tutti i risvolti positivi e negativi ed i suoi orari massacranti, televisione… Una volta mi è stato detto che ho la sindrome del giocoliere che fa girare le sfere ed ogni volta ne aggiunge una e tutto diventa più difficile!». Cosa manca per dare un vero impulso al turismo di questa terra? «Credo che abbiamo tutte le car-

te in regola per promuovere un turismo di qualità. Ho sempre pensato che le grandi mostre siano un’attrattiva cosi’ come eventi di spessore legati al cibo. Negli ultimi anni in maniera naturale si è sviluppato un turismo legato al cammino di San Francesco, ecco incentivare questo pellegrinaggio potrebbe essere una svolta». La ricetta che meglio rispecchia il territorio dell’Altotevere? «Ce ne sono molte… dalla ciaccia fritta (il nostro cibo da strada), al raviggiolo, passando per il sambudello... Inoltro io adoro tutte le ricette legate al riciclaggio del pane dalla pappa al pomodoro alla panzanella alla zuppetta di pane… ma quella che mi appare rappresentativa è la zuppa di cipolle rosse dei cipollari del Borgo».


AROUND THE WORLD

Storie di persone che si tuffano in mezzo al mondo a cura di Marco Polchi e Cristina Crisci

VOL. 2 Barcellona Lodz Francoforte Port Harcourt

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AROUND THE WORLD

STEFANIA LUSINI, QUI BARCELLONA IO, RAGAZZA DI BOTTEGA Illustratrice, grafica e artista visiva. Stefania Lusini è un'autentica anima creativa nata a Sansepolcro e cresciuta a Pieve Santo Stefano (dove vive la famiglia). Dopo aver frequentato il Liceo Classico di Città di Castello capisce che la Valtiberina gli va però un po' stretta. Si trasferisce nella vicina Urbino, dove studia Grafica Editoriale e Fotografia all’Istituto superiore per le industrie artistiche. Fino al 2009, quando decide di varcare i confini italiani: destinazione Spagna. «Sono arrivata a Barcellona per studiare Illustrazione e Tecniche di stampa alla Escola Massana. Prima sei complicati mesi di Erasmus poi diventati nove felici anni di vita qui in Catalogna». Dal 2010 al 2015, Stefania fa parte del Vostok Printing Shop, studio e scuola di tecniche di stampa, grafica e illustrazione. Attualmente, invece, divide la sua giornata in diverse attività. Quali Stefania? «Qualche mattina lavoro come tecnica di laboratorio nell'atelier di stampa artistica e galleria d'arte Print Workers Barcelona. Il resto del tempo lo passo nello studio “Taller Bodega Paquita” che ho aperto quest'anno con Cristina Spanò e Maria Corte, due amiche illustratrici. Qui realizzo i miei progetti personali, posso esprimermi in totale libertà. Il tutto sempre a Barcellona, nel quartiere di Gràcia». E su cosa ti concentri in particolare? «Alterno l'attività di illustratrice e grafica con progetti più artistici. Non riesco mai a dedicarmi a una sola tecnica. Mi piace indagare su tutto, per così dire: scultura, incisione, serigrafia, video, animazione e fotografia». Cosa mi dici di Barcellona? «Barcellona è unica in offerta culturale e artistica, anche se mantiene una dimensione di “paesone” facile da gestire; cosa per me decisamente apprezzabile. Gli stimoli sono costanti, il livello creativo alto e si è sempre spronati a migliorarsi. Come in tutte le cose c'è l'altra faccia della medaglia: tra tante espressioni puoi facilmente saturarti e perdere di vista le cose che vuoi dire, come le vuoi dire e se ha ancora senso dirle». Cosa ti manca del tuo “paesone” italiano? «Direi l’aria, le piccole cose - non so spiegarlo - appena torno provo un dolce senso di leggerezza nel cuore, farfalle nello stomaco... e sento che è ancora casa». Che bello. Torneresti volentieri quindi? «Mah, per il momento no. Però non si sa mai… Non sento ancora di aver maturato il mio percorso e sinceramente non so se lo farò mai. Mi piace immaginarmi come una pendolare moderna tra l'Italia e il mondo».

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AROUND THE WORLD

Giovanni Pierangeli, qui Lodz Ciak, si gira! «Avevo 23 anni, la carriera da geologo non faceva per me e lasciai gli studi universitari, senza una concreta alternativa, però mi sono detto: il mondo è un posto talmente interessante. perché rimanere chiuso dentro quattro mura?». L'eperienza all'estero di Giovanni Pierangeli, nato nel 1983 a Città di Castello, inizia quasi per caso compiendo una scelta ben precisa. Quella di seguire la passione per il cinema e i film. Una passione coltivata fin da bambino: «Cenavo e poi di corsa in camera di mia nonna Dora, l’unica che in casa aveva la Tv. Era il mio tempio. Non so quanti film ho avuto il piacere di vedere racchiuso in quella stanza con la vista sulla Montesca, raggomitolato nella sua vestaglia rossa neanche fossi ET mentre vola nel cesto della bici...». I primi passi però non semplici da compiere. A Giovanni mancano i contatti, le informazioni: «Trovai aiuto in Toscana. Feci il primo corso da operatore a Sansepolcro per poi iniziare a girare l’Italia alla ricerca di corsi di formazione. Ma non mi bastava, volevo di più».

Ed ecco il primo viaggio oltreoceano.

del cinema. Viveva in Polonia. Mi sfogai con lui e chiacchierando mi disse che due settimane prima aveva passato l’esame di ammissione per la scuola polacca di Łódz. Rimasi a bocca aperta. Disse che se volevo potevo andare a trovarlo e visitare così la scuola. Tornato a casa acquistai un volo per la Polonia, esattamente quattro anni fa».

Quindi vivi a Łódz dal 2013...

«Sì, esatto. Passato l’esame di ammissione ho iniziato il corso di regia alla Scuola nazionale di cinematografia polacca. Il primo anno è di sola lingua – il polacco non è uno scherzo – dopodiché i restanti cinque sono focalizzati sulla regia. Sono tuttora al terzo e sono in fase di pre-produzione del prossimo film che girerò nel luglio di quest’anno».

Ma escludendo famiglia e amici, cosa ti manca dell’Italia? «Beh, la vestaglia di mia nonna e la vista sulla Montesca».

«Andai per un workshop all’UCLA di Los Angeles con l’idea di rimanere e frequentare il Master in regia, sperando di ottenere una borsa di studio. Purtroppo non andò come previsto e tornai in Italia. Non mi arresi; durante un festival di cinema ottenni la lista delle migliori università di cinema in Europa. Ce n’erano quattro: una a Parigi, una a Praga, un'altra a Londra e la Scuola Nazionale Polacca di Łódz».

Un pregio e un difetto del paese dove vivi.

E quale hai scelto?

Se il tuo lavoro si trasferisse in Italia, torneresti volentieri?

«Proprio quest'ultima. Pensa, una notte mi ruppero il finestrino della macchina e subii un furto. Non sapevo cosa fare, ero frustrato, non sapevo con chi parlare. Per caso contattai via Skype un ragazzo che non avevo mai incontrato di persona: Mohammed, palestinese, anche lui con la passione

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«L’orgoglio è il loro più grande pregio e il peggior difetto. Stanno risorgendo dalle loro ceneri dopo secoli di divisione, comunismo e fascismo. Il popolo è alla ricerca di un’identità che non riesce a trovare e quello che ne esce fuori lo si è visto alle ultime elezioni politiche. Come diceva Moravia meglio occuparsi dell’assoluto e non del relativo». «Purtroppo con i se non si costruiscono ponti, né si fanno film. Quando riceverò una qualche proposta la valuterò. Intanto: saluti a tutti, tifernati e non!».


AROUND THE WORLD

LUCIA GALIZI, QUI FRANCOFORTE Un porto sicuro nel cuore dell'Europa Lucia Galizi, tifernate classe 1981, il “pallino” per l'estero ce l'ha sempre avuto. Non è un caso, allora, se si è laureata alla facoltà di Lingue e Letterature straniere di Perugia. Curiosa, dinamica (dal 2007 è anche volontaria nei Vigili del Fuoco), in cerca di nuovi stimoli, lascia ben presto l'Italia. «La decisione risale a più di dieci anni fa – racconta Lucia – quando volai in Inghilterra, a Chislehurst, cittadina nel Kent dove rimasi per sei mesi lavorando in un pub. Qualche tempo dopo mi sono trasferita a Londra e ci sono rimasta due anni! Ho sempre amato la lingua inglese e mi ero data un obiettivo: diventare quasi “native speaker”. Mi piaceva intrattenere conversazioni con persone dal background diverso dal mio e non ho più smesso di appassionarmi a nuove lingue e culture». Detto fatto. Dopo l'esperienza londinese lavora per sei anni nella formazione professionale per compagnie di crociera, approdando in Europa, Asia, Africa e Sud America. Proprio in quell'ambito si appassiona al settore delle Risorse Umane, decidendo di completare un Master in International Human Resources Management. Dopo il quale si è trasferita in Germania. Dove di preciso, Lucia? «Sono arrivata da sette mesi nel cuore finanziario europeo, a Francoforte sul Meno, dove lavoro come Talent Development Specialist and Training Coordinator nell'unico hotel tedesco proprietà del gruppo Jumeirah Hotel & Resorts degli Emirati Arabi, che i più conosceranno forse per il Burj Al Arab, ovvero la vela di Dubai». Mi diresti un pregio e un difetto di Francoforte. «Un pregio? La puntualità dei mezzi di trasporto. Un difetto? La “calma” dei servizi di vita quotidiana. Mi spiego: per fissare un “Termin”, come si dice qui, con l'elettricista per riparare qualcosa si impiega una vita!». Ti manca l’Italia? «Mh... mi mancano la cordialità e l'accoglienza della gente, lo spirito scanzonato italiano e poi il concetto di moda! Potrebbe sembrare una cosa frivola, ma è la mia seconda passione; dunque non avere pressoché stimoli quotidiani intorno, non essere informata sulle nuove tendenze o tecniche di lavorazione dei tessuti e non avere con me la mia macchina da cucire mi provoca una certa nostalgia». Ma torneresti a viverci, in caso? «Sinceramente? No. Escludendo il fatto che il mio lavoro non è ancora molto presente in Italia, non sono mai stata appagata nel nostro paese. E poi non sono tipo da campagna, relax e natura; mi piace una città sempre viva, frenetica, con mille luci e suoni metropolitani. Però non tornerei in una città italiana, almeno ora. Sento di voler esplorare ancora il mondo e altre realtà per potermi arricchire ancora di più. Perché non si impara mai abbastanza, giusto?!».

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LORENZO SCARABOTTINI QUI PORT HARCOURT NELLA TERRA DELL’ORO NERO Lavora per Saipem, una compagnia impegnata worldwide nella realizzazione di infrastrutture per estrazione, trattamento e distribuzione di petrolio e gas. Per tre anni è stato nella sede di Fano, poi l’azienda gli propone una nuova destinazione: la Nigeria. In questo paese Lorenzo Scarabottini, 35 anni di Città di Castello, si trova da quasi due anni. «La Nigeria è stata un’opportunità di lavoro e l’ho accettata _ dice _ dando corpo alle aspettative di carriera che, nel periodo degli studi e della gavetta, avevo coltivato». Ma l’estero non è arrivato per caso... «Dopo la laurea magistrale in ingegneria civile e l’abilitazione sono andato a Londra per migliorare l’inglese, con l'idea di fare un Master in ingegneria della strutture. Il periodo londinese è stato una parantesi singolare: scaricavo i camion alle 4 di mattina per H&M così da terminare entro le 16 e seguire le lezioni al college. Dopo un anno e qualche mese, è arrivata la chiamata della compagnia per cui lavoro, la Saipem. Rinuncio al Master e torno in Italia per intraprendere questa avventura, a Fano». Adesso, invece, la Nigeria. Cosa fai di preciso? «La mia funzione è quella di Procurement project manager nel settore Oil and Gas: in soldoni sono il responsabile degli approvvigionamenti (materiali e servizi) di ingegneria per il progetto che Saipem sta realizzando in Nigeria. Gestisco un ufficio misto con ragazzi ‘espatriati’ - così ci chiamano tecnicamente - e ragazzi locali: lavoriamo in un clima multietnico integrato e molto stimolante». La sede in che città è? «Vivo a Port Harcourt, dentro la base Saipem per la maggior parte del tempo. Non è un luogo dove ci si può muovere liberamente e quando lo facciamo abbiamo la scorta, per ragioni di sicurezza. Spesso mi sposto a Lagos, capitale finanziaria della Nigeria, dove la situazione è meno severa e si è un po' più liberi». La Nigeria non è un paese facile… «Diciamo che non è un paese per tutti e lo si capisce subito. Cresciuto grazie al petrolio, è il denaro il motore che muove ogni cosa, senza però il faro della cultura, inoltre come in tutti i paesi africani, la forbice sociale è molto ampia… e la miscela diventa esplosiva. Tra le cose belle, l'affetto delle persone che lavorano con noi e che non ci guardano affatto come colonizzatori tiranni, ma come opportunità di lavoro». E per te? E’ un’esperienza interessante? «Dal punto di vista professionale la Nigeria è una palestra continua per il sempre osannato ‘problem solving’ che qui viene portato all'eccesso». Torneresti volentieri in Italia? «Ci sono buone possibilità che il mio lavoro si trasferisca in Italia in futuro, dato che Saipem è una compagnia italiana e io non avrei problemi a tornare. Ma non adesso».

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MARCO MASINI

I veri eroi?

Quelli che reagiscono al terremoto e ricostruiscono di massimo zangarelli

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Si è aperto da Città di Castello il tour nazionale di Marco Masini dal titolo «Spostato di un secondo», in una serata di beneficenza per iniziativa del Kiwanis Club (presieduto da Lucio Lelli) a favore delle popolazioni terremotate. Masini ha trascorso una settimana nel capoluogo tifernate per allestire il suo tour nel corso del quale ha parlato di sé e della musica. I 25 anni di carriera sono un punto d’arrivo o un nuovo inizio? «Per me sempre nuovo inizio: la vita comincia sempre domani con una spinta più forte. E’ un percorso a tappe e ogni tappa è più importante, senza lasciarsi prendere da nostalgia, malinconia o paura».

Lei ha firmato anche colonne sonore per lo schermo ed è stato protagonista in uno spettacolo ispirato ad Andersen Il brutto anatroccolo’: in futuro frequenterà ancora altri generi oltre la musica leggera? «Già questo recital è qualcosa di più del solito concerto: c’è un filo conduttore concettuale e non si limita a un susseguirsi di canzoni, c’è una storia da far capire che si vede e non solo si ascolta, magari un domani mi sentirò pronto per altri generi di spettacolo, ma per ora resto concentrato qui».

Linguaggio diretto nei suoi testi anche a costo di subire polemiche e censure: col celebre Vaffanculo si sente un po’ precursore (per esempio di Beppe Grillo)? «Non mi sento precursore, quello era allora il linguaggio dei giovani, ho fatto un copia e incolla e ho solo condiviso con loro». «Disperato» non vinse solo la gara, ma anche il premio della critica Mia Martini, riconoscimento intitolato ad un’artista immensa… «Mia Martini era una grande artista con una sua fragilità. All’insicurezza bisogna reagire a mai mollare… il segreto è restare protagonisti della sfida con noi stessi». Lai ha vinto pure il premio ‘Lunezia’ dedicato alla memoria di Giancarlo Bigazzi: quanto è stato importante per lei questo autore? «E’ stato importane per la musica italiana al di là di me: era l’ultimo dei veri produttori, un pioniere che con coraggio e sprezzo del rischio innovava la musica con la forza della semplicità, un poliedrico a 360°capace di dispensare consigli e insegnamenti a tutti». Le piace il tifernate Michele Bravi? «È bravo. Auguro a lui e tutti i giovani di rappresentare il futuro della musica italiana in tempi di prospettive così limitate». Quindi sì ai Talent? «Con tutti i limiti sono meglio che niente…anche la scuola non funziona, ma se non ci mando i miei figli restano analfabeti». Al suo attivo anche duetti (con Ruggeri, Tozzi…): ne ha in progetto di nuovi? «Il duetto come l’amore non si può progettare: è un’alchimia e un desiderio che scatta quando si verificano certe condizioni».

Con quella di quest’anno sono otto le partecipazioni al Festival di Sanremo: qual è la molla che la spinge a tornare all’Ariston dopo aver già vinto (due volte)? «Carlo(Conti) è un amico da tanto tempo e così condividere un’esperienza con qualcuno cui si vuole bene è meglio… la curiosità resta comunque una molla importante e poi un artista deve sempre rimettersi in discussione a disposizione dei giovani. Penso piuttosto che ci vorrebbero durante l’anno altre occasioni per mettere la canzone italiana al centro dell’attenzione televisiva». Sul palco è ancora emozione pura allora? «Certo, ed è positiva! A differenza di quella di chi subisce una catastrofe come il terremoto davanti al quale non so come reagirei… per questo ammiro il sindaco di Norcia Alemanno, l’assessore Perla …i veri eroi sono loro!»

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L'ESTATE È ARRIVATA PROTEGGITI CON AGRICOLA UMBRA BASSO IMPATTO AMBIENTALE ALTA PROTEZIONE CONTRO LE ZANZARE

Piazza Porta S. Florido, 1 - Città Di Castello - 075 855 4974

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ONLY WINE FESTIVAL IL SUCCESSO, I GIOVANI, LE CANTINE EMERGENTI E L'EDIZIONE 2018

Si è chiusa domenica 23 aprile la quarta edizione di Only Wine Festival con l’ennesimo successo di pubblico; ma ciò che ha caratterizzato l’edizione 2017 è stata soprattutto la presenza di un pubblico prevalentemente giovane ma molto attento, nonché degli operatori di settore, alla scoperta di nuove bottiglie da promuovere e vendere, in Italia e all’estero.

Only Wine Festival diventa, dunque, una vetrina sempre più ampia per le piccole cantine e i giovani produttori, portando sempre più l’attenzione del pubblico su di loro e sulla qualità delle loro produzioni, spesso ottenute con sacrifici importanti, ma tanta convinzione e professionalità.


«La soddisfazione sull’andamento di questa quarta edizione - ha detto al termine dell’evento Andrea Castellani, Presidente di Fiera Show - è generale, da parte nostra, ma anche delle cantine presenti e di tutti i nostri partner. L’obiettivo che ci eravamo prefissi per quest’anno è stato raggiunto e sul percorso intrapreso continueremo a camminare per crescere ancora il prossimo anno, con un radicamento ancora più forte con il territorio».


Per l’edizione 2018 di Only Wine Festival, in calendario per il fine settimana del 28 e 29 aprile, già si pensa di accentuare l’aspetto dell’internazionalizzazione: «La nostra idea - sono sempre le parole di Castellani - è, da un lato, di offrire alle cantine italiane che parteciperanno

la possibilità di approcciare i mercati esteri con il piede giusto e, dall’altra, di ospitare più cantine con i medesimi requisiti da atri paesi europei, al fine anche di creare un’occasione di confronto diretto e di conoscenza tra i produttori».


Archiviata, dunque, questa edizione, si lavora già al salone del prossimo anno, a cominciare anche dall’esigenza di riorganizzazione e incremento degli spazi a disposizione della kermesse per far fronte alla necessità di accogliere più cantine e più appuntamenti che possano arricchire ulteriormente il programma. Esigenza sulla quale già è partito un confronto con l’amministrazione comunale di Città di Castello, in vista del 2018.


edizione 2017

FESTIVAL DELLE NAZIONI, 50 ANNI CON LA GERMANIA

Ritorna Nyman, arriva Ute Lemper, poi ancora Beppe Servillo e il pianista Alexander Lonquich. Omaggio in danza a Pina Bausch Per i 50 anni del Festival delle Nazioni - che si svolge dal 29 agosto al 9 settembre a Città di Castello e dintorni - si celebra la Germania! Tra i nomi in cartellone Ute Lemper, Quartetto Prometeo, Athenäum Quartet, Peppe Servillo, Ensemble Berlin, Michael Nyman, Alexander Lonquich, Enrico Bronzi, Cristiana Morganti con un omaggio a Pina Bausch, Salvatore Sciarrino e Leonid Grin. Il programma è dedicato alla cultura musicale tedesca dei primi decenni del Novecento a conclusione del progetto triennale attorno alla Grande Guerra, avviato due anni fa con l’Austria e proseguito nel 2016 con la Francia. Sono 19 gli eventi (3 in più dell’anno scorso) spalmati tra la fine di agosto e i primi di settembre nei luoghi tradizionali dell’Altotevere per la manifestazione guidata dal presidente

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Giuliano Giubilei (direttore artistico Aldo Sisillo). In cartellone: Michael Nyman che, a quattro anni dalla sua partecipazione con la ‘Battleship Potemkin’, torna con la prima italiana del progetto ‘War Work: 8 songs with film’, di cui è autore, direttore e interprete (6 settembre, ore 21 Chiesa di San Domenico). Ute Lemper e il Kabarett, voce carismatica ed elegante della grande tradizione tedesca (31 agosto, ore 21

sopra: Ritratto di Ute Lemper sotto: Il quartetto Prometeo


Chiesa di San Domenico). Per festeggiare il settantesimo compleanno di Salvatore Sciarrino, nelle sale degli Ex Seccatoi del Tabacco il compositore è insieme al Quartetto Prometeo (1 settembre, ore 21, Collezione Burri – Ex Seccatoi del Tabacco). La musica di Richard Strauss farà da ‘colonna sonora’ allo spettacolo «Il borghese gentiluomo», ad opera di Peppe Servillo, che sarà anche voce narrante dello spettacolo con l’Ensemble Berlin (5 settembre, ore 21 Chiesa di San Domenico).

dall'alto: Athenäum Quartet, Michael Nyman and Band, Alexander Lonquich.

Per i virtuosi del pianoforte: Alexander Lonquich, con un programma dedicato a Schumann (7 settembre, ore 21 Chiesa di San Domenico). In zona danza: ‘Moving with Pina’ di e con Cristiana Morganti, una conferenza danzata sulla poetica, la tecnica e la creatività della grandissima Pina Bausch (8 settembre, ore 21 Teatro degli Illuminati). La serata inaugurale nella chiesa di San Domenico è con la Jugendorchester der Bayerischen Philharmonie con Henri Bonamy nella doppia veste di direttore e solista al pianoforte (29 agosto, ore 21). Il gran finale con l’Orchestra della Toscana, che omaggia la Nona Sinfonia di Beethoven (9 settembre, ore 21 Chiesa di San Domenico).

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L’appuntamento è fissato per sabato 24 giugno, con nuovi e vecchi talenti del panorama locale che rappresenteranno simbolicamente le numerosissime band passate nel corso degli anni dal piccolo Festival insieme a degli ospiti di eccezione. Eden Rock Festival, la storica manifestazione musicale fra le verdi colline al confine tra Umbria e Toscana, compie vent’anni: un compleanno importante da festeggiare nel segno della buona musica il 24 giugno 2017 a San Leo Bastia, negli spazi all’aperto de La Taverna. È proprio in questo piccolo paese che nel 1997 gli organizzatori, tre amici poco più che ventenni, ebbero l’idea dell’evento dopo aver visto il film in VHS di Woodstock del 1969. Nato come un festival “fatto in casa”, dopo la leggendaria prima edizione del 1997, nel corso della quale si alternarono sul palco più di 22 band per due giorni e una notte di musica senza sosta, l’Eden Rock ha fatto molta strada: nel corso delle varie edizioni ha ospitato, a fianco di moltissime band locali, nomi come Bandabardò, Tre Allegri Ragazzi Morti, Reggae National Tickets, Julie’s Haricut, Shitdisco, Casino Royale, The Zen Circus, Tonino Carotone e molti altri, diventando un punto di riferimento molto importante del panorama musicale del centro Italia, in anni in cui gli eventi di questo genere erano davvero pochi. Quello di quest’anno non sarà il vero e proprio Festival come lo si intendeva un tempo, ma un compleanno doveroso da festeggiare. Per l’occasione gli storici organizzatori uniranno le forze con la nuova generazione di giovani del luogo che si spera possano portare avanti quella che in Alta Valle del Tevere è sempre stata una kermesse molto sentita. L’appuntamento è fissato per sabato 24 giugno, con nuovi e vecchi talenti del panorama locale che rappresenteranno simbolicamente le numerosissime band passate nel corso degli anni dal piccolo Festival insieme a degli ospiti di eccezione. Ci sarà il Il Taffo, giovane e talentuoso cantautore tifernate ma sanleese di adozione, i Bonacrianza, la

storica band di Jacopo Falchi che ha partecipato al festival in diverse occasioni e che sarà presente con la formazione originale, i GTO, nella duplice veste di padroni di casa e performer e infine Il Pan del

Diavolo, duo folk palermitano di fama nazionale in tour con il loro quarto album Supereroi, co-prodotto da Piero Pelù. La festa proseguirà nei locali interni della struttura con i Dj set di Carlo Nanni, David Nanni e Michele Patriarchi che cureranno la parte elettronica dell’evento per una serata che mette a confronto due generazioni di musica. Tutto l’evento sarà rigorosamente ad ingresso gratuito, un grande regalo per tutti quelli che hanno sostenuto la manifestazione nel corso degli anni ma anche per quelli che ancora non ci conoscono. Eden Rock Festival – 20th anniversary è organizzato dai giovani di San Leo Bastia in collaborazione con i GTO e la Taverna di San Leo Bastia.

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Daiana Lou testo Andrea Luccioli | foto Marco Bicchielli

«I TALENT? UNA CENTRIFUGA IL VERO X-FACTOR SIAMO NOI» Dopo la loro uscita di scena dal programma:

«Una giostra che non fa per noi, ci siamo salvati perché stavamo insieme»

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Daiana e Luca. Insieme sono i “Daiana Lou”, un progetto nato per caso su un palco nel 2013, passato sotto gli accecanti riflettori di X-Factor e da lì uscito in maniera rocambolesca - e non senza polemiche per giungere infine a Foligno, in uno dei secret con-

rata di aprile, e si raccontano, tra una cover e un pezzo nuovo del loro disco che uscirà dopo l’estate. A questo racconto manca un pezzo fondamentale, ovvero la loro apparizione a X-Factor, esperienza bella e brutta allo stesso tempo, tanto che i Daiana Lou decidono di lasciare il palco della trasmissione ad un passo dal traguardo, attirando critiche feroci e stima allo stesso tempo. Perché? Cosa è successo? Lo raccontano loro stessi, partendo da quella notte in cui… Daiana: «Ci siamo conosciuti durante una jam session, per caso. C’è un locale a Roma che funziona così, dopo tre brani si cambia formazione. Noi siamo saliti nello stesso momento, pur non conoscendoci e abbiamo cominciato a suonare dei pezzi che piacevano ad entrambi. Non siamo più scesi». Luca: «Ad entrambi piace suonare per strada e dopo il nostro incontro siamo partiti in tour con una band. Volevamo suonare in giro il più possibile. Inizialmente lo abbiamo fatto a Roma, poi abbiamo notato che quello che facevamo andava forte con il pubblico internazionale e per questo abbiamo deciso di andare a Berlino. Ci saremmo dovuti fermare una decina di giorni. Siamo tornati, abbiamo fatto le valige e ci siamo rimasti per due anni!».

cert di Formato ridotto live, la piccola officina delle meraviglie targata Argilla eventi. Facciamo un passo indietro. Siamo nella Capitale. In un locale romano dove si fanno jam session ci sono Luca e Daiana. Non si conoscono. In quel locale si sale sul palco così, sconosciuti. E si suona. Luca e Daiana salgono che non sanno nulla l’uno dell’altra. Suonano insieme, funziona. Funzionano. Diventano i Daiana Lou, coppia musicale, coppia nella vita. Vanno via, a Berlino. Succedono tante cose e poi arrivano a Foligno, in una se-

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Poi è arrivato X-Factor. Luca: «La redazione del programma aveva visto qualche nostra esibizione su YouTube e ci ha contattato. Erano interessati al nostro progetto ma noi inizialmente abbiamo rifiutato perché eravamo impegnati in studio. La cosa si è ripetuta un’altra volta. Alla terza chiamata abbiamo risposto e accettato ponendo una condizione: noi veniamo con il nostro progetto artistico, ma se cercate dei visi carini avete sbagliato target». Le cose inizialmente vanno bene… Daiana: «La fase delle selezioni è andata molto bene.


Ce l’abbiamo messa tutta fin dall’inizio. Abbiamo visto che quando mettevamo noi stessi al centro delle esibizioni riuscivamo ad arrivare meglio alle persone. Poi, però, alla quarta settimana si è rotto qualcosa. In particolare in relazione al triste episodio della morte di Cranio Randagio». Cosa è successo? Luca: «Noi non conoscevamo il mondo televisivo, ci abbiamo provato. Siamo un duo che fa dell’intensità e delle emozioni il suo punto di forza. Loro ci chiedevano di passare dall’essere felici all’essere tristi. Ora devi mangiare patatine, domani ti trucchi, poi fai la penitenza e infine devi pure fare il ricordo di un ragazzo morto, tutto insieme. Una centrifuga che ci ha devastato e per questo abbiamo deciso di fare un passo indietro per dare spazio a chi voleva continuare». Le conseguenze della vostra scelta? Daiana e Luca: «Noi facciamo musica, ci piace il con-

tatto con le persone, suoniamo dove c’è aggregazione. Purtroppo questo lì non c’era. Siamo stati attaccati per la nostra scelta, ci hanno anche detto che avevamo fatto i furbi. Noi non volevamo mettere in discussione la nostra integrità artistica e personale». Lo rifareste? Luca: «Quando mi dicono che se non fosse stato per X-Factor sarei rimasto a suonare per strada a Berlino, io rispondo che è proprio grazie alle strade di Berlino se sono andato ad X-Factor. È un programma televisivo dove ti travestono da star. Noi ad un certo punto non volevamo più prendere parte a tutto questo». La vostra salvezza? Daiana e Luca: «Il fatto che stavamo insieme. Da soli sarebbe stato difficilissimo, usciti da lì saremmo dovuti andare in terapia. Faccio in bocca al lupo per chi vuole fare i casting e sta bene in quell’ambiente. Per noi è stata una violenza, la nostra strada è un’altra».

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MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VELOCE

IN PISTA CON ATLETICA PAKMAN Testo Andrea Tafini – Foto Roberto Leonardi

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Emozionante, divertente, educativa. In tre aggettivi Agnese, 13 anni, ci racconta quello che per lei è l’atletica leggera durante uno degli allenamenti settimanali del gruppo sportivo “Atletica Pakman”. Da poco meno di un anno Agnese salta, corre e lancia con questa nuova realtà sportiva nata nel 2016 dalla passione e dalla volontà di Antonio Ciabucchi (presidente) e dai tecnici Sara Ciabucchi, Nicola Mancini, Marco Petrin, Gabriele Bracalente ed Enrico Biccheri. Nel nome c’è buona parte dello spirito. «Il nome Pakman è una mia idea venuta un po’ così - ci racconta sorridendo Marco Petrin, uno degli allenatori - l’idea è dare il senso dell’aggressività agonistica positiva, come la pallina gialla che mangia tutti. Adesso andiamo in pista e ce li mangiamo tutti, questo è il messaggio che vogliamo dare con questo nome. L’atletica leggera è lo sport, qualsiasi cosa tu faccia c’è l’atletica dentro. Al di là degli schemi motori di base, ti aiuta a non trovare alibi quando perdi, non ci sono scuse se fai una prestazione non all’altezza». L’altro allenatore che incontriamo sulla pista d’atletica è Nicola Mancini: «L’obiettivo per cui siamo nati è diffondere a Città di Castello e nell’Alta Valle del Tevere l’atletica leggera, non solo all’interno della pista ma anche al di fuori, con attività all’interno dei centri abitati; fare gare di salti e velocità in centro città è molto spettacolare e avvicina i ragazzi e la gente a questo sport bellissimo, con il tempo organizzeremo di frequente attività del genere». Del gruppo Pakman fanno parte circa 45 persone che vanno dai piccolissimi nati nel 20011/2012 fino ai ragazzi più grandi. Le discipline coperte sono soprattutto la velocità, gli ostacoli e in parte i lanci. Nicola Mancini ha iniziato a 16 anni con il podismo per poi innamorarsi dell’atletica, la sua passione è maturata con una laurea in scienze motorie, subito dopo è arrivata l’attività di tecnico: «L’atletica è

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uno sport completo, nella sola attività della corsa alleni tutto il corpo e quindi il gesto diventa globale; e così con i salti e con gli ostacoli che richiedono massima coordinazione. La disciplina che preferisco sono i 400 metri, il giro della morte come lo chiamano, massacrante, amo tutto le discipline comunque». Tra i giovani atleti Pakman che stanno raggiungendo buoni risultati, ci spiega Nicola, ci sono due ragazze che hanno partecipato ai campionati italiani indoor. «Delia Bordonaro, categoria juniores, e Martina Marconi, categoria allievi, hanno gareggiato nei 60 metri, nei 200 e nella staffetta 4 x 200. Ora vediamo se riusciremo con altri ragazzi a partecipare ai campionati nazionali all’aperto di giugno». Et voilà, una delle due. Delia Bordonaro. Velocità, 200 metri, 17 anni: «Faccio atletica dall’età di 11 anni, ho iniziato grazie a mio padre che vedendomi correre mi ha spinto a provare. Dell’atletica mi piace la soddisfazione dopo le ripetute, dopo lo sforzo e la fatica. Correre, poi, non mi fa pensare. Quando sono dietro i blocchi mi concentro solo sulla gara, se dovesse diventare qualcosa di più importante bene ma continuerei ovviamente». Insieme a lei corre Leonardo Antonini, 18 anni, 100 e 200 metri: «Sono 5 anni che pratico atletica, ho abbandonato il calcio per noia. Mi sono avvicinato a questa disciplina ai campionati studenteschi, poi ho continuato per passione. Il gruppo Pakman è molto competente, curano molto tecnica e preparazione, mi sono avvicinato a loro per questo. Cosa preferisco di questo sport? Non si direbbe ma quando faccio le ripetute mi diverto, cioè non è che sia divertente in sé ma arrivare in fondo ad uno sforzo del genere dà soddisfazione». Ecco infine alcune ragazze tra i 12 e i 13 anni si sono affacciate all’atletica da pochi mesi, scegliendola come loro primo sport. Le mie amiche facevano questa attività ed ho iniziato così, sono sempre stata attratta dalla corsa. Adoro allenarmi e due settimane fa ho fatto la prima gara - ci racconta Vittoria -, la cosa migliore di questo sport è stare in gruppo, all’aria aperta, durante gli allenamenti». Alice viene dalla danza e si sta specializzando nella corsa ad ostacoli: «Ho provato l’atletica ad un centro estivo e mi è subito piaciuta, ho scoperto il gusto di fare le gare e provare a battere gli altri». Agnese salta in alto e fa corsa di resistenza, per lei «la determinazione che serve per arrivare all’obbiettivo è l’aspetto più importante di questa disciplina».


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Camminare con lentezza

Immergersi tra storia e natura per riscoprire a ogni passo la bellezza che ci circonda. Resti di antiche dimore e fortificazioni, abbazie, paesaggi mozzafiato vicinissimi a noi eppure spesso sconosciuti o dimenticati. Ecco il senso di “Slow foot”, la “camminata lenta” organizzata dall’associazione Altotevere senza frontiere che nell’ultima edizione, lo scorso 14 maggio, ha raggiunto la cifra record di oltre 200 presenze. testo Marco Montedori - foto Marco Bonatti

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Slow Foot

DA UVIANO A CASTIGLIONE DI BOCCA SERRIOLA Guidati da Giovanni Cangi, esperto di storia e architettura del nostro territorio, i partecipanti hanno seguito un itinerario lungo le antiche vie di valico dell’Appennino umbro-marchigiano. Un viaggio alla scoperta del medioevo altotiberino che ha toccato il borgo e la chiesa di Uviano (aperta per l’occasione), il mulino di Sessa, il borgo di Coacri e Caifirenze. Dopo il pranzo fra gli alberi secolari di Bocca Serriola, il rientro alle auto per la panoramicissima strada sterrata che unisce La Cima e il Grillo.

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UN’INIZIATIVA CHE UNISCE TUTTI Giovani e “meno giovani”, famiglie, bambini: Slow foot è un’iniziativa che unisce davvero tutti all’insegna della riscoperta della bellezza del nostro territorio e della voglia di stare insieme. È questo il “segreto” della crescente partecipazione alla camminata che, nella massima semplicità, vuole offrire degli spunti di riflessione sulla nostra storia e, contemporaneamente, mostrare che è possibile trascorrere una domenica diversa lontano dalla frenesia, prendendosi del tempo per stare a contatto con gli altri e con la natura. LA PRIMA EDIZIONE NEL 2014 La prima edizione di Slow foot risale al 2014, come iniziativa di avvicinamento al 4° Festival della solidarietà che aveva come tema “La lentezza salverà il mondo”. Non un semplice invito ad “andare piano”, ma una riflessione ampia sui nostri stili di vita e sull’importanza di dare il giusto tempo a ogni cosa. Quest’anno in occasione della “Giornata mondiale della Lentezza”, il 9 aprile, il percorso ha condotto i partecipanti alla scoperta dell’antica abbazia benedettina di Montemaggiore nel territorio di Città di Castello.

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Slow Foot

IL RICAVATO IN BENEFICIENZA L’obiettivo di Slow foot non è solo quello di passare una giornata insieme. Il ricavato dell’iniziativa, infatti, viene devoluto per i progetti di beneficienza di Altotevere senza frontiere nel nostro territorio e non solo. Negli ultimi mesi l’impegno dell’associazione si è concentrato soprattutto sull’emergenza terremoto di Norcia-Amatrice: i volontari sono presenti periodicamente sul posto e sono stati consegnati molti carichi di aiuti alla popolazione.

A LUGLIO TORNA IL FESTIVAL DELLA SOLIDARIETÀ Comincia il conto alla rovescia per il prossimo appuntamento di Asf: il 7° Festival della solidarietà, che si svolgerà nei giorni 14-1516 luglio al parco Ansa del Tevere di Città di Castello. Tre giorni di riflessione e divertimento tra concerti, conferenze, mercatino del volontariato, mostre fotografiche, live painting, animazione per bambini, stand gastronomico. Il tema dell’edizione 2017 sarà “Abitare i confini”.

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La mia vittoria più bella

Caterina Minni

TUTTO IL PESO DELLA LEGGEREZZA di Sonia Pulcinelli

Veridicità, originalità e bellezza. Sono questi i requisiti per partecipare (e magari vincere) al Premio Pieve Saverio Tutino di Pieve Santo Stefano, dedicato ai diari. «Inchiostro» di Caterina Minni, nel 2015, li possedeva tutti.

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La mia vittoria più bella

Alla fine, il libro della giovane scrittrice tifernate non ha vinto il riconoscimento; ma ha lasciato un segno, probabilmente indelebile, che continua a far riflettere e coinvolgere il pubblico. Come quando Caterina ha presentato il libro alla libreria Paci di Città di Castello. Ad accompagnarla durante l’incontro Nicola Maranesi, membro della direzione artistica del Premio Pieve, una delle prime persone a leggere il diario di Caterina: «Un diario con la “d” maiuscola - ha detto - Inchiostro è un racconto in presa diretta con la vita di un’adolescente affetta da anoressia», così Maranesi descrive il diario di Caterina. Che è davvero giovanissima, ha solo 17 anni; eppure ha già vissuto sulla sua pelle gli orrori dell’anoressia. Dalla più tenera infanzia si è trovata a fare i conti con una malattia che l’ha costretta a portare sulle spalle il macigno dei suoi 22 kg. Lei, una guerriera che più volte imbraccia le armi e altrettante le getta a terra, pronta a sventolare bandiera bianca. La vita è una battaglia: ogni decisione, ogni respiro o parola delinea i contorni di una strategia da seguire. Proseguire lo scontro sembra un’impresa

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immane, ma Caterina non si arrende e riesce dove molti falliscono: «Ho trovato delle risposte, ho dovuto in qualche modo condividerle per aiutare chi, come me, vive o ha vissuto questa situazione». Ecco il diario, quindi. Nelle sue parole l’intenzione di raccontare al mondo che l’anoressia non scaturisce guardando le modelle, magari per diventare come loro: l’anoressia è altro, molto altro. «Contavo le calorie, costringevo la mia famiglia mangiare quello che cucinavo sottoponendola a ricatti, cercavo di stare tutto il giorno in piedi a camminare. Tutto per dimagrire, per restare piccola». Ma c'è di più. La sensazione di onnipotenza, dopo essersi negata di mangiare e bere, lascia presto il posto all’incapacità di ribellarsi a quello che stava diventando uno stile di vita. E poi lo specchio: quella grande minaccia che la faceva sentire costantemente inadeguata. Così come nel diario, è evidente la maturità di Caterina nell'affrontare di fronte al pubblico temi come quello dell’anoressia, con un linguaggio semplice e diretto. La chiarezza è infatti il suo punto forte; permette al lettore di comprendere piena-


mente ogni passaggio del libro e a chi ascolta di entrare in sintonia con l'autrice. L’esperienza di Caterina, nonostante la guarigione, non costituisce un capitolo chiuso e a parte nella sua vita: è una realtà, quella dell’anoressia, ancora molto vicina a lei e che mai la lascerà davvero. Forse sbiadirà col tempo, ma i suoi contorni resteranno sempre. «Con la pubblicazione di Inchiostro – racconta – spero di riuscire ad aiutare le persone come me. Inchiostro è la prova che la vita può essere riscattata, che la normalità, a volte, è il traguardo più importante da raggiungere».

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Cinema

Luca Benni & Matteo Cesarini Cinema Metropolis Umbertide

Festival di Cannes, c'eravamo anche noi! Quest'anno era un'occasione troppo ghiotta per non essere presenti: il poster di questa edizione ha reso omaggio all'attrice Claudia Cardinale e l'attrice tifernate Monica Bellucci - madrina dell'evento - ha presentato la cerimonia d'apertura e quella di chiusura. L'atmosfera che si respira è quella di un evento mondano, molto distante dall'austerità della Mostra del Cinema di Venezia; non ci sono proiezioni dei film in concorso aperti al pubblico e a biglietto, come a Venezia - ma c'è gente che “elemosina” un ingresso ai piedi del Red Carpet. Di aperto al pubblico c'è però l'affascinante retrospettiva con grandi capolavori del cinema proiettati su un maxi schermo sulla spiaggia - è stato bellissimo gustarsi dei grandi classici restando comodi su una sdraio. Altra cosa importante: la pazienza a Cannes è fondamentale, tutto è perfettamente organizzato ma c'è talmente tanta gente concentrata in un posto così piccolo che è facile perdere le staffe mentre si è in coda per una proiezione. Nonostante questo si ha l'impressione di essere dentro a un film. Il clima è anche molto teso e molti sono i controlli per entrare nelle sale del palazzo del cinema; a proposito, gli spettacoli serali hanno un dress code molto rigido: obbligatoriamente "tuxedo" e papillon per lui e abito da sera e tacchi per lei; pure qualche attrice (Emily Blunt nel 2015, Kristen Stewart oggi) ha protestato per questa rigidità!

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foto di Marco della Torre


Per tutti i cinefili del settore sono imperdibili le master class dei grandi registi, vere e proprie lezioni di cinema con grandissimi nomi come Clint Eastwood e Alfonso Cuaron. Più che il concorso - si sa, il titolo vincitore fa sempre storcere il naso a molti ed è anche il caso di The Square, del regista svedese Ruben Östlund - ci piace segnalare qualche titolo che vedremo prossimamente: Todd Haynes si conferma autore ispirato con il suo "Wonderstruck", che ha aperto il concorso sulla Croisette: in due epoche diverse, due bambini sordi sognano una vita diversa. Nel 1927 Rose fugge per trovare il suo idolo, l'attrice Lillian Mayhew. Nel 1977 Ben si mette alla ricerca del padre, dopo la morte della madre. Nonostante i cinquant'anni che li separano, sono misteriosamente collegati tra loro. Altro film molto apprezzato "Sicilian Ghost Story" di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, già registi di "Salvo". Al loro secondo lungometraggio, i registi raccontano una storia siciliana sottoforma di favola nera in cui la realtà si alterna a sogni e visioni, in mezzo a una natura deformata e strana. In un piccolo paese siciliano ai margini di un bosco, Giuseppe, un ragazzino di tredici anni, scompare. Luna, una compagna di classe innamorata di lui, non si rassegna alla sua misteriosa sparizione. Si ribella al clima di omertà e complicità che la circondano e pur di ritrovarlo, discende nel mondo oscuro che lo ha inghiottito e che ha in un lago una misteriosa via d'accesso. "OKJA" di Bong Joon-ho è stato uno dei film della discordia del Festival che ha acceso il dibattito Cannes vs Netflix, ma al di là delle polemiche tra cinema e streaming, si appresta a far riflettere anche per i temi che affronta: prendendo dal cinema di Miyazaki così come dallo Spielberg più "fanciullesco", Okja si fa portatore di un messaggio ecologista affrontando il tema degli allevamenti intensivi degli animali destinati alla macellazione e al consumo da parte di una popolazione umana sempre crescente e sempre più ipocrita nelle sue manipolazioni.

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Giardinaggio

Ilo Mariottini

Innanzitutto, durante i giorni più caldi è consigliabile sospendere ogni tipo di concimazione per concentrarsi completamente sulle annaffiature. Ricordate: dovranno essere abbondanti ma dosate con regolarità. L’acqua è l’elemento fondamentale per ogni essere vivente. Soprattutto durante l’estate è quindi vitale mantenere umido il terreno delle nostre piante d’appartamento. Mantenere sotto controllo il grado di umidità del terreno è piuttosto semplice: se vi rendete conto che questo si presenta troppo arido procedete con l’innaffiatura. Con i mesi estivi arriva anche il caldo torrido, condizione che molte piante soffrono. Inoltre, in questi casi, il terreno tende ad asciugarsi con rapidità, diventando permeabile: ogni volta che si procede con l’annaffiatura tutta l’acqua raggiunge subito il sottovaso. È il chiaro sintomo che il terreno non è più in grado di trattenere nessun liquido. In questi casi è consigliabile procedere con delle vere e proprie immersioni in una bacinella piena di acqua. Vedrete in un

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primo momento il vaso che galleggia, successivamente la pianta raggiungerà il fondo: capita perché il terreno lentamente si imbibisce di acqua e riesce così a trattenerla. Normalmente bastano 15 minuti per dare ristoro anche alle piante più sofferenti. Purtroppo non è possibile procedere con l’immersione per tutti i vasi presenti nei nostri appartamenti. In questo caso se le piante si presentano secche procedete bagnandole con lentezza, fate assorbire bene l’acqua prima di procedere ad innaffiare. In più esistono alcune importanti indicazioni da seguire per farle sopravvivere al caldo intenso, non basteranno le annaffiature. Normalmente la polvere che si deposita sul fogliame limita la traspirazione delle piante. Se non è possibile collocare le piante esternamente e garantire loro una pulizia tramite l’acqua piovana sarà necessario lavare le piante ed eliminare manualmente i depositi di polvere. Se le piante sono di esigue dimensioni è possibile addirittura collocarle nella vasca o nella doccia. Annaffiatele nel modo giusto, le vostre piante vi ringrazieranno!


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Si, viaggiare!

Roberto Barbafina

MALTA Da oltre 7000 anni è un luogo centrale nella storia del Mediterraneo. Malta già nel Neolitico viveva un'epoca d'oro di cui restano tracce nei templi megalitici sparsi nelle isole dell'arcipelago. Da non perdere l'unico esempio al mondo di tempio preistorico: l'Hypogeum. Da quel momento, grazie alla sua posizione, Malta si troverà al centro di varie conquiste, a partire dai fenici, greci, cartaginesi fino ai romani. Dopo la caduta dell'impero romano si affacciarono gli arabi che lasciarono una forte influenza nella lingua maltese moderna. Un altro periodo importante è stato quello della dominazione dei Cavalieri di Malta, a cui è dovuta la costruzione de La Valletta, l'odierna capitale. Passeggiando per le vie del centro storico ci si immerge in un mondo senza tempo, dove i palazzi e i nomi delle strade ricordano l'epoca in cui Malta era il baluardo della cristianità nel mediterraneo controllato dall'impero ottomano. Da un punto di vista artistico va segnalata la cattedrale di San Giovanni al cui interno sono custodite due opere del Caravaggio. A tutto questo non si può che aggiungere qualche escursione nelle spiagge e nelle calette più suggestive dell'isola di Gozo. TIBET Il paese delle nevi, un immenso altopiano oltre i 3500 metri sul livello del mare, ma anche uno scrigno di spiritualità che mantiene un fascino unico al mondo. Questa terra poco popolata e isolata dal resto della Cina, ha saputo sviluppare una cultura di pace e armonia con la natura. Lhasa, storica capitale del Tibet è l'attuale capoluogo della provincia cinese, accoglie i visitatori con la straordinaria immagine del Palazzo del Potala. Questa imponente costruzione di oltre cento metri, con oltre mille stanze al suo interno, è stata la residenza del Dalai Lama fino

all'invasione cinese del 1959. Oggi è un museo ed è possibile visitarlo ammirando le sale e le cappelle dove i monaci hanno vissuto e pregato per secoli. Scendendo dall'austerità del Potala, si può girovagare per il vecchio quartiere di Barkhor sopravvissuto alla rivoluzione culturale, oggi uno delle poche parti della città ad essersi mantenutasi originale. Per gli amanti dell'outdoor poi, il Tibet è la terra delle escursioni in alta montagna, con alcuni dei trekking più suggestivi al mondo negli altopiani contornati da vette perennemente innevate. MONTREAL È la metropoli nordamericana con l'impronta più europea, mix di culture e punto di fusione tra mondo anglosassone e francofono. Montreal rappresenta una scelta non scontata e non vi deluderà. Le radici della città sono francesi; dal 1760, però, il potere sia economico che politico passa di mano alle famiglie britanniche. Durante questa fase, le radici francofone sopravvivono e anzi si ampliano. In questo periodo avviene anche il grande sviluppo cittadino e la costruzione della Cattedrale di Notre-Dame. Nel '900 Montreal vive una intensa fase di crescita economica che porta benessere e migranti da tutto il mondo; ciò ha reso la città una fucina culturale, da cui sono nati un festival del jazz tra i più famosi al mondo e il Cirque du Soleil. Tra gli anni '60 e '70 la città fiorisce, prima con l'Expo e le opere connesse tra cui l'isola artificiale sul fiume San Lorenzo, poi con i giochi olimpici del 1976. Per apprezzarla bisogna girovagare nella città vecchia, sostare all'antico mercato agricolo di Bonsecours, sulle rive del fiume, dove oggi è tutto un susseguirsi di caffè, locali con musica dal vivo, gallerie d'arte e atelier. Da non mancare è una passeggiata nel parco di Mont Royal, con il suo balcone naturale che domina la città. info: roberto.barbafina@libero.it

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La musica di L.M. Banksy

Luca Marconi

A riprova del sound ci viene regalato un ammaliante preludio di quello che sarà il settimo album della band, «The Systems Only Dreams In Total Darkness», il primo singolo di dodici tracce totali. Il 21 giugno intanto, con uno show al Glastonbury Festival, i National daranno il via a un tour mondiale di supporto all'album, che toccherà buona parte dell’Europa e degli Stati Uniti (al momento nessuna tappa annunciata in Italia). I loro show sono da tempo tra i migliori live in circolazione dove, in un giusto mix di tecnica ed energia, riescono a coinvolgere il pubblico, grazie soprattutto ad uno tra i più carismatici frontman in circolazione. La band, originaria di Cincinnati ma adottiva di New York, si è contraddistinta per una tardiva, repentina quanto meritatissima ascesa al successo. Ad oggi infatti rappresentano una tra le più genuine ed alternative band della scena attuale, dove parallelamente alla fama sono cresciuti qualità musicale e impegno politico e sociale. La band nasce nel 1999, la formazione da allora è sempre

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rimasta la stessa: Matt Berninger (voce), Aaron (chitarra), Bryce Dessner (chitarra, tastiere), Scott (basso) e Bryan Devendorf (batteria). Agli inizi, molti dei membri del gruppo continuavano normalmente a lavorare nei giorni feriali, esibendosi in concerti gratuiti la domenica sera al Luna Lounge sulla Ludlow Street di New York. Il loro primo album The National fu pubblicato nel 2001 ed è stato l'inizio di uno stile unico ed una incredibile serie di successi: 2001 - The National (Brassland Records) 2003 - Sad Songs for Dirty Lovers (Brassland Records) 2005- Alligator (Beggars Banquet Records) 2007 - Boxer (Beggars Banquet Records) 2010 - High Violet (4AD) 2013 - Trouble Will Find Me (4AD) 2017 - Sleep Well Beast (4AD) A questo punto con trepidante attesa non ci resta che aspettare che... la bestia si svegli!


Opera di Margherita Moscardini

Margherita Moscardini (Donoratico - 1981), dopo aver realizzato una serie cospicua di disegni che affrontano temi di emergenza storica e sociale come rivoluzioni, esodi migratori, crack finanziari e adunanze di folle, arriva a riunire tutti questi lavori in un unico libro. Qui sceglie di non contestualizzare mai il luogo architettonico dello svolgimento dei fatti, ma anzi lascia intendere soltanto lo spazio di esso, tramite i vuoti e i pieni delle forme della folla tratteggiate a penna. Una scelta a dir poco particolare, più comodo sarebbe stato incorniciare i disegni e crearne una serie di opere, ma il libro ha in sè un'immagine portatrice di autorità, il libro diventa in questo senso non il raccoglitore dei disegni dell'artista, ma un prodotto confezionato per mostrare e conservare gli eventi che hanno creato l'uomo moderno. All'interno del libro troviamo fra le altre cose qualche disegno raffigurante i moti di piazza Tahrir (Il Cairo - 2011) processati da molti artisti, fra i quali l'artista egiziano Hany Rashed (Il Cairo – 1975) che, come la Moscardini, si è concentrato non tanto sul luogo dell'evento, ma sulle persone e i rumori, riproducendo i protagonisti con piccole sagome in compensato e ricostruendo in ambienti asettici, come quelli museali, l'originaria disposizione, il tutto completato dall'audio originale registrato dall'artista al momento dei fatti.

Sempre fra i vari disegni, se ne trova uno molto interessante per il numero delle persone intervenute all'evento rappresentato, una preghiera nella Grande Moschea della Mecca, opera che richiama immediatamente alla memoria l'opera di Shirin Neshat (Quazvin 1957) Fervor, crowd from back, che ci mostra lo stesso soggetto; uomini e donne intenti a pregare ma separati gli uni dagli altri. Gli uomini vestiti in bianco a destra e le donne coperte di nero a sinistra. Nell'enorme moltitudine di gente, solo due persone, un uomo e una donna ai lati apposti, si guardano attraverso il telo che li separa, immagine di cruda poesia dai risvolti perturbanti e sublimi, tale da farci quasi dubitare dell'utenticità dello scatto.

Hany Rashed

Shirin Neshat

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L’epoca di Elizabeth - incarnata sul grande schermo dalla magnifica Cate Blanchett in due film del 1998 e del 2007 - fu un periodo di tensioni e di guerre, ma anche di grande sviluppo della potenza inglese, tanto da passare alla storia come “The Golden Age”, quell’età elisabettiana che per splendore sarebbe stata oscurata solo due secoli e mezzo dopo grazie ad un’altra donna, la longeva regina Vittoria. Elisabetta fu regina tenace, per la sua fede protestante giunse al conflitto definitivo dalla Chiesa cattolica inimicandosi la Spagna di Filippo II fino all’epico scontro del 1588 in cui l’Invincibile Armada, partita da Cadice con 130 navi e 24 mila uomini, venne sconfitta nel Canale della Manica sventando così un’invasione dell’Inghilterra e ridefinendo gli equilibri di potere nell’intera Europa. Sfuggita a complotti di corte e attentati, amata dal popolo - che la ribattezzò “la buona regina Bess” - e temuta dai nemici, grazie alla sua intelligenza Elizabeth, in pochi anni, trasformò il suo regno da paese sull’orlo della bancarotta in superpotenza marittima, anche grazie a “corsari” come il celebre Sir Francis Drake che si misero al servizio della Corona.

Tanto si arricchì l’Inghilterra che la sovrana poté finanziare anche le guerre altrui, sempre se funzionali ai suoi interessi politici: appoggiò l’Olanda contro la Spagna inviando 20 mila soldati e 300 mila sterline in oro, e i protestanti francesi di Enrico di Borbone con 8 mila uomini e ben un milione di sterline. Sterline (dette anche “pound” o “sovereign”) che, a differenza di quelle di oggi (coniate in lega vile) erano monete d’oro finissimo, preziose per quanto pesavano, simboli di un potere smisurato e apprezzate sui mercati di tutto il mondo. In quell’età dell’oro ne vennero realizzate di magnifiche, nella storica zecca della Tower of London, lungo il Tamigi, con al dritto elaborati ritratti della sovrana guerriera - sul trono, oppure adorno della corona e di splendidi gioielli, ma anche dell’armatura - e al rovescio lo stemma reale o la rosa dei Tudor.

Moneta in oro della “regina vergine”

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MONICA BELLUCCI A CANNES: «NON FATE PIANGERE LE DONNE, DIO CONTA LE LACRIME» Grazie al pubblico per «l’amore per il cinema e l’arte...con la speranza che sempre più registe trovino spazio. Qui il mio ruolo di donna e di madrina mi costringe a ricordarvi due modi di dire: ‘Fate attenzione a non far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime’, ma anche ‘quando una donna si mette in testa di fare qualcosa il diavolo si siede e prende appunti’»: con un discorso declinato nei torni del rosa ed un abito trasparente di colore nero Monica Bellucci ha chiuso la settantesima edizione del Festival di Cannes del quale era madrina. É stata la regina incontrastata della Croisette al fianco di Pedro Almodovar: dall’abito blu firmato Dior che lasciava intravedere il seno, al bacio dato al comico Alex Lutz dopo aver ballato un passionale tango. Monica era già stata madrina

nel 2003 mentre nel 2006 sedeva in giuria ed è particolarmente legata al Festival «perché il mio percorso cinematografico - da Irreversible a Le Meraviglie- non sarebbe stato lo stesso senza Cannes», aveva detto prima di raggiungere la kermesse.

cui è presidente la moglie Liana Baracchi Ascani e vice presidente il figlio Paolo Ascani. Le due opere scelte dal curatore americano della mostra appartengono alla donazione che la famiglia fece alla Pinacoteca comunale di Città di Castello. Le opere che partiranno per l’America sono “Diagramma” del 1962, righe di cucito a macchina su tela non preparata, e “Cucito a macchina” del 1958, stoffa cucita a macchina. Sono esposte insieme alle altre 13, oggetto della donazione, in modo permanente ma a rotazione in una delle sale dell’ala moderna della Pinacoteca comunale.

NUVOLO IN MOSTRA A NEW YORK Un altro artista tifernate alla conquista della Grande Mela. Dopo il successo di Alberto Burri al al Gugghenhei Museum sarà una retrospettiva delle opere tra 1950 e 1965 del tifernate Nuvolo, al secolo Giorgio Ascani, quella che verrà inaugurata alla galleria Di Donna di New York il 26 ottobre 2017. Curata dal professor Germano Celant è la prima mostra monografica che gli Stati Uniti dedicano all’artista tifernate, deceduto nel 2008 e la cui promozione e tutela culturale è oggi supervisionata dall’Archivio Nuvolo, di

La mostra arriva dopo due presenze di opere di Nuvolo in aste internazionali: Phillips New York nel maggio 2015 e Sotheby’s Londra ad ottobre del 2016, entrambe con risultati record per l’artista ed estremo interesse attorno a questa figura da parte degli operatori internazionali. La mostra, dal titolo “Nuvolo: 1950-1965”, sarà anche l’occasione per approfondire il periodo artistico che nel secondo dopoguerra coinvolse Roma in un’entusiasmante proposta di giovani artisti tra i quali anche Burri, Colla, Emilio Villa, Capogrossi e appunto Nuvolo. E proprio questo periodo creativo verrà mostrato a New York concentrando l’esposizione sul periodo 1950-1965; periodo in cui Nuvolo sperimentava la tecnica della serotipia, dei daini e degli scacchi. Nella foto: “Cucito a macchina” esposto nell'ala Nuvolo della Pinacoteca Comunale


A LUGLIO ECCO L'UMBRIA FILM FESTIVAL Torna a Montone, dal 5 al 9 luglio 2017 (a ingresso gratuito fino a esaurimento posti), la ventunesima edizione dell’Umbria Film Festival, con la direzione artistica di Vanessa Strizzi, la direzione organizzativa di Marisa Berna e la presidenza onoraria di Terry Gilliam. Il festival si presenta per questa edizione con un filo rosso sul tema dell'adolescenza e dei bambini, da cui il sottotitolo della rassegna, 'Il Festival Svelato'. Circondato dal verde, dai querceti e dagli olivi e patria di Braccio Fortebraccio, il borgo di Montone sarà come sempre al centro delle proiezioni che animeranno Piazza Fortebraccio: dalle anteprime di cortometraggi internazionali, alle proiezioni di lungometraggi, per arrivare ai cortometraggi per bambini e quelli realizzati da videomaker umbri, per la sezione del concorso Umbriametraggi. Tra i lungometraggi presentati, il film indiano Dhanak, di Nagesh Kukunoor, vincitore della Menzione Speciale della Giuria Giovane Generation Kplus al Festival di Berlino. Quindi sarà proiettato l'italiano La Guerra dei Cafoni, opera seconda a quattro mani di Lorenzo Conte e Davide Barletta, interpretato, tra gli altri, da Claudio Santamaria ed Ernesto Mahieux e che sarà presentato al pubblico dagli stessi registi e dallo scrittore Carlo D'Amicis. Una storia di adolescenti ambientata in un Sud Italia incontaminato e metafisico, a metà degli anni Settanta, che unisce tragedia e commedia, metafora e realismo, prosa e poesia. Il festival consegnerà quindi un Premio alla migliore opera prima o seconda. Novità di questa edizione, il corso di animazione dedicato agli adolescenti. Info: www.umbriafilmfestival.com

FAMIGLIA BIANCHINI, UNA DONAZIONE DAVVERO SPECIALE Due letti di degenza di ultima generazione, che facilitano la gestione da parte del personale sanitario di pazienti non autonomi, sono stati donati giovedì 18 maggio dalla famiglia Bianchini di Città di Castello alla struttura complessa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto Renale dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, al S. Maria della Misericordia. «Si tratta di dispositivi in grado di migliorare il confort dei pazienti ricoverati, che consente loro, grazie alla tecnologia della quale sono dotati, di modificare elettronicamente la posizione del corpo, durante le varie fasi della giornata - ha detto il dottor Emidio Nunzi, direttore della struttura -. Oltre al confort, i letti donati consentono il monitoraggio del peso corporeo e permettono il trasferimento del paziente per eseguire il trattamento dialitico o effettuare esami strumentali, senza dover ricorrere di altri presidi». I due letti speciali sono il frutto di una raccolta fondi effettuata dalla famiglia Bianchini in occasione della presentazione di un libro autobiografico del fondatore dell’omonima azienda produttrice di infissi commercializzati in tutta Europa. Alla cerimonia erano presenti la vedova Patrizia Bianchini e la figlia Lorenza, oltre a parenti e amici. «Con questo gesto abbiamo voluto testimoniare la nostra riconoscenza al personale della struttura dove il nostro congiunto Carlo è stato assistito con competenza ed umanità – ha voluto sottolineare la famiglia Bianchini -. Questa donazione ci è sembrata il modo migliore per onorarne la memoria».


IL CITTA’ DI CASTELLO RUGBY PREMIATO PER LA PROMOZIONE IN SERIE C1

targa ricordo al presidente della società Marco Notarianni, ai vice presidenti Dario Ronti e Mauro Bacinelli, all’allenatore David Watson, al capitano Fabio Ciotti, al preparatore atletico «Questo è un premio al bellissimo risultato sportivo raggiunto Simone Chiasserini e ai giocatori. con la promozione nel campionato di serie C1, ma anche all’esperienza davvero unica del Città di Castello Rugby, che con Insieme ai dirigenti, ai tecnici e ai giocatori, il presidente Nogrande passione è capace di coniugare sport e promozione so- tarianni ha ringraziato l’amministrazione comunale per «il ciale coinvolgendo le famiglie e le associazioni del territorio in sostegno dato all’attività sportiva della società fin dalla sua progetti e iniziative di rara importanza e sensibilità». Il sindaco costituzione nel 2003, accompagnando la crescita del moviLuciano Bacchetta e l’assessore allo Sport Massimo Massetti mento sportivo con un supporto che oggi permette di tagliare hanno sottolineato così la vittoria del campionato di serie C2 traguardi significativi e disporre di uno dei migliori impianti del Città di Castello Rugby, consegnando, a fine maggio, una per il rugby in Italia».

KILOWATT A SANSEPOLCRO, MOLTO PIU' DI UN PRINCIPIO DI SPERANZA La quindicesima edizione di Kilowatt Festival presenta anche quest'anno, dal 14 al 22 luglio, un ricco programma di teatro, danza, musica, circo contemporaneo, incontri, che faranno di Sansepolcro un punto di riferimento nel panorama teatrale nazionale dal forte respiro internazionale. Tra i nomi più conosciuti al grande pubblico che saranno a Sansepolcro quelli di Ermanna Montanari, Bobo Rondelli, Ascanio Celestini, Leo Bassi, Raphael Gualazzi, Tom Struyf accanto a buona parte dell'eccellenza della scena teatrale, musicale e coreografica italiana e internazionale. Un cartellone composto da 54 spettacoli di teatro d'innovazione, danza e circo contemporaneo con 40 compagnie, delle quali 7 straniere, 18 fra prime assolute, prime, anteprime nazionali ed eventi unici nonché una significativa quantità di eventi collaterali come incontri, collaborazioni, mostre che si svolgeranno in 9 differenti luoghi di spettacolo.

poetica del festival. I sogni, le favole, i film, gli spettacoli, mettono in moto i nostri desideri profondi e ci invitano a trasformarli nelle nostre imprese più stimolanti. «Kilowatt è l’occasione che creiamo ogni anno per esprimere i desideri e le visioni di una comunità, che ritroverà se stessa quanto più tornerà a sperare. “Il principio speranza” è un invito e un augurio per il futuro: mettere l’immaginazione al Un programma ricco e variegato che riassume, nel titolo posto della paura», ha dichiarato il direttore Luca Ricci. dell’edizione 2017 “Il principio speranza", ispirato al libro omonimo del filosofo tedesco Ernst Bloch, la visione Per il programma completo visionare il sito www.kilowattfestival.it


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