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VOICE
sept 2003n째 3 MOMAvoice/magazine
Ogni sei mesi dedichiamo questo magazine alla creatività “Quella che ha un’anima e non è solo un esercizio di pura accademia”. Questo numero 3+0 è stato illustrato da Giacomo Bufarini. Each season, we want to dedicated this magazine to the creativity. “That has a soul and it is not only an exercise of pure accademy”. We are always looking for new ispirations, artists, unordinary brains. It’s up to you to show us your ideas, catching the possibility to free your creativity. We’ll use this magazine in order to give you a chance to whom who have something special to say, explain, create, that has a soul and it is not only an exercise of pure accademy. We are waiting for you to contact us to show your suggestions. Sand your mails at: creativisolati@creativisolati.it This is our 3rd+0 ediction as been illustrated by Giacomo Bufarini.
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Giacomo Bufarini Lo abbiamo studiato a lungo Giacomo. Lo abbiamo visto lavorare. Prendere in mano qualunque cosa potesse lasciare un segno e riempire spazi che bianchi, nella sua logica, non potevano rimanere. Ci siamo sforzati di analizzarlo, cercando di farci strada dentro la sua testa dove, di strade vere non ce ne sono, ma solo piccoli sentieri che solo lui riesce ad individuare. E abbiamo capito. Capito che in realtà non c’è nulla da capire. È tutto lì davanti ai nostri occhi, dentro i suoi segni. Dentro le sue linee contorte che viste con occhi nuovi riescono a diventare chiarissime. Come mappe. E iniziamo questo viaggio allora. Che ci si muova non è importante. L’importante è che si vada lontano. E ci andremo. Eccome se ci andremo. We have studied him for so long. We have seen him working, taking whatever could leave a sign and fill spaces that in his logic could not remain white. We strove to analize him, trying to clear a way through his mind where there are not true roads, but only small paths that only him can locate. And we understood. We understood that in reality there is nothing to understand. Everything is in front of our eyes, inside his signs. Inside his twisted lines that seen with new eyes can become very clear. Like maps. Let’s start this trip then. It is not important that we move. It is important to go far. And we will go. It is sure that we will go.
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Ed è inutile vagare su internet, cercando delle risposte che non posso avere, che non voglio forse. Cosa voglio poi infine? And it is useless roving in the net, seeking answers that I can not have, that I don’t want, maybe. What I want in the end?
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l’arancio delle vesti di un monaco buddista. la musica elettronica islandese. il burqua delle donne afgane. la minigonna di una donna parigina. un matrimonio tradizionale in India. una dark room ad Amsterdam. il suono del mare in Sicilia. il rumore di un fucile da qualche parte nel mondo. l’odore del fumo di una sigaretta fumata a Barcellona. il colore dell’alba a Capo Horn. il banco disegnato di uno studente annoiato in Messico. la luce di una raffineria in Italia. la luce di un’abat_jour accesa nel mezzo della notte a Lisbona. due persone che si stanno innamorando in una chat room. Nomadismo Culturale. the orange of the clothes of a buddhist monk. the icelandic electronic music. the burqua of afghan woman. the miniskirt of a parisian woman. a traditional marriage in India. a dark room at Amsterdam. the sound of the sea in Sicily. the sound of a rifle somewhere in the world. the smell of the smoke of a sigarette smoked in Barcelona. the colour of the dawn in Cape Horn. the drawned desk of a bored student in Mexico. the light of a refinery in Italy. the light of an lampshade in the middle of the night in Lisbon. two person that are falling in love with each other in a chat room. Cultural Nomadism.
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Come lo ricordo quel viaggio. “NO USE EL WC CUANDO EL TREN ESTÁ EN UNA ESTACIÓN”. Ma il solito spiritoso aveva raschiato via il “NO”. “USE EL WC CUANDO EL TREN ESTÁ EN UNA ESTACIÓN” diceva adesso l’avviso. Vero è che una mano ignota aveva riscritto il “NO”. Ma molto migliore era stata l’opera di raschiatura, che quella maldestra di restauro, a matita e con incerta calligrafia. Adesso pareva che proprio quel “NO” fosse l’aggiunta arbitraria. Il viaggio non finiva mai. Io ero tornato al gabinetto solo per riguardare l’avviso, che mi permetteva, almeno, di immaginare qualcosa - quale doveva essere stato il volto del viaggiatore, mentre raschiava il “NO” col temperino, e il volto dell’altro che l’aveva riscritto. Due viaggiatori stanchi del viaggio, come me. Due viaggiatori qualsiasi; magari, due di quel gruppetto che chiacchierava in fondo al vagone e in cui sarebbe stato così facile entrare. Ma nessuno di quei volti vivi mi interessava quanto i due volti della scritta e della mia fantasia: come se, più delle banali chiacchiere di viaggio, contasse la scritta, in certo modo perenne – anche se si riferiva soltanto all’uso del gabinetto.
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Luigi Del Re “Attesa a Guatambù”
How I remember that trip. “NO USE EL WC CUANDO EL TREN ESTÁ EN UNA ESTACIÓN”. But the usual witty man had scratched out “NO” . “USE EL WC CUANDO EL TREN ESTÁ EN UNA ESTACIÓN” say now the inscription. It is also true that an unknown hand had written back “NO”. But the scratching was better than the restoration, done with a pencil and with a doubtful handwriting. Now that “NO” seems to be the arbitrary addition. The trip never ended. I came back to the toilette only to read the advice, that allows me, at least, to imagine something – what was the face of the traveller while was scratching out “NO” with a penknife, and what was the face of the other while was writing it back. Two travellers tired of the trip, like me. Two travellers whatever; maybe, two of that group that chatted at the end of the carriage and where enter could be so easy. But no one of those living faces touch me as much as those two faces of the writing and of my fantasy: as if, more than the banal chatters on trip, the writing was important, in some way perpetual – even if it concerned only the use of the toilette.
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COGITO ERGO SUM Penso dunque sono (Cartesio)
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Luigi Del Re “Attesa a Guatambù”
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Di proposito da anni non mi muovo da casa mia. Siedo gran parte della giornata di fronte al mio mac e guardo dritto davanti a me. Io sono un nomade. Non ho fissa dimora. Unico punto di riferimento la luce. E che sia quella del sole o quella del display non fa molta differenza. Io mi sposto. Percorro mille chilometri in pochi minuti e ritorno, mi fermo, studio, mi meraviglio e riparto. Di proposito da anni non mi muovo da casa mia. Ho visto mille popoli in questo tempo, guardato negli occhi gli indigeni africani e ammirato le sete colorate nelle pozze di colore in India. Scoperto che oltre me, lontano da qui, ci sono persone che osservano con i miei stessi occhi. Riesco persino a vedere l’odore dei cibi dell’oriente o del fumo dei salotti francesi di parecchio tempo fa. Riesco a vedere il suono dei tamburi dei Mahori e quello vitale del rave di Berlino di tre notti fa. Non c’è differenza alcuna. Di proposito da anni non mi muovo da casa mia. Questo è il mio viaggiare, i miei occhi un database, il mio mac le mie gambe. Nomadismo culturale lo chiamo io. Io sono vivo. On purpose for years I do not move from home. I sit down the most part of the day in front of my mac and I look right in front of me. I am a nomad. I do not have a fixed home. The only point of reference is the light. The light of the sun or the light of the display it does not make any difference. I move. I travel for thousand kilometers in a few minutes and I come back, I stop, I study, I wonder myself and I leave again. On purpose for years I do not move from home. I have seen thousand peoples in this time, looked in the eyes the african native and admired the coloured silks in the pools of colour in India. I found that besides me, far from here, there are persons that watch with my same eyes. I succeed even in seeing the smell of the eastern foods or the smoke of french drawing rooms of a long time ago. I succeed in seeing the sound of Mahori drums, and the vital one of the rave in Berlin three days ago. There is not any difference. On purpose for years I do not move from home. This what travel means for me, my eyes are a database, my mac is my legs. I call it Cultural Nomadism. I am alive.
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bisogna trovare un compromesso, un punto di congiunzione, in modo che vadano daccordo cervello e mano mano e cervello!
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[Giacomo]
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“Ma nessuno di quei volti vivi mi interessava quanto i due volti della scritta e della mia fantasia”
MOMA VOICE concept by
creativisolati@creativisolati.it
illustration
giacomo bufarini
runnerz00@hotmail.com photo and graphic_design
patrizia perucci
PATRASH89@hotmail.com text
nicolò cerioni
c_nick_o@hotmail.com
il testo di pagina 10 è stato tratto dal libro di Luigi Del Re “Attesa a Guatambù” edito da Arnoldo Mondadori Editore
moma voice magazine è stato tirato in 3000 copie dalla errebi grafiche ripesi di falconara ed è disponibile presso tutti i punti vendita moma e presso
MICAM 20-23 sept 2003 Milan Pad. 17 G21_H16
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