Storia
Mussolini su Roma marciò in treno. In vagone letto, per la precisione. E ci arrivò solo a cose fatte, quando aveva già in mano il formale invito del re a guidare il governo. L’uomo che stava per prendersi l’Italia lasciò orchestrare l’insurrezione ai suoi fedeli. Chi erano dunque gli uomini che parteciparono e organizzarono, entusiasti, la caduta dell’Italia democratica? È a questa domanda che vogliamo rispondere nel Primo piano di questo numero, pensato per il centenario dell’evento che cambiò per sempre le sorti dell’Europa e del mondo, non foss’altro per la decisione scellerata di Mussolini di legarsi a Hitler. Scopriremo i chiaroscuri di figure come Italo Balbo, idolo dello squadrismo ma anche uno dei pochi che si mise di traverso sulle leggi razziali. O le bassezze di zelanti gerarchi che, per brillare agli occhi del duce, lo superarono in creatività nell’asservire gli italiani, dal “cretino obbediente” Starace al rozzo Farinacci a Pavolini. Insomma, rileggiamo una complessa pagina della nostra storia attraverso gli uomini che l’hanno scritta e quelli che, per vigliaccheria, paura o tornaconto, non li fermarono.
Emanuela Cruciano caporedattriceUn gruppo di Camicie nere in viaggio verso Roma (ottobre 1922).
In copertina: Mussolini in parata con i quadrumviri il 30 ottobre 1922 a Roma.
IN PIÙ...
18
VITA QUOTIDIANA
Sotto le lenzuola
Nel Medioevo il letto era il centro della casa, dove si mangiava, si riceveva, si studiava.
24 PERSONAGGI
Volevo i pantaloni
La riscoperta di Rosa Bonheur, pittrice francese icona dell’emancipazione femminile.
30 GIALLO STORICO
Senza scampo
COSÌ NASCE UNA DITTATURA
36
1922: dritti al potere Quale giudizio si può dare sulla Marcia su Roma? Come va inquadrata storicamente? Ne parliamo con lo storico Emilio Gentile.
38
Il conto alla rovescia
La cronaca, minuto per minuto, della Marcia su Roma. Che cominciò molto prima del fatidico ottobre 1922.
44
Quadrumviro di ferro
Italo Balbo, da uomo di fiducia di Mussolini a spina nel fianco: ascesa e caduta del quadrumviro più famoso.
50
Le anime nere del fascismo
Chi erano Starace, Farinacci e Pavolini? Ritratto dei tre gerarchi più zelanti del Ventennio.
58
Al suo servizio
Gli intellettuali e gli artisti che credettero nel regime o che, per paura e ambizione, si adeguarono.
64
Dall’altra parte
Chi c’era dall’altra parte della barricata ad arginare l’uragano fascista?
Politici deboli, ma anche eroi che pagarono con la vita il loro dissenso.
La morte, ancora avvolta nel mistero, di Caravaggio.
70 IN VIAGGIO
Sulle orme degli Etruschi
In Toscana, alla scoperta di necropoli, città e musei dell’antica civiltà.
74 BATTAGLIE
I bellicosi Colonna La storica casata di patrizi romani che prese parte a tutte le guerre della Penisola.
80 ANNIVERSARI
Le mamme di Diabolik
60 anni fa, le sorelle Giussani crearono il re del terrore.
86
PORTFOLIO Domiziano
Uno degli imperatori meno amati, protagonista di una grande mostra.
92
RITRATTI
Alla ricerca di Proust
Lo scrittore dei salotti parigini, talentuoso, sensuale e fragile.
SPECIALE
Su Storia in podcast, la grande audioteca di Focus, continua la serie dedicata al migliore amico dell’uomo, il cane, con la quale raccontiamo la vita di alcuni dei quattro zampe più famosi della Storia. In una delle puntate raccontiamo la storia di fedeltà di Hachiko, che rese
la razza akita un simbolo del Giappone. Dopo la morte del suo padrone, avvenuta nel 1925, il cane lo aspettò ogni giorno, per anni, alla stazione della metropolitana. Ma abbiamo riservato un episodio anche a Peritas, un molosso da combattimento appartenuto ad Alessandro
Magno. Il condottiero era talmente affezionato al suo cane che alla morte di Peritas, nel 326 a.C., decise di commemorarlo dando il suo nome a una città. Online. Per ascoltare i nostri podcast (sono oltre 420 le puntate, che spaziano dalle biografie di personaggi
famosi alla ricostruzione di grandi eventi storici passando per le vicende delle case reali) basta collegarsi al sito storiainpodcast.focus. it. Gli episodi – disponibili anche sulle principali piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.
sentenza della Corte marziale, subirà la pena di morte”. Per salvargli la vita si prodigò addirittura il filosofo illuminista e scrittore francese Voltaire, suo conoscente, ma la grazia, richiesta dal ministro della Guerra William Pitt il Vecchio (1708-1778) al re Giorgio II Hannover (1683-1760), venne respinta. Così al filosofo la tragica sorte di Byng ispirò la celebre battuta del suo romanzo Candide (1759) “in questo Paese giudicano opportuno uccidere ogni tanto un ammiraglio per incoraggiare gli altri”. Poi per celebrare le vittorie navali britanniche del 1759 (per giunta l’ammiraglio Sir George Pocock, cugino di Byng, aveva sconfitto i francesi al largo delle coste indiane) venne composto il canto patriottico Heart of Oak, ancora oggi marcia ufficiale della Royal Navy. Nel 1779 la pena di morte per i comandanti con scarso spirito pugnace venne emendata dal Codice di guerra; eppure nel 2007 il Ministero britannico della Difesa ha respinto la petizione per il perdono postumo dell’ammiraglio John Byng.
Fabio Lambertucci, Santa Marinella (Roma)
Il curioso linguaggio di Farfariello
In riferimento all’articolo “Il Totò d’America”, pubblicato su Focus Storia n° 192, volevo sottolineare che Farfariello, alias Eduardo Migliaccio, negli Stati Uniti era considerato un immigrato di “serie A”, non un disperato. Discendeva da una ricca e aristocratica famiglia napoletana, che già nell’Ottocento possedeva uno stabilimento tipografico all’avanguardia. Infatti lui aveva studiato e parlava perfettamente la lingua italiana. L’occasione per imparare quella buffa parlata a metà strada tra dialetto
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meridionale e inglese gliela diede il suo primo impiego in banca, dove era a stretto contatto con migranti italoamericani.
Una volta arrivato a New York venne assunto presso la Banca Avallone, dove il suo compito era leggere e interpretare le lettere di altri immigrati, spesso analfabeti, per poi
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dare loro suggerimenti sul come spendere e investire i soldi guadagnati. Migliaccio seppe fare di necessità virtù e, dotandosi di grande pazienza, acquisì familiarità con lo sgangherato linguaggio degli italoamericani che lo rese così popolare.
Anna Rosa GroppiFarfariello in abiti di scena, durante i suoi spettacoli.
LA MARCIA SU ROMA OTTOBRE 1922
1922: DRITTI
Quale giudizio si può dare oggi della Marcia su Roma, l’evento che diede il via all’era fascista? Chi affiancò Mussolini nell’orchestrare il tutto? Ne parliamo con lo storico Emilio Gentile.
Quando si cominciò a ipotizzare un’azione di forza da parte dei fascisti per conquistare il potere?
Volendo indicare una data precisa, potrebbe essere quella del 13 agosto 1922, giorno in cui, rivolgendosi al Comitato centrale del Partito nazionale fascista (Pnf), riunito a Milano, il segretario generale Michele Bianchi (v. articolo a pag. 44) affermò: “Quello di oggi è il momento più difficile che il fascismo abbia mai attraversato” In breve, la guerra contro i partiti antifascisti appariva ormai vinta, dopo che gli squadristi, all’inizio di agosto, avevano stroncato lo “sciopero legalitario” indetto dai sindacati di sinistra e, più in generale, avevano vinto la sfida lanciata contro lo Stato liberale, incapace di impedire a un partito-milizia – com’era quello fascista – di spadroneggiare in gran parte delle provincie del Nord e del Centro del Paese, nonché in diverse aree del Sud e delle Isole. Il Pnf era arrivato a contare oltre 300mila iscritti, a cui si sommavano circa 700mila lavoratori
della terra, afferenti ai sindacati fascisti. L’unico modo per gestire tale massa era assumere in modo definitivo le redini del potere: fare un ultimo, decisivo passo (è a tale difficoltà che si riferiva Bianchi) verso un’azione di forza.
Ma se il Partito nazionale fascista era già così forte, che bisogno c’era di accelerare la scalata al potere istituzionale? Che cosa poteva accadere altrimenti?
Poteva accadere quel che era già accaduto al Partito socialista, il più grande in Italia dopo il 1919 (con milioni di lavoratori organizzati nei suoi sindacati), che non riuscendo a conquistare il potere fu disgregato dalla violenza squadrista. All’inizio del 1921 Mussolini affermò che il bolscevismo in Italia era stato sconfitto, ma proprio ciò indusse molti di coloro che fino a quel momento avevano sostenuto il fascismo come “ramazza antibolscevica” a ritenere di non averne più bisogno: la casa borghese era stata rimessa in ordine, e gli squadristi potevano tornare alle loro pacifiche attività civili. Per non fare la fine del Partito socialista, era dunque necessario puntare dritti al potere.
Chi, tra i fascisti, s’impegnò in modo particolare per impedire, tramite un’azione di forza, che al partito toccasse la stessa fine dei socialisti? Proprio il citato Michele Bianchi. Già artefice dell’offensiva lanciata dal Pnf contro lo Stato, fino al 27 ottobre 1922 – giorno dell’inizio dell’insurrezione – risultò senza dubbio il più convinto sostenitore della conquista del potere tramite il ricatto di una mobilitazione squadrista, volta se possibile a coinvolgere l’Italia intera. Di ciò egli convinse infine anche Mussolini, il quale comprese di dover cogliere “l’attimo fuggente”. A quel punto Bianchi fu in prima linea nel condurre le operazioni, affiancato da altri tre “quadrumviri” (i quattro leader fascisti che guidarono l’insurrezione: oltre a Bianchi, Italo Balbo, Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi, vedi articolo a pag. 44).
Ma unico tra loro a insistere affinché la guida del governo fosse presa
direttamente da Mussolini, fino a forzare quest’ultimo – indeciso sul da farsi fino alla notte del 28 ottobre – a non accettare altre soluzioni.
In questo contesto, quali forze avrebbero potuto impedire al fascismo di andare all’assalto del potere? Innanzitutto un governo con una larga maggioranza parlamentare, laddove si fosse deciso di usare il monopolio legittimo della forza legale – ossia l’esercito – per stroncare un movimento rivoluzionario che contava alla Camera solo una trentina di deputati, ma che si era già macchiato di pesanti soprusi in diverse città, mettendo al bando i suoi nemici, anche parlamentari. Peraltro, nel governo del debole e incerto Luigi Facta vi fu in effetti chi, come Giovanni Amendola e Giulio Alessio, chiese la piena restaurazione dell’“imperio della legge”, come allora si diceva, ma costoro
Adunata
Fascisti in camicia nera partecipano all’adunata di Napoli il 24 ottobre 1922: proprio da Napoli prese le mosse la marcia verso Roma che, il 31 ottobre, portò Mussolini al potere dopo che Vittorio Emanuele III lo nominò capo del governo.
MONDADORI PORTFOLIOal POTERE
rimasero in minoranza. Nel complesso i partiti antifascisti erano impegnati a combattersi fra di loro, e il governo a metà agosto, chiusa la Camera, andò in vacanza, lasciando appunto ai fascisti il modo e il tempo di organizzarsi e puntare su Roma.
Quanti furono, complessivamente, i partecipanti alla marcia?
Dopo che il 16 ottobre gli squadristi ebbero occupato Trento, Bolzano e Treviso, il giorno 24 circa 50mila di loro, radunati a Napoli, ricevettero dai quadrumviri l’ordine di prepararsi a conquistare il potere (anche se Mussolini pensava ancora a un governo presieduto da qualche liberale come Giovanni Giolitti o Antonio Salandra, pur affiancato da ministri fascisti) marciando tra le vie dell’Urbe.
Più nel complesso, l’insurrezione giunse a coinvolgere diverse decine migliaia
di squadristi che, armi alla mano, presidiarono le città già occupate.
E come mai, quando il 27 ottobre le legioni squadriste si prepararono a calare sulla capitale, Mussolini preferì rimanere a Milano?
Perché a Milano aveva il suo giornale, Il Popolo d’Italia, necessario per propagandare la marcia, e a Milano trattava inoltre con gli industriali e, segretamente (tramite il prefetto Alfredo Lusignoli), con lo stesso Giolitti nonché con Salandra e altri liberali quali Orlando, Nitti e Facta. Mussolini, come detto, cercava di ottenere soltanto qualche ministero, ma il fatto che i suoi interlocutori volessero evitare l’uso della forza con i fascisti, timorosi di una guerra civile e di una riscossa della sinistra (anche per questo Vittorio Emanuele III rifiutò il 28 ottobre di dichiarare lo stato d’assedio), gli offrì
di Matteo Libertil’occasione di esigere il massimo, cioè di pretendere di diventare capo del governo.
Quali furono i giorni decisivi della Marcia su Roma?
L’insurrezione iniziò la notte del 27 ottobre con l’occupazione di uffici postali e telegrafici, questure, prefetture e stazioni ferroviarie. Dopodiché, il giorno seguente, sotto una pioggia torrenziale circa 20mila squadristi furono bloccati attorno alla capitale dalla forza pubblica, tanto che la notte il re, il ministro dell’Interno e persino il capo della polizia andarono tranquillamente a dormire. La marcia non si completò neanche il 29 ottobre e neppure il 30, giorno in cui Mussolini giunse finalmente a Roma con l’incarico di formare il nuovo governo. Fu quindi nella mattina del quinto giorno, il 31 ottobre, che le strade di Roma vennero invase dagli squadristi, che sfilarono in 100mila.
Quale resistenza incontrarono?
Gli antifascisti non presero purtroppo seriamente l’insurrezione, e subito dopo la nomina di Mussolini a capo del governo la violenza squadrista lasciò poco spazio a reazioni di sorta: fino al 2 novembre, infatti, nella capitale i fascisti aggredirono e uccisero numerosi antifascisti inermi. Quel che seguì fu un ventennio di regime totalitario che consentì a Mussolini, un semplice caporale, di assumere nel 1940 il comando di tutte le forze operanti, arrivando a dichiarare guerra alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Grecia, alla Jugoslavia, alla Russia e agli Stati Uniti. Decretando la catastrofe per l’Italia e la disfatta del fascismo stesso.
VISIONARIO Questo celebre ritratto di Domiziano (81-96 d.C.) mostra i tratti di un individuo volitivo. In effetti l’imperatore fu determinato nel volere, per esempio, una Roma diversa da quella che l’aveva preceduto.
DAMA DI CORTE Ritratto femminile è il busto di una donna della famiglia imperiale o di un’aristocratica dell’Urbe. Lo si capisce dalla raffinata acconciatura: alta corona di boccoli e sulla nuca una crocchia di trecce.
DOMIZIANO odio o amore
IL PADRE
Ritratto di Vespasiano. Primo della gens Flavia, fu anche il primo imperatore non aristocratico: veniva da una modesta famiglia del ceto equestre della Sabina. Gran combattente, si fece strada per meriti militari e salì al trono nel 69 d.C., appoggiato dalle legioni orientali.
Svetonio, per attestarne la folle tirannia, scrisse che aveva l’abitudine maniacale di infilzare le mosche quando era solo nella sua stanza
LA NIPOTE?
Testa-Ritratto di Dama Flavia (Julia Titi?) raffigura una donna che potrebbe essere Giulia, figlia di Tito. L’identificazione è discussa, ma dimostra quanto fosse importante Giulia per i Flavi. Infatti fu elevata Augusta in vita e divinizzata alla sua morte dallo zio Domiziano.
I DETRATTORI
Busto-ritratto di Domiziano con foglie d’acanto Domiziano ebbe molti trionfi militari, fu il primo ad aumentare la paga ai soldati e fu molto devoto agli dèi, soprattutto a Giove e a Minerva. Ma fu ucciso in una congiura e il Senato decretò per lui la damnatio memoriae (cancellazione del ricordo).
LA MOSTRA
Fino al 29 gennaio 2023 chi volesse approfondire la controversa figura dell’ultimo dei Flavi, può visitare l’esposizione Domiziano Imperatore. Odio e amore, (www. museicapitolini.org). Allestita a Villa Caffarelli, nuova sede dei Musei Capitolini di Roma, la mostra getta una luce diversa su un imperatore che fu tacciato di tirannia e sadismo da Senato e storiografi antichi (Svetonio, Cassio Dione, Tacito), ma che secondo
l’analisi delle fonti materiali (soprattutto le epigrafi) fu un buon amministratore e attuò riforme urbanistiche che si possono vedere ancora oggi. Nel percorso, che racconta la complessa vita di Domiziano, i visitatori potranno quindi ammirare capolavori scultorei, oggetti di lusso, mosaici, affreschi, armi e monete, ma anche i plastici dei principali monumenti dell’età flavia (come lo stadio di Domiziano) ed elementi architettonici.
IL FRATELLO Ritratto colossale di Tito. Questi succedette al padre Vespasiano. Era così colto, giusto e generoso che fu definito “delizia del genere umano”. Ma governò solo per due anni: morì all’improvviso nell’81 d.C.
LA MOGLIE Cammeo con l’imperatrice Domizia Longina su pavoni. Domizia ebbe un figlio che morì presto, ma fu divinizzato, garantendole così il titolo di Augusta anche dopo l’assassinio del marito.
IL LUSSO
Questo specchio firmato dal greco Europos, con ritratto dell’imperatore Domiziano, è uno squisito oggetto celebrativo. Dimostra quanto importante fosse per questo princeps il culto della bellezza classica.
VITA IN VILLA Altorilievo con prigioniero barbaro e trofeo d’armi. Era il rivestimento di una porta o di un arco del Foro dell’antica Bauli (Bacoli), luogo di villeggiatura in età imperiale.
Aveva patito a lungo un complesso di inferiorità nei confronti del fratello Tito, più grande di lui di 10 anni e portato a esempio da tutti