Focus 350 - Dicembre 2021

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350

23 NOVEMBRE 2021 DICEMBRE 2021 € 4,90 IN ITALIA

PROVE DI FUTURO ECOLOGICHE, IPERCONNESSE, INTELLIGENTI: SARANNO COSÌ LE CITTÀ DI DOMANI. ECCO QUELLA CHE TOYOTA STA COSTRUENDO IN GIAPPONE E GLI ALTRI PROGETTI IN GIRO PER IL MONDO SPAZIO IN MISSIONE SU VENERE PER SVELARNE I MISTERI

MIGRAZIONI CHE COSA CI INSEGNANO LE ROTTE DEGLI UCCELLI

SFIDE IL ROBOT DI LEONARDO COSTRUITO IN GARAGE

NUMERO DOPPIO CON

DOMANDE&RISPOSTE

STRETCHING COME TORNARE “ELASTICI” DOPO IL LOCKDOWN

LA SCIENZA IN PILLOLE


350 DICEMBRE 2021

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Scoprire e capire il mondo PRISMA

8 Seppie social 13 I “cugini” estinti 17 La miopia in numeri 24 Facciamo spazio 28 Ho... bucato lo schermo 30 La dieta degli antenati

8

Le seppie sono capaci di self-control

18

Il picchio dal becco d’avorio. Non lo rivedremo mai più?

dossier Esperimenti 32 LA CITTÀ DI DOMANI

42 UN CUORE SEMPRE PIÙ VERDE

FUTURISTICI IN GIRO 38 PROGETTI PER IL MONDO

MEGALOPOLI CHE CI 46 LE ASPETTANO

Pulita, tecnologica, intelligente. Ed è già in costruzione a 120 km da Tokyo. L’ha ideata Toyota per immaginare il futuro urbano.

I nuovi centri urbani avranno emissioni quasi azzerate e si preoccuperanno della salute dei cittadini e dell’ambiente.

La lotta contro i gas serra e le isole di calore si giocherà nelle città. Ma occorre mettere un limite al cemento.

Demografia e urbanizzazione: a che punto siamo in base ai dati più recenti, e quali sono le previsioni per i prossimi decenni.

48 SU E GIÙ LA MASCHERINA medicina

Ecco come sarà il nostro futuro in compagnia di Covid-19.

55 SE NON AVESSIMO IL POLLICE...

60 A COSA SERVE “ALLUNGARSI”

68 ANDIAMO ALL’INFERNO

MULTIMEDIA

corpo umano

Il primo dito della nostra mano ci semplifica la vita, da milioni di anni.

Scopri video, audio, timelapse e tanti altri contenuti.

sport

Con la ripresa delle attività ne abbiamo tutti un po’ bisogno. Ecco perché lo stretching funziona.

universo

Venere ha un ambiente infuocato e proibitivo, ma è sempre stato così? Le missioni per scoprirlo.

In copertina: Foto portante: Cortesia Toyota; Cortesia Telosa.

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D&R Speciale 144 ANIMALI 148 SPORT 152 SCIENZA 154 SOCIETÀ 156 STORIA 160 TE LO DICE...

162 CIBO 164 ECONOMIA 166 SALUTE 170 AMORE E SESSO 174 ARTE E CULTURA 176 TECNOLOGIA

74 COME FUNZIONA LA PIOGGIA

78 COME AGISCE LA DROGA SUL CERVELLO

natura

Il meccanismo che trasforma il vapore acqueo in pioggia è più complicato di quanto sembra.

86 IL PARADOSSO DEL METANO tecnologia

È allo stesso tempo un pericoloso gas serra che minaccia il Pianeta e un combustibile che può aiutare la transizione energetica.

94 LA FABBRICA DEI BATTERI scienza

Selezionare quelli più utili richiede apparecchiature ipertecnologiche. Siamo entrati alla Sacco System.

comportamento

I comportamenti ricorrenti ci aiutano a vivere. Ecco, nel cervello, quali meccanismi li attivano.

RUBRICHE

6 L’oblò 92 Tipi italiani 195 MyFocus 201 Cartellone 207 Giochi

4 | Focus

Tutti i metodi, da quelli ingegnosi ai più tecnologici, con cui gli scienziati riescono a seguire gli uccelli durante le loro migrazioni, per scoprire dove vanno (e come ci arrivano).

storia

Già i Babilonesi conoscevano il teorema di Pitagora, ma lo usavano per scopi pratici. Furono i Greci a sviluppare la matematica astratta e le dimostrazioni.

84 QUANDO UN AEREO VA IN STALLO

È una delle cause degli incidenti che avvengono in aria e dipende dalle forze in gioco.

animali

ABBIAMO COMINCIATO A 116 QUANDO DARE I NUMERI

tecnologia

100 A COSA SERVONO LE ABITUDINI

106 SI PARTE!

scienza

Quella di cui si parla di più è il Ghb, la droga dello stupro, ma tutti gli stupefacenti muovono “tasti” diversi nella mente. Eccoli.

180 NATURA 182 UNIVERSO 184 PSICHE 188 ACADEMY

122 VEDREMO COME TUTTO COMINCIÒ

l’incontro

Sta per partire il più sofisticato telescopio mai costruito. Il suo ideatore, il Nobel John Mather, ci racconta che cosa può svelarci.

128 WANTED: 10 PICCOLE PESTI

ecologia

Ecco i più devastanti insetti, ragni e microrganismi che stanno invadendo l’Italia, facendo strage di piante da frutto e piante ornamentali.

136 L’ANDROIDE DA VINCI

storia

Seguendo le indicazioni e i disegni di Leonardo, un appassionato studioso ha costruito un robot. Trovando il punto debole del progetto del Maestro.

92

Vita e abitudini del pipistrello orecchione

Ci trovi anche su:


medicina

Su e giù

la mascherina


IL FALLIMENTO DELLA STRATEGIA ZERO-COVID Non sono pochi i Paesi che hanno preso atto della cruda realtà. Alla schiera di quelli che hanno puntato fin dall’inizio sulla mi-

tigazione (fra cui l’Italia, la maggior parte dei Paesi europei, gli Stati Uniti e Israele), si aggiungono via via quelli che cambiano idea. Come l’Australia, che ad agosto ha annunciato di voler abbandonare la strategia zero-Covid, ma anche Singapore e, più di recente, la Corea del Sud. Del resto, i fattori che spingono in questa direzione sono diversi. «Primo fra tutti, l’arrivo della variante delta, molto più contagiosa, che ha cambiato il panorama», spiega Galassi. Un dato è sufficiente per chiarire l’entità del mutamento: se con il virus originario l’immunità di gregge si poteva raggiungere vaccinando il 70% della popolazione, con la variante delta la copertura dovrebbe avvicinarsi al 100%. E probabilmente non basterebbe: è infatti ormai chiaro che anche chi è vaccinato può trasmettere la malattia – seppure in misura molto minore – e che la protezione conferita dai vaccini tende a ridursi nel tempo. Per tutti questi motivi, nessuno ormai si fa più illusioni. «Oggi vincere vuol dire fare in modo che SARS-Cov2 non ci metta di nuovo in ginocchio», ha spiegato Jessica Malaty Rivera, epidemiologia del Children’s Hospital di Boston. Nella pratica, questo approccio si tradurrà in una normalità con la guardia sempre alta.

Finita l’emergenza, dovremo imparare a convivere con il virus. Fra vecchie precauzioni e strumenti nuovi, ecco come sarà il nostro futuro in compagnia di Covid-19. di Margherita Fronte

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uasi due anni di lockdown, vaccini, mascherine e limitazioni varie non sono bastati ad annientare il virus. Sbagliava chi all’inizio pensava di metterlo k.o. con poche mosse ben assestate, e anche chi si illudeva che sarebbe scomparso con l’estate, o che col tempo sarebbe diventato più “buono”. SARS-Cov2 ha fatto il contrario: a dispetto di tutte le contromisure ha raggiunto i quattro angoli del mondo, è diventato più contagioso e non sembra destinato a sparire nell’arco di breve tempo. «Se consideriamo i dati epidemiologici e le dinamiche con cui il virus si diffonde, l’eradicazione sembra davvero difficile da ottenere», conferma Francesco Maria Galassi, professore associato alla Flinders University (Australia) ed esperto di evoluzione delle malattie infettive. Covid-19, insomma, è qui per restare. Dobbiamo imparare a conviverci.

IL METEO-VIRUS Un sistema simile a quello delle previsioni del tempo potrebbe dirci ogni giorno se dobbiamo indossare la mascherina.

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Per certe professioni lo smart working potrebbe diventare la modalità consueta. Addio, quindi, ai caffè fra colleghi

GESTI QUOTIDIANI Alcune abitudini sono diventate così normali che faremmo persino fatica a lasciarle. Fra queste, l’uso delle mascherine e dei gel disinfettanti.

A ottobre, un articolo pubblicato sulla rivista Lancet ha indicato le linee guida che le autorità dovranno seguire per bilanciare gli inevitabili danni legati alla permanenza di Covid-19 con i benefici che deriveranno dalla ripresa delle attività. Alla raccomandazione di estendere il più possibile la copertura vaccinale (valutando anche l’obbligo, almeno per certe categorie), gli esperti aggiungono quella di mantenersi flessibili, predisponendo eventuali nuove restrizioni sulla base della situazione epidemiologica del momento e sulla capacità degli ospedali di farvi fronte. Si consiglia poi di adottare misure che tutelino le categorie che più risentono delle chiusure e di responsabilizzare i cittadini, rendendoli in grado di gestire autonomamente situazioni quali la comparsa di sintomi compatibili con Covid-19 o il contatto con un positivo. LA NOSTRA NUOVA NORMALITÀ Insomma: molte precauzioni che fino a ieri ritenevamo figlie dell’emergenza entreranno nella nostra quotidianità, a partire dall’uso delle mascherine, del distanziamento, dei tamponi rapidi e delle pratiche igieniche. Peraltro, queste abitudini sono ormai così radicate che faremmo persino fatica ad abbandonarle. Per esempio, quando nella scorsa primavera si discuteva se togliere l’obbligo delle mascherine durante l’estate, un sondaggio Emg-Different per Adnkronos trovava che 7 italiani su 50 | Focus

10 non avevano nessuna intenzione di disfarsene. Mentre sul fronte dell’igiene personale, una ricerca commissionata da Initial, azienda leader nella sanificazione, condotta con oltre 20.000 interviste in 20 Paesi, ha trovato che il 58% delle persone continuerà a usare i gel disinfettanti per le mani anche una volta finita l’emergenza. Agli strumenti già in campo, se ne stanno rapidamente aggiungendo di nuovi. Fra questi: i test salivari fai-da-te, la terza dose del vaccino e i richiami periodici, che potrebbero essere programmati assieme alla vaccinazione contro l’influenza stagionale. AL CHIUSO IN SICUREZZA Un po’ ovunque andrà invece migliorata la ventilazione dei luoghi chiusi, che stenta a decollare a dispetto delle numerose ricerche che hanno dimostrato quanto sia importante. Già qualche mese fa, Lancet consigliava alle scuole di fare lezione con le finestre aperte e di dotarsi di misuratori della CO2, utili a capire se il ricambio d’aria è sufficiente. Negli ambienti di dimensioni più ridotte (abitazioni comprese) potrebbero invece diventare comuni i purificatori d’aria dotati di filtri Hepa: uno studio condotto nel reparto Covid dell’Ospedale dell’Università di Cambridge (Uk) ha trovato che la presenza di questi dispositivi riesce ad abbattere in modo considerevole la presenza del virus nell’aria.


L’analisi delle acque di scarico alla ricerca di tracce del virus potrà essere usata per prevedere l’emergere di nuovi focolai

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APRA LA BOCCA E SI RILASSI In basso, il robot creato dall’ingegnere egiziano Mahmoud el-Koumi, per eseguire tamponi senza esporre al contagio medici e infermieri. A sinistra, selfie in mascherina.

Dal canto suo, l’Oms ha pubblicato un documento con le indicazioni per i luoghi di lavoro, dando grande importanza alla qualità dell’aria, che va migliorata aprendo le finestre o, se questo non è possibile, adeguando i sistemi di ventilazione meccanica alle nuove necessità. Ai fini di limitare le occasioni di contagio, lo stesso documento invita anche a incoraggiare lo smart working, rendendolo prevalente per tutte le mansioni che lo consentono. Il caffè con i colleghi alla mattina potrebbe quindi restare un ricordo. Chi fa lavori di ufficio, nella migliore delle ipotesi potrebbe vedere gli ex compagni di scrivania una o due volte alla settimana. ANTICIPARE IL VIRUS Né bisognerà abbassare la guardia sul versante della sorveglianza epidemiologica. «Il rischio è che la fine della pandemia venga decretata dai politici, per favorire la normale ripresa delle attività, proprio come fece l’imperatore Giustiniano con la peste del Cinquecento», avverte Francesco Maria Galassi. «Per gestire un’epidemia, invece, occorre attenersi ai dati». Dati che si potranno ricavare dalle informazioni cliniche, dai risultati dei tamponi, dal tracciamento di casi e contatti (che va senz’altro migliorato), ma anche da metodi che si vanno affinando. Come l’analisi delle acque reflue: diversi studi mostrano che la presenza di tracce del virus è un indicatore affida52 | Focus

bile dell’andamento delle curve epidemiche. Per esempio, una ricerca dell’Istituto Mario Negri e dell’Università di Milano, condotta in alcune province lombarde, ha stabilito che le concentrazioni di materiale genetico virale presenti negli scarichi, prima che vengano depurati, permettono di prevedere lo sviluppo di focolai. «In alcune località abbiamo potuto osservare un aumento del numero di campioni positivi con un anticipo di 7-14 giorni rispetto alla crescita della curva dei contagi», dice Sara Castiglioni, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri e prima autrice dello studio. Altri scienziati si stanno invece concentrando sul Web: è la cosiddetta “epidemiologia digitale”, che collega le ricerche eseguite dagli utenti su Google all’aumento dei casi, e permette di identificare tempestivamente le zone in cui potrebbero emergere i focolai. Su queste basi, Samuel Scarpino, esperto di sistemi complessi della Rockefeller Foundation, immagina di poter costruire un sistema simile a quello delle previsioni meteorologiche, che integrano le informazioni provenienti da diverse fonti per prevedere che tempo farà nei giorni successivi. In modo analogo, i dati sulla diffusione del virus potrebbero essere usati per anticipare i focolai, per monitorare le nuove varianti o, più semplicemente, per dare indicazioni alle persone. Insomma, un po’ come il meteo ci dice se portare l’ombrello con noi, le “previsioni del virus” ci diranno se indossare la mascherina.


comportamento

La giornata di ognuno di noi è contrassegnata da comportamenti “ricorrenti”, che ci aiutano a vivere. Ecco quali meccanismi li attivano. di Margherita Zannoni

LE NOSTRE

ABITUDINI SI TROVANO QUI

S

iamo abitudinari: svolgiamo sempre nello stesso modo circa il 40% delle nostre attività quotidiane. Basta pensare a gesti meccanici come lavarsi i denti, allacciare la cintura di sicurezza dell’auto o accendere la luce entrando in una stanza. Ma anche a comportamenti più articolati che seguono uno specifico copione: per esempio, la sequenza di azioni fatte ogni mattina prima di uscire, o quando si rincasa. Poi ci sono le consuetudini riguardo alla gestione del proprio lavoro, della vita famigliare, del tempo libero, fino a che cosa si mangia a colazione. La nostra vita quotidiana include centinaia di abitudini di cui, in parte, non siamo consapevoli fino a quando, come è avvenuto con la pandemia, non abbiamo dovuto necessariamente rinunciarvi. A cosa servono queste azioni ripetute? E che cosa accade se siamo costretti a cambiarle? NUOVI CIRCUITI Il cervello tende sempre a convertire una sequenza di azioni in una routine se ciò porta a un “premio”. Il processo è noto come “chunking” e si compone di tre fasi: una situazione da cui nasce un desiderio (per esempio, sentire profumo di brioches sulla strada del lavoro); un’azione (comprare una brioche); infine, la ricompensa, che è il vantaggio che si trae dall’azione (il piacere della brioche) e attraverso cui il cervello stabilisce se vale la pena di ricordare e ripetere questo schema (mangiare una brioche prima del lavoro). Il ciclo situazione, azione e ricompensa diventa sempre più automatico fino a consolidare un’abitudine. Perché un’abitudine prenda piede occorre però che entrino in gioco i gangli della base, strutture cerebrali collocate in profon-

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dità, sotto la corteccia, che codificano le azioni che compongono quella consuetudine (vedi riquadro nell’ultima pagina). Una volta che lo schema di comportamento è impresso nel cervello, diventa estremamente difficile abbandonarlo. Per questo, «Le abitudini ci aiutano a sopravvivere», come afferma Justin O’Hare, neurobiologo della Duke University (Usa), che ha studiato proprio i meccanismi cerebrali che consentono il formarsi delle abitudini. «Fermarsi a pensare a ogni piccola cosa che si fa nella vita quotidiana sarebbe paralizzante». Entrando invece in modalità “abitudine”, il cervello risparmia fatica e diviene più efficiente liberando spazio nella mente per pensare ad altro, un po’ come chiudere un programma nel pc o nello smartphone libera RAM per far girare più velocemente altre applicazioni. IL PROBLEMA AUTOMATISMI C’è però un risvolto negativo: capita a tutti di trovarsi a parcheggiare l’auto sotto casa senza essersi resi conto del tragitto (“Come ho fatto ad arrivare qui?”) oppure di imboccare la strada che porta al lavoro anche nei fine settimana. «L’abitudine prende il sopravvento perché la corteccia orbitofrontale si quieta», ha detto Christina Gremel, neuroscienziata dell’Università della California, a San Diego. Si tratta dell’area del cervello che elabora le decisioni e regola il comportamento, valutandone le conseguenze. La ricercatrice ha riscontrato che a frenare la sua attività, consentendo così l’attuazione dell’abitudine, è il rilascio di endocannabinoidi, sostanze chimiche prodotte dall’organismo che modulano l’eccitabilità dei neuroni. Il risultato è che il cervello inserisce il pilota automatico, smettendo di


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CERVELLO PROFONDO I gangli della base (qui evidenziati in giallo) si trovano in una zona profonda del cervello. Sono essenziali per memorizzare le sequenze dei movimenti.


monitorare ciò che si fa. Così a volte finiamo per muoverci come zombie, affidandoci impropriamente a gesti automatici: a molti sarà successo di mettere il sale nel caffè o di compiere altre azioni altrettanto insensate. «Abbiamo bisogno di un equilibrio tra abitudini e azioni mirate. Dobbiamo eseguire azioni di routine in modo rapido ed efficiente e le abitudini servono a questo», ha affermato Gremel. «Tuttavia, incontriamo anche circostanze mutevoli e dobbiamo mantenere la capacità di “rompere le abitudini” per compiere azioni mirate basate su informazioni aggiornate». Se ciò non accade le conseguenze possono perfino essere tragiche: basta pensare a quei genitori a cui è successo di lasciare per ore i figli sul sedile posteriore dell’auto: il programma automatico “andare al lavoro” ha guidato le loro menti e le loro azioni, inducendoli a dimenticare di avere i bambini a bordo, per esempio per portarli all’asilo.

STO BENE NELLA TANA Con l’allentamento delle misure restrittive, c’è chi si è rigettato nella vita sociale con più entusiasmo di prima e chi è rimasto cauto e trattenuto nel mescolarsi agli altri. Per alcuni rinunciare all’isolamento è stato (o è ancora) davvero difficoltoso. Si chiama “sindrome della caverna”: la resistenza a tornare alla vita sociale, anche dopo aver ricevuto il vaccino anti Covid. In uno studio dell’American Psychological Association, datato marzo 2021, il 48% delle persone già vaccinate ha dichiarato di sentirsi a disagio nel riprendere le interazioni sociali. La spiegazione non sta solo nella paura di ammalarsi, ma anche nei vantaggi dell’isolamento (risparmiare il denaro per le uscite sociali, per esempio, oppure l’alleggerimento dal contatto con gli altri sperimentato da persone estremamente riservate e timide). Anche, più semplicemente, il formarsi di nuove abitudini: stare distanziati, non uscire, non invitare persone a casa. Quando un’abitudine si consolida è duro sbarazzarsene. Tant’è che anche alla domanda più generale: “Ti senti a tuo agio nel tornare alla vita che facevi prima?”, il 44% dei vaccinati ha risposto di no.

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Le abitudini hanno un risvolto negativo: se diventano automatismi possono provocare dimenticanze anche tragiche

CHE BUONO! Fare colazione la mattina, sempre alla stessa ora e con gli stessi cibi è una delle abitudini più comuni.

QUESTIONE DI TEMPO Uno studio dello University College di Londra ha provato che occorrono circa 2 mesi per formare un’abitudine. Un campione di volontari ha scelto un nuovo comportamento (come “bere una bottiglia d’acqua a pranzo” o “correre 15 minuti prima di cena”) e riferito ogni giorno se era stato eseguito e quanto fosse diventato automatico: in media, le nuove abitudini si sono consolidate in 66 giorni. E non è un meccanismo “tutto o niente”: i comportamenti sono divenuti abitudinari anche se occasionalmente non erano stati attuati. Al di là di questa ricerca, comunque, si sa che le abitudini con ricompense immediate (guardare una serie tv, per esempio) sono più facili da acquisire di quelle che portano vantaggi a lungo termine (come fare sport). Ma tutte possono diventare fini a se stesse, indipendenti dal risultato: un team di scienziati della Duke University ha addestrato alcuni topi a premere una leva per ottenere un bocconcino, e quelli che ne avevano fatto un’abitudine continuarono ostinatamente a premerla anche se non ne ricavavano più nulla. Sono solo topi? Anche gli esseri umani possono essere altrettanto rigidi. Un’altra curiosa ricerca ha infatti provato che i consumatori abituali di popcorn al cinema continuano a sgranocchiarli avidamente davanti a un film anche quando sono stantii. Lo hanno verificato con un esperimento gli studiosi della University of Southern California: gli abitudinari hanno mangiato popcorn “vecchi” quanto quelli freschi, anche se non erano affamati. Ecco perché può capitare che, avendo l’abitudine di consumare uno snack a una certa ora del giorno o se ci si trova in un determinato stato d’animo, sia difficile smettere, anche se col tempo quello spuntino ha smesso di essere gratificante (un ostacolo non da poco per chi vuol mettersi a dieta!). BREAK DOWN Così, spesso, i cambiamenti avvengono solo quando qualcosa rompe forzatamente i nostri schemi. Ne è un esempio ciò che è accaduto con lo sciopero dei lavoratori della metropolitana londinese nel 2014. Per due giorni la protesta ha chiuso circa i due terzi delle stazioni della città costringendo molte persone a ripensare i propri percorsi. Uno studio delle Università di Cambridge e Oxford che si è svolto qualche settimana dopo ha stabilito che da quel momento il 5% dei pendolari ha cambiato stabilmente tragitto quotidiano: la rottura improvvisa della routine li ha portati a scoprirne uno migliore prima mai considerato.


Le abitudini sono composte da azioni che si susseguono, una dopo l’altra, senza bisogno di pensarci. Per esempio, lavarsi i denti implica prendere il dentifricio, aprire il tubetto, spalmarlo sullo spazzolino, portare lo spazzolino alla bocca ecc. Sequenze come questa vengono registrate nei gangli della base, masse di materia grigia alla base del cervello coinvolte nell’apprendimento motorio (di uno sport, per esempio), che “impacchettano” le singole azioni codificandole, nel loro insieme, come una procedura (“lavarsi i denti”). Ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno dimostrato che una porzione di questa zona del cervello, lo striato, si attiva all’inizio e alla fine di un comportamento abitudinario. Quando i topi considerati nei loro esperimenti stavano imparando a percorrere un labirinto per ottenere una ricompensa, lo striato era continuamente attivo ma, ad apprendimento avvenuto, si accendeva solo all’entrata e al termine del percorso. Il segnale d’inizio fa scattare la sequenza di azioni imparata e quello finale informa le aree cerebrali superiori che la routine è stata eseguita. «Ciò serve a confezionare un comportamento che il cervello considera degno di essere tenuto nel suo repertorio», ha affermato Ann Graybiel, tra gli autori dello studio.

Tornare alla vita pre-pandemia non sarà facile: conserveremo alcune delle consuetudini imparate durante il lockdown Con la pandemia è successo qualcosa di simile: siamo stati tutti soggetti a un enorme esperimento. Dato che le abitudini si stampano nei circuiti neurali, i nostri cervelli hanno dovuto cambiare un po’ le connessioni, per esempio per abbandonare automatismi come toccarsi il viso o i capelli (quantomeno sen­ za prima aver ben igienizzato le mani) oppure abitudini come appoggiare la mano sulla spalla di un amico o dare la mano a un conoscente: il cervello dà il via all’impulso ad allungare il brac­ cio e poi “stop!”, lo frena. Una costante riprogrammazione di azioni, pressoché in ogni ambito di vita. «Se una routine viene interrotta, allora dobbiamo pensare molto di più a cosa fare, il che mette sotto pressione la parte decisionale del cervello, il lobo frontale, che ha un’energia limitata e può affaticarsi», afferma Faye Begeti, neuroscienziata dell’Università di Cam­ bridge. In più, le abitudini nel bene e nel male ci definiscono e abbandonarle drasticamente significa rivedere ciò che siamo. Il risultato è stato un aumento esponenziale di ansia e stress nella popolazione, legato sì alla paura per la salute e al senso di incertezza ma anche allo stravolgimento della routine. MENTE RICALIBRATA Abbiamo quindi acquisito nuove abitudini per la nuova realtà, come prendere la mascherina prima di uscire o lavorare da casa. «Siamo molto bravi a imparare cose nuove e a dimenticare ciò 104 | Focus

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COME IL CERVELLO “IMPACCHETTA” LE ABITUDINI

SEGNALE Il topolino prende l’abitudine di esplorare il labirinto perché una parte dei gangli della base del cervello, lo striato, si attiva.

ALTERNATIVE Quando la metro di Londra fu chiusa per due giorni alcuni pendolari cambiarono abitudini.

che non è una priorità», ha fatto notare in proposito Tina Franklin, neuroscienziata del Georgia Institute of Technology. Di conseguenza le riaperture hanno portato nuovo disorien­ tamento nel riprendere gli schemi di comportamento accan­ tonati. Uno stress che altera le aree cerebrali che controllano funzioni come la memoria, l’attenzione e la pianificazione del comportamento. Così molti hanno provato una sensazione di appannamento mentale definita “cervello pandemico”: piccoli blackout nel ricordarsi le cose, insoliti tentennamenti per deci­ sioni banali, il non percepirsi intellettivamente reattivi e piena­ mente in contatto con la realtà. Per fortuna, ancora una volta, i nostri cervelli “si abituano” e quindi sono tornati (o torneran­ no) efficienti come prima. A qualcuno, naturalmente, occorre un po’ più di tempo per ricalibrarsi: non tutti hanno vissuto la pandemia allo stesso modo e le reazioni sono diverse anche per quanto riguarda il ritorno ai contatti sociali (vedi riquadro nella pagina precedente). Ma per la maggior parte di noi oggi la vita è un mix tra vecchie e nuove abitudini: molti continueranno a cucinare più spesso, ad allenarsi anche in casa, a servirsi dei ri­ scoperti piccoli negozi sotto casa, a rinunciare al superfluo, a divertirsi in nuovi modi appresi quando si era lontani dalla so­ lita giostra di attività. Di certo, il reset del nostro stile di vita ci ha dato l’occasione di ripensare a noi stessi e di scegliere, per quanto possibile, cosa cambiare e cosa no di ciò che eravamo.


Domande Risposte Univ.-Prof. Jay Gopalakrishnan P

TE LO DICE MASSIMO LA RUBRICA DI MASSIMO CANNOLETTA, IL CAMPIONE DEI QUIZ TV

Esiste un satellite di legno?

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QUALI ODORI CAUSANO PIÙ LITI IN CONDOMINIO?

Cosa sono e a che cosa servono i minicervelli?

> Perché con la febbre passa la fame? > Quando si è pronti per un nuovo amore? > Quale è stata la tribù più “cattiva” della storia? > Che cos’è un digital twin?

INDICE PAGINE ANIMALI 144 • SPORT 148 • SCIENZA 152 • SOCIETÀ 154 • STORIA 156 • TE LO DICE MASSIMO 160 • CIBO 162 • ECONOMIA 164 • SALUTE 166 • AMORE E SESSO 170 • ARTE E CULTURA 174 • TECNOLOGIA 176 • NATURA 180 • UNIVERSO 182 • PSICHE 184

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Che cosa sono i pianeti erranti?

INSERT SPECIA O LE!

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SI PUÒ PAGARE UN BIGLIETTO DELL’AUTOBUS CON 20 PIEGAMENTI?


ANIMALI Che cos’hanno in comune zebre e struzzi? Una gran bella “amicizia”, anche se basata su fondamenti opportunistici. Gli struzzi e le zebre, infatti, passano molto tempo insieme per ragioni legate alla sopravvivenza: i primi hanno una vista perfetta, ma un udito e un olfatto non all’altezza, mentre le seconde, viceversa, possono contare su una percezione degli odori e dei rumori molto acuta, ma devono convivere con una pessima vista. Combinando le loro capacità, i due possono difendersi meglio dai predatori, riuscendo a vederli, annusarli e sentirli anche a grande distanza. In uno studio pubblicato su Ecology Letters, il veterinario danese Jakob Bro-Jørgensen ha indagato i vantaggi di queste frequentazioni tra animali, tutt’altro che rare soprattutto nelle pianure africane. Ha scoperto così che le specie più vulnerabili tendono a unirsi con quelle che vengono predate dagli stessi animali, evitando al contempo quelle con diete troppo simili alla loro, con le quali entrerebbero in concorrenza per la ricerca del cibo. S.V.

Come si riscaldano gli uccelli d’inverno? Non si riscaldano, come si pensava, tremando con i loro grandi muscoli pettorali e gonfiando le piume. I ricercatori dell’Università di Lund in Svezia hanno scoperto infatti che il sangue degli uccelli produce più calore in inverno, quando fa più freddo. Lo studio è pubblicato su The FASEB Journal. Il segreto sta nelle fabbriche energetiche delle cellule, i mitocondri. I mammiferi non hanno mitocondri nei loro globuli rossi, ma gli uccelli sì, e secondo gli scienziati questo permette al sangue di funzionare come un sistema di riscaldamento centrale quando fa freddo. I mitocondri producono più calore invece che più energia. Per fare questa scoperta, i ricercatori hanno prelevato campioni di sangue a 3 specie di uccelli (cinciallegra, cincia mora e cinciarella) all’inizio e alla fine dell’inverno. Quindi hanno calcolato quanto del loro consumo di ossigeno è stato speso per produrre energia e quanto invece per creare calore. Infine, hanno anche misurato la quantità di mitocondri in ogni campione di sangue. I risultati mostrano che i campioni di sangue prelevati in inverno contenevano più mitocondri e che questi lavoravano di più. V.T.

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PSICHE

ABBIAMO BISOGNO DI MUOVERCI PER IMPARARE? MOLTI ESPERIMENTI STANNO DIMOSTRANDO COME LO STUDENTE CHE SI MUOVE DI PIÙ MENTRE STUDIA RIESCA AD APPRENDERE MEGLIO E CON MINOR FATICA.

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tare seduti davanti alla lavagna o allo schermo di un computer può avere diversi effetti indesiderati sul corpo e sulla mente. Katie Headrick Taylor, professore associato di Scienze della formazione e dello sviluppo del’Università di Washington (Usa), ha spiegato al portale The Conversation che l’immobilità può portare una persona a “scollarsi” da molte capacità sensoriali.

BASTA CAMMINARE

Fino a quando il cervello è impegnato, si pensava, non importa che il corpo stia fermo, ma in realtà non funziona proprio così. Un team di scienziati israeliani, per esempio, ha esaminato la relazione fra abilità motorie, cognitive e accademiche. Gli studiosi hanno fatto camminare per dieci minuti 283 studenti di scuole elementari, medie, superiori e universi-

Esiste la “Storia delle emozioni”? Sì, esiste e si occupa di esplorare gli stati emotivi del passato, partendo dal presupposto che le emozioni (i sentimenti e le loro espressioni) siano modellate dalla cultura e che vengano apprese e acquisite a seconda dei diversi contesti sociali. Ciò che una persona sente o non sente, ciò che esprime o non esprime in una determinata situazione dipende dalle norme e dalle regole sociali, che nel corso della storia subiscono continui mutamenti. Gli storici delle emozioni lavorano a stretto contatto con psicologi e specialisti

dell’educazione. Ma non solo: si avvalgono anche delle competenze di antropologi, sociologi, musicologi e studiosi di letteratura e arte. Si tratta di una specializzazione piuttosto recente, che si è affermata a partire dal 2000: uno dei più importanti dipartimenti di Storia delle emozioni è presso il Max Planck Institute for Human Development di Berlino, la cui direttrice è Ute Frevert (foto). Su Storia in Podcast, l’audioteca di Focus con oltre 250 podcast, la storica ha spiegato quale sia stato il ruolo che hanno avuto le emozioni nella storia politica e delle relazioni internazionali. A.R.

ASCOLTA IL PODCAST “LA STORIA DELLE EMOZIONI. DI UTE FREVERT” https://storiainpodcast.focus.it/la-storia-delle-emozioni-di-ute-frevert/

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tari prima di completare alcuni test per misurare la memoria, le capacità di feature detection, o rilevamento di caratteristiche, e l’abilità nel risolvere problemi matematici. I risultati hanno mostrato che, in generale, l’attività motoria aveva avuto effetti decisamente benefici sulle capacità cerebrali degli studenti. CORPO E PENSIERO

Altre ricerche nell’ambito della teo-


Quali consigli daremmo a noi stessi da giovani?

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MOTO PERPETUO Quante volte abbiamo detto ai nostri figli di stare fermi mentre studiano? Errore!

Shutterstock/Dean Drobot

Il primo e più importante sarebbe “segui il tuo istinto”: lo racconta un’indagine inglese secondo cui se potessimo parlare con i noi stessi di quando eravamo ragazzini ci spingeremmo soprattutto ad aver fiducia nelle nostre capacità e a essere più auto-indulgenti. Infatti, fra i primi venti consigli che vorremmo spedire nel passato ci sono la sollecitazione a “volersi più bene ed essere felici di quel che abbiamo, perché la vita non è una competizione”, a “non disperarsi per ogni piccolo errore perché tutti ne commettiamo”, a “godersi la vita e non preoccuparsi troppo”. Tanti si spronerebbero anche a “sposarsi più tardi e viaggiare di più” e magari a “mangiare bene e pensare alla salute”; un compendio di raccomandazioni che indicano come tutti abbiamo affrontato la vita meno serenamente di quanto avremmo davvero voluto. Anche per questo la life coach inglese Rebecca Lockwood, commentando i dati, ha spiegato: «Tutti hanno dubbi e preoccupazioni e non ha senso paragonare i lati più intimi della nostra vita con quelli pubblici della vita degli altri, sui social e non solo: dobbiamo sempre chiederci cosa vogliamo davvero, che cosa è importante per noi e che cosa non ci piace, perché solo noi possiamo saperlo». E.M.

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