Focus Storia 192

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Chf10,70CTCH-Chf10,90CH-$13,80USA-€8,70E-€8,70CONT.PTE-€12,00D-€9,60BE-€10,00AUT-MENSILE SOVVERSIVOILEINSTEINFISICO Storia � 4,90 IN ITALIA Sped. in A.P. D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona JEAN-FRANÇOIS CHAMPOLLION Da bambino voleva decifrare gli impenetrabili geroglifici egizi e da adulto ci riuscì IL MAESTRO DI TUTTI La carriera controcorrente di Alberto Manzi, l’uomo che insegnò l’italiano agli italiani SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE MISSILI SU CUBA Il braccio di ferro fra Usa e Urss che, 60 anni fa, portò l’umanità sull’orlo dell’abisso Delitto senza castigo nella Roma imperiale: così Erode Attico fece uccidere la moglie Annia Regilla 22 SETTEMBRE 2022 OTTOBRE 2022 Cent’anni fa vinse il Nobel tra polemiche e degligrandeStoriaaccademiche.gelosiedelpiù(eatipico)scienziati GIALLI&MISTERI

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16 GRANDI SCOPERTE

L’oppio dei popoli

Genio ribelle

A cent’anni dalla nascita, la storia di Fenoglio tra scrittura e Resistenza.

Lo scienziato tedesco era una “testa calda”, amava la vita, la fisica, le donne (si sposò due volte) e... soprattutto odiava le regole.

Relativamente facile

Il travolgente successo di Farfariello, immigrato italiano a New York.

Il Nobel della discordia

L’appello di Einstein e di altri scienziati contro le armi atomiche (che prima caldeggiavano).

Lotta di classe La storia di Alberto Manzi, il “maestro d’Italia” in tv.

86 STORIE ITALIANE

Un metro è sempre un metro, e un minuto è sempre un minuto, giusto? Sbagliato. La visione einsteiniana dello spazio e del tempo.

44

28 GIALLO STORICO allaFemminicidioromana

Per mare e per legno Quando la Royal Navy conquistò il mondo. E come mantenne la superiorità sui mari.

92 CUBA dietroL’apocalissel’angolo

IN PIÙ...

Le meravigliose pitture romane della città vesuviana.

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Emanuela Cruciano caporedattrice

Dopo discussioni e polemiche, gli fu assegnato il Nobel nel 1922 (per l’anno 1921), ma non per la teoria della relatività.

Totò d’America

Viaggio alla scoperta delle droghe naturali più diffuse nel passato.

Duecento anni fa, Champollion decodificò la Stele di Rosetta.

Arte a Pompei

copertina: Albert Einstein e la sua formula. Ottobre 2022 192 4 LA PAGINA DEI LETTORI 6 NOVITÀ & SCOPERTE 10 UNA GIORNATA DA... 12 MICROSTORIA 14 DOMANDE & RISPOSTE 60 PITTORACCONTI 62 CURIOSO PER CASO 98 AGENDA RUBRICHE focusstoria.it CI TROVI ANCHE SU: L’equazione alla base della teoria della relatività. EINSTEIN, LA SUA VITA, LE SUE TEORIE PORTFOLIOMONDADORI/PRISMA/ALBUM RIVOLAM.GRAFICAELAB./PORTFOLIOMONDADORIWIKIPEDIA,COPERINA: Storia 3 S

22 COSTUME

Come maturò il delitto della matrona Annia Regilla? Chi pagò?

80 BATTAGLIE

70 PORTFOLIO

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Il ripudio

Sessant’anni fa Cuba si riempì di testate nucleari sovietiche.

In Germania fu contrastato dai fisici “ariani” e negli Stati Uniti, dove si trasferì nel 1933, fu spiato dall’Fbi.

34

Sorvegliato speciale

I l cespuglio di capelli arruffati e l’irriverente linguaccia sono un’icona per il mondo intero. Il genio più popolare del Novecento, lo scienziato che ha osato sfidare i mostri sacri della fisica per inquadrare in un altro punto di vista le leggi del tempo e dello spazio, piaceva alla gente comune, piaceva alle donne, piaceva alla stampa. Eppure quando formulò la teoria della relatività in una Germania in preda alla febbre antisemita fu deriso e osteggiato proprio dalla sua comunità – quella scientifica –che per prima avrebbe dovuto sostenerlo (basti pensare alla travagliata storia del suo premio Nobel, v. pag. 44). Einstein lasciò la Germania prima che la furia nazista si abbattesse su di lui. Negli Stati Uniti trovò la salvezza, ma anche una nuova persecuzione, questa volta dell’Fbi, che poco apprezzava le menti in odore di comunismo (vedi p. 48). Cosa ci insegna Einstein? Le leggi dell’universo, ok. Ma anche che il razzismo, le ideologie malate, l’invidia non sempre hanno la meglio sugli spiriti liberi, quelli che volano troppo in alto per restare imbrigliati nelle terrene nefandezze.

64 PROTAGONISTI Il Beppepartigiano

In

L’uomo che decifrò l’egizio

76 PERSONAGGI

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due specie si colloca infatti fra 30mila e 36mila anni fa. Il primo podcast è dedicato a Laika, uno dei nomi con cui è nota una cagnetta – metà Husky e metà Terrier – che fu il primo essere vivente a ritrovarsi lanciato in orbita nella capsula sovietica Sputnik II. Diventò famosa

Nell’articolo “La spada e lo scudo di Roma”, pubblicato su Focus Storia n° 188 noto che la morte di Marco Claudio Marcello sia avvenuta nei pressi di Locri, in Calabria. Alcune fonti ritengono sia morto

anche per la sua tragica fine: perse la vita nel corso del suo volo del 3 novembre 1957, poiché la missione non prevedeva che rientrasse sulla Terra. Online. Per ascoltare i nostri podcast (sono oltre 420 le puntate che spaziano dalle biografie di personaggi

Le fonti che accennano alla morte di Marcello sono numerose e non sempre concordanti. Il solo Tito Livio, di cui Plutarco riprende chiaramente il racconto, riporta tre versioni differenti, e nessun autore indica chiaramente dove si trovasse la collina boscosa su cui avvenne lo scontro, se non che era tra i due accampamenti. E anche sull’ubicazione dei due accampamenti Livio e Plutarco danno indicazioni sempre generiche e per giunta differenti. In generale, si può dire con ragionevole certezza che l’imboscata fatale avvenne in qualche punto tra Crotone e Locri, lungo la direttrice che aveva visto il precedente combattimento del Colle Petelia in cui erano caduti molti romani, e dove Marcello aveva avvicinato il proprio campo a quello di Annibale. Il fatto che Annibale si fosse spostato col proprio campo a Capo Colonna, a sud di Crotone,

a Strongoli (KR). Premesso che nel 209 a.C. ci furono delle battaglie sia nei pressi di Canosa di Puglia (BT) sia vicino a Strapellum, cioè Rapolla (PZ), zona vicina a Venusia cioè l’attuale Venosa (PZ), alcune fonti ritengono che nel 208 a.C. sia Marco Claudio Marcello che Tito Quinzio Capitolino Crispino furono attaccati e vi trovarono la morte. Attualmente a Venosa c’è un tumulo romano chiamato “Tomba di Marcello”. Forse c’è una interpretazioneerratadel testo di Plutarco che racconta la vita e la morte di Marco Claudio Marcello?

S

Giorgio Fontana

Risponde Andrea Frediani, autore dell’articolo

ABBONATI A FOCUS STORIA DIGITALE

partendo da Venosa in Basilicata, non attesta che l’imboscata sia avvenuta nei pressi. Tanto più che secondo Livio il campo di Marcello sarebbe rimasto tra Venosa e Banzi, mentre per Plutarco si sarebbe spostato più verso Annibale. Ma si tratta di disquisizioni che non si possono fare in un articolo divulgativo e che comunque permettono solo di formulare ipotesi. Dire di più, onestamente, significa forzare le fonti, anche se in genere ogni località tende ad avocare a sé l’ubicazione di un episodio storico diventato celebre.

La difficoltà di districarsi tra le fonti

SPECIALE

famosi alla ricostruzione di grandi eventi storici passando per le vicende delle case reali) basta collegarsi al sito storiainpodcast.focus. it. Gli episodi – disponibili anche sulle piattaformeprincipalionlinedi podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.

PORTFOLIOMONDADORI

Qual è l’attuale opinione in merito che viene ritenuta più affidabile ? Giuseppe del Rosso, Canosa di Puglia (BT)

Una ricostruzione delle latrine romane.

5 S

«Guardi, questo è il genere di etimologie che più mi affascina. Io penso che lei abbia proprio ragione, anzi, non mi importa che si possa dimostrare storicamente, ma la sua spiegazione è così pertinente e illuminante che mi piace pensare che sia così.

toria in podcast, la grande audioteca di Focus, celebra il migliore amico dell’uomo, il cane, in un ciclo di podcast in cui racconta la vita di alcuni dei quattro zampe più famosi della Storia. La nostra convivenza con loro si perde nella notte dei tempi: l’origine del rapporto fra le

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E poi è proprio nella logica del mio libro e delle mie etimologie che cercano di dissacrare i significati ricevuti, di scrostare le parole dai loro usi convenzionali generazione dopo generazione e trovarne un senso magari molto più recente, o più casuale, dovuto a quello strano meccanismo di costruzione di una tradizione a partire da una accozzaglia di contingenze».

d’AmericaTOTÒ Il travolgente successo di FARFARIELLO: immigrato italiano a New York, a inizio Novecento riuscì a conquistare il cuore degli macchietta.trasformandoliitaloamericani...inun’ironica di Paola Panigas PORTFOLIOMONDADORI MIGLIACCIO)(EDUARDOFARFARIELLOFACEBOOK PERSONAGGI

Gli

MIGLIACCIO)(EDUARDOFARFARIELLOFACEBOOK 77 S

Fu assunto a New York, presso la Banca di Pasquale Avallone, un’agenzia per spedire denaro. «Si trattava di un impiego modesto», spiega Gregorio Di Micco autore del libro Farfariello, il Totò d’America (Poligrafica Fusco). «Il suo compito consisteva nello stare a stretto contatto con gli emigrati, spesso analfabeti. Doveva leggere e interpretare le loro lettere, dare suggerimenti su come spendere e investire la “pezze”, cioè i soldi. Ma fu grazie al lavoro d’ufficio che s’impadronì di quel buffo linguaggio usato dagli italoamericani che lo rese tanto celebre».

Un morso alla Grande Mela

TRA IL DIRE E IL FARE... Mentre Migliaccio attraversava l’Atlantico per sbarcare a Ellis Island (v. riquadro nelle pagine successive), il padre perse il lavoro e il ragazzo dovette arrangiarsi.

Stati Uniti lo conobbero come Farfariello. Nel suo paese d’origine lo ricordano come il Totò d’America. Quello che è certo è che Eduardo Migliaccio (1880-1946), originario di Cava de’ Tirreni, in provincia di Salerno, ai primi del Novecento divenne il re dei teatri newyorkesi e conquistò il cuore degli italoamericani.Lasuastoria, però, non iniziò come quella di milioni di italiani emigrati oltreoceano, con una valigia di cartone. Migliaccio proveniva da una famiglia benestante e aveva frequentato

A sinistra, New York vista dall’alto in un’immagine del 1932. Il grattacielo che svetta è il Chrysler Building, costruito tra il 1929 e il 1930. Sotto, Farfariello in abiti di scena. Nell’altra pagina in alto, una foto dall’archivio dell’Università del Minnesota.

l’Accademia di belle arti a Napoli. Iniziava a macinare i primi successi con le sue macchiette, al Teatro Nuovo dei Quartieri spagnoli, quando nel 1887 il padre, direttore della Banca Sandolo in Pennsylvania, lo costrinse a raggiungerlo negli Stati Uniti, nella speranza che abbandonasse le velleità artistiche.

Attore, cantante e pure trasformista: Migliaccio, in arte

italoamericani si immedesimava in quei personaggi comici e invece di prendersela lo consacrò idolo delle scene.DiMicco racconta: «Sul palco Migliaccio, ormai noto con il nome d’arte Farfariello (che vuol dire ragazzino sveglio, scugnizzo), si scatenava: attore, cantante, trasformista, imitatore. Lo show-man aveva una voce da baritono, ma il suo pezzo forte erano i travestimenti, specialmente quelli da donna: con i costumi sempre impeccabili, era formidabile. In scena, cambiava abito decine di volte. E faceva ridere usando il linguaggio quotidiano degli emigrati: ghella (girl, “ragazza”), faite (fight, “lotta”), mi laiche (I like, “mi piace”)».

UNA POLTRONA PER DUE. Persino il tenore Enrico Caruso (18731921), in quegli anni stella della scena statunitense, divenne bersaglio delle sue parodie. La star della lirica decise allora di conoscere Migliaccio, andando a vedere un suo spettacolo in un teatro di Brooklyn. Da quel momento nacque un’amicizia e per il tenore Migliaccio compose anche il brano Tarantella sincera.

«A inizio Novecento, anche se in ambiti diversi, erano i due più tipici rappresentanti dello spettacolo italoamericano», spiega Di Micco. «Caruso era noto come il più grande interprete e ambasciatore del canto

Mille talenti I suoi cavalli di battaglia agiateancheprendereol’ubriaconeerano(asinistra)ilcafone,masapevaingiroleclassipiù(adestra). (7)MIGLIACCIO)(EDUARDOFARFARIELLOFACEBOOK

IL ilFarfarielloLIBROTotòd’America,

UN ITALIANO A NEW YORK. All’inizio del Novecento la Grande Mela rappresentava per gli emigrati l’American dream, ovvero l’opportunità di emergere contro tutto e tutti. La metropoli era il centro nevralgico del flusso migratorio internazionale e delle attività finanziarie (nel 1865, al numero 11 di Wall Street, era stata aperta la Borsa). Un serrato programma di realizzazione di opere pubbliche, come il ponte di Williamsburg (1903) e quello di Manhattan (1909), la costruzione della linea metropolitana (1904) e la progettazione di vertiginosi grattacieli richiamava manodopera

Gregorio Di Micco (Poligrafica Fusco)

La biografia di Eduardo Migliaccio.

da ogni dove. In questo periodo New York divenne la città più popolosa al mondo, passando dai 3,4 milioni del 1900 ai quasi 5 milioni del 1910, superando Londra e imponendosi come un’attrattiva mondiale. Il molto denaro in circolazione favoriva vitalità artistica e business. Ma non per gli italiani che, vittime di pregiudizi, erano bollati come pezzenti o «Migliaccio,mafiosi.scontento dell’impiego, non riusciva a dimenticare la sua antica passione per il mondo dello spettacolo», spiega Di Micco. «Così, in parallelo al lavoro, iniziò a frequentare i caffèconcerto. La sua prima esibizione fu al Teatro italiano di marionette. Passò

Viaggio della speranza. Gran parte degli immigrati viaggiava in terza classe, stipato nell’angusta stiva delle navi, dove veniva a contatto con parassiti e malattie contagiose. Qui, oltre alle più banali norme igieniche, mancava anche la toilette. I nuovi arrivati dovevano affrontare quando ancora erano a bordo la prima barriera all’immigrazione: un questionario di 31 domande che indagava ogni aspetto del migrante, dalle informazioni personali a quelle sanitarie, dal grado di alfabetizzazione alla formazione professionale. Una volta sbarcati, gli aspiranti americani venivano visitati da medici, che marcavano con un segno di gesso sulla schiena tutti coloro che dovevano essere ulteriormente esaminati. Una X stava per problemi mentali, PG per donna incinta e così via. Vecchi, deformi, ciechi, sordomuti, oltre a chi soffriva di malattie mentali o contagiose, dovevano essere rimpatriati con la stessa nave sulla quale erano giunti. Gli altri, invece, venivano registrati dagli ispettori (che annotavano i dati civili, economici e politici) e accompagnati al traghetto per Manhattan.

La porta del sogno americano

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ONE MAN SHOW. Dopo aver attraversato gli Stati Uniti in tour, spingendosi fino in Canada, il successo crebbe talmente che, nel 1915, Migliaccio decise di aprire un teatro tutto suo, tra la 14a e la 6a Avenue. Con le sue macchiette riusciva a descrivere con ironia le tipologie dell’emigrante italiano: o’ sciampagnone, o’

italiano nel mondo. Piacevo alle classi agiate e anche agli americani; Farfariello era l’idolo degli emigranti, delle classi più umili e modeste. Le due facce dell’Italia in America».

PORTFOLIOMONDADORI

Farfariello, era uno show-man unico

UN TIPO SERIO. Appena usciva di scena, però, Migliaccio abbandonava i luccicanti costumi di Farfariello per rientrare nei sobri panni del padre di famiglia. Si era sposato a 19 anni con Elisabetta Savarese, dalla quale aveva avuto otto figli. E, anche quando lasciò il lavoro in banca, rimase un uomo coi piedi per terra.

Farfariello curava i suoi spettacoli in maniera maniacale. Fabbricava da sé le parrucche che indossava durante lo show, mentre la fattura degli elaborati abiti di scena era affidata alle sapienti mani di zia Esterina Grimaldi. Sul palco veniva aiutato dai figli che lo aspettavano dietro le quinte per il cambio costume. Mentre il figlio minore, Arnold, lo affiancava con la batteria durante lo spettacolo. Il tutto sincronizzato alla perfezione.

durmiglione, o’ banchiere... La sua frase più famosa era: “Detze bicòs, Francì, mi laiche dis contrì” (“Ecco perché, Franco, a me piace questo Paese”). E aveva Little Italy ai suoi piedi.

Perfezionista Una galleria di eranotravestimentiFarfariello:interpretatipersonaggidaisuoicuratissimi.

Nella vita privata era l’opposto dei suoi personaggi: i figli lo descrivevano come un uomo serio, taciturno, sempre vestito di grigio. Per lui le luci della ribalta si spensero nel 1946, ma i testi originali delle sue macchiette sono ancora conservati al dell’emigrazioneMuseodell’UniversitàdiMinneapolis.

P er arrivare sul suolo statunitense bisognava passare attraverso l’inferno di Ellis Island. Un’isola alla foce del fiume Hudson, all’ombra della Statua della Libertà, che deve la sua fama al fatto di essere stata, dal 1° gennaio 1892, la sede della stazione federale per l’immigrazione degli Usa, una “casa di prima accoglienza-prigione”, attiva fino al 1954. Il famigerato centro immigrazione, infatti, non prevedeva solo un banale controllo documenti e una visita medica (sopra, una foto del 1902).

A caro prezzo. Il severo sistema di controlli non fermò il flusso di migranti che decidevano di correre il rischio di attraversare l’Atlantico per reclamare una nuova vita negli Usa. Alla fine del primo anno di attività, già 450mila persone erano sbarcate sui moli di Ellis Island. Durante gli anni in cui il centro fu in funzione più di 12 milioni di emigranti da tutto il mondo passarono per questa triste isola.

«

apà era una persona molto attiva, sempre in movimento». A ricordare il maestro più famoso d’Italia è Giulia Manzi, figlia di quell’Alberto che negli anni del Dopoguerra scrisse un capitolo fondamentale nella storia del Paese e della televisione. Sul padre, scomparso nel 1997, Giulia ha scritto il libro Il tempo non basta mai. Alberto Manzi: una vita tante vite (Add editore).«La sua conoscenza aveva un riscontro pratico: doveva mettere le mani dappertutto, toccare e assaporare la vita fino in fondo», continua Giulia Manzi, sintetizzando in poche righe lo spirito di un personaggio che negli anni Sessanta fece il miracolo che l’unificazione del Paese non era ancora riuscita a compiere dopo 100 anni: far parlare in italiano gli italiani.

Lotta diclasse

FOTOGRAMMA/IPA

Manzi, nel 1961, disegna sulla lavagna che lo ha reso famoso nella trasmissione Non è mai troppo tardi, format ripreso in molti Paesi. Sotto, ai tempi della trasmissione Impariamo insieme, dedicata agli extracomunitari (1992).

86 S STORIE ITALIANE

Concluso il doppio percorso formativo, si iscrisse alla facoltà di Scienze naturali dell’Università di Roma, ma a interrompere i suoi studi ci pensò la guerra. Fu tra gli ultimi chiamati alle armi. Venne reclutato dagli Alleati come mozzo a bordo di un sommergibile, che

P

IN GUERRA. Alberto Manzi nacque a Roma nel 1924. Riservato, agli amici preferiva la compagnia dei libri che la sua maestra delle elementari gli donava, avendo intercettato in quel piccolo taciturno un amore per la lettura e una curiosità fuori dal comune. «Poiché all’epoca l’istituto magistrale era gratuito per i maschi, i miei nonni decisero di iscriverlo lì», continua Giulia. «Ma papà sognava di fare il capitano di lungo corso e avrebbe voluto studiare all’Istituto nautico. Decise quindi di frequentarli entrambi».

planetarioSuccesso

Alberto Manzi, con la tv fu il “maestro d’Italia”, ma togliere la questo.vennePerfinosempredall’ignoranzagentefulasuamissione.all’esterodovetorturatoper di Magda Gattone

Il maestro rivelò più tardi che inizialmente i 

IN CARCERE. Armato di progetti e buone intenzioni, partecipò al concorso per l’insegnamento. Si piazzò benissimo, quinto in graduatoria. Tuttavia, fu superato nell’assegnazione delle cattedre da diversi raccomandati e fu pressoché costretto a prendere servizio, nel 1946, al carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma. La sua classe era formata da 94 studenti, dai 9 ai 17 anni.

PORTFOLIOMONDADORI 87 S

però fu silurato dai nemici. Riuscì a salvarsi, dopo tre giorni in mare, ma non tutti ebbero la stessa fortuna e Alberto pianse quattro compagni. Nonostante quella tragedia, continuò a battersi al fianco degli Alleati e venne assegnato al Battaglione San Marco, che nei piani angloamericani doveva spingere i tedeschi verso Nord. Divenne il braccio destro di un capitano che gli diede il compito di sorvegliare costantemente il territorio andando in avanguardia. La partecipazione al confitto fu praticamente una costrizione: infatti nel 1944 furono arruolati tutti i ragazzi nati nel 1924, poi mandati allo sbaraglio in prima linea. Nel 1945, con la Liberazione e terminata la guerra, giunse anche per Alberto l’ora di tornare a casa. Ad aspettarlo c’erano Alda, la figlia di circa un anno, e Ida Renzi, la futura moglie che sposò nel 1946 e con cui ebbe altri tre bambini: Massimo, Roberta e Flavia. Nella pace domestica, un nuovo percorso di vita e un nuovo obiettivo presero forma nella sua mente. “Dopo l’esperienza della guerra, l’idea fissa che avevo era di aiutare i ragazzi”, raccontò molto tempo dopo, “rinnovare la scuola, per cambiare certe cose che non mi piacevano”

Andrea Canevaro, docente di Pedagogia speciale all’Università di Bologna scomparso nel maggio di quest’anno, ha parlato della curiosità come perno del “metodo Manzi”: «La curiosità, la voglia di capire, di stupire si trasmette anche all’altro che a sua volta vive la voglia di capire, di non banalizzare, di non trascurare l’elemento di novità che ogni giorno ci regala la vita». Dall’esperienza in carcere e da una rielaborazione postuma nacque Grogh, storia , vincitore nel 1948 del Premio Collodi per le opere inedite. Il testo, che narra la storia di un gruppo di castori che lottano per la libertà, inizialmente fu concepito per attirare l’attenzione dei suoi allievi, successivamente venne messo in scena dai ragazzi stessi e più

Prese a fare lezione con mozziconi di matita nascosti nei calzini e nelle borse per il pane perché, per motivi di sicurezza, non si potevano portare matite e penne. Quei ragazzi, considerati da tutti senza futuro, riscoprirono il piacere di imparare, tanto che su 94 studenti, solamente due tornarono poi in carcere. Dalle menti e dalle mani di questi studenti nacque La Tradotta, il primo giornale scritto da detenuti in un carcere

ragazzi lo presero per uno di loro (aveva solo 22 anni!) e si fece raccontare le loro storie. Quando svelò la sua identità, però, smisero di essere così collaborativi e disposti a seguire le lezioni: questo “privilegio” il buon insegnante avrebbe dovuto conquistarselo. Come? Con la legge del carcere: a pugni. Sfidò il capo banda, Oscar,

Intanto Manzi riprese e terminò gli studi: nel 1947 si laureò in Biologia alla Facoltà di Scienze dell’Università di Roma. Suppongo che fosse laureato presso La Sapienza ma non ne ho conferma, papà non ritirò mai i diplomi di laurea», spiega Giulia. «Mia nonna paterna non sapeva neanche che fosse laureato». Poi si iscrisse alla facoltà di Magistero, sempre a Roma. Si laureò in Filosofia e Pedagogia con il professor Volpicelli, che lo volle come assistente a dirigere la Scuola sperimentale del magistero, nel 1953. Esperienza che tuttavia abbandonò dopo appena un anno, per ritornare alla sua

schede!Maledette

Iniziò la carriera di insegnante in un carcere minorile: su 94

Manzi tiene in mano un libro di istruzioni per la stesura delle schede di valutazione, che nel 1981 si rifiutò di compilare.

88 S

Questeimprenditoriali.particolariesperienze

Alcuni scatti non istituzionali che raccontano aspetti privati del “maestro”. In senso orario: Manzi bambino in posa, maestro durante i campi scuola, con un amico negli anni Ottanta e infine in divisa con un compagno di studi all’Istituto nautico.

Fino al 1977 insegnò spagnolo agli indigeni praticamente da solo; in seguito, grazie alla diffusione della sua opera di alfabetizzazione tramite la radio, si aggregarono alla spedizione molti ragazzi. C’era chi insegnava a leggere e a scrivere e chi le norme igieniche e il primo

di vita ispirarono la sua vena narrariva: nel 1956 uscì Orzowei, un romanzo che narra la storia di Isa, un ragazzo bianco abbandonato in un villaggio di neri bantu del Sud Africa (da cui, nel 1977, venne tratta una famosa serie televisiva).

Nel frattempo, si stava aprendo una parentesi, importantissima per Manzi, in America Latina. Nel 1955-56 vinse una una borsa di studio per studiare le formiche nella foresta amazzonica. Ma una volta approdato nel Nuovo Mondo si accorse subito che il suo compito lì sarebbe stato tutt’altro. “C’erano i contadini che non potevano iscriversi ai sondaggi, perché non sapevano leggere e scrivere e nessuno glielo insegnava”, raccontò in seguito Manzi. “Chi cercava di farlo rischiava di essere picchiato e imprigionato, oppure ucciso”. Così, decise di agire, organizzando una routine che prevedeva, ogni anno, nel mese di luglio o agosto, un soggiorno in quei luoghi (in Perù, sull’altopiano andino, e in Bolivia), per istruire le popolazioni locali. Diede anche impulso a cooperative agricole e indirizzò i contadini verso piccole attività

MAESTRA TELEVISIONE. Nel 1960, Manzi venne inviato dal direttore didattico della sua scuola a fare un provino per la trasmissione Non è mai troppo tardi, un programma Rai per l’istruzione degli adulti non alfabetizzati. Lui, anziché seguire il copione, iniziò a improvvisare. Prese carta e penna e cominciò a disegnare per dare movimento e dinamicità

Analfabeti Foto-album 

Lo stesso Manzi, personaggio estremamente scomodo, venne vessato, incarcerato e torturato (la polizia gli strappò le unghie). Quelle terre lontane e tanto amate divennero talmente pericolose per la sua incolumità che, in uno dei suoi viaggi, per difendersi mise nei bagagli dei barattoli di conserva, alcuni dei quali pieni di esplosivo.Coltempo le cose presero, seppur lentamente, una piega diversa tanto che nel 1987 venne persino contattato dall’Argentina per tenere un corso di formazione per 60 docenti universitari che avrebbero dovuto elaborare il “Piano Nazionale di Alfabetizzazione”. «Papà non ha mai parlato con nessuno delle sue esperienze in Sudamerica fino al 1984, quando mia madre lo costrinse a raccontare degli episodi», rivela Giulia Manzi.

soccorso. Le attività di questi attivisti, ben presto, diedero nell’occhio, tanto che gli stessi vennero etichettati come guevaristi e alcuni si videro rifiutare il visto di ingresso.

Secondo il censimento del 1951, il tasso di analfabetismo in Italia (che variava fortemente da regione a regione) era mediamente del 13%. In realtà, questo dato non può essere considerato troppo fedele in quanto il 59,2% della popolazione non era nemmeno in possesso della licenza elementare. La dispersione scolastica era neiilanalfabetiscolasticaformazioneproponendocentripluriclasseelepartel’analfabetismoSiprimostudentiunnelelevataestremamenteperciò,specieMezzogiorno,solonumeroesiguodiconcludevailciclodistudi.iniziòacombatteredaunapotenziandoscuoleelementariistituendoscuoleneipiccoliedall’altralapost-perglidiritornoeperrecuperodeidetenuticarceriminorili.

Non è mai troppo tardi avviò una rivoluzione didattica. Il ministero della Pubblica istruzione

Il successo fu tale che il format venne imitato in 72 Paesi. «La televisione del maestro Manzi scende in strada, e per strada conquista autorevolezza», spiegava Canevaro parlando di Non è mai troppo tardi «Non fa lezione. Interagisce, provoca, propone. Chi lo vede, il telespettatore allievo, a sua volta interagisce, reagisce, rilancia e completa».

all’inquadratura televisiva. Partì facendo un disegno incomprensibile per lo spettatore, poi poco alla volta aggiunse dettagli fino a ottenere un’immagine più chiara: un lavoro “in divenire” utile per attirare – e conservare – l’attenzione dell’interlocutore.Passòilprovino, nonostante le sue scarse doti artistiche: «Alle superiori fu persino rimandato in disegno», ricorda la figlia. «È una cosa che mi ha sempre fatto sorridere, visto che poi è diventato il maestro di Non è mai troppi tardi ed è ricordato anche per la sua capacità grafica su una lavagna, che era la principale scenografia della trasmissione»

curò l’allestimento di 2.500 posti di ascolto per la Rai, con insegnanti designati dai Provveditorati agli studi e un libro di testo edito dalla Eri, accompagnato dall’occorrente per scrivere. La trasmissione divenne di culto e andò in onda per otto anni, permettendo a un milione e mezzo di spettatori analfabeti di ottenere la licenza elementare.

Di Manzi si tornò a parlare molto nel 1981, quando rifiutò di redigere le appena introdotte “schede di valutazione”, che la riforma della scuola aveva previsto al posto dei voti in pagella. Manzi, allora insegnante alla scuola elementare “Fratelli Bandiera” di Roma, spiegò la sua contrarietà alla svolta con queste parole: “Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni”. Controcorrente.

IPA

Fu dall’insegnamento,sospeso ma l’anno dopo il ministero della Pubblica istruzione fece pressione per convincerlo a scrivere le valutazioni. Manzi fece intendere di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro, con questo giudizio: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. Il ministero si oppose alla timbratura e Manzi replicò: “Non c’è problema, posso scriverlo anche a penna”.

Fa chequelpuò...

La trasmissione di Manzi permise a un milione e mezzo di

In classe

Dopo il primaria.glièbanchil’insegnamentoprimatornareManzitelevisivosuccesso(adestra),decisediallasuavocazione,traidiscuola:quiritrattoallavoroconalunnidellascuola

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relativi ai problemi della vita quotidiana (per esempio l’ospedale e la farmacia o l’abbigliamento). “Stavolta non userò la lavagna ma via via presenterò davanti alle telecamere un oggetto di uso comune. Poi ne scriverò e riscriverò il nome”, spiegò Manzi prima che il programma fosse mandato in onda.

LA TV È CAMBIATA. “Nel ’90 fui chiamato da uno dei dirigenti Rai per fare un programma rivolto agli extracomunitari”, raccontava il maestro. Si trattava di 60 puntate che sarebbero andate in onda su Rai 3 per insegnare la lingua italiana a chi era immigrato nel nostro Paese. Si concentravano su cinque diversi argomenti

Di fatto, però, il maestro non fu soddisfatto dell’organizzazione della trasmissione, lamentò l’assenza di docenti che seguissero gli stranieri da casa e quindi l’inefficacia della formazione. Sosteneva inoltre che le risorse fossero meno del minimo: era evidente che la televisione era cambiata, non si faceva più carico di quell’intento pedagogico che l’aveva animata nei suoi primi anni di vita.

La necessità promuoverediuna lingua comune si fece sentire per la prima volta con l’Unità, dopo il 1861, in un’Italia dove ancora a inizio Novecento l’analfabetismo era assai diffuso (circa il 46% della popolazione nel 1911 non sapeva né leggere né scrivere).

Alla fine della sua esperienza televisiva, Manzi tornò tra i banchi di scuola, come insegnante dell’istituto “Fratelli Bandiera” di Roma, decidendo di rimanere lì fino al pensionamento.

Dal all'italianodialetto

Lascia o raddoppia? agli adattamenti dei classici della letteratura (i famosi sceneggiati). Oltre alla funzione pedagogica la televisione svolse una funzione sociale di primaria importanza: non tutti potevano permettersi un televisore a casa e per questo amici e famiglie si riunivano intorno a un unico apparecchio.

analfabeti di ottenere la licenza elementare

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Arriva la Rai. Nella seconda metà del Novecento, in particolare, la diffusione della lingua italiana fu accelerata dalla televisione. Nei suoi primi vent’anni di vita, fra il 1954 e il 1976, fu considerata uno strumento pedagogico. All’epoca la Rai era l’unica comeintrattenimento,adulti,perproponevadeglideivocistandardconmasuitalianotrasmissionidellasoltantodalconradiotelevisivaemittentenazionale,unsolocanale(due1961)chetrasmettevaperalcuneoregiornata.Lesuediffuserouncomune–basatounasintassisempliceunvocabolarioricco,unapronuncia–attraversoledelleannunciatrici,presentatoriespeaker.LaRaiprogrammil’educazionedeglimaanchedidaiquiz

Proprio in quella scuola incontrò, nel 1982, la sua seconda moglie Sonia Boni, che all’epoca prestava servizio come supplente. Dalla loro relazione nacque, nel 1988, Giulia.

Molteplici fattori storici e sociali permisero alla lingua standard di imporsi gradualmente sulle parlate regionali. Secondo Pietro Trifone, docente di Storia della lingua italiana all’Università “Tor Vergata”, furono decisivi la leva obbligatoria su base nazionale, il movimento migratorio, lo sviluppo economico e la diffusione dei mass media.

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