Storia SCOPRIRE IL PASSATO, CAPIRE IL PRESENTE
n°181
NOVEMBRE
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COME UNO SCHIVO GENTLEMAN INGLESE SCOSSE I PRINCIPI DELLA SCIENZA E DELLA RELIGIONE
Darwin La sfida di
L’uomo che sussurrava alla natura
21 OTTOBRE 2021 - MENSILE � 4,90 IN ITALIA
Sped. in A.P. - D.L. 353/03 art.1, comma 1, DCB Verona
LINGUAGGIO
LE ANTICHE RADICI DEI DIALETTI STRANIERI PARLATI IN ITALIA
MISTERI
I QUESITI IRRISOLTI INTORNO A COLOMBO E ALLA SUA SCOPERTA
SVAGHI
IL SIMPOSIO GRECO: UN PO’ SALOTTO, UN PO’ DOPOCENA
Novembre 2021
focusstoria.it
Storia
U
n mondo immutabile e creato in una manciata di giorni. Se oggi possiamo conciliare la fede con una rilettura solo simbolica della Bibbia, così non era quando un giovanotto di 22 anni, medico e vicario mancato, nel 1831 si imbarcò (in tutti i sensi!) in un’avventura che l’avrebbe portato a stravolgere il pensiero occidentale. L’Inghilterra vittoriana era un osso duro, ma Charles Darwin aveva dalla sua la determinazione e la prova di centinaia di reperti raccolti su isole e foreste selvagge pronti a raccontare un’altra storia: le specie viventi cambiano, si trasformano, si evolvono. E gli esseri umani non si sottraggono a questa verità, né tanto meno sono nati dall’oggi al domani. Lo scienziato lanciò la sua sfida al mondo tagliandosene fuori. Alle luci della ribalta preferì la placida quiete della campagna inglese dove, in compagnia di moglie, figli e libri, fece la sua rivoluzione con le sole armi della cultura e dell’intelligenza. Emanuela Cruciano caporedattrice
RUBRICHE
4 LA PAGINA DEI LETTORI
6 NOVITÀ & SCOPERTE
8 TRAPASSATI
ALLA STORIA 10 UNA GIORNATA DA... 12 MICROSTORIA 64 DOMANDE & RISPOSTE 68 CURIOSO PER CASO 97 AGENDA
ALBUM / FINE ART IMAGES / MONDADORI PORTFOLIO
181
Charles Darwin in un quadro del Novecento.
CI TROVI ANCHE SU:
In copertina: Darwin e il brigantino su cui viaggiò.
IN PIÙ... DIETRO LE QUINTE 14 Uno scatto
sul passato
Come si realizzano le fotografie di rievocazione storica?
ANTICHITÀ 22 Dopocena greco Nell’antica Grecia, dopo il banchetto ci si godeva il simposio.
CURIOSITÀ 28 C’è sempre una
prima volta
Chi ha “scoperto” la birra? Da dove arriva il sapone?
L’EVOLUZIONE DI CHARLES DARWIN
GEOPOLITICA 70 China “made
in Italy”
L’avventura coloniale italiana a Tientsin.
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ANTROPOLOGIA 76 Paese che vai
E Darwin spiegò la vita
La selezione naturale, una teoria che rivoluzionò la scienza e il pensiero.
lingua che trovi
36 L’evoluzione di un uomo
Da Nord a Sud esistono antiche comunità linguistiche non italiane.
La vita di Darwin, da studente svogliato a marito poco romantico.
42
ANNIVERSARI 82 Colombo
Vizio di famiglia
misterioso
Il nonno di Darwin fu un precursore dell’evoluzionismo. Il settimo figlio invece era botanico e lavorò con lui.
570 anni fa nasceva Cristoforo Colombo, uno degli uomini più decisivi della Storia. E tra i più controversi.
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Il viaggio che cambiò il mondo
Darwin circumnavigò il globo tra il 1831 e il 1836. Al suo ritorno niente fu come prima.
50 Il pioniere dell’ecologia
L’influenza di Alexander von Humboldt sul lavoro di Darwin.
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Tutta farina del suo sacco?
Sono molti gli studiosi che hanno preparato il terreno a Darwin.
58 La signora delle farfalle
Maria Sibylla Merian: entomologa, viaggiatrice e artista della natura.
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GUERRA 88 SECONDA MONDIALE
Le stellette di David
Storia della Brigata ebraica, l’unità di militari ebrei contro il nazifascismo.
QUOTIDIANA 92 VITA Lotta al lusso
I divieti di ostentare abiti e gioielli, dai Romani al Medioevo, fino al Settecento. 3
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SPECIALE
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Storia in Podcast Vincenzo Lavenia, docente di Storia moderna all’Università di Bologna, racconta – a partire dall’affissione delle Novantacinque Tesi di Lutero a Wittenberg, il 31 ottobre 1517 – la scissione tra protestanti e cattolici che aprì l’epoca
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a Riforma protestante fu un movimento di opposizione radicale alla Chiesa di Roma avviato nel XVI secolo dalla predicazione di Martin Lutero (14831546) che comportò la rottura dell’unità religiosa dell’Europa cristiana. A
delle sanguinose guerre di religione chiusasi con la pace di Vestfalia. In ascolto. Come ascoltare questa puntata all’interno della nostra ricca audioteca, che ne contiene oltre 250? Basta collegarsi a storiainpodcast.focus.it nella sezione “La storia
Particolare di un sarcofago romano in cui gli sposi si tengono per mano, simbolo di fedeltà.
della Storia” dove stiamo raccontando le tappe della civiltà dall’antica Grecia al Novecento. Gli episodi di Storia in Podcast – disponibili anche sulle principali piattaforme online di podcast – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.
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Un contratto “alla mano” A proposito dell’articolo “Diamoci una mano”, pubblicato su Focus Storia n° 179, volevo segnalare una consuetudine di cui sono a conoscenza, che ha continuato a resistere fino alla metà del secolo scorso. Nelle campagne toscane i contadini impiegavano buoi e vacche per l’agricoltura al posto dei trattori, troppo costosi per i bilanci dei coltivatori diretti e dei mezzadri. Ogni unità agricola aveva necessità di utilizzare animali grossi e robusti per soddisfare il bisogno di forza lavoro dell’azienda, quindi, i contadini erano sempre alla spasmodica ricerca di animali che fornissero grandi prestazioni. Per questo motivo, dunque, erano sempre presenti alle fiere annuali per andare in cerca di animali che fossero adatti alle
esigenze dei loro poderi. Le operazioni di compravendita avvenivano tramite il “sensale“ il quale, munito di cavallo e calesse, portava in giro nelle province confinanti i contadini interessati all’acquisto. Una volta trovata la coppia di animali adatta alla bisogna aveva inizio una lunga trattativa. Quando andava a buon fine aveva luogo un cerimoniale che sostituiva quella firma che noi oggi mettiamo su qualsiasi contratto. ll “sensale” prendeva le mani del venditore e del compratore, le teneva unite tra le sue mani, le alzava e le abbassava fino a quando le due parti davano a voce il loro assenso alla trattativa. Soltanto a partire da quel momento il contratto veniva considerato “firmato” e assumeva un valore effettivo. Piero Verdiani, Castelfiorentino (Fi)
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I NOSTRI ERRORI Focus Storia n° 179, pag. 20, “Diamoci la mano” abbiamo scritto cum mano e sine mano, invece di cum manu e sine manu. Focus Storia n° 179, pag. 90, “Da perderci la testa”, abbiamo scritto che Carlo I (1600-1649) fu decapitato durante la Gloriosa rivoluzione (1688-1689), invece che nella guerra civile del 1642-1651. 5
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PRIMO PIANO
Tutta FARINA di Paola Panigas
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da essere considerato un antesignano degli ecologisti. Alla ricerca di spunti, prove e informazioni per i suoi studi, Darwin inoltre consultava continuamente libri e articoli dei colleghi da cui traeva preziose intuizioni. Non solo: intratteneva una fitta corrispondenza con studiosi da ogni parte del mondo, dall’Europa all’India, fino all’Oceania. Le sue opere nacquero da una meticolosa raccolta di dati riguardanti gli argomenti più vari, dalle forme di crostacei come i cirripedi ai piccioni domestici fino ai diversi modi di esprimere le emozioni da parte delle popolazioni indigene di ogni angolo del pianeta. Sicuramente le teorie di Darwin, quindi, sono anche il frutto dell’elaborazione di tesi e osservazioni proposte da altri scienziati. Vediamo • quali furono i più influenti.
Alter ego scientifico
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l primo a proporre un pensiero organico sull’evoluzione delle specie fu il francese Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829). Già nel 1809, nello stesso anno in cui venne al mondo Darwin, Lamarck (a sinistra, in un ritratto del 1802) aveva pubblicato la sua opera, Philosophie zoologique, che conteneva l’ipotesi di un progressiva mutazione degli esseri viventi nel corso del tempo. Inoltre il naturalista francese ipotizzò che tutte le specie discendessero da altre. Lamarck si occupò anche del controverso problema dell’età del mondo: sulla base del ritrovamento dei fossili, formulò una teoria secondo cui i primi organismi si sarebbero formati spontaneamente nella Terra primordiale e si sarebbero poi evoluti fino all’uomo. Apripista. Le sue idee sulla variazione delle specie viventi furono ridicolizzate da molti scienziati dell’epoca. Non era concepibile, allora, che le specie viventi potessero evolversi o che l’uomo avesse antentati in comune con le scimmie o con altri animali. L’ipotesi di Lamarck era imperfetta, poiché riteneva che singoli individui potessero modificare le loro caratteristiche per adattarsi all’ambiente, mentre oggi sappiamo che l’evoluzione nasce da mutazioni casuali, poi premiate dalla selezione. Ma fu una rivoluzione nel campo della biologia e aprì la strada agli studi di Darwin.
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Molti studiosi hanno preparato il terreno a Darwin. Scopriamo in che modo.
arwin non fu il solo a teorizzare, in controtendenza con le convinzioni religiose e scientifiche dell’epoca, che le specie animali e vegetali non fossero immutabili e fossero il risultato di un processo evolutivo. A ispirare Darwin fu in primo luogo il nonno, Erasmus Darwin (vedi articolo nelle pagine precedenti), ma il primo a proporre un pensiero articolato di questo tipo fu Jean-Baptiste de Lamarck, all’inizio dell’Ottocento. Tra gli altri precursori di questa rivoluzione scientifica ci fu anche un italiano, Gian Battista Brocchi (1772-1826), che paragonò la vita delle specie animali e vegetali a quella degli individui. Inoltre Darwin si formò sui libri del naturalista settecentesco Gilbert White (1720-1793), un ornitologo molto sensibile alla tutela dell’ambiente, tanto
Evoluzione all’italiana All’ombra del genio
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arwin intrattenne una fitta corrispondenza con Giovanni Canestrini (1835-1900), docente di Zoologia e Anatomia comparata dell’Università di Padova, tra i maggiori divulgatori della teoria dell’evoluzione in Italia. Canestrini (sopra, in un dagherrotipo) era impegnato sul fronte politico con posizioni laiche. All’epoca, infatti, parlare di evoluzione in Italia era tabù e si rischiava di passare per sovversivi. Colleghi di penna. Dello scambio tra i due ci sono rimaste alcune lettere: Darwin scriveva in inglese, Canestrini rispondeva in tedesco. Lo zoologo italiano contribuì alla comprensione dell’evoluzione umana, come riconobbe lo stesso Darwin. Canestrini, in anticipo sul naturalista inglese, pubblicò una serie di argomentazioni a sostegno di una lettura evoluzionistica della storia del genere umano. Agli occhi dello scienziato italiano, organi ormai privi della loro funzione nell’uomo – come i muscoli auricolari dell’orecchio o il coccige della colonna vertebrale – erano residui di una storia ereditaria che legava l’uomo agli animali. Gli esempi di Canestrini furono ripresi da Darwin e inseriti nel suo ragionamento sull’evoluzione, svelando così il contributo italiano alla formulazione della teoria.
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l 18 giugno del 1858, Darwin ricevette una lettera dalle Molucche. Si trattava di un manoscritto del naturalista Alfred Wallace (1823-1913), nel quale si esponeva chiaramente la teoria della selezione naturale. Darwin si occupava della teoria già da vent’anni, ma non l’aveva ancora enunciata. Il gallese Wallace (sopra, in un disegno), di 14 anni più giovane, era impegnato nelle sue stesse ricerche pur non avendo una formazione accademica. Di umili origini, costretto a lavorare come agrimensore, nel tempo libero divorava i resoconti di viaggio di Alexander von Humboldt (v. articolo pagine precedenti) e dello stesso Darwin. Nel 1854 salpò verso il Mar cinese meridionale e nella foresta delle isole malesi classificò uccelli e insetti. Wallace studiava gli schemi di distribuzione di gruppi di specie, ed era interessato alla diversità biologica e alle innumerevoli varianti che aveva modo di osservare. Eureka! Nel 1858 Wallace contrasse la malaria e durante un periodo di riposo forzato ebbe un’intuizione: al mutare delle condizioni ambientali venivano favorite le specie che meglio si adattavano. Comunicò la sua osservazione a Darwin, che ne colse subito la portata rivoluzionaria. Girò il testo ai colleghi Charles Lyell e Joseph Hooker che, il 1° luglio 1858, presentarono congiuntamente il manoscritto di Wallace insieme a uno di Darwin che illustrava le loro ipotesi alla Linnean Society di Londra. Ma la loro teoria ebbe poca risonanza. Spronato dalla lettera di Wallace, nel 1859 Darwin pubblicò L’origine delle specie, che mise in ombra il lavoro del collega gallese. Ma Wallace non contestò mai il primato di Darwin e tra i due nacque una grande amicizia.
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del suo SACCO? Il maestro geologo
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urante il suo viaggio di circumnavigazione del globo Darwin divorò con interesse il saggio Principi di geologia, scritto dallo scozzese Charles Lyell (1797-1875). Il geologo (sopra, ritratto dal pittore Lowes Cato Dickinson) studiando la conformazione e la struttura della Terra, nonché la sua evoluzione nel corso delle varie ere, formulò una teoria secondo cui il passato della Terra andava esaminato solo in base a fenomeni e forze ancora osservabili e tuttora in azione, poiché non c’è motivo di pensare che un tempo le leggi della fisica fossero diverse. Lyell riteneva che tali forze avessero agito indisturbate, senza “scossoni” o catastrofi come un diluvio universale, nel corso del tempo: dunque, gli strati della Terra dovevano essersi depositati gradualmente durante milioni di anni. Il mistero dei fossili. Lyell comprese poi che i fossili sono una prova della vita primordiale sulla Terra. Charles Darwin, che studiò i fossili durante il suo viaggio attorno al globo, avendo fatto propria l’opera di Lyell capì che si trattava dei resti di specie estinte da tempi remotissimi. Sicuro che all’origine della loro scomparsa non potesse esserci stato alcun diluvio universale, ipotizzò che fosse stata la mancanza di cibo, provocata da una glaciazione che mutò le condizioni climatiche, a provocarne l’estinzione. Nel corso degli anni il geologo da cui Darwin aveva tratto importanti insegnamenti accettò l’evoluzionismo, pur con qualche difficoltà e cercando di adattarlo alle sue convinzioni religiose.
Evoluzionismi a confronto
Per Lamarck, le giraffe allungarono poco a poco il collo per raggiungere rami più alti (a sinistra); secondo le teorie di Darwin solo le giraffe nate per caso con il collo lungo sopravvivevano, trasmettendo quel tratto genetico alla prole. 57
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LOTTA A MONDADORI PORTFOLIO
VITA QUOTIDIANA
Per pochi
Particolare dell’affresco La rinuncia agli averi, dalle Storie di san Francesco di Giotto, ad Assisi (1297-99). Il personaggio del seguito di Pietro di Bernardone ha un lussuoso copricapo: le leggi suntuarie colpivano anche gli uomini, ma per nobili e cortigiani le censure erano minori.
I divieti di ostentare abiti e gioielli iniziarono con i Romani, esplosero nel Medioevo tra multe e sequestri e proseguirono fino al Settecento.
Modestia
Particolare dell’affresco Incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea, di Giotto (1304-1306), nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Le donne sono vestite con colori sgargianti e copricapi a panneggio. In età comunale gli abiti divennero status symbol e per questo il loro uso fu regolamentato.
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AL LUSSO
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Tutto vietato
di Matteo Liberti
Matrone romane (in abiti del XV secolo, epoca della miniatura) protestano contro la Lex Oppia che nel 215 a.C. proibì loro il lusso. Sotto, a sinistra, una damigella italiana del ’400 in abito con strascico, trapunto di fili d’oro e bordato di ermellino. E scarpe rosse a punta.
e restrizioni dovute all’emergenza Covid-19 hanno implicato anche quelle all’acquisto di molti beni non “di prima necessità”, almeno per un po’. Ma vi è stato un tempo in cui limitazioni di questo genere erano all’ordine del giorno: non per contrastare crisi sanitarie, bensì per combattere eccessive forme di lusso. A imporli erano le leggi suntuarie (dal latino sumptus, “spesa”), in auge soprattutto dal tardo Medioevo: tramite queste norme, per motivi economici e morali, si tentò di impedire spese e ostentazioni superflue, fino a scatenare una guerra dagli esiti talvolta bizzarri che, a colpi di divieti e sanzioni, prese di mira abiti, accessori e varie “attività sociali”, inclusi matrimoni e funerali (v. riquadro nell’ultima pagina).
ORIGINI REMOTE. Una delle prime leggi suntuarie risale all’antica Roma. Era la Lex Oppia (dal nome del tribuno Gaio Oppio), introdotta nel 215 a.C. e pensata per promuovere uno stile di vita morigerato ed evitare sperperi in un momento di difficoltà economica, dovuto all’impegno dell’Urbe nella Seconda guerra punica. La legge prese però di mira solo le donne, limitandone tra l’altro il possesso di oro e lo sfoggio di abiti colorati. Sarà tuttavia in epoca medievale che le leggi suntuarie
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ABITI
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n tema di abiti, molti esempi di minuziosi divieti vengono da Bologna e Firenze. Nella città emiliana fu per esempio stabilito che nessuna donna, meretrici a parte, potesse indossare vesti con strascico o comunque così lunghe (e costose) da toccare terra. Se la donna era sposata, la multa raddoppiava. Fu inoltre osteggiata la moda degli abiti “dimidiati”, ossia realizzati per metà con un tessuto e per metà con una stoffa di diverso colore. Norme analoghe apparvero a Firenze, che proibì le vesti a righe colorate (la vicina Pistoia persino quelle con lettere o figure ricamate). In generale, le tonalità rosse erano riservate alle donne delle classi alte, mentre quelle delle classi più basse dovevano accontentarsi del rosato (le mogli dei contadini neppure di quello). Sempre a Firenze furono inoltre proibiti i ricami sui bottoni e le fodere realizzate in pelliccia. A differenza che in altri luoghi, nella città toscana erano però concesse frange di lino o di lana alle maniche, che a loro volta dovevano rispondere a precisi criteri di larghezza (le più ampie erano riservate alle nobildonne).
In età comunale c’erano disposizioni anti-lusso persino per i bambini ancora in culla inizieranno a farsi minuziose. Soprattutto dal XIII secolo, durante la cosiddetta “età comunale”, segnata dal rapido sviluppo economico di numerose città dell’Italia Centro-settentrionale. A incentivare le norme contro il lusso fu la morale cristiana. «Chi voleva praticare il lusso, doveva fare i conti con le esortazioni dei predicatori che, nelle chiese e nelle piazze, raccomandavano di badare alla misura», conferma la storica Maria Giuseppina Muzzarelli, autrice del saggio Le regole del lusso. Apparenza e vita quotidiana dal Medioevo all’Età moderna (Il Mulino). «I provvedimenti limitativi risalenti al mondo romano iniziarono così a farsi sempre più diffusi, nelle città italiane e non solo».
Che punta!
Sotto, due gentiluomini inglesi, cortigiani di Riccardo II (XIV secolo). Indossano scarpe molto alla moda tra gli uomini dell’epoca, con punte lunghissime. Queste calzature furono osteggiate dai censori sia per l’allusione fallica, sia perché rendevano difficile il movimento per chi lavorava: erano considerate scarpe di lusso proprio in quanto i nobili erano ritenuti meno affaccendati.
MEMENTO
GUARDAROBA AI RAGGI X. Le leggi medievali colpirono i guardaroba in un momento in cui, dopo secoli di morigeratezza, i vestiti stavano divenendo un nuovo status symbol, al centro di molte novità puntualmente stigmatizzate da attenti censori che non trascuravano alcun dettaglio della moda. «Se le disposizioni riguardarono quasi sempre le donne, non mancarono sporadiche
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ra le calzature, furono prese di mira in particolare le pianelle, o chopine, connotate da zeppe vertiginose, e le scarpe a punta, in auge soprattutto tra gli uomini. Nel primo caso, i divieti spaziavano dalla foggia all’altezza: a Bologna furono per esempio proibite pianelle dipinte, intagliate, ricamate o fatte con cuoio che non fosse nero o bianco, mentre a Orvieto fu imposto un limite di quattro dita (poco meno di 10 cm) per l’altezza dei sopralzi, che inizialmente potevano sfiorare i 50 cm. Tuttavia, la moda delle pianelle era così diffusa che molte donne si ribellarono, ottenendo una “liberalizzazione” dell’altezza. Nel caso delle scarpe a punta (diffuse in tutta Europa e dette poulaines per l’origine polacca), la cui punta poteva superare il metro, a irritare i censori era il loro simbolismo sessuale nonché il fatto che, inevitabilmente, chi le indossava aveva difficoltà a muoversi, cosa inconciliabile con l’attività lavorativa (perciò erano sinonimo di lusso). Non a caso si tese a limitarne le misure secondo una scala sociale: nel Ducato di Borgogna, per esempio, principi e duchi potevano sfoggiare punte lunghe due volte e mezzo il piede, mentre la gente comune doveva fermarsi a mezzo piede.
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CALZATURE
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Poche pietre
Ritratto di fanciulla, di Domenico Ghirlandaio (1490). Alle donne erano vietati diademi d’oro, ghirlande, fasce con fili dorati e cinture-gioiello. Sotto, fibbia in argento dorato con smalto e pietre preziose (inizi VIII secolo).
CERIMONIE
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lcuni anni fa ha fatto discutere la “legge sulla parsimonia” (datata 2007) introdotta in Tagikistan per salvaguardare i risparmi delle famiglie, che pone ferrei limiti nelle spese di matrimoni e funerali. Ma qualcosa di simile accadeva già in epoca tardo-medievale. Nel XIV secolo Siena introdusse norme relative alle feste matrimoniali, stabilendo numero massimo dei partecipanti, valore dei doni, foggia degli abiti e portate dei banchetti. Furono inoltre regolamentati i funerali, così come in altri comuni, soprattutto per la sobrietà dei vestiti (anche quelli del morto). A Bologna furono vietati panni vedovili foderati di ermellino, scoiattolo o martora, e veli che valessero più di 10 lire. A Foligno, nel XVI secolo, si fissò il numero di luminarie che si potevano accendere in una cerimonia funebre. Ma a essere monitorate con zelo furono le ricorrenze religiose, occasioni per sfoggiare gli abiti migliori. A Spoleto si fece un’eccezione nel 1459, quando un bando concesse alle donne, per una visita papale, di sfoggiare ogni sorta di ornamento.
Per i vestiti contra legem si multavano anche i sarti ACCESSORI
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e leggi suntuarie colpirono a più riprese i gioielli. A Bologna, per esempio, non si potevano abbellire gli abiti con gemme e pietre preziose e, più in generale, era concesso portare addosso al massimo 15 once di oro e argento (non poco: circa 4 etti). Non si potevano inoltre esibire più di tre anelli, che in molti comuni, al pari di altri gioielli, erano vietati alle meretrici. Nel frattempo, da Pistoia a Genova passando per Milano, spuntarono gabelle per chi, uomini inclusi, ornava vesti o copricapi con le perle (eccezione: le neospose). Anche le cinture erano da tenere d’occhio, perché se in oro e argento non potevano superare un certo peso e costo, e non dovevano essere impreziosite da pietre. Altri accessori presi di mira furono i copricapi bizzarri e vistosi. In primis, con rare eccezioni, era vietato indossare ghirlande e corone, ma in molti casi anche cerchietti d’oro e fasce intessute con fili dorati. Fu inoltre scoraggiato l’uso di piume. Celebre, al riguardo, il divieto di papa Clemente VII ai romani di ogni età e grado di “portare per la città alcuna sorte di penne”, nel 1532.
restrizioni per gli uomini e addirittura per i bambini, per esempio al fine di moderare il lusso delle culle», ricorda l’esperta. Le varie leggi imposte dagli statuti cittadini prevedevano multe più o meno salate, una parte delle quali era destinata a opere pubbliche o alla ristrutturazione di luoghi religiosi. Le regole differivano di solito in base alle classi sociali: così, cavalieri e nobildonne potevano concedersi più sfarzi rispetto al resto della cittadinanza. «In breve, si cercava una corrispondenza tra condizione sociale e preziosità delle vesti, affinché nella gerarchia sociale ognuno stesse al suo posto», spiega ancora la storica. Per applicare le varie norme, stuoli di funzionari si specializzarono in variegate mansioni: stabilire le sfumature dei colori degli abiti, misurare maniche e gonne, controllare foggia e materiali, soppesare e stimare gioielli, fibbie e catenelle e valutare la liceità di scarpe e copricapi. Il tutto, da vagliare anche in relazione alla lotta della Chiesa contro i costumi “scollacciati”. In sostanza, appena le autorità cittadine incrociavano una donna con un abito apparentemente contra legem, procedevano a un controllo immediato, arrivando a chiedere alla “sospettata” di portare il vestito entro un giorno in un apposito ufficio (giurando sul Vangelo di non contraffarlo nel frattempo). In caso di trasgressione accertata, alle multe si aggiungeva il sequestro delle vesti, mentre agli artigiani che avevano realizzato abiti e accessori proibiti erano riservate persino punizioni fisiche. Ogni cittadino era chiamato a contribuire alla lotta contro il lusso con denunce anonime o nominali, in cambio di parte dei ricavi delle multe.
BATTAGLIA PERSA. Per fare cassa, i comuni ricorsero anche alla “bollatura delle vesti”. Questa pratica permetteva, a chi aveva comprato un abito prima che una norma lo mettesse fuori legge, di usarlo dopo aver pagato una certa somma. Ma di secolo in secolo l’efficacia dei divieti diminuì, sia per la difficoltà di adattare le norme al mutare della moda, sia per la crescente insofferenza della popolazione. «La moda era ormai a tal punto un mondo a sé, con proprie leggi, da far scemare l’intervento dei legislatori. Finché alla fine del Settecento il richiamo alla libertà e all’uguaglianza mandò definitivamente in soffitta le leggi suntuarie», conclude Maria Giuseppina Muzzarelli. Il colpo di grazia lo diede la Rivoluzione francese, con un decreto del 29 ottobre 1793 che affermava: “Nessuna persona, dell’uno o dell’altro sesso, potrà costringere alcun cittadino o cittadina a vestirsi in modo particolare [...]; ognuno è libero di portare gli abiti o gli accessori [...] che preferisce”. Da allora, tolte rare eccezioni, le leggi • suntuarie sono rimaste un lontano ricordo.
DOMANDE&RISPOSTE
Queste pagine sono aperte a soddisfare le curiosità dei lettori, purché i quesiti siano di interesse generale. Non si forniscono risposte private. Scrivete a Focus Storia, via Arnoldo Mondadori 1, 20054 Segrate o all’e-mail redazione@focusstoria.it
A cura di Federica Ceccherini
In marcia
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La ritirata dei soldati italiani dopo la sconfitta di Nikolaevka (1943). A lato, i militari durante una sosta nel bosco.
SECONDA GUERRA MONDIALE
QUANTI SOLDATI ITALIANI SONO MORTI NELLA CAMPAGNA DI RUSSIA?
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soldati italiani che non fecero ritorno a casa dalla campagna militare condotta tra il 1941 e il 1943 in Unione Sovietica – iniziata al fianco delle truppe naziste nell’ambito della cosiddetta Operazione Barbarossa e conclusasi con un fallimento – furono circa 84mila su quasi 300mila uomini partiti. Male equipaggiati e indeboliti dai combattimenti e dalla fame, gli italiani furono sopraffatti dall’inverno russo (fino a 40 gradi sotto zero di notte), nel corso della drammatica ritirata dopo la battaglia di Nikolaevka (gennaio 1943). Decimati. Questo numero esorbitante di caduti, superiore al 25% del totale degli italiani che parteciparono all’operazione ne fa la peggiore disfatta di sempre per l’Italia, in termini di vite umane.
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Domanda posta da Naomi Giorgi.
Tanti altri quesiti sui fatti storici li trovate in edicola nel numero doppio di Focus dove è stata dedicata un’ampia sezione di domande e risposte sulla Storia.