Focus 384

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NELLA TESTA DEL CAPO

Si può detestare o amare; tutti però ci dobbiamo convivere. Le ultime ricerche sulla scienza del potere ci possono aiutare a prendere le misure. Dal visionario all’arrogante, dall’amicone all’incapace, riconosci il tuo superiore?

26 NELLA TESTA DEL BOSS

32

Quanti hanno ancora una linea fissa?

Come ragiona un capo? Perché può essere difficile avere a che fare con lui? Ecco che cosa dicono le ricerche sui leader.

E TU CHE CAPO HAI?

Ci sono molti tipi di leader. Quelli che non riescono mai a staccare, quelli che fanno tutto da soli (o quasi), quelli che delegano o che si circondano di collaboratori/ammiratori...

Linci

Scoprire e capire il mondo

Il

Quanti di noi, almeno una volta nella vita, hanno pensato “Ma come ragiona? Ma cosa gli passa per la testa?”. Il capo, si sa, è una figura complessa. Può essere fonte di ispirazione o di frustrazione, a volte entrambe nella stessa giornata. Eppure, la nostra serenità lavorativa dipende in gran parte da questa relazione. Dopo tutto, i nostri superiori sono tra le persone con cui ci confrontiamo più spesso. Capirli, scoprire che genere di leadership incarnano, conoscerne pregi e difetti e saper fare leva su di essi, è la chiave per sopravvivere, e magari prosperare, in qualsiasi ambiente di lavoro. Il dossier di Raffaella Procenzano (a pag. 26) è una guida di sopravvivenza al proprio capo, dal riconoscerne i comportamenti al saper leggere le dinamiche di potere, dal cogliere gli aspetti psicologici e fisiologici della leadership al sapersi adattare alle situazioni. Il tutto con le solide basi scientifiche delle ultime ricerche sul campo. Certo, non tutti i capi sono uguali. A pag. 32, Raffaella vi propone diversi profili: provate a riconoscere quale appartiene al vostro capoufficio. Io sono stato fortunato: mi sono sempre trovato bene con quelli che ho avuto, anche i più narcisisti: ogni tanto c’è stato qualche attrito e incomprensione con qualcuno, ma in generale il rapporto è sempre stato molto buono. Ognuno di loro mi ha insegnato parecchio, nel bene (spesso) e nel male (saltuariamente). Spero lo stesso valga per voi. E ai capi che mi leggono consiglio di leggere lo stesso il dossier. Troveranno molte indicazioni per migliorare il rapporto con le persone che guidano.

Gian Mattia Bazzoli (gianmattia.bazzoli@mondadori.it)

DELL’UNIVERSO Il satellite Euclid, dopo aver rilasciato le prime immagini, sta ora mappando in 3D il cosmo per far luce sui suoi più grandi misteri. Ecco come.

Oltre

Un astrofisico italiano propone una spiegazione semplice al più grande mistero dell’universo.

fotografia FANTA-FOTO

Draghi, astronavi, città del futuro... Gli scatti dall’alto del premio Drone Photo Awards.

68 comportamento

MEGLIO SEGUIRE... PANCIA O TESTA?

Che si tratti di piccole o grandi cose, scegliere non è facile: ragione e istinto sembrano contraddirsi.

74 comportamento

Pensa a come ti comporteresti nelle situazioni proposte e valuta queste affermazioni.

76 tecnologia

ROBOT ERGO SUM

Non più semplici automi: guidati dall’Ai, gli androidi capiscono cosa diciamo, si adattano e collaborano. 82 geografia

Separano e uniscono. Isolano e proteggono. I confini sono all’origine della civiltà (e delle guerre).

Possono trasformarsi e potrebbero rigenerare tessuti. Ma i loro impieghi in medicina sono ancora complessi.

Il cordone ombelicale è ricco di cellule staminali, che possono essere donate oppure conservate, e utilizzate per curare una settantina di malattie.

biologia

Pagine

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La scienza non sconfigge la morte, ma può aiutarci a vivere meglio. Parola di un Nobel per la chimica. 106 scienza UN MONDO A “MISURA” D’UOMO

Trasformiamo in numeri ciò che facciamo, dal costo della spesa ai passi. Fa parte della nostra natura.

112 tecnologia

RIVOLUZIONE ENERGETICA

Dal fotovoltaico sull’acqua a quello nello spazio, fino alle batterie rigenerate: le innovazioni per rendere il nostro sistema energetico più verde ed efficiente.

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Vita nel legno

Un tronco ospita moltissime forme di vita. Scoiattoli e uccelli sono solo quelle che vediamo: come nel nostro corpo, anche negli alberi alberga una folta comunità di microrganismi nota come microbiota. In gran parte ancora da studiare. Jonathan Gewirtzman e Wyatt Arnold, della Yale University (Usa), hanno ora esaminato i microbi che abitano nel legno: «La comunità costituita da batteri e archei (procarioti, organismi unicellulari privi di nucleo, ndr ) e da funghi (sempre microscopici, ndr )», ci spiega Jonathan Gewirtzman. I ricercatori hanno prelevato campioni di legno dai tronchi di 158 alberi di 16 specie – dall’acero del Canada ( nella foto) alla quercia rossa, specie del Nord America – e visto dalla presenza di Dna quanti e quali organismi erano presenti. «Abbiamo valutato l’abbondanza di batteri e archei: stimiamo che nel legno di un albero di 5.000 kg ce ne siano un trilione, un milione di milioni», continua Gewirtzman. Tanti, ma meno che nel nostro intestino, dove sono 39 trilioni. «Ma non abbiamo contato i funghi e abbiamo valutato solo il legno sopra il suolo: il numero aumenta se si considerano anche i microbi associati a radici, corteccia e foglie». Ruolo? Come aggiunge Gewirtzman, «il legno di ogni specie ha una sua comunità distinta, che probabilmente varia anche con posizione geografica ed età della pianta». Negli aceri, dalla linfa dolce, ci sono per esempio più batteri specializzati nel degradare gli zuccheri. E tessuti diversi hanno diversi abitanti: nella parte interna del legno (durame), sono più abbondanti batteri e archei anaerobi, che non usano ossigeno. «Esplorando la possibile origine dei microbi, abbiamo poi visto che molte specie del cuore del legno sono di provenienza sconosciuta: non si trovano in radici, suolo o foglie, che abbiamo analizzato. Ci aspettiamo che i microbi del legno abbiano un ruolo importante nella crescita e nella salute degli alberi, ma resta molto da studiare».

Giovanna Camardo

Secondo me

Andrea Lapi L’energia oscura? non esiste

Un astrofisico italiano propone una spiegazione semplice al più grande mistero dell’universo.
Le osservazioni di Euclid stabiliranno se ha ragione.

di Andrea Parlangeli

Il mistero più grande dell’universo ha il nome dell’entità principale che lo compone: l’energia oscura, una “sostanza” che spinge il cosmo a espandersi sempre più rapidamente. Il problema è che di questa fantomatica forma di energia che costituirebbe il 70% del cosmo (v. anche articolo precedente) non sappiamo praticamente nulla. Da decenni, fisici e astronomi cercano di darne una spiegazione, invano. Non un’ipotesi credibile, non una teoria degna di questo nome… E se l’energia oscura non esistesse affatto? A proporre questa possibilità, che risolverebbe molti problemi ma che è decisamente controcorrente, è Andrea Lapi, docente di fisica alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste. Il suo punto di vista è che l’espansione del cosmo si possa spiegare tenendo conto

con precisione di tutte le dinamiche legate alla distribuzione casuale di materia su larga scala, la cosiddetta “ragnatela cosmica” di galassie che lentamente le osservazioni astronomiche stanno mettendo a fuoco. Per saperne di più, siamo andati a trovarlo nel suo piccolo studio che guarda verso la Slovenia e la Croazia, e che condivide con il giovane collaboratore Lumen Boco. Siamo al quinto piano della Sissa, su una delle colline che cinge Trieste, e lo sguardo non può fare a meno di perdersi tra il mare e il cielo, proiettandoci con l’immaginazione oltre l’atmosfera, nelle scale più ampie del cosmo.

Partiamo da un fatto. L’universo si sta espandendo, e si è scoperto che lo fa sempre più velocemente. Come si spiega questa accelerazione?

L’evidenza dell’accelerazione del ritmo di espansione del cosmo deriva da

varie osservazioni, in particolar modo dalle supernovae di tipo Ia, che sono considerate come candele standard, cioè eventi di cui si conosce molto bene la luminosità. Osservandole, si riesce a ricostruire la storia dell’universo. I dati mostrano che la velocità di espansione sta aumentando da circa 7 miliardi di anni. Questo fatto viene normalmente spiegato per mezzo dell’energia oscura, una forma di energia che pervade lo spazio vuoto e che lo spinge ad ampliarsi. Nella sua forma più semplice, l’energia è una “costante cosmologica”, un termine costante che si può aggiungere alle equazioni della relatività generale per trovare un accordo con le osservazioni. Detta così, sembra un trucco matematico. Come possiamo immaginare questa energia?

Il problema è proprio questo. Originariamente, Einstein introdusse la

UNA VITA TRA LE STELLE

Nato a Firenze nel 1976, Andrea Lapi è docente di Astrofisica e Cosmologia alla Scuola Internazionale

Superiore di Studi Avanzati (Sissa) di Trieste. È autore di circa 200 pubblicazioni, che hanno raccolto più di 7.000 citazioni. I suoi interessi scientifici includono la formazione e l’evoluzione delle galassie, la cosmologia, la struttura su grande scala dell’universo, materia ed energia oscura, teorie di gravità, onde gravitazionali, astronomia multimessaggera, data science e high performance computing applicati all’astrofisica. Neve e mare. Nel tempo libero pratica lo snowboard, il calcio e il ciclismo. Ama fare trekking sulla neve e nuotare in mare con il suo fedele bovaro del bernese.

DAL BIG BANG A OGGI

Espansione rallentata

Fondo cosmico di microonde

Età oscura

Espansione accelerata

Lo schema a lato sintetizza l’evoluzione del cosmo a partire dal Big Bang. Dopo 300mila anni si formano gli atomi (e la radiazione cosmica di fondo, quel che resta della luce di allora). Poi arrivano le prime stelle e le prime galassie. Un aspetto cruciale, sul quale dovrà fare luce il satellite Euclid (v. articolo precedente), riguarda quel che avviene nella fase intermedia, quando iniziano a formarsi le strutture su larga scala e l’espansione del cosmo comincia ad accelerare. Secondo Lapi, i due fenomeni sono collegati e si possono spiegare senza ricorrere all’energia oscura.

Per spiegare i dati sull’espansione del cosmo basterebbe considerare la distribuzione “casuale” delle galassie

costante cosmologica come un termine che poteva essere messo lì, nelle equazioni, per sistemare le cose. Tra l’altro, la pensò per un altro scopo: non per spiegare l’espansione, ma perché riteneva che l’universo fosse statico e voleva trovarne una descrizione matematica. Poi però si capì che l’universo si stava espandendo, e che la costante cosmologica poteva render conto anche dell’accelerazione più recente. Oggi si ritiene in genere che la costante cosmologica possa essere interpretata come un’energia, qualcuno la definisce come un’antigravità che nasce dalle fluttuazioni quantistiche del vuoto. Ma se si cerca di calcolarla in base alle teorie attuali, si trova un valore che è enormemente più grande (un numero con 120 cifre) di quello che si osserva. Quindi la vostra ipotesi eviterebbe queste contraddizioni?

Esatto. L’idea nasce da un’osservazione: l’accelerazione cosmologica si manifesta in un momento particolare nella storia dell’universo, quando cominciano a formarsi le prime strutture come la cosiddetta ragnatela cosmica (v. riquadro

in alto). Oggi la struttura dell’universo su larga scala, infatti, appare come una rete costituita da materia oscura principalmente, ma anche da materia ordinaria. E questa ragnatela ha al suo interno le galassie, gli ammassi di galassie e tutte le strutture cosmiche.

La formazione di queste strutture è dovuta esclusivamente alla forza di gravità. Possiamo ricostruirle osservando la disposizione delle galassie nel cielo con i telescopi e possiamo simularle al computer. Quello che vediamo è che la ragnatela cosmica comincia a definirsi circa 7 miliardi di anni fa. Prima l’universo era quasi uniforme. Poi, a mano a mano che il cosmo si espandeva e che le strutture si formavano, i flussi di materia dovuti all’attrazione gravitazionale divenivano sempre più significativi, rendendo la ragnatela più definita. Il processo continua anche oggi. Su che cosa si basa, allora, la vostra teoria?

Il nostro punto di vista è che possiamo pensare all’universo, in epoche tarde, come composto da tantissime regioni, simili tra loro, che hanno un compor­

tamento un po’ diverso l’una dall’altra. Un comportamento casuale, o meglio “stocastico”. Ci saranno regioni un po’ più dense, altre meno dense; e il loro comportamento in generale sarà un po’ diverso. Il punto è vedere che conseguenze ha questo sull’espansione dell’universo. Questa è la novità. Cercare di legare l’espansione alla formazione di strutture. L’idea che abbiamo avuto è quella di dire: prendiamo alcuni volumi di universo con una dimensione abbastanza grande da contenere queste strutture della ragnatela cosmica – tipicamente un centinaio di milioni di anni luce – e consideriamo l’universo come tassellato da un grande numero di queste regioni. L’evoluzione di ognuna di esse sarà un po’ diversa dalle altre, perché la loro densità differisce. Ci saranno quindi alcune fluttuazioni casuali, e trasferimenti di materia tra una regione e l’altra, che piano piano si accumuleranno nel tempo e si amplificheranno. Il risultato è che, se si fa una media, l’evoluzione globale è tale da dare alle epoche tarde una forma di accelerazione. In questo quadro, l’accelerazione dell’e­

BIG BANG
Prime stelle e prime galassie
OGGI
Picco della formazione di stelle e galassie: mezzogiorno cosmico

GRANDI MAPPE

Il telescopio dello Sloan

Digital Sky Survey ad Apache Point, negli Usa: è dedicato allo studio su larga scala dell’universo. Per molti aspetti è il predecessore di Euclid.

spansione dell’universo è dovuta al fatto che la materia si condensa in specifiche regioni, mentre molte altre regioni si svuotano. Queste regioni meno dense (i “vuoti”) si espandono molto rapidamente, e la loro abbondanza porta l’universo ad accelerare in media.

Come si fa a dimostrare sperimentalmente che il modello è corretto?

Sarebbe importante verificare bene che cosa succede nell’universo nel momento in cui questa accelerazione comincia a manifestarsi, circa 7 miliardi di anni fa. Per questo saranno importanti le osservazioni di Euclid (v. articolo precedente), che campionerà un gran numero di galassie a varie distanze per ricostruire nel dettaglio le relazioni di vicinanza tra loro e la storia completa del cosmo. Si capirà così se l’espansione può essere descritta da una costante cosmologica (che è, appunto, costante nel tempo, ndr) o da un parametro che invece varia, la cosiddetta “quintessenza”. Il nostro modello prevede un’evoluzione nel tempo: abbiamo fornito previsioni precise che le osservazioni di Euclid dovranno confermare o smentire.

Se l’energia oscura viene messa in dubbio, potrebbe non esistere neanche la materia oscura?

Eh, no. Purtroppo di quella non si può fare a meno. Almeno, io la penso così. Ci sono osservazioni astrofisiche e cosmologiche estremamente forti, stringenti, sul fatto che la materia oscura debba esistere. Il nostro modello si basa sulla teoria standard della materia oscura, che prevede l’esistenza di particelle molto massive dette Wimp (Weakly Interacting Massive Particles).

La possibilità che l’energia oscura non esista affatto è rivoluzionaria. Ma è soltanto un’ipotesi o ci crede davvero?

Certo che ci credo. Nella scienza però non conta soltanto il risultato finale, conta anche il processo che porta a una teoria. Un po’ come in matematica, è importante il ragionamento che c’è dietro una dimostrazione. In fisica, l’importante è che una teoria sia falsificabile, perché anche l’eventuale insuccesso può portare idee che possono essere utili in altri contesti.

Come le è venuta questa idea?

Negli ultimi cinque anni ho usato le tecniche stocastiche per descrivere altri fenomeni in astrofisica, in particolare la formazione di strutture di materia oscura. A un certo punto, circa un anno e mezzo fa, ho pensato di applicare le stesse tecniche anche alla cosmologia. Che cosa l’affascina di più dell’universo?

La sua vastità. Tendo ad annoiarmi molto presto, quindi ho bisogno di cambiare. L’universo è estremamente complesso e ha mille sfaccettature. Per uno come me, che cerca sempre qualcosa di diverso, è il luogo naturale in cui muoversi. Dunque lei cambia spesso anche nella vita?

Ho più volte cambiato città. Sono nato a Firenze, ho vissuto a Roma, poi a Trieste. Ho molti interessi anche extra lavorativi e pratico diversi sport: calcio, tennis, recentemente mi sono appassionato allo snowboard.

Si definirebbe un bastian contrario? No, per niente. La mia teoria si basa sul modello cosmologico standard, cerca solo di correggere un punto che altrimenti sarebbe difficile giustificare.

Tempo

Rivoluzione energetica

Dal fotovoltaico sull’acqua a quello nello spazio, fino alle batterie rigenerate: le innovazioni per rendere il nostro sistema energetico più verde ed efficiente.

EMERGENTE

La piattaforma sperimentale galleggiante con pannelli fotovoltaici dell’Innovation Lab di Enel a Catania. In futuro impianti simili si potranno installare su laghi e dighe.

di Andrea Di Domenico

Dallo spazio alla presa di corrente in casa. È questo il viaggio che in futuro potrebbe fare l’energia elettrica: catturata dal Sole direttamente in orbita, trasformata e poi distribuita in un Pianeta sempre più energivoro. E sempre più alla ricerca di soluzioni per arrestare il cambiamento climatico.

«Il progetto Solaris, coordinato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa), mira a produrre energia solare a 36mila km dalla Terra e a trasferirla sul nostro pianeta (v. Focus n. 368). È ancora agli albori, ma ha ambizioni importanti. In questa fase si sta studiando la fattibilità tecnico-economica di questa soluzione e noi stiamo contribuendo nell’ambito di un accordo con Thales Alenia Space», ci spiega Nicola Rossi, Responsabile Innovazione di Enel, che vi prende parte per l’aspetto energetico.

«La tecnologia fotovoltaica è stata usata per la prima volta proprio nello spazio (sul Vanguard I, satellite lanciato in orbita nel 1958, ndr) e poi ha avuto enormi ricadute sulla Terra», prosegue Rossi. «Adesso si sta valutando la possibilità di piazzare i pannelli in orbita, per catturare la luce del Sole praticamente 24 ore su 24. Tuttavia, per riuscirci bisogna superare alcune importanti sfide: anzitutto ridurre al minimo il peso dei pannelli e delle strutture di supporto poiché i costi crescono all’aumentare del peso del materiale da portare in orbita. In secondo luogo, bisogna aumentare la performance: i pannelli terrestri

sono costituiti da celle in silicio e assorbono solo la frazione rossa della luce solare, convertendo in elettricità circa il 22% della radiazione assorbita, mentre le celle spaziali sono multi-giunzione, ovvero costituite da molti strati di piccolissimo spessore e di materiale diverso, ciascuno in grado di assorbire una specifica frazione dello spettro della luce solare; in questo modo la cella sfrutta tutto lo spettro luminoso convertendolo in elettricità, e questo porta il rendimento al 28% sebbene in futuro si punti a raggiungere valori del 40%. Infine, le celle spaziali hanno al momento costi molto più alti rispetto alla tecnologia terrestre (oggi un pannello per lo spazio costa più di 100 euro a Watt contro i 15 centesimi di quelli sulla Terra, ndr), per cui in ultima analisi bisognerà abbassarli enormemente, perché produrre elettricità in orbita e trasportarla sulla Terra abbia un senso economico».

Un’ulteriore sfida sarà poi quella della trasmissione dell’energia sul nostro pianeta: «Trasformata in microonde l’energia potrà essere spedita sulla Terra dove ci saranno delle antenne che la riceveranno e la trasformeranno in elettricità, ma serve aumentare l’efficienza e garantire la sicurezza», dice Rossi. Secondo le attuali valutazioni la Spagna potrebbe essere il primo Paese europeo a costruire una stazione di ricezione, in una road map definita da Esa che prevede di arrivare a produrre in orbita 1 MW entro il 2030 e 100 MW nel 2035.

DIGITALI

Le nuove cassette elettriche stradali sono più efficienti.

A destra, il sistema di accumulo a sabbia nell’Impianto pilota MGTES di Buccino (Sa).

DALLO SPAZIO ALL’ACQUA

Se il fotovoltaico dallo spazio è ancora in una fase di studio, quello sull’acqua, il cosiddetto fotovoltaico galleggiante, è già realtà, spiega l’esperto di Enel che ci guida alla scoperta delle tecnologie e delle innovazioni più interessanti per rendere la produzione di energia elettrica sempre più sostenibile ed efficiente. «In questo caso», spiega Rossi, «i pannelli si piazzano su strutture galleggianti che vengono posizionate su bacini, come quelli idroelettrici, e ancorate ai versanti in modo completamente rimovibile, senza l’impiego di strutture fisse. Il vantaggio è che sfruttano specchi d’acqua che non avrebbero destinazioni d’uso alternative e operano in luoghi già dotati delle infrastrutture per la connessione con la rete, necessitando, quindi, di meno lavori a supporto. Inoltre, coprendo i bacini d’acqua ne diminuiscono l’evaporazione dalla superficie coperta di circa l’80%, corrispondenti a più di 20mila metri cubi l’anno per ettaro, caratteristica questa molto utile soprattutto se il bacino è utilizzato per l’irrigazione, e rallentano la formazione di alghe, perché l’acqua si scalda meno coi raggi del Sole. Infine, i pannelli operano a temperature inferiori, cosa che li rende più efficienti».

Per accumulare l’energia da fonti rinnovabili si stanno testando “batterie” che sfruttano la sabbia

36MILA

BATTERIE RIGENERANTI

Da quando si è iniziato a puntare sulla mobilità elettrica si è posta anche la questione di cosa fare delle batterie al litio esauste, che contengono anche elementi come manganese, cobalto e nichel. «Prima che si arrivi a dover riciclare attraverso processi chimici i vari componenti della batteria per utilizzarli in altre totalmente nuove (processo certamente utile, ma anche complesso, ndr), le batterie usate sulle auto possono avere una seconda vita», spiega Rossi. «Bisogna pensare che per garantire l’accelerazione e la velocità tipiche di un’auto, le batterie devono fornire prestazioni elevatissime e quando una batteria di un’auto raggiunge il suo fine vita ha ancora caratteristiche adeguate e utili per accumulare e distribuire energia in altre applicazioni meno stressanti: per questo i pacchi batteria usati delle auto, che hanno una capacità tipica di 70-100 chilowattora ciascuno, possono essere integrati in sistemi che raggiungono vari megawattora». Il problema però è che le batterie sono state usate e usurate in modo diverso e dunque per farle funzionare insieme c’è bisogno di un’integrazione molto avanzata: «Il software che gestisce il sistema di accumulo integrato sfrutta specifici algoritmi per ottimizzare l’utilizzo dei vari moduli tenendo conto del relativo stato di usura e facendoli funzionare in modo ottimale». È stato così che Enel ha realizzato il progetto Pioneer, cofinanziato dalla Commissione europea attraverso l’Innovation Fund e realizzato insieme ad Aeroporti di Roma e Fraunhofer Institute, per dotare l’aeroporto di Fiumicino entro il 2025 di uno tra i più grandi sistemi di stoccaggio energetico con batterie di seconda vita a livello europeo: più di 700 pacchi batteria di tre differenti case automobilistiche, con una capacità complessiva di 10 MWh, che accumuleranno e gestiranno l’energia rinnovabile prodotta da un impianto fotovoltaico da circa 30 MW.

BOILER A SABBIA

L’elettricità però non è tutto. L’energia assume tante forme e quella elettrica non è l’unica utile all’uomo. Ci sono varie industrie, come quelle di processo (per esempio quelle alimentari tipo i caseifici o quelle chimiche, metallurgiche o ancora di produzione di carta e cellulosa) che hanno bisogno di calore anziché elettricità. E se fino a ieri per ottenerlo si bruciava gas naturale, oggi esistono soluzioni alternative più sostenibili che prevedono l’accumulo di calore generato da resistenze elettriche in masse solide ad alta temperatura, per poi riutilizzarlo per produrre vapore di processo, come è il caso del sistema chiamato MGTES realizzato dal Gruppo Magaldi, che

accumula il calore generato da elettricità ricavata da impianti rinnovabili in un letto di sabbia. «Il funzionamento è simile a quello di un boiler, solo che la resistenza elettrica non scalda acqua come nelle nostre case, ma sabbia», spiega Rossi. «Il letto di sabbia, a forma di parallelepipedo, viene fluidizzato con aria fino a raggiungere un regime bollente che gli permette di assorbire o rilasciare calore molto velocemente. Nella fase di carica il letto viene riscaldato fino a oltre 600 gradi tramite resistenze elettriche alimentate con energia rinnovabile. In fase di scarica il calore del letto viene trasferito all’acqua convogliata in tubi scambiatori immersi nel letto stesso. Quest’ultima arrivando a ebollizione genera vapore utilizzabile nei processi industriali». La prima applicazione di questa energia termica verde sarà a inizio 2025 per un’industria alimentare e prevede la costruzione di un impianto fotovoltaico da 2,5 MW e di un impianto MGTES da 80 tonnellate all’ora di vapore, con capacità di accumulo pari a circa 9 MWh termici e con un risparmio di CO2 di oltre 500 tonnellate l’anno.

DALLA RETE ALLE CASE

«Attraverso questi progetti, frutto di un percorso di innovazione con obiettivi di breve, medio e lungo periodo, puntiamo a cogliere le opportunità derivanti dalle nuove tecnologie», continua Rossi. «Questo percorso richiederà una forte evoluzione anche sulle reti di distribuzione per connettere sempre più impianti di generazione rinnovabile, gestire al meglio i flussi di energia e garantire efficienza e affidabilità. La digitalizzazione capillare delle nostre reti sarà un fattore determinante. Per questo stiamo potenziando l’intelligenza su tutti i nodi di rete. Per esempio, le nuove cassette stradali (da cui partono i collegamenti per i clienti finali, ndr): più robuste e meno soggette a manomissioni, sono più facili da monitorare e permettono la raccolta di una serie di dati con cui migliorare la gestione della rete e risolvere in tempi più rapidi i guasti e le emergenze, in molti casi senza la necessità che una squadra di tecnici sia costretta a raggiungere fisicamente la cassetta stessa».

CICLO CONTINUO Un’illustrazione di un impianto solare nello spazio: può funzionare 24 ore su 24.

Domande Risposte

LA SCIENZA IN PILLOLE

Scrivete

PUNGE! Il vaccino contro il morbillo ha avuto il ruolo più importante, evitando quasi 94 milioni di decessi.

QUANTE VITE HANNO SALVATO I VACCINI IN 50 ANNI?

DECINE DI MILIONI, SECONDO UNO STUDIO DELL’OMS, ANCHE RIDUCENDO DRASTICAMENTE LE MORTI INFANTILI.

Dal 1974 a oggi i vaccini hanno salvato 154 milioni di vite, ovvero 6 vite al minuto: lo afferma uno studio pubblicato su The Lancet e condotto dall’Oms, che sottolinea che l’immunizzazione è il modo migliore per assicurarsi non solo che i bambini raggiungano il primo anno di vita, ma anche che crescano e diventino adulti sani. Dei 14 vaccini analizzati (tra cui quelli contro la difterite, il morbillo, il tetano, la tubercolosi, la febbre gialla, la meningite e la poliomielite), quello contro il morbillo ha avuto l’impatto

maggiore, contribuendo a evitare quasi 94 milioni di decessi e riducendo del 40% le morti infantili globali e di oltre il 50% quelle in Africa.

VIVI E PIÙ SANI. «Grazie ai vaccini, il vaiolo è stato eradicato e la poliomielite quasi», afferma Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore dell’Oms; i vaccini antipolio hanno permesso anche a oltre 20 milioni di persone di continuare a camminare, evitando di rimanere paralizzate. Per ogni vita salvata grazie all’immunizzazione, abbiamo guadagnato in media 66 anni in piena salute – ovvero 10,2 miliardi di anni di vita in cinquant’anni.

Chiara Guzzonato

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