È un oceano in miniatura, con un patrimonio di biodiversità unico al mondo. Oggi però non gode di buona salute. Ecco perché (e come) va protetto.
Scoprire e capire il mondo
L’origine dei baobab in un nuovo studio
Mare nostro
SOS MEDITERRANEO
Riscaldato, inquinato, trafficato, usato come pattumiera, sovrasfruttato per la pesca... Eppure la sua salute è vitale.
32 UN OCEANO IN MINIATURA
Piccolo, semichiuso e... molto prezioso. Anche per noi. Ecco perché bisogna proteggere il Mediterraneo. 34 LE BANCHE BLU
Dalla tecnologia alla geopolitica: come sarebbe cambiato il mondo se la conquista del nostro satellite fosse andata diversamente. 26
Le aree marine protette sono depositi di “capitale biologico”. Di cui beneficia anche l’uomo. Ecco perché e le principali in Italia. 38 CHE VITA LÀ SOTTO
Megamolluschi, balene, tartarughe e squali. La fauna del nostro mare è davvero unica e ancora in parte da scoprire.
42 UN MARE DI GUAI
Le minacce alla vita del Mediterraneo? Dalla pesca insostenibile alle “reti fantasma”. Le soluzioni? Prevenzione e buone scelte a tavola. 46
UN PRATO SOTTO LE ONDE
La Posidonia oceanica è una pianta preziosa: ospita biodiversità e protegge le coste. Sia in acqua, sia quando arriva sulla spiaggia.
Pagine animate
Non è affatto segno di pigrizia: una siesta a metà giornata ricarica le energie e stimola nuove idee. Purché non sia troppo lunga: 20 minuti bastano.
Scopri video, audio, timelapse e tanti altri contenuti.
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62 scienza
LA STORIA AI RAGGI X
Nuove tecniche di tomografia e di intelligenza artificiale permettono di leggere i papiri di Ercolano.
68 comportamento
DAMMI UNA MANO
Fin dagli albori dell’umanità, toccare i nostri simili per esprimere vicinanza emotiva ha favorito la costruzione delle nostre società.
74 spazio
IL CERVELLO DEL WEBB
Siamo stati nel centro operativo della Nasa per vedere come viene controllato questo strumento.
80 medicina
QUELLO CHE IL DNA NON DICE
I meccanismi studiati dall’epigenetica trasferiscono esperienze e stili di vita nelle cellule.
86 tecnologia
I GAS DEL FUTURO
Dai gemelli digitali ai big data: tutte le innovazioni che governano i gasdotti italiani.
94 medicina
ALZHEIMER, UNA NUOVA SPERANZA
È la più temuta tra le demenze e i casi sono in aumento. Ma si studiano nuovi farmaci da affiancare a test per la diagnosi precoce. 100
tecnologia IL CERVELLONE TUTTOFARE
Abbiamo visitato il supercomputer Leonardo, il più potente in Italia e il 7° al mondo. Potrà rivoluzionare la meteorologia, la medicina, l’energia e... le chat. 108
tecnologia PONTI DI VISTA
Costruire strade che attraversino fiumi e tratti di mare comporta sfide ingegneristiche sempre più sofisticate e hi-tech.
DIFFUSO
Una verdesca: squalo lungo fino a oltre tre metri, vive in mari tropicali e temperati.
CHE
VITA SOTTO
PESCA
Il tonno rosso: può superare i 650 kg di peso e nuotare a 70 km/h. La pesca ha portato a una diminuzione degli stock.
Megamolluschi, balene, tartarughe e squali. Una fauna unica, da scoprire.
Platone scriveva, nel Fedone: “Ce ne stiamo intorno alle rive del mare come rane o formiche intorno a uno stagno”. Il filosofo descriveva la presenza greca sul Mediterraneo, ma sappiamo che il nostro mare è davvero un “laghetto” in confronto ad altri mari. Eppure è ricchissimo di biodiversità: nelle sue acque vivono la foca monaca (v. riquadro alla pag. seguente) e la balenottera comune, squali e gorgonie, tonni e molluschi. E un terzo delle 17.000 specie viventi presenti si trovano solo qui. «La flora e la fauna del nostro mare costituiscono una percentuale consistente della biodiversità marina conosciuta», spiega Laura Pintore, Marine Wildlife Expert del Wwf Italia. «Il Mediterraneo è composto da diversi habitat e la ricchezza di specie è così grande da costituire fino al 18% della biodiversità marina conosciuta per quello specifico habitat». Sulle rive, ci sono le dune marittime, con la loro particolare vegetazione, alle spalle delle spiagge che ospitano le nidificazioni delle tartarughe o di uccelli come il fratino. Sott’acqua, sono oasi di vita le prate-
di Gabriele Ferrari GROSSASQUALI. Nel nostro mare ci sono 73 specie di pesci cartilaginei (squali, razze e chimere).
NACCHERA. La Pinna nobilis arriva a oltre un metro di lunghezza; vive fino a 60 metri di profondità.
RETTILE SUB
Una tartaruga verde, una delle tre specie di tartaruga presenti nel Mediterraneo: nidifica nella parte orientale (Turchia, Cipro, Siria).
MOBY DICK
Un capodoglio vicino a una borsa: in molti individui rinvenuti spiaggiati è stata trovata plastica nello stomaco.
rie di Posidonia (v. articolo in questo dossier). Sui fondali rocciosi tra 25 e 200 m di profondità si sviluppa il coralligeno: una concrezione di carbonato di calcio prodotta da vari organismi, tra cui alghe calcaree. E in profondità si aprono i canyon sottomarini, lungo cui salgono nutrienti dal fondo che alimentano la catena alimentare, attirando cetacei e altri grandi animali del mare aperto.
IL CAMPIONE DI APNEA
«È facile osservare un ambiente costiero e pensare a quanto sia bello e importante da proteggere, ma anche il mare aperto è ricco di ecosistemi, fondamentali perché fanno da nursery e rifugio per moltissime specie, meno conosciuti perché più difficili da studiare», continua Pintore. Gli animali forse più carismatici sono i cetacei. Tra le specie residenti, che vivono e si riproducono nel Mediterraneo (v. disegno alle pagg. seguenti), ci sono la balenottera comune («Il secondo animale più grosso del mondo dopo la balenottera azzurra», dice Pintore) e il capodoglio, ma anSergio
DOVE SEI?
La foca monaca mediterranea (a destra) è al centro degli sforzi di conservazione del Wwf e di altre organizzazioni. Le minacce che affronta sono molte, dal traffico nautico alla pesca illegale. Scomparsa da molte parti del suo areale, si pensa ne restino circa 700 individui, ma mancano informazioni accurate sulla sua distribuzione e abbondanza nel
Mediterraneo (in Italia, per esempio, ci sono sporadici avvistamenti). Tracce. È qui che entra in gioco la raccolta di campioni di Dna ambientale (eDna). Ogni creatura rilascia il proprio Dna nell’acqua, attraverso escrementi, peli, secrezioni. Questi frammenti possono essere raccolti e analizzati per determinare la presenza delle specie marine in un ambiente. Campioni. Wwf Italia e il Gruppo Foca Monaca, con il progetto Care4Seals e grazie a un protocollo messo a punto da Elena Valsecchi dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, stanno usando questa tecnologia per monitorare la distribuzione di questo pinnipede. Campioni d’acqua da diverse aree marine sono analizzati per individuarne la presenza, consentendo così di mapparne la distribuzione.
L’eDna dà anche una panoramica sulla salute degli habitat in cui la foca monaca vive ed è fondamentale per identificare le aree che richiedono interventi di conservazione.
che specie meno conosciute al pubblico, come il grampo, che vive prevalentemente nei pressi dei canyon sottomarini, e lo zifio, «un campione di immersioni che è in grado di scendere fino a 3 km di profondità e stare sott’acqua per quasi quattro ore senza bisogno di tornare in superficie a recuperare ossigeno (il record tra i mammiferi, ndr)». Purtroppo secondo l’ultimo rapporto Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) il 77% delle popolazioni di cetacei residenti nel Mediterraneo è minacciato, quindi una tutela serve più che mai. Tutte queste specie sono studiate e protette dal Wwf, che da qualche anno ha dato il via a un’iniziativa, le Vele del Panda, che coinvolge il pubblico in un mix di conservazione e turismo sostenibile.
STORIE DI RECUPERO
Ma sono in pericolo anche i grandi pesci. Per esempio, squali e razze sono in pericolo a livello globale e nel nostro mare la situazione non è diversa: secondo l’Iucn, più della metà delle specie presenti nel Mediterraneo è minacciata localmente soprattutto a causa della cattura accidentale nelle attività di pesca, anche se la scarsità di informazioni rende difficile valutare esattamente lo stato di salute delle popolazioni. Di sicuro sappiamo che nel Mediterraneo nuotano il grande squalo bianco, lo squalo volpe, lo squalo mako, la verdesca, lo squalo grigio: quest’ultimo è una specie a rischio estinzione che ha nell’Alto Adriatico, al largo di Cervia e Ravenna, una serie di aree che fungono da nursery, dove i neonati possono nutrirsi e crescere. E tra i grandi pesci va citato il tonno rosso, protagonista di una storia di recupero: a seguito della diminuzione dell’85% delle popolazioni, dovuta alla pesca eccessiva per soddisfare le richieste del mercato asiatico, è stato imposto un piano di recupero con parametri di cattura rigidi. Ora lo status della specie è passato da in pericolo a rischio minimo, le popolazioni mediterranee e atlantiche si stanno ricostituendo e un nuovo piano di gestione prevede che la pesca sia “ancorata” agli esemplari esistenti.
Il Dna trovato in acqua rivela la presenza della foca monaca
E una storia di successo è anche quella della tartaruga comune, Caretta caretta, che nidifica sulle coste del Mediterraneo (dove nuotano anche la tartaruga verde e la tartaruga liuto). Depone le uova nella sabbia, dove per 45-70 giorni sono incubate dal calore del suolo. La temperatura determina il sesso delle tartarughine: le uova che si trovano a oltre 29 °C daranno femmine, sotto quella temperatura daranno maschi. Dopo la schiusa, le tartarughine si dirigono al mare dove passeranno 20-30 anni prima che siano pronte a riprodursi. Da anni il Wwf monitora le spiagge sulle nostre coste, mappando i siti di nidificazione e proteggendo gli esemplari appena nati: nel 2020, sulle spiagge di Sicilia, Calabria e Basilicata, operatori e volontari del Wwf hanno trovato 108 nidi (nel 2019 erano stati 46) da cui sono emersi oltre 5.000 piccoli. E ogni anno i Centri di Recupero salvano centinaia di individui, feriti da collisioni con barche o da ami e lenze.
UN’EPIDEMIA SUL FONDALE
Ci sono però anche specie meno “visibili”, ma che sono vere bandiere del nostro mare: come la Pinna nobilis, nota come nacchera: è un mollusco, il più grande bivalve del Mediterraneo, di cui è endemica, ed è in pericolo critico di estinzione. Già minacciata da raccolta e altri fattori, dal 2016 è stata anche vittima di morìe di massa dovute a un parassita, Haplosporidium pinnae, che ha ucciso dall’80 al 100% delle popolazioni presenti nel Mediterraneo. Soggetta a protezione in tutta l’Unione Europea, la sua raccolta è vietata e si provano soluzioni come il trapianto in mare di esemplari giovani allevati in laboratorio. Si possono trapiantare, per ricostituire le comunità dell’habitat del coralligeno, anche le gorgonie: questi coralli sono vulnerabili alle ondate di calore sempre più frequenti, ma anche danneggiate dagli attrezzi da pesca abbandonati. Il Wwf si dedica da anni a campagne di pulizie dei fondali per aiutarle. Tutti sforzi portati avanti con l’aiuto di ricercatori, ma anche di residenti e volontari. Uniti per salvare il nostro “stagno” e i suoi abitanti.
Sotto, gli 8 cetacei residenti nel Mediterraneo (nuove valutazioni ne hanno aggiunte due, orca e steno, mentre le specie registrate sono in tutto 24). Avvistarli in un’escursione in barca o un viaggio in traghetto è un’emozione. Ecco le immagini per riconoscerli, con lunghezza del corpo, profilo in superficie e “soffio” quando respirano.
ZIFIO
Ziphius cavirostris Fino a 7 m
BALENOTTERA COMUNE
Balaenoptera physalus Fino a 23 m
CAPODOGLIO
Physeter macrocephalus Fino
Il profilo sull’acqua
DELFINO COMUNE
Delphinus delphis Fino a 2,5 m
Grampus
A VELE SPIEGATE PER IL MONITORAGGIO
Per avere dati su abbondanza, distribuzione e comportamento dei cetacei, il Wwf Italia, con Wwf Travel e Sailsquare, ha varato nel 2019 il progetto “Le Vele del Panda”. È
un’iniziativa di ricerca e monitoraggio dei cetacei del Mediterraneo e consente ai turisti di ammirare cetacei, tartarughe, squali, e contribuire alla raccolta di dati con ricercatori e guide
Il profilo di immersione è ciò che vediamo sull’acqua. Per l’identificazione sono utili la forma della pinna e il soffio, tipico della specie.
Wwf. Dal 2020 al 2023, il progetto ha esplorato sei aree, dalla Liguria alla Campania. Identificando aree per riproduzione e alimentazione di specie come zifio e capodoglio (wwftravel.it/).
Il cervellone tuttofare
Abbiamo visitato il supercomputer Leonardo, il più potente d’Italia (e 7° al mondo). Potrà rivoluzionare la meteorologia, la medicina, l’energia e... le chat.
di Vito TartamellaIMPONENTE
L’hangar che ospita il supercomputer: occupa un’area poco più grande di un campo da basket. Nel 2023 Leonardo è stato usato da 5.308 ricercatori per lo più europei.
Aiuta a capire come si formano le galassie e come mettere in sicurezza la Torre Garisenda di Bologna, a rischio di crollo. Riesce a trovare nuovi farmaci in un sol giorno in caso di pandemie, ma suggerirà anche come rendere più efficiente il porto di Ravenna. E grazie al suo lavoro nasceranno le prime ChatGPT tutte italiane. Parliamo di Leonardo, il più potente supercomputer del nostro Paese: il 3° d’Europa e il 7° in assoluto al mondo. In funzione dal 2022 al Tecnopolo di Bologna e gestito dal consorzio interuniversitario Cineca, è capace di svolgere 250 milioni di miliardi di operazioni al secondo: un’ora dei suoi calcoli equivale a 736 anni ininterrotti di lavoro di un laptop moderno. I supercomputer, infatti, sono macchine molto potenti in grado di eseguire calcoli e simulazioni complesse.
RICERCHE DA NOBEL
Costato 120 milioni di euro (più altri 150 milioni per finanziare 5 anni di funzionamento) Leonardo fa parte della High Performance Computing Joint Undertaking, l’Impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni: una rete europea di 11 supercalcolatori a supporto della ricerca scientifica e dell’industria (v. riquadro in ultima pagina). Così il Vecchio continente gioca alla pari con i colossi globali del settore: ai vertici della classifica dei supercomputer, la Top500, ci sono gli Usa e il Giappone. E a breve anche la Cina, che sta preparando Tianhe-3, la macchina più potente al mondo (1,5 exaflop: 6 volte più di Leonardo).
Leonardo è un cervellone potente e versatile, e perciò richiestissimo: nel 2023 è stato impiegato in quasi 800 progetti,
SIMULAZIONI
Un tornado a Carpenedolo:
Leonardo aiuterà a elaborare previsioni meteo più rapide. Sotto, la vista 3D di una proteina: serve a creare farmaci mirati.
a fronte di innumerevoli richieste. Fra i suoi utenti, anche il premio Nobel Giorgio Parisi, che l’ha impiegato per studiare le transizioni quantistiche dei vetri di spin, particolari leghe metalliche. E le sue risorse di calcolo fanno gola anche agli hacker: ogni giorno Leonardo riceve (e sventa) 40mila tentativi d’intrusione da tutto il mondo.
E così il Tecnopolo Manifattura di Bologna, un’area industriale di 100mila m2 che un tempo ospitava uno stabilimento di tabacchi, sta diventando la “Data valley” italiana: oltre a Leonardo ospita infatti anche il supercomputer del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (Ecmwf), uno dei più avanzati al mondo per le previsioni globali. E il Centro dati dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. Leonardo occupa un’area di 736 m2, poco più grande di un campo da basket. Vederlo da vicino è affascinante e respingente al tempo stesso: si compone di 9 grandi isole che ospitano 155
Il calcolatore sta addestrando 6 modelli linguistici: daranno vita alle prime ChatGPT native italiane
rack (armadi modulari) con oltre 20mila processori, miriadi di cavi e lucine lampeggianti. Un macchinario enorme, che produce un ronzio assordante per il forte getto d’aria dell’impianto di condizionamento necessario a evitare che si surriscaldi.
CACCIA ALL’ORO NERO
Ma perché oggi un supercomputer è diventato indispensabile? «Perché offre due grandi vantaggi», risponde Marco Aldinucci, direttore del Parallel Computing Group all’Università di Torino e membro del comitato scientifico di Cineca. «Accelera i tempi di soluzione di un problema, come avviene nelle previsioni meteorologiche. E perché consente di risolvere problemi complessi con maggiore precisione, permettendo di apprezzare dettagli altrimenti invisibili: come accade nello studio delle proteine in 3D, che evidenzia i meccanismi di funzionamento delle cellule».
LE SUE CARATTERISTICHE
CAPACITÀ DI CALCOLO
250 petaflops (milioni di miliardi di operazioni al secondo). È il 7° supercomputer più potente al mondo e il 3° in Europa
3 petabytes (3 milioni di gigabytes): la memoria Ram
110 petabytes (110 milioni di gigabytes): la memoria di archiviazione
9 isole con155 rack (armadi modulari)
5.000 nodi di calcolo
Un altro esempio? Le esplorazioni petrolifere. Cineca collabora da anni con Eni nell’elaborare i dati delle prospezioni sismiche: apparecchi che registrano come si propagano le onde sotterranee generate da apparecchi battenti o piccole esplosioni. Studiando i dati generati da queste indagini è possibile ricostruire da quali rocce è fatto il sottosuolo. Ma quei dati sono nell’ordine dei terabyte, migliaia di dvd: solo un supercomputer riesce a elaborarli e a trasformarli in immagini, consentendo ai geologi non solo di capire dove ci siano giacimenti, ma anche dove convenga scavare i pozzi in modo sicuro ed economico. È così che è stato scoperto Zohr, il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, al largo dell’Egitto.
ALLUVIONI E PANDEMIE
I chip di Leonardo saranno utilizzati per molti ambiziosi progetti internazionali. Fra questi, “DestinE”, la creazione di un gemello digitale della Terra, per simulare e prevedere gli impatti delle catastrofi naturali (alluvioni, siccità, tempeste, terremoti, eruzioni vulcaniche e tsunami: v. Focus n° 378). Poi c’è Eurofusion, che mira a realizzare il primo reattore a fusione nucleare: fonderà nuclei di deuterio e trizio per formare elementi pesanti come l’elio, emettendo molta energia. Una centrale atomica con un impatto ambientale molto minore rispetto ai reattori a fissione: ma per raggiungere il risultato occorre riscaldare il plasma a 100 milioni di gradi. E il supercalcolo è un elemento essenziale del progetto: simula l’instabilità del plasma all’interno del reattore, che avviene in frazioni di tempo infinitesimali. In questo modo si può simulare la miglior configurazione dei campi magnetici che confinano il plasma, evitando contatti con le pareti del recipiente. Il terzo grande progetto è “Ai general circulation model”: un sistema di previsioni meteo basato sull’analisi, da parte dell’intelligenza artificiale, degli eventi passati. In questo modo si ottengono previsioni a 5 giorni in pochi minuti (invece di ore) di calcolo, per consentire di prendere decisioni rapide in caso di fenomeni estremi (alluvioni, trombe d’aria), o anche per pro-
ANALISI DEI DATI
INTERFACCIA CON GLI UTENTI E ARCHIVIAZIONE
25.000 i cavi in fibra ottica
20.500 processori (6.500 cpu e 14.000 gpu)
120 milioni di euro il costo dell’hardware
PLASMA
Un reattore per la fusione nucleare: contiene plasma ad elevata temperatura. Per mantenerlo in sicurezza occorrono complesse simulazioni.
150 milioni di euro il costo di funzionamento per 5 anni
5.308 gli utenti attivi in 792 progetti nel 2023 (66% dall’Italia, 4% Spagna, 3% Francia e Germania, 2% da Regno Unito, India e Cina)
grammare la produzione e lo stoccaggio di energia elettrica. E infine, in campo farmaceutico, il progetto “Ligate”, da 5,9 milioni di euro (2,6 milioni dalla Commissione europea), guidato dalla Dompé farmaceutici. L’obiettivo: realizzare un software capace di testare virtualmente in un solo giorno miliardi e miliardi di molecole, per individuare cure promettenti in risposta a nuove pandemie.
NEURONI ARTIFICIALI
A questi progetti, negli ultimi tempi, si sono aggiunti i “modelli linguistici di grandi dimensioni” (large language model): si addestrano le macchine a elaborare enormi quantità di dati, allenando le reti neurali artificiali. «Si fornisce a una macchina un input (testi, foto, video, suoni) che viene elaborato in un risultato (output). Finché il computer riesce ad apprendere, ovvero a ricavare una regola che associ un input mai visto pri-
NUMERI E CONFRONTI
340 tonnellate il peso di Leonardo. Pari a 68 elefanti africani o 4.700 persone: perciò poggia su un pavimento super rinforzato.
30 autoarticolati i veicoli necessari per trasportarlo: formerebbero una colonna lunga più di mezzo km
10 km la lunghezza delle tubazioni per il raffreddamento ad aria e ad acqua. Poco più della distanza VeneziaMestre.
500 m3 il volume d’acqua necessario a raffreddarlo. Riempirebbe 1/5 di una piscina olimpionica.
7,5 MegaWatt la potenza necessaria per il funzionamento. Pari al consumo di 4.000 appartamenti.
1ora di lavoro di Leonardo = 736 anni di lavoro di un laptop. 1secondo di lavoro di Leonardo = un’operazione algebrica al secondo fatta da ciascun abitante della Terra x 1 anno
1.200.000 i tentativi di attacchi hacker mensili ai nodi di ingresso. Pari a 40mila tentativi di intrusione al giorno.
ma con un risultato corretto», spiega Aldinucci. I chatbot come ChatGPT funzionano così. «Per allenarli», aggiunge Gabriella Scipione, responsabile data management di Cineca, «occorrono enormi quantità di dati, da 70 a oltre 500 miliardi di parole, l’equivalente di oltre 5 milioni di romanzi. A oggi, su Leonardo si svilupperanno ben 6 modelli del genere: quelli di iGenius (“Modello Italia”), di Almawave (“Velvet”), dell’Università La Sapienza (“Minerva”), dell’Università di Bari (“Llamantino”), di iStella e della Fondazione Kessler».
Perché questa esplosione di modelli linguistici? «Ognuno presenta elementi specifici, sia per numero e tipo di parametri d’addestramento sia per campi d’applicazione», risponde Scipione. «In generale, nascono dall’esigenza di avere un modello addestrato in italiano, a differenza di quelli esistenti che sono stati generati in inglese e sono meno affidabili in altre lingue. In molti casi, i progetti italiani prestano più attenzione alla qua-
SOTTO CONTROLLO In alto, un tecnico controlla il funzionamento di Leonardo. Sotto, una parte delle condutture idriche: l’acqua serve a raffreddare il supercomputer. A sinistra, l’inserimento di un componente in un rack.
lità dei dati di input, per avere un’Ai il più possibile imparziale. Leonardo è particolarmente utile in questo compito per le sue capacità di elaborare grandi quantità di dati».
Una volta pronti, questi modelli saranno rilasciati in modalità aperta (open source) per realizzare assistenti virtuali o generatori di testi: è una delle regole dei supercomputer europei. «Essendo stati finanziati con fondi pubblici, devono rimanere a disposizione gratuita degli utenti finali, come tutti i progetti realizzati con Leonardo», spiega Alessandra Poggiani, direttrice generale di Cineca. «L’uso delle risorse di calcolo è gratuito e aperto sia a scienziati sia alle industrie, a patto che partecipino a un bando. I progetti vengono selezionati da un comitato scientifico in base alla loro carica di innovazione. L’Italia, in quanto Paese ospitante, ha diritto a usare metà della potenza di calcolo del supercomputer». In campo industriale, infatti, il supercalcolo può dare un contributo prezioso. «Negli anni
LA RETE EUROPEA DEI SUPERCOMPUTER
L’Unione Europea ha investito 8 miliardi di euro per realizzare entro il 2027 una rete di 11 supercalcolatori in grado di rendere l’Europa un leader mondiale nel supercalcolo a supporto della ricerca scientifica e dell’industria. I finanziamenti coprono anche la ricerca scientifica sul tema del calcolo ad alte prestazioni.
La rete, denominata EuroHPC JU (European High Performance Computing Joint Undertaking) è formata da queste macchine già operative e collegate in rete:
1 Lumi (Kajaani, Finlandia), 386 petaflops
2 Leonardo (Bologna, Italia), 250 petaflops. A sua volta Leonardo è collegato a una rete italiana di computer Cineca a Milano, Roma e Napoli (da dicembre)
3 MareNostrum 5 (Barcellona, Spagna), 178 petaflops
4 Meluxina (Bissen, Lussemburgo), 12 petaflops
5 Karolina (Ostrava, Rep. Ceca), 9,5 petaflops
6 Vega (Maribor, Slovenia), 6,9 petaflops
7 Discoverer (Sofia, Bulgaria), 4,5 petaflops
La rete prevede altri 4 supercomputer in fase di attivazione:
8 Jules Verne (Bruyères-le-Châtel, Francia), 1 exaflop
9 Jupiter (Jülich, Germania), 1 exaflop
10 Daedalus (Laurio, Grecia), 30 petaflops
11 Deucalion (Guimarães, Portogallo), 7 petaflops
scorsi», racconta Claudio Arlandini, responsabile del team Servizi per le industrie di Cineca, «i nostri calcolatori hanno consentito di realizzare invenzioni originali. La GreenTech solution, ad esempio, ha messo a punto un sistema automatizzato per la pulizia dei rifiuti marittimi, “Litter hunter”: un drone sorvola il mare, individua i rifiuti, li segnala a un operatore e ne prevede i percorsi per i 100 minuti successivi. Nel frattempo crea una rotta per ottimizzare il tragitto di un drone marino di superficie che passa a raccoglierli l’uno dopo l’altro. Aresys, uno spinoff del Politecnico di Milano, ha creato invece un sistema automatico per monitorare lo stato di riempimento dei bacini idrici interpretando le fotografie dei satelliti Sentinel-2 dell’Esa, consentendo così un monitoraggio continuo a costi trascurabili».
Eppure, nonostante i risultati, «il mondo industriale europeo non sa ancora trarre vantaggio dai supercomputer come potrebbe», osserva Aldinucci, membro del Gruppo consultivo per la ricerca e l’innovazione di EuroHPC. «Per questo la Commissione Europea ha da poco lanciato “Ai factory”, un pacchetto di misure di oltre 3 miliardi di euro per supportare con servizi di supercalcolo le startup e le piccole medie imprese europee. L’obiettivo è creare un ecosistema di università e imprese che producano innovazione nel campo dell’intelligenza artificiale».
DAI BIT AI QBIT
Ma Leonardo non si occupa solo di tecnologia. Potrebbe rivoluzionare anche il mastodontico e bizantino apparato legislativo italiano: l’assemblea dell’Emilia-Romagna si è affidata al cervellone bolognese per valutare l’impatto e l’efficacia delle nuove leggi regionali, confrontandole con quelle già emanate in passato. È il progetto “Savia”: insomma, ci voleva un super-
A Bologna arriveranno anche i 2 primi computer quantistici d’Europa,
che saranno testati sul campo
calcolatore per riuscire a orientarsi nella giungla del burocratese e del linguaggio giuridico.
Nel frattempo i suoi chip lavorano 24 ore al giorno per riprogettare le ali degli aerei o gli scafi delle navi, rilevare buchi neri studiando i segnali elettromagnetici, cogliere i primi segnali di cedimento di un ponte, uno stadio o una pala eolica studiando le immagini satellitari… Fino a quando, nel 2026, Leonardo andrà in pensione, sostituito da un supercomputer di nuova generazione capace di prestazioni exascale: 4 volte più potente. E nel frattempo – per tenersi al passo con gli altri, visto che dal mese scorso è stato scalzato di un posto nella classifica mondiale dal supercomputer svizzero Alps – sarà potenziato con un upgrade chiamato “Lisa”. «E sarà affiancato da due dei primi computer quantistici europei, uno da 3 milioni di euro e uno più grande da 25 milioni», annuncia la direttrice Poggiani. «Sono macchine sperimentali, che usano particelle elementari invece degli impulsi elettrici dei bit: così possono provare simultaneamente tutte le possibili combinazioni di un problema, fornendo risposte rapide a problemi complessi. Saranno usate per simulazioni chimiche, meteorologia, finanza, crittografia, logistica, scienza dei materiali. E, naturalmente, per l’intelligenza artificiale».
Domande Risposte
LA SCIENZA IN PILLOLE
AGLI ANIMALI PIACE FARE LE PULIZIE?
ANIMALI
Da dove provengono i cavalli di tutto il mondo?
Dall’odierna India. Nel 2004 i ricercatori dell’università statunitense Johns Hopkins scoprirono i resti di un animale chiamato Cambaytherium nelle miniere di lignite e calcare di Vastan, nello Stato indiano del Gujarat. Il Cambaytherium è un parente estinto dei perissodattili, l’ordine di mammiferi a cui appartengono cavalli, rinoceronti e tapiri, che visse nel subcontinente indiano circa 55 milioni di anni fa. Incrocio. Negli anni seguenti, il lavoro di un team globale di paleontologi ha portato al rinvenimento di oltre 350 fossili da tutta l’India, permettendo così di ricostruire l’anatomia scheletrica completa di questa creatura, simile a un incrocio fra un cervo e un cavallo. Secondo gli studiosi, il Cambaytherium rappresenta uno stadio evolutivo più primitivo di qualsiasi perissodattilo conosciuto, e potrebbe essersi evoluto in isolamento durante il Paleocene, fra 66 e 56 milioni di anni fa, quando l’India era ancora un’isola. Successivamente, quando si formò il collegamento terrestre con l’Asia, l’animale si sarebbe disperso nei continenti settentrionali. R .M.
AElcune scimmie lo fanno. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma ha studiato oltre 5.900 sbadigli dei Theropithecus gelada (foto) presso il NaturZoo di Rheine (D). I babbuini gelada sono originari dell’Etiopia, e il loro modo di sbadigliare è unico fra gli animali poiché può essere distinto in tre tipologie: a denti coperti, a denti scoperti e, lo sbadiglio più intenso, con gengive scoperte accompagnato da movimenti della testa. Esaminando i contesti in cui si verificavano gli sbadigli e i comportamenti a essi associati, i ricercatori hanno rilevato che i due tipi meno intensi di sbadiglio erano più comuni e contagiosi fra le femmine adulte, rappresentavano un comportamento amichevole ed erano molto frequenti durante gli incontri sociali. Vocalizzazioni. Fra i maschi di rango più elevato era invece più diffuso lo sbadiglio intenso, che era spesso accompagnato da vocalizzazioni e si manifestava soprattutto in momenti di tensione, come un atto intimidatorio. In una nuova ricerca, un team di studiosi dell’Università di Pisa e dell’ateneo francese di Rennes ha approfondito l’effetto contagioso degli sbadigli fra i gelada, sottolineando che le vocalizzazioni associate servirebbero a mantenere i legami sociali anche nelle situazioni in cui le scimmie non riescono a vedersi. I rumorosi sbadigli sembrano essere particolarmente contagiosi se emessi da maschi dello stesso gruppo, quindi con una maggiore rilevanza sociale. R M
siste almeno una specie di volatili con livelli di abilità e intelligenza paragonabili a quelli dei primati. Parliamo del bucero pezzato orientale ( Anthracoceros albirostris, foto), un uccello bianco e nero originario del Sud-est Asiatico e caratterizzato da un grande becco curvo, le cui facoltà cognitive sono state analizzate dall’Università Nazionale di Singapore. Animali coscienziosi. Secondo gli studiosi, tali animali sarebbero in grado di comprendere l’esistenza di oggetti ed esseri viventi anche quando sono al di fuori del loro campo visivo, circostanza che li rende particolarmente duttili quando svolgono attività fondamentali, come costruire il nido. Per custodire le uova in sicurezza, le femmine di bucero si murano infatti nel loro rifugio (costruito con fango, feci, saliva e cortecce), ma aprono sempre una piccola fessura dove lasciano del cibo ai maschi anche quando questi ultimi si assentano, presupponendo insomma la loro esistenza anche quando non possono vederli. M.M.
PIÙ DI UN CONTINENTE
Presenti in tutti e cinque i continenti, i deserti occupano una superficie di ben 50 milioni di km2 (superiore, per intenderci, a quella di qualsiasi altra massa continentale) e costituiscono intorno al 30% delle terre emerse sul Pianeta.
NATURA CURIOSITÀ SUL DESERTO
IN AUMENTO
Stando agli esperti, dal 2000 abbiamo assistito a un incremento del 30% delle zone aride terrestri, che nei prossimi anni accresceranno le aree desertiche. Queste ultime rischiano di allargarsi anche a luoghi densamente popolati, come il Sud dell’Europa.
NON SOLO SABBIA
Le regioni desertiche non sono solo calde, come il Sahara: esistono infatti deserti freddi, situati in zone climatiche temperate (come il Gobi, in Mongolia), e deserti polari, completamente coperti di ghiaccio (come l’Antartide).
IL PIÙ VASTO...
Con i suoi quasi 14 milioni di km2, proprio l’Antartide è considerato il deserto più esteso (e freddo) del mondo, seguito dall’Artide, che comprende parte di Nord America, Groenlandia, Islanda e Russia, e dal Sahara, localizzato nell’Africa Settentrionale.
... E IL PIÙ ARIDO
L’area più arida del Pianeta è invece il deserto di Atacama, esteso per circa 105mila km2 sulla costa cilena. In esso, la quantità di piogge non supera in media i 15 mm l’anno e in alcune sue parti non sono mai state registrate precipitazioni.
MADE IN ITALY
Seppure molto meno estese, anche nel territorio italiano sono presenti diverse zone desertiche, situate in varie regioni dello Stivale. Tra queste, le principali sono il Piscinas (Sardegna), l’Accona (Toscana) e le dune di Capocotta (Lazio).
PASSATO RIGOGLIOSO
Non tutte le regioni desertiche sono state aride in passato: gli studiosi ritengono, per esempio, che fino a 10mila anni fa il Sahara fosse una foresta estremamente rigogliosa, trasformatasi in deserto anche per la diffusione intensiva della pastorizia.
RISERVA ENERGETICA
L’irraggiamento di molti deserti è di gran lunga superiore a quello europeo, tanto che, stando ai calcoli degli esperti, basterebbe ricoprire di pannelli solari all’incirca il 2% del Sahara per soddisfare il fabbisogno energetico mondiale.
COMPLESSO ECOSISTEMA
A dispetto della loro immagine desolata, in tutti i tipi di deserti, caldi o freddi, sono presenti numerose piante, mammiferi e rettili. Si tratta di specie particolarmente resistenti, in grado di sopportare climi estremi procurandosi risorse in un ambiente ostile.
DUNE DA RECORD
Le dune sabbiose tipiche dei territori desertici possono raggiungere dimensioni record: le più alte in assoluto (se considerate singolarmente e non collegate ad altre) arrivano fino a 500 metri di altezza e sono situate nel deserto di Badain Jaran, in Cina.
NEL MONDO NE ESISTONO DI CALDI O FREDDI, A SECONDA DELLE LORO CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE, MA CIÒ CHE LI ACCOMUNA È L’ARIDITÀ DEL SUOLO E LA QUASI ASSENZA DI PIOGGE, CHE NON SUPERANO I 200 MM L’ANNO. PARLIAMO DEI DESERTI (DAL LATINO DESERTUS, ABBANDONATO), IMMENSE
LANDE DA SEMPRE PARTE DEL PAESAGGIO TERRESTRE. A LATO, 10 COSE CHE (FORSE) NON SAPETE SU QUESTE AFFASCINANTI DISTESE.
A cura di Massimo Manzo
TUTTO CAMBIA
Il deserto del Sahara: 10.000 anni fa era coperto di foreste.
Quando iniziò l’attuale cambiamento climatico?
Molto tempo fa. Lo ha scoperto Kellen Calinger-Yoak, un’ecologa forestale dell’Ohio State University (Usa) che si è imbattuta in un numero del 1915 della Monthly Weather Review, una rivista che ancora oggi pubblica osservazioni e modelli meteorologici, e che a quel tempo era dedicata principalmente agli agricoltori. In quel numero, in particolare, era riportato l’enorme quantità di osservazioni fatte da Thomas Mikesell, un contadino dell’Ohio che nel XIX secolo aveva annotato per 45 anni, insieme ai dati meteorologici e sulle migrazioni degli uccelli, quelli sulla crescita di piante di alto fusto, come querce, pioppi e olmi nei boschi intorno alla sua fattoria, confrontandoli anche con i modelli meteorologici dell’epoca. Precipitazioni. L’ecologa ha scoperto, confrontando i dati storici con quelli attuali, che le stagioni di crescita hanno continuato ad allungarsi nonostante le precipitazioni siano rimaste più o meno le stesse, probabilmente a causa dell’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’aria. Questo studio verrà adesso ripetuto, e i primi risultati sono già stati pubblicati su Plos
One D V
Nel Nuovo Galles del Sud, in Australia, a circa quattro ore d’auto da Sydney: si chiama monte Wingen (parola che nel linguaggio aborigeno locale significa “fuoco”) e i primi esploratori lo credettero un vulcano, visti i pennacchi di fumo che sbuffano dal terreno. In realtà al suo interno brucia il più antico fuoco attivo del mondo, acceso da migliaia di anni: non è visibile da fuori, ma gli scienziati hanno calcolato che sia una “palla” di brace dai cinque ai dieci metri di diametro, una specie di enorme barbecue sotterraneo che si trova a circa 30 metri dalla superficie, raggiunge i 1.000 gradi ed è alimentato dai giacimenti di carbone all’interno della montagna. Fulmini. Il fuoco “cammina” attraverso il carbone a una velocità di circa un metro l’anno e il suo percorso, a oggi, ha coperto circa 6,5 km: questo fa datare l’accensione ad almeno seimila anni fa, ma quasi di sicuro non è stato un umano a innescarlo, più probabilmente si è trattato di un fulmine o di un incendio arrivati dalla superficie fino al giacimento di carbone attraverso le fessure del terreno. Non è però l’unico fuoco sotterraneo al mondo, ne esistono in Cina, India e Stati Uniti: in Pennsylvania, per esempio, se ne trova uno che è stato innescato per sbaglio in una miniera di carbone cinquant’anni fa e che si stima potrà bruciare per altri 250 anni. E.M.