Dai tumori alle malattie neurodegenerative, ecco come diagnosi precoci e approcci sempre più mirati e personalizzati stanno trasformando la medicina, promettendo una vita più lunga e in salute.
30 PENSACI E PREVIENI
La voce umana arriva a 1.500 Hz di frequenza
Speciale auto 171
ELETTRICA E CONNESSA
Dalle batterie all’intelligenza artificiale: come l’innovazione sta cambiando le automobili e il nostro modo di guidare.
Prevenzione dossier
Gli stili di vita sani e certi esami medici possono proteggerci da gran parte delle malattie croniche.
36 PER DIFENDERE IL CERVELLO
Le malattie neurodegenerative vanno contrastate disinnescando 14 fattori di rischio.
42 DIABETE E OBESITÀ
Sono le due più diffuse malattie metaboliche. Per questo è importante identificarle e curarle presto.
44 AL CUORE SI COMANDA
Dopo un infarto, seguire i corretti stili di vita e assumere i farmaci è essenziale.
50 storia
SE COSTANTINO NON AVESSE LEGALIZZATO IL CRISTIANESIMO
Avremmo tante divinità diverse (ma a Natale probabilmente faremmo festa lo stesso).
56 paleoantropologia
LUCY TU SEI MERAVIGLIOSA
Lo scopritore della celebre Lucy ci racconta come quel fossile ha riscritto la nostra storia.
62 paleoantropologia
STORIA DI FAMIGLIA
Siamo gli ultimi rimasti del genere Homo, un gruppo di primati diffusi a partire dall’Africa.
46 UN PAP TEST ANCHE PER L’OVAIO
Allo studio un test per identificare presto la presenza di un tumore all’ovaio.
47 OLTRE LA MAMMOGRAFIA
Uno screening personalizzato che tenga conto di età e densità del seno aiuta la diagnosi precoce.
48 A CIASCUNO IL SUO CONTROLLO
Controlli medici personalizzati e un corretto stile di vita prevengono le ricadute in caso di tumore.
49 SFIDA AL MASCHILE
La diagnosi precoce del tumore alla prostata può essere personalizzata. Grazie alla genetica.
Pagine animate
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MULTIMEDIA
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68 neuroscienze
CON LA TESTA TRA LE NUVOLE
Passando da un pensiero all’altro, il cervello si “stacca” per un attimo. Ed è in questo meccanismo cognitivo che si inserisce la distrazione.
74 spazio
LA LUNA IN UNA STANZA
Siamo andati in Germania a visitare il più grande laboratorio che riproduce il suolo lunare.
80 animali
L’ISTINTO DEL GIOCO
Cuccioli che lottano, scimmie che si tuffano... Anche molti animali si concedono parentesi ludiche.
86 numeri
MATEMATICAMENTE PARADOSSALE
Volete stupire gli amici? Proponete loro un problema numerico di fronte al quale il senso comune fallisce.
92 scienza
LE FORME MORBIDE DELLA NATURA
Un team di matematici ha definito una nuova classe di figure molto diffuse tra gli esseri viventi, formate da linee curve e capaci di tassellare il piano.
96 universo
IL CACCIATORE DI BUCHI NERI
Stephen Hawking pensava che questi oggetti estremi potessero evaporare. Ora un progetto avveniristico proverà a dimostrarlo.
110 comportamento SONO UNICO, NON VIZIATO
92
La conchiglia del nautilus: è composta da celle che si ripetono ingrandendosi
Molti ritengono che crescere senza fratelli renda egoisti e un po’ asociali. Ma non è così.
116
tecnologia
C’È UN DRONE NELL’OCCHIO DEL CICLONE
Prendere dati negli uragani serve a comprendere questi fenomeni sempre più violenti. Ecco come.
122 storia
IL CRIMINE SENZA NOME
Che cos’è il genocidio e come (e perché) è stato definito storicamente.
Un’opera di Berthe Morisot, in mostra alla Gam di Torino
Ci trovi anche su: 212
Leforme morbide
NEL NAUTILUS
La forma della conchiglia del nautilus si basa su una cella in 3D che si ripete ingrandendosi.
Un team di matematici ha definito una nuova classe di figure molto diffuse tra gli esseri viventi, formate da linee curve e capaci di tassellare il piano.
di Andrea Parlangeli
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Gli artisti che decorarono l’Alhambra di Granada, una delle meraviglie architettoniche di tutti i tempi, forse lo sapevano già: esistono 17 modi per tassellare una superficie, cioè per ricoprirla con figure che si ripetono regolarmente nello spazio. Si dice infatti che li abbiano usati tutti, prima ancora che i matematici ne dessero una descrizione rigorosa.
Di certo, il problema di come ricoprire il piano con figure geometriche che si ripetono è antichissimo e ricco di storia, come dimostrano le pavimentazioni e le decorazioni sumere, greche e romane, per non parlare di quelle islamiche. Se ne sono occupati anche molti matematici, che però finora avevano considerato solo tasselli a forma di poligoni, cioè di figure composte da linee e angoli, come esagoni e quadrati. Ora un team guidato
SENZA PUNTE
Nel dettaglio, la forma di una cella in 3D del nautilus. Gli scienziati hanno notato che non ha punte, e pensano che questa caratteristica valga anche per forme simili che, ripetendosi, possono riempire lo spazio.
da Gábor Domokos, matematico all’Università di Tecnologia e di Economia di Budapest, ha per la prima volta classificato un tipo di tassellazione basato su figure definite soft cells (“celle morbide”, cioè senza spigoli), perché composte da linee curve che danno vita a forme molto diffuse in natura, dalla disposizione delle cellule nei tessuti biologici alle cipolle, dalle spighe di grano alla struttura dei gusci di molluschi come il nautilus.
DAL PIANO ALLO SPAZIO
Per arrivare a questo risultato, ci sono voluti almeno quattro anni di lavoro. «È stato un processo lungo», commenta Domokos. «Abbiamo iniziato studiando le “celle dure”», cioè quelle classiche della geomentria, basate su poligoni e poliedri. «Queste forme servivano a descrivere come si fratturano le rocce o i ghiacciai. Poi ci siamo chiesti se si potesse estendere la descrizione matematica a piastrellature con bordi curvi», continua Domokos. Per farlo, il team è partito dal piano, cioè da una situazione in 2D, ed è arrivato a dimostrare che una tassellazione con celle curve soft è possibile, purché abbiano due spigoli (detti “vertici”). Il risultato è nella figura nella pagina a destra, che mostra le configurazioni ricavate modificando triangoli, quadrati ed esagoni.
Il problema risolto dal team di Domokos è tutt’altro che ovvio. Se si prende una figura che può tassellare il piano, come un triangolo o un quadrato, per esempio, in genere non basta smussarne gli angoli per ottenere un’altra figura con le stesse caratteristiche. Il problema, poi, si complica ulteriormente se si passa da 2D a 3D, cioè se si tratta di trovare qualcosa di simile a mattoncini Lego capaci di riempire lo spazio. «C’è stato un momento in cui avevamo molti esempi in 2D, ma nessuno in 3D. Uno degli esempi in 2D era la sezione della conchiglia del nautilus (Nautilus belauensis, v. foto in apertura di servizio)», racconta Domokos. Questa conchiglia, infatti, è costituita da
Le forme “soffici” sono molto diffuse, dalle conchiglie alle aggregazioni tra cellule
NELL’ARCHITETTURA
L’iconico Heydar Aliyev
Center progettato da Zaha Hadid a Baku, in Azerbaigian. È citato dal team di matematici come esempio di forme con caratteristiche simili a quelle della natura.
tante camere avvolte a spirale che hanno tutte la stessa forma, anche se il loro volume aumenta andando verso l’esterno (il mollusco vive nella camera più esterna). «Osservando una foto della sezione, la mia studentessa Krisztina Regős affermò che, secondo lei, l’intero corpo 3D della camera non aveva spigoli», continua Domokos. «Era difficile da credere, ma dopo diversi mesi ho trovato la tomografia di un nautilus che dimostrava al di là di ogni dubbio che la congettura di Krisztina era corretta (la forma è messa in evidenza nel disegno nella pag. a sinistra)».
I PRINCIPI DELLA NATURA
C’è da dire che le forme del nautilus, per quanto interessanti, non sono direttamente utilizzabili per tassellare lo spazio; proprio perché sono organizzate a spirale e diventano sempre più grandi quanto più ci si sposta verso l’esterno. «Però i principi generali su cui si basa la loro struttura si possono applicare ugualmente», sostiene Domokos. «Siamo soltanto all’inizio, è un campo completamente nuovo e c’è ancora molto da scoprire». Bisogna ancora capire, per dirne una, quali sono i principi fisici sui quali si basa la natura quando genera queste forme, per esempio quando più cellule si aggregano per formare un tessuto. Domokos sospetta che valga qualcosa come un principio di minima energia, simile a quello che determina la forma delle gocce d’acqua.
Intanto i ricercatori hanno definito un algoritmo capace di trasformare una tassellazione poliedrica dello spazio in una soft. E hanno osservato che alcuni architetti, come Zaha Hadid (1950-2016), hanno già progettato forme che assomigliano alle soft cells, probabilmente per ragioni estetiche e strutturali. Sarà un caso, ma Domokos ammette: «Ho una laurea magistrale in architettura e mi sono esercitato molto con il disegno a mano libera». Forse anche per questo la natura ha scelto di rivelare a lui i segreti delle sue forme che aveva nascosto agli altri.
IL SEGRETO DELLA TARTARUGA
Le tartarughe, soprattutto quelle terrestri, muovendosi con il guscio hanno un potenziale problema: se finiscono a pancia in su, come fanno a girarsi? L’evoluzione ha trovato la risposta: il carapace ha una forma tale da consentire all’animale di rimettersi in piedi. I matematici lo hanno capito solo da poco. Ipotesi e soluzione. Il primo a ipotizzare l’esistenza di un solido omogeneo che, messo su un piano in una posizione qualunque, ha la proprietà di rotolare per finire in una specifica posizione stabile era stato il russo Vladimir Arnol’d nel 1995. A dimostrarlo sono stati nel 2006 Gábor Domokos e Péter Várkonyi dell’Università di Tecnologia e di Economia di Budapest, che si sono anche resi conto della somiglianza di questa figura (v. foto in alto) con il guscio delle tartarughe, in particolare con quello della tartaruga stellata indiana (Geochelone elegans, v. foto sopra a sinistra). Il solido è stato chiamato gömböc, che in ungherese vuol dire “pallina”, e la sua struttura ha aiutato Domokos ad arrivare all’idea delle soft cells descritte nell’articolo.
PIASTRELLE SPIGOLOSE
Alcuni modi con cui il piano può essere tassellato, cioè ricoperto da figure che si ripetono, con forme dotate di due spigoli.
MEMORIA
Alcuni bambini, in una chiesa del Ruanda, osservano i vestiti delle persone uccise in quel luogo nel genocidio del 1994.
Il crimine senza nome
Oggi il mondo è certamente
migliore che in passato.
Ma ci sono ancora situazioni che fanno gridare al genocidio. Ecco cos’è e come è stato definito storicamente.
Nel 1941, durante una trasmissione radiofonica, il premier britannico Winston Churchill definì “crimine senza nome” le stragi efferate delle armate di Hitler. Vi era, infatti, una tale volontà di sterminio nella violenza nazista che non esisteva un termine per definirla. Oggi faremmo invece ricorso a una parola che ha accompagnato tanta violenza del Novecento: genocidio, che riunisce in sé il greco ghénos, “stirpe, razza”, e il latino caedo, “uccisione”. Si tratta di un termine che ha giusto ottant’anni e che venne coniato dal giurista polacco di origine ebraica Raphael Lemkin (1900-1959). Lemkin aveva conosciuto le discriminazioni antiebraiche della Russia zarista (la Polonia era terra russa fino al primo conflitto mondiale), era rimasto impressionato dai massacri perpetrati dagli ottomani contro gli armeni durante la Grande guerra e ancora di più dalle politiche di deportazione e soppressione attuate dalla Germania nazista. Da uomo di legge, si era interrogato su come portare in giudizio i responsabili di crimini così effera-
PARTI CONTRAPPOSTE
Sopra, a sinistra, Raphael Lemkin, l’avvocato polacco che coniò il termine genocidio e lottò perché le Nazioni Unite riconoscessero il reato. A destra, Erich Kempka, autista di Hitler, al processo di Norimberga nel 1946.
di Roberto Roveda
EX IUGOSLAVIA
Il muro con i nomi delle vittime del massacro di Srebrenica (Bosnia) del 1995, perpetrato dai militari serbi nei confronti dei musulmani bosniaci. I morti furono circa 8.000.
ti da non rientrare in alcuna definizione giuridica. Nel 1944, in un suo saggio dedicato allo scenario europeo sotto la dominazione dei nazi-fascisti, Lemkin avvertì la necessità di creare un neologismo, genocidio, per designare l’Olocausto e i fenomeni di persecuzione e distruzione di gruppi nazionali, razziali, religiosi e culturali, così da avviare un riconoscimento giuridico di tali reati.
DA NORIMBERGA ALLE NAZIONI UNITE
Nel 1945, il termine genocidio fu impiegato per la prima volta in un contesto giudiziario durante il processo di Norimberga. Era presente, infatti, nell’atto di accusa presentato dalle potenze alleate contro i gerarchi nazisti. La parola genocidio non venne però inserita nella sentenza che condannò 24 dei massimi dirigenti nazisti, dodici dei quali furono giustiziati. Lemkin si impegnò allora allo spasimo perché le neonate Nazioni Unite approvassero (l’11 dicembre 1946) la Risoluzione 96, che recita: “Genocidio è la negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani; questa negazione del diritto all’esistenza sconvolge la coscienza umana, infligge gravi perdite all’umanità, che si trova privata degli apporti culturali o di altra natura di questi gruppi, ed è contraria alla legge morale e allo spirito e agli obiettivi delle Nazioni Unite”.
Il 9 dicembre 1948 fu adottata, con la Risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, scritta con il contributo dello stesso Lemkin. L’articolo II della Convenzione definisce esplicitamente il genocidio nell’ambito del diritto internazionale come ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso: uccisione di membri del gruppo; lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro.
UN TEMA CONTROVERSO
Questa definizione da parte delle Nazioni Unite fu il frutto di una lunga mediazione tra gli Stati. Non rientrò nella definizione, per esempio, lo sterminio di gruppi politici, un’esclusione insistentemente sostenuta dall’Unione Sovietica, timorosa di dover rendere conto dei delitti staliniani degli anni Trenta. Ma non solo l’Urss aveva i propri scheletri nell’armadio e divenne immediatamente evidente che del termine genocidio si poteva fare un uso politico e ideologico. Per esempio, negli anni seguenti il dibattito intorno al genocidio fu ideologicamente strumentalizzato nelle reciproche accuse, nella logica della guerra fredda, tra Usa e Urss. In particolare, le accuse sovietiche si concentrarono sui diritti civili, sulle vicende schiavistiche e sulla discriminazione razziale; quelle americane sulla questione delle minoranze etniche e nazionali oppresse nell’Urss. E la fine della Guerra fredda non ha reso più facile la possibilità di definire genocidio un massacro generalizzato e di punirlo di conseguenza.
IL DIBATTITO SUI GENOCIDI
Vi sono comunque casi oramai unanimemente riconosciuti, come la Shoah ai danni del popolo ebraico, un crimine che ha nei fatti contribuito alla definizione di genocidio. Poi vi sono i massacri avvenuti durante le guerre nella ex-Iugoslavia negli anni Novanta del Novecento, in particolare in Bosnia ed Erzegovina. Quindi sono definiti genocidio i crimini perpetrati ai danni della popolazione dei tutsi da parte dell’etnia hutu in Ruanda nel 1994. In questi due ultimi casi sono stati istituiti tribunali penali internazionali che hanno inserito tra i capi di accusa nei confronti dei responsabili il reato di genocidio. Poi vi sono situazioni in cui il dibattito è aperto, per questioni ideologiche, politiche, storiche. Il genocidio armeno non ha avuto un esplicito riconoscimento da parte dell’Onu, mentre è riconosciuto da quasi trenta Stati, tra cui l’Italia, e anche dall’Unione Europea. In ogni caso, ancora oggi parlare in Turchia di genocidio armeno può costare il carcere, e le autorità
Oltre alla Shoah, è un genocidio riconosciuto quello degli hutu in Ruanda, mentre quello degli armeni solo da alcune nazioni
turche protestano indignate ogniqualvolta uno Stato riconosce ufficialmente il massacro degli armeni come genocidio.
Forti discussioni riguardano poi i crimini commessi dalle potenze europee durante la lunga stagione del colonialismo. Nativi americani e popolazioni dell’Africa ritengono che nei loro confronti vi sia stato un intento genocidiario, ma sul tema neppure gli storici hanno una posizione univoca. Il governo tedesco, però, negli ultimi anni ha accettato di considerare genocidio le politiche messe in atto agli inizi del Novecento dall’Impero germanico contro le popolazioni degli herero e dei nama nell’attuale Namibia. Genocidio, poi, vengono considerate dall’Ucraina, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea le politiche dell’Unione Sovietica che portarono negli anni Trenta del Novecento all’Holodomor, la grande carestia che costò la vita a milioni di ucraini. E la lista potrebbe continuare, anche perché il Novecento è stato definito il secolo dei genocidi.
ITALIANI, BRAVA GENTE?
Possiamo eliminare l’Italia dalla lista degli imputati? Purtroppo no, dato che il mito degli “italiani brava gente” non resiste alla prova delle documentazioni storiche. La cosiddetta “pacificazione della Libia”, annessa dall’Italia nel 1912, fu spesso ottenuta con la deportazione della popolazione al fine di separarla dai guerriglieri. A tale scopo, l’esercito italiano impiegò campi di concentramento. La violenza verso i civili crebbe vertiginosamente a partire dal 1930, allorché vicegovernatore della Libia divenne Rodolfo Graziani, che fece costruire un
UCRAINA E LIBIA
A sinistra, il monumento che a Kiev (Ucraina) ricorda le vittime dell’Holomodor, la carestia che uccise milioni di ucraini nel 1932-33. Sotto, Rodolfo Graziani; negli anni ’30 piegò la Libia con deportazioni e campi di concentramento.
muro di filo spinato lungo 270 chilometri per bloccare gli aiuti dall’Egitto alla resistenza antiitaliana. Ma fu soprattutto l’esperienza dei campi di concentramento ad assumere un carattere di genocidio. Oltre 100.000 individui, in prevalenza donne, bambini e anziani, furono costretti a una marcia forzata di oltre 1.000 chilometri nel deserto verso una serie di campi costruiti nei pressi di Bengasi. Chi non riusciva a tenere il passo veniva fucilato sul posto; molti, in particolare donne e bambini, furono abbandonati nel deserto, altri ancora perirono per fustigazioni, fame o fatica. La popolazione imprigionata, in prevalenza di origine nomade o seminomade, fu sottoposta a violenze e condizioni di vita durissime, che provocarono la morte di decine di migliaia di persone. Quando i campi furono chiusi nel settembre 1933, vi avevano perso la vita non meno di 40.000 persone. La stessa violenza sterminatrice fu utilizzata da Graziani contro ogni tipo di opposizione in Etiopia, Paese conquistato dall’Italia nel 1936 anche grazie all’uso di gas asfissianti. D’altronde, via telegramma, Mussolini era stato chiaro su come governare la provincia: “Autorizzo a iniziare e condurre sistematicamente politica del terrore et dello sterminio contro i ribelli et le popolazioni complici stop.”.
PER SAPERNE DI PIÙ
Genocidi. Dall’antichità al mondo contemporaneo, di Roberto Roveda e Michele Pellegrini (Le piccole pagine, 2024).
Bridgeman Images/Mondadori
Domande Risposte
LA SCIENZA IN PILLOLE
Quando
PRONTI? VIA!
Un gruppo di pulcinella di mare si prepara al “grande salto” verso il cielo aperto.
PERCHÉ NELLE ISOLE VESTMAN
NELLE ACQUE SUPERFREDDE QUALSIASI COSA PUÒ CONGELARE. A MENO CHE NON SI SIA ADATTATA, COME HA FATTO UN MOLLUSCO SIMILE A UNA CAPASANTA.
BUTTANO I PULCINELLA DI MARE GIÙ DALLE SCOGLIERE?
Ogni estate, nelle isole dell’arcipelago delle Vestman, a sud dell’Islanda, si assiste a una curiosa tradizione: i residenti raccolgono giovani pulcinella di mare, Fratercula arctica, e li lanciano dalle scogliere. Pura crudeltà? Tutt’altro. I pulcinella di mare arrivano ogni anno a migliaia in queste isole per nidificare. Una volta che i piccoli hanno sviluppato abbastanza le ali e il piumaggio, si preparano a compiere il loro primo volo verso il mare gettandosi da punti molto elevati.
SCATOLE. Questo momento arriva solitamente di notte, per sfuggire ai predatori, usando la luce della Luna come guida per individuare la direzione dell’oceano. Ma con l’arrivo dell’illuminazione elettrica, le luci di case, auto o dei porti possono confondere i giovani uccelli, che spesso scambiano le luci artificiali per i riflessi lunari dirigendosi nell’entroterra e atterrando nei centri abitati, sulle strade o sui moli. Così in quelle settimane, in una sorta di festa collettiva del salvataggio, famiglie, ambientalisti e volontari si attivano per raccogliere i pulcinella che hanno sbagliato direzione e si sono smarriti. Gli uccelli recuperati vengono messi in scatole fino al mattino successivo, quando verranno portati alle scogliere, e da lì “lanciati” verso l’oceano. Alex Saragosa
SI FANNO PIÙ SCOPERTE DA REMOTO OPPURE IN PRESENZA?
LAVORARE GOMITO A GOMITO, SCAMBIARSI CHIACCHIERE ALLA
MACCHINETTA DEL CAFFÈ:
ABITUDINI CHE HANNO UN VALORE MISURABILE. E SORPRENDENTE.
In presenza e di gran lunga. Uno studio dell’Università di Oxford (Uk), pubblicato su Nature, rileva che i team di ricerca che lavorano in remoto, scambiandosi dati e informazioni in Rete, hanno meno probabilità di fare scoperte rivoluzionarie rispetto a quelli che lavorano in sede, vicini anche fisicamente. La scoperta principale dei ricercatori è stata che, mentre la “collaborazione remota” ha il potenziale per fornire idee scientifiche nuove e creative attraverso un accesso più facile a un insieme globale di conoscenze, è più difficile per questi gruppi di lavoro integrarsi efficacemente per ottenere scoperte “dirompenti”. Lo studio ha analizzato più di 20 milioni di articoli scientifici pubblicati dal 1960 al 2020, esaminando inoltre quattro milioni di brevetti depositati tra il 1976 e il 2020. Durante questo periodo di tempo i ricercatori hanno rilevato che la distanza media tra i membri dei gruppi di ricerca scientifica è aumentata da 100 km a quasi 1.000 km e, per i team impegnati sui brevetti aziendali, da 250 km a 750 km.
NUOVE IDEE
Un gruppo di ricercatori al lavoro in laboratorio. Insieme sono più creativi.
CHILOMETRI. La percentuale di collaborazioni a grandissima distanza (oltre 2.500 chilometri) è aumentata dal 2% al 15% per le ricerche scientifiche e dal 3% al 9% per i brevetti. Ma i ricercatori di questi “team remoti” rispetto ai loro colleghi in presenza avevano sempre meno probabilità di fare scoperte rivoluzionarie. E chi lavorava a distanza aveva anche meno probabilità di impegnarsi in compiti concettuali (necessari per produrre studi innovativi), come ideare
nuove ricerche o scrivere articoli, mentre era più probabile che contribuissero ad attività tecniche, come l’esecuzione di esperimenti e l’analisi dei dati. Per gli autori della ricerca, i risultati andrebbero presi in considerazione anche a livello politico: il passaggio al lavoro a distanza potrebbe facilitare miglioramenti piccoli e graduali nella ricerca scientifica, ma anche rendere più difficile il raggiungimento di scoperte rivoluzionarie.
Ilaria Prada
Che cosa afferma il Principio di Pareto, o Legge 80/20?
Questo principio, formulato dall’economista italiano Vilfredo Pareto (1848-1923), afferma che nei sistemi complessi (come quelli che sottostanno al nostro mondo), basati su dinamiche di “causa-effetto”, gran parte degli effetti, circa l’80%, si deve a un numero ristretto di cause, che corrisponde mediamente al 20% (queste percentuali sono però approssimative e possono variare in base ai contesti). Per arrivare a questo risultato di natura statistico-empirica, lo studioso cominciò analizzando la distribuzione delle proprietà terriere nell’Italia di fine Ottocento, osservando come i quattro quinti delle terre (80%) fossero in mano a un quinto della popolazione (20%).
Applicazioni varie. Detto anche Legge 80/20, il principio è ancora oggi applicabile a molti scenari. Ecco alcuni esempi, tra i tanti: il 20% dei clienti di un’azienda genera solitamente l’80% dei suoi profitti, il 20% delle notizie pubblicate su un sito produce l’80% del traffico e il 20% degli oggetti di una casa crea l’80% del disordine. M.L.
Perché uno spaghetto crudo se lo si curva si spezza non in 2 ma in 3 o 4 parti?
Se si prende uno spaghetto crudo in mano e lo si piega, curvandolo e tenendolo per le due estremità, a un certo punto, superato un valore critico della curvatura, lo spaghetto si romperà: ma non in due segmenti, che subito dopo non si raddrizzano come ci si potrebbe aspettare. La prima rottura genera infatti un’onda che si trasmette diffondendosi lungo ciascuno dei due frammenti creatisi e che, invece di attenuarsi, fa aumentare progressivamente la curvatura dei due segmenti rimasti fino a causarne un’ulteriore rottura. Questa rottura a sua volta genera altre onde di sforzo che percorrono i frammenti incurvati producendo altri frammenti. IgNobel. Il fenomeno fisico è chiamato Cascade Fracture, ossia una rottura che ne genera altre a cascata. Una curiosità: l’IgNobel per la Fisica del 2006 è stato attribuito a Basile Audoly e Sébastien Neukirch, dell’Università Pierre e Marie Curie di Parigi, proprio per questa ricerca... interessante ma, in effetti, non utilissima per il progresso dell’umanità. A C
Quante informazioni contiene il nostro cervello?
In termini informatici, può immagazzinare un petabyte di dati, l’equivalente di 500 miliardi di Dvd o di tutti i film mai realizzati e in alta definizione. Lo ha calcolato un team di ricercatori dell’Università della California, di San Diego e del Salk Institute, secondo cui la capacità del nostro cervello è 10 volte superiore a quanto si fosse stimato in studi precedenti. Gli scienziati hanno sviluppato un metodo per valutare con precisione la forza delle sinapsi nell’ippocampo dei topi. Queste strutture svolgono un ruolo essenziale nell’apprendimento e nella memoria, poiché regolano la comunicazione fra neuroni attraverso impulsi elettrici, permettendo lo scambio e l’archiviazione delle informazioni.
Sinapsi. I neuroni comunicano fra loro con intensità differenti, e studiando il modo in cui gli oltre 100 trilioni di sinapsi nel cervello umano si rafforzano e si indeboliscono, i ricercatori sono arrivati alla quantità massima di informazioni che le nostre sinapsi possono immagazzinare. Per utilizzare un riferimento familiare, hanno misurato la memoria con la più piccola unità di dati digitali, il bit, e mentre in precedenza si pensava che ogni sinapsi ne potesse contenere uno, i risultati hanno mostrato che in realtà potrebbe immagazzinare tra 4,1 e 4,6 bit di informazioni, per un totale di almeno un petabyte. R .M.
Che cosa sono le anti-bolle?
Non sono le “gemelle cattive” delle bolle, ma il loro contrario: se le bolle normali sono infatti una massa di aria circondata da uno strato di liquido, le anti-bolle sono liquido avvolto da un sottile film di gas. Si creano con facilità nello spazio, dove per esempio l’astronauta statunitense Don Pettit si è divertito a realizzare bolle contenute in anti-bolle, ma si possono realizzare anche sulla Terra con un po’ di attenzione, facendo cadere dell’acqua in una ciotola di acqua e sapone da molto vicino alla superficie: il flusso turbolento che si crea provoca una sorta di tasca di aria attorno al liquido ed ecco pronta un’anti-bolla.
Trasporti speciali. Gli esperti pensano che le anti-bolle potrebbero essere utilizzate per trasportare farmaci in speciali condizioni, come accade con le microscopiche nano-bolle già usate in medicina. Il problema è che le anti-bolle restano tali per pochi minuti, al massimo poche ore, quindi meno rispetto alle bolle standard; per farle durare di più, pare sia possibile crearle facendo gocciolare liquido caldo nell’olio. E . M .