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n°180
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ottobre
Fu vera
PAZZIA?
NERONE È L’EMBLEMA DELLA FOLLIA AL POTERE, MA SONO STATI MOLTI I REGNANTI “SQUILIBRATI”. ECCO LE LORO STORIE TRA VERITÀ E BUGIE
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A SCUOLA
DISTRATTI, SVOGLIATI O BRILLANTI? SBIRCIAMO LE PAGELLE DEI GRANDI
DUELLI IN ROSA QUANDO LE DONNE SI SFIDAVANO A COLPI DI SPADA E PISTOLA
ARCHEOLOGIA
LE STATUE STELE DELLA LUNIGIANA: UNA SCOPERTA CONTINUA
Ottobre 2021
focusstoria.it
Storia
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a vicino nessuno è normale recita un famoso slogan adottato negli anni Ottanta dall’ex Ospedale psichiatrico di Trieste, a sottolineare quanto sia sottile il confine che separa la follia dalla piena facoltà mentale. Un confine che solo negli ultimi anni si è riusciti a definire, insieme a un migliore approccio medico-farmacologico che rende l’esistenza dei pazienti psichiatrici accettabile. Ma prima? Com’era la vita dei “matti” quando erano considerati creature possedute dal demonio, peccatori o poveracci da allontanare e/o rinchiudere? Questo ci siamo chiesti nel preparare il nostro Primo piano. Perché se è vero che poi la Storia registra soprattutto le vicende dei grandi personaggi (ai quali dedichiamo comunque diverse pagine, a cominciare dalla presunta follia di Nerone, emblema del tiranno fuori di testa), è attraverso i fatti della gente comune che si capisce una società. L’approccio alla pazzia dei nostri antenati è riflesso di un mondo retto su tante superstizioni e poche conoscenze mediche. Eppure l’inferno della segregazione si è protratto quasi fino ai nostri giorni, in un sistema manicomiale che ha bruciato migliaia di vite. Anche di questo vi parleremo: di come lo psichiatra Franco Basaglia volle ridare dignità e libertà agli esseri umani più indifesi. Emanuela Cruciano caporedattrice
COPERTINA: CORTESIA SALVA RUANO, CÉSARES DE ROMA
RUBRICHE
4 LA PAGINA DEI LETTORI
6 NOVITÀ E SCOPERTE
10 UNA GIORNATA DA... 12 CHI L’HA INVENTATO? 60 DOMANDE E RISPOSTE 62 CURIOSO PER CASO 64 MICROSTORIA 97 AGENDA
ERICH LESSING / ALBUM / MONDADORI PORTFOLIO
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CI TROVI ANCHE SU:
In copertina: elaborazione di un ritratto di Nerone.
IN PIÙ...
14 InSOCIETÀ guardia!
Per secoli i gentiluomini hanno risolto le divergenze con i duelli. Pochi sanno che lo facevano anche le donne.
18 RePERSONAGGI del
trasformismo
Cura della follia in un quadro di Pieter Bruegel il Vecchio (1557).
ROBE DA PAZZI 28 La versione di Nerone
L’immaginaria autodifesa dell’imperatore più bistrattato della storia romana.
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Sono pazzi questi romani
Gli imperatori erano gli uomini più potenti del mondo. Ma a qualcuno il troppo potere diede alla testa...
38 Sovrani da legare
Che cosa accadeva quando erano le teste coronate a dare segni di squilibrio? Spesso finiva male.
42 Rimedi peggiori del male
Come si affrontavano le malattie mentali, vere e presunte, nel passato? Con metodi al limite del sadismo.
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I luminari della shockterapia
Anche nel ’900 contro la malattia mentale i medici provarono di tutto.
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Cose da geni
Il binomio creatività e follia è stato studiato sin dai tempi più remoti. Per capire se l’una sia legata all’altra.
52 Messi da parte
I manicomi erano luoghi di segregazione. A cambiare le cose, in Italia, fu la Legge Basaglia del 1978.
Leopoldo Fregoli tra ’800 e ’900 inventò l’arte di cambiare personaggio in pochi secondi.
22 LaGEOPOLITICA tomba
degli imperi
L’Afghanistan è sempre stato un Paese difficile da conquistare. A causa di una popolazione fiera e insofferente alle ingerenze straniere.
68 LeCULTURA pagelle dei grandi
Che tipo di studenti erano i personaggi di cui oggi leggiamo sui libri di scuola?
STORIA MILITARE 76 Lassù
qualcuno ci spia La ricognizione aerea: dai palloni aerostatici ai droni.
ARCHEOLOGIA 82 Enigmi di pietra
Chi si cela dietro alle misteriose statue stele della Lunigiana?
I GRANDI TEMI 90 Corona di spine
La Guerra delle due rose: la contesa dinastica tra York e Lancaster che insanguinò il Quattrocento inglese. 3
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LA PAGINA DEI LETTORI
Inviateci opinioni, idee, proposte, critiche. Pubblicheremo le più interessanti oltre a una selezione dei commenti alla nostra pagina Facebook (www.facebook.com/FocusStoria). Scrivete a Focus Storia, via Mondadori 1, 20054 Segrate o all’e-mail redazione@focusstoria.it
PRIMO PIANO PROVINCE SENATORIE
REGNI E TERRITORI VASSALLI
PROVINCE IMPERIALI
TERRITORI CONTESI
CONQUISTE DI AUGUSTO
PRINCIPALI BATTAGLIE
Gallia Belgica Gallia Lugdunense
Battaglia di Teutoburgo (9 d.C.) Germania
Rezia
Norico Dacia Pannonia Da lm azia Mesia
Aquitania Gallia Nabornense
Terraconense
Macedonia Acaia Azio (31 a.C.)
Betica Numidia
Regno del Bosforo MAR NERO
Tracia
ROMA
Lusitania
Mauretania
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LEGENDA
MAR MEDITERRANEO
Asia
Ponto Bitinia e Galazia
Licia Panfilia
Cappadocia
Siria
Giudea Africa
Cirenaica
JOSÉ DANIEL CABRERA PEÑA
Egitto
Mentre Gesù nasceva, cresceva e moriva tra Galilea e Giudea, chi governava l’Impero romano? Come venivano gestiti i vasti territori conquistati? Che religione si professava?
E INTANTO A ROMA... di Anita Rubini
Tre secoli di persecuzioni Nel riquadro dell’articolo “E intanto a Roma…”, pubblicato su Focus Storia n° 178, viene riportato che “fu Costantino I a introdurre la libertà di culto nel 313 con l’editto di tolleranza per tutte le confessioni dell’Impero”. In realtà un editto di tolleranza era già stato promulgato per tutto l’Impero nel 311 da Galerio a Serdica (l’attuale Sofia in Bulgaria). Nel 313 Licinio, dopo aver conquistato l’Oriente, inviò ai governatori orientali una circolare per fare applicare l’editto di Galerio come convenuto a Milano con Costantino (da qui l’equivoco che sia stato Costantino a emettere l’editto). La circolare fu scritta da Licinio concedendo “libera facoltà di seguire ciascuno la religione che ha scelto”. In Occidente l’editto di Galerio era già stato applicato ufficialmente dal 311. La svolta di Costantino non fu
Padroni del mondo
A destra, la ricostruzione di un centurione romano della coorte Augusta in servizio a Gerusalemme nel I secolo d.C. La crista transversa (cresta disposta trasversalmente) di colore argento lo distingueva dai soldati semplici. Nella cartina, l’estensione dell’Impero romano all’epoca del suo fondatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.).
ra il 7 e il 4 a.C. Gesù veniva alla luce in un punto imprecisato della Galilea. Ma che cosa accadeva intanto nell’Urbe, centro del grande Impero romano? Saldo sul trono c’era Augusto, l’uomo che aveva rifondato Roma e che era diventato imperator nel 27 a.C., poco più di un ventennio prima di quella nascita anonima, mettendo la parola “fine” alla Repubblica romana. Dopo le sanguinose guerre civili scatenatesi alla morte di Cesare, fu lui a garantire un lungo periodo di stabilità, la cosiddetta pax augustea. Fu sempre lui a trasformare un insieme di territori in uno Stato in grado di rendere i Romani (anche quelli delle province) fieri di esserne i privilegiati cittadini. E fu lui a fare il sovrano assoluto... senza fare il sovrano assoluto. Gli aristocratici avevano voluto la morte di Cesare proprio perché temevano che da dittatore a vita diventasse re di fatto. E i re li vedevano come fumo negli occhi. Augusto seppe invece proporsi come un coordinatore più che come un despota: si definì primus inter pares e princeps (principe, ovvero “primo”), termini meno appariscenti di imperator o divus. Insomma, usò più di un eufemismo per agire da padrone senza darlo a vedere. Nel 23 a.C. il Senato gli conferì eccezionali poteri di veto e una potestà territoriale praticamente illimitata sulle province del nascente impero. Roma e i suoi sconfinati territori erano saldamente nelle sue mani.
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NUOVO ASSETTO. Augusto diede all’impero una struttura concentrica, con un’amministrazione specifica per la città di Roma e un’altra per l’Italia estesa alla Gallia Cisalpina, i cui abitanti erano considerati cittadini romani. Gli altri territori conquistati erano suddivisi in province, il controllo delle quali (specie le più riottose) era cruciale. C’erano le province senatoriali che venivano governate da proconsoli scelti dal Senato ed eletti annualmente: essendo ormai pacificate erano lasciate prive di legioni. Poi c’erano le province imperiali, di più recente conquista e ancora in fase di romanizzazione (vedi la Giudea): qui governava un procuratore scelto da Augusto e c’era il presidio fisso delle legioni. Poi c’era il prestigioso Egitto, 51
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l’accettazione del cristianesimo nel suo complesso, così come previsto dall’editto di Galerio e nella circolare di Licinio, bensì l’esclusione di “scismatici” (come i rigoristi donatisti) ed “eretici” (come gli ariani), per poter arrivare a una professione di fede unica, universale, cioè cattolica. Infine nel 380, con l’editto di Tessalonica, Teodosio I, guidato dall’intollerante Ambrogio, portò a termine il tentativo di Costantino di unificare il cristianesimo in un’unica confessione. Infatti con questo editto Teodosio definì illegale ogni confessione cristiana diversa da quella cattolica apostolica romana con minacce di punizioni per gli eretici. Sempre Teodosio, in seguito, dal 392 al 394 emise decreti contro ogni manifestazione pagana, fino a vietarne anche il culto privato e a sospendere i giochi olimpici per il loro carattere pagano.
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Seguirono secoli caratterizzati da guerre di religione, persecuzioni, crociate, inquisizioni. Con il Concilio Vaticano II (1962-1965) è stato riconosciuto che si deve ritenere finita l’era costantiniana, promuovendo un dialogo tra le varie religioni, come sta avvenendo con gli ultimi pontefici. Servi Silvano, Piombino (Livorno)
SPECIALE
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opo la morte di Maometto nel 632, l’Europa fu teatro dell’espansione dell’islam, un fenomeno non solo di conversione religiosa, ma anche di conquista militare e intraprendenza commerciale. Per Storia in Podcast lo storico e
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scrittore Alessandro Vanoli racconta come i due mondi, cristiano e islamico, poco alla volta hanno cominciato a incontrarsi, scontrarsi e mescolarsi, a partire da quando l’islam cominciò a spingersi fuori dai confini della Penisola arabica, all’epoca contesa tra i
potenti imperi confinanti (bizantino e sassanide), con i grandi mercati della zona meridionale aperta verso l’Africa. In ascolto. Come ascoltare questa puntata all’interno della nostra ricca audioteca che ne contiene oltre 200? Basta collegarsi a
storiainpodcast.focus.it nella sezione “La storia della Storia” e anche a tutte le principali piattaforme online di podcast. Gli episodi di Storia in Podcast – ascoltabili e scaricabili su pc, smartphone e tablet – sono a cura del giornalista Francesco De Leo.
PRIMO PIANO Gli imperatori erano gli uomini più potenti del mondo.
SONO
PAZZI P
otere, follia, intrighi, trionfi, lussuria, crudeltà... Sono questi gli ingredienti della vita di alcuni degli imperatori romani, passati alla Storia come sanguinari uomini del terrore. I loro nomi riecheggiano ancora, dopo secoli, e tutti li conosciamo, anche soltanto per i film di Hollywood: Caligola, Commodo, Nerone... Per farsi un’idea sul loro reale stato mentale, dobbiamo basarci su fonti storiche di parte, autori che appartenevano all’aristocrazia romana tradizionalista e quindi erano contrari al potere personale dei Cesari. Tra loro spiccano Tacito, militare e statista che scrisse le Historiae e gli Annales, in cui racconta la storia di Roma sino al suo tempo, sotto Domiziano, e il biografo Svetonio, che scrisse sotto Adriano.
CALIGOLA IL MOSTRO
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Calunniati?
Busto di Gaio Cesare Germanico, detto Caligola, perché da piccolo imitava i soldati del padre indossando le caligae, i calzari militari. A destra, busto di Commodo giovane (169-192 d.C.). 34
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ll’inizio Caligola (12-41 d.C. ) fu un imperatore promettente e amatissimo. A pochi mesi dall’ascesa al trono si ammalò e per poco non morì: non si sa quali fossero state le sue condizioni e di che cosa avesse sofferto, ma le fonti antiche raccontano di un terribile cambiamento avvenuto dopo la guarigione: “Finora ho parlato più o meno del principe; mi resta ora di parlare del mostro”, scrisse Svetonio. Caligola cominciò a comportarsi come un monarca assoluto, una maestà divina, istituì persino un tempio al proprio nume. E già tutto questo per i Romani era aberrante. Ma si trattava solo dell’inizio. “Durante il giorno si consultava segretamente con Giove Capitolino, ora parlando a bassa voce e tendendo l’orecchio, ora gridando e non senza aggiungere offese”. In altre parole, Caligola soffriva di allucinazioni: propaganda dell’aristocrazia senatoriale preoccupata di perdere potere, gossip, pazzia (ovvero, vista con gli occhi di oggi, schizofrenia)? Probabilmente, tutt’e tre le cose. Per il Senato, Caligola espresse sempre disprezzo, tanto che fece provocatoriamente senatore il suo cavallo Incitato. Poi ordinò omicidi in serie, fece strage di parenti, amici e nemici politici nel modo più cruento, come se godesse della tortura e della morte lenta. Anche durante i giochi e i suoi spettacoli, che adorava, dimostrava sbalzi di umore che finivano in esecuzioni per un nonnulla, torture e castighi esagerati. Quanto alla vita sessuale, ebbe donne, uomini, giovinetti, le sue sorelle (di una, Drusilla, fu follemente innamorato). Insomma, lo stile di governo orientaleggiante (ossia accentratore), la lussuria e la totale mancanza di contegno condussero il principe, forse in parte affetto da turbe mentali, in rotta di collisione con il Senato. La misura fu colma quando avvenne una strage di cittadini, riuniti in massa al Circo Massimo per protestare contro l’aumento della pressione fiscale. Fu chiaro che tutti potevano diventare bersagli in qualunque momento. Così un gruppo di senatori, d’accordo con la guardia pretoriana, decise di sbarazzarsi del “mostro”, assassinato a 28 anni.
Ma a qualcuno il troppo potere diede alla testa...
QUESTI ROMANI di Irene Merli
L’accusa più ricorrente di questi autori agli imperatori era di essere insani, cioè folli, ma in realtà dietro questo giudizio c’era una critica politica e morale: per i Romani non mettere il bene pubblico davanti agli interessi personali, soprattutto per chi ricopriva alte cariche dello Stato, era un’aberrazione che si spiegava solo con lo squilibrio mentale. Quindi passarono per insani anche Claudio – che in effetti era malato (balbettava, zoppicava, aveva crisi epilettiche) – oppure Eliogabalo, lo stravagantissimo sovrano che prese il potere a soli 14 anni e che si sentiva più sacerdote degli dèi orientali che imperatore. A rischio di damnatio memoriae (la condanna all’oblio) fu persino il grande Adriano, per il culto di Antinoo, il suo giovane amante morto. Eppure, qualcuno pazzo davvero c’era. •
COMMODO IL GLADIATORE iglio di Marco Aurelio, grande imperatore colto, stoico e valente conquistatore, Commodo (161-192 d.c.) ebbe un’eredità pesante, che lo spinse, una volta giunto al potere, a tentare di scrollarsi di dosso tutto quello che aveva fatto l’augusto genitore. Abbandonò la guerra sul Danubio, strinse la pace con i barbari che il padre aveva strenuamente combattuto e cacciò tutti i suoi consiglieri più stretti. Ma nel 182 d.C. l’amata sorella Lucilla, insieme ad altri, organizzò una congiura contro il giovane imperatore, accusandolo di non curarsi di governare. Il complotto fallì, ma da allora Commodo si ritirò dagli affari pubblici, che delegò ad altri, e si dedicò agli spettacoli gladiatori. Cominciò a passare sempre più tempo nel Colosseo, fino a voler scendere lui stesso nell’arena, azione considerata indegna e scandalosa, perché in genere i gladiatori erano schiavi. Non solo. Combatteva travestito da Ercole, con una clava e una pelle di leone, e così si fece ritrarre in un busto marmoreo, abbandonando l’abito da imperatore. Rifiutò il nome paterno e impose di farsi chiamare Ercole figlio di Giove. Secondo lo storico Erodiano “giunse a tal punto di follia, che non voleva piú nemmeno abitare il palazzo imperiale, e meditava di trasferirsi alla caserma dei gladiatori". Ordinò poi di rimuovere la testa dalla statua colossale che rappresentava il Sole, venerata dai Romani, e di farla sostituire con la propria effigie. Sul piedestallo fece incidere, come consuetudine, i titoli imperiali suoi e del padre, ma al posto di “vincitore sui Germani” preferì ”vincitore su mille gladiatori”. Ormai si limitava a firmare i dispacci militari, le lettere e i documenti senza neanche guardarli, con la parola “vale”. Alla fine, dopo una serie di congiure sventate, la sua concubina Marcia e altri due cortigiani, che temevano di essere finiti sulla sua lista nera, tentarono di avvelenarlo. Ma lui, ubriaco, vomitò e si salvò. Così dovettero chiamare il suo allenatore, un ex gladiatore, che lo strozzò nel sonno. Era il 31 dicembre 192 e Commodo aveva 31 anni.
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In molti subirono la condanna all’oblio: venivano CARACALLA E DOMIZIANO I SADICI
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el 211 d.C. in Britannia, ad Eboraco (l’odierna York) moriva Settimio Severo. Gli succedettero i figli Marco Aurelio Antonino, detto Caracalla (186-217 d.C.) e Geta. Ma Caracalla non era tipo da dividere il potere con qualcun altro. Dopo circa un anno non esitò a far eliminare il fratello e a fratricidio compiuto si recò al campo dei pretoriani, presso i quali Geta era molto popolare, per raccontar loro di aver ucciso il fratello come atto di autodifesa. Si narra che ordinò la decapitazione del giurista Emilio Papiniano, reo di essersi rifiutato di comporre un’apologia del suo atto criminale. Da quel momento ebbero inizio orrende stragi. Per primi vennero trucidati gli amici di Geta. Poi Caracalla fece uccidere tutti i sospetti partigiani del fratello e saccheggiare le loro case. Ma l’episodio più atroce legato al nome di questo imperatore riguarda la città di Alessandria, dove in quel periodo a teatro si rappresentava una satira sul suo fratricidio. Caracalla non gradì. Anzi, secondo lo storico Cassio Dione, appena ne fu informato marciò contro la città e le sue truppe la saccheggiarono a lungo, bruciandola e uccidendo più di 20mila alessandrini. Grazie a questa orribile dimostrazione di forza, il suo potere aumentò a dismisura e finì per essere totalmente dispotico. Ovunque andasse, i soldati di Caracalla uccidevano, distruggevano e seminavano terrore. Ma anche l’uomo più potente del mondo deve stare attento a chi fa eliminare. Il crudelissimo Caracalla commise infatti un errore fatale quando mandò a morte il fratello di un centurione della sua guardia del corpo. Il centurione lo assassinò l’8 aprile 217, mentre l’imperatore andava a Carre per un sacrificio rituale. La belva. “Quella belva disumana aveva fortificato il palazzo imperiale con un violentissimo terrore, ora come rintanata in un qualche antro beccando il sangue dei congiunti, ora levandosi a
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sanguinosi massacri di illustrissimi cittadini. Orrori e minacce si aggiravano dinnanzi alle porte del palazzo, e una paura uguale sia per coloro che vi erano ammessi, sia per quelli che ne erano esclusi. Nessuno osava avvicinarsi, nessuno rivolgeva la parola a lui che cercava sempre la tenebre e la solitudine e non usciva mai dal suo deserto se non per fare il deserto”. Con questa descrizione da brividi Plinio il Giovane ci cala nel clima che si respirava a Roma sotto Domiziano, l’ultimo dei Flavi (51-96 d.C.), di cui egli fu testimone oculare. Per capire come si arrivò a quel “deserto” bisogna fare un passo indietro: Domiziano dimostrò fin da ragazzo un carattere arrogante sino all’impudenza, sgradito al padre Vespasiano e al fratello Tito, che non gli assegnarono alcun incarico importante finché vissero. Il giovane, cresciuto in disparte, si incattivì e il risultato fu che una volta preso il potere lo esercitò da tiranno sanguinario. Misantropo e collerico, sapeva però dissimulare con grande arte: spesso un tono dolce, un invito gentile erano il segnale di una imminente condanna a morte atroce. Il suo accanimento contro l’ordine senatorio, progressivamente relegato alla sola ratifica delle sue decisioni, lo portò a persecuzioni sanguinarie. Molti senatori furono trucidati, altri costretti al suicidio e altri ancora esiliati e poi raggiunti da sicari. Domiziano, ovviamente, temeva le congiure, visto il suo feroce dispotismo. Si narra che fece rivestire i muri delle sue stanze e dei portici sotto i quali passeggiava con speciali lastre di pietra che riflettevano ciò che accadeva alle sue spalle. E in effetti fronteggiò diversi complotti, che punì in modo spietato. Finché, il 18 settembre del 96 d.C., alcuni senatori e pretoriani la spuntarono: grazie alla complicità del suo liberto e della stessa imperatrice, Domiziano venne ucciso a pugnalate nella sua stanza da letto.
distrutte statue e ritratti e cancellate le iscrizioni TIBERIO E MASSIMINO IL TRACE I PARANOICI
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econdo la storiografia antica, in particolare Tacito e Svetonio, Tiberio (42 a.C.-37 d.C.) fu un imperatore incapace di gestire il potere e l’Urbe. E soprattutto si rivelò indegno del princeps che lo aveva adottato, Ottaviano Augusto, figura gigantesca che schiacciò completamente l’indecisa personalità del suo successore. In effetti suona strano il fatto che per ben due volte Tiberio si autoesiliò da Roma, come se volesse tenere l’Urbe lontano da sé. In gioventù visse a Rodi per otto anni, cercando di sottrarsi alle scelte di Augusto e alla moglie imposta, Giulia Maggiore, che non tollerava ma da cui non osava divorziare, essendo la figlia di Ottaviano. Ben peggio fece quando da imperatore se ne andò a Capri, nella sua lussuosa villa, lasciando Roma e tutto il potere in mano allo spietato Seiano, il suo favorito. Svetonio racconta anche che nel buen retiro si diede non solo a feste e bagordi, ma anche a pratiche sessuali da vero pedofilo: secondo il biografo latino, obbligava bambini e bambine ad avere rapporti davanti a lui. Per Gregorio Marañón (1887-1960), medico e storico spagnolo che ha dedicato un saggio alla personalità di Tiberio, il secondo imperatore di Roma era un timido patologico, a tratti afflitto da manie di persecuzione, che da vecchio si inasprirono e si trasformarono in disturbi (la devianza sessuale era uno di questi). Morì tentando di tornare a Roma, a 79 anni, ed ebbe l’onta di veder proclamato imperatore Caligola mentre lui agonizzava. Nemico di Roma. Il suo nome non ci è stato tramandato come quello di uno con la testa a posto. Massimino il Trace (173 circa-238 d.C.) oggi sarebbe descritto come un paranoico grave. Era nato in Tracia da una famiglia di umili origini e, dopo una
lunga carriera militare, quando Settimio Severo fu ucciso, nel 253 fu scelto come imperatore dalle truppe. Mal gliene incolse. Massimino aveva una statura non comune (più di 2 metri) e secondo la Historia Augusta era in grado "trascinare un carro a quattro ruote a forza di braccia, muovere da solo un carro carico di gente, buttar giù i denti di un cavallo con un pugno, spezzargli i garretti con un suo calcio, frantumare pietre di tufo, spaccare alcune piante in due". Il suo fisico possente lo doveva far apparire terribile ai Romani. Ma soprattutto, il Trace non si fidava di nessuno: fece uccidere decine di collaboratori e amici, sospetti ai suoi occhi. In totale stato di isolamento mentale, senza ovviamente consultarsi con nessuno e imponendo una durissima disciplina ai soldati, decise di invadere Germania, Sarmazia e Dacia, a prezzo di gravi perdite umane ed economiche. Al giustificato malcontento del Senatus Populusque Romanus, che lo dichiarò nemico pubblico per le continue tasse estorte per pagare le campagne militari, pensò bene di reagire marciando sulla Città Eterna come fosse una capitale nemica, e non quella del suo impero, e per di più con delle macchine da guerra. Non ebbe alcuna remora a colpire Roma. Scendendo in Italia, pose inutilmente sotto assedio la fortezza di Aquileia. Ma i soldati erano esausti di combattere contro il mondo romano e stremati della scarsità di cibo. Così, molti disertarono e smisero di seguirlo, mentre altri addirittura gli si rivoltarono contro. Il paranoico Trace fu quindi assassinato con il figlio Massimo nel suo accampamento dalla Legio II Parthica, e la sua testa fu ingloriosamente infilata in cima a un palo ed esposta.
Tipi estremi
Da sinistra, busto di Tiberio (30 d.C.) e di Massimino il Trace (235-238). Nell’altra pagina, da sinistra: Caracalla (212-217) e Domiziano (fine I secolo).
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ARCHEOLOGIA Scoperte per caso
MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GILARDI
A destra, un guerriero dalla testa “a cappello di gendarme” che tiene in grembo una spada. Nell’altra pagina, due bassorilievi di donna con i seni stilizzati.
di Chiara Palmerini
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na “pietra curiosa”. Il contadino definì così la lastra di arenaria che aveva trovato lavorando nei campi nei pressi di Zignago, un paesino in provincia di La Spezia. Curiosa perché, una volta alzata, l’uomo si accorse che la pietra era scolpita con una “faccia a mascherone”, e portava incisi alcuni caratteri non ben identificati. Siamo nel 1827, e quella era la prima delle 85 misteriose statue che nel corso degli anni – l’ultima pochi mesi fa – sono venute alla luce in Lunigiana, la terra nel bacino del fiume Magra a cavallo tra Toscana e Liguria, romanizzata nel 177 a.C. Parecchie delle statue stele, come gli archeologi le chiamano, erano per così dire nascoste ma in piena luce, impiegate in muri di chiese e case, messe a segnare i confini dei campi o a decorazione di archi e fontane. Negli anni Cinquanta, un bambino segnalò al maestro di scuola che suo nonno ne aveva una nel pollaio. Presenze familiari, da quelle parti, ma che nessuno aveva ancora “riconosciuto” per quello che davvero erano: sculture scolpite migliaia di anni fa.
RADICI MEGALITICHE. Queste singolari figure di pietra rientrano nel fenomeno del megalitismo, lo stesso dei molto più conosciuti dolmen e menhir. Per realizzarle, gli antichi scultori hanno bocciardato con ciottoli levigati dal Magra blocchi di arenaria a loro volta trascinati dal fiume. Nonostante siano state prodotte nell’arco di un periodo lunghissimo, da oltre cinquemila anni fa fino ai
ENIGMI 82
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DI PIETRA
Austeri guerrieri e donne stilizzate. Chi si cela dietro alle misteriose statue stele della Lunigiana?
Lunigiana
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Sono figure antropomorfe di significato ignoto. Venivano allineate a gruppi, ma non si sa perché primi secoli avanti Cristo, le statue stele delle diverse epoche conservano alcune caratteristiche comuni: una rappresentazione antropomorfa stilizzata realizzata a bassorilievo, un volto misterioso forgiato come una “U”, con i tratti degli occhi, del naso e delle orecchie, e simboli di genere: un pugnale per gli uomini, fuori o dentro il fodero, ornamenti come collane o orecchini per le figure femminili. Le statue più antiche, suddivise in due gruppi databili entrambi all’Età del rame (tra 6mila e 4mila anni fa), si riconoscono perché la testa è unita direttamente al tronco (gruppo A). In quelle del cosiddetto gruppo B, probabilmente un’evoluzione delle prime, il collo è abbozzato e la testa
assume la forma caratteristica “a cappello di gendarme”, che in realtà imita il pomo del pugnale che le stesse statue portano sul ventre. Le statue del gruppo C sono le più recenti e risalgono probabilmente ai secoli centrali del primo millennio avanti Cristo: sono scolpite davanti e dietro, pensate per una visione tridimensionale, e rappresentano solo figure maschili.
FIGURE MISTERIOSE. Gli enigmi irrisolti sono molti ancora oggi: chi fossero le figure rappresentate, per quale motivo le stele venissero scolpite e perché si trovassero, spesso in gruppi, allineate in luoghi particolari. Questa singolare forma di rappresentazione non è limitata alla Lunigiana. In Italia altri importanti raggruppamenti di statue stele si trovano infatti in Valle d’Aosta (la località più famosa è Saint-Martin-de-Corléans), in Valcamonica e nella valle dell’Adige. Ma anche in altre parti d’Europa, dalla Bulgaria alla Germania fino al Portogallo, e in Asia Minore esistono “raggruppamenti” di sculture che presentano affinità, a dimostrazione che esisteva un
MONDADORI PORTFOLIO/DE AGOSTINI PICTURE LIBRARY
A caccia!
Un esempio ben conservato di statua stele, scolpita nella pietra arenaria, appartenente al gruppo C. La figura tiene tra le mani due frecce forgiate con la pietra.
influsso culturale tra comunità distanti tra loro, legate dagli itinerari lungo cui si svolgevano commerci.
CULTI PERDUTI. Quasi tutte le statue stele sono state trovate durante i lavori nei campi, o in seguito a scavi per strade, parcheggi, tubature. Nella località di Pontevecchio, nel 1905, i contadini, dissotterrando le radici dei castagni seccati per abbatterli e piantare nuovi orti, si imbatterono in pietre misteriose che poi si rivelarono essere le teste di nove statue stele, ancora in piedi e allineate in direzione est-ovest come i loro autori le avevano collocate 5mila anni prima. «Uno scavo archeologico recente ha permesso di capire come le statue fossero collocate entro una massicciata di ciottoli, molti dei quali presentano tracce di contatto col fuoco. E lì nei pressi è stata trovata una punta di freccia che sembra appartenere al corredo di un defunto», spiega Angelo Ghiretti, archeologo e direttore del Museo delle statue stele di Pontremoli. «È possibile che davanti a questi monumenti si svolgesse la cremazione dei morti. Di certo non si sbaglia nel dire che le statue erano poste in aree cerimoniali dove veniva celebrato qualche rito, anche se non sappiamo dire quale fosse». Lo suggeriscono i reperti di altri scavi archeologici compiuti in anni recenti, per esempio i frammenti di vasi con offerte votive davanti a quello che doveva essere un altro allineamento di stele, nella località di Minucciano. E anche i luoghi. Le statue sono spesso state trovate nei pressi di quelli che ancora oggi sono siti religiosi. È il caso per esempio della stele femminile di Treschietto, venuta alla luce nel 1969 durante i lavori di sistemazione del cimitero locale. Oppure delle sette trovate vicino alla Pieve di Santo Stefano di Sorano. «È un segno che i luoghi di culto restano immutati nei secoli», osserva Ghiretti. PIETRE DI CONFINE. Altri indizi sulla loro funzione vengono dalla collocazione sul territorio: spesso erano poste sulla cima di colli, su valichi o terrazzamenti. Incappare in una fila di stele conficcate nel terreno come
CORTESIA MUSEO DELLE STATUE STELE LUNIGIANESI
SEGRETI INVIOLATI. È possibile che durante il corso della loro storia le stele non abbiano avuto un unico impiego. Le più antiche, della tarda preistoria, furono realizzate dalle popolazioni che abitavano la Lunigiana circa 5mila anni fa, di cui sappiamo ben poco. Sicuramente oltre all’agricoltura si dedicavano anche alla pastorizia transumante (lo studio di pollini depositati nelle torbiere ci dice che diradavano i boschi con gli incendi, per fare posto ai pascoli), alla ricerca e alla lavorazione dei metalli. Non sappiamo però chi fossero gli uomini e le donne raffigurati. Alcuni studiosi suppongono che le stele rappresentino antenati mitici, “eroi” delle comunità, oppure divinità protettrici. Verso la fine dell’Età del rame (III millennio a.C.) sembra che le statue stele non siano più state scolpite. Ma di nuovo cominciano a comparire verso la metà del primo millennio avanti Cristo. Anche dopo 1.500 anni, c’è un filo conduttore che le lega a quelle degli antenati: spesso le figure, ora scolpite a tutto tondo, sono ricavate rilavorando le stele antiche, oppure conservano
MONDADORI PORTFOLIO/FOTOTECA GILARDI
un enorme pugnale, come nel caso di quelle che dovevano trovarsi al valico tra Garfagnana e Lunigiana, dove oggi sorge l’eremo dedicato alla Madonna del Soccorso di Minucciano, doveva fare una certa impressione. Anche per questo, alcuni studiosi ritengono che fossero un segnale di avvertimento (magari di minaccia) per indicare che si stava sconfinando in un territorio con usanze e tradizioni diverse.
Il museo archeologico si trova nel Castello del Piagnaro, a Pontremoli.
Un prezioso scrigno per i manufatti
I
l Museo delle statue-stele lunigianesi nasce nel 1975, dopo lunghi anni di contrattazione su quale tra le cittadine e i paesi della Lunigiana, che non a caso oggi si definisce “terra dei Malaspina (i signori locali, ndr) e delle statue stele”, dovesse tenere in custodia le antiche sculture. La sede prescelta fu il Castello del Piagnaro, un edificio di origine medievale che domina il borgo di Pontremoli (Massa Carrara) e la valle del fiume Magra. Il museo porta il nome di Augusto Cesare Ambrosi, studioso di storia e archeologia della Lunigiana, che ne fu il fondatore e anche il primo direttore. Informazioni su: www.statuestele.org
tratti simili. Stavolta però la funzione è più chiara: gli individui raffigurati sono soltanto di sesso maschile, probabilmente guerrieri, e le statue, che conservano l’iscrizione del loro nome in caratteri etruschi, ne rappresentano forse il monumento funebre.
SOTTO TERRA. A un certo punto, le stele che per secoli erano rimaste ben visibili sul territorio vennero fatte sparire sotto terra. Capitò probabilmente a quelle scoperte vent’anni fa nella località di Groppoli durante gli scavi del manto stradale: la fossa in cui erano state seppellite
ne conteneva sette, due maschili e cinque femminili. Dove si trovavano prima e come finirono lì? Forse in origine se ne stavano tutte in fila, nei pressi del guado sul torrente Geriola, proprio all’incrocio dei percorsi che univano l’Appennino al Tirreno. Poi qualcuno decise di metterle sotto terra. Un’ipotesi suggestiva è che, quando già incombeva l’arrivo dei Romani, i Liguri abbiano deciso di nascondere questi simboli della loro antica religione per impedirne la distruzione da parte dei conquistatori. E sotto terra, come tante altre, le statue stele di Groppoli sono • rimaste per più di due millenni.
L’ultima scoperta
L
ungo una strada di campagna che dalla Via Francigena porta al monte Galletto, vicino a Pontremoli, a marzo di quest’anno è stata ritrovata per caso l’ultima statua stele del gruppo B, catalogata con il numero 85, custodita oggi al Castello del Piagnaro. Si tratta di una testa di stele che risale a 5mila anni fa. La scultura (a sinistra), perfettamente conservata, presenta i caratteristici occhi a pastiglia e un paio di orecchini che ornano il volto femminile con la forma tipicamente a “U”. 85
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