Mollificio bresciano - Vittoriano Viganò

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IL DIAGRAMMA-VIGANO’

Luca Parlangeli Gaia Pastori Monica Perrino



I L D I A GR A MMA -V IG A N O ’ I l M o llific io b r e s c ia n o Vitto r ia n o Vig a n ò



Indice

introduzione

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Analisi critica

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Descrivere/Interpretare

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Decifrare/Codificare

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Scomporre/Ricomporre

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Biografia

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Bibliografia

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Introduzione

Il Mollificio Bresciano nasce dalla ristrutturazione di uno stabilimento industriale che insiste su una vasta area periferica del comune di San Felice del Benaco. Il complesso, impostato su una trama modulare sia in pianta che in alzato, ha un andamento prevalentemente orizzontale, con un’altezza quasi costante. Tale scelta coniuga la volontà linguistica di esplicitare le caratteristiche del paesaggio naturale ondulato, andando ad inserirsi nel territorio in maniera quasi “silenziosa”, con la decisione programmatica di costruire un comparto produttivo che fosse comunque il più possibile funzionale. La vicinanza con il centro abitato si risolve attraverso il filtro del verde e il riaggomitolarsi del comparto su se stesso. Il materiale impiegato per i componenti orizzontali è per lo più il calcestruzzo armato, mentre il ferro per quelli verticali. Quest’ultimo costituisce la parte portante della struttura, ma disegna anche i fronti divenendo diaframma. I percorsi interni, permettono l’accessibilità a diversi tipi di utenze, mezzi stradali e pedoni, che possono usufruire di spazi destinati alla produzione o pubblici destinati alle funzioni di contorno. Dei 150 mila mq di progetto, 27mila sono riservati a edilizia a cielo libero e/o interrata, 3mila ai parcheggi, diecimila alla parte infrastrutturale e di connessione; la restante parte è deliberatamente lasciata alla natura e al verde. Il rapporto “di campo” è chiaramente ben impostato ed esplicitato: complesso industriale, mensa-servizi e uffici sono parzialmente “in trincea”, i capannoni sono arricchiti e differenziati con coperture differenti ad andamento grecato, anche se rimangono tutti in continuità con la superficie del piano di copertura.

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Come si può leggere l’opera di Vittoriano Viganò? Si può, da una sua singola architettura, risalire alla sua intera poetica? Da queste domande si muove questa ricerca delle “tracce architettoniche” che Viganò ha lasciato nel Mollificio Bresciano a San Felice del Benaco. Partendo da una ricognizione visiva del complesso edificato, e quasi interrogando l’architettura, si è ridisegnato in modo interpretativo le articolazioni del luogo più ricche di tensione, cercando di interpretare il senso progettuale che sottostava ognuno di quegli spazi architettonici. Nell’attendere a questo procedimento non si è potuto non tener conto dell’approccio intellettuale che Viganò aveva con il mestiere: egli arrivava alla pratica passando da una ben congegnata teoria progettuale. Teorizzando quelli che sono i capisaldi della propria attività progettuale e conducendo autonomamente la ricerca per rivendicare il valore morale e sociale della sua Architettura, in risposta alle tendenze di “imborghesimento, di assuefazione e di riformismo fiacco” degli anni Cinquanta, egli ha saputo tramutare le proprie idee semplici e “brutali” in opere, non cedendo mai a compromessi, convinto che occorresse rifondare l’Architettura a partire dai suoi valori costitutivi: lo spazio e la materia. Arriviamo qui alla seconda fase, una questione più squisitamente progettuale, che ha a che fare con il momento di concepimento di un’architettura. Viganò medita sullo spazio, non come ambiente circoscritto, ma in quanto tale, mai finito e mai concluso. È impossibile ignorare questo aspetto, tanto è potente lo schema che emerge dall’oggetto architettonico di studio: ogni edificio facente parte del complesso del Mollificio non si risolve in sé stesso, ma partecipa a complesse logiche spaziali, intrecciate con l’ambiente in cui si colloca, creando un continuum con esso. “Questo rapporto crea una specie di topografia artificiale che arriva a confondersi col luogo stesso, in modo che ogni tentativo di accordo e di dialogo che l’architettura instaura col sito, finisce per confermare la persistenza del tipo” (C.Martì Arìs). “È necessario postulare come assoluto la situazione generale, l’ordine esterno, e il singolo edificio viene visto come fine relativo in relazione al suo contesto” (P. Eisenman). Questo concetto cardine viene palesato in altri suoi progetti, ad esempio emblematica a riguardo è la villa Bloc a Portese del Garda: qui l’elemento visivo della scala, che taglia e definisce il paesaggio, si pone come linea nevralgica ma allo stesso tempo fondante dello spazio, il quale non può essere letto come “altro” rispetto all’edificio, né rispetto al paesaggio. È esso stesso soggetto, e non oggetto, della progettazione e proprio qui si esprime la componente più post-moderna di Viganò.

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Nella logica di progetto egli tiene conto del peso di ogni elemento, cosciente della necessità di rendere una spazialità fluida: entrando nel Mollificio si ha subito la sensazione che, come dice Eisenman, “le deformazioni siano applicate in riferimento al reticolo ortogonale... queste deformazioni sono il risultato della grammatica specifica usata nel controllo sistematico della circolazione, e obbediscono ai requisiti sintattici della condizione generica.” Viganò costruisce un’architettura “scheletrica” attraverso la valorizzazione degli elementi strutturali e di involucro che trovano la loro semantica corrispondenza nel Nero, cioè nel possibile e nell’effimero. Mentre si vive il suo progetto, mai si finisce con mettere in simbiosi il pilastro HE, che ricorre ossessivamente, con l’Architetto poiché è chiaro, fin dall’ingresso nel sito, come questo elemento sia solo il glifo di un determinata grammatica progettuale. Anche in Viganò come insegna Mies “la tecnica non è un fine in se ma un mezzo per ottenere la forma architettonica”, che non è la meta, ma il risultato, ed “ha la funzione di filtrare gli aspetti soggettivi e di indirizzare il progetto verso una soluzione più chiara e congruente.” Da qui si evince come egli senta lo stile come responsabilità e riconoscibilità progettuale e non come firma: questa consapevolezza si traduce nel suo inedito Brutalismo, che è un linguaggio diretto e violento ma è anche, e soprattutto, onestà costruttiva e ricerca di una moralità spaziale e materica. Definire l’Architettura di Viganò come Brutalista è necessario e giusto ma comunque non sufficiente a inquadrarne l’opera; il linguaggio veicolato dal trattamento grezzo del cemento armato e dell’acciaio o del ferro, è sì quello che R.Banham definisce “brutale”, associandolo ad altri coevi di matrice anglosassone, ma in lui, tale elemento è complementare ad un modo architettonico ben più stratificato, seppur semplice e lineare. In questo senso gli spazi di Viganò possono essere letti anche come spazi di assenza di superfluo strutturale, ma comunque come complesse trame spaziali che contribuiscono a costituire un neologismo architettonico. Ad esempio, la scelta obbligata di un materiale come il ferro, dovuta alla collocazione e alla vocazione industriale del progetto del Mollificio, poteva costituire un ostacolo alla libertà espressiva, ma Viganò è riuscito, attraverso una sintassi coerente che controlla l’ordinamento grammaticale, a rendere manifeste le qualità estetiche intrinseche di un materiale imposto dalle contingenze, facendo di questa materia primitiva ora un punto di incontro tra interno ed esterno, ora un filtro tra il dentro e il fuori. Come negli stessi anni Alberto Burri lacerava stracci e fondeva la plastica per ottenere le sue creazioni, così Viganò modellava il cemento di comparti produttivi, portandolo quasi agli estremi statici per sperimentarne le caratteristiche espressive, così che “l’edificio si dichiari per quello che è, con sanguinea violenza e polemica astinenza di ogni finitura gradevole” (B.Zevi), raggiungendo la propria bellezza del grezzo e del non finito.

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Anche i dettagli costruttivi non sono meramente funzionali ad un efficiente assemblaggio, ma sono studiati per far risaltare le caratteristiche plastiche degli elementi strutturali. Alcuni esempi sono il culmine dei pilastro e la sezione “grecata” dell’intradosso dei solai. L’edificio degli uffici, in particolare, è scandito dalla presenza dei grandi pilastri HE in metallo nero dei quali è visibile il coronamento corrispondente ad una losangatura vuota del profilo del tetto attraversata dalla verticale dell’elemento; gli spazi degli uffici costituiscono dei blocchi appesi al reticolo strutturale e sono tamponati mediante pareti vetrate a maglia rettangolare. Tali concezioni spaziali motivano anche l’inquadramento di Vittoriano Viganò nella corrente “dell’Astrattismo spaziale” – come Fontana e Burri – corrente che impiegava i suoi sforzi nel delineare una “forma della materia” e una “forma dello spazio”. Viganò era infine cosciente del valore pedagogico, politico e sociale dell’Architettura, che in quanto strumento della civiltà, deve essere adoperata con la consapevolezza che essa rimarrà nel tempo, divenendo storia. Tale valore di “spazio sociale”, che era estraneo alla teoria architettonica almeno fino agli anni Sessanta, venne portato in primo piano negli anni immediatamente successivi da Henri Lefebvre, il quale sosteneva l’esistenza di un rapporto esperienziale e necessario tra questo e lo spazio architettonico e ne criticava l’astrazione, attuata dagli architetti a proprio vantaggio, in “spazio mentale”. Così Viganò è cosciente del fatto che lo spazio che lui manipola e plasma, non è una materia neutra e trasparente, ma è un agglomerato di nozioni storiche e sociali, con il quale l’architetto si deve necessariamente confrontare, con la consapevolezza di non essere pienamente libero. Solo così l’architetto potrà restar fedele al concetto vero, anche se contaminato, di “spazio”. L’interiorizzazione di questa componente “sociale” in Viganò è di primaria importanza, tanto da non poter pensare alla sua Architettura senza questo suo aspetto. Questo è l’ultimo tassello che permette di ricomporre il puzzle del “Diagramma-Viganò”.

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DESCRIVERE / INTERPRETARE

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PIANO ORDINATORE

Tutto il percorso progettuale di Viganò si può inquadrare in quella che si definisce Architettura ambientale (non organica, né mimetica), un’architettura poetica, fatta di gesti vigorosi, di forme e materiali dissonanti con il contesto, eppure allo stesso tempo dialoganti con esso. Senza nessuna volontà di mimetizzazione, egli ricerca forme spigolose, aggetti e rientranze, geometrie aspre e irregolari. L’edificio nasce dal rapporto tra fabbrica e tessuto urbano, o meglio dalla reimpostazione di tale intima connessione, che porta con sé varie e complesse implicazioni progettuali. 12


L’impianto si basa su una griglia ortogonale scandita da una teoria di pilastri, la quale a sua volta definisce una serie di spazi fluidi, ovvero non delimitati verticalmente da componenti fisse. L’interno degli uffici si sviluppa senza soluzione di continuità su tre navate, di cui la centrale più ampia.

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SEZIONE GENERATRICE

Dalla sezione si legge come l’architettura segua l’andamento del territorio in cui è inserita, mantenendone il profilo, e come la distribuzione dei piani del complesso degli uffici sia stata concepita per essere assolutamente libera e continua.

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La dialettica tra struttura portante e portata in Viganò diventa principio fondante e ordinatore degli spazi e delle funzioni ed è spesso rimarcata dall’enfasi dimensionale di alcuni elementi e dall’uso del colore nero e arancio. Linee di tensione sono elemento ricorrente di tutti gli edifici di Viganò: possono essere le tubazioni di alcuni sistemi impiantistici, oppure, come nel Mollificio, il prolungamento nel vuoto delle travi sia della copertura che del solaio, i frangisole aggettanti in orizzontale, i pilastri “a stalattite” o che “bucano” il soffitto, oppure - ancor più fisicizzate - i percorsi di scorrimento o collegamento cioè le tettoie e i corridoi esterni. Quasi mai si evidenzia la massa, che è invece ridotta all’essenziale, ad una dialettica di elementi semplici, scomponibili e ricomponibili, che insieme formano “un’Architettura Politecnica”.

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DIAFRAMMA

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I l Dia f r a m m a Se p a rato re è co mpo sto da una fitta e com plessa tr am a di el em enti : br i s e- s ol ei l , p ila s t r i a “ s t a l atti te”, te n d e e ve trate con una ser r ata scansione ver ticale dei m ontanti . Ques ti e le m e n t i h a n n o l a fu n zi on e di smater ializzar e la str uttur a r igida e im pattante del l ’ edi fi c i o nei s u o i “ m a r g i n i ” p i ù e ste rni , me tte n do così in cor r elazione l’inter no e il contes to natur al e, tr am i te la mo d u l a z i o n e d e l l a l uce e d e l l e tr aspar enze. 20


BASAMENTO

La maglia ortogonale di travi e pilastri HE, poggia su travi rovesce in cemento armato, progettate in modo da rialzare il piano di calpestio rispetto al piano di campagna e creare sul livello basamentale una distinzione tra l’architettura e il suo contesto.

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CORONAMENTO

I l c o r o n a m e n t o d e l compl esso , se gue il pr ofilo del ter r eno cir costante, differ enz i andos i i n bas e a lla f u n z i o n e di o g n i corpo a rchi tettonico. 23


I n p a r t i c o l a r e i l co ron a men to de l l a m ensa è car atter izzato dai pilastr i, c he s em br ano “ s fon d a re ” i l t e t t o , e d a l l a tra ve , cui so no ancor ate le “ stalattiti” , che non ha la funz i one di por tar e la c o p e r t u r a , m a che è se mpl i ce m ente posta sul m ar gine tr a l’ar chitettur a e i l c i el o, quas i per s o t t o l i n e a r n e l i ri ca men te l a te n si one .

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I l co r o n a m e n t o de i cap a n n o n i i n d u str iali è costituito da tr avi r eticolar i che i n al c uni c as i s eguo n o l’a n d a m e n t o de l ca p a n n o n i , i n alcuni casi sono a esso or togonali. In ques to l e tr av i danno o rig in e a d u n a co p e rtura a do p p i a altezza , che cr ea un r itm o alter nato nel pr os petto pr i nc i pal e.

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DECIFRARE / CODIFICARE

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PROGRAMMA

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Capannoni

UďŹƒci Mensa e Bagni Parcheggi Reception

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CIRCOLA ZIONE

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GEOMETRIA

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STRUTTURA

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PERIMETRAZIONE

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SCOMPORRE/RICOMPORRE

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SOLAIO CONTROTERRA SOLAIO INTERPIANO

COPERTURA

ORIZZONTAMENTI

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COPERTURA SOLAIO INTERPIANO

SOLAIO CONTROTERRA

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COLLEGAMENTI

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DELIMITAZIONI

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PARTIZIONI

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SERVIZI 㤀 㤀 㜀 㜀

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Spazi serventi

Spazi serviti

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Servizi igienico-sanitari e cucine


Sintesi

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Biografia

Vittoriano Viganò nasce a Milano nel 1919. Il padre Vico era pittore e acquafortista, ma anche architetto e poeta: attraverso di lui Vittoriano viene a contatto con l’ambiente artistico milanese e prende familiarità con una disciplina fatta “di luce, colori, forme, equilibri e tensioni dinamiche”, elementi che saranno alla base della sua produzione futura. Diplomato al Liceo Classico, si laurea architetto nel 1944 al Politecnico di Milano e in seguito, dopo un breve apprendistato presso lo studio BBPR, affianca all’attività progettuale del suo studio, quella di professore di Composizione e di Architettura degli Interni (cattedra prima presieduta dal suo maestro Gio Ponti e da Franco Albini). Tra i suoi primi progetti i più importanti furono, il Condominio in Via Piave (1948), il cinema Dal Verme (1947-48) e il centro sportivo e di svago a Salsomaggiore, (1948-50). Successivamente egli si approccia al tema dell’abitare declinato sia nella residenza isolata, che nell’appartamento cittadino, rispettivamente con i progetti di Casa Bloc (detta “La scala”) a Portese del Garda (1953-58), del Condominio in via Gran San Bernardo (1957-60) e dell’Appartamento a Milano (1956-58). Altri ambiti di ricerca del professore sono quello degli spazi aperti e dei servizi collettivi, in questo caso emblematico è l’Istituto Marchiondi-Spagliardi (1953-58), filo tematico in seguito continuato con la nuova sede della Facoltà di Architettura (1965-85). Una delle tematiche più rilevanti della sua attività di progettista è quella dell’architettura industriale. Con la Cartiera Sterzi a Varese (1956-58) Viganò comincia la sua riflessione sui luoghi produttivi, che porterà successivamente alla massima espressione con il Colorificio Attiva (1965-70) e il Mollificio Bresciano (1967-82). È stato un assoluto protagonista del clima culturale e artistico del secondo dopoguerra sia milanese (ad esempio partecipando alla Triennale) che internazionale, con la collaborazione con la rivista francese L’Architecture d’Aujourd’hui, diretta allora dall’artista Andrè Bloc. Muore nel 1996.

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Bibliografia

- Carlos Martí Arís, Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano, CittàStudi, 2012, a cura di M. De Benedetti - Adrian Forty, Parole e edifici. Un vocabolario per l’architettura moderna, Bologna Pendragon, 2004 - Peter Eisenman, La base formale dell’architettura moderna,Bologna Pendragon 2009 - Vittoriano Viganò, A come architettura, Milano Electa 1992. - Ezio Bonfanti, Nuovo e moderno in Architettura, Milano, Bruno Mondadori, 2001, a cura di M.Biraghi e M. Sabotino.

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Politecnico di Milano Scuola di Architettura e Società Corso di Studio in Progettazione dell’architeturaa.a. 2015-2016 Corso di Caratteri distributivi e tipologia degli edifici Prof. Andrea Gritti Collaboratore alla didattica Arch, Marco Voltini


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