I slave

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I-slave

Giovanni Sozio


Siamo tutti ben consapevoli dell‟impatto enorme che lo sviluppo tecnologico ha portato nella nostra società con l‟avvento del ventunesimo secolo. L‟evoluzione della specie umana è diventata sempre più legata al tipo di tecnologie che inventiamo, essendo queste in grado di modificare così radicalmente i nostri stili di vita da comportare effettivamente dei cambiamenti nel modo in cui ci stiamo evolvendo. Ovviamente questo fenomeno ha dei precedenti storici innumerevoli, dall‟invenzione della ruota a quella del ferro, fino a giorni più recenti con la prima rivoluzione industriale. Da quando siamo scesi dagli alberi per colonizzare la terra orizzontale, il pollice opponibile ha giocato un ruolo di fondamentale importanza nella produzione dei primi utensili e da questi si è determinato il percorso evolutivo dell‟uomo. Siamo diventati la razza dominante del pianeta perché in grado di sviluppare dei congegni che ci hanno permesso di trionfare nell`ardua battaglia della selezione naturale. Ma cosa sta succedendo adesso? La specie umana ha raggiunto un livello inimmaginabile di sviluppo tecnologico e le conseguenze di tutto ciò non sono ne studiate ne capite davvero, rimangono pure argomentazioni sporadiche che a volte assumono caratteri di monito verso la troppa tecnologia in se stessa, ma in fin dei conti nessuno vuole rinunciare alle comodità estreme che questo sviluppo ci ha portato, così la marcia indietro non è mai stata concepita come una soluzione possibile. La marcia indietro non esiste, è un concetto senza senso se applicato al progresso. Così continuiamo a produrre e commercializzare milioni di dispositivi che come le prime punte di pietra per le lance dei nostri avi cambiano giorno dopo giorno il nostro modo di vivere la vita. Ma vuoi mettere l‟impatto evolutivo di un arnese da taglio nell‟homo sapiens a quello di uno smart phone nell‟uomo moderno?

Lasciamo perdere questi paragoni un po‟ esagerati, cercavo solo di rendere l‟idea, di porre l‟attenzione sul potenziale latente di questi dispositivi sull‟evoluzione umana. L‟idea di scrivere un articolo in proposito è maturata nel corso dei miei ultimi viaggi nel sud est Asiatico e si è rafforzata dopo aver passato in Italia qualche settimana di relax e


attente osservazioni sulla maniera in cui è cambiato il mio paese dalla mia ultima visita, quattro anni fa. Ero in centro a Kuala Lumpur, quando decisi di saltare sulla metropolitana per andarmene un po‟ a zonzo a esplorare gli outskirt della città. Una volta nel vagone afferrai una maniglia penzolante e dopo aver dato uno sguardo compiaciuto al mio bicipite, iniziai ad osservare la gente intorno a me. Non è possibile, ci deve essere qualcuno senza. Non ce n‟erano. Tutte, ma proprio tutte le persone che riuscivo a vedere all‟interno di quel vagone erano interamente assorte a manipolare i loro smart phone, I pod, I pad e tablets…nessuno escluso. Alcuni ne avevano uno per mano. All‟inizio credo di aver provato un senso di sincero stupore e man mano che la corsa andava avanti mi sentii quasi a disagio, così per tenermi su di morale feci qualche smorfia orribile rivolto a tutti e a nessuno. Ovviamente il mio gesto passò del tutto inosservato. Accidenti, questi sono proprio in un'altra dimensione. Sapevo benissimo che il vero mercato della tecnologia è l‟Asia, non era certo la mia prima volte nel continente ma il cuore d‟una metropoli all‟avanguardia come KL ha sempre qualcosa per cui rimanere stupiti. Il caldo asfissiante delle tre di pomeriggio mi fece sospirare profondamente appena uscito dalla metropolitana, non avevo nulla da fare e me ne andai in giro rimanendo assorto nei miei pensieri, diretto verso le Petronas Towers dove avevo appuntamento con un‟amica alle sei del pomeriggio. Tre ore sono un arco

di tempo infinito se impiegate nello studio antropologico d‟un agglomerato umano così interessante come le persone indaffarate di KL. La situazione all‟esterno della metropolitana non era molto diversa: quasi tutta la gente che incrociavo era china sullo smart phone, i cinesi e giapponesi invece avevano tablets molto grandi e le portavano sollevati davanti alla faccia, a braccia tese, intendi a seguire indicazioni stradali e “scattare fotografie a due milioni di pixel che speriamo che qualche mi piace su facebook se lo beccano”. Sopraggiungendo alle spalle di una ragazza non potei far a meno di notare che, per camminare senza ammazzarsi, aveva in un angolo dello schermo la videocamera che le faceva vedere dove metteva i piedi senza che lei si distraesse troppo dall‟applicazione che stava utilizzando sul suo I Pad. Faceva troppo caldo, così m‟infilai in un caffè per godere dell‟aria condizionata a meno venti gradi che è la norma in città. Seduto a un tavolino davanti alla vetrata, continuai a osservare la gente con curiosità. La ragazza mi portò il caffè e sorridendo m‟informò della password wi-fi dell‟esercizio. Le persone sedute nel caffè erano tutte o quasi chine su dispositivi vari che d‟ora in poi eviterò di elencare chiamandoli semplicemente “smart device”. Maledizione, io non ho nulla per connettermi a internet. Quasi mi dispiaceva, quasi mi sentivo un escluso. I miei mezzi per gingillarmi, dopo essere stato derubato del mio I pod in Thailandia qualche settimana prima, erano semplicemente la mia Moleskine, una penna e un e-book di prima generazione, in bianco e nero, che avevo comprato in Nuova Zelanda per il semplice motivo di diminuire il peso dei libri, che per uno che legge e viaggia tanto quanto me è un fattore critico nel contenuto dello zaino e anche per una questione di etica ecologica nel cercare di limitare l‟utilizzo di carta.


-Questo è un libro! – cercavo di spiegare alla cameriera che alla fine era pure bona. - Non posso navigare su internet! E‟ solo un libro! – Lei mi guardava stupita, non comprendendo a cosa mai potesse servire un dispositivo del genere se non era possibile connettersi alla rete. A dir la verità connettersi al web con gli e-book è possibile, ma il mio non è touch screen, non ha una tastiera, è in bianco e nero e ha semplicemente un software sperimentale molto basico con cui è possibile visualizzare alcune pagine web. L‟unico utilizzo che faccio della sua connettività è sfogliare cataloghi on line per acquistare nuovi libri. Cosa che avviene molto raramente poiché in quindici minuti puoi acquistare dieci libri che ti terranno impegnato per i prossimi cinque mesi. Inizio a scrivere appunti sulla mia agenda e continuo a pensare all‟incredibile livello di diffusione degli smart device e al loro impatto sulla società. [Gli smart device (dispositivi intelligenti) sostituiscono così bene molte funzioni che prima erano priorità dell‟attività celebrale e motoria dell‟uomo che in molte persone sono diventate come estensioni corporee cui la vita di tutti i giorni è sempre più indissolubilmente legata. Hanno creato il bisogno e ora ci forniscono i mezzi per soddisfarlo. E‟ la strategia del marketing, lo spauracchio travestito da benessere della globalizzazione. Avevamo forse bisogno degli smart phone prima che l‟inventassero? Il BISOGNO, in se per se, non sarebbe forse una cosa così terribile se non creasse DIPENDENZA. L‟oggetto inventato per soddisfare un bisogno perde lentamente la sua funzione primaria e diventa uno strumento INDISPENSABILE alla vita di tutti i giorni.] Il primo impatto gigantesco che hanno gli smart device è nella comunicazione. L‟uomo, essere sociale per natura, proietta il suo desiderio di socialità anche nel mondo virtuale e la portabilità di questi dispositivi rende il confine fra virtuale e reale quasi inesistente. Quello che avviene nei social network è ormai parte integrante della nostra REALE vita sociale. Pensateci bene. Noi non siamo più solo quello che appariamo fisicamente alla gente, le nostre relazioni si sono estese nell‟etere e dobbiamo preoccuparci del nostro “essere virtuale” quanto se non di più di quello fisico. Avendo la possibilità di comunicare istantaneamente il nostro stato d‟animo, la nostra posizione e la nostra attività a un vastissimo elenco di persone, ci fa sentire più legate alle stesse e forse meno soli nella crudele realtà di tutti i giorni. Ma qual è l‟altra faccia della moneta? Il lato oscuro di tutto ciò è che più soli lo stiamo diventando! La depressione aumenta e le relazioni interpersonali sono sempre più complicate. La comunicazione sta interamente traslando nel virtuale e non ci accorgiamo delle persone che abbiamo intorno, non ci interessano! Lo smart device ci permette di conoscere e comunicare con il prossimo senza tutte le cerimonie e insicurezze del contatto reale. Questo si faceva da qualche tempo con i computer, ma quello che rende gli smart device diversi e molto più influenti nella nostra vita è la loro PORTABILITA. Scrivere un messaggio, controllare la posta, cercare una strada su google map, cazzeggiare su facebook, fare una foto, giocare ad angry birds, i motivi per restarsene chini su uno smart phone sono pressoché illimitati e alzare la testa per interagire con il mondo reale è sempre più raro.


Abbiamo un‟ossessione per la connettività globale. Non stiamo più bene soli con noi stessi e la gente intorno, abbiamo BISOGNO di cercare rifugio, di ampliare la nostra sfera esistenziale nel virtuale. Il fattore d‟impatto sociale è solo un aspetto delle modifiche socio-psicologiche degli smart phone. Sono così intelligenti che trovano il ristorante per noi, ci consigliano quali paia di mutande acquistare, dove andare in vacanza, che strada prendere per arrivare al sexy shop ma alla fin fine ci suggeriscono una cosa sola: quali prodotti consumare. Siamo noi stessi di nostra spontanea volontà a spiattellare in rete i nostri interessi, le nostre tendenze. Provate a pensare: perché le applicazioni su facebook chiedono di accedere alla lista contatti, al profilo ecc? I proprietari delle applicazioni utilizzano queste informazioni per manipolare i nostri futuri interessi, o vendono le informazioni a società mediatiche che poi le utilizzano per propinarci prodotti di genere diversi che in un modo che ci sembra quasi magico riguardano proprio ciò che ora ci interessa. Credete davvero che le nostre attività nella rete siano private? Siamo COSTANTEMENTE monitorati. E‟ queste non sono paranoie di un cocainomane è la triste realtà delle cose. Gli smart phone sono l‟arma più potente nelle mani del sistema. Lo so che sono parole forti ma sono sicuro che se vi spremete bene le meningi capirete che le mie conclusioni non sono campate in aria. Il verso scopo di quest‟articolo è cercare di capire quale impatto avranno questi dispositivi sull‟evoluzione dell‟uomo. Fermiamoci un attimo d‟analizzare situazioni attuali e cerchiamo di spingere l‟immaginazione a visualizzare uno scenario futuro nemmeno troppo lontano.

Iniziamo con l‟esaminare le giovanissime generazioni di oggi, quale migliore punto di partenza se non coloro che vivranno nel futuro prossimo? Molti ragazzini di oggi hanno uno smart phone e chi non ce l‟ha lo mette al primo posto nella letterina a babbo natale. E‟ un desiderio forte. E‟ l‟oggetto d‟avanguardia per eccellenza. Tra computers, tv, play station e smart phone i ragazzini di oggi vivono un‟infanzia decisamente… diversa. Il ragazzino, impegnato com‟è a vivere sempre di più nel virtuale, svilupperà con il tempo una maggiore predisposizione alle malattie virali. Il contatto con l‟ambiente esterno si ridurrà progressivamente e di conseguenza la quantità d‟anticorpi disponibili sarà limitata. Le case farmaceutiche produrranno nuove medicine e nella corsa cieca alla ricerca della salute ci ritroveremo a essere sempre più malati e bisognosi di medicine. Un giorno non lontano prenderemo medicine a prescindere. La tecnologia indebolirà la costituzione stessa dell‟uomo. Non saremo più in grado di gestire la nostra esistenza quotidiana senza uno smart device. Tutte le attività umane saranno eseguite attraverso questi dispositivi. Non vi sto parlando di un futuro fantascientifico governato da robots che ci frusteranno mentre siamo costretti a lavorare nelle miniere, ma di un domani dove ogni congegno elettronico sarà comandato da uno smart device e non possederne uno escluderà l‟individuo dalla società comune. Non saremo gli schiavi di robots massicci dalle fattezze umane, ma di un apparecchio cellulare. Riconosceremo in questo la schiavitù? Penseremo ancora di essere i padroni assoluti quando la nostra vita dipenderà interamente da queste macchine?


Quanto mi diverte dare questo carattere d‟apocalisse fantascientifica all‟articolo. Mi domando quanto tempo ci sarebbe voluto prima che una storia da romanzo si sarebbe tramutata in un pezzo giornalistico che descrive un futuro tanto prossimo… Le grandi società utilizzeranno a loro vantaggio i dispositivi di cui avranno meticolosamente munito ogni essere vivente inserito in un contesto socio – produttivo importante. Gestiranno i consumi di tutti, canalizzandoci nelle scelte in maniera invisibile e noi finiremo esattamente la dove vogliono loro. In un futuro prossimo saremo tristemente incastrati in un circolo vizioso di lavoro e consumo che non avrà più nulla a che fare con il libero arbitrio. E‟ una dittatura subdola e geniale quella che ci governerà un domani se non facciamo qualcosa per cambiare le cose. Tutto questo sta già succedendo! Un giorno arriveremo forse a farci impiantare uno smart device in un braccio? Credete davvero che questa possibilità sia così remota? "The smartphone has gone from being a cutting-edge communications tool to becoming an essential component in the everyday lives of billions of consumers." “Lo smartphone è passato dall’essere uno strumento di comunicazione all’avanguardia a un componente essenziale nella vita di milioni di consumatori”

“By 2017, smartphones are expected to take over nearly all sales in the most developed economies” “Per il 2017, si prevede che gli smartphones domineranno tutte vendite delle economie più sviluppate”

Prendiamo ora in considerazione lo smart device per eccellenza: l‟I-phone. L‟Apple ha venduto qualcosa come 93 milioni di I-phone l‟anno scorso e 40 milioni di I-pad. L‟unica ragione per cui non ne sono stati venduti ancora di più è che non riescono a produrne abbastanza velocemente da soddisfare la domanda dei consumatori. Ma come sono prodotti questi dispositivi? Uno dei maggiori produttori degli articoli dell‟Apple è una fabbrica cinese chiamata Foxconn. Quest‟ultima produce apparecchiature elettroniche anche per Dell, HP, Motorola, Nintendo, Nokia, Sony ed altri grandi marchi globali. Alcune recenti analisi di mercato


evidenziano sorprendentemente come la Foxconn produce più del 50% dei dispositivi elettronici del mondo. Secondo una ricerca del 2011 l‟operaio tipo della Foxconn arriva a lavorare anche 35 ore di seguito, guadagna mediamente 31 centesimi di dollaro l‟ora, passa il poco tempo che gli rimane per riposare in dormitori da dieci posti letto e non ha nessun sindacato cui rivolgersi per far valere i suoi diritti. Formare un‟unione dei lavoratori del genere è contro la legge e risulterebbe nell‟imprigionamento fino a 12 anni. “Tra i mesi di gennaio e novembre del 2010, quattordici impiegati della Foxconn si sono suicidati saltando giù dal tetto della fabbrica. I dirigenti, come contro misura, hanno installato delle reti anti suicidio attorno ai muri di tutta la fabbrica, aumentato di qualche centesimo il salario degli operai, costringendoli a firmare degli impegni a non suicidarsi e dei documenti giuridicamente vincolanti che garantiscono che loro e i loro discendenti non citeranno in giudizio la compagnia a causa di morte improvvisa, autolesionismo o suicidio. In un rapporto dettagliato di 83 pagine sui suicidi della Foxconn e le condizioni di lavoro, frutto della collaborazione di 20 università di Hong Kong, Taiwan e Cina continentale, sono riportati i risultati delle interviste di 1.800 lavoratori in 12 fabbriche della Foxconn. Le testimonianze parlano di lavoro straordinario illegale e omessa segnalazione d‟incidenti. Il rapporto ha anche criticato lo stile di gestione di Foxconn, che viene descritto come disumano e violento.” Fonte: English Wikipedia

I suicidi alla Foxconn, pur avendo raggiunto l‟apice nel 2010, sono un fenomeno che va avanti dal 2007, con due suicidi riportati nell‟aprile del 2013. In rete ho trovato alcuni video che mostrano l‟interno delle fabbriche e le condizioni di lavoro degli operai, il problema è che i dirigenti sanno in precedenza quando avverranno le ispezioni, di conseguenza hanno tempo per attrezzare una messa in scena perfetta e gli ispettori dell‟Apple questo lo sanno bene.

Nonostante tutto si può vedere come l‟automazione nel processo di costruzione di un I-phone non è così importante come ci si potrebbe aspettare da una fabbrica del ventunesimo secolo. C‟è da rimanere stupiti nell‟apprendere che gli articoli sono quasi interamente fatti a mano! I prodotti Apple sono così belli, così perfetti, che sembrano fatti da una macchina e molte persone sono pienamente convinte di questo.


La verità é tutt‟altra. Ci vogliono 5 giorni e 325 paia di mani per costruire un I-pad. Diecimila pezzi d‟alluminio l‟ora vengono lavorati dallo stato grezzo per ottenere la lucida e morbida forma della base dell‟I-pad, completi del logo Apple. L‟operaio alla fine di questa catena intaglia il logo al ritmo di 3000 ogni turno. Le condizioni di lavoro nella fabbrica sono durissime.

Il provvedimento immediato dopo i moltissimi tentativi di suicidio, buona parte dei quali andati purtroppo a buon fine, è stato quello d„installare le reti per scoraggiare coloro che non ne possono più dell‟enorme pressione lavorativa a cui sono sottoposti per stare dietro alla domanda in continua crescita del prodotto e vogliono farla finita saltando giù dal tetto. Perché l‟Apple, Sony, Nintendo, Nokia e tutti gli altri grandi marchi non fanno qualcosa per cambiare tutto questo? Perché non sacrificano una minima parte dei loro guadagni stratosferici per garantire a questi lavoratori i loro diritti? Certo le fabbriche sono in Cina e gestite dalla legislazione Cinese, ma se le grandi case esercitassero la giusta pressione sui dirigenti, le cose cambierebbero di certo. Potrebbero addirittura aprire delle fabbriche in America ad esempio, assumendo disoccupati e rilanciare l‟economia del paese! Potremmo dilungarci ancora molto sulla triste situazione di questi lavoratori, ma quello che volevo era semplicemente darvi un‟idea di cosa significa costruire uno di questi dispositivi, così la prossima volta che controllate il meteo per la serata, magari potrete sperare che il tipo che ha montato lo schermo che state toccando non sia saltato giù dal tetto. Qualche ora fa sono andato a portare dei vestiti che non indosso più a un ex collega di lavoro che è disoccupato e ha una famiglia da mantenere. Mentre parlavamo sui problemi della mancanza di lavoro, mi ha sorpreso domandandomi quanto costasse un tabelt.

Gli ho domandato cosa mai doveva farsene di un tablet se non aveva nemmeno i soldi per mangiare e la sua risposta è stata che l‟hanno richiesto a scuola per far studiare sua figlia che va alle elementari. - Ormai quasi tutti i ragazzini ne hanno uno, ma io non ho abbastanza soldi da comprarlo.Vedete, il processo di cui parlavo prima d‟inserimento capillare di questi dispositivi nella struttura sociale è ormai iniziato da tempo. Ci tengo a precisare una cosa: Sostituire gradualmente i libri cartacei agli e-book di prima generazione è una cosa positiva, sia per il risparmio delle famiglie sia per una questione ecologica. L‟e-book di prima generazione, come quello che ho io (bianco e nero, non touch screen, limitata possibilità di navigazione della rete) è effettivamente un libro. La differenza principale è nell‟inchiostro elettronico che è costituito da milioni di minuscole microcapsule, del diametro di un capello umano. Ogni microcapsula contiene particelle bianche caricate


positivamente e particelle nere a carica negativa sospese in un liquido chiaro. Quando viene applicato un campo elettrico positivo o negativo, le particelle corrispondenti si spostano sulla superficie della microcapsula, dove diventano visibili al lettore.

Il problema è che tablets più complessi (per intenderci quelli simili ad un I-pad) dominano ormai anche questo tipo di mercato. Basta spendere di più e ci si ritrova fra le mani uno smart device invece che un semplice libro elettronico, non c‟è bisogno nemmeno di fare tanta pubblicità in merito visto che è una tendenza sociale in ascesa. Ecco cosa ha scritto a proposito della sua dipendenza da I-phone una giornalista che dopo aver sperimentato per sole 4 ore a rimanere lontano dallo smart phone ha capito il terribile legame che governa la sua vita. Non avendo risposto prontamente come faceva di solito al messaggio di un‟amica, quest‟ultima si preoccupa per lei: Io non sono libera. Lo dimostra il fatto che ho ricevuto un messaggio in segreteria della mia amica quattro ore dopo che il mio esperimento è iniziato. Nel momento in cui ho sentito il suo messaggio, ho letto gli sms che mi aveva mandato e le ho risposto per placare la sua ansia e irritazione. - Ho pensato che c'era qualcosa che non andava - rispose lei. – Di solito rispondi subito ai messaggi! – Il problema è qui. Come una specie di animale selvatico, afferro il mio I-phone nel momento in cui vedo una notifica. Certo, ho abbastanza buone maniere da mettere il silenzioso la maggior parte delle volte, ma i miei occhi sono ossessivamente alla ricerca di annunci, di testi, email, messaggi di Facebook, Twitter e What‟s up. Quando il mio telefono è altrove, sono molto consapevole della sua assenza. Sono schiava del mio telefono e non voglio più vivere in questo modo. Il problema è che non voglio nemmeno liberarmene completamente. Come scrittrice freelance e madre di quattro bambini piccoli, non sono disposta a rinunciare completamente al la comodità di ricerca e di lavoro in movimento. Ma questa è una trappola. Una persona libera può passare un giorno intero senza il suo telefono. Una persona libera va in vacanza, a pranzo, e si trova in fila per comprare pane e insalata senza sentire il bisogno urgente di controllare il suo telefono. Alcuni giorni impongo a me stessa per tutta l‟ora del pranzo a non prenderlo dalla borsa "per verificare rapidamente" se la scuola dei bambini ha chiamato, o un editore ha finalmente lasciato un feedback, o se il mio ultimo post sul blog ha ricevuto commenti. A volte questa imposizione funziona. Altre volte do una rapida occhiata al mio telefono, il che ispira il mio compagno di pranzo per fare lo stesso. Il risultato è che il nostro tempo


insieme è terminato. C‟infiliamo nel mondo degli eventi virtuali. In alcuni secondi, siamo spariti. Non voglio essere ipocrita. Capisco le motivazioni importanti di rimanere sempre a disposizione, "controllare rapidamente" qualunque cosa sembra urgente dall‟altra parte. Capisco il falso senso di controllo che fornisce. Se la babysitter mi raggiunge, mi dico, allora niente può andare storto. Ci siamo convinti che questo multi-tasking è normale. Come Gretchen Rubin, autore di "The Happiness Project" sottolinea nel suo popolare blog: "E‟ facile dimenticare che “moderazione” è un termine relativo e se si sta puntando a essere moderati, è utile chiedere a te stesso, “Moderazione, in confronto a cosa?” Se la mia amica guarda il telefono cento volte al giorno non significa che se io lo guardo cinquanta sono in controllo. Devo davvero essere a disposizione tutto il tempo? Deve essere il telefono cellulare la prima cosa che vedo al mattino e l'ultima cosa che vedo di notte? Non posso essere più presente, più consapevole, meno frenetica, meno maleducata? Voglio diventare il tipo di persona che stabilisce dei limiti all‟utilizzo del telefono in modo che la famiglia e gli amici non si preoccupino e non si offendano quando non rispondo immediatamente ai loro messaggi. Voglio che essi pensino che stia con i bambini, mio marito, che lavoro o addirittura dormo! Non devono domandarsi se sono morta o cose del genere! [Fonte: Nina Badzin blog]

Non credo sia necessario commentare quello che avete appena letto. La giornalista esprime chiaramente cosa vuol dire essere schiavi dello smart phone. Le implicazioni che tutto questo avrà sul futuro della nostra specie, per ritornare nuovamente al topic di quest‟articolo, sono davvero molto preoccupanti. Vivremo un‟esistenza da iper-connessi senza avere più spazio per le cose che davvero contano nella vita. I figli dei nostri figli saranno interamente educati da uno schermo che piazzeremo davanti alle loro facce non appena finiti di allattare. La postura dell‟essere umano sarà sempre più china, ricurva su quegli strumenti che ormai saranno diventati estensioni corporee a tutti gli effetti. La mancanza di connettività sarà la causa di ansie terribili, di problemi psicologici, di suicidi. Una massa lobotomizzata d‟esseri che vivono per lavorare-produrre-consumare incastrati in un canale prestabilito che avrà solo la parvenza di una vita libera. La paura degli ambienti esterni aumenterà di conseguenza.

Educati a fare esperienza di ciò che non è a portata di mano dalla poltrona di casa attraverso l‟inverosimile connettività spaziale-sensoriale che avremo presto raggiunto, gli spazi aperti ci faranno sentire insicuri e vulnerabili e tenderemmo a evitarli e l‟effetto primario di tutto ciò sarà una predisposizione maggiore alle malattie di ogni genere. Eviteremo forse un giorno perfino di toccarci? Il virtuale diventerà la vera realtà e il reale sarà recluso come qualcosa di obsoleto, di storicamente sorpassato? C‟è da aspettarsi questo e altro dato come stanno andando le cose. Penso spesso al tipo di vita della mia coinquilina, ogni volta che la incrocio in casa, una ragazza adorabile dal cuore d‟oro schiava del suo telefono...


“Mi sveglio alle otto di mattina e prima ancora di aprire gli occhi ho in mano il telefono per fermare la sveglia e poi... email, facebook, whatsapp, twitter.. ho un occhio chiuso e uno aperto ma già ho controllato tutto o quasi, sono passati dieci minuti e sono ancora a letto. Vado in bagno, con il telefono, faccio la doccia in fretta perché qualcuno potrebbe contattarmi alle otto di mattina di mercoledì per comunicarmi qualcosa d„importante. Quando finisco afferro il telefono con l‟asciugamano che ancora sono tutta bagnata, lo appoggio sullo specchio, mi lavo i denti e mi trucco senza perderlo di vista un secondo. Faccio colazione davanti al mio Ipad, scorrendo negozi on line di borse di marca taroccate in cina, nel frattempo chiamo il mio ragazzo e gli domando come va e cosa ha fatto di bello da quando ci siamo sentiti l‟ultima volta sei ore prima verso l'una del mattino. Esco di casa parlando al telefono, salgo sul bus, entro a lavoro, inciampo un paio di volte sui miei passi e non so nemmeno di che colore e` il cielo questa mattina. Lavoro davanti ad un computer otto ore al giorno. Ho un‟ora di pausa pranzo e mangio alla mensa mentre parlo con i miei amici, in Francia, su whatsapp. Quando varco la porta di casa sto parlando al telefono con mia sorella, per sapere come va, che novità ci sono da quando ci siamo sentiti l'ultima volta su whatsapp all‟ora di pranzo. Finalmente quando e` il momento di preparare la cena lascio il telefono di sopra... e prendo l‟I-pad, cosi` posso lasciarlo sul microonde mentre cucino e parlare con il mio ragazzo nello stesso tempo. Vado a mangiare in camera mia, ho il piatto il telefono e l`Ipad sul letto e ritorno alle mie borse cinesi mentre mangio e parlo e mi sbellico dalle risate. Si sta facendo tardi, torno in bagno con il telefono e prima di mettermi a dormire vedo qualche video divertente su youtube, rido, sospiro, e` quasi ora di dormire. L'ultima cosa che guardo, prima di chiudere gli occhi, e` la parte superiore dello schermo agognando segretamente una qualsiasi notifica da controllare... aspetto qualche minuto, scorro e riscorro il pollice compiacendomi di quella dolce sensazione tattile, poi mi addormento e quando riapro gli occhi per magia tutto il mondo sembra quasi che abbia sentito la mia mancanza, le notifiche brillano come nuove stelle del cielo... vado in bagno con il telefono...”

... Ricordo questo giorno in un centro commerciale all‟avanguardia… C‟erano ascensori di metallo e vetro lucidissimi, piani a tema architettonicamente fantastici e moderni, negozi di ogni tipo, internet caffè, marchi importanti, elettronici di ultima generazione. Mentre ero nell‟ascensore diretto ai piani più alti, mi trovai a osservare tutta quella gente che si muoveva ed ebbi la sensazione che poche persone in quel paradiso dello shopping erano genuinamente felici. Un senso d‟ansia aleggiava nell‟aria, come se il tempo gli stesse sfuggendo di mano. Nello stesso momento, stranamente, ricordai di un gruppo di persone che avevo incontrato in Laos mentre vagavo per delle colline in motocicletta. Erano sedute sul bordo della strada, vestiti malamente, in pausa da un lavoro estenuante che era quello di spaccare gli enormi massi franati sulla strada per renderli trasportabili. Masticavano del riso in bianco afferrato da una ciotola comune sistemata nel mezzo, una bottiglia di liquore passava di mano in mano. Ridevano e scherzavano, fumando mozziconi di sigaretta mantenuti con


due stecchini di legno per aspirarne le ultime boccate. Sotto i larghi cappelli potevo intravedere le loro bocche sorridenti e la loro pelle bruciata dal sole. Mi salutarono calorosamente indicandomi il riso e offrendomi la bottiglia. Quella gente, strano che possa sembrare, in quel momento era felice. Nel nostro mondo costruito su misura, c‟è poco tempo per l‟essere semplicemente. Ogni passo è controllato, studiato, programmato. Dobbiamo lavorare sempre più duramente per permetterci di acquistare le cose che ci impediranno di essere esclusi dal sistema, in un processo senza fine. Le persone in quel centro commerciale avevano tutto, ma quello che desideravano era sempre di più, perché avere tutto non gli rendeva certo la vita meno difficile, dovevano correre solo per rimanere a galla. _ mOraX_


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