Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XL - n. 3 - III trimestre
Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
3/2007
ROSARIUM
e t t o n
Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio
Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 40°- n. 3 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s. Milano - via P. della Francesca 38
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SOMMARIO Mariologia (IX): Assunzione di Maria: significato del dogma fra Roberto Coggi op
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In copertina: Ombra del monte Tabor sulla pianura sottostante in una foto di Paolo Gavina
Catechismo per tutti. I sacri segni: la mano fra Roberto Coggi op
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Il servo di Dio P. Tomás Tyn: Una vita domenicana consacrata a Maria
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Foto di pag. 3 e seguenti: GIOVANNI BELLINI, Madonna del Prato, Londra, National Gallery. Foto di pag. 10 e seguenti: BERNARDINO LUINI, Noli me tangere, chiesa claustrale, S. Maurizio al Monastero Maggiore, Milano
Convegno del Rosario a Pomposa
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Brasile: Missioni e adozioni a distanza intervista di Mauro Faverzani
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Nuovi iscritti
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Pagina della riconoscenza
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Mariologia Pa r t e I X
P. R o b e r t o C o g g i
Assunzione di Maria: significato del dogma
I
l dogma dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo, definito dal Papa Pio XII il 1° novembre 1950, al termine di un anno santo che concludeva un periodo, durato circa un secolo, di straordinario fervore devozionale verso la Vergine Maria, anche a motivo delle apparizioni di Lourdes e di Fatima, suona così: «L’Immacolata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo» (DS 3903).
La verità definita riguarda soltanto lo stato glorioso della Vergine, e non dice nulla circa il modo in cui Maria vi giunse, se passando attraverso la morte e la risurrezione, oppure no. La gloria celeste di cui si parla è lo stato di beatitudine nel quale si trova attualmente l’umanità santissima di Gesù Cristo, e al quale giungeranno tutti gli eletti alla fine del mondo. Coloro che muoiono dopo il battesimo e prima dell’uso di ragione e i giusti perfettamente purificati da ogni reliquia di peccato partecipano di questa beatitudine quanto all’anima già prima del giudizio finale (DS 1000), ma non quanto al corpo. Il privilegio dell’Assunzione concesso a Maria consiste quindi nel dono dell’anticipata glorificazione integrale del suo essere, anima e corpo, a somiglianza del suo Figlio. L’espressione «Assunta alla gloria celeste» non designa di per sé una traslazione locale del corpo della Vergine dalla terra al cielo, ma il passaggio dalla condizione dell’esistenza terrena alla condizione dell’esistenza propria della beatitudine celeste. I teologi però ammettono comunemente che il «cielo» non significhi soltanto uno stato, ma anche un «luogo»: il luogo dove si trova appunto Cristo risorto e glorioso, in anima e corpo, e dove si trova Maria accanto a Lui. Precisare ulteriormente dove si trovi, e in quale ordine di rapporti con il nostro universo visibile è assolutamente impossibile. Quanto alle condizioni di esistenza della Vergine Assunta e del suo corpo glorioso, si possono applicare tutti i concetti che la teologia, fondandosi principalmente su S. Paolo (1 Cor 15, 35-52), ha elaborato per illustrare le condizioni di esistenza sia di Cristo risorto che dei beati dopo la risurrezione finale. I fondamenti storici e dogmatici nella storia della Chiesa La Costituzione Munificentissimus Deus che accompagna la definizione dogmatica sviluppa la prova del dogma in tre tempi: innanzitutto porta come argomento fondamentale e per se stesso pienamente sufficiente il consenso unanime dell’Episcopato (più unanime di quello che si era verificato circa un secolo prima riguardo alla definizione del dogma dell’Immacolata); offre poi una breve delineazione storica del modo in cui la fede nell’Assunzione di Maria si è affermata, sviluppata, giustificata, imposta nella Chiesa fino a diventare una verità universalmente creduta; infine indica quali sono i fondamenti rivelati di questa fede della Chiesa: l’intima connessione di Maria con Cristo come ci è insegnata dalla Scrittura, e in particolare dal Protovangelo (Gen 3, 15), illustrato dalla dottrina tradizionale della Nuova Eva. a) Il primo argomento, quello dedotto dal consenso unanime dell’Episcopato, si basa su una dottrina fondamentale della Chiesa Cattolica: il Magistero ordinario e universale della Chiesa, essendo infallibile nell’insegnare la verità rivelata non in
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virtù di ricerche o conoscenze naturali, ma per l’assistenza dello Spirito Santo, garantisce l’origine rivelata di ciò che insegna in modo unanime indipendentemente dalle prove positive o speculative che può apportare del suo insegnamento. E poiché i Vescovi avevano risposto con una unanimità senza paragoni alla domanda circa la definibilità dogmatica dell’Assunzione, la Costituzione conclude: «Pertanto dal consenso universale del Magistero ordinario della Chiesa si trae un argomento certo e sicuro per affermare che l’Assunzione corporea della Beata Vergine al cielo – la quale, quanto alla celeste glorificazione del corpo verginale dell’augusta Madre di Dio, non poteva essere conosciuta da nessuna facoltà umana con le sole sue forze naturali – è verità da Dio rivelata, e perciò tutti i figli della Chiesa devono crederla con fermezza e fedeltà».
Questa argomentazione di carattere dogmatico non può evidentemente valere per chi non accetta l’infallibilità del Magistero ordinario e universale della Chiesa: non può valere quindi per i protestanti, che non ammettono alcun magistero infallibile; gli ortodossi potrebbero invece ammettere una definizione dogmatica solo se venisse emanata da un Concilio Ecumenico. b) Quanto allo sviluppo storico della dottrina dell’Assunzione risultano chiaramente due cose: che non esisteva nella Chiesa primitiva una tradizione esplicita, né scritta né orale, d’origine apostolica, circa l’Assunzione di Maria; che la dottrina si è formata a poco a poco come frutto di una riflessione amorosa della fede cristiana intorno alla dignità della Madre di Dio, alla sua intima unione spirituale e fisica con il Figlio, alla sua posizione del tutto singolare nell’economia divina della Redenzione. Poiché, d’altra parte, la Chiesa non può insegnare come rivelata una dottrina che non sia realmente rivelata, sorge il problema: come e dove è stata rivelata la dottrina dell’Assunzione? E come la Chiesa, in mancanza di asserzioni esplicite della Scrittura e della Tradizione, ha potuto arrivare ad avere la certezza dell’origine rivelata di una dottrina che ha la sua causa prossima nella riflessione umana? La storia mette in luce chiaramente un fatto: la dottrina dell’Assunzione non si presenta come una dottrina isolata nel V secolo: essa fa parte di tutto un movimento dottrinale che precisa, a poco a poco, la posizione e i privilegi della Madre di Dio nell’economia della Redenzione, la sua santità perfetta, la sua posizione unica accanto al Figlio. Alla base stanno la dottrina della Nuova-Eva, che risale sicuramente al II secolo (Giustino, Ireneo, Tertulliano) e che per la sua diffusione e i suoi caratteri appare d’origine apostolica; poi la verginità e la maternità divina. Maria è certamente anch’essa redenta da Cristo, ma è anche «accanto a Cristo» in un modo del tutto singolare; e per Lei le leggi ordinarie della Provvidenza, nel campo fisico (come nella generazione) e nell’ordine morale (riguardo al peccato) non valgono. Unendo le idee fondamentali sopra esposte, la riflessione cristiana poteva ricavare due ulteriori conseguenze, che ne appaiono come uno sviluppo logico: per Maria, che è stata «accanto a Cristo» in modo così singolare, non valgono neppure le leggi ordinarie della trasmissione del peccato originale e della ritardata beatificazione integrale, in anima e corpo. Come immagine perfetta del Figlio anch’Essa ha dovuto essere «immacolata», e deve aver goduto di una piena glorificazione anticipata.
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La fede dei cristiani ha compiuto questo passaggio: dapprima in forma spontanea e intuitiva; poi, sotto la guida del Magistero e con il sostegno della riflessione teologica, in un modo sempre più chiaro e sicuro. Per giudicare questo sviluppo in modo esatto occorre badare bene che esso è lo sviluppo di una fede soprannaturale, non lo sviluppo di una conoscenza logica: la fede, come conoscenza intuitiva superiore, è normalmente più ricca di contenuto di quanto appaia alla coscienza esplicita del credente; e questo contenuto implicito crea una mentalità, uno spirito di fede, capace di distinguere con giudizio sicuro – analogo ai giudizi estetici – ciò che è in armonia, in connessione logica, con le verità esplicitamente credute, da ciò che non lo è. Infine occorre ricordare che causa reale ultima dello sviluppo dogmatico è l’azione dello Spirito Santo, che illumina l’intelligenza della Chiesa, nei fedeli e nei Pastori, a comprendere il contenuto totale della Rivelazione: lo sviluppo di un dogma appartiene alla «sovraconoscenza» che Dio dona alla Chiesa come e quando vuole (cf. Ef 1, 17-18). Approfondimento teologico Di fronte al dato rivelato è compito della teologia stabilire degli argomenti di convenienza che permettano di collegare il dato stesso con le altre verità della fede e di coglierne il significato profondo.
a) Assunta perché Immacolata La Munificentissimus Deus afferma che vi è un nesso strettissimo fra la verità dell’Assunzione e quella dell’Immacolata Concezione. Infatti le parole rivolte da Dio ad Adamo dopo il peccato (Gen 3, 19): «Tu sei polvere e in polvere ritornerai» indicano il castigo del peccato originale. Ora, la Vergine Maria fu esente dal peccato originale, quindi anche dal suo castigo. Questo argomento, ossia quello dell’inscindibile nesso tra l’Immacolata e l’Assunta, cominciò ad affiorare e a essere intraveduto fin dal VI secolo, e forse anche prima. Dall’effetto (l’Assunzione) si risalì alla causa (l’Immacolata) e dalla causa (l’Immacolata) si discese all’effetto (l’Assunzione). Si hanno infatti varie conferme di ciò nel corso della storia della Mariologia: relativamente poche nel periodo patristico, queste affermazioni crescono in modo impressionante nel medioevo e nel periodo moderno, fino a raggiungere quasi la forza di un plebiscito dopo la definizione del dogma dell’Immacolata. Nessuna meraviglia dunque se questo argomento viene autorevolmente accolto e ribadito nella Costituzione di Pio XII.
b) Assunta perché Madre di Dio La maternità divina è un forte argomento di convenienza per la glorificazione immediata di Maria. Infatti il corpo di Maria è stato come il tempio del corpo di Cristo, e in base a ciò era del tutto conveniente che sfuggisse alla corruzione del sepolcro. Si dice giustamente: Caro Christi caro Mariae, la carne di Cristo è la carne di Maria, e quindi conveniva in sommo grado che la sorte toccata alla carne
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di Cristo toccasse anche alla carne di Maria, ossia che il corpo di Maria fosse glorificato come lo fu quello di Cristo. Ma ancora più stretto del vincolo fisico è il vincolo morale che lega una madre al proprio figlio e un figlio alla propria madre. Il figlio deve alla madre, secondo il precetto divino, onore e amore. Ora, l’onore e l’amore che il Figlio Uomo-Dio doveva alla propria Madre esigeva di stretta convenienza l’Assunzione corporea della Madre. Lo esigeva innanzitutto l’onore. Questa ragione è svolta ampiamente dallo PseudoAgostino. Il suo ragionamento procede in questo modo. L’onore dovuto alla madre richiede anche di far sì che essa non sia disonorata. Ora, la corruzione del sepolcro è un obbrobrio e un disonore della natura umana, come appare dal fatto che Gesù stesso, in tutto simile a noi, volle esserne esente: quindi se, potendolo, non ne avesse preservato anche sua Madre, non avrebbe osservato la legge naturale e divina. D’altra parte Gesù poteva preservare sua Madre. Quindi l’ha preservata con l’anticipata glorificazione. Lo esige poi anche l’amore. L’esemplarissimo amore filiale di Gesù verso la sua Madre Immacolata esigeva di stretta convenienza la preservazione del suo corpo dalla corruzione del sepolcro e l’anticipata glorificazione. Una tale preservazione e glorificazione era infatti un desiderio istintivo del suo cuore, desiderio che non poteva rimanere inefficace in Cristo, il quale può fare tutto ciò che desidera.
c) Assunta perché sempre Vergine Questo argomento è antichissimo, e prende rapidamente una forma chiara e incisiva. La perfetta e perpetua verginità di Maria, professata sin dai primi secoli, veniva a collocare la Beata Vergine in una sfera superiore, cioè in uno stato di incorruzione. Ella rimase miracolosamente incorrotta quando avrebbe dovuto corrompersi. Ora, come non vedere nella preservazione dalla corruzione del concepimento e del parto una specie di presagio della preservazione dalla corruzione della morte? Effettivamente il senso dei fedeli non tardò a vedere, in modo sempre più chiaro, il nesso che esiste fra la Verginità e l’Assunzione, fra l’una e l’altra incorruzione. Si può dire che l’anima cristiana ha preso coscienza dell’Assunzione corporea per mezzo del legame verginità-incorruttibilità: colei a cui non nocque il parto, non nuocerà il sepolcro.
d) Assunta perché associata a Cristo Noi vediamo che la Madre è sempre strettamente associata al Figlio. Ella partecipa alle sue gioie e ai suoi dolori, per cui possiamo dire che se Gesù è «l’Uomo dei dolori», Maria è «la Donna dei dolori», e se il Figlio è Redentore, Maria è in un certo senso, come vedremo, Corredentrice. Come infatti Eva ha cooperato con Adamo nella rovina, così la Nuova Eva ha cooperato con il Nuovo Adamo nell’opera della riparazione. A questa ragione si appoggia il Papa Pio XII, quando pone a supremo fondamento dell’Assunzione il principio di associazione della Madre al Figlio, e la sua missione di Nuova Eva.
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Adamo ed Eva sono stati princìpi universali di morte soprannaturale, e conseguentemente anche di morte naturale (pena del peccato); Cristo e Maria, il nuovo Adamo e la nuova Eva, sono stati invece princìpi di vita soprannaturale, e conseguentemente anche di vita naturale, ossia di vittoria sulla morte. Mentre perciò la prima Eva, associata al primo Adamo, è stata principio e causa della nostra morte, così la seconda Eva, associata al secondo Adamo, e in dipendenza da lui, è stata principio e causa della nostra risurrezione alla vita. Ora, chi è principio e causa della risurrezione non può essere soggetto al dominio della morte. Vi sarebbe una ripugnanza intrinseca. Secondo il Concilio Vaticano II il Figlio ha espressamente voluto che sua Madre fosse conformata a lui in tutto, e particolarmente nella vittoria sul peccato e sulla morte. Come Maria fu associata alla vittoria del Figlio sul peccato mediante la sua Immacolata Concezione, così fu associata anche alla sua vittoria sulla morte mediante la sua Assunzione. Ecco le parole della Lumen Gentium: «L’Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo, e dal Signore esaltata quale Regina dell’Universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, Signore dei dominanti (cf. Ap 19, 16) e vincitore del peccato e della morte».
Maria Santissima dunque ci appare perfettamente associata a Cristo. A conferma di ciò possiamo rilevare come alle principali feste del Signore corrispondano altrettante feste di Maria. Al concepimento di Gesù il giorno dell’Annunciazione (25 marzo) corrisponde l’Immacolata Concezione (8 dicembre). Alla Natività di Gesù (25 dicembre) corrisponde la Natività di Maria (8 settembre). Alla passione di Gesù, ricordata oltre che il Venerdì Santo anche nella festa della Santa Croce (14 settembre), fa immediatamente seguito la memoria dell’Addolorata (15 settembre). È quindi logico che alla festa della glorificazione di Gesù, cioè alla festa dell’Ascensione, corrisponda la festa dell’Assunzione (15 agosto), e alla festa di Cristo Re (ultima domenica dell’anno liturgico) corrisponda la festa della Regalità di Maria, celebrata otto giorni dopo la sua Assunzione (22 agosto).
e) Assunta per essere pienamente nostra Madre e Regina Leggiamo nella Lumen Gentium: «Questa maternità di Maria nell’economia della grazia perdura senza soste dal momento del consenso fedelmente prestato nell’Annunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti assunta in cielo non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua molteplice intercessione continua a ottenerci le grazie della salvezza eterna».
Nel testo della Lumen Gentium precedentemente citato abbiamo visto come Maria sia stata «esaltata quale Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, Signore dei dominanti». La regalità di Maria non va separata dalla sua intercessione materna. Maria è Regina perché è associata alla regalità di Cristo, e coopera con il Figlio nel procurare la salvezza delle anime. Possiamo dire che la sua è una regalità materna.
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Ora, perché Maria Santissima possa pienamente esercitare la regalità, che si estende a tutto l’universo, e la maternità verso di noi, alle quali è stata chiamata in quanto Madre del Redentore a Lui in tutto associata, è necessario che sia nel possesso pieno della sua realtà umana. Ora, questa si realizza solo quando l’anima è unita al corpo. Infatti l’anima separata dal corpo non può a rigore di termini neppure essere chiamata “persona”, essendo solo una parte della natura umana. Possiamo quindi concludere questa argomentazione dicendo che l’Assunzione corporea rende Maria Santissima più vicina a noi, in quanto grazie ad essa ella ci può aiutare nel modo migliore ed esercitare in pienezza la sua maternità universale alla quale è stata chiamata secondo il piano divino. La glorificazione di Maria non è quindi solo per lei, ma anche per noi. L’Assunzione, lungi dallo scavare un abisso tra Maria e gli altri uomini, la rende ad essi più vicina.
f) Assunta per essere Icona escatologica della Chiesa Il Concilio Vaticano II presenta, come si sa, Maria Santissima nella luce della Chiesa, di cui è il modello perfettissimo. Sono note queste parole: «La madre di Gesù, come in cielo glorificata ormai nel corpo e nell’anima è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cf. 2 Pt 3, 10)».7
Che Maria sia modello e figura perfettissima della Chiesa è un pensiero che risale ai Santi Padri, soprattutto a S. Ambrogio. Ma perché possa esserlo pienamente era necessario che venisse glorificata in anima e corpo, così da apparire come «la Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Ap 12, 1), come la presenta la liturgia nella festa dell’Assunzione. «Così la Chiesa in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione, e in lei contempla con gioia, come in un’immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere». La questione della morte di Maria Pio XII, nella definizione dogmatica dell’Assunzione, ha deliberatamente evitato di pronunciarsi sulla questione se Maria sia prima morta, per poi risorgere, oppure sia stata assunta immediatamente senza passare attraverso la morte. Il fatto che il Papa non si sia pronunciato è degno di nota, poiché molti pensavano che l’Assunzione andasse necessariamente intesa come un’anticipata risurrezione, in modo da implicare necessariamente la morte. Ed erano state fatte pressioni sul Sommo Pontefice perché nella definizione dogmatica facesse riferimento anche alla morte, cosa che egli non ha fatto. La questione della morte o non morte di Maria rimane dunque lasciata alla libera ricerca dei teologi, anche se bisogna riconoscere che l’opinione dei «mortalisti», per così dire, è di gran lunga più diffusa di quella degli «immortalisti». Anche il Papa Giovanni Paolo II, nella sua catechesi del 25 giugno 1997, pur senza l’intenzione di chiudere il dibattito, ha parlato della morte, o dormizione, di Maria, come di un fatto comunemente ammesso.
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catechismo per tutti i sacri segni: la mano
ull’ultimo numero di ROSARIUM è apparso un utile articolo riguardante il “segno della Croce”, per farne conoscere tutta la profondità e l’importanza. Su questo argomento e su altri consimili esiste da tempo (1927) un famoso libretto di Romano Guardini, Edizioni Morcelliana, intitolato “Lo spirito della liturgia. I santi segni”. Romano Guardini, nato in Italia ma sempre vissuto in Germania, fu una personalità di grande spicco ed un insigne professore nelle facoltà universitarie tedesche (prima a Berlino poi a Monaco) oltre che un grande animatore del mondo giovanile. Morì nel 1968, dopo aver dato un notevole contributo alle discussioni conciliari, soprattutto nel campo della Liturgia. Joseph Ratzinger lo conobbe bene e fu anche suo allievo. Egli soleva dire: il guaio dei teologi tedeschi del postconcilio è stato quello di non aver seguito le orme di Romano Guardini. “Lo spirito della liturgia. I santi segni” è un piccolo ma prezioso libretto che prende in esame i principali segni e gesti liturgici. È un’opera che ha sempre avuto una grande diffusione ed ha contribuito molto ad insegnare il vero atteggiamento per una più profonda vita liturgica. Esso comincia esaminando il segno della Croce, ma noi sorvoliamo su questo argomento perché, come si è detto, se ne è già parlato nel numero precedente. Vediamo adesso di esaminare altri di questi segni e gesti e oggetti liturgici. Il testo base sarà quello di Romano Guardini, ma qua e là vi sarà anche qualche inserzione per chiarire il dettato guardiniano, che sia per natura sua, sia per la traduzione dal tedesco, non è sempre facilissimo capire.
La mano Dice il nostro autore: “L’intero corpo è strumento ed espressione dell’anima (...). Essa parla da ogni lineamento, da ogni forma e moto del corpo. Però dell’anima sono strumento e specchio specialmente il viso e la mano”. “Ma osserva una persona – o anche te stesso – e nota come ogni moto dell’animo – gioia, stupore, attesa – si manifestino contemporaneamente anche nella mano. Un suo repentino alzarsi, oppure una sua lieve mossa non dice spesso più che la stessa parola? La parola espressa
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catechismo per tutti. I sacri segni: la mano
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catechismo per tutti. I sacri segni: la mano
non appare talvolta grossolana accanto al linguaggio delicato e significativo della mano? Essa è, dopo il viso, la parte più spirituale del corpo, se così si può dire”. Segue una fine descrizione delle sue caratteristiche: “È salda e vigorosa quale strumento di lavoro, quale arma di offesa e difesa, ma pur tuttavia è anche una cosa finemente costruita, ben articolata, mobile, percorsa da nervi delicatamente sensibili. Quindi veramente uno strumento per cui l’uomo può rivelare la propria anima,ed insieme accogliere l’anima altrui. Anche questo egli fa con la mano. Non è accogliere l’anima altrui lo stringere le mani che uno ti tende? Con tutto quanto esse esprimono di fiducia, di gioia, di approvazione, di dolore?”. Considerata in questo modo, la mano può essere vista come uno strumento di linguaggio. Per cui Guardini prosegue: “Così non può non avvenire che la mano abbia il suo linguaggio anche là dove l’anima parla e riceve in modo tutto particolare, vale a dire dinanzi a Dio. Dove l’anima vuol dare se stessa e ricevere Dio: vale a dire nella preghiera”. Ecco alcuni esempi di questo muto parlare con Dio: “Quando uno si raccoglie tutto in se stesso ed è nella sua anima solo con Dio, allora una mano si stringe saldamente con l’altra, un dito si incrocia con l’altro dito. Come se il flusso interiore che vorrebbe dilagare dovesse venir condotto da una mano nell’altra e riportato nell’interno, affinché tutto rimanga dentro, come per custodire il Dio nascosto. E così parla: Dio è mio, e io sono suo, e noi siamo soli, l’uno con l’altro nell’intimità. Ma se uno sta dinanzi a Dio in atteggiamento interiormente umile e riverente, allora la mano aperta aderisce pianamente all’altra, palmo e palmo. Il che parla di severa disciplina, di contenuta riverenza”. Dopo aver considerato altri atteggiamenti l’Autore prosegue: “Infine può capitare che uno si raccolga in se stesso con tutto quanto egli è e possiede, per offrirsi in pura dedizione a Dio, conscio di accedere a un sacrificio. E allora stringe mani e braccia sul petto, nel segno della Croce. Bello e grande è il linguaggio della mano. Di essa la Chiesa dice che ci è data affinché vi portiamo l’anima”. Alla fine c’è un velato avvertimento: “Prendi sul serio la mano, questo santo linguaggio... la mano può anche parlare di pigrizia, di cuore, di dissipazione, e di altre cose poco belle (...). Fa sì che essa esprima sempre davanti a Dio, in schietta veracità, ciò che l’anima intende”. P. Roberto Coggi o.p.
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Il Servo di Dio P. Tomás Tyn
Una vita domenicana consacrata a Maria
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adre Tomás Josef Maria Tyn è nato a Brno, repubblica Ceca, il 3 maggio, dell’anno santo 1950. Fu il primo di tre fratelli e i genitori Zdenek Tyn e Ludmila Konupcikova Tynova erano entrambi medici, qualificati professionisti, cattolici praticanti. Il nonno materno, Dr Joseph Konupcik, era dentista a Brno. Una profonda fede cattolica animava la sua vita spirituale e le sue convinzioni politiche. Esercitò un forte influsso su Tomás. Anche la nonna materna ebbe un ruolo importante nella crescita del nipote. Tomás l’amava molto e la chiamava dolcemente “Baberle”. I genitori erano molto impegnati come giovani medici ed avevano tempo per i figli solo il fine settimana, quando facevano con loro lunghe passeggiate nei bei boschi della regione. Discutevano anche di politica e i bambini impararono a rifiutare il comunismo. Per Tomás, che aveva una personalità avversa ai compromessi, la necessità di comportarsi in un modo ambiguo era un peso insopportabile. Tomás sentì presto la chiamata del Signore. A 15 anni disse: “diventerò sacerdote e religioso”. Superate brillantemente le scuole elementari e medie a Brno, vinse una borsa di studio ed assieme ad altri studenti cecoslovacchi iniziò gli studi superiori a Digione, in Francia. Il primo anno dovette iscriversi al corso con orientamento matematico, perché in patria non aveva potuto imparare il latino, sostituito dalla lingua russa. La passione per i filosofi antichi e la cultura greca e latina lo indussero a recuperare molto rapidamente le nozioni linguistiche mancanti. Studiò con passione sia il greco che il latino, approfittando in particolare delle vacanze estive, così che l’anno successivo potè frequentare il corso con indirizzo naturalistico ed il terzo anno quello con indirizzo filosofico. Si diplomò con il massimo dei voti nel 1969.
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Nonostante i successi scolastici, il soggiorno in Francia, nell’occidente libero, presenta nuove difficoltà per il giovane studente. Sin dal primo anno di collegio il capo degli studenti cecoslovacchi sconsigliava ai suoi connazionali la frequenza delle funzioni religiose, così Tomás fa molti chilometri a piedi per recarsi in un paese vicino ove può assistere alla Santa Messa. Anche la vita politica del paese nel quale vive è causa di sconcerto ed afflizione: le contestazioni, gli scioperi e i disordini del 1968 sono sotto i suoi occhi e manifestano, sotto un altro aspetto, la stessa ideologia politica per la quale aveva già sofferto in patria. Tomás Tyn ha già fatto la sua scelta: il padre domenicano Féret lo indirizza verso quella congregazione che già conosceva da bambino. Nel 1969 chiede ed ottiene di essere accolto nella comunità domenicana di Warburg, in Westfalia. Anche la sua famiglia si rifugia in Germania, a Neckargemund, ove tuttora risiede. Il 29 settembre 1970 Tomás Tyn fa la professione semplice ed inizia il corso istituzionale filosofico-teologico. Nel 1973 va a Bologna per completare gli studi e conseguire la licenza in teologia. Il 1975 è un anno importante per Tomás Tyn: il 29 giugno, festa di S. Pietro e Paolo, il Santo Padre Paolo VI lo consacra sacerdote. Un confratello testimonia di aver ricevuto una confidenza: al momento della consacrazione sacerdotale padre Tomás ha offerto la sua vita per la libertà religiosa e la rinascita spirituale della Cecoslovacchia. Tale offerta egli pone nelle sante mani della Vergine Maria. Dopo l’ordinazione sacerdotale padre Tomás Tyn si perfeziona negli studi presso l’Angelicum di Roma, ove consegue il dottorato in teologia con una tesi su “L’azione divina e il processo della giustificazione secondo san Tommaso d’Aquino”, tesi interamente scritta in latino. Nel 1978 inizia presso la comunità domenicana di Bologna il periodo più fertile e felice della sua vita. Secondo l’ideale domenicano “contemplata aliis tradere” si applica con assoluta dedizione e generosità allo studio, all’insegnamento e all’apostolato. È difficile fare un’analisi completa della sua attività. È doveroso almeno un accenno alle sue conoscenze linguistiche: oltre a latino, greco antico e aramaico, padre Tomás aveva una perfetta padronanza di almeno altre sei lingue moderne. Diventa professore di teologia morale presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese (STAB). Nel 1980 è vicereggente dello Studio domenicano di Bologna, nel 1984 membro della Commissione per la vita intellettuale della provincia, nel 1989 vicemoderatore della sezione san Domenico dello STAB. Tiene corsi presso l’Istituto Tincani, adiacente alla basilica bolognese. Gli viene affidata anche la cura pastorale delle suore domenicane di via Palestro a Bologna, che avevano anche la responsabilità di una media inferiore e di un liceo. Le suore che hanno avuto la grazia
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di usufruire della sua direzione spirituale ricordano bene i suoi preziosi insegnamenti. Padre Tomás Tyn si dedicava con passione anche alla catechesi a beneficio degli alunni della scuola e dei loro genitori. Il suo amore per i giovani lo portava a spendere molto del suo tempo, privandosi del riposo, con diversi gruppi giovanili: Comunione e Liberazione, gruppi Scout, incontri di Alleanza cattolica, gruppi montfortani, ed altri. Accettava amabilmente inviti in abitazioni private, ove presiedeva ad incontri di preghiera, catechesi, istruzioni spirituali che si protraevano fino a tarda sera. Padre Tomás donava ai suoi interlocutori, qualunque fosse l’ideologia professata o il ceto sociale di appartenenza, oltre che la sua impareggiabile cultura, anche la sua benevola affabilità e perfetta carità: ricordo incancellabile per tutti coloro che hanno avuto contatti anche occasionali con lui. La conversazione riguardava sia gli argomenti più semplici che profonde considerazioni intellettuali e filosofiche, testimonianza, questa, che la sua grande scienza era pari alla sua umiltà. Rimane particolarmente viva la memoria delle sue omelie. Quando predicava dall’altare, che spesso era l’altare della cappella del santo Padre Domenico, l’“instinctus Spiritus Sancti” lo trascinava in appassionate riflessioni teologiche ed apologetiche nelle quali l’irruenza del linguaggio, l’amore per la verità e la stringente consequenzialità delle argomentazioni non erano subito decifrabili dai fedeli presenti alla celebrazione. Alcuni fedeli hanno sentito l’esigenza di trascrivere le sue omelie, per poterle meditare. Grazie a loro ora possiamo continuare a giovarci della sua opera evangelizzatrice. La devozione per la Madre di Dio in questo vero figlio di san Domenico era esemplare. Ogni ritaglio di tempo era impiegato nella preghiera del santo rosario: raramente partecipava a trattenimenti futili. Scherzosamente chiamava la televisione “cubus diabolicus”. Nel breve periodo di tempo che gli è stato concesso su questa terra le testimonianze della sua attività sono un patrimonio vastissimo. Ad una signora che gli chiedeva: “Padre, cosa possiamo fare in questi tempi così difficili?”, egli con gioiosa affabilità rispondeva: “cara signora, dobbiamo essere contenti, rallegrarci di avere l’opportunità di combattere tanto per la nostra fede!. Ma in questo strenuo combattimento non siamo soli, non dobbiamo fidarci delle nostre povere
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forze, il Cuore Immacolato di Maria, questa Virgo Fidelis, questa fortezza inespugnabile è il nostro sicuro rifugio e la nostra forza!”. Padre Tomás non solo viveva questa consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, ma anche continuamente la raccomandava in ogni occasione: nelle omelie, nei gruppi di preghiera e personalmente ai suoi figli spirituali: “vi scongiuro, consacratevi al Cuore Immacolato di Maria!”. Questo è il suo più prezioso testamento spirituale. Infine dobbiamo ricordare la sua opera somma, che a buon diritto si può considerare una pietra miliare nella storia della filosofia del ventesimo secolo, il trattato “La metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis”. Questa la dedica dell’opera: Deiparae Virgini, Matri Verbi, per quod omnia facta sunt in signum filialis obsequii dicatum. Non possiamo fare a meno di ricordare l’apostolato svolto da padre Tomás quale confessore e direttore spirituale. Nonostante i molti impegni sopra accennati, si offriva generosamente quale direttore spirituale e le confessioni non erano certo brevi e superficiali. Si prodigava volentieri anche nei confronti dei suoi più giovani penitenti, i chierichetti di 11-13 anni, che guidava amorevolmente nella crescita spirituale. Lo stesso impegno di apostolato padre Tomás Tyn lo svolgeva presso la parrocchia di san Giacomo fuori le Mura a Bologna, ove si recava percorrendo, per lo più a piedi, i diversi chilometri di distanza dalla chiesa di san Domenico. Anche la cura pastorale della comunità monastica e del Santuario di Fontanellato erano spesso affidati a padre Tomás: la domenica mattina doveva alzarsi prima dell’alba per prendere il treno per Parma e il sacrificio non era piccolo. Spesso nelle omelie e negli insegnamenti padre Tomás parla dell’obbedienza: obbedienza a Dio anzitutto, ma anche obbedienza alla Chiesa, al Santo Padre, al Vescovo e ai superiori.
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L’obbedienza è non solo predicata, ma anzitutto praticata. Ogni volta che doveva officiare la Santa Messa in latino secondo il rito di S. Pio V (abitualmente tutti i sabati mattina) chiedeva il permesso al vescovo di Bologna. Padre Tomás alla fine dell’estate del 1989 cominciò ad accusare i primi sintomi di una malattia che all’inizio sembrava senza importanza. Dolori articolari, febbricola persistente, facile affaticabilità. I dolori si accentuarono in settembre-ottobre. Nel frattempo nella sua patria, in Cecoslovacchia, nasce il Forum Civicum, un’assemblea permanente presieduta dal drammaturgo Vaclav Havel: sarà l’inizio della “primavera di Praga”. Il 28 ottobre padre Tomás pronunzia la sua ultima omelia nella festività dei santi Giuda e Simone: è un inno all’Amore! All’inizio di novembre il male si aggrava. All’ospedale S. Orsola viene dato il triste responso: pochi mesi di vita, il male è ormai inguaribile, le sofferenze, sopportate con la forza abituale del suo carattere, unita alla cristiana rassegnazione, sono ormai continue. Una lunga processione di visitatori si affolla sempre più numerosa al suo capezzale. Papà Zdenek viene a Bologna e desidera che il figlio sia curato in famiglia per potergli dare quell’assistenza e quell’affetto che per così pochi anni la famiglia ha potuto dimostrargli. Inizia l’ultima fase del suo calvario in famiglia. Dirà il padre: “purtroppo noi non abbiamo avuto la possibilità di discutere il tema della morte con nostro figlio: noi evitavamo questo tema per avere riguardo della sua malattia e anche lui sembrava avere riguardo per noi che lo avevamo in cura”. Dice la madre Ludmila: “il suo doloroso morire e la sua morte sono state sopportate da lui con coraggio. Ci consolò e ci diede la speranza di rivederci”. La mattina del 1° gennaio 1990 la sua anima non era più di questa terra. La sera precedente il primate di Praga presiedeva in cattedrale la celebrazione Eucaristica con un Te Deum solenne di ringraziamento per una nazione ritornata alla libertà. Il primo gennaio, nel pomeriggio, una santa Messa poteva essere trasmessa per la prima volta in televisione. In conclusione un brano di una sua omelia su san Pietro da Verona: “….. la fede che ci sostiene dall’infanzia, sino alla fine della nostra vita, oltre la stessa vita, oltre la morte, nella vita eterna la fede diventa visione beatifica, la Parola di Dio che tutto sostiene, l’Essenza di Dio che diventa beata visione”. Le foto dell’articolo sono tratte dall’album fotografico della vita di Padre Tomás Tyn.
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22 aprile 2007 Convegno del Rosario a Pomposa
Dalla
devozione alla
spiritualità mariana
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iovanni Paolo II ha scritto, in un testo particolarmente sintetico ma denso, che la consacrazione alla Santa Vergine è “un rapporto diretto e permanente con Maria, nella preghiera, nella disponibilità al suo materno influsso, nell’assimilazione dei suoi atteggiamenti evangelici… ordinato a risolversi in un cammino di fedeltà a Cristo, di docilità allo Spirito Santo, di comunione con il Padre e di vita ecclesiale” (Lettera al Vescovo di Trieste, 15 agosto 1984). Queste parole possono fare da guida alla spiegazione del titolo. Nel comune linguaggio noi parliamo di devozione per indicare un atteggiamento spirituale – anche sincero e sentito – ma forse saltuario, segnato da alcuni gesti religiosi, compiuti di tanto in tanto, spesso soprattutto esteriori: una preghiera, un pellegrinaggio, un’offerta, un’immagine della Santa Vergine, o di un santo. Una spiritualità è invece qualcosa di più sistematico, abituale e continuo, un atteggiamento interiore capace di permeare tutta la nostra vita spirituale. Per questo il Papa parla di un “rapporto diretto e
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permanente con Maria”. Ogni tipo di spiritualità cristiana deve condurre a Cristo, ma la spiritualità mariana prende Maria come modello e guida, come mezzo per andare a Cristo: a Gesù per Maria! Senza timore che Maria ci allontani da Cristo, o ci leghi solo a se stessa. Maria è talmente “piena di grazia”, cioè ricolma di Spirito Santo, che chiunque viene a contatto con lei entra nel mondo di Dio: vivendo pienamente nello Spirito Santo, trasformato totalmente in Cristo e a lui conformato, giunge alla perfetta comunione con il Padre. Questa è la spiritualità evangelica; è la santità a cui tutti sono chiamati. Come si vede, ha nello stesso tempo una dimensione trinitaria, cristocentrica e carismatica. E prende Maria come modello e guida, lei che è Figlia del Padre, Madre di Cristo, Sposa dello Spirito Santo. Sull’esempio di Maria, ogni cristiano è chiamato a essere vero figlio del Padre, generante Cristo nel proprio cuore e negli altri, collaboratore e fedele alleato dello Spirito Santo, sempre e in ogni cosa. Il testo di Giovanni Paolo II precisa bene che il rapporto con Maria avviene nella preghiera e nella disponibilità al suo materno influsso. Noi preghiamo Maria e ci lasciamo “influenzare” da lei; a lei guardiamo e la imitiamo per assimilare i suoi “atteggiamenti evangelici”. Non basta dunque compiere qualche gesto di devozione di tanto in tanto, ma bisogna convertire la nostra vita, cambiarla di fatto e renderla conforme agli insegnamenti di Gesù Cristo. Si tratta dunque di un processo che richiede tempo, pazienza e perseveranza, data la nostra fragilità e ignoranza. Ma è un cammino sul quale possiamo registrare rapidi progressi, se ci affidiamo a Maria, se a lei ci abbandoniamo, in serenità e pace interiore, “disponibili” al suo influsso materno, cioè pronti a rinunciare ai nostri progetti per aderire a ciò che il Signore vuole da noi. Maria infatti ci dice: “Fate quello che egli vi dirà!” (Gv 2, 5), come lei stessa aveva detto di sé: “Eccomi, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). Lo scopo ultimo della spiritualità mariana è di renderci obbedienti a Cristo, capaci di vivere secondo gli insegnamenti del vangelo. E c’è un’ultima indicazione nel testo di Giovanni Paolo II. È il riferimento alla “vita ecclesiale”. Ogni spiritualità autenticamente cristiana si apre alla dimensione ecclesiale. Sotto molti aspetti. Sia perché si vive nella Chiesa, dove si ascolta la Parola, si fa assemblea, si celebrano i misteri, ci si
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ama reciprocamente; e sia anche perché ci si apre all’annuncio, all’apostolato e alla missione nel mondo. Nel comune cammino verso la costruzione del regno di Cristo e la sua manifestazione finale e perfetta, quando egli sarà tutto in tutti, nello Spirito Santo e a gloria del Padre. La spiritualità mariana apre a questi grandi orizzonti e diventa la via per entrare in pienezza nella storia della salvezza, là dove si compie in modo perfetto la nostra vocazione personale e il destino globale dell’umanità. Si è detto che il rapporto “diretto e permanente con Maria” avviene nella preghiera. Vi è una forma di preghiera che va considerata come speciale distintivo della spiritualità mariana, ed è il Rosario. Recitato bene ogni giorno, il Rosario si trasforma in una scuola di spiritualità. È una preghiera mariana, poiché ci serviamo dell’Ave Maria, ripetuta in sottofondo, per creare il clima di vero ascolto di Dio. È anche una preghiera cristocentrica, poiché ci fa meditare i misteri della vita di Cristo per assimilare i suoi stessi atteggiamenti spirituali. È una preghiera recitata, che si adatta a chi si trova all’inizio del cammino spirituale; ma è anche una preghiera contemplativa, che lascia spazio al bisogno di silenzio dell’anima più avanzata nella santità, che si abbandona a Dio e gusta la sua misteriosa presenza. Il Rosario, pregato ogni giorno, conduce a intrecciare gli eventi della vita di ciascuno con i misteri della vita di Cristo e di Maria, per imparare a leggere la nostra vita nella luce di Dio e cogliere la sua presenza “intrecciata” ai fatti della nostra quotidianità, allo scopo di abbandonarci a lui e di far coincidere i nostri progetti di vita con il suo progetto su di noi. Come ha scritto ancora Giovanni Paolo II nella sua Lettera apostolica sul Rosario, questa forma di preghiera ci porta a ricordare Cristo con Maria, per imparare da lui e per conformarci a lui pienamente, per supplicarlo con Maria, di fronte ai bisogni del mondo intero, e per annunciare Cristo a tutti. È questa una mirabile sintesi della vocazione cristiana e della missione cui siamo chiamati, singolarmente e tutti insieme. Il Rosario dunque forma alla spiritualità mariana, che a sua volta conduce a vivere semplicemente il vangelo, pienamente e perfettamente. P. Battista Cortinovis, smm
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Sacerdote missionario della Compagnia di Maria (Monfortani). Attualmente risiede a Roma, alla Casa generalizia della sua congregazione. Ha i compiti ufficiali di Procuratore generale e di Postulatore, ma si dedica soprattutto allo studio e alla diffusione della spiritualità di san Luigi Maria di Montfort attraverso scritti, conferenze e predicazione, anche a livello internazionale. In passato - per diversi anni - ha svolto attività pastorale nella diocesi di Milano, nei settori dell’animazione giovanile, del mondo del lavoro, della scuola e del giornalismo cattolico. Ha poi ricoperto diversi incarichi direzionali nel suo Istituto religioso, come Provinciale d’Italia e come assistente del Superiore Generale. Ha pubblicato diverse opere di spiritualità mariana e molti articoli a carattere religioso; ha curato la traduzione e la pubblicazione di gran parte degli scritti di san Luigi Maria di Montfort.
Intervista a Padre Cortinovis In un contesto secolarizzato e relativistico quale l’attuale, si può dire che si sia conservata, che sia “sopravvissuta” una devozione mariana? E quale la sua specificità? La presenza di Maria nella fede cristiana fa parte del dogma: “credo in Gesù Cristo, nato da Maria Vergine”. Maria però è anche un forte “simbolo” di tanti aspetti della vita umana: il dare la vita, la presenza del femminile, il soffrire pazientemente, ecc. Quando si parla di Maria, si risvegliano – anche inconsciamente – nel cuore delle persone tanti aspetti della vita umana che nessuno può ignorare, neppure chi vive la secolarizzazione, o si è allontanato dalla pratica religiosa, o crede di poter fare a meno della fede. (Su questa presenza “simbolica” forte di Maria, si veda il volumetto di Lucio Pinkus, Il mito di Maria, Borla, Torino 1986). C’è il rischio che una visione di Chiesa eccessivamente cristocentrica possa “interferire” con una spiritualità “ad Jesum per Mariam”? L’andare a Cristo per mezzo di Maria non deve oscurare per nulla il cristocentrismo. Maria porta a Cristo. Maria è un mezzo; Cristo è il fine. Non ci deve quindi essere concorrenza tra i due aspetti.
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Piuttosto un certo cristocentrismo – malinteso – vorrebbe annullare tutte le mediazioni umane, non solo Maria. Non bisogna dimenticare l’incarnazione come legge di fondo del cristianesimo. Dio si è manifestato a noi dentro ciò che è umano; e noi andiamo a Dio per mezzo delle realtà umane. Cristo Uomo-Dio ci ricorda questo. Di San Luigi Maria Grignon di Montfort ricorrono in questo 2007 i 60 anni dalla canonizzazione, avvenuta ad opera di Papa Pio XII il 20 luglio del 1947. Il Santo è noto anzitutto per la sua spiccata spiritualità mariana, non una semplice devozione, bensì una vera e propria scuola di fede, che – riscoprendo il Battesimo – pone Maria come guida e modello, per giungere alla piena comunione con Dio. Ne “L’amore dell’eterna Sapienza”, al n. 203, Montfort evidenzia come non vi sia “mai stato nessuno, al di fuori di Maria, che abbia trovato grazia davanti a Dio per se stesso e per tutto il genere umano; che abbia avuto il potere di incarnare e far nascere la Sapienza eterna e che, ancora oggi, per mezzo dell’operazione dello Spirito Santo, possa incarnarlo nei cristiani autentici”. Riprendiamo in questo senso il tema della meditazione da Lei tenuta presso l’Abbazia di Pomposa: come passare “dalla devozione alla spiritualità mariana”? È vero, in Montfort troviamo molti elementi della spiritualità cristiana, non solo Maria, ma anche la croce, il battesimo, l’apostolato, ecc. Mettersi alla sua scuola significa iniziare un cammino che progressivamente porta a scoprire, vivere e gustare la realtà dell’intero mistero cristiano. E tuttavia l’aspetto “mariano” della sua dottrina è quello che lo caratterizza; è il suo “segreto”, poiché è alla scuola di Maria che noi impariamo a contemplare l’intero mistero cristiano. Qui Montfort ci dice: prova, e sperimenterai… anzi, questo è il cammino più breve e più facile… È appunto l’invito a vivere la dimensione mariana non solo come un gesto devozionale, ma come vera spiritualità mariana, che avvolge l’intera vita di fede. Riprendiamo l’ultima parte del passo appena citato, laddove parla di “cristiani autentici”. Chi sono i “cristiani autentici”? In realtà questa espressione è una scelta del traduttore. Nell’originale francese, Montfort parla di
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“predestinati” e di “reprobi”, come di due categorie in cui si distinguono i cristiani. I due termini – predestinati e reprobi – possono essere intesi male. Egli non vuole dire che alcuni sono già salvati per un privilegio (i “predestinati”) e altri sono già condannati (i “reprobi”). Ma che bisogna prendere sul serio la propria fede e mettersi in cammino con impegno. Si può partire anche dal peccato, dalla prima conversione… L’importante è decidersi a progredire. Il cristiano “autentico” non è automaticamente il santo, ma colui che è seriamente in cammino verso la perfezione. Nella “Preghiera Infuocata”, San Luigi Maria Grignon di Montfort in numerosi punti ripropone la figura e l’esempio della Madre di Dio, che partecipa al provvidenziale disegno di Salvezza. L’Autore dice espressamente che “gli anni della grazia” avranno “compimento per mezzo di Maria, come per mezzo di lei furono” dal Signore “cominciati”. In Lei trova la forza d’impetrare da Dio clemenza e perdono per noi uomini: “RicordaTi del suo ventre e del suo seno, e non respingermi”. A noi, “come dei nuovi David” mostra, quali armi spirituali, “il bastone della Croce e la fionda del Santo Rosario nelle mani”, “in baculo Cruce et in virga Virgine”. Ed, espressamente, San Luigi Maria Grignon di Montfort chiede a Dio di renderci “veri servitori della Santa Vergine, i quali, come altrettanti San Domenico, vadano dappertutto, la fiaccola lucente e ardente del Santo Vangelo nella bocca e il Santo Rosario nella mano” – con riferimento anche al sogno profetico della madre dello stesso San Domenico – “ad abbaiare come cani, a bruciare come fuochi e ad illuminare le tenebre del mondo come soli”, i quali – prosegue – “per mezzo d’una vera devozione a Maria, vale a dire interiore senza ipocrisia, esteriore senza critica, prudente senza ignoranza, tenera senza indifferenza, costante senza leggerezza e santa senza presunzione, schiaccino dovunque vadano la testa dell’antico serpente, affinché la maledizione che gli hai lanciato si compia per intero”. È un programma di vita decisamente impegnativo: fornisce gli strumenti di una perfetta sequela di Cristo attraverso Sua Madre, ma pone nel contempo obiettivi “ambiziosi”. Come esserne sempre degni? Come amare e servire davvero Dio, offrendoGli la nostra vita, il nostro cuore? Come preservarci dalle insidie che ogni giorno il maligno pone sui nostri passi? La “Preghiera infuocata” è un testo molto condensato, dove troviamo delle idee teologiche, delle intuizioni spirituali e delle indicazioni ascetiche… in un contesto di preghiera molto ispirata e dagli
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accenti mistici. Ma gli elementi che troviamo qui, sono distribuiti in tutti gli scritti di Montfort. Certo, è un programma di vita impegnativo, ma Montfort è anche un “maestro di scuola elementare”, che sa indicare i primi passi concreti da fare e poi ti dice di essere perseverante, poiché – alla scuola di Maria – sarà lo stesso Spirito Santo a condurti, passo passo, fino alla perfezione della santità. Alla luce del “Trattato della Vera Devozione a Maria”, scritto da San Luigi Maria Grignon di Montfort, come giungere a rafforzare un’autentica spiritualità mariana? Il Trattato rappresenta ancora un fenomeno. Scritto 300 anni fa, continua a essere stampato, venduto, tradotto, letto e meditato… soprattutto a livello popolare. Ma non è solo un gesto di “devozione”. Questo popolo cerca nutrimento solido, non nei trattati di teologia erudita, o “di scuola”, ma in questo breve scritto, che tuttavia presenta una spiritualità ben fondata teologicamente, radicata nella Bibbia e nei Padri della Chiesa… e che nello stesso tempo parla al cuore. Montfort riassume tutto questo in una espressione, quando dice che egli vuole proporre un “vera e tenera devozione alla Santa Vergine”, cioè una spiritualità vera, perché teologicamente corretta, ma anche tenera, cioè che ti coinvolge in tutta la tua dimensione umana, ragione e sentimento, mente e cuore.
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Una testimonianza della Giornata Domenica 22 aprile 2007 ci siamo ritrovati per l’annuale convegno del Rosario, all’ombra della millenaria Abbazia di Pomposa (Fe), glorioso cenobio che vide genuflessi ai suoi altari Dante e Giotto. Il cielo azzurro e un caldo sole primaverile hanno accolto i partecipanti arrivati dall’Emilia Romagna,Veneto, Friuli e Marche, in questo luogo suggestivo, intriso della fede e della spiritualità contemplatrice che l’antico Ordine dei Monaci Benedettini, costruttori del complesso abbaziale, prevedeva. Fedeli alla regola “Ora et Labora”si ispirano pure gli attuali ospiti e custodi di quelle antiche mura, il gruppo dei “Ricostruttori nella Preghiera”, della cui cortese accoglienza abbiamo usufruito per l’intera giornata. Dopo i gioiosi saluti della grande famiglia del Movimento Domenicano del Rosario, ci siamo riuniti nella navata centrale della splendida chiesa e, supportati dalla testimonianza dei meravigliosi affreschi rappresentanti scene del Vecchio e Nuovo Testamento, abbiamo iniziato, con la guida di Padre Mauro, la recita meditata dei Misteri Luminosi del Santo Rosario. Riflessioni sull’Amore Infinito di Dio verso le sue creature: “DIO CI HA VOLUTO COME AMANTI E COSÌ CI HA CREATI”. L’invito a fare della nostra vita un Talamo dove l’Amore di DIO nei nostri confronti ci trasfiguri e ci faccia risplendere di quell’Amore, in tutte le espressioni della nostra vita quotidiana. Divenire “Amanti della Santità” e dell’Eucaristia, mangiandola sì, ma “facendoci anche mangiare”, lasciando cioè che il CRISTO e il suo Amore viva in noi, divenendone finalmente “TRASFIGURATI”. Dopo la celebrazione della Santa Messa e la pausa pranzo, ci siamo ritrovati nel sacro luogo all’ascolto dell’intervento del Padre Battista Cortinovis sulla “Devozione e Spiritualità Mariana”. Tradurre la Devozione Mariana in Spiritualità significa avere come riferimento costante nella nostra vita il “modello di vita” di Maria, e ciò avviene nella preghiera e con la recita del santo Rosario, appropriandoci degli atteggiamenti evangelici, cioè degli insegnamenti di GESÚ: il Rosario diviene dunque un metodo, una Scuola di Santità, uno “Spazio di Silenzio” che ci invita all’ASCOLTO…. La Spiritualità Mariana deve essere ecclesiale, comunitaria, è divenire Apostoli e Discepoli. Essere Santi significa vivere la spiritualità profondamente nella comunione con DIO. Essere Santi è un DIRITTO di TUTTI! MARIA diventa la GUIDA per capire che DIO CI AMA: essere “Sposa” come Maria significa divenire “docili allo SPIRITO”, cioè metterci all’ascolto della parola e della volontà di DIO. Rinunciando al nostro ego per far posto a LUI, al Suo Agire e passare così dall’uso dei verbi attivi a quello dei verbi passivi: “NON SONO PIU’ IO CHE VIVO, MA È CRISTO CHE VIVE IN ME” come disse san Paolo. Ringraziamo Padre Mauro e Padre Cortinovis per l’opportunità di crescita che ancora una volta ci hanno dato. Maria Cecilia & Simone
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Intervista a Padre Mariano Foralosso, missionario in Brasile
Missioni e adozioni a distanza
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he cos’è il Brasile? Di che cosa ha bisogno? Papa Benedetto XVI, in occasione del suo recente viaggio nel Paese col maggior numero di cattolici al mondo, ha mostrato di avere le idee ben chiare. E, nella cattedrale di San Paolo, ha proposto senza mezzi termini una fotografia della situazione attuale nell’omelia agli oltre 400 vescovi della nazione: “La vita sociale sta attraversando momenti di smarrimento sconcertante – ha detto – viene attaccata impunemente la santità del matrimonio e della famiglia, cominciando dal fare concessioni di fronte a pressioni capaci di incidere negativamente sui processi legislativi; si giustificano alcuni delitti contro la vita nel nome dei diritti della libertà individuale; si attenta contro la dignità dell’essere umano; si diffonde la ferita del divorzio e delle libere unioni”. Per questo, è urgente e “necessario formare nelle classi politiche ed imprenditoriali un genuino spirito di veracità e di onestà. Coloro che assumono un ruolo di leadership nella società devono cercare di prevedere le conseguenze sociali, dirette ed indirette, a breve ed a lungo termine, delle proprie decisioni, agendo secondo criteri di massimizzazione del bene comune, invece di cercare profitti personali”. Ma la ricetta non sta tutta qui. Se ci si dovesse limitare ad “aggiustatine” di carattere pratico, sarebbe tutto sin troppo facile. Basterebbero governanti capaci, programmi efficienti, alleanze strategiche ed il gioco sarebbe fatto! Invece no, non sono sufficienti. Serve qualcosa in più, qualcosa di “oltre”… Il Santo Padre lo ha detto a chiare lettere ai vescovi: “Laddove Dio e la Sua volontà non
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sono conosciuti, dove non esiste la fede in Gesù Cristo e nella Sua presenza nelle celebrazioni sacramentali, manca l’essenziale anche per la soluzione degli urgenti problemi sociali e politici”. Inutile illudersi: non si liquidano le questioni aperte con una semplice tribuna elettorale… Allora, che fare? Il Sommo Pontefice non lo ha rivelato ad un consesso di politici, nelle austere sedi istituzionali, al parlamento riunito… No, lo ha rivelato alle suore Clarisse, impegnate presso la “Fazenda da Esperança” di Gauratinguetà, un centro di recupero per giovani tossicodipendenti ed alcoolisti. “Dove la società non vede più alcun futuro o speranza – ha affermato – i cristiani sono chiamati ad annunziare la forza della Resurrezione. Bisogna, infatti, edificare, costruire la speranza, tessendo la tela di una società, che - nello stendere i fili della vita – perde il vero senso della speranza. Questa perdita – secondo San Paolo – è una maledizione che la persona umana impone a se stessa: «persone senza cuore» (cfr. Rm 1,31)”. Capito? Per cambiare le cose, non serve la rivoluzione, non bastano i piani quinquennali, né i documenti di programmazione economico-finanziaria… Si parte dalla Chiesa. Per questo, Benedetto XVI ha invitato i vescovi ed i sacerdoti tutti a donare alla propria gente la “fedeltà al primato di Dio” attraverso la missione – tanto verso i cattolici allontanatisi, quanto verso “coloro che conoscono poco o niente Gesù Cristo”–, attraverso l’accoglienza, attraverso una catechesi permanente, attraverso la partecipazione alla santa messa, alla confessione ed, in generale, ai sacramenti. Quanto all’ecumenismo, certo è una bella cosa, anzi “un compito sempre più urgente”. Ma, a fronte della “moltiplicazione di sempre nuove denominazioni cristiane” e di fronte a “certe forme di proselitismo, frequentemente aggressivo”, anche l’impegno ecumenico ”diventa un lavoro complesso”. Non si improvvisa, anzi. Richiede studio, preparazione, discernimento per la “difesa dei valori morali fondamentali, trasmessi dalla tradizione biblica, contro la loro distruzione in una cultura relativistica”. Insomma, non va bene tutto, indistintamente. Ciò, senza troppi giri di parole, perché – ha precisato Benedetto XVI – “la Verità suppone una conoscenza chiara del messaggio di Gesù, trasmessa grazie ad un linguaggio inculturato comprensibile, ma necessariamente fedele alla proposta del Vangelo”. Niente trucchi, insomma. Ecco perché, aprendo i lavori della quinta conferenza del Celam, il Papa ha richiamato l’essenzialità dell’annuncio cristiano. Ha affermato che oggi, in America Latina, “è in gioco l’identità cattolica”. Ed ha invitato a “ripartire da Cristo in tutti gli ambiti della missione”, identificando in ciò – e
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non in altro – il compito della Chiesa. Ben conoscendo ed individuando i mali da cui l’America Latina è affetta, chiamati per nome: ingiustizie, fame, povertà, droga, corruzione,... Eppure – ha detto –, “se la Chiesa cominciasse a trasformarsi in soggetto politico non farebbe di più per i poveri, semmai farebbe di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale”… “La questione fondamentale, ineludibile per la Chiesa in questo Paese - spiega Padre Mariano Foralosso op, missionario in Brasile – consiste nel capire come sia possibile parlare della dignitá dei figli di Dio a questo popolo. Per farlo, è indispensabile e doveroso ritornare al Cristo vero, al Verbo di Dio che si è incarnato ed è venuto a piantare la Sua tenda tra di noi. Di fatto, Gesù non ha mai fatto politica, ma è diventato un problema «politico» per chi aveva interessi da difendere. Questo continua a succedere anche oggi, qui in Brasile”. Il Sommo Pontefice ha invitato la Chiesa ad un rinnovamento profondo, che – da una parte – rispetti “la sana laicità”, ma – dall’altra – suggerisca anche “i grandi criteri ed i valori inderogabili, orientando le coscienze ed offrendo un’opzione di vita”. In sostanza, sui valori – vita, famiglia, oggi particolarmente a rischio anche nel “continente della speranza” – non si transige... Che spazi ha la Chiesa per un confronto schietto e propositivo con la società, con la politica, con i mezzi di informazione del Brasile? “La Chiesa del Brasile di oggi è una Chiesa di martiri! Migliaia di cristiani laici, sacerdoti, religiosi, vescovi – sono stati eliminati, perché «pericolosi». Sono loro che insegnano con il loro esempio alla Chiesa universale a quale Cristo ci si debba convertire e da quale Cristo si debba partire, per annunciare il Vangelo al mondo”. Parliamo della realtà delle “favelas”, in merito alla quale l’opinione pubblica è convinta di sapere tutto, per aver letto qualche articolo di giornale. Di cosa si tratta, in realtà? Quali i principali problemi? “Le favelas – spiega Padre Mariano – sono il frutto e il termometro dei mali del continente e anche del Brasile. Esse sono anche un monumento dell’arte di arrangiarsi per sopravvivere, di questo immenso «popolo in più»! Sarebbe impossibile restare indifferenti di fronte a questa realtá. L’azione della Chiesa in Brasile si articola in due dimensioni fondamentali: aiutare le popolazioni a prender coscienza della propria condizione ed a migliorarla. Insegnare loro a pescare. Esistono molte iniziative per dare una risposta urgente alla fame, che non aspetta. Si è creata una rete di organizzazioni sociali e di centri educativi, spazi di accoglienza e di incontro, per offrire alla gente la possibilità di riscattare la propria identità, la sua dignità, il suo potenziale immenso di valori e
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di cultura. Ciò, soprattutto per offrire alle nuove generazioni – bambini, adolescenti e giovani – un futuro differente e toglierli dalla tentazione della delinquenza e della droga”. Quali e quanti Centri Sociali sono stati realizzati? Come si svolge la vita al loro interno? Di quali strumenti vi servite, per preparare ed assicurare in qualche modo l’inserimento di questi ragazzi, un domani, nel mondo del lavoro? “Quanti sono questi centri? Impossibile dirlo. Sono tanti, ma è certo che essi rappresentano una goccia nell’oceano di necessità, in cui ci troviamo. Ma noi sappiamo che l’oceano è fatto di gocce. Queste opere hanno il valore e la funzione di segni profetici, per mostrare che “un mondo differente è possibile”, per alimentare la speranza della nostra gente”. A fronte di tale situazione, quale la risposta possibile attraverso le adozioni a distanza? Quale il vantaggio derivante dal mantenere i bambini all’interno del contesto familiare, sociale e culturale d’origine, aiutandoli “sul posto”? “Le adozioni a distanza rappresentano un grande aiuto per i nostri Centri della Gioventú e sono anche un modo concreto per costruire la cultura dell’amore e della solidarietá tra popoli diversi. I nostri bambini ed i nostri adolescenti stabiliscono un «ponte» di amicizia con persone, che vivono lontano dalla loro realtà, ma che vogliono loro bene e con la loro generosità aiutano il Centro ad accoglierli ed a farli crescere sani, a prepararsi alla vita. Essi hanno modo così di toccare con mano che in questo mondo non esistono solo egoismo, esclusione e violenza, ma anche amore, generosità, amicizia. È un’esperienza positiva, che porteranno nel cuore per tutta la vita e che li aiuterà a diventare buoni cittadini e buoni cristiani. Approfitto dell’occasione per mandare a tutti i «padrini» e le «madrine», anche a nome dei nostri bambini e dei nostri adolescenti, un caro saluto ed il piú vivo ringraziamento per la loro generosità”. Tornano alla mente le parole di Papa Benedetto XVI, quell’invito a non disperare, mai. A non lasciarsi vincere dalla tristezza dell’anima. Perché – come ha ricordato il Pontefice – si deve aver fiducia: “La Chiesa è santa ed incorruttibile”. Non in virtù del proclama di qualche leader, né di qualche manifesto di partito, no… Bensì alla luce della fede. Così, citando le “Enarrationes in Psalmos” di sant’Agostino, il Santo Padre ha ricordato come, “visto che Cristo non vacilla”, la Chiesa sia destinata a restare “intatta fino alla fine dei tempi”. Allora, forza! È ora di rimboccarsi le maniche. E fare, ciascuno di noi, la propria parte. Non sui palchi dei comizi, ma nella vigna del Signore! Mauro Faverzani
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ricordatevi
che dalle ore 10 di
sabato 22 settembre nei locali della Basilica di Aquileia
sabato 29 settembre
nei locali del Santuario del Piratello (Bo)
sabato 6 ottobre
nei locali del Santuario di Campocavallo (An)
fino al tardo pomeriggio ci ritroveremo per pregare, meditare e condividere celebrando insieme i
raduni regionali del rosario per ogni informazione: Padre Mauro tel. 335 5938327
In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa