Rosarium 1999-02

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Movimento Domenicano del Rosario Spedizione Abb. Post. - Art. 2 Comma 20/C - Legge 662/96 - Filiale di Bologna - Anno XXXII - n. 2 - II trimestre

provincia “S. Domenico in Italia”

RIVISTA DI COLLEGAMENTO PER I PELLEGRINI, I DEVOTI E GLI APPARTENENTI LE ASSOCIAZIONI ROSARIANE

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ROSARIUM

LETTERA DEL PROMOTORE

Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario

Proprietà: Provincia Domenicana Utriusque Lombardiae Piazza San Domenico 13 - 40121 BOLOGNA

Gentilissimi lettori, nella redazione di questo numero di Rosarium ho voluto manifestarVi quali saranno i numeri forti dell’attività del Movimento del Rosario nei mesi che ci separano dal prossimo numero che dovrebbe giungerVi nel settembre prossimo.

Direttore Responsabile Orazio D’Amato

Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Rivista fuori commercio - Le spese di stampa e spedizione sono sostenute da tutti gli amici

Anno 32°- n. 2 finito di stampare il 31 marzo 1999 postalizzato il 9 aprile 1999 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s.

Alla Mamma del Cielo ed alla Vostra preghiera affido la celebrazione dell’ormai prossimo “mese di maggio” come “i pellegrinaggi nazionali a Lourdes e a Fatima” affinché segnino una più profonda e sincera conversione per chi avrà il dono di parteciparVi ma anche per coloro che in comunione con loro li avranno assistiti con la preghiera. Invocando su tutti la materna protezione della Beata Vergine, nell’attesa di poter ringraziare e gioire con Voi per quanto il Signore e la Mamma Sua avranno donato in questi mesi, Vi saluto fraternamente

Milano - via P. della Francesca 38 Amministrazione: Movimento Domenicano del Rosario Via IV Novembre 19/E 43012 Fontanellato (PR) Tel. 0521822899 Fax 0521824056 e-mail movrosar@tin.it CCP. 22977409 Direttore amministrativo: P. Mauro Persici o.p. tel. 0521829903 - 3355938327 Collaboratori: P. Riccardo Barile o.p. P. Pio Bazzi o.p. P. Paolo Calaon o.p. P. Giovanni Cavalcoli o.p. P. Roberto Coggi o.p. P. Paolo Gerosa o.p. P. Pietro Lippini o.p. P. Marcolino Muraro o.p. Monastero “S. Giuseppe” Tiziana Tittarelli

SOMMARIO Lettera del Promotore

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Il Pellegrinaggio

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In Terrasanta con il rosario

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Speciale mese di maggio il rosario davanti al SS. Sacramento

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Possiamo capire anche noi qualcosa del Giubileo? ... ogni cosa gli appartiene

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... e altre coserelle

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Fermarsi sul più bello

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Faenza

quindici visite ad onore di N.S. di Lourdes

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ogni anno a maggio

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Castelbolognese Dalle missioni

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iaggio di devozione mal intesa: così nella celebre Enciclopedia dell’epoca dei lumi il Diderot († 1784) qualificava il pellegrinaggio. Oggi invece, superando la “devozione mal intesa” e la polemica anticattolica, nel pellegrinaggio un po’ tutti riconoscono un comportamento umano che va al di là del mondo antico, del mondo biblico e della storia della chiesa: si pensi all’obbligo per ogni mussulmano del pellegrinaggio alla Mecca una volta nella vita. Pellegrinare - da “per ager”, cioè (andare passare) al di là del (proprio) campo - consiste appunto nell’abbandonare il luogo di residenza per dirigersi verso un altro luogo che un tempo è stato toccato da una manifestazione di Dio (teofania o ierofania) e della sua potenza (cratofania); dirigendosi là si ritorna in qualche modo alle sorgenti della vita e si ritrovano le proprie radici attraverso la ripetizione di atti compiuti dai predecessori. Come molti fenomeni umani, anche i pellegrinaggi hanno attraversato periodi altalenanti passando dall’intensità al quasi abbandono. Dal punto di vista cristiano negli ultimi anni si è passati da un affievolimento nel dopo concilio a una ripresa attuale e se allora il ridimensionamento permise di ritrovare ciò che era essenziale nel culto cristiano, alla ripresa di oggi è necessario un buon discernimento per gestire il fenomeno evitando ritorni all’indietro o nuove deviazioni. Un rilancio tutto particolare viene poi dal quasi presente Giubileo del 2000. La Bolla di indizione ricorda infatti che “l’istituto del giubileo nella sua storia si è arricchito di segni che attestano la fede e aiutano la devozione del popolo cristiano; tra questi bisogna ricordare, anzitutto, il pellegrinaggio”: dunque il pellegrinaggio è in un certo senso la prima e più caratteristica delle pratiche giubilari. Insieme alla citata Bolla, due altri documenti del 1998 uno della Santa Sede e uno della CEI, più teorico il primo e più concreto il secondo hanno inteso nuovamente descrivere e fondare teologicamente e pastoralmente il pellegrinaggio. Non sono documenti isolati, ma corrispondono a un crescente interesse anche scientifico e su di essi in parte ci si baserà per le annotazioni che seguono.

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LA RIFONDAZIONE: LA STORIA E LE SCRITTURE Equivoco politico a parte, la parola che meglio esprime il compito dei cristiani di oggi nei riguardi del pellegrinaggio è: rifondazione. Una rifondazione che passa per tre strade obbligate: ripercorrere la storia, scrutare le Scritture, comprendere il presente per inserirlo nella continuità della storia cristiana e delle Scritture. Molti libri, ma molto più autorevolmente i documenti citati, tentano una rifondazione del genere. Seguiamoli cominciando dalla storia. A parte fenomeni isolati implicanti un cambiamento di residenza, si riconosce che cristianamente il pellegrinaggio vero e proprio inizia circa nel quarto secolo quando “cessate le persecuzioni dell’impero romano, i luoghi del martirio vengono aperti alla venerazione pubblica”; dopo la conquista araba di Gerusalemme del 638, dalla Terra santa le mete dei pellegrini si spostano in occidente: Roma, san Giacomo di Compostella, Loreto ecc. Il medioevo registra una connessione sociale, militare, politica, commerciale del pellegrinaggio con il movimento crociato, connessione che sarà all’origine di critiche e ridimensionamenti, ma anche un impulso più spirituale dalla predilezione di san Francesco verso i luoghi santi e dalla costituzione del primo Giubileo a Roma nel 1300. Con il periodo moderno il pellegrinaggio è ridimensionato dalle severe critiche della riforma protestante e in particolare di Lutero; in ogni caso “il pellegrino, nella frantumazione dell’immagine classica dell’universo, si sentiva sempre meno viandante nella casa comune del mondo ora suddivisa in Stati e Chiese nazionali. Si delineavano così mete più ridotte e alternative come quelle dei Sacri Monti e dei santuari mariani locali”. Da segnalare infine il fenomeno delle apparizioni mariane dello scorso e attuale secolo con un movimento pellegrinante mai venuto meno. Sia chiaro: non si è tracciata la storia dei pellegrinaggi, ma un tentativo di valutare quanto accaduto. Se dalla storia si passa alle Scritture, soprattutto per l’Antico Testamento il documento della Santa Sede raggruppa i vari dati in uno schema suggestivo: il pellegrinaggio di Adamo vagante senza meta lontano dal giardino dell’Eden (Gen 3,23-24); il pellegrinaggio di Abramo; il pellegrinaggio dell’esodo; il pellegrinaggio a Gerusalemme per le tre grandi feste (Pasqua, Pentecoste, Capanne) (Es 34,24), accompagnato dai Salmi 120-134 denominati “canti delle ascensioni”; il pellegrinaggio messianico previsto dai profeti per tutti i popoli “verso Sion, luogo della Parola divina, della pace e della speranza”. Quanto a Gesù Cristo, i genitori ogni anno si recavano a Gerusalemme e qui avvenne la sua manifestazione tra i dottori del tempio (Lc 2,41-50); Gesù continuò a

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recarvisi più volte durante la vita pubblica (Gv 11,55-56) e infine “mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51). È per conseguenza normale che gli scritti apostolici trasferissero tale categoria nei cristiani rivolgendosi ad essi come “ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell’Asia e nella Bitinia” (1Pt 1,1), esortandoli “come stranieri e pellegrini” (1Pt 2,11), dal momento che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13,14). Al di là del viaggio fisico, il Vaticano II vede il popolo di Dio impegnato in un “pellegrinaggio verso l’eterna beatitudine”, ricordando che “anche la beata Vergine ha proceduto nella peregrinazione della fede”. Se lo spirito profondo delle citazioni bibliche sempre illumina il pellegrinaggio, non tutte possono essere accolte oggi: ad esempio le grandi feste cristiane non sono più pellegrinanti ma vanno normalmente celebrate nella chiesa locale (parrocchia o diocesi) e l’esodo biblico non coincide con l’attuale mobilità. Sembra invece che sia più vicino all’attuale pellegrinaggio il rapporto dei patriarchi con alcuni santuari forse ad essi preesistenti ma rifondati da una manifestazione o promessa di Dio. Sichem è il luogo della prima manifestazione di Dio ad Abramo giunto nella terra promessa (Gen 12,6-7) e anche Giacobbe, ritornando nella stessa terra, erige ivi un altare (Gen 33,18-20); Betel è il luogo del sogno di Giacobbe all’inizio di un viaggio (Gen 28,10-22) e luogo di culto al ritorno da un altro viaggio (Gen 35,1-5); a Mamre Abramo si ferma dopo un lungo peregrinare (Gen 13,18) e lì il Signore gli si manifesta accompagnato da due angeli (Gen 18,1ss.); a Bersabea Dio si manifesta ad Isacco e lo benedice (Gen 26,23-25) e ivi avviene l’ultima manifestazione di Dio a Giacobbe prima di scendere in Egitto per rassicurarlo con la promessa del ritorno (Gen 46,1-4). Questi e altri secondo la Scrittura erano luoghi di culto costituiti dai patriarchi e ricordavano un avvenimento passato, come tale non più ripetibile. In seguito ci si recava tuttavia in pellegrinaggio per ricordare le meraviglie di Dio, ripetere in qualche modo i gesti dei patriarchi e comunicare con la stessa forza di Dio, rinvigorire la speranza che Dio nel presente sarebbe intervenuto in modi diversi, ma con la stessa forte e amorosa provvidenza. Qualcosa del genere è vicino all’attuale pellegrinaggio cristiano, che ancora oggi “comporta, per così dire, una grazia del luogo, come grazia mediata da persone, avvenimenti, cose, ambienti”.

QUANTI TIPI DI PELLEGRINAGGIO? Un minimo di chiarezza del discorso esige di catalogare vari tipi di pellegrinaggio per vedere in quale di essi ci si situa. - C’è un pellegrinaggio apostolico, cioè il muoversi per comunicare la fede. Si potrebbero citare i faticosi viaggi di Paolo (2Cor 11,26-27) e di tanti altri apostoli (in

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particolare san Domenico), che però non appartengono al pellegrinaggio che ci interessa. - Il pellegrinaggio penitenziale si costituì nel medioevo e, attesi i disagi del viaggiare e la santità del traguardo, era considerato un’opera per la remissione dei peccati. Ancora oggi, sia pure in senso diverso, si potrebbe ricuperare tale dimensione. - Sia nell’antichità che nei secoli seguenti il pellegrinaggio devozionale fu il più comune, caratterizzato dalla visita ad un luogo per risvegliare la propria vita cristiana ed è sostanzialmente il pellegrinaggio attuale. - Oggi è nato il pellegrinaggio turistico, o meglio la dimensione turistica del pellegrinaggio, dimensione non del tutto ignorata dalle Scritture come testimonia il seguente testo sapienziale: “Chi ha viaggiato conosce molte cose, chi ha molta esperienza parlerà con intelligenza. Chi non ha avuto delle prove, poco conosce; chi ha viaggiato ha accresciuto l’accortezza. Ho visto molte cose nei miei viaggi; il mio sapere è più che le mie parole” (Sir 34,9-12). Torneremo sull’argomento. Quale che sia la tipologia del pellegrinaggio, è essenziale il riferimento a Cristo, che è lo stesso pellegrinaggio: “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); che è la meta del pellegrinaggio essendo il santuario e il tempio: “(...) distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere (...), ma egli parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,19-21); che è l’ideale di ogni itinerario: “sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo, ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre” (Gv 16,28); anzi in Cristo c’è “un capovolgimento del senso stesso del pellegrinaggio” in quanto “il cammino di Dio - il Verbo che pone la sua tenda tra noi - precede quello dell’uomo e lo rende possibile”. Per il cristiano rinvigorire la fede attraverso la grazia di questo o quel luogo, di questa o quella mediazione (della Madonna o di un santo) deve sfociare nel vivere il pellegrinaggio in Cristo secondo quanto appena ricordato.

IL DISCERNIMENTO PER L’OGGI Anzitutto “l’evangelizzazione è la ragione ultima per cui la chiesa propone e incoraggia il pellegrinaggio”. Se questo umanamente costituisce “un parziale e quasi simbolico appagamento del bisogno di sospendere la routine quotidiana”, nonché la tensione “verso una realtà inspiegabile ma nello stesso tempo appagante”, per il cri-

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stiano “il santuario verso cui egli si dirige deve diventare per eccellenza la tenda dell’incontro, come la Bibbia chiama il tabernacolo dell’alleanza”. Non sarà inutile chiarire e chiarirsi la dimensione del pellegrinaggio: individuale, familiare, di gruppo. Un diverso clima spirituale sarà altresì da perseguire tenendo conto delle destinazioni: i luoghi del Signore (terra santa), i luoghi degli apostoli (Roma), i santuari mariani, i santuari legati alla memoria dei santi e infine “i moderni luoghi di profonde esperienze spirituali”. In concreto si terranno presenti le fasi di ogni pellegrinaggio per impostarne bene la dimensione pastorale: la partenza, il cammino o viaggio, la visita al santuario e il ritorno. La partenza esige di orientare o rinvigorire la decisione del pellegrinaggio e può opportunamente essere santificata dalla benedizione degli itineranti, prevista dal nuovo libro del Benedizionale in corso (e anche dal rituale domenicano in corso). Il cammino o viaggio, dati i mezzi rapidi di spostamento, oggi rischia di essere risucchiato dall’arrivo al santuario e ciò è profondamente deviante. Per ricuperare il cammino, oltre che momenti di catechesi e preghiera nel viaggio, “viene suggerito di fare sempre un percorso a piedi, anche solo per un breve tratto, da suggellare davanti al santuario con un appropriato rito della soglia (...). Camminare a piedi (...) oltre che segno di penitenza è anche strumento di conversione”. La visita al santuario (o ad altro luogo significativo) è, come già ricordato, entrare nella tenda per incontrare Dio e ritrovare in modo nuovo ciò che già si trova nella normale esperienza cristiana: la parola, la conversione, l’eucaristia, la Vergine e i santi, i fratelli nella fede ecc. Meno codificate ma molto praticate sono da valorizzarsi alcune azioni tipiche e sensibili come: vedere, toccare, camminare, pregare, bere o lavarsi, fare penitenza (cioè accettare il ritmo delle giornate e i disagi, offrire denaro ecc.). Il ritorno può ugualmente essere santificato usando le previste formule del Benedizionale.

IL TURISMO RELIGIOSO Oggi si è costituito il “turismo religioso”, che “ha motivazioni culturali e ricreative e fa riferimento alla religione solo in quanto fruisce di spazi e oggetti ad essa pertinenti”, mentre il pellegrinaggio “è ispirato da consapevoli motivazioni di fede”. Anche solo osservando i visitatori di una chiesa, ci si accorge se sono unicamente turisti o se colgono qualcosa di più. Quella del turismo religioso è una dimensione da affrontare diversamente nella accoglienza dei turisti o nell’organizzazione dei pellegrinaggi. Tralasciando il primo caso, è evidente che un pellegrinaggio va organizzato e presentato in una dimensione di fede. Ma con scontato buon senso pastorale il documento CEI rileva: “l’esperienza mostra che motivazioni e atteggiamenti propri del pellegrinaggio e quelli tipici invece del turismo religioso spesso convivono” nelle persone e nei gruppi, per cui “anche il

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pellegrinaggio più devoto può avere componenti turistiche e culturali o di relax” e viceversa anche le forme turistiche “possono celare intenzioni collegabili alla fede”. Non sembra quindi scorretto inserire in un pellegrinaggio un momento di turismo o di relax legato alle risorse del luogo, ma a precise condizioni che potrebbero essere: la discrezione di tempo nell’insieme del programma; la vigilanza a che si tratti di cultura o di relax e non mai di distrazione mondana; una discreta guida a trovare il Signore e relazionarsi con Lui anche all’interno di simile momento, operazione abbastanza facile di fronte alla vera arte o alle bellezze della natura.

*** Giunti al termine, da una parte il pellegrinaggio vero e proprio è opportuno per riscoprire a livello di segno il cammino della vita cristiana; dall’altra il frutto del pellegrinaggio tende a divenire una mentalità, un modo di vivere che perdura oltre il ritorno. Ad esempio nell’anno giubilare la visita ai fratelli in difficoltà allo scopo di lucrare l’indulgenza può essere vissuta “quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro”; ad un altro livello Newman insegnava che “vivere è cambiare ed essere perfetto è aver cambiato spesso” e per Origene chi scruta le Scritture dimora non in una casa, ma come in una tenda e “di là, come levando la tenda, si dirige a luoghi più alti, e di nuovo di là trova altri sensi spirituali senza dubbio spalancati di seguito ai sensi precedenti, e così sempre protendendosi a quello che è davanti (Fil 3,13)” sino a raggiungere la vera patria.1 Riccardo Barile

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Testi citati o dei quali si è tenuto particolarmente conto: GIOVANNI PAOLO II, Bolla di indizione del Giubileo dell’anno 2000 Incarnationis mysterium (29.11.1998), n. 7 * PENITENZIERIA APOSTOLICA, Decreto Disposizioni per l’acquisto dell’indulgenza giubilare (29.11.1998) * PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000 (25.4.1998), nn. 1, 4-8, 14, 16, 32-42 * CEI COMMISSIONE PER LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO TURISMO E SPORT, Il pellegrinaggio alle soglie del terzo millennio (29.6.1998), nn. 5, 10, 14, 16, 19, 34 * LG 8.58 = EV 1/334.1463 * Benedizionale, Benedizione dei pellegrini - Benedizione di chi intraprende un cammino 315-371 * NEWMAN J. H., An Essay on the Development of Christian Doctrine * ORIGENE, Omelie sui Numeri 17,4.

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Speciale mese di Maggio a cura di P. Roberto Maria Coggi o.p.

se v stac i ser l’in cate ve sert o

Il s. rosario davanti al SS. Sacramento

C’è uno strettissimo legame fra il s. rosario e l’Eucarestia. Basti pensare che il centro della preghiera è il nome di Gesù che compare nel mezzo dell’Ave Maria. Ora, quel Gesù che noi ricordiamo ad ogni Ave è lì presente davanti a noi nel Tabernacolo. Noi lodiamo la Vergine Maria che ci ha dato quel Gesù che ora è vivo in mezzo a noi. Per questo, recitare il santo rosario davanti al Santissimo Sacramento è molto significativo, ed è un grande aiuto perché la preghiera sia fatta veramente col cuore. Vogliamo ora vedere in particolare come ogni mistero del santo rosario acquisti un significato più profondo se meditato davanti al SS. Sacramento, o anche semplicemente mettendolo in riferimento all’Eucarestia1.

MISTERI GAUDIOSI

1° mistero: l’Annunciazione. Nel primo mistero contempliamo il grande e meraviglioso evento dell’incarnazione del Verbo nel seno purissimo della Beata Vergine Maria. Ora, tra gli altri aspetti di questo mistero dell’Incarnazione c’è quello dell’umiliazione, come ci ricorda S. Paolo nella lettera ai ) In queste riflessioni prendiamo spunto da quanto scrive il P. Giacomo Luigi M. Monsabrè o.p. nel suo libro “Il Santo Rosario”, Ancora, Milano 1948.

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Filippini (2,6 SS.): il Verbo spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo. Certamente fu grande l’abbassamento al quale si sottomise la Seconda Persona della SS. Trinità divenendo un uomo come noi. Eppure, se consideriamo il mistero della SS. Eucarestia, vediamo che in un certo senso qui l’umiliazione è ancor più grande. Infatti quando il Verbo Incarnato era in mezzo a noi mostrava la Sua Gloria, almeno in parte: gli angeli la cantano sulla grotta di Betlemme, la voce del Padre lo proclama nel momento del Battesimo e della trasfigurazione. Persino quando muore sulla croce -nel momento cioè del supremo abbassamento- la Sua Gloria si rivela al punto che il centurione esclama: “veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). Niente di tutto questo nell’Eucarestia: qui la Sua Gloria non compare in alcun modo. E’ difficile immaginare un abbassamento più grande. Si pensi poi anche al fatto che l’Incarnazione è avvenuta per la collaborazione di una creatura eccelsa per santità, la Vergine Immacolata. La consacrazione dell’Eucarestia invece si realizza con la collaborazione di una creatura spesso povera e miserabile, quale può essere il semplice sacerdote. Nell’Eucarestia infine Gesù si dà totalmente a noi: possiamo farne l’uso che vogliamo. E sappiamo anche, purtroppo, che Gesù talvolta è profanato nel SS. Sacramento. La meditazione potrebbe continuare. Ma questi brevi accenni sulle umiliazioni eucaristiche possono bastare per darci nuovi spunti nella contemplazione del primo mistero del s. rosario. 2° mistero: la Visitazione. Prima del peccato originale, nel Paradiso terrestre, il Signore spesso visitava i nostri progenitori. Ma anche dopo il peccato originale Dio non ha abbandonato l’umanità. Soprattutto i grandi personaggi dell’Antico Testamento come Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosé hanno goduto delle visite del Signore. Ma la visita delle visite è stata quella della Incarnazione: Dio scende dal Cielo e rimane in mezzo a noi per trentatré anni. Terminati però questi anni Egli dovrà ritornare al padre. Ci lascerà dunque soli? No, nella Sua infinita sapienza e bontà il Signore Gesù ha trovato il modo di rimanere in mezzo a noi pur risalendo al Padre. Con l’Eucarestia Egli prolunga la Sua presenza in mezzo a noi sino alla fine del mondo: “Io sarò con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. Non dimentichiamo però che Gesù si rende presente nell’Eucarestia, la quale è custodita nelle nostre chiese. Ma se queste rimangono sempre deserte, come possiamo dire di corrispondere all’immenso amore del Signore verso di noi? La visita eucaristica di Gesù verso di noi deve suscitare la visita eucaristica di noi verso Gesù. La meditazione del secondo mistero gaudioso ci deve spingere ai piedi del tabernacolo, per ricambiare la visita del Signore. 3° mistero: la nascita di Gesù a Betlemme. La parola “Bethlem” significa in ebraico “casa del pane”, e d’altra parte Gesù viene posto in una mangiatoia. Come non vedere in ciò un chiaro riferimento a Gesù che si dà in cibo alle anime? E notiamo che è la Vergine Maria che depone Gesù Bambino nella mangiatoia: è quindi Lei, la Vergine Santa, che ci invita a riceverlo nella santa comunione. Se ben riflettiamo, la comunione eucaristica porta a compimento l’opera dell’Incarnazione. Infatti il verbo di Dio si è fatto carne perché noi ci possiamo infinitamente unire a Lui sino a

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divenire le membra del Suo Corpo. Poiché Gesù non è soltanto il Maestro che ci dà i suoi insegnamenti dall’esterno, per così dire, ma è il Salvatore che ci salva donandoci la Sua vita. E come ci può donare la Sua vita? Dandosi a noi in cibo: “Io sono il pane della vita: chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,48-51). Certamente vi è un modo spirituale di cibarsi di Gesù Cristo attraverso la fede, ma questo modo spirituale è una preparazione al modo sacramentale, che è quello definitivo e perfetto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (Gv 6,54-55). S. Tommaso d’Aquino fa questa profonda riflessione: “tutto il bene che l’Incarnazione ha portato nel mondo, la comunione eucaristica lo porta alla singola anima. Quindi si può dire che la comunione è l’applicazione a ciascuno di noi personalmente del bene comune della Incarnazione del Verbo”. Che la meditazione del terzo mistero gaudioso ci insegni a fare sempre meglio la santa Comunione! 4° mistero: la presentazione di Gesù al Tempio e la purificazione di Maria SS. Non è importante solo fare la Comunione, ma è importantissimo anche farla bene. Ora, il quarto mistero gaudioso ci dà preziosi insegnamenti a questo riguardo. Già il semplice fatto che questo mistero ci parli di purificazione è molto significativo. Innanzitutto ci ricorda che per ricevere la comunione dobbiamo essere purificati dal peccato mortale, altrimenti noi mangiamo e beviamo la nostra condanna (cf. 1 Cor 11,29); inoltre, dobbiamo, per quanto possibile, essere liberi anche dal peccato veniale e da ogni attaccamento disordinato alle creature. Un esempio di come dobbiamo ricevere Gesù nella santa Comunione ci viene dato dal santo vecchio Simeone che riceve Gesù Bambino nelle sue braccia. Dice il Vangelo che egli era un uomo “giusto”, cioè virtuoso. Così anche noi dobbiamo ricevere Gesù cercando di crescere sempre più nelle virtù cristiane. Dobbiamo presentare in dono a Gesù che viene a noi qualche atto sempre nuovo di bontà, ed in particolare atti sempre più intensi di fede, speranza e carità. Simeone poi era “timorato di Dio”. Dobbiamo ricevere l’Eucarestia con confidenza ed amore, senza dubbio, ma anche con un salutare timore, pensando che siamo sempre indegni di ricevere il Dio tre volte santo, il Creatore del cielo e della terra. Simeone ancora “aspettava la consolazione di Israele”. Anche noi dobbiamo aspettarci da Gesù la consolazione da tutte le nostre pene. Infine si dice che “lo Spirito Santo era in lui”. Così anche noi dobbiamo ricevere l’Eucarestia con il santo desiderio che nasce in noi dalla presenza dello Spirito Santo. Ci aiuti la santissima Vergine Maria, che si sottomise senza averne bisogno al rito della purificazione, e ci aiuti il santo vecchio Simeone, a ricevere Gesù con un cuore veramente puro. 5° mistero: il ritrovamento di Gesù. Dopo aver ricevuto Gesù nella santa Comunione non dobbiamo trascurare di prolungare la nostra intimità con Lui nel ringraziamento. I momenti in cui abbiamo Gesù nel cuore sono i più preziosi: non dobbiamo sprecarli. Il quinto mistero gaudioso ci viene incontro mostrandoci la Vergine Maria che “meditava

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queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51). Ella aveva assistito alla grande manifestazione di Gesù fra i dottori del tempio, i quali erano meravigliati per la sapienza e le risposte di Gesù dodicenne. Ella non lascia cadere un così prezioso insegnamento: medita sul mistero di Gesù che rimane per tre giorni “presso il Padre suo” nel tempio; medita sul fatto che dopo questo episodio Gesù ritorna alla sua vita semplice e familiare, rimanendo sottomesso a lei e a S. Giuseppe nella casa di Nazareth. Ella non comprende tutto: per questo rimane immersa nella più profonda contemplazione. Così anche noi, dopo il grande avvenimento di ogni Comunione eucaristica, immergiamoci nella contemplazione del mistero. Adoriamo Gesù. Facciamogli omaggio della piena sottomissione della nostra mente e del nostro cuore. Anche se non comprendiamo tutto, anche se siamo nel chiaroscuro della fede e non nello splendore della Visione, doniamoci totalmente a Gesù che si è donato totalmente a noi.

MISTERI DOLOROSI C’è una profonda affinità, o sintonia, fra i misteri dolorosi del Rosario e l’Eucarestia. Infatti in ambedue i casi si tratta di fare memoria della Passione del Signore. Nel caso del Rosario è una memoria che avviene nella mente, attraverso la meditazione e la riflessione; nell’Eucarestia è anche, e soprattutto, una memoria che si realizza sul piano soprannaturale: l’Eucarestia, e in particolare la S. Messa, è il memoriale della Passione del Signore.

1° mistero: la preghiera e l’agonia di Gesù nell’orto degli ulivi. Gesù aveva condotto tre dei suoi discepoli nel giardino del Getsemani, e prima di ritirarsi in disparte per pregare aveva detto: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me” (Mt 26,38). Ritornato dopo un poco li trova addormentati e dice: “così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?” (ib, 40). Questo rimprovero riguarda anche noi, così pigri nell’adorazione del SS. Sacramento. Proviamo ad entrare in una chiesa durante la giornata: quasi sempre la troviamo vuota. Possibile che nessuno, passando davanti alla porta di quella chiesa, abbia avuto il pensiero di fare una visita a Gesù, di tenergli compagnia non dico per un’ora, ma per qualche minuto? Noi ci consoliamo forse pensando che davanti al tabernacolo c’è il lume acceso. Certo, questo è un segno molto bello, ma deve essere il segno della nostra attenzione vigile ed amorosa. Noi dovremmo far sì che quel cero che arde davanti al tabernacolo sia per noi un continuo invito ad essere presenti di persona. Non possiamo affidare soltanto ad un simbolo inanimato il compito di testimoniare a Gesù la nostra devozione e il nostro amore.

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2° mistero: la flagellazione. Gesù è flagellato alla colonna ed è crudelmente flagellato. Il supplizio della flagellazione presso gli antichi romani era così terribile che molti morivano sotto i colpi. Oggi, ringraziando il Cielo, Gesù risorto e glorioso non può più essere flagellato. Però nella sua presenza eucaristica può ricevere dei maltrattamenti che, almeno dalla parte di chi li fa, possono essere visti come una rinnovata flagellazione. Pensiamo a tutte le volte che nel corso della storia i pagani, i barbari, gli eretici hanno forzato la porta del tabernacolo e profanato con disprezzo il SS. Sacramento. Pensiamo a quante volte anche oggi le particole consacrate vengono portate via (oggi è più facile che un tempo!) e usate per compiere dei riti sacrileghi, messe nere, orge e malefici! Da parte di chi compie questi riti satanici non è come un voler rinnovare la crudeltà della flagellazione? Noi siamo certamente immuni da queste enormità. Però non ci sarà successo qualche volta di accostarci all’Eucarestia con l’anima macchiata dal peccato mortale? Vedendo quante numerose siano oggi le comunioni e quanto rare le confessioni viene spontaneo pensare che questa eventualità non sia poi tanto rara (ricordiamo a questo proposito che per chi ha commesso un peccato mortale non basta fare un atto di dolore prima della comunione, sia pure con il proposito di confessarsi, ma è necessario accostarsi prima al sacramento della Penitenza. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1415). Non dimentichiamo che accostarsi alla comunione con l’anima macchiata è profanare il Sacramento e commettere un sacrilegio, e quindi fare qualcosa che ha una qualche somiglianza con la flagellazione. 3° mistero: la coronazione di spine. Gesù è coronato di spine, trattato come un re da burla, vilipeso, oltraggiato e bestemmiato. E nel corso della storia quante bestemmie contro la SS. Eucarestia! Bestemmie dei pagani, i quali deridevano i cristiani che facevano la comunione, accusandoli di antropofagia. Bestemmie degli eretici, i quali pretendevano e pretendono di sostituire la presenza vera, reale e sostanziale di Gesù nell’Eucarestia con una presenza puramente simbolica. Bestemmie di certi scienziati increduli, i quali negano la presenza reale in nome della pretesa immutabilità delle leggi della natura, che renderebbe impossibile ogni miracolo. Bestemmie di certi derisori del cristianesimo, i quali considerano noi cattolici che crediamo alla presenza come degli ingenui creduloni. Stiamo dunque vicini a Gesù Eucarestia consolandolo di tanti oltraggi con la nostra fede e il nostro amore! 4° mistero: Gesù carico della Croce sale al Calvario. Gesù, salendo il Calvario, cadde più volte sotto il peso della croce. I suoi carnefici, temendo che morisse prima del supplizio, costrinsero un tale Simone di Cirene a portare la croce di Gesù. Gesù ricompensò Simone con il dono della fede. La sua riconoscenza poi non si limitò a quella singola persona, ma si estese a tutti gli uomini. Gesù infatti si offre come consolatore per tutti. Si offre ad ogni uomo per aiutarlo a portare la croce, quella croce che normalmente è presente nella vita di ciascuno di noi. Dice infatti: “Venite a me voi tutti, che siete affaticati e stanchi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28). Nel dolore è una grande consolazione trovare un amico che ci sia vicino, ci comprenda e

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ci conforti. Ma quale amico più fedele e più compassionevole di Gesù? Gesù ha sofferto per noi tutte le pene fisiche e morali che un uomo può sopportare. Quindi ci è Fandiamo a Lui. Egli ci darà la pace e ci aiuterà a portare la nostra croce. 5° mistero: la crocifissione e morte di Gesù. Il legame fra l’Eucarestia e la morte di croce è così stretto che il sacrificio eucaristico, cioè la Santa Messa, può essere definito come “il sacrificio della croce reso presente sui nostri altari”. Come nell’ostia consacrata è presente veramente Gesù con il suo corpo, sangue, anima e divinità, così, anche se in un modo ancor più misterioso e difficile da comprendere, il sacrificio della croce è presente nella celebrazione eucaristica, in particolare nel momento della consacrazione. Quando il sacerdote pronuncia le divine parole: “Questo è il mio corpo. Questo è il calice del mio sangue”, è come se fossimo con Maria Santissima sotto la croce. Il fiume di grazia che scaturì dalla vittima divina immolata per noi sul Calvario si riversa sulle nostre anime nella celebrazione eucaristica. Per questo la partecipazione all’Eucarestia costituisce “la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana”, come dice il Concilio (Lumen Gentium 11). La recita devota di questa decina del santo rosario ci permette di partecipare con sempre maggior consapevolezza alla celebrazione della santa messa. Così Maria Santissima ci porta a Gesù, e il Rosario della beata Vergine ci porta a partecipare al suo sacrificio che si rinnova sull’altare.

MISTERI GLORIOSI

Fra l’Eucarestia e la Resurrezione c’è un legame indissolubile. Infatti se Gesù non fosse risorto, oggi non ci sarebbe più il suo corpo e il suo sangue, e quindi il pane e il vino non potrebbero diventare veramente e sostanzialmente quel corpo e quel sangue. Al massimo potrebbero diventare un segno o un simbolo del corpo e del sangue. Ma noi sappiamo che nell’Eucarestia Gesù è presente non come in un segno o in un simbolo, ma nella sua fisica realtà. In altre parole, non potremmo venerare e adorare l’Eucarestia se Gesù non fosse risorto.

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1° mistero: la Risurrezione di Gesù. Gesù ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25). Il mistero della risurrezione è il trionfo della vita. Gesù si presenta a noi come il Vivente per eccellenza. Ora, l’Eucarestia è il cibo della vita, è la medicina dell’immortalità, come dicevano i santi Padri. Perché? Proprio perché contiene realmente e sostanzialmente Gesù risorto e vivo. Non dimentichiamo che nell’Eucarestia è presente il corpo di Gesù non nello stato che aveva prima della risurrezione, quando era passibile e mortale, ma nello stato che ha assunto dopo la risurrezione, quando è divenuto impassibile e immortale. Di fronte all’Eucarestia noi dobbiamo esclamare come l’apostolo Tommaso di fronte a Gesù risorto: “Mio Signore e mio Dio!”. Questo corpo risorto e glorioso è presente nell’Eucarestia per essere sorgente di vita in noi: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Ricevendo la Santissima Eucarestia, che aumenta in noi la grazia santificante, introduciamo in noi un germe di immortalità: “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno” (ib. 58). Il primo mistero glorioso del Rosario ci fa contemplare quello stesso Gesù Pane vivo che noi riceviamo nella Santissima Eucarestia. 2° mistero: l’ascensione. Forse noi siamo portati a pensare che il corpo di Gesù che è presente nel SS. Sacramento sia un corpo “uguale” a quello di Gesù che è in Cielo, dove è salito con l’ascensione, ma non sia lo stesso preciso e identico corpo. E invece no! E’ questo un punto importante da tenere presente. Quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione il pane non diventa un “altro” corpo di Gesù, ma diventa quello stesso corpo che è in Cielo. E lo stesso si dica del vino che diventa sangue. Qui sta il mistero eucaristico: quello stesso corpo che è in Cielo è anche sotto le specie del pane. Non sono due corpi distinti. Infatti il corpo del Signore è unico, e non può essere moltiplicato. Nelle varie ostie consacrate si moltiplica la presenza, non si moltiplica la realtà. Quindi quando noi adoriamo l’Ostia Santa adoriamo quello stesso corpo di Gesù che è asceso al Cielo e che siede alla destra del Padre. Gesù, nella sua infinita sapienza, ha trovato il modo di essere personalmente in mezzo a noi, anche come uomo, pur senza lasciare il Cielo. Nell’Eucarestia noi siamo alla presenza di Gesù come se fossimo già in Paradiso. In questo senso l’Eucarestia è l’anticipo della vita eterna. Come è bello pensare a queste cose quando si recita il santo rosario davanti al SS. Sacramento! 3° mistero: la discesa dello Spirito Santo. Gesù è vissuto circa trent’anni su questa terra, poi è salito al Cielo. Ma non ci ha lasciato orfani, poiché ci ha dato il suo Spirito Santo, che sarà sempre con noi. Qualcosa di simile accade nella comunione eucarestia. Infatti dopo la comunione Gesù rimane presente dentro noi con il suo corpo santissimo solo per alcuni minuti, poi la sua presenza eucaristica scompare. Rimane però la sua presenza di grazia, cioè rimane in noi il suo Spirito Santo. E a ben pensarci è per questo che Gesù viene in noi. Infatti Egli è disceso dal Cielo, si è incarnato, è morto, risorto e salito al Cielo per darci la vita divina della grazia, cioè lo Spirito santo. Così nell’Eucarestia Egli viene in noi per aumentare in noi la vita divina, cioè per far sì che lo Spirito santo ci pervada sempre più profondamente.

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Facciamo sì che ogni comunione ci renda sempre più “spirituali”, ossia ci faccia vivere sempre più intensamente della vita dello Spirito: lasciamoci guidare da Lui e lasciamoci infiammare dal suo amore. 4° mistero: l’assunzione di Maria santissima al Cielo. Perché il Signore ha voluto assumere la Beata vergine Maria anche nel suo corpo? Si possono portare molte ragioni, una delle quali è la seguente: Maria Santissima è stata assunta in Cielo in anima e corpo perché tutta la sua vita, sia nella dimensione spirituale che in quella corporale, era così totalmente sottomessa a Dio da essere “assumibile”, cioè degna di essere trasportata in Cielo. La vita divina della grazia permeava di sé anche l’aspetto corporale dell’esistenza terrena di Maria. Così la Beata Vergine diventa un modello per noi quando riceviamo la Santissima Eucarestia. Infatti nella comunione noi riceviamo il corpo e il sangue di Gesù. E’ questo un invito a lasciarci pervadere dalla vita divina della grazia anche nella nostra dimensione corporale, a glorificare Dio nel nostro corpo. 5° mistero: l’incoronazione di Maria nella gloria del Cielo. Il quinto mistero glorioso ci fa pensare al Paradiso, e alla schiera dei santi e dei beati, di cui la Beata Vergine è la Regina. Ma in che cosa consiste la vita eterna? Vedremo Dio e saremo con Gesù. Quanto al vedere Dio dobbiamo aspettare di entrare nell’altra vita, ma quanto all’essere con Gesù possiamo già anticiparlo quaggiù: infatti non si può pensare ad un’unione più intima con Gesù di quella che si verifica nell’Eucarestia, quando ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue. In un certo senso fare la santa comunione è già un po’ entrare in Paradiso. Proprio come dice il Signore: “Chi mangia la mia carne (...) ha la vita eterna”. Si può quindi dire che tanto il Rosario, nel suo ultimo mistero, quanto l’Eucarestia, ci fanno pregustare sin da quaggiù la beatitudine eterna del Paradiso, che è la meta del nostro pellegrinaggio terreno.

Dinanzi al Santissimo Sacramento esposto si può recitare comunitariamente il santo Rosario, che è - come si esprime Paolo VI nell’Esortazione apostolica Marialis cultus - “preghiera evangelica, incentrata nel mistero dell’Incarnazione redentrice... preghiera di orientamento nettamente cristologico”. (Da “Comunione e culto eucaristico fuori dalla Messa”, secondo la liturgia della Chiesa di Milano, 1984, n. 145)

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POSSIAMO CAPIRE QUALCOSA ANCHE NOI DEL GIUBILEO?

a cura di P. Paolo Maria Calaon O.P.

...ogni cosa gli appartiene In occasione dell’Anno Santo del Duemila, milioni di fedeli si metteranno in viaggio verso Roma e verso la Terra Santa, per ricevere l’indulgenza plenaria, concessa in occasione del Giubileo. Si faranno “pellegrini”, lasceranno le loro case e si dirigeranno verso i luoghi più cari alla Cristianità. In questi luoghi, lungo i secoli, i cristiani hanno testimoniato, con la vita e con il loro sangue, la loro fede. Da questi luoghi, ancora oggi, milioni di pellegrini chiederanno a Dio il dono proprio dell’anno giubilare: il perdono. Sin dai primi secoli della Chiesa chi voleva chiedere perdono era spesso invitato ad intraprendere un pellegrinaggio penitenziale, per supplicare da Dio il perdono delle colpe e la conversione del cuore. In questo spirito, l’Anno Santo del Duemila sarà l’occasione di diventare dei veri “pellegrini”. Ma chi è un pellegrino? Il termine latino da cui proviene (per eger) significa: “valicare i confini”. Un pellegrino non è soltanto colui che si mette in cammino, ma colui che “varca i confini” della sua patria, per andare verso un altro paese. Uno dei pellegrini più significativi, nella Bibbia, è Abramo. Aveva la sua casa, i suoi poderi, le sue ricchezze che lungo gli anni si era costruito con rettitudine e giustizia. Un giorno Dio gli si presenta e gli fa una proposta inattesa dicendogli: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò” (Gn 12, 1). Ed Abramo lascia tutto, lascia la regione di Ur dei Caldei, varcando i confini da lui conosciuti, per andare verso questo luogo dove “scorre latte e miele”. Ma se è dolce il pensiero di questo sconosciuto paese, non è altrettanto il ricordo lacerante della sua terra natia, dove viveva tranquillo e sicuro. Lì stava bene, aveva le sue proprietà e tutti lo onoravano. Nell’intraprendere questo viaggio sapeva che metteva in gioco tutte le sue tranquillità, tutte quelle piccole o grandi sicurezze a cui si aggrappava. L’unica realtà a cui poteva aggrapparsi era la parola di Dio e solo su quella. Dio non gli dava garanzie, e gli chiedeva di fidarsi sulla sua parola. È proprio “sulla sua parola” che Abramo è partito, come più tardi anche Pietro, per la parola di Gesù getterà le reti in mare, per poi lasciare tutto e seguirLo... La storia del popolo di Israele, è stata, in fondo, la storia di un lungo pellegrinaggio, per raggiungere o ritornare nella Terra Promessa. Come anche la storia della Chiesa “è il diario vivente - dice il Papa - di un pellegrinaggio mai terminato. In cammino verso la città dei santi

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Pietro e Paolo, verso la Terra santa, o verso gli antichi e nuovi santuari dedicati alla Vergine Maria e ai Santi: ecco la meta di tanti fedeli che alimentano così la loro pietà” (Incarnationis mysterium, 7). Nella Chiesa l’istituzione giubilare del pellegrinaggio “evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore” (idem). Chi intraprende un pellegrinaggio è perciò qualcuno che desidera veramente “varcare i confini” del suo paese. Non solo varcare i confini geografici, ma soprattutto essere pronto a lasciare le sue sicurezze, i luoghi a cui si aggrappava, le idee di cui si faceva forte. In una parola un pellegrino è qualcuno che “consegna i bagagli alla partenza”, senza sapere che cosa accadrà. Essere un pellegrino significa “vivere senza fare provviste per il futuro”, senza attaccarsi alle ricchezze che si possiedono, perché appesantiscono il cammino. Un pellegrino è qualcuno che non “ha dove posare il capo”, perché è sempre “di passaggio”, non fa tempo ad abituarsi ad un posto che subito deve ripartire. Lasciando la sua patria, in fondo, il pellegrino dimentica se stesso, non si appartiene più, ma dipende da Colui che lo attira alla meta, così come una calamita attrae il pezzo di ferro che gli si avvicina. Non possedendosi più, è il più ricco di tutti, ed ogni cosa gli appartiene. Due pellegrini che si dirigevano a Kiev lo confermano: “Ogni giorno in mezzo ai campi pregavamo Dio, ogni giorno parlavamo di Dio e del Regno dei Cieli. Il nostro cuore era leggero. Ci sentivamo signori, re della terra. Tutta la natura pareva esultare con noi. Io mi sentivo particolarmente felice quando dovevamo attraversare dei campi e dei boschi. Le allodole, gli usignoli, i tordi, i cardellini, le gru, tutti li uccelli, gli animali, gli alberi, le erbe, e di notte le stelle del cielo tenevano desta la nostra anima ...” (Le mie missioni in Siberia, p. 27). Il “cuore leggero” di cui parlano questi due pellegrini, è il dono che Dio concede a coloro che intraprendono, nella loro anima, un pellegrinaggio “invisibile”. Questi sono i veri pellegrini che desiderano “varcare i confini” creati dalle mura di durezza e di ribellione, e che costituiscono un “muro di divisione” tra l’anima e Dio. È’ la “riforma del cuore”, come si esprime Giovanni Paolo II (Incarnationis mysterium, 7). Ogni pellegrino dovrà, con S. Agostino, invocare dal Signore un cuore capace di amare: “dammi un cuore anelante, un cuore ardente che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte della patria eterna”.

Dio onnipotente e misericordioso, tu provvedi a chi ti ama e sempre e dovunque sei vicino a chi ti cerca con cuore sincero; assisti i tuoi figli nel pellegrinaggio e guida i loro passi nella tua volontà, perchè protetti dalla tua ombra nel giorno ed illuminati dalla tua luce nella notte, possano giungere alla meta desiderata (da “Sulle vie del Signore”)

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... e altre coserelle

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a Enciclopedia cattolica, nel suo VII volume, alla voce “Maggio”, riporta un trafiletto di poche righe, a firma Arnaldo Lanz, in cui egli tratta dell’origine della consacrazione del mese di maggio alla Madonna. E dopo aver accennato che già nel medioevo a Mantova e a Parigi si consacravano a Maria Santissima i primi giorni del mese, ricorda che anche il nostro beato Enrico Seuze si distinse per tale devozione e che anche S. Filippo Neri raccoglieva in tal mese i giovani attorno ad un’immagine della Vergine, animandoli ad adornarla con i primi fiori della bella stagione. Il Lanz, riprendendo evidentemente la notizia da quanto documenta Emilio Campana (Maria nel culto cattolico, vol. I, Torino-Roma 1933, pp. 479482), attribuisce il merito, se non della nascita almeno della diffusione di questa devozione, al gesuita Annibale Dionisi, che nel 1726 stampò a Parma in seconda edizione un libriccino di 70 pagine dal titolo: “Il mese di Maria, o sia il mese di maggio, consacrato a Maria coll’esercizio di vari fiori di virtù, proposti ai veri divoti di lei dal P. Annibale Dionisi della Compagnia di Gesù, da praticarsi nelle case, dai padri di famiglia; nei monasteri; nelle botteghe, ecc. ‘Flores apparuerunt in terra nostra’ (Cant. II, v.12). In Parma per gli eredi di Paolo Monti”. L’esercizio che il Dionisi proponeva consisteva nell’esporre e adornare con fiori e lumi una immagine di Maria nella stanza più frequentata della casa, nel recitare insieme dinanzi ad essa la corona del Rosario o le litanie della Vergine, leggendo dopo di ciò una breve considerazione per ogni giorno ed un esempio, estraendo a sorte un “fioretto” o atto di virtù da praticare, un ossequio ed una giaculatoria. Il mese si chiudeva con l’offerta del cuore a Maria. Il Lanz, pur ammettendo che il Dionisi in tal modo non fece altro che dar forma ad un pio uso che qua e là vigeva da tempo, non fa alcuna esplicita allusione alle origini domenicane di questa devozione, di cui tratta invece a lungo il citato volume del Campana, alle pagine 475-477. Siccome, accanto a quelli dei nostri lettori che già conoscono queste origini ce ne sono certamente molti altri che le ignorano, a utilità di questi ultimi vogliamo riassumere

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ampiamente quanto il Campana racconta, riprendendolo da un documento conservato nell’archivio del convento di S. Domenico di Fiesole, citato e riportato in un articolo a suo tempo scritto dal Padre Ferretti sull’Unità Cattolica di Firenze e del quale si occupò anche il Congresso Mariano tenuto in quella città nel 1897. Orbene nella Cronaca del convento di S. Domenico di Fiesole dell’anno 1670, si narra che l’11 novembre di quell’anno il “buon Padre Angelo Domenico Guinigi fu dal Priore mandato fuori a spasso coi novizi”, i quali poi riferirono ch’egli “ragionando familiarmente, ci disse molte belle cose della SS. Vergine... e tutti cominciammo a desiderare d’esser suoi veri servi... Un giorno seguente pregammo il Priore che volesse ancora mandare il Padre Guinigi con noi, acciò ci ragionasse e discorresse della SS. Vergine, per il gran gusto che avevamo avuto il giorno passato...”. La Cronaca, dopo aver riferito ancora di quei dolci colloqui, racconta come quei pii novizi, rientrati in convento, decidessero di fondare tra loro una comunella, alla quale tutti si iscrivessero, con lo scopo di onorare in vari modi Maria. “Essendo poi giunte le feste di maggio” - si tratta del famoso Calendimaggio, che celebravasi con canti e suoni a Firenze e soprattutto sulle belle colline fiesolane - “sentendo noi il giorno avanti molti secolari, che incominciavano a cantar maggio e a far festa alle creature da loro amate, stabilimmo di volerlo cantare anche noi alla SS. Vergine Maria, nostra amatissima Madre; e che era dovere che non ci lasciassimo superare dai secolari, i quali facevano tanta festa per le creature da loro amate... Per questo dunque, la prima festa di maggio andammo tutti al presepio e ci protestammo, che intendevamo fare alla SS. Vergine quello che fanno i mondani alle loro spose, in segno che desideravamo che tutto il nostro onore fosse collocato solo nella SS. Vergine, come la creatura più santa e più nobile di tutte... Si cantò le litanie e altri inni alla SS. Vergine e si fece altre coserelle in onore della nostra SS. Madre... Nella seconda festa di maggio furono cantate al solito le litanie; e alle parole Regina Angelorum fu coronata la Madonna con una corona di rose fresche e a S.Giuseppe ed al Bambin Gesù fu posta una bella rosa in mano. Il giorno stesso fu offerto un cuore d’argento, ove anche i buoni secolari vollero mettere il nome”. La Cronaca continua poi nel dire che questo pio esercizio fu continuato negli anni seguenti, e col 1701 fu esteso a tutte le feste o Domeniche del mese, con l’aggiunta di fare ogni giorno qualche atto di mortificazione o di prestare maggior attenzione nella recita dell’ufficio divino, in modo da “imporporare colla mortificazione le mistiche rose per abbellire Maria”. In altre parole, - come si può constatare - si deve a quei novizi anche l’inizio della pia pratica del fioretto. Questa pratica, nata dall’ingenuo amore di questi novizi per la loro Madre del cielo, fu ben presto conosciuta anche fuori del Convento e la Cronaca, riportandone anche i nomi più illustri, assicura che alla comunella vollero iscriversi e praticarla anche ecclesiastici e laici della zona. Sicché il Padre Ferretti poteva concludere il su citato suo articolo affermando: “Come nel noviziato di Fiesole alla fine del ‘600, così, ed anche prima, può essere benissimo che in altri luoghi d’Italia e di fuori sia sorta in menti divote la felice idea di onorare Maria nel bel mese di maggio. Ma finché non si portino fatti e date anteriori, il primato spetta ai cari novizi domenicani che nella storica collina delle Maggiolate, in vista della Città dei fiori, sentirono nascere questo santo desiderio nelle loro vergini anime”. Ho voluto ricordare queste origini domenicane della pia pratica del mese di maggio, non per riesumare una delle tante nostre glorie del passato, ma nella speranza che i nostri amici e lettori, ripensando ad essa rinfocolino il loro amore per Maria, ispiratrice e speciale Patrona del nostro Ordine, alla quale ogni anno l’8 maggio, memoria liturgica di questo suo Patrocinio, noi ci riconsacriamo con la bella preghiera dettata prima per noi, e poi per tutti i devoti di Maria sparsi nel mondo, dal confratello Bartolo Longo. P. Pietro Lippini o.p.

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Fermarsi sul più bello

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ei “Novissima Verba” sono raccolte, dalla sorella Madre Agnese, alcune delle ultime parole di S. Teresa di Gesù Bambino. Eccone una del 23 agosto 1897 (pronunciata dunque, ad un mese circa dalla morte): “Mi parlò ancora della Vergine Santa dicendomi che tutto quello che aveva inteso predicare riguardo a lei non l’aveva commossa”. “Che i sacerdoti ci mostrino delle virtù praticabili! E’ bene parlare delle sue prerogative, ma bisogna soprattutto poterla imitare. Lei preferisce l’imitazione. Per quanto sia bella una predica sulla Santa Vergine, se tutto il tempo si è costretti a fare: Ah!... Ah!..., se ne ha abbastanza! Come mi piace di cantarle: Il sentiero stretto del Cielo, tu hai reso facile praticando sempre le virtù più umili”. Leggendo quello che dice S. Teresa di certe prediche altisonanti ho pensato a certi trattati di mariologia o comunque libri dedicati alla B. Vergine di qualche anno fa. Questi libri parlavano giustamente delle prerogative, dei “privilegi” di Maria ss.ma, ma non approfondivano il legame che ci può unire a Lei, quel legame filiale - con tutta la ricchezza e le sfumature del caso - che ci viene ‘annunciato’ nel Vangelo di S. Giovanni (e a ben vedere in tutto il Vangelo): “Donna, ecco il tuo figlio!... Ecco la tua madre!”. Credo che per quanto riguarda la predicazione si sia fatto uno sforzo per correggere certi eccessi e certe mancanze di discrezione. Non vorrei però, e questa preoccupazione non è priva di fondamento, che in questa reazione si arrivasse fino al punto di non parlare più delle prerogative della Santa Vergine e di ridurla al nostro livello... di poveri peccatori che ricorrono a lei! Un’eco di questa tendenza l’ho colta nelle parole di una giovane studentessa di teologia che mi diceva che, essendo la Madonna “come noi”, non poteva che essere del tutto all’oscuro sulla missione di Salvatore - attraverso la morte e risurrezione - di suo Figlio. Come trovare allora quell’equilibrio superiore, sapienziale che ci consente di salvare i privilegi della Santa Vergine senza che questa considerazione freni la nostra confidenza verso di Lei, ma anzi la confermi e la alimenti? Prima però di cercare la risposta vorrei fare un’osservazione più pratica. Quello che dice S. Teresina delle prediche che finivano con l’innalzare la Madonna a tal punto da renderla inaccessibile non si può estendere anche a un certo modo di concepire e di vivere la devozione mariana? Interroghiamoci sul culto che Le tributiamo, sulle preghiere che Le rivolgiamo, sui pellegrinaggi che facciamo per andare a trovarla? Spesso Le chiediamo degli aiuti e dei favori. Non credo che di fronte a questo si possa storcere il naso. Nel vangelo Gesù non si sottrae alle richieste di guarigione. Non si tratta (più di una persona mi ha espresso questo dubbio) di richieste egoistiche e troppo materiali, prima di tutto perché non si può certo definire egoistico il desiderio che un paralitico ha di camminare e poi perché noi siamo materiali, siamo povere creature segnate dal peccato; come dice S.

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Agostino siamo mendicanti. Ma il motivo ultimo per cui Gesù non respinge queste richieste è che si manifesta in esse - per quanto forse rozzamente - la fede nella Sua Potenza, non la fede teorica nella Potenza di Dio, quella l’avevano anche i Farisei, ma la fede nella Potenza di Dio qui ed ora. Qui ed ora la Potenza di Dio può farmi camminare, vedere, parlare... Anche le richieste alla Madonna di aiuti e favori manifestano una certa fiducia nei suoi confronti ... ma basta questo? Non rischiamo di avere verso la B. Vergine lo stesso atteggiamento che aveva “la folla” nei confronti di Gesù? Era gente semplice, priva di tutte quelle complicazioni e di quei preconcetti che impedivano a tanti “sapienti ed intelligenti” di capire Gesù. Il loro peccato però era quello di non andare avanti, di fermarsi dopo lo slancio iniziale di fede e di entusiasmo. E così anche noi rischiamo sì di credere nella potenza di intercessione che è stata affidata alla Madonna, di celebrarla magari con parole altisonanti... e di fermarci qui proprio quando doveva iniziare il cammino o meglio quando doveva avvenire la scoperta del “segreto” di Maria ss.ma, quel segreto riscoperto per i nostri tempi da S. Teresa di Gesù Bambino. Non si può certo esporre in poche righe la dottrina di S. Teresa. Mi limiterò a una sola citazione, dal Manoscritto “A” al n° 120: “Lo so, ‘colui al quale si rimette meno, ama meno’ (Lc 7,47) ma so anche che Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché mi ha rimesso in anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che sento! Ecco un esempio che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il figlio d’un medico abile incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre a lui, lo rialza con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse della sua arte, e ben presto il figlio completamente guarito gli dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben ragione d’amare suo padre! Ma farò ancora un’altra ipotesi. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trova una pietra, si affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda. Certamente questo figlio oggetto della sua tenerezza previdente, non sapendo la sventura dalla quale è liberato per mezzo di suo padre, non testimonierà a lui la propria riconoscenza e l’amerà meno che se fosse stato guarito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è stato sottratto, non amerà di più suo padre? Ebbene, io sono quel figlio, oggetto dell’amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il Verbo a riscattare i giusti, bensì i peccatori (Mt 9,13). Vuole che io lo ami perché mi ha rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso che io lo amassi molto, come santa Maddalena, ma ha voluto che io sappia com’egli mi ha amata d’un amore d’ineffabile previdenza, affinché ora io ami lui alla follia! Ho inteso dire che non si è mai incontrata un’anima pura la quale ami più di un’anima penitente; ah! come vorrei smentire questa parola!”. Non vi sembra che sia la Vergine stessa a parlare e quasi a confidarsi attraverso questa ed altre parole di S. Teresa? A offrirci una luce ed un invito a cui non possono sottrarsi la teologia, la predicazione... e i peccatori che si rifugiano in Lei. P. Paolo Maria Gerosa o. p.

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FAENZA QUINDICI VISITE AD ONORE DI NOSTRA SIGNORA DI LOURDES

Il 23 gennaio, nella nostra Fraternita Laica Domenicana “S. Pio V” di Faenza, abbiamo avuto in visita il P. Mauro Persici. Ci ha parlato della Madonna, dell’importanza del S. Rosario e della bella opportunità che tutti hanno di poter lucrare le Indulgenze e godere dei Benefici dell’Ordine Domenicano, iscrivendosi all’Associazione del Rosario, nelle tre forme proposte dai Domenicani. E’ stato ascoltato con grande gioia ed interesse e dopo l’incontro, in un momento di condivisione, P. Mauro ci ha chiesto in che dimensione e in quali forme è vissuta a Faenza la devozione a Maria Santissima. A me subito è affiorato al cuore e agli occhi della mente lo spettacolare momento, sempre vivamente atteso, dello svolgersi della “Pratica delle quindici visite in onore di Nostra Signora di Lourdes”. Brevemente glielo ho illustrato, al che il Padre mi ha chiesto se mi sentivo di darne testimonianza ai lettori della nostra bella rivista “ROSARIUM”. Ed allora eccomi qui con voi, pur con la mia poca abilità, a cercare di trasmettervi la gioia, che già provo in cuore, al solo pensiero di poter vivere presto questa pratica che ha il potere di farci sentire davanti alla Grotta di Lourdes. Fin dal 1950, allora giovanetta e “Figlia di Maria”, non ho mai cessato di praticarla, perché si sente in cuore un richiamo talmente forte che è impossibile resistergli. Cos’è dunque questa devozione? E’, in pratica, fare come fece Bernadetta, alla quale la Vergine, nella terza Apparizione del 18 febbraio 1858, disse: “Volete avere la gentilezza di venire qui durante quindici giorni?”. Al sì di Bernadetta, Ella rispose: “Non vi prometto di farvi felice in questo mondo, ma nell’altro”. Ed ora questo lo promette anche a noi che seguiamo il Suo invito; una moltitudine di persone. Faenza sembra risvegliarsi e come una “fiumana”, ininterrottamente, gente di ogni età, uomini, donne, anziani, ammalati in carrozzella, giovani e mamme con bambini si dirige, per tutto l’arco della giornata e per 15 giorni, alla Chiesa di S. Maria dell’Angelo. Una bellissima statua di Nostra Signora di Lourdes viene posta, per l’occasione, in gloria sull’altar maggiore, tra cascate di fiori e di luci. Per quindici giorni la Chiesa viene aperta alle 6,30 e chiusa alle 20 ed in ogni ora del mattino viene celebrata una S. Messa e due al pomeriggio. Inoltre dalle 16,30 alle 18,30 si fa l’Adorazione Eucaristica per le vocazioni.

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Come e quando è nata questa pia pratica, ce lo dice il Parroco Mons. Giuseppe Piazza, che dal 1969 è Rettore di questa Chiesa e che, con amore ed entusiasmo inesauribili, è l’animatore di queste giornate di preghiera. Ci dice: “Era il 1875 quando la Marchesa Stanga di Milano venne sposa al Conte Cavina, Nobiluomo faentino e parrocchiano di S. Maria dell’Angelo. Tra le tante cose portate in dote, c’era anche una bellissima statua, di squisito valore artistico, raffigurante Nostra Signora di Lourdes. E’ evidente che, sebbene a pochi anni dall’Apparizione, a Milano se ne praticava la devozione, cosa che la Contessa continuò a Faenza, diffondendola. Purtroppo la Nobildonna morì giovanissima e i Conti Cavina donarono la statua all’allora Parroco Mons. Eutimmio Pasotti che, però, la mise in una piccola cappellina alla sinistra del portale d’ingresso. Proprio lì, in quell’umile collocazione, in forma silenziosa e modesta, praticata da donne e giovanette, iniziò anche a Faenza la pratica delle quindici visite. Ben presto prese importanza, diffondendosi la voce delle innumerevoli Grazie e Miracoli avvenuti, tanto che il Parroco fu costretto a dedicare una delle sei cappelle laterali alla Beata vergine di Lourdes, riproducendo in stucchi la grotta delle Apparizioni collocandovi la venerata Immagine con ai suoi piedi Bernadetta in preghiera. Da allora è giunta, con pari amore ed entusiasmo, fino ai giorni nostri. Il servizio religioso per i fedeli è svolto da tanti Sacerdoti, per le innumerevoli confessioni e per la celebrazione delle SS. Messe, mentre tanti altri Sacerdoti si notano tra la folla, inginocchiati con la Corona tra le mani”. Non ho certo altro da aggiungere all’esauriente resoconto storico fattoci dal Rettore Mons. Piazza, mi limito ad aggiungere che sono molto grata al P. Mauro per avermi chiesto di darne testimonianza, mi auguro che in altre Parrocchie si diffonda questa bella devozione. La Corona del S. Rosario ci unisce tutti e, siamone certi, Maria Santissima ci tiene sotto il Suo Manto. Mariagrazia Varaldo Laica Domenicana

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CASTELBOLOGNESE OGNI ANNO A MAGGIO

Ogni anno, per tutto il mese di Maggio, i parrocchiani di S. Petronio in Castelbolognese (Ra) si riuniscono alla sera presso i “pilastrini” (piccole edicole dedicate alla Madonna) per la recita del santo rosario. Al termine del mese tutti i gruppi di preghiera mariana dai vari luoghi disseminati nella parrocchia convengono in una processione portando ceri accesi per recarsi al santuario di S. Francesco che è al centro del paese... si conclude così in modo solenne e comunitario il mese dedicato alla Beata Vergine. E’ in questa occasione che ai rosarianti vengono distribuiti i foulards: questi bambini che si assumono l’impegno di recitare ogni giorno un mistero del santo rosario e di riunirsi ogni prima domenica del mese per pregare insieme. Nella foto il momento della consegna dei foulards.

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dalle missioni

Di fronte alla loro gioia semplice si tocca l’Amore di Dio...

Sono un confratello di Padre Mauro, domenicano anch’io. Mi chiamo Padre Dominique e ho studiato a Bologna dove sono stato ordinato sacerdote. Da un anno mi trovo a Yalta, in Ucraina, più precisamente in quella penisola sul mar Nero che si chiama Crimea. Prima della crisi era la riviera (la costa azzurra) dell’Unione Sovietica. A Yalta, nel 1906, la comunità cattolica polacca ottenne dallo Zar il permesso di costruire nel centro della città una chiesa dedicata a Maria Immacolata. Nel 1919, dopo la rivoluzione bolscevica, fu chiusa al culto, prima abbandonata, poi trasformata in museo ed infine in sala da concerto. Dopo decenni senza sacerdoti cattolici in Crimea, nel 1993, arrivò il padre Roman Dzerdziak, un domenicano ucraino ordinato segretamente sotto il regime comunista. Dopo lunghe trattative, arrivando ad un compromesso, la chiesa fu riaperta al culto: i concerti continuano, ma all’inizio di ogni concerto si legge una pagina di Vangelo. All’inizio, cominciarono a venire alcune persone, già battezzate in segreto, che sapevano soltanto qualche preghiera in polacco imparata dalla loro nonna; poi arrivarono i primi russi cattolici provenienti in parte dal protestantesimo. Ora i parrocchiani sono più di un centinaio e continuano lentamente ad aumentare. Ci sono anche greco cattolici, cioè cattolici di rito orientale, che, in attesa di una chiesa, celebrano da noi. Adesso siamo in due, Padre Vladislav, un padre polacco, domenicano, ed

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io. Ci occupiamo di catechesi per adulti e giovani, assistiamo i piccoli gruppi di cattolici che nascono nei paesi e nelle città intorno a noi, e curiamo una trasmissione radiofonica che viene diffusa ogni giovedì. Quando partii confesso d’aver avuto una certa paura, per la miseria che avrei trovato, ma sono stato accolto con un tale entusiasmo che..., in particolare ricordo una bambina che aveva pregato per sei mesi perché venisse un sacerdote; dopo anni senza sacerdoti, queste persone erano tanto felici che qualcuno andasse a portare loro l’eucaristia, a predicare. Ci si trova quotidianamente davanti al mistero di Cristo che non è venuto a togliere la sofferenza e la miseria, ma che ha il potere di trasfigurarle. Di fronte alla loro gioia semplice si tocca l’Amore di Dio, e quasi ci si dimentica che aspettano con ansia la fine del mese lavorativo per sapere se saranno pagati o no, che è difficile trovare medicinali, che molte persone anziane devono a volte raccogliere bottiglie o vendere sigarette per strada perché non hanno quasi niente per vivere, e tante altre sofferenze e miserie. Per questo mi permetto di chiedere le vostre preghiere e il vostro aiuto, perché possiamo continuare a portare loro l’eucaristia, i sacramenti, a predicare, e anche ad aiutarli con medicinali, alimentari... Adesso la parrocchia vorrebbe anche preparare dei pasti da portare a persone anziane e ammalate. Vi ringraziamo per il dono già ricevuto che quest’estate ha permesso ai bambini di passare delle vacanze in campagna e includo anche i ringraziamenti con la firma dei bambini della nostra parrocchia e di quelli della parrocchia vicina di Simferopol. p. Dominique Marie Simon o.p.

Estratto da una lettera di una missionaria in Sri Lanka ... Sì, è venuto veramente lo Spirito Santo e fa molti miracoli fra la gente. Qualche giovani si pregano molto, con la S.Scrittura si riflettono delle meraviglie di Dio e di Gesù uomo. Si digiunano e vanno in villaggio in villaggio spiegando la Buona Novella, li ammalati si guariscono. Questi giovani ben preparati, vanno avanti pregando alla folla, qualche buddista si converte al cattolicesimo. La loro fede è forte, sperimentano la forza dello Spirito Santo. Tutti siamo discepoli di Gesù col Battesimo e con la Cresima abbiamo ricevuto lo Spirito Santo. Possiamo sperimentare la forza dello Spirito? Allora lavoriamo. Proviamo. Vedrete anche voi potete fare dei miracoli nel nome di Gesù. Noi ora abbiamo molte esperienze. Però dobbiamo pregare con tanta fede e con i sacrifici, dominando il corpo, chiedendo il perdono delle offese che abbiamo commesso contro la Sua Volontà. Prego per voi... spero godrete la gioia di Cristo....

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Movimento Domenicano del Rosario “Provincia S. Domenico in Italia”

Incontri del Rosario 8 maggio Verona, chiesa di S. Anastasia ore 9.00 ritrovo e saluto ai partecipanti davanti alla chiesa di S. Anastasia ore 9.30 solenne celebrazione “Ora di Guardia” con breve meditazione dei misteri ore 11.15 celebrazione della santa messa ore 12.00 Supplica alla “Madonna di Paompei”

11 maggio Ravello di Rescaldina (MI) Santuario Madonna della Neve

13 maggio Santuario del Pelingo (PS) ore 15.00 ritrovo e saluto ai partecipanti davanti al Santuario ore 15.30 solenne celebrazione “Ora di Guardia” con breve meditazione dei misteri ore 17.00 celebrazione della santa messa ore 18.00 momento di fraternità e saluto

22-29 luglio

Settimana di ritiro

Adorando Gesù Eucarestia in preghiera con la Mamma Celeste Per informazioni rivolgersi al 0335/5938327

In casi di mancata consegna al destinatario il portalettere è pregato di specificarne il motivo contrassegnando con una X il quadratino corrispondente DESTINATARIO

INDIRIZZO OGGETTO

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SCONOSCIUTO PARTITO TRASFERITO IRREPERIBILE DECEDUTO INSUFFICIENTE INESATTO RIFIUTATO NON RICHIESTO NON AMMESSO

2/99 IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE ALL’UFFICIO CMP BOLOGNA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA


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