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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XL - n. 4 - IV trimestre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

4/2007


ROSARIUM Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 40°- n. 4 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s. Milano - via P. della Francesca 38 Movimento Domenicano del Rosario Via IV Novembre 19/E 43012 Fontanellato (PR) Tel. 0521822899 Fax 0521824056 Cell. 3355938327 e-mail movrosar@tin.it

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Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.

In copertina: Albero su cui è salito Zaccheo per vedere Gesù (foto di Paolo Gavina) Pag. 3 e seguenti: ROGER VAN DER WEYDEN, Dittico di Laurent Froimont, Madonna col Bambino. Caen, Musée des Beaux-Arts. Pag. 13: CARAVAGGIO, La Vergine con il Bambino che schiaccia il serpente, Roma, Galleria Borghese. Pag. 15: CARAVAGGIO, La Morte della Vergine, Parigi, Museo del Louvre. Pag. 26: GIOVAN PIETRO E AURELIO LUINI, Andata a Emmaus,chiesa pubblica, S. Maurizio al Monastero Maggiore, Milano

SOMMARIO Mariologia (X): Maria corredentrice. Le apparizioni mariane fra Roberto Coggi op

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Le “armi” di ogni cristiano Mauro Faverzani

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Maria, guida alla contemplazione del mistero di Cristo Madre Maria Cànopi osb

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ZENIT: un’agenzia stampa di successo

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Incontri del Rosario

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Catechismo: l’incedere

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Nuovi iscritti

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Pagina della riconoscenza

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Mariologia Pa r t e X

P. R o b e r t o C o g g i

Maria corredentrice Le apparizioni mariane


Maria corredentrice

Che la cooperazione di Maria all’opera di salvezza sia una realtà appare in modo evidentissimo dal consenso dato da Maria al momento dell’Annunciazione. Dal sì di Maria dipendeva la salvezza dell’umanità. È nota la bellissima pagina di S. Bernardo a questo proposito: «Hai udito, o Vergine: “Concepirai e partorirai un figlio”. Hai udito: non sarà opera di un uomo, ma dello Spirito Santo. L’angelo attende la tua risposta: è tempo per lui di ritornare a Dio che l’ha inviato».

«Anche noi, o Regina, attendiamo una parola di misericordia: noi, miseramente oppressi da una sentenza di condanna. Ecco, ti viene offerto il prezzo della nostra salvezza: saremo subito liberati se tu accetti (...). Noi siamo in preda alla morte. Una tua piccola risposta ci può però ricreare e richiamare alla vita (...).» Quello che S. Bernardo esprime liricamente con linguaggio poetico ispirato, S. Tommaso lo espone con la sua essenziale sobrietà teologica. In un passo famoso della Somma, egli scrive: «[Era necessaria l’Annunciazione] affinché si mostrasse che vi era un certo matrimonio tra il Figlio di Dio e l’umana natura. Per cui attraverso l’Annunciazione si attendeva il consenso della Vergine a nome di tutta la natura umana».

Il concetto è straordinariamente profondo, e lo stesso S. Tommaso non ne ha tratto tutte le conseguenze. Qui per natura umana si intende l’insieme di tutti gli uomini, l’umanità intera. L’incarnazione del Verbo è come un matrimonio fra il Verbo e l’intera umanità. Ma per il matrimonio ci vuole il consenso di entrambe le parti. Ora, come poteva l’umanità, composta di tanti soggetti distinti e per giunta diffusi lungo il corso dei secoli, esprimere il suo consenso al matrimonio con il Verbo? L’unica soluzione possibile era che l’umanità venisse rappresentata da qualcuno. Ora, questo qualcuno è stata una donna, la Vergine Maria. Al suo consenso quindi tutta l’umanità è debitrice. Non vi è quindi dubbio alcuno che con il suo sì pronunciato al momento dell’Annunciazione Maria abbia cooperato in modo decisivo alla redenzione del genere umano. Oltre alla cooperazione con il sì all’Incarnazione del Verbo, la Vergine Maria ha anche dato un suo contributo all’opera stessa della redenzione? Vorrei riproporre un’ipotesi teologica sulla corredenzione mariana. Innanzitutto occorre ribadire che Gesù Cristo è l’unico Redentore dell’umanità: questa è una verità centrale della nostra fede cristiana. Ma come va intesa questa unicità? Non necessariamente in un modo che escluda una certa quale partecipazione delle creature. Ricordiamo le profonde parole del Concilio a proposito di Gesù unico Mediatore (cf. 1 Tm 2, 5-6): «Nessuna creatura può mai essere posta allo stesso livello del Verbo Incarnato e Redentore; ma come il sacerdozio di Cristo è in vari modi partecipato sia dai sacri ministri sia dal popolo fedele, e come l’unica bontà di Dio è realmente diffusa in vari modi nelle creature, così anche l’unica mediazione del Redentore non esclude, ma anzi suscita nelle creature una varia cooperazione partecipata da un’unica fonte».

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Una volta ribadita dunque la verità indubitabile che Cristo è l’origine e la fonte di ogni grazia di salvezza per l’umanità, che tutto fa capo a Lui, bisogna aggiungere che, secondo il piano di Dio, anche le creature (angeli e uomini) sono chiamate a cooperare attivamente alla propria e all’altrui salvezza. È celebre l’espressione di S. Agostino: «Chi ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te». La cosa può essere compresa facilmente se teniamo presente la verità di fede per cui l’uomo, una volta giustificato gratuitamente per la grazia di Cristo (cf. Rm 3, 24), può e deve meritare la sua salvezza con le buone opere, e anche il fatto che chi si trova in grazia di Dio, e quindi è amico di Dio, può ottenere con le sue preghiere e con i suoi meriti, proprio in forza di questa amicizia con Dio, le grazie di salvezza per i suoi fratelli. Anzi, si può addirittura giungere a dire che tutta l’opera della redenzione compiuta da Gesù ha proprio questo scopo: far sì che l’uomo sia reso capace di salvare se stesso e di cooperare alla salvezza dei fratelli. Questa è la corredenzione. I cristiani non sono soltanto salvati, ma anche salvatori: essi «sono lieti delle sofferenze che sopportano per i loro fratelli, e completano nella loro carne quello che manca ai patimenti di Cristo (cioè alla loro partecipazione ai patimenti di Cristo), a favore del suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Se tutti i cristiani, tutta la Chiesa, attraverso la preghiera, i meriti, la volontaria accettazione delle croci quotidiane, sono i soggetti di questa corredenzione, di certo lo sarà anche la Vergine Maria. Ma il punto preciso e qualificante della dottrina della corredenzione mariana sta nel ritenere che la Beata Vergine non solo ha cooperato alla comunicazione delle grazie di salvezza (è la cosiddetta redenzione soggettiva) – cosa che in una certa misura è possibile anche a tutti noi, come si è detto –, ma ha cooperato anche all’acquisto della stessa salvezza (è la cosiddetta redenzione oggettiva). Per convincersi della validità di questa affermazione è sufficiente riflettere attentamente sui seguenti fatti: la Beata Vergine Maria è stata redenta prima, a parte e in modo più sublime rispetto al resto dell’umanità, grazie al privilegio dell’Immacolata Concezione; è stata associata come novella Eva al nuovo Adamo per divenire Madre della nuova umanità: «ha mantenuto la sua unione col Figlio fin sotto la croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cf. Gv 19, 25), soffrendo intensamente col suo Unigenito, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata» (Lumen Gentium 58).

Gesù Cristo, dopo aver redento Maria sua Madre preservandola dal peccato originale, suscita, unisce al proprio sacrificio e offre al Padre, per la redenzione del resto dell’umanità, la partecipazione della Vergine Immacolata, che quindi può essere detta «corredentrice». Così intesa, la dottrina della corredenzione mariana mette in luce come la sorgente di ogni salvezza stia in Gesù Redentore. La dottrina della corredenzione mariana sembra particolarmente adatta a suscitare nella mente e nel cuore dei fedeli un rinnovato interesse e un rinnovato amore verso la Beata Vergine Maria: non si può restare indifferenti nei suoi riguardi o sentirsi a Lei estranei quando si pensa che siamo stati salvati anche dal suo dolore,

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dolore che Ella ha accettato volontariamente per amore nostro. Alla luce di questa dottrina comprendiamo poi meglio perché, come dice il Concilio, la Beata Vergine assunta in cielo «non ha depositato questa funzione di salvezza (...), ma con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo, ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, finché non siano condotti nella patria beata». Avendo infatti cooperato all’acquisto della stessa salvezza, è logico e conveniente che Ella cooperi anche alla comunicazione di questa salvezza. La dottrina della corredenzione permette dunque di vedere meglio perché Maria viene spesso chiamata la Mediatrice di tutte le grazie. Ella, come si è detto, è presente in particolare nel Sacrificio Eucaristico, che è fonte e culmine della vita della Chiesa, e lo è anche nell’amministrazione dei sacramenti, quando i fedeli nascono e crescono in quella vita divina della grazia di cui Ella è Madre. La Beata Vergine ci appare dunque presente come compagna inseparabile in ogni attività salvifica del Redentore, sia terrena che celeste.

Le apparizioni mariane

Nella vita della Chiesa occupano un posto considerevole le apparizioni mariane. Basti pensare alle folle che ogni anno vanno in pellegrinaggio a santuari legati ad apparizioni: sette milioni a Guadalupe, quattro milioni e mezzo a Lourdes, vari milioni all’Aparecida, in Brasile. Bisogna poi riconoscere che, se oggi si prega poco e ci si confessa ancora meno, tuttavia i santuari mariani sono i luoghi dove si prega di più (e forse, possiamo dire, meglio), e dove ancora ci si confessa, spesso in seguito a clamorose conversioni. Ciò invita a riflettere sul ruolo che rivestono le apparizioni nella vita cristiana. E innanzitutto non si può non considerare che tutto il fatto cristiano comincia con un’apparizione: quella dell’angelo a Maria Santissima (Lc 1, 26 ss.). Possiamo dire poi che il cristianesimo come fenomeno storico inizia veramente quella domenica mattina in cui prima gli angeli, apparendo, annunziano alle donne la Risurrezione, poi Gesù stesso appare, prima alle donne e poi agli Apostoli. Infatti «il Signore è veramente risorto!» è il primo annuncio cristiano (cf. Lc 24, 34). Iniziando con Guadalupe, prende avvio una grande serie di apparizioni che caratterizzano soprattutto gli ultimi due secoli del secondo millennio, con Lourdes e Fatima. Le apparizioni mariane possono essere un grandissimo aiuto per chi è tentato nella fede. Oggi regna l’incredulità. Perché non pensare che la Madonna appaia proprio per darci un segno che Dio c’è, e che è presente? Vediamo adesso di considerare sommariamente le singole apparizioni. Guadalupe Innanzitutto ci sono le apparizioni di Guadalupe (1531). Siamo nel Messico, pochi anni dopo la conquista delle Americhe. La situazione è difficile: violenze dei conquistatori, difficoltà dei missionari. Il cristianesimo veniva sentito come una religione imposta e straniera, lontana dalla sensibilità degli indios. La religiosità del luogo era basata soprattutto sul linguaggio del canto e dei fiori: da qui la difficoltà

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di entrare in questa sensibilità e mentalità da parte degli evangelizzatori. Un indigeno da poco convertito e battezzato, Juan Diego (1474-1548), passando vicino a una collina sente un incantevole cinguettio di uccelli variopinti, quasi una musica celestiale. Mentre si guarda intorno stupito e incantato sente una voce che lo chiama: «Juanito, Juan Dieguito!». Scorge allora una bellissima Signora che lo invita ad avvicinarsi. Inizia un dialogo affettuoso e dolcissimo. Juan Diego riferisce la cosa al vescovo, che però è restio a credere. Allora la Madonna dà un segno: pur essendo il 12 dicembre, fa sbocciare delle fresche e splendide rose, che Juan Diego raccoglie nel suo mantello (la «tilma») per portarle al vescovo. Quando l’indio apre la tilma, di fronte al vescovo compare su di essa miracolosamente la splendida immagine della Signora, quale si può ammirare ancora oggi nel santuario di Guadalupe. L’aspetto più caratteristico di queste apparizioni è che la Beata Vergine appare a un indigeno del luogo e che i suoi lineamenti e il suo colorito sono quelli degli «indios». È così completamente superato l’ostacolo all’evangelizzazione derivante dal fatto che la nuova religione veniva sentita dagli indigeni come qualcosa di straniero. Le apparizioni di Guadalupe, è stato detto, furono come una seconda nascita per il popolo messicano. La risposta degli indios fu un’esplosione di pellegrinaggi, di feste e di conversioni in onore della Beata Vergine. Si parla di quindicimila battesimi al giorno. In dieci anni, dal 1531 al 1541, ci furono da sette a otto milioni di nuovi cristiani. L’America Latina è oggi il più grande continente cattolico del mondo. Ora, la sua conversione è iniziata con le apparizioni della Madonna di Guadalupe. È un fatto su cui vale la pena di meditare molto. La Medaglia Miracolosa Dopo circa tre secoli ha inizio una serie di apparizioni localizzate in Europa, a cominciare dai primi decenni dell’Ottocento. Perché in Europa e perché in quegli anni? Il motivo sembra chiaro. La Madonna appare dove e quando c’è bisogno del suo intervento. C’era bisogno del suo intervento a Guadalupe, per eliminare gli ostacoli all’evangelizzazione. C’era bisogno del suo intervento nell’Europa del primo Ottocento, poiché lì stava per iniziare quel processo di scristianizzazione che continua ancora oggi. La prima di queste apparizioni ha luogo a Parigi (Rue du Bac) nel 1830. La Madonna appare per tre volte alla suora novizia Caterina Labouré, di 23 anni. Dalle due ultime apparizioni ha origine la «medaglia miracolosa», la più diffusa medaglia di tutti i tempi (miliardi di copie in tutto il mondo). In essa appare la scritta: «O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi». S. Bernadette dirà che la Signora della grotta di Lourdes era simile a quella che compare nella medaglia miracolosa. Fra i miracoli operati da questa medaglia c’è la conversione dell’ebreo Alfonso Ratisbonne (1814-1884), acerrimo nemico della Chiesa. Accettando, a modo di sfida, di portare per qualche giorno al collo la medaglia, come gli avevano suggerito alcuni suoi amici cattolici, Ratisbonne entra un giorno nella chiesa di S. Andrea delle Fratte, a Roma. Ecco come egli descrive, sotto giuramento, quanto gli accad-

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de quel 20 gennaio 1842: «Levai gli occhi verso la cappella raggiante di tanta luce, e vidi sull’altare della medesima, in piedi, viva, raggiante, grande, maestosa, bellissima, misericordiosa, la Santissima Vergine Maria, simile, nell’atto e nella struttura, all’immagine che si vede sulla Medaglia Miracolosa dell’Immacolata. Mi fece cenno con la mano di inginocchiarmi (...). A tal vista caddi in ginocchio (...). Fissai le sue mani, e vidi l’espressione del perdono e della misericordia (...). Alla presenza della Santissima Vergine, quantunque ella non mi dicesse parola, compresi l’orrore dello stato in cui mi trovavo, la deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica, in una parola: capii tutto». Alfonso Ratisbonne chiese subito il battesimo, divenne sacerdote e fu il fondatore di una famiglia religiosa. La Salette Qui si ebbe un’unica apparizione, nel 1846, a due pastorelli, Melania e Massimino. La Madonna appare in lacrime. Lacrime per i peccati degli uomini, in particolare le bestemmie e il lavoro alla domenica. È commovente il desiderio dei due bambini di consolare la Beata Vergine. Massimino a un certo punto le dice: «Non pianga, Signora, la aiutiamo noi!». Lourdes L’11 febbraio 1858, quattro anni dopo la definizione del dogma dell’Immacolata, la Madonna appare a una fanciulla di 14 anni ignorante e povera, Bernadette Soubirous, nella cittadina di Lourdes, vicino ai Pirenei. La fanciulla è incantata di fronte alla bellezza della Signora, che le apparirà per diciotto volte in tutto (l’ultima apparizione avrà luogo il 16 luglio). «Ti prometto di farti felice non in questo mondo, ma nell’altro», dirà a Bernadette la bella Signora, la quale il 25 marzo rivelerà il suo nome: «Io sono l’Immacolata Concezione». Bernadette si farà suora e vivrà santamente fino a 35 anni, fra molte sofferenze fisiche e morali, ma sempre nella gioia, in attesa di rivedere in cielo l’Immacolata. Fatima Il 13 maggio 1917, durante la prima guerra mondiale e alla vigilia della rivoluzione di ottobre in Russia, la Vergine appare a tre pastorelli, Lucia, Giacinta e Francesco, rivelando di essere la Madonna del Rosario. Nelle sei apparizioni, che termineranno il 13 ottobre, la Vergine profetizza che se gli uomini non si convertiranno ci sarà una seconda guerra mondiale peggiore della prima, la Russia diffonderà i suoi errori nel mondo e molte nazioni saranno distrutte. Inoltre mostra ai tre bambini l’inferno, nel quale, dice, molte anime cadono perché non c’è chi preghi e si sacrifichi per loro. La salvezza del mondo dipenderà dalla consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, il quale, dice la Madonna, alla fine trionferà. La terza parte del segreto di Fatima, nella quale è profetizzato l’attentato al Papa Giovanni Paolo II, è stata pubblicata il 13 maggio dell’anno 2000.

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preghiera, adorazione eucaristica, catechesi

queste sono, per il Papa

… le “armi” di ogni cristiano

Non servono piani, progetti, strategie, astrazioni, opere: serve accogliere Cristo nel silenzio. Non solo preti, suore e religiosi, ma ogni battezzato è chiamato ad essere corresponsabile protagonista della missione della Chiesa, ad essere “autentico profeta”, forte di una fede matura. Rosario alla mano.

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l Card. François-Xavier Nguyên Van Thuân fu un testimone: forse molti lo ricorderanno. Fu Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Nutrì sempre la virtù teologale della speranza, pur avendo sperimentato una lunga detenzione – senza mai un processo – nelle carceri vietnamite. Da Vescovo, visse isolato per 13 anni dalla propria comunità diocesana. Da Cardinale, dovette fare i conti col tumore, che poi lo avrebbe divorato. Si spense nell’autunno del 2002. Ebbene, proprio lui – come ha ricordato Papa Benedetto XVI in occasione del quinto anniversario della sua morte – amava ripetere che “il cristiano è l’uomo dell’ora, dell’adesso, del momento presente da accogliere e vivere con l’amore di Cristo”. Parole, che ci devono interrogare, perché pronunciate da uno di “quei moltissimi fratelli e sorelle”, che – come ha richiamato il Presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco, in apertura del

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Consiglio Permanente dello scorso settembre – con la propria testimonianza di vita, spinta più volte in duemila anni di Cristianesimo anche sino al martirio, ci ricordano come “non possiamo puntare al ribasso nella vita cristiana, stemperando le esigenze alte del Vangelo e percorrendo la strada dei compromessi dottrinali o morali”. Una fede integra, insomma, quella sollecitataci da mons. Bagnasco, riprendendo un’antica raccomandazione, che fu propria già dei Padri della Chiesa. Non a caso, il Sommo Pontefice ha dedicato la scorso 19 settembre la propria catechesi a S. Giovanni Crisostomo, ricordando come in lui, quando parlava ai catecumeni, fosse “costante la preoccupazione della coerenza tra il pensiero espresso dalla parola ed il vissuto esistenziale”. Conoscenza e vita, insomma, camminano di pari passo. Con chiaro riferimento, in particolare, a quella conoscenza “esatta della vera dottrina” ed a quella “rettitudine della vita”, che, traducendo “in pratica” le esigenze “morali e spirituali della fede” tramite l’esercizio “dell’intelligenza, della vera ragione”, proclamano “il valore dell’uomo”. Il suo valore autentico. Senza ripensamenti e senza cedimenti: citando l’esempio di S. Giovanni Battista, nella solennità della sua nascita, il Santo Padre ne ha, infatti, indicato l’esempio, ricordando come egli, “da autentico profeta, rese testimonianza alla Verità senza compromessi. Denunciò le trasgressioni dei comandamenti di Dio, anche quando protagonisti ne erano i potenti”. Coerente ed integerrimo, sino in fondo. Ciò cui anche noi, anche ciascuno di noi è chiamato. Come riuscirvi? Nella società del “fare”, in cui l’agire prevale sull’essere, può sembrare strano, ma il Sommo Pontefice non ha proposto dei piani di lavoro, non ha disegnato progetti, né tracciato strategie. Anzi, ci ha detto che è vero proprio il contrario: “La fecondità apostolica e missionaria – ha ricordato ai giovani, citando Paolo VI, nel proprio messaggio per la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù – non è principalmente il risultato di programmi e metodi pastorali sapientemente elaborati ed efficienti, ma è frutto dell’incessante preghiera comunitaria”. Ed ha richiamato anche le parole di Giovanni Paolo II, quando disse che, “prima di essere azione, la missione della Chiesa è testimonianza e irradiazione”. Anche questo senza guardare in faccia a nessuno: “Qualcuno pensa che presentare il tesoro prezioso della fede alle persone che non la condividono significhi essere intolleranti verso di loro – scrive Benedetto XVI – ma non è così, perché proporre Cristo non significa imporlo”. Concetto così importante, da esser a più riprese ripetuto: ad esempio, lo scorso 7 maggio, ricevendo in udienza l’Assemblea Plenaria dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali. Alle quali evidenziò chi sia “l’autentico profeta”, ovvero colui che “non si preoccupa tanto di fare delle opere, cosa senza dubbio importante, ma mai essenziale. Egli si sfor-

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za soprattutto di essere testimone dell’amore di Dio, cercando di viverLo tra le realtà del mondo, anche se la sua presenza può talora risultare «scomoda», perché offre ed incarna valori alternativi”. In una parola, non ci si deve preoccupare d’esser “scomodi”, quando si annuncia la Verità. Al Santo Padre ha fatto eco anche il Presidente della Cei, mons. Angelo Bagnasco, nella prolusione al Consiglio Permanente dello scorso settembre, allorché disse: “Come la Storia dimostra, la vera civiltà non nasce da una buona organizzazione, ma da un’anima buona, cioè da quell’insieme di ideali spirituali, alti e nobili, che riguardano non tanto il funzionamento di un’esistenza, ma il senso dell’esistere”. Dunque, la preghiera è il primo degli strumenti cui fare abbondante ricorso. Bisogna, cioè, nella nostra vita saper fare spazio a Cristo, nel silenzio. Rosario alla mano. Il Sommo Pontefice è stato esplicito all’Angelus di domenica 14 ottobre, quando ha invitato i fedeli a rinnovare la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, poiché – ha detto – “Ella è un rifugio e un cammino, che conduce a Dio. Segno tangibile di questo affidamento è la preghiera quotidiana del Rosario”. Più chiaro di così! Il Santo Padre ne è talmente convinto, da ribadirlo senza tregua. Lo ha fatto, ad esempio, già nella domenica del Corpus Domini: “Nella vita di oggi, spesso rumorosa e dispersiva – ha affermato – è più che mai importante recuperare la capacità di silenzio interiore e di raccoglimento. L’adorazione eucaristica permette di farlo non solo intorno all’«io», bensì in compagnia di quel «Tu» pieno di amore che è Gesù Cristo, «il Dio a noi vicino». L’adorazione del Sacramento dell’Eucaristia, “al di fuori della Santa Messa, prolunga ed intensifica quanto è avvenuto nella celebrazione liturgica e rende possibile un’accoglienza vera e profonda di Cristo”. Per questo, il Papa ha ancora una volta raccomandato “vivamente ai Pastori ed a tutti i fedeli la pratica dell’adorazione eucaristica”, invitando “i sacerdoti ad incoraggiare in questo i gruppi giovanili, ma anche a seguirli, affinché le forme dell’adorazione comunitaria siano sempre appropriate e dignitose, con adeguati tempi di silenzio e di ascolto della Parola di Dio”. Come a dire: non basta pregare. Occorre sforzarsi di pregare bene. Ma v’è anche un altro strumento, da tener presente: quello della catechesi. Che Benedetto XVI ha rilanciato, citando nell’udienza generale numero cento proprio la “catechesi globale”, impartita nel IV secolo da S. Cirillo di Gerusalemme su base dottrinale, morale e mistagogica, tale da coinvolge-

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re “corpo, anima e spirito”, restando pertanto “emblematica anche per la formazione catechetica dei cristiani di oggi”. Occorre, insomma, una fede matura. Non adulta, bensì matura. Poiché essa non dipende semplicemente da un mero dato anagrafico, sarebbe troppo facile: dipende, invece, da un preciso cammino spirituale, che ciascuno può decidere, in cuor suo, se compiere o meno. Dipende da un’“esperienza personale e comunitaria”, come ha ricordato Benedetto XVI, presenziando lo scorso mese di maggio all’esecuzione dell’oratorio sacro “Resurrexit”, avvenuta in aula Paolo VI: “Per ogni credente ed ogni comunità ecclesiale – ha sottolineato – è importante l’incontro con Gesù Cristo crocifisso e risorto”. “Senza un’intima amicizia con Gesù, la fede resta superficiale e sterile”. Non servono, insomma, idee, ipotesi, astrazioni. O, per lo meno, non bastano, se prive di un fondamento, anzi del fondamento. Lo ha ribadito ancora a chiare lettere il Santo Padre, ricevendo lo scorso 5 luglio i Vescovi della Repubblica Dominicana: “Il vero volto della fede cristiana – ha detto loro, con un chiaro riferimento alla “Veritatis Splendor” – non è semplicemente un insieme di proposizioni da accogliere e ratificare con la mente. È, invece, una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei Suoi comandamenti, una verità da vivere”. Allora, l’annuncio non dev’essere generico, non dev’essere “purchessia”: “Non c’è vera evangelizzazione – ha proseguito il Papa, parlando ai Vescovi dominicani – se non si annunciano il nome, la dottrina, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio”. Con chiarezza, senza giri di parole. Il che non è compito esclusivo di preti, suore e religiosi. Tutt’altro. Nel proprio messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, celebrata in ottobre, Benedetto XVI ha detto esplicitamente come, “dinanzi all’avanzata della cultura secolarizzata”, ogni battezzato non debba “più semplicemente collaborare all’attività di evangelizzazione”, bensì sentirsi egli stesso “protagonista e corresponsabile della missione della Chiesa”. Non ci sono sconti. Non ce ne sono mai stati. Tanto meno ce ne sono ora. C’è anzi un dovere di annuncio, di fronte al quale non ci si può tirare indietro. Un dovere da vivere, giorno dopo giorno. Per essere davvero, come ricordava il Card. Van Thuân, uomini “dell’ora, dell’adesso, del momento presente”. Con gratitudine, perché il dono della fede non resti un tesoro nascosto, ma a tutti venga proposto, da tutti accolto, in tutti vissuto.

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Madre Anna Maria Cànopi

Maria, guida alla contemplazione del mistero di Cristo

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u sei il più bello tra i figli dell’uomo / sulle tue labbra è diffusa la grazia, / ti ha benedetto Dio per sempre”. Con quale giubilo e commozione Maria avrà cantato questo versetto del salmo 45, mentre aveva sotto lo sguardo Gesù, non lo possiamo nemmeno immaginare. Nessuna creatura più di lei, infatti, ha potuto contemplare da vicino la bellezza del volto del Figlio di Dio “nato da donna”, perché proprio lei era quella Donna chiamata a dargli la carne e il sangue. Nella splendida Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae il Santo Padre lo afferma con piena convinzione: “La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza che evoca un’intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con assiduità pari a quella di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di lui già nell’Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi

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Madre Anna Maria Cànopi è una monaca benedettina, badessa dal 1973 di un monastero da lei fondato e davvero unico: l’abbazia Mater Ecclesiae che sorge sull’isola di San Giulio, un piccolo scoglio di roccia al centro di un piccolissimo lago, il lago d’Orta (No).

comincia a sentirne la presenza e a presagire i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2, 7). Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante stupore, non si staccherà più da lui” (n. 10). Ogni donna che abbia vissuto l’esperienza della maternità sa bene quanto sia coinvolgente la vita del figlio concepito e partorito nel dolore e nella gioia; e sa che per sempre la sua esistenza sarà legata alla sorte di lui. Per questo Maria, più di ogni altra madre tutta preordinata alla Persona e alla missione di quell’unico Figlio, è colei che ci può guidare alla contemplazione di Cristo penetrando nei più reconditi segreti del suo volto interiore, quello che si svela soltanto agli occhi della fede e dell’amore. È questa, infatti, la forma di conoscenza più profonda e completa, quella che sa cogliere anche le più delicate sfumature dei pensieri e dei sentimenti, dell’intimità della persona. Unendoci a lei, con animo semplice e desideroso di conoscere il Signore, possiamo davvero compiere un sicuro e meraviglioso cammino di autentica contemplazione. Questa è tale soltanto se non rimane un’astrazione, ma diventa conformazione a Cristo, crescita nella nostra identità di figli di Dio, di figli nel Figlio, chiamati a riprodurre in noi i suoi stessi lineamenti, il suo bellissimo volto di santità che è l’immagine del Dio indivisibile (Col 1, 15). Contemplare i misteri di Cristo non è infatti come contemplare una galleria di quadri dai quali l’osservatore rimane staccato traendone, al massimo, un godimento estetico. Contemplare Gesù significa immergersi in lui, nel suo insondabile mistero di vita ed esserne impregnati. Maria ci può e ci vuole accompagnare in questo viaggio interiore attraverso il mistero d’amore che è il Signore Gesù Cristo. Lo fa – come afferma ancora il Santo Padre nella Lettera apostolica – raccontandoci tutti i “ricordi” riguardanti Gesù impressi e conservati nella memoria del suo cuore materno (Cfr Lc 2, 19.51). Il Rosario, preghiera spiccatamente contemplativa, fa passare davanti ai nostri occhi tutti questi “ricordi”, che sono i “misteri” della nostra salvezza. Oggi, nella civiltà della concitazione, si vanno sempre più perdendo l’arte del raccontare con calma e il gusto di ascoltare, poiché le notizie sono date a ritmo frenetico e spesso con linguaggio e immagini aggressivi. Abbiamo quindi tanto più bisogno di imparare da Maria il dolce stare in ascolto, il pensoso sostare su quanto abbiamo ascoltato e il contemplare con sempre nuovo stupore quanto si va rivelando al nostro sguardo interiore. Ella comincia a raccontare dall’Annunzio recatole dall’angelo a Nazareth, e proprio da questo “ricordo” apprendiamo a riconoscere anche gli annunzi di grazia che hanno segnato il nostro personale cammino spirituale; apprendiamo anzitutto ad accogliere il Verbo della vita e a metterci – come la Santissima Vergine – a sua disposizione per generarlo in noi e donarlo agli altri: vale a dire apprendiamo l’arte dell’umile e amorosa adesione di fede alla parola, al disegno di Dio, perché la nostra esistenza ne diventi una fedele realizzazione.

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Tutti gli altri misteri di gaudio, di dolore, di luce e di gloria hanno il loro incipit in quell’ecce e fiat che apre simultaneamente le porte del cielo e le porte del nostro cuore, affinché il divino e l’umano s’incontrino in uno slancio d’amore che unisce per l’eternità. Se partiamo con Maria da Nazareth, ci diviene facile comprendere anche il mistero della Visitazione – in cui si esprime la sollecitudine e la delicatezza della carità verso ogni creatura – e quello della Natività che ci conduce ad adorare il Dio-con-noi in modo da esserne portatori nel mondo, in mezzo ai “lontani”; sempre con Maria, comprendiamo inoltre il mistero della Presentazione in cui viene insegnato ad essere noi stessi offerenti e offerta; e giungiamo al mistero del Ritrovamento di Gesù nel tempio dal quale apprendiamo il primato dell’obbedienza alla volontà del Padre nella nostra quotidianità. Veniamo così introdotti nei misteri della consumazione del sacrificio, e il volto del Servo Sofferente ci appare anche attraverso il velo delle nostre lacrime, nelle vicende dolorose della nostra e dell’altrui esistenza. Ma questa contemplazione, calata nel concreto spesso tenebroso della storia, riceve trasparenza dalla nuova gemma aggiunta al Rosario: i misteri della luce, che Maria interpreta con la sua stessa silenziosa presenza di discepola, Madre e Maestra. Eccoci davanti al mistero del Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano con la splendida testimonianza del Padre: “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Lc 3, 22). Come non trasalire di gioia sapendo che anche noi, battezzati nel nome della Santissima Trinità, immersi nella morte di Cristo e risuscitati con lui, abbiamo ritrovato la nostra somiglianza con Dio, siamo diventati figli nel Figlio, con lui amati e prediletti? Allora facciamo festa, accanto a Maria, anche per l’acqua trasformata in vino alle nozze di Cana, comprendendo che noi stessi siamo la sposa dello Sposo; e con gioioso stupore contempliamo in lui il Regno già presente per entrare nel quale bisogna ri-nascere, diventare bambini, uomini nuovi.

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Così è pure dato di salire il Tabor e di vedere per un breve istante – il cui ricordo tuttavia perdura nel nostro cuore – la luce indicibile del volto di Cristo trasfigurato: un raggio della sua gloria prima che di lui si possa dire che “non ha apparenza né bellezza..., uomo dei dolori... come uno davanti al quale ci si copre la faccia” (Is 53, 2-3). Ma soprattutto siamo guidati a capire – accanto alla Madre –il dono di quell’ultima cena – l’Eucaristia – in cui sono anticipate la sua morte e risurrezione, la venuta dello Spirito e la nostra stessa glorificazione. Al termine di questo cammino con Maria, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, si può veramente esclamare formando un coro all’unisono con gli eletti del Cielo: “Ecco, ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo...!” (Ap 12,10). Mediante la preghiera del Rosario si fa davvero l’esperienza della salvezza operata da Cristo e ci si fortifica di fronte agli assalti ricorrenti dell’antico avversario che, pur essendo già vinto, non vuole dare tregua al Figlio della Donna e alla sua discendenza. Egli tende agguati, ma il Rosario è una catena più forte dei suoi lacci; esso ci avvince a Maria, e Maria ci fa da scala a Gesù come Gesù al Padre. Questa scala bisogna però salirla senza voltarsi indietro, senza distogliere lo sguardo dalla stella luminosa. Quando i bambini facevano ancora giochi innocenti – senza giocattoli mostruosi e imitazioni di armi e ordigni di guerra – c’era un gioco tanto significativo. Uno faceva l’angelo alla porta del paradiso, un altro faceva il diavolo a lato della strada, uno o più bambini facevano i viaggiatori e l’angelo li chiamava a uno a uno: “Piccolo della terra, corri qui da me!”. Il bambino gridava: “Non posso, perché c’è il diavolo che mi prende!”. Allora dalla porta del paradiso una voce suadente: “Non guardare né a destra né a sinistra e non voltarti indietro, guarda fisso a me: io con le mie ali ti proteggo”. Vincendo la paura, il bambino si lanciava nella corsa e, se riusciva a non lasciarsi catturare dal diavolo, arrivava tra le braccia dell’angelo. Se invece rimaneva prigioniero del diavolo, doveva essere liberato... E l’angelo accorreva a tendergli una mano che egli doveva cercare di afferrare pure essendone ostacolato dal diavolo. Non si potrebbe forse vedere in questo gioco il ruolo di Maria, che ci conduce a contemplare il suo Figlio? Nella sacra liturgia la Chiesa La invoca quale “Stella mattutina” e “fulgida porta del cielo”: non ci può essere guida più sicura alla meta della nostra “beata speranza” (Tito 2, 13). Ma perché Maria ci possa aiutare a rivestirci di Cristo (cfr Rm 13, 14; Gal 3, 27) per comparire davanti al padre come “sposa senza ruga né macchia” (Ef 5, 27), occorre giorno dopo giorno perseverare con lei nel sì dell’Annunzio e nel sì della Croce, aprirsi allo Spirito e nutrirsi del Pane di vita, del cibo che dà la forza di combattere fino all’ultimo respiro la “buona battaglia della fede” (1 Tm 4, 7). Anche Maria dovette camminare nella fede e non nella piena visione; anch’essa, pur vivendo accanto a Gesù, dovette accettare il mistero della sua Persona e credere per vedere oltre le apparenze. Quel suo sguardo che era perciò ora interrogativo, ora penetrante, addolorato, infine radioso e sempre ardente d’amore, adesso è rivolto anche a noi. Esso riflette la Luce che è Cristo stesso, perciò illumina i nostri passi e dissolve le tenebre che tentano di avvolgere il nostro cuore. Così la dolce catena del Rosario diventa per noi una splendida corona di gloria.

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INTERVISTA a Jesus Colina e Antonio Gaspari

ZENIT: un’agenzia stampa di successo

Come nasce l’idea di Zenit? A quale esigenza corrisponde? In fondo, la Chiesa ha già tanti strumenti per comunicare, per annunciare Cristo... Jesus Colina: Per anni insieme ad alcuni amici e colleghi vaticanisti avevo provato a mettere in piedi un’agenzia stampa professionalmente evoluta e concettualmente innovatrice. L’idea era quella di poter offrire ai lettori, non solo agli specialisti, le tante informazioni che scaturivano dalla sede di Pietro e soprattutto c’era bisogno di fornire una chiave di lettura libera da ideologie e da manipolazioni. Nel 1998 sono riuscito a trovare trentamila dollari per iniziare questo servizio. Ho chiesto la collaborazione di alcuni colleghi, fratelli e sorelle nella fede, di aiutarmi in questo progetto. Abbiamo iniziato fornendo un servizio dettagliato sul Sinodo dell’America. Abbiamo svolto un gran lavoro di interviste, analisi degli interventi, ricerca storica, filosofica, teologica, pastorale. Da quel momento, seppure il prodotto giornalistico fosse ancora un po’ grezzo, abbiamo iniziato a tracciare una strada che si è fatta sempre più larga e piena di incontri. Le esigenze di questo servizio erano e sono ancora enormi. Milioni di cattolici, soprattutto nei paesi sottosviluppati, ricevono un’informazione sulla Chiesa cattolica e sul Vaticano deformata e falsa. Per moltissimi missionari la voce e le parole del Santo Padre hanno difficoltà ad arrivare. Mentre con ZENIT basta un po’ di energia elettrica ed una linea telefonica per avere ogni giorno sul computer una visione precisa, dettagliata, vera e affidabile di quanto il Pontefice e la Santa Sede hanno detto e fatto ogni giorno. Grazie a Dio la Chiesa ha già tanti strumenti per comunicare e per annunciare Cristo, e noi abbiamo portato qualche altra goccia al grande oceano dell’informazione. L’efficacia e la rapida crescita del nostro servizio, non solo per il mondo dell’informazione cattoli-

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ca, è stata nel poter fornire in tempo reale e nelle differenti lingue tutte le informazioni relative alle attività del Pontefice e della Santa Sede. Continuiamo a ricevere messaggi di lettori che dicono che leggere ZENIT è come se vivessero a Roma vicino a San Pietro. La professionalità dei nostri redattori fa sì che possano spiegare ai lettori tutte le sfumature e le implicazioni di ogni discorso pontificio. E come se ogni lettore di Zenit potesse parlare ogni giorno con un vaticanista che gli spiega quanto sta accadendo nei palazzi Vaticani. Nello sviluppo di Zenit è stata decisiva la crescita della rete internet. Con nessun mezzo cartaceo avremmo potuto fornire un servizio simile, e poi noi non chiediamo ai lettori di andare a cliccare una determinata pagina, ma inviamo ogni giorno sulla casella di posta elettronica l’intero servizio. E questo facilita di molto la lettura. Quante persone leggono o si servono quotidianamente di Zenit? Jesus Colina: ZENIT conta attualmente 522 mila abbonati. Usciamo in sette lingue ogni giorno (spagnolo, inglese, francese, tedesco, italiano, portoghese e anche arabo), ogni mese la nostra pagina è visitata da più di un milione di persone. So di certo, infatti, che in decine di migliaia di casi il nostro notiziario viene riprodotto e fatto girare ad un vasto numero di membri di comunità, collegi, scuole, accademie, parrocchie, diocesi, gruppi di volontari, movimenti laicali, blog e siti Web. Per non parlare delle decine di migliaia di radio, tv, agenzie, giornali, pagine web che riprendono singole notizie pubblicate da ZENIT.

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C’è un’agenzia di stampa cattolica che ogni giorno arriva a più di 500.000 persone, è scritta in sette lingue, spagnolo, inglese, francese, portoghese, italiano, tedesco e anche in arabo. Riporta le attività della Santa Sede, gli interventi del Santo Padre, i documenti magisteriali e quelli dei Dicasteri vaticani, spiega le notizie, risponde con le fonti ai tentativi di manipolazione, intervista prelati, docenti universitari, laici impegnati, segue la spiritualità e le attività pastorali. Ha una rubrica di Bioetica tra le più seguite, e tratta tutti i temi della Dottrina Sociale. L’agenzia in questione si chiama ZENIT (www.zenit.org), fondata con pochi denari, ha una redazione di grande valore professionale e umano e una tradizione di fedeltà alla Chiesa cattolica. Per approfondire la natura di questa realtà informativa la nostra rivista ha intervistato il direttore e fondatore Jesus Colina e uno dei redattori dell’edizione italiana, Antonio Gaspari.

Montanelli scrisse che l’obiettività, nell’informazione, non esiste. Dunque, chi c’è “dietro” Zenit? Quale progetto l’ha determinata e quali obiettivi si pone? Jesus Colina: Non sono d’accordo con Montanelli. In realtà la chiave dell’informazione non è l’oggettività, ma la verità. Ci sono notizie scritte in modo oggettivo che possono essere perfettamente false. Sono convinto che sono di più i giornalisti che nelle diverse testate e pur essendo condizionati dagli interessi dell’editore, cercano la verità. Nel mondo del relativismo descritto da Benedetto XVI i giornalisti che lavorano a Zenit cercano veramente la verità e non fama. Dietro a ZENIT c’è un progetto rigoroso e impegnativo. L’intero staff di persone che lavora in ZENIT, dai giornalisti ai tecnici, ai collaboratori, condivide un progetto culturale e spirituale cristiano. I ritmi di lavoro nella redazione di ZENIT sono intensi. Il progetto riesce ad andare avanti grazie al sostegno materiale e morale dei lettori. Con corrispondenti nei principali Paesi del mondo, nei punti geograficamente e politicamente più strategici, che immagine si è fatto del mondo contemporaneo? Ha bisogno – e quanto – del Vangelo e di una Chiesa che Lo annunci? Antonio Gaspari: Dalla Rivoluzione Francese fino ad oggi, ci sono stati dei pensatori che avevano previsto la scomparsa della Chiesa Cattolica di fronte all’avanzamento delle scienze. A parte che la Chiesa è stata tra le istituzioni che più di tutte nella storia umana ha favorito e sostenuto il progresso umano, sociale, economico e scientifico, è evidente che oggi c’è una gran richiesta di Dio. Dagli anni settanta fino alla fine degli anni novanta sembrava che la secolarizzazione riuscisse a spazzare tutto quanto si trovava davanti. Ma è sotto gli occhi di tutti quanti guai e danni l’umanità ha subito da quel modello culturale che potremmo definire edonista e nichilista. Guardi all’Europa, oggi è più ricca che mai nella storia, eppure c’è un aborto ogni 25 secondi, un divorzio ogni trenta secondi, non ha il coraggio di riconoscere la sue radici cristiane e soffre di culle vuote e problemi da immigrazione. Chi può ragionevolmente affermare che un mondo che ha cer-

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Il Direttore di Zenit, Jesús Colina, con la famiglia

cato di cancellare Dio rende gli uomini più felici? Per questo sono convinto che sia in atto un fenomeno sociale di grandi dimensioni, la gente chiede di conoscere Gesù Cristo, e sono sempre di più quelli che prendono fiducia e credono nel Vangelo della speranza e dell’amore. La punta dell’iceberg di questo fenomeno si vede nel numero sempre crescente di persone che ogni anno vengono a Roma per ascoltare le parole del Pontefice. Zenit ha di recente intervistato Andrea Morigi, “storico” redattore del “Rapporto sulla Libertà Religiosa”, predisposto da “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (sebbene quest’anno il volume non sia potuto uscire)... Morigi distingue il mondo in zone rosse (di tradizione comunista), verdi (islamiche), gialle (induiste) e bianche (caratterizzate dalla secolarizzazione occidentale). Dove riscontra la situazione, a Suo giudizio, più critica e perché? Antonio Gaspari: Condivido totalmente l’analisi fatta dal “Rapporto sulla Libertà Religiosa”. Non saprei dire quali situazioni sono più pericolose. Rosse, gialle, verdi o bianche, sono tutte situazioni in cui i cristiani (e non solo) rischiano anche la vita per poter praticare il proprio credo religioso. Sono convinto, come ha ribadito il Pontefice il 28 ottobre, nel corso della beatificazione dei martiri spagnoli, che per essere veri cristiani oggi bisogna mettere in conto anche il proprio sangue. Lo ha detto anche il Presidente della Conferenza Episcopale italiana, Angelo Bagnasco, e non ho dubbi sulla verità di queste parole. Se dovessero darLe una corona del Rosario in mano e, con essa, dirLe di pregare per il mondo e per la Cristianità ora, a quali Misteri si affiderebbe? A quelli gaudiosi, a quelli dolorosi, a quelli gloriosi o a quelli luminosi? E perché? Antonio Gaspari: Non rinuncerei a nessuno dei misteri del Rosario. Tutti sono paradigmatici del cammino dalla terra verso il cielo dell’umanità. Sono sempre più convinto che il Rosario non è una semplice preghiera ma un vero atto di contemplazione e una scuola per comprendere e vivere il Vangelo. In questo contesto mi permetto di chiedere allo staff della vostra rivista ed ai vostri lettori una preghiera che ci sostenga nella speranza e nella fede.

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Piratello

L

o scorso 29 settembre ci siamo ritrovati al raduno regionale del Rosario, al Santuario della Madonna del Piratello presso Imola. E stata la mia prima esperienza di partecipazione, il mio primo approccio con il Movimento Domenicano del Rosario, dopo aver conosciuto, a Fontanellato, il responsabile P. Mauro . Era nel mio cuore, da tempo, il desiderio di una giornata da trascorrere in compagnia di Maria. L’occasione non è mancata. E come si dice: ho preso la palla al balzo... L’esito è stato quanto mai positivo. L’ora mariana, guidata da P. Mauro e la recita del Rosario, con meditazioni attinenti ai vari misteri celebrati, mi ha aiutato a mettermi in sintonia con Maria: un Cuore che ha aperto il mio cuore e mi ha fatto sentire la gioia di sostare con Lei per affidarle i miei pensieri, le mie sofferenze, i miei desideri, le mie stanchezze, la mia povertà, chiedendo la Sua protezione, la Sua consolazione; e come diceva un Venerabile Fondatore chiedere “...che imprima il suo bellissimo e dolcissimo spirito...” Nel pomeriggio la celebrazione della S. Messa, cui fa seguito un momento di adorazione eucaristica, conclude la giornata mariana, facendomi capire che Maria non tiene niente per sé, ma tutto porta a Gesù, tutto rimanda al Figlio Suo, che per noi si è fatto uomo ed è morto in croce per la nostra salvezza; perciò se amiamo Maria, amiamo anche Gesù. Grazie per questa bella esperienza vissuta in fraternità con persone provenienti da altre località della Romagna, perché è bello veramente ritrovarsi da “ figli “ insieme alla Madre che cammina con noi e guida i nostri passi quotidiani. Si fa strada anche a piccoli passi…; ho cominciato mettendo un po’ più... cuore e sentimento nella preghiera del S. Rosario.

incontri

Elisabetta

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Campocavallo

Se mi venisse chiesto di descrivere la giornata

del raduno del rosario a Campocavallo, con una parola direi: una novità da riscoprire. Ma per spiegare questo paradosso devo descrivere la giornata che abbiamo trascorso: ci siamo radunati nel Santuario di Campocavallo, che festeggia il suo Centenario e la riapertura dopo i lavori di ristrutturazione, un po’ da tutte le Marche… chi singolarmente e chi promotore di un gruppetto della sua zona. Ecco che, come sempre, queste occasioni ci donano innanzi tutto di ritrovare persone che non vedevamo da tempo… ma che immancabilmente abbiamo nel cuore (nel pomeriggio eravamo inaspettatamente così in tanti che la Cappellina ha faticato non poco per contenerci tutti!!!) e di stringere nuove amicizie con chi condivide una strana passione: dedicare parte del tempo alla meditazione, alla scoperta e alla diffusione del Rosario. La presenza di Padre Mauro è il collante al quale ogni piccola realtà fa riferimento, il suo ruolo di promotore del Rosario ha fatto sì che i singoli gruppi nati da un amore alla Madonna trovassero un’identità e una luce alla quale crescere… ma come ci ha ben specificato lui stesso: nessuno di noi era chiamato a partecipare perché sollecitato dal suo invito, ma solo perché nel cuore aveva chiara l’esigenza di trascorrere una giornata “diversa”… Una giornata animata da: la preghiera del Rosario meditata con tutta calma, dinnanzi all’immagine Miracolosa della Vergine Addolorata; un momento di convivialità per il pranzo che, grazie al bel tempo, abbiamo trascorso all’aria aperta nei giardini del Santuario; una visita, a sorpresa, al Museo del Covo di Campocavallo; il ritrovo, presso la Cappellina in cui è avvenuto il Miracolo, per uno scambio di opinioni e testimonianze; la celebrazione della Santa Messa.

Una giornata estremamente semplice e tranquilla dove ognuno poteva concentrarsi su un unico problema: il proprio rapporto con Gesù! Ecco la novità da riscoprire su cui ci ha illuminato Padre Mauro: abbiamo l’esigenza di dedicare del tempo soltanto a Gesù, come si era soliti fare alcuni anni fa grazie ai “ritiri mensili” organizzati dalle varie realtà parrocchiali e non solo? Sentiamo la necessità di riflettere e di dedicare del tempo alla preghiera? Ecco lo spirito che ha animato e anima i nostri raduni: è vero che dobbiamo ogni volta confrontarci con le varie difficoltà organizzative, ma al termine non possiamo che gioire per l’opportunità che abbiamo avuto e che siamo riusciti a regalare ad altri con il nostro impegno e con la nostra presenza… La Madonna ogni volta non manca di rispondere con generosità alla nostra disponibilità e sono sicura che ognuno tornando a casa ha conservato nel cuore una particolare luce ricevuta in questa giornata… personalmente ho riscoperto il bisogno celato che ho di trascorrere del tempo rivolta solo al Signore, in compagnia di persone con le quali sento di avere un legame particolare: non dato dalla confidenza quotidiana, ma un legame che cresce sul piano misterioso della “comunione dei cristiani”. G.I.

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Aquileia

Sabato 22 settembre ci siamo riuniti nella

Basilica Patriarcale dell’antica città romana di Aquileia, in provincia di Udine, per l’annuale raduno regionale del Rosario. La scelta del posto è stata ottima, in quanto la basilica patriarcale, con la cripta degli scavi, il battistero ed il campanile rappresentano ancora oggi un’importante testimonianza sugli esordi del cristianesimo. Luogo che trasmette quindi una forte spiritualità per le sue forti radici cristiane. Nella mattinata ci siamo riuniti nell’attigua Sala Romana, dove abbiamo vissuto, nella profonda contemplazione dei misteri della luce del Santo Rosario, sotto la guida esperta di Padre Mauro, un vero e proprio momento di Paradiso. All’inizio della riunione i nostri cuori erano chiusi, i volti tesi, l’atmosfera fredda. Dopo aver lasciato ai piedi della Croce di Gesù tutti i pesi ed i pensieri che ci impediscono un’unione intima con Lui, sotto l’azione dolce e risanante dello Spirito Santo, invocato sin dall’inizio della preghiera, meditando e gustando mistero dopo mistero, abbiamo potuto goderne i frutti, che sono principalmente la consolazione, la pace e la gioia. Difficilmente durante la giornata diamo tanto tempo e tanta profondità alla preghiera. Questa è stata un’ottima occasione per poter constatare come una buona preghiera meditata possa aprire e cambiare i cuori. Il filo conduttore della meditazione fatta sui vari “Misteri della Luce” è stata la grande chiamata alla santità: resi, cioè, capaci di vivere una grande storia d’Amore con il Signore siamo invitati ad accogliere la Sua proposta lasciando che la Sua volontà si fonda con la nostra in un esigente abbandono fiducioso che permette di dire il nostro “sì”. A conclusione della mattinata un bel momento di libero scambio e testimonianza ha preceduto la lieta condivisione del pranzo al sacco. Nel primo pomeriggio abbiamo potuto visitare l’interno della Basilica Patriarcale ed il batti-

stero, con la guida attenta e preparata di Franco Petean, che ci ha illustrato le varie bellezze artistiche, soprattutto i famosi mosaici. L’incontro è finito con la Santa Messa, celebrata da padre Mauro in una delle due cappelle laterali dell’ampia basilica, in cui abbiamo raggiunto il vertice della comunione e condivisione fraterna con un ulteriore dono che si è aggiunto ai tanti dell’intera giornata: l’animazione della celebrazione da parte del tenore Giorgio Sgobbi. Grazie, padre Mauro, per quanto rappresenti per tutti noi, grazie a voi tutti fratelli del santo rosario! Grazie a te, Maria, che ci tieni tutti uniti con questa “dolce catena che ci rannoda a Dio”! Daria

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Chiesanuova di Treia

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ono quasi cinque anni che il Gruppo del Rosario Perpetuo vive e opera nella nostra piccola frazione incontrandosi il 15 di ogni mese. In questo povero articolo voglio parlare dell’ultimo incontro. Già nei giorni precedenti c’era un “passa parola” singolare: “Lunedì 15 non mancare perché ci sarà qualcosa di particolare... la presenza di Padre Mauro, assistente spirituale del “Movimento Domenicano del Rosario” che animerà l’ora di preghiera”. Padre Mauro, ascoltato un anno fa nell’incontro regionale tenuto all’Abbadia di Piastra (Mc), mi ha impressionato subito con la sua semplicità di parlare chiaro e schietto, proprio come Gesù comandava: “Che il vostro parlare sia sì sì, no no”. Circa un mese fa, Padre Mauro, nel santuario della Madonna dell’Addolorata di Campocavallo di Osimo, ci ha intrattenuto al Raduno Regionale facendoci un’omelia, rispondendo alle nostre anche più impensate domande, meditando il Santo Rosario, officiando la Santa Messa, offrendo sull’Altare tutte le nostre intenzioni, chiudendo la giornata con mezz’ora di adorazione. A me, vedere tutti i partecipanti attenti e quasi estasiati nell’ascolto di quanto Padre Mauro ci proponeva e ci consigliava è venuto da pensare: “Questa è una grazia di Dio, un dono dello Spirito Santo, ricevuto per intercessione di Maria Santissima”. Tutto bello? Tutto bene? No, perché non nego di aver provato un momento di crisi nel pomeriggio in quella piccola cappellina, adatta per una ventina di persone: e invece, stretti all’inverosimile, non so bene quanti fossimo. Avrei desiderato un momento di pausa per respirare un attimo, ma poi ho pensato: “Che cosa offro alla Madonna per le tante Grazie che oggi ci elargisce?”. “Offro quanto soffro per il Papa, i Sacerdoti, le Anime Sante del Purgatorio e la conversione dei peccatori”. Una pace interna mi ha inondato, tanto che per me non è finita con l’arrivederci, perché ritornan-

do a casa con un pulmino ho avuto il tempo di recitare un bello e personale Santo Rosario. Padre Mauro, lunedì 15 ottobre, già ci aspettava nella nostra Chiesa. Pregando e camminando nelle corsie laterali, inchinandosi ogni volta che passava davanti al Sacramento, ha atteso il nostro arrivo. Alle 18.30 è iniziata la nostra “Ora di Guardia” con la recita dei misteri gaudiosi. Padre Mauro ci ha proposto pensieri sul Santo Rosario (perla dell’Ordine Domenicano): dal Sì di Maria, alla Sua disposizione verso il prossimo, alla Maternità, alla disposizione verso i poveri, ai momenti di sgomento, di silenzio e deserto per lo smarrimento di Gesù, corredando tutto con esempi di santa Teresa d’Avila (di cui la Chiesa in quel giorno celebrava la memoria), santa Teresina di Lisieux, Fatima e i tre Pastorelli. È seguita la celebrazione della Santa Eucaristia concelebrata da Padre Mauro e dal nostro parroco don Guido Bibini. “Dulcis in fundo” è stato benedetto lo stendardo della nostra Associazione del Rosario Perpetuo, dove è effigiata la Madonna con Gesù Bambino e genuflessi i Santi Domenico e Caterina. Da ora anche noi a Chiesanuova di Treia avremo il nostro simbolo che potremo mostrare negli incontri mensili e nelle feste e cerimonie parrocchiali. Un “grazie” particolare va alla nostra capogruppo Ippoliti Anita in Palmucci, un vivo grazie al parroco don Guido Bebini che ci accoglie sempre ben volentieri mettendo a disposizione i locali e la chiesa per gli incontri. E per padre Mauro? Non trovo parole adatte per esprimere la mia riconoscenza; però una cosa è certa: nella semplicità e schiettezza d’animo tutti promettiamo una preghiera particolare perché la Vergine Santissima, Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa del Santo Spirito, ce lo conservi a lungo, lo guidi, lo sostenga e lo protegga nel duro lavoro giornaliero, per la propaganda e divulgazione del santo rosario. Siano sempre lodati Gesù e Maria.

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La promozione del Rosario vive del vostro sostegno

... anche queste pagine nascono dalla vostra generositĂ


l’incedere

catechismo per tutti


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catechismo per tutti: l’incedere

P

er riconoscere una persona da vicino le guardiamo il volto: è questo il segno più rappresentativo della sua identità, e anche, in gran parte, dell’interiore personalità. Imago animi vultus, dicevano i latini, il volto è immagine dell’animo. Ma noi possiamo riconoscere e distinguere facilmente una persona anche a distanza se guardiamo al suo modo di camminare, al suo “incedere”. Romano Guardini dedica un paragrafo all’incedere, mostrando che esso può e deve essere visto, in certi casi, come un segno liturgico, un “santo segno”. Dice così: «Quanti sanno camminare con dignità, incedere? Non è affatto un affrettarsi e correre, bensì un movimento composto. Non un pigro trascinarsi innanzi, bensì un avanzare virile. Chi incede cammina con agile piede, non strascica: dritto, senza impacci, non curvo, non incerto, bensì in saldo equilibrio». Per quanto riguarda l’incedere nel suo aspetto religioso Guardini si esprime in questo modo: «E come è bello questo incedere quando è pio! Può assurgere a schietta liturgia. Quale semplice portarsi dinanzi a Dio in consapevolezza e riverenza, come quando si avanza in chiesa, nella casa dell’altissimo Signore e in maniera speciale sotto i suoi occhi. Oppure assurge ad accompagnamento di Dio, come quando incediamo nelle processioni: il pensiero forse ti corre ai disordinati pigia-pigia, allo strascinarsi e curiosare annoiato di tante processioni. Potrebbe mai esservi cosa più festosa e lieta dei fedeli che accompagnano il Signore per le vie della città o pei campi, “sua proprietà”, procedendo tutti con cuore orante, gli uomini con passo vigoroso, le donne nella loro dignità materna, le fanciulle liete, nella loro giovinezza, di pura grazia, i giovani nella loro forza contenuta? … ». Sembrano cose di altri tempi, guardando alle processioni di oggi. Ma sforzarsi di incedere bene è già un rendere culto al Signore. Dobbiamo sforzarci ed evitare ogni superficialità e trascuratezza. Prosegue Guardini: «Così una rogazione potrebbe assurgere a preghiera corporea. Potrebbe essere coscienza del bisogno e della colpa fatta persona, e tuttavia dominata dalla fiducia cristiana non ignara che, come nell’uomo c’è una forza sopra tutte le altre sue forze, il volere calmo e sicuro di se stesso, così vi è una presenza sovrastante a tutti i bisogni e a tutte le colpe: il Dio Vivente! ». Qui Guardini fa un’osservazione quanto mai attuale, oggi, quando si discute sulla differenza fra l’uomo e l’animale, e quindi, possiamo dire, sulla diversità del loro modo di camminare. Leggiamo: «L’incedere non è


catechismo per tutti: l’incedere

un’espressione della nobiltà della natura umana? La figura diritta, signora di se stessa, che si porta da sola, calma e sicura, codesta figura rimane un privilegio riservato all’uomo. Camminare eretti significa essere uomini». A questo punto Guardini passa al piano soprannaturale, cioè al piano della grazia. La natura infatti è il soggetto della grazia: la grazia si appoggia alla natura e perfeziona la natura. Leggiamo: «Ma non siamo più soltanto uomini, siamo più che uomini: “Stirpe divina siete”, dice la Scrittura. Rigenerati da Dio a una vita nuova. Cristo vive in noi, in maniera particolarmente profonda nel sacramento dell’altare. Il Suo Corpo viene a far parte del nostro corpo; il Suo sangue circola nel nostro sangue. Poiché “chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”, Egli ha detto. Cristo cresce in noi e noi cresciamo in lui, in tutte le dimensioni, fino a che Egli “abbia preso forma in noi”, e pertanto tutto l’essere e l’agire, “sia che mangiamo o che dormiamo o attendiamo a qualche altra cosa”, lavoro o gioco, gioia o lacrime, tutto sia divenuto vita in Cristo”. Ascoltiamo ora la conclusione: «La consapevolezza di questo mistero potrebbe in tal modo trovare un’espressione gioiosa, rilucente di bellezza e compenetrata di forza, nel giusto incedere. Potrebbe essere l’attuazione trasfigurata in profonda similitudine del comandamento: “cammina dinanzi a me e sii perfetto”. Ma in semplicità e veracità. Solo dalla verità, non dal vano volere, può fiorire la bellezza».

Questo testo è stato tratto dal volume “Lo spirito della liturgia. I santi segni” di Romano Guardini, Edizioni Morcelliana. Romano Guardini, nato in Italia ma sempre vissuto in Germania, fu una personalità di grande spicco ed un insigne professore nelle facoltà universitarie tedesche (prima a Berlino poi a Monaco) oltre che un grande animatore del mondo giovanile. Morì nel 1968, dopo aver dato un notevole contributo alle discussioni conciliari, soprattutto nel campo della Liturgia. Joseph Ratzinger lo conobbe bene e fu anche suo allievo. Egli soleva dire: il guaio dei teologi tedeschi del postconcilio è stato quello di non aver seguito le orme di Romano Guardini.

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Una delle sfortune più amare della società del nostro tempo è quella di non sapere più il perché delle feste, delle consuetudini, degli appuntamenti annuali. L’uomo è diventato come una specie di analfabeta che non sa più leggere i cartelli indicatori posti sulle strade della sua esistenza. Siamo capacissimi di fare una gran baldoria a Natale, senza sentire in cuore neppure il più piccolo fremito di gioia per la venuta del Signore del cielo e della terra, che per salvarci si è fatto uno di noi. I nostri padri hanno istituito l’Epifania con l’intento di esprimere la loro stupita gratitudine per il Dio che ha voluto manifestarsi e ha squarciato con la sua verità la nostra notte; e noi l’abbiamo ridotta a essere il «giorno della Befana». E chissà se la risurrezione di Cristo – l’avvenimento centrale della storia che ha dato origine alla ricorrenza settimanale della domenica – è molto presente ai protagonisti degli estenuanti ritorni in autostrada e ai frequentatori delle discoteche? L’uomo assomiglia sempre più a un ricco signore un po’ perso che ha convocato una folla di amici per un pranzo solenne, e quando vede radunata tutta l’allegra compagnia non gli viene più in mente la ragione dell’invito e la causa di tanto tripudio. Noi siamo giustamente preoccupati del pericolo dell’inflazione, che potrebbe ridurre la nostra moneta a carta senza pregio e senza potere. Ma nella vita del nostro spirito un’inflazione c’è già: è quella del nostro calendario, che è pieno di festività di cui non si conoscono più né la motivazione né il senso. Cardinale Giacomo Biffi Arcivescovo Emerito di Bologna

Tratto da “La donna ideale” di Giacomo Biffi (Edito da Edizioni Studio Domenicano)


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