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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLI - n. 2 - II trimestre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

2/2008


ROSARIUM Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 41°- n. 2 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s. Milano - via P. della Francesca 38

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Pag. 4 e seguenti: GIOVANNI BELLINI Allegoria sacra, particolare, (14901500), Firenze, Galleria degli Uffizi

.. . a t a ! d o i r l o g c e m in è SOMMARIO Maria è il nostro sostegno nel difficile cammino di conversione Card. Giacomo Biffi

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Intervista a S.E. Mons. Luigi Negri

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Le parole di Magdi Allam

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È nelle parole del Papa l’antidoto al relativismo buonista delle soap Mauro Faverzani

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Il Padre nostro

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Testimonianze: l’Opera “Centro Social San José” di Santa Cruz do Rio Pardo (Brasile)

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Sul Rosario (parte I) P. Ennio Staid

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Catechismo per tutti: la fiamma

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Pagina della riconoscenza

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In copertina: Lungo il fiume Giordano, foto di Paolo Gavina


C a rd i n a l e G i a c o m o B i ff i A rc i ve s c o vo e m e r i t o d i B o l o g n a

Maria è il nostro sostegno nel difficile cammino di conversione


Maria è il nostro sostegno nel difficile cammino di conversione

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e si prende a restaurare una parte di un edificio antico e fatiscente, compiuto il ripristino subito il resto sembra ancora più vecchio e più malandato. Quando apparve Maria, principio dell’umanità redenta e rinnovata, il mondo intero si fece agli occhi di Dio e degli angeli più bisognoso di redenzione, e divenne più urgente la necessità del nostro riscatto. Allo stesso modo, quando la nostra contemplazione si lascia attrarre e incantare – come oggi la Chiesa ci propone – dalla bellezza incontaminata della Madre di Dio, diventa insopportabile per noi la nostra bruttezza interiore e il nostro spirituale inquinamento, e si fa più impellente nel nostro cuore il desiderio di purificarci e di vivere in modo più degno. Dal fondo della valle, oppressi dal male che da ogni parte ci avvolge e dal peccato compiuto personalmente, oggi leviamo lo sguardo alla figura dell’Immacolata; alla figura cioè di colei che non è mai discesa nemmeno di un passo dalla vetta della perfezione assegnatale dal disegno di Dio. Oggi guardiamo a lei con infinito rimpianto e con rinascente speranza: il rimpianto della cima che abbiamo perduto, la speranza di riconquistarla col suo esempio e con il suo aiuto. Tutti siamo chiamati a passare dal «no» di Eva al «sì» di Maria La tremenda grandezza dell’uomo sta nella sua possibilità di dire di sì o di no alla proposta del Dio che lo cerca. Le letture di questa festa ci presentano questo dramma nella contrapposizione di due immagini femminili: la donna che cede al fascino del male, si fa disobbediente e istigatrice di disobbedien-

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za; e la donna che si consegna totalmente al progetto divino, e diventa la madre del Redentore e l’inizio della rivincita umana sul demonio. Eva e Maria: due donne e due madri. Eva, che entra subito nella nostra storia come la madre della colpa e del pianto; Maria, la madre della Chiesa, cioè la madre dell’umanità rigenerata e incamminata a un destino eterno di gioia. Dal «no» di Eva, dalla sua ripulsa del Signore che la voleva nella sua inebriante amicizia, è incominciata su di noi la tirannia del male e del Maligno. Ciascuno di noi sente vibrare dentro di sé, nelle sue cattive inclinazioni e nei suoi peccati, le funeste conseguenze di quel «no» primordiale. Ma al «no» di Eva si contrappone il «sì» di Maria, espresso nell’umile sublimità della frase che l’evangelista Luca ci ha riferito: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1, 38). La nostra grande e decisiva avventura consiste nel liberarci dall’eredità oscura di Eva per farci davvero figli ed eredi di Maria; consiste nel passare dalla logica perversa dell’autoaffermazione, che fatalmente ci porta al rifiuto del Creatore e della sua legge, alla logica dell’accoglienza di Dio e del suo amore, che necessariamente comporta la contestazione di ciò che in noi è ottusità spirituale e volontà di prevaricazione. Da Eva a Maria: è un cammino esigente di conversione al quale la Chiesa, fedele alla parola di Gesù, ci invita tutti, specialmente in questo tempo di Avvento, perché non si può sensatamente accogliere col cuore in festa la nascita tra noi del Figlio di Dio se – almeno nella mentalità, nel desiderio, nel proposito – non ci si rende un po’ simili alla sua Madre immacolata. Maria è il nostro sostegno nel difficile cammino di conversione Su questa strada difficile del nostro esodo dal dominio irragionevole e crudele di Satana alla gioiosa pienezza della vita di fede, Maria, la piena di grazia, la serva del Signore che è diventata la regina dell’universo, ci accompagna e ci sorregge. Quando le grandi menzogne mondane – così ossessivamente conclamate che molti le scambiano incautamente per verità – tentano di oscurare ai nostri occhi la luce della parola di Dio, l’intercessione di Maria ravvivi la nostra libertà di giudizio, e ci aiuti a ripetere con lei: «Eccomi, o Signore: avvenga di me, dei miei pensieri e dei miei atti, secondo la tua parola e non secondo le correnti opinioni degli uomini». Quando lo scoraggiamento per la nostra insufficienza a superare del tutto il male, che pur detestiamo, e a fare il bene che vorremmo, ci indurrebbe ad abbandonare la lotta e a lasciarci andare dove sventuratamente sta andando il mondo, l’intercessione di Maria ridesti la nostra speranza in colui che è potente e sa compiere grandi cose anche in quelli che si vedono piccoli e pochi. Quando l’egoismo – la forza che, diversamente mascherata, imperversa in

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ogni angolo della nostra vita associata – cercherebbe di rinchiuderci nelle angustie del nostro io e ci indurrebbe troppo spesso a scegliere non ciò che è giusto e vero, ma ciò che è piacevole e comodo, l’intercessione di Maria ci difenda e ci salvi da noi stessi, e ci infiammi d’amore: l’amore senza riserve per il Signore che per primo ci ama, l’amore generoso per i nostri fratelli, anche per quelli che non ci amano. Maria, alla fine, saprà far prevalere le ragioni della vita e dell’amore Lo splendore della Madonna Immacolata ci fa comprendere con pungente chiarezza quanto sia grande la sventura di questa nostra epoca, che vede esaltata e quasi proposta a modello una figura di donna che sembra la contraddizione programmatica della Vergine Madre di Dio: una donna sostanzialmente squallida, anche se esteriormente raffinata, che pare avere in eguale abominio tanto la condizione verginale quanto la missione materna; una donna che non dice al Signore: «Eccomi, sono tua», ma istericamente grida: «Io sono mia»; una donna che non vuol più essere sorgente di vita, ma deliberatamente si offre come collaboratrice della morte; che non si consacra più al servizio di Dio – cioè della verità, della bontà, della dedizione agli altri – ma si arroga il diritto, che è solo del Creatore, di decidere dell’esistenza e della non esistenza del frutto delle sue viscere. La Madonna, però, c’è per tutti e sa toccare il cuore di tutti. A lei affidiamo con rinnovata fiducia la sorte della famiglia umana, certi della sua capacità di far prevalere alla fine le ragioni della vita e le ragioni dell’amore; o almeno le ragioni della ragione.

Gli articoli pubblicati su “Rosarium” sono tratti dal libro “La donna ideale” del Cardinale Giacomo Biffi Arcivescovo emerito di Bologna in vendita presso Edizioni Studio Domenicano via Dell’Osservanza, 72 - 40136 Bologna Tel. 051/582037 Fax 051/331583 - esd@esd-domenicani.it

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INTERVISTA a S.E. Mons. Luigi Negri

Il Vescovo di San Marino ci parla della conversione di Magdi Allam “Il Cattolicesimo, risposta piena alle questioni di senso del cuore umano”

«Non tutte le fedi sono equivalenti. Noi dovremmo dialogare, desiderando che il mondo si converta a Cristo. La Madre di Dio è la “tenerezza” incondizionatamente aperta al “Mistero di Dio”». Tutto ebbe inizio con un articolo di Andrea Tornielli, apparso su il Giornale dello scorso 26 marzo. Conteneva una pretesa: quella d’individuare e contestualizzare il momento esatto in cui Magdi Allam avrebbe per la prima volta confidato la propria decisione d’«essere di Cristo». Secondo la dettagliata ricostruzione fatta sul quotidiano milanese, ciò sarebbe avvenuto in occasione di un incontro avuto con suor Maria Gloria Riva e con don Gabriele Mangiarotti, responsabile dell’Ufficio per l’Insegnamento della Religione Cattolica nella Diocesi di San Marino e Montefeltro, Diocesi guidata da S.E. Mons. Luigi Negri. Sapere se tale pretesa giornalistica sia fondata o meno non appartiene alle masse, né ai lettori di Tornielli, né a Tornielli stesso: la conversione è un fatto personale, «che si può aiutare, ma molto marginalmente», come avrebbe osservato lo stesso Vescovo in occasione della S. Messa per l’ingresso dei nuovi Capitani Reggenti, come riportato dal giornale sanmarinese on line Libertas. Del resto, «non mi risulta che S. Ambrogio si sia mai vantato della conversione di S. Agostino», avrebbe tagliato corto S.E. Mons. Negri. Ciò che resta, ciò che è certo è il dato di fatto: la conversione di Magdi Allam dall’Islam al Cattolicesimo, ricevendo il Battesimo dalle stessi mani del Sommo Pontefice, Benedetto XVI. Il che, a qualcuno, ha fatto storcere il naso. Meglio sarebbe stata, secondo costoro, una cerimonia più dimessa, meno “mediatica”, in una parrocchia qualsiasi e presieduta da un sacerdote qualsiasi, meglio

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ancora se sconosciuti, l’una e l’altro. Questioni di lana caprina, secondo il Vescovo di San Marino-Montefeltro, S.E. Mons. Negri, da noi intervistato: «Io preferisco impostare la questione in termini molto più sostanziali» ci dice, relativizzando il fatto che i Sacramenti vengano impartiti «in una parrocchia piuttosto che in un’altra». Insomma, non sta qui il punto. Allora, dove sta? «Mi è parso e mi pare molto importante che un uomo intelligente, come Allam, che proviene dalla tradizione islamica e che ha vissuto – come ha esplicitato in molti suoi libri – la tormentosa appartenenza a tale tradizione, abbia trovato nell’approdo al Cattolicesimo la risposta piena alle grandi questioni di senso che caratterizzano il cuore umano, e che si sia visto consegnare una risorsa di libertà, che può giocare ormai con piena responsabilità di fronte a se stesso, di fronte a Dio e di fronte alla Storia. E vorrei sottolineare proprio il fatto che la conversione di Magdi Allam faccia vedere come tutto sommato l’Islam sia una realtà solo faticosamente identificabile con quella che noi chiamiamo l’esperienza religiosa nella sua integralità. Chi legge i volumi di Allam vede che è, in fondo, l’appartenenza ad un’ideologia di carattere socio-politico, che poi, trasferita in Occidente, si identifica con le varie forme dell’estremismo, di cui comunque anche Magdi Allam ha fatto parte nei suoi primi anni trascorsi in Italia». Quindi, come interpretare la sua conversione? «Direi che il cattolico non può che godere di questo passaggio, perché è come se un uomo ritrovasse la sua vera identità. Mi son venute in mente alcune cose scritte dal Card. Newman immediatamente dopo la propria conversione: è come trovarsi nel porto sicuro della vita, dal quale ripartire con nuove energie intellettuali e nuove forze morali». Fin dove può giungere il dialogo interreligioso – da tempo in atto – e fin dove, invece, deve giungere un’evangelizzazione missionaria, perciò tesa a convertire i cuori a Cristo? «Lei mi lascerà essere sincero fino in fondo, come lo sono per temperamento». Certo, Eccellenza, ci mancherebbe… «Credo che due terzi di quello che noi chiamiamo dialogo interreligioso o interconfessionale sia viziato da parte cattolica da un sostanziale non-desiderio della conversione al Cattolicesimo da parte dei nostri interlocutori. La maggior parte di questi tentativi si fanno sul presupposto che tutte le religioni abbiano lo stesso valore e che quindi il primato vada alla libertà della coscienza. Il che

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è indubbio sul piano antropologico e culturale ed etico, non c’era bisogno del Vaticano II per dirlo, come è stato dimostrato ampiamente da studi seri. “Ubi fides, ibi libertas”: io vengo da sant’Ambrogio, quindi se un atto di fede non è libero, non è un atto di fede». Ma… «Ma non tutte le fedi sono equivalenti – prosegue S.E. Mons. Negri – Quindi, noi dovremmo dialogare, desiderando comunque che il mondo si converta a Cristo e che la differenza del Cattolicesimo, che viene vissuta in un momento della storia della persona o della società, dia luogo ad un passaggio di piena appartenenza al mistero di Cristo e della Chiesa». Insomma, il dialogo religioso non deve rappresentare un’“alternativa” alla missione… «L’ho detto una volta al Santo Padre, appena fatto Vescovo: noi viviamo in una situazione in cui si contrappone missione e testimonianza, missione e dialogo; finché non usciamo da questo equivoco del tutto ideologico e derivato da un cattivo Illuminismo, che inquina la coscienza cattolica, noi non faremo né un’opera seria di missione, né un’opera seria di dialogo interreligioso». Quindi, il primato a che spetta? «Il primato è della Verità! La libertà – ci ha insegnato san Tommaso d’Aquino – è il modo con cui si vive la Verità. Ma la libertà non supera la Verità. La Verità è la questione fondamentale dogmatica ed etica. Allora, noi non dobbiamo imporre la fede a nessuno, ma non dobbiamo nemmeno accettare quell’attitudinarismo, di cui parlava Pio IX nel suo Sillabo. Adesso, invece, è sostanzialmente un indifferentismo religioso che sta prevalendo, ma mi sembra che la Dominus Iesus abbia risposto, quasi alla fine del grande Pontificato di Giovanni Paolo II, a questi problemi… Dobbiamo ricordare che la Dominus Iesus è stata mandata ai Vescovi, non ai singoli membri del popolo di Dio, il che significa che Giovanni Paolo II si rendeva conto di come alcune questioni sostanziali relative al mistero cristiano fossero un po’ in difficoltà anche fra coloro che pure invece avrebbero come mandato proprio quello di custodire e di comunicare». C’è chi accusa Magdi Allam di dipingere l’Islam a tinte troppo fosche, come se fosse tutto e solo aggressivo… Secondo Lei, è così? «Non ho la competenza per poter rispondere adeguatamente. Ci sono uomini come il gesuita libanese Samir Khalil Samir, massimo esperto mondiale di Islamologia, Camille Eid, collaboratore del quotidiano Avvenire, e come Giorgio Paolucci, cui chiedere… Io non so se esista un Islam teorico separato dall’Islam praticato da secoli e che ha il volto che ha nella stragrande maggioranza dei luoghi, dove o domina – Paesi islamici – o dove tenta di arrivare al potere. Resta il fatto che non si può negare che l’Islam sia un complesso articolato, addirittura contraddittorio in alcuni punti, in cui però l’elemento che fa da collante è certamente l’impegno ideologico-politico». Il dibattito verte però attorno alla questione fondamentale, se esista o meno un Islam moderato… «Io non so se esista. Dico soltanto che non si vede emergere in maniera esplicita. Forse l’Occidente ha perduto delle occasioni… Forse, dico. Perché quando negli Anni Sessanta il mio grandissimo amico Giorgio La Pira apriva a Firenze i Convegni del Mediterraneo, quando tanti carissimi amici a Catania negli Anni Settanta mettevano in atto il Meeting del Mediterraneo, allora anche a livello culturale e politico si poteva scommettere che in alcuni Paesi del Medio Oriente si potesse entrare in dialogo con una realtà laica e di islamismo moderato. Noi, però, all’epoca ci siamo appiattiti sulla politica ideologica della massoneria americana, che voleva tenere alto il conflitto anche in Medio Oriente con la Russia, e secondo me abbiamo perduto non la parte sana dell’Islam, che non

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so se vi sia, bensì la parte sana di questi popoli, perché l’Islam non coincide con questi popoli, l’Islam è una formulazione, in cui una certa parte maggioritaria di questi popoli direi che sono costretti ad identificarsi, più che identificarvisi consapevolmente. Questa, tuttavia, è una disamina di carattere storico, del tutto contingente ed anzi opinabile. Io penso che, dopo gli Anni Sessanta, ci si sia trovati di fronte ad una radicalizzazione di carattere ideologico e l’Italia, che si affaccia sulle sponde del Mediterraneo, ha patito qui le conseguenze di una politica atlantica, che dimostra la sostanziale inefficienza culturale delle classi politiche succedutesi in Italia”. Eccellenza, oltre a Gesù Cristo, anche la figura di Maria è ben nota allo stesso mondo islamico, pur con connotati profondamente diversi da quelli propri della fede cristiana: come la Madonna e Suo Figlio possono parlare anche al cuore dei musulmani? «Io ho conosciuto qualche convertito dall’Islam al Cattolicesimo – ci risponde S.E. Mons. Negri – Uomini e donne qualunque, che non vogliono apparire per evitare di essere massacrati, perché questa è la situazione, anche nel democratico Occidente. Io credo che Maria sia un polo di attrazione formidabile, perché Maria è la tenerezza. Non è soltanto la tenerezza di Dio che si fa uomo in Lei e per Lei, ma è la tenerezza della Donna che si apre incondizionatamente al Mistero di Dio, al punto da saperLo generare, da essere resa capace di generare il Figlio di Dio nella nostra carne mortale. Porta dentro la coscienza e il cuore del mondo islamico – soprattutto nelle donne – un orizzonte nuovo, assolutamente inspiegabile, inconcepibile in una condizione dove la femminilità è quotidianamente vilipesa, sottovalutata, violata. Io credo che la strada verso il Cattolicesimo – che, come dice Benedetto XVI, è la strada verso la Bellezza – sia significata da grandi esempi, da grandi testimonianze proprio di Verità e di Bellezza. La Madonna è umile ed alta più che creatura, diceva Dante. Quindi, sulla strada di Cristo questa gente incontra la Madonna e solo allora può arrivare sino a Cristo, proprio perché ha incontrato la Madonna. Non il contrario. Se diventa cattolico, è perché capisce che c’è la pienezza dell’affezione, della tenerezza e della Verità nella Storia e questo è certamente Cristo. Ma Cristo è nato nel mondo, perché c’è stata la libertà, l’affezione, la tenerezza e la pietà di Maria”. Chiarissimo… Ad Iesum per Mariam! Intervista di Mauro Faverzani, rilasciata in esclusiva a “Rosarium”

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le parole di Magdi Allam Trascriviamo qui di seguito alcuni brani della lettera che Magdi Allam ha scritto al Direttore del Corriere della Sera in occasione della sua conversione, lettera pubblicata il 23 marzo scorso.

«Approdo di un lungo cammino. Decisivo l’incontro con il Papa» Caro Direttore, ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il Corriere della Sera di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vice-direttore ad personam. Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino. Ieri sera mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica. Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione. Sono particolarmente grato a Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella Basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: «Cristiano». Da ieri dunque mi chiamo «Magdi Cristiano Allam». Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile. A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del «diverso», condannato acriticamente quale «nemico», primeggiano sull’amore e il rispetto del «prossimo » che è sempre e comunque «persona»; così come la mia mente si è affrancata dall’oscu-

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rantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e della Ragione. Il punto d’approdo La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero. Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come «nemico dell’islam», «ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare l’islam», «bugiardo e diffamatore dell’islam », legittimando in tal modo la mia condanna a morte. Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un «islam moderato », assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica. Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale. Parallelamente la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; a religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; alla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza, culminata in una rinnovata amicizia con il Rettore maggiore Don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana. Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il Papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso da musulmano per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato. La scelta e le minacce Caro Direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia. Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro ma affronterò la mia sorte a testa alta,

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con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del Papa che, sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio, ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo. Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei Paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei Paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei Paesi islamici. Ebbene oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani. Basta con la violenza Dal canto mio dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa. In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei «casi» che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul Corriere il 3 settembre 2003 si intitolava «Le nuove catacombe degli islamici convertiti». Era un’inchiesta su alcuni neocristiani che in Italia denunciavano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa. Ebbene mi auguro che dal gesto storico del Papa e dalla mia testimonianza traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre dalle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi. Se non saremo in grado qui in Italia, nella culla del cattolicesimo, a casa nostra, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà altrove nel mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura. Magdi Allam 23 marzo 2008


È nelle parole del Papa l’antidoto al

relativismo buonista delle soap

In questo genere televisivo si unisce il più bieco relativismo ad un buonismo superficiale ed ipocrita. Sul piccolo schermo ci vengono proposte famiglie sfasciate e corrotte, tradimenti, una società infelice e malata; la Chiesa, invece, rilancia la bellezza del matrimonio, la gioia della vita, la felicità di un amore condiviso.

Vi entusiasmano le ventennali vicende dei Forrester in Beautiful? Preferite la fitta e sottile trama di sotterfugi di Wisteria Lane in Casalinghe disperate? Oppure optate per i Cesaroni, famiglia più “nostrana” ed “allargata”? Quanti sono gli accaniti e fedeli spettatori di questo genere televisivo? Tanti, secondo i dati Auditel: si oscilla tra il milione e 600 mila spettatori ed i 5 milioni e mezzo, a seconda della soap considerata. Molti ne seguono assiduamente anche più d’una. Ogni giorno. Non pochi. Dov’è il problema? Facciamo un gioco. Consideriamo alcune delle situazioni tipiche, proposte in questo tipo di programmi. Ad esse affianchiamo – che so? – le parole pronunciate dal Santo Padre lo scorso dicembre all’Angelus, in occasione dell’imponente raduno delle famiglie di Madrid. È solo uno dei testi possibili: molti altri documenti – del Magistero e non – potremmo citare come riferimento. E vediamo quanto in comune abbiano i due messaggi. Partiamo con Beautiful, almeno per “anzianità” di trasmissione e per quantità di pubblico. Questa soap rappresenta la “California bene”, ricca e spregiudicata ed al contempo malata ed infelice. È quì che vivono e si muovono i protagonisti, tutti orbitanti attorno ad una casa di moda internazionale. Ma il capitalismo rampante, qui, è solo un pretesto e cede ben presto il passo alla storia d’amore, vero filo conduttore delle diverse stagioni. Non una storia d’amore qualsiasi, no… Qui le vicende sentimentali, mai sincere e durature, coinvolgono – tra loro! – genitori e figli, fratelli ed amanti. Il motore dell’azione è quasi esclusivamente il tradimento. Irresponsabilità, passionalità e sentimentalismo prevalgono su buon senso e saggezza. Il matrimonio è soltanto una “parentesi” della vita, che nasce e muore con la cerimonia nuziale, punto d’arrivo di una relazione anziché inizio di una vita

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comune. Il matrimonio è un’occasione per andare a caccia di nuove “avventure”. Senza ripensamenti, senza scrupoli, nemmeno verso i figli. Prendiamo come esempio l’imbarazzante vita di Brooke Logan, che nel corso degli anni si è ritrovata ad essere l’amante o la moglie del padre Forrester, dei figli Ridge e Thorne, del proprio genero, del fratellastro di Ridge e via ancora. L’elenco potrebbe continuare.

Bene. Cosa disse il Papa a Madrid? “I coniugi sono l’uno per l’altra e per i figli testimoni della fede e dell’amore di Cristo. Perciò la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere la dignità naturale e l’altissimo valore sacro del matrimonio e della famiglia”. Anche in Centovetrine vediamo fratelli che diventano padri, mogli che lasciano i mariti per mettersi con i figli, mariti detenuti ed attesi per anni dalle loro legittime consorti, che viceversa vengono abbandonate subito a fine pena e rimpiazzate da giovani amanti. Mentre si vede un’intera famiglia dimenticarsi del figlio partito missionario… Per non parlare delle sovrabbondanti scene di sesso, propinate nonostante l’orario della messa in onda, dal lunedì al venerdì tra le 14.10 e le 14.45: ovviamente, in tutti i casi si tratta di amori estremamente fragili, superficiali ed egocentrici. Niente di serio, per carità! Il Santo Padre ha invitato, invece, “le famiglie cristiane a sperimentare la presenza amorevole del Signore nella loro vita”, incoraggiandole “affinché, ispirandosi all’amore di Cristo per gli uomini, rendano testimonianza dinanzi al mondo della bellezza dell’amore umano, del matrimonio e della famiglia. Quest’ultima, fondata sull’amore indissolubile tra un uomo ed una donna, costituisce l’ambito privilegiato nel quale la vita umana è accolta e protetta dal suo inizio fino al suo termine naturale”. Non meglio Casalinghe disperate, dove Bree, la casalinga perfetta, è in realtà alcolizzata, nevrotica, praticamente pazza, con un figlio omosessuale, il quale prima denuncia la madre per molestie sessuali, poi le seduce il suo nuovo compagno. Nella stessa serie, ecco Gabrielle, bella e viziata exmodella, ricca e con un ottimo matrimonio conclusosi con un reciproco tradimento: del marito e suo, avendo preferito alla noia della “routine” quotidiana un giardiniere minorenne. Ma non basta: ha rapito una neonata e, non potendo aver figli eppur vittima di in un estremo desiderio di maternità

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purchessia, ha scelto di servirsi dell’utero della domestica. Lynette è una donna manager, pronta ad abbandonare la carriera per accudire i suoi quattro figli. Bene? No, male. Perché la sua è una scelta tanto ipocrita quanto temporanea. In realtà, odia dal più profondo del proprio cuore la vita domestica, al punto da lasciarla ben presto e tornarsene in ufficio, piazzando tra i fornelli il marito, trasformatosi così in “mammo” con prevedibile e comprensibile crisi d’autostima inclusa. Nella serie l’amicizia si degrada a pettegolezzo, ogni protagonista vive un universo perennemente inquieto, pessimistico, autoreferenziale ed individualistico, il tratto dominante è quello della solitudine, anche se e quando vissuta tra la folla. Folla, di cui peraltro diffidare, perché gli altri – questa è la filosofia di fondo del programma – sono o nemici o strumenti in vista di un obiettivo superiore. Il tratto costante, insomma, è e resta quello della disperazione. Inevitabile lo stridore – tremendo, angosciante – con le parole pronunciate dal Sommo Pontefice: “Mi rivolgo in modo particolare ai bambini, affinché amino e preghino per i loro genitori e fratelli, ai giovani, affinché, stimolati dai loro genitori, seguano con generosità la propria vocazione matrimoniale, sacerdotale o religiosa, agli anziani ed ai malati, affinché trovino l’aiuto e la comprensione necessari. E voi, cari sposi, contate sempre sulla grazia di Dio, perché il vostro amore sia ogni giorno più fecondo e fedele”. Non possiamo non far cenno ai Cesaroni con la relazione sentimental-sessuale tra il minorenne Marco e la propria professoressa d’italiano, concessasi al giovane peraltro senza troppi scrupoli, dopo la turbolenta separazione dal marito. Nella serie si aprono importanti e delicate problematiche, lasciate però senza risposta, inevase, ad esempio in ordine all’affettività adolescenziale – più rozzamente voyeuristica e goliardica che sentimentale – oppure in ordine alla componente erotica, spesso presente ma trattata in modo piuttosto rozzo per una serie che pretende di rivolgersi ad un pubblico

composto da famiglie. Pensiamo, in tal senso, alla puntata in cui Giulio, “provato” dall’impossibilità d’avere rapporti con la moglie, si sogna assieme agli amici, tutti mascherati da spermatozoi. Grandi assenti nel programma sono gli adulti, che paiono incapaci di esercitare un’autentica funzione educativa. È un monito il richiamo di Benedetto XVI, che ha sottolineato con chiarezza come i genitori abbia-

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no viceversa “il diritto e l’obbligo fondamentale di educare i propri figli nella fede e nei valori, che nobilitano l’esistenza umana. Vale la pena adoperarsi per la famiglia e il matrimonio perché vale la pena adoperarsi per l’essere umano, l’essere più prezioso creato da Dio”. Potremmo proseguire, citando Incantesimo 9, dove l’unico problema per una coppia omosessuale protagonista consiste nel farsi accettare dal contesto sociale; oppure con Un posto al sole, già oggetto di critiche per aver mostrato i protagonisti mentre consumano droga. A stupire è il fatto che sostanzialmente tutte queste soap – nonostante i contenuti quanto meno “delicati”, ispirati spesso al più trito repertorio di un relativismo spinto e di un buonismo superficiale nutrito da fuorvianti luoghi comuni – vengano proposte indiscriminatamente in orari, pomeridiani o serali, di facile accesso per un vasto e variegato pubblico. Tutto questo entra nelle nostre case. Accompagna le nostre giornate. Entra nel nostro lessico, nei nostri discorsi, nelle nostre abitudini. Giorno dopo giorno. In modo silenzioso, indolore, quasi impercettibile. Davvero, in tutto questo, non c’è niente di male…? Il Santo Padre concluse quell’Angelus rivolgendosi alla Vergine Santa, “pregando per il bene della famiglia e per tutte le famiglie del mondo”. Anche a noi non resta a questo punto che fare altrettanto. Mauro Faverzani

Alzati e fuggi! Nella guerra europea del 1915-18, un padre di famiglia era stato chiamato alle armi e faceva servizio sulle Alpi. Un giorno era di vedetta e stava sulla cima di una montagna. Non poteva allontanarsi dalla garitta, per custodire quella zona. Intanto era stanco e sentiva il bisogno di dormire. Disse ad alcuni militari suoi amici: Mi riposo un poco dentro la garitta. Vigilate voi; se verrà l'ufficiale d'ispezione, svegliatemi subito. Rassicurato il nostro militare entrò nel rifugio, estrasse dal portafoglio una immaginetta della Madonna, la baciò con fede e disse: Vergine Santa, aiutatemi Voi! Appena chiusi gli occhi, ecco una voce imperiosa: Alzati e fuggi! Il padre di famiglia, spaventato, lasciò il posto e corse dai suoi compagni: Che cosa è capitato? Niente! Eppure ho sentito dirmi: Alzati e fuggi! Avrai sognato certamente! Va' a dormire e sta tranquillo! Ritornò al rifugio. Ribaciò l'immagine della Madonna e chiuse gli occhi. La solita voce lo svegliò: Alzati e fuggi! Andò a lamentarsi con i compagni: Ma lasciatemi in pace! Perché svegliarmi senza necessità? Avete voglia di scherzare? Gli amici lo assicurarono di non essersi avvicinati alla garitta: Va' a dormire! Quello che senti è frutto di fantasia! Per la terza volta si ripetè la voce: Alzati e fuggi! Non ritardare più! Il militare si convinse che non era più un sogno e scappò. Aveva fatto una trentina di passi, quando cadde una bomba sulla garitta e tutto andò in aria. A tale scena il padre di famiglia diede in un pianto dirotto: Ancora uno o due minuti di ritardo a scappare e sarei stato fatto a pezzi dalla bomba! O Madonna Santissima, la vostra voce mi ha salvato! (da Vera devozione a Maria - G. Tomaselli - Scuola grafica salesiana, Palermo)

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Il Padre nostro (Mt.6,7-13; Lc.11,1-4)

Ai Dodici che un dì glielo avevano chiesto, Gesù come pregare rendeva manifesto; e se pure altre volte Lui lo aveva detto, ancora a tutti quanti ne ribadì il concetto: «Userete parole le più semplici e piane, e soprattutto poche, senza espressioni vane. Lasciatele ai pagani le frasi a dismisura, che credono in tal modo ricever maggior cura. Invece il Padre vostro lassù nei cieli sa, la più segreta vera vostra necessità: infatti prima ancora che voi glielo chiedate, Lui già sa quanto voi da Lui desiderate. Direte: - Padre Nostro, che su nei cieli stai, sia santificato il nome che Tu hai, e venga il Regno Tuo, sia fatto il Tuo volere, così qui sulla Terra, come in cielo tra le sfere. Donaci ogni giorno il pane quotidiano, e grazie per la pioggia da cui germoglia il grano; rimetti a noi le colpe,


perdona i nostri errori, come noi perdoniamo i nostri debitori. Fai che la strada giusta non lasciamo per la via. Liberaci dal Maligno per sempre e così sia -. …… Tenete bene a mente questo mio insegnamento, lo andrete a dire a tutti, ovunque soffi il vento...» Fanciulli, ogni volta che voi lo recitate, pensate che Gesù lo declamò una estate. Tutte le volte che lo recitate voi pensate a Lui quel giorno che lo insegnava ai Suoi. Queste frasi che voi recitate a memoria son certo le parole, più note della storia. Di certo c’è un bambino, giallo, mulatto o nero che ora mentre leggete, lo sta dicendo intero. Dai ghiacci all’Equatore, dai Poli alla Savana, vien detta in ogni lingua questa preghiera cristiana. Fanciullo che la reciti pensa che non sei solo, ma con altri milioni dall’uno all’altro Polo..... N.G.Z.P.


L’

Opera ‘Centro Social São José’ é stata fondata dal domenicano Padre Francisco Pessuto per rispondere alle necessità di tante famiglie povere della periferia di Santa Cruz do Rio Pardo, nello Stato di San Paolo (Brasile). Il processo di industrializzazione dell’agricoltura aveva tolto a molti braccianti agricoli il lavoro e il pane e li aveva costretti ad emigrare verso la periferia della città, creando “favelas” dove la miseria regna sovrana. Questa situazione ha determinato una serie di problemi sociali e morali. Le vittime piú vulnerabili di questa emergenza sociale sono i bambini e gli adolescenti, che vivono in situazione di abbandono e

L’Opera “Centro Social San José” di Santa Cruz do Rio Pardo (Brasile)

testimonianze

di grave rischio per il loro sviluppo fìsico e morale. Padre Francisco (da tutti conosciuto come ‘frei Chico’) si è rimboccato le maniche e con l’aiuto di tante persone generose ha fondato il Centro Sociale São José e la Casa do Menor: - nella prima delle due opere sono accolti piú di 350 bambini e adolescenti poveri: si offre loro sicurezza contro i pericoli della strada, alimentazione, sport e divertimento sano, formazione umana, morale e religiosa nonché l’avviamento professionale; - la seconda è invece un ambiente, tipo orfanotrofio, organizzato come un piccolo villaggio,

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con casette separate e servizi centralizzati, per accogliere bambini e adolescenti, dagli zero ai 18 anni, che non hanno genitori o si trovano in situazioni gravi di rischio per la loro integrità fìsica e morale. Attualmente la Casa do Menor accoglie una ottantina di ragazzi. Queste opere benemerite, conosciute nel loro insieme con il nome originario, dato da frei Chico, di Centro Social São José, hanno ottenuto nel 2007 il riconoscimento delle Autorità pubbliche dello Stato come le migliori fra le opere sociali esistenti nello Stato di São Paulo. Oltre all’obiettivo fondamentale di proteggere i minori dai pericoli della strada, nelle due Case si realizza un intenso programma di educazione dei minori e di preparazione per la vita. Sono iniziative molteplici di educazione morale e civica, di formazione religiosa e informazione culturale, di accompagnamento scolastico. I ragazzi possono contare su un buon accompagnamento psicologico, soprattutto quelli che hanno subito violenza o sono traumatizzati da esperienze famigliari negative. La formazione religiosa è realizzata con corsi di catechesi, preparazione ai sacramenti (Prima Comunione e Cresima), partecipazione attiva nelle celebrazioni della comunità parrocchiale. Il ‘miracolo’ quotidiano della Provvidenza che ci permette di accogliere, alimentare e educare i nostri bambini e adolescenti è garantito, in

parte, dalla generosità di numerosi benefattori e di volontari di Santa Cruz do Rio Pardo e della regione. Ma il loro aiuto non è sufficiente per coprire tutte le necessita e così abbiamo fatto appello anche ad amici e benefattori dell’Italia. Contiamo in particolare con la generosità di tanti padrini e madrine che adottano a distanza uno dei nostri ragazzi e ci aiutano così a garantire loro quello di cui hanno bisogno (e diritto) per crescere sani e sereni e prepararsi per la vita. La filosofia della nostra Opera è di non dare il ‘pesce’ pronto, ma insegnare e aiutare a... pescare! Per questo tutte le nostre attività educative hanno come obiettivo di aiutare i ragazzi a scoprire e sviluppare le loro qualità e a prepararli per inserirsi nel mercato del lavoro. Indichiamo qui, in forma sintetica, alcune delle realizzazioni specifiche ed alcune importanti ‘conquiste’ realizzate nel 2007 con l’obiettivo di ‘insegnare a pescare’. - Programma di artigianato educativo e altre attività nelle due Case: Si organizzano attività varie di artigianato, per sviluppare le capacita creative dei ragazzi e per ottenere un risultato economico che è destinato sia al loro mantenimento attuale, sia alla creazione di un piccolo risparmio personale per il loro futuro. I nostri ragazzi producono oggetti vari di arti-

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gianato come ricamo, pittura, oggetti di legno dipinto, sandali, dolci di cioccolato, uova di Pasqua, panettoni per il Natale, ecc. Quest’anno alcune ditte della città hanno affidato ai nostri adolescenti la produzione di oggetti per il loro mercato. Questo è un modo efficace per inserirli un po’ alla volta nel mercato del lavoro. Con il ricavato gli adolescenti cominciano a creare un piccolo risparmio personale per il loro futuro. Nella Casa do Menor esiste un grande orto che fornisce verdure fresche tutto l’anno per le due Case. I nostri adolescenti collaborano alla produzione e sono così educati a coltivare la terra e a valorizzare le sue risorse. - Indichiamo le due più importanti fra le conquiste realizzate nel 2007 - La nuova fabbrica di cioccolato nel Centro Sociale: fin dai primi tempi frei Chico aveva organizzato una piccola produzione artigianale di dolci di cioccolato destinata a sostenere le spese di manutenzione ordinaria dell’Opera. I nostri ragazzi collaborano in questa produzione, assieme a persone volontarie della città. Questa attività si è sviluppata grandemente e quest'anno siamo riusciti a portare a termine la costruzione di un nuovo ambiente ben attrezzato per la produzione in scala maggiore di dolci di cioccolato, di uova di Pasqua, e altro. Il suc-

cesso delle vendite è notevole e questo rappresenta un grande aiuto per sostenere le spese ingenti dell’Opera. La fabbrica di cioccolato ‘frei Chico’ rappresenta anche uno spazio di collaborazione volontaria di tante persone della città e di formazione professionale dei nostri ragazzi. Nascono belle amicizie tra le persone della città e i nostri ragazzi e questo li aiuta a inserirsi nella vita sociale. - Laboratorio di informatica nella Casa do Menor e nel Centro Sociale: anche qui in Brasile l’informatica è entrata con tutta la sua forza di innovazione tecnologica ed oggi, per entrare nel mercato del lavoro, è indispensabile una buona conoscenza di questa tecnica. Nel 2007 siamo riusciti a creare nella Casa do Menor nel Centro Sociale due nuovi laboratori di informatica con vari computers, in parte comprati e in parte donati da benefattori della città. I nostri adolescenti possono così fare il corso di informatica e familiarizzarsi con questo nuovo importante mezzo di comunicazione e di produzione. Frei Chico ci ha lasciato già da vari anni. Ma dal cielo continua ad accompagnarci! Siamo impegnati con grande amore, con passione, perché il suo sogno continui a farsi realtà: che questi bambini e adolescenti, vittime della povertà, della violenza e dell’abbandono, possano scoprire che “un mondo differente è pos-

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sibile” e abbiano le condizioni per realizzarsi pienamente, come persone, come cittadini, come figli di Dio! Colgo l’occasione per ringraziare tutti i nostri amici e benefattori italiani, in modo speciale i padrini e madrine che con fedeltà e costanza ci mandano il loro sostegno delle adozioni a distanza, che è tanto importante per i nostri ragazzi. A nome loro e di tutti i responsabili e collaboratori dell’Opera di frei Chico mandiamo un caro saluto a tutti Il Signore vi benedica! Aparecida Figueira Gabriel Direttrice

per chi fosse interessato alle Adozioni a distanza annuale può essere versata • Launaquota volta sola o tramite versamenti periodici (mensili, trimestrali o semestrali) usando il conto corrente postale del Centro del Rosario sul quale, nella causale, deve essere specificato “adozione di….”. Pag. 1 Il vescovo di Orinhos visita il Centro. I bambini imparano l’igiene.

giungeranno notizie • Periodicamente dai bambini così “adottati” in modo da mantenere aperto un dialogo fra bambino e “padrino/madrina”...

Pag. 2 Attività sportive e un momento di festa.

fosse interessato è invitato a • Chi mettersi in contatto con padre

Pag. 3 Sandali ricamati dai ragazzi. A scuola di panettone.

Mauro: cell. 335 5938327

Pag. 4 Un bagnetto per il più piccolo. Una partita di calcio.

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Sul Rosario parte I

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opo la sollecitudine a rinforzare la nostra devozione alla preghiera del Rosario fatta dal Maestro dell’Ordine domenicano si è aggiunta, ancora una volta la voce del Papa che come i suoi predecessori invita i cattolici a non dimenticare questa pia pratica. Benedetto XVI nel giorno dell’Ascensione, tra le altre cose ha detto a proposito del Rosario: “Oggi insieme confermiamo che il Santo Rosario non è una pratica relegata al passato, come preghiera di altri tempi a cui pensare con nostalgia”. “Il Rosario sta invece conoscendo quasi una nuova primavera. Questo è senz’altro uno dei segni più eloquenti dell’amore che le giovani generazioni nutrono per Gesù e per la Madre sua Maria”. “Nel mondo attuale così dispersivo, questa preghiera aiuta a porre Cristo al centro, come faceva la Vergine, che meditava interiormente tutto ciò che si diceva del suo Figlio, e poi quello che Egli faceva e diceva”. Il Papa ha quindi elevato una invocazione alla Vergine ad accogliere la grazia che promana dai Misteri del Rosario, “affinché attraverso di noi possa 'irrigare' la società, a partire dalle relazioni quotidiane, e purificarla da tante forze negative aprendola alla novità di Dio”. Infatti, ha continuato, “il Rosario, quando è pregato in modo autentico, non meccanico e superficiale ma profondo, reca pace e riconciliazione. Contiene in sé la potenza risanatrice del Nome santissimo di Gesù, invocato con fede e con amore al centro di ogni Ave Maria”. Di qui, l’invito rivolto dal Pontefice a tutti i fedeli affinché, durante il mese mariano, si sentano “vicini e uniti nella preghiera”, così da formare, con l’aiuto della Madonna, “un cuore solo e un’anima sola”. Nella nostra Provincia religiosa tale pratica è sempre stata posta al centro dell’attenzione ed a promuoverla ancora oggi vi sono due religiosi che a tempo pieno vi lavorano. Nel 1973 il compianto Padre Enrico Rossetti con altri confratelli volle rilanciare il santo Rosario su vasta scala promovendo le Missioni del Rosario con uno spirito nuovo. Il successore del Padre Rossetti, P. Ennio Staid ha poi ingrandito l’attività lasciatagli dal P. Enrico creando un movimento di giovani G.A. (Giovani amici del Rosario) da cui poi è nata la casa di preghiera di Ganghereto (AR). Attualmente il P. Ennio è a Novara ma non ha dimenticato il suo antico impegno pastorale e oltre a scrivere molto su questa devozione (Vedi la parola Rosario nel Dizionario di Mariologia) ha continuato a predicare le missioni rosariane e ed in giugno del 2003 ha presieduto il congresso del Rosario per l’America latina a Cordoba in Argentina. Qui di seguito ne trascriviamo la conferenza principale.

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“Se mi ami parlami, se non hai nulla da dirmi, parlami lo stesso per dirmi che non hai niente da dirmi, ma parlami lo stesso”. (San Basilio)

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er un domenicano parlare del Rosario ad altri fratelli e sorelle della stessa famiglia, non solo è difficile ma, almeno per me, imbarazzante. Non appartengo all’America Latina, non parlo altra lingua che la mia, non sono un teologo famoso, non ho idee che possano aggiungere novità al Rosario. Unico motivo che mi ha spinto a rispondere affermativamente all’invito ricevuto è, e credo non sia poco, il mio grande amore a questa devozione tanto cara alla nostra famiglia religiosa. Se poi mi è permessa una breve divagazione, posso affermare che la mia vocazione domenicana è nata da bambino. La storia è simpatica perché afferma che Dio riesce a scrivere diritto anche sulle righe storte della nostra esistenza. Io sono nato in una città in provincia di Roma e sono cresciuto in una via peccaminosa, così la chiamavano i miei concittadini. Peccaminosa perché la nostra casa era situata tra due bordelli. Inoltre i miei genitori erano davvero troppo poveri per sfamare a sufficienza otto bocche piuttosto fameliche. Sono quindi, come potete immaginare, cresciuto per la strada e abituato a cercare cibo dove era possibile trovarlo. Non voglio affliggere l’assemblea con la storia di un ragazzo povero (i poveri in America Latina li conoscete bene), ma raccontarvi il mio incontro con la Vergine Maria e il suo Rosario. Come è facile arguire, non frequentavo la parrocchia e nessuno mi aveva insegnato a pregare. L’incontro, davvero sorprendente, avvenne un giorno che avevo deciso di scalare un muro e depredare, spogliare, un albero di ciliegie (forse, senza saperlo, ero già in rapporto con le nostre radici: anche se sant’Agostino aveva preferito le pere...). L’albero in questione era in un giardino di una casa che apparteneva alle suore della Carità adibita ad ospizio per le suore anziane. Il furto delle ciliege mi parve facile sia per il muro non troppo alto, sia perché le proprietarie erano soltanto delle vecchiette vestite in

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modo buffo. Il furto fu semplice la prima volta, ma, come ogni ladro che si rispetti, tornai a… delinquere il giorno dopo. Questa seconda volta, però, una vecchia suora si era appostata dietro un cespuglio e, quando scesi dall’albero, la suora, certamente vecchia, ma con le mani ancora robuste, mi prese per un braccio e mi disse: “Brutto birbante, vuoi proprio andare all’inferno”?. Io la guardai impaurito, ma spavaldamente risposi: “Sì” e lei, cercando di farmi paura, mi disse: “Perché vuoi andare all’inferno”?. “Perché tutti dicono che sono un diavoletto”, risposi. La suora sorrise, e invece di darmi qualche schiaffo che pensavo di meritare, mi portò davanti ad una edicola della Madonna. Trasse dalle sue enormi tasche una corona del Rosario e me la regalò. Io allora pensai che quella suora fosse matta, infatti invece di picchiarmi mi regalava una collana. A quel tempo non avevo ancora mai visto una corona del Rosario. Per farla breve, la suora divenne una mia amica e mi insegnò a pregare con quella corona. Rivedo sempre il suo viso dolce e le sue parole sono stampate per sempre nel mio cuore: “Se sarai sempre fedele nell’usare la corona benedetta, certamente non andrai all’inferno, ma ci vedremo in paradiso vicino alla Madonna. La suora morì l’anno dopo. Io sono diventato un uomo, mi sono laureato e, per tanti anni ho frequentato solo saltuariamente la chiesa, ma MAI ho dimenticato di recitare il Rosario. Così, non ho mai lasciato la corona benedetta, attraverso la quale la Madonna mi ha tenuto legato a sé. Come vedete ha vinto Lei. Perché non solo sono diventato prete ma domenicano, non solo domenicano ma anche, per tanti anni, promotore del Rosario della mia Provincia religiosa e, per i bambini del Rosario Vivente d’Italia, il promotore nazionale. Vi ho raccontato questa storia perché non ho nessuna intenzione di fare una conferenza sul Rosario; il mio parlare ha il solo scopo di stimolarci a vicenda affinché tutti i figli di san Domenico sentano la responsabilità di far conoscere ed amare questa splendida preghiera che, a mio avviso, molti domenicani non amano più come una volta. Il 16 ottobre del 2002 il Papa Giovanni Paolo II ha scritto una lettera Apostolica sul Santo Rosario che ha suscitato l’interesse della stampa e delle televisioni di tutto il mondo. Ma ciò che più ha fatto scalpore, soprattutto a chi il Rosario non lo recita mai, è la novità introdotta dal Papa. Purtroppo solo chi non fa mai

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nulla non è mai criticato. La novità consiste, come già sapete, nell’introdurre altri cinque misteri ai quindici che avevamo. Comunque Giovanni Paolo II propone questa innovazione con molta discrezione, senza voler imporre e senza voler alterare la struttura tradizionale del Rosario. Se siamo qui riuniti in un congresso, non è certo per studiare insieme la lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae che, come documento, è di una grande semplicità ed è, almeno per me, una lettera che parte dal cuore del Papa, dalla sua esperienza di preghiera, dal suo amore per la Madre di Gesù. Il testo è di una grande levatura spirituale, ed è curato nei minimi particolari, chiaro nell’esposizione, profondo nel contenuto, ricco di spunti per la riflessione e la meditazione. In esso il Papa parla di Gesù e di Maria con una sorprendente naturalezza, quasi con un’intima familiarità, conseguita certamente attraverso una intera vita di contemplazione e di preghiera. Infatti egli confessa che la recita del Rosario lo ha sempre accompagnato lungo il corso della sua esistenza. Credo che non facciamo un buon servizio al Papa se ci mettiamo a battere le mani su ciò che lui ha scritto, ma certamente gli faremo onore se impegneremo queste ore a nostra disposizione cercando insieme una strada per rilanciare questa splendida preghiera. Io mi permetterò di tracciare delle piste di lavoro su cui potremo discutere, senza pretendere di esaurirne l’argomento; tuttavia possono essere un punto di partenza per un rinnovamento del Rosario, un nuovo slancio, uno spunto di riflessione e un sussidio per la predicazione. Il Rosario infatti è un predicare semplice pregando. Non si dovrebbe lasciare solo il Papa a parlare del Rosario; l’esortazione deve servire a stimolare, a vivere e parlare di questa pia pratica – tanto cara alla Madonna oltre che ai Sommi Pontefici – anche i vescovi, i presbiteri, le monache, le suore e tutti gli operatori della pastorale ma, in modo tutto particolare, la grande famiglia di san Domenico. La Preghiera Tutti conosciamo la difficoltà della preghiera in generale. Pregare è un lavoro difficile, non perché è al di là delle nostre capacità, ma perché è un lavoro che non finisce mai. Pregare è l’opera più difficile e, senza un vero maestro della preghiera, è davvero difficile pregare. Questo Maestro è lo Spirito Santo. Lui solo è davvero capace di parlare al cuore di ciascuno di noi e far emergere un grido, un pianto, un gemito che è già preghiera, anche se imperfetta. La vera meravigliosa preghiera è solo quella di lode. In questo senso anche Maria è maestra. Essa nel suo cantico loda Dio e lo ringrazia per tutto ciò che ha ricevuto. Ma oltre lo Spirito Santo e la Beata Vergine qui sulla terra è difficile trovare veri maestri di preghiera. Vi sono persone che ci danno la possibilità di interrogarci sulla preghiera ed a volte può essere utile che qualcuno ci racconti la sua esperienza. Ma poi, se la preghiera è davvero, come diceva Carlo Carretto, “fare l’amore con Dio”, allora anche la guida non basta, anzi sovente potrebbe diventare un intralcio ad un rapporto che è soltanto nostro, al nostro rapporto nuziale. Non basta nei nostri incontri parlare continuamente di Dio, è necessario sentire la sua presenza e mettersi, come Maria, in ascolto della sua Parola.

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Vi sono vari modi di pregare Nel primo libro di Samuele si racconta la storia di Anna, mamma di Samuele, e di come il profeta Eli, osservandola pregare, si convinse che la donna fosse ubriaca perché il profeta le vedeva muovere soltanto le labbra. Eli la considerava ubriaca e la rimproverò (1Sam 1,9-18). In realtà Dio esaudì quel pianto di donna sterile e quella preghiera biascicata da una persona emarginata perché incapace di generare figli: Anna partorì Samuele. Altre volte assistiamo a preghiere solenni, sotto il punto di vista della liturgia quasi perfette, dove non è difficile vedere i partecipanti commuoversi fino alle lacrime, ma chi può dire che queste celebrazioni siano migliori agli occhi di Dio di quelle proferite da Anna? Il profeta Amos metteva in guardia da un certo modo molto esteriore di pregare: “Così dice il Signore: io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni, anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti” (Am. 5,21-23). Lo psicologo o il sociologo atei potrebbero dedurre dal comportamento di Anna due conclusioni; la prima, quella del profeta Eli: “È ubriaca!”, la seconda, al passo con i nostri tempi, collocherebbe Anna nel numero delle persone ignoranti le quali, incapaci di un’autentica preghiera, si possono accontentare di pratiche innocue ma inutili come il Rosario. Invece la preghiera di Anna è quella vera: anche se apparentemente incomprensibile, sussurrata con le labbra, forse ancora appesantita dal sonno, è la preghiera che raggiunge Dio. Quelle che invece noi consideriamo grandiose manifestazioni, clamorosi segni di un atteso risveglio religioso, imponenti dimostrazioni di trionfo cristiano, possono diventare abominio agli occhi del Signore, pratiche esteriori incapaci di instaurare un autentico dialogo con Dio. La realtà è che nessuno può dire: “Ho pregato bene, oppure ho pregato male”. Scuse per non pregare Tutti abbiamo conosciuto gente che sostiene che è meglio non pregare piuttosto che pregare male. Ed abbiamo sentito altri sostenere che per pregare è necessario sentirlo, averne voglia. Costoro sono i sostenitori della “autenticità”. Se non si è autentici non si è. Per me questa gente non ha voglia di far nulla e tanto meno di pregare. Provate a pensare ad una mamma che dica al suo bambino : “La mamma è una donna autentica e dato che non mi sento di prepararti il cibo mi sono messa a dormire”. Chi ragiona così non sa, o non vuol sapere, cosa è il dovere. La preghiera è la prima risposta che ha il cristiano verso il suo Creatore. Essa non va affidata agli umori personali. Non si può pregare solo quando se ne ha voglia. In questo caso si finisce per trasformare la preghiera in un gesto estetico, in una attività emotiva. La preghiera cristiana è una attività che ha una oggettività essenziale e non dipende dal singolo, se è vero che il protagonista della preghiera è lo Spirito. Di conseguenza l’autenticità della preghiera non dipende dal nostro stato d’animo. Essa spesso è una dura lotta, cui partecipa tutto l’essere, anima e corpo.

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Non ho tempo per pregare Il compito che abbiamo come predicatori è quello di riaffermare, con forza, la nostra signoria sul tempo. L’uomo è padrone del suo tempo e non viceversa. Il tempo è un idolo della nostra civiltà, una forza che ci domina e ci costringe a metterci al suo servizio. Il cristiano invece deve avere il coraggio di affermare con le parole e con la vita la sua signoria sul tempo. Guai a lasciarci trascinare dagli eventi e dal tempo che scorre. Dobbiamo con forza difendere uno spazio di tempo da dedicare al dialogo con Dio, alla preghiera. A questo rapporto con il Creatore non si possono dedicare dei ritagli di tempo, è necessario consacrarvi un momento preciso e privilegiato della giornata. Non è sufficiente sostenere che ho pregato quando ho fatto bene il mio dovere. Nessuno sposerebbe una persona che fa bene il suo lavoro, ma poi non fa mai una carezza, non parla con la propria moglie, il proprio figlio, l’amico, non gli dà del suo tempo. Ora è vero che nella nostra società, nella nostra vita di gente che vive in città, tutto contribuisce perché non ci sia mai il tempo per fermarsi, ma sono convinto che gli oziosi, quelli che hanno tanto tempo a loro disposizione, non sono uomini e donne di preghiera. Mi è stato sempre detto che il Padre Lagrange, il fondatore della scuola biblica dei domenicani a Gerusalemme, trovava ogni giorno il tempo per studiare la Bibbia, leggere i giornali e recitare il Rosario. Negli anni in cui sono stato promotore del Rosario avevo una zelatrice, tra le più attive, che aveva undici figli ed a chi le chiedeva dove trovasse il tempo per andare a Messa e dire il Rosario intero tutti i giorni rispondeva imperturbabile: “Come farei con undici figli se non attingessi forza dall’Eucarestia e dalla preghiera del santo Rosario?”. Capisco che questo “faccia a faccia” è faticoso e, a volte, provoca smarrimento, ma è proprio da questo smarrimento che deve iniziare lo sforzo di comunicazione nella fede con il Signore. Solo allora sapremo liberarci dal ritmo frenetico della vita e troveremo nel dialogo interiore pacificazione e unità della nostra persona. D’altronde la preghiera non ha giustificazioni, come non ne ha l’amore. Per chi è credente, per chi ha la fede o la cerca a tentoni è naturale incontrarsi nella preghiera. San Basilio scriveva ad un amico: “Se mi ami parlami, se non hai nulla da dirmi, parlami lo stesso per dirmi che non hai niente da dirmi, ma parlami lo stesso”. Vi sono giorni in cui il mio Rosario zampilla come un torrente che scende festoso verso la valle; altre volte mi sembra un fiume calmo e maestoso, ma vi sono giorni in cui non vedo che palude intorno a me, eppure non defletto, mi stanco, ma rimango fedele all’impegno preso. A volte mi addormento recitando il Rosario e le prime volte che accadeva me ne facevo scrupolo, poi mi sono detto che era ed è bellissimo addormentarmi con la corona in mano. P. Ennio Staid

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Portogallo: Lisbona e Fatima dal 18 al 21 luglio 2008 in aereo

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Polonia: Varsavia, Cracovia, Czestochowa, Auschwitz dal 30 luglio al 5 agosto 2008 in aereo 3

Grecia: sulle orme di san Paolo dal 20 al 28 agosto 2008 in aereo Turchia: Patmos e le chiese dell’Apocalisse dal 5 al 14 settembre 2008 in aereo

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per ogni informazione rivolgersi a: Padre Mauro Persici, tel. 335 5938327

organizzazione: Eteria Viaggi

i nostri pellegrinaggi

Lourdes dal 22 al 24 settembre 2008 in aereo Loreto, Pompei, san Giovanni Rotondo, Pietrelcina, Lanciano dal 5 all’8 ottobre 2008 in pullman

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Egitto: Cairo, monasteri del mar Rosso, Sinai, Luxor dal 27 dicembre 2008 al 6 gennaio 2009 in aereo

raduni del rosario 1

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Abbazia di Rosazzo (Ud) sabato 20 settembre 2008

Santuario della Beata Vergine di Sulo a Filetto (Ra) sabato 27 settembre 2008

Santuario san Giuseppe da Copertino a Osimo (An) sabato 4 ottobre 2008


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