Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLI - n. 3 - III trimestre
Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
3/2008
speciale P. Tomáˇs Tyn ´
ROSARIUM Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio
Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 41°- n. 3 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s. Milano - via P. della Francesca 38
Movimento Domenicano del Rosario Via IV Novembre 19/E 43012 Fontanellato (PR) Tel. 0521822899 Fax 0521824056 Cell. 3355938327 e-mail movrosar@tin.it
www.sulrosario.org CCP. 22977409
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.
Pag. 4 e seguenti: VELÀZQUEZ, L’incoronazione della Vergine, Madrid, Museo del Prado. Pag. 25 e seguenti: Mosaico con pavoni e viti, IV sec., Roma, S. Costanza.
! o n m o a n v a s n pe SOMMARIO Maria è ragione della nostra speranza Card. Giacomo Biffi
3
P. Tomáˇs Tyn: ´ un domenicano senza compromessi Roberto de Mattei
7
Intervista a P. Giovanni Cavalcoli op
12
Maria, la regina... P Tomáˇs Tyn ´
17
Una Chiesa con la “spina dorsale”... Mauro Faverzani
24
Testimonianze
28
Nuovi iscritti
30
Pagina della riconoscenza
31
In copertina: Foto dalla Palestina di Paolo Gavina
C a rd i n a l e G i a c o m o B i ff i A rc i ve s c o vo e m e r i t o d i B o l o g n a
Maria è ragione della nostra speranza
Maria è ragione della nostra speranza
Q
uesta festa della Vergine Maria1 – che arriva nel colmo dell’estate, quando la gente è più svagata, più attenta a distrarsi, più impegnata a disimpegnarsi – è una proposta seria che ci viene fatta da parte di un Dio che non va in vacanza e in ogni tempo dell’anno, anche quando noi pensiamo poco, pensa alla nostra salvezza. Questa festa della Vergine Maria – che è la più antica tra quelle celebrate dal popolo cristiano in onore della Madre del Signore – è un invito a riflettere; un invito a riflettere non solo su di lei e sulla sua bellezza, ma anche sul nostro stesso destino: è dunque un invito ad ammirare e a sperare. Stupefacente e sconcertante rivoluzione di Dio L’avventura stupefacente di questa ragazzina ebrea – avventura che comincia nella semplicità e nell’oscurità di una povera casa, in uno sperduto paese ignoto a tutti, entro una piccola e tormentata regione della terra, e si conclude in cielo – come ci ha detto la prima lettura al cospetto dell’universo, in un quadro dove il sole, la luna, le stelle entrano come ornamenti della regina del mondo – ci lascia senza parole: possiamo solo contemplare e adorare. Lo stesso fantasioso amore divino, che ha voluto il nostro riscatto attraverso l’incredibile abbassamento del suo Figlio unigenito, ha disposto l’incredibile esaltazione degli umili, dei quali Maria è figura e primizia. Il Crocifisso che sovrasta i nostri altari e la Madonna effigiata nelle nostre chiese sono segni dell’identico sorprendente disegno, che attraverso la sofferenza e l’avvilimento del Re della gloria ha spalancato ai piccoli le porte del Regno. Di fronte a questa vicenda, chi sa davvero riflettere è colto dallo stupore che
4
sempre suscitano in noi le meraviglie di Dio. È lo stesso stupore, a ben guardare, che pervade il canto di riconoscenza della Vergine – il Magnificat – che abbiamo appena ascoltato. Maria è sbigottita perché Dio dalla sublimità della sua trascendenza ha guardato, ha guardato a lei, ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc 1, 48). Maria è attonita nella contemplazione di questo Dio che capovolge i valori illusori del mondo: ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili (Lc 1, 51–52); e tutto questo non per il gusto acre e sterile di giocare alla rivoluzione permanente, ma perché alla fine trionfi la verità sulle apparenze e la misericordia arrivi in tutte le generazioni su quelli che lo temono. È lo stupore gioioso di chi con occhi profetici vede realizzato qualcosa di troppo grande e di troppo bello per essere neppure immaginato; di chi si trova coinvolto in un destino che supera ogni previsione e ogni attesa. Perciò Maria dice: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore (Lc 1, 46–47). Ma allo stupore si unisce la speranza. Questo sconcertante disegno di Dio non solo ci stupisce, ma fonda anche la nostra gioia e la nostra fiducia. Il cristiano è oggi in festa, perché vede una della sua stirpe arrivata a tanta altezza di gloria. Il cristiano è oggi in festa, perché ha ricevuto la notizia di questa divina rivoluzione, cantata dal Magnificat, con la quale Dio alla fine metterà a posto tante ingiustizie, dissiperà le false grandezze, i falsi messaggi di pace, i falsi miti di liberazione che infestano questo mondo, e collocherà nella loro giusta luce i valori autentici, che oggi troppo spesso sono nascosti solo nel cuore degli umili. Dio non lascia che l’umanità vada perduta Il cristiano oggi è in festa, perché ha la certezza che il destino della Madre di Dio è riservato anche a lui: chi saprà partecipare con la fede all’umiliazione dolorosa di Cristo parteciperà nella letizia alla glorificazione della Madonna Assunta. Questa è dunque la festa della speranza cristiana, è il giorno in cui bisogna saper levare lo sguardo e guardare in alto. E di speranza abbiamo un estremo bisogno. Noi ci avvediamo ogni giorno di più che il mondo inseguito e creato orgogliosamente da tutte le filosofie e i sistemi sociali che in questi due secoli sono andati predicando l’autosufficienza dell’uomo e la possibilità di una felicità che si riduca alla terra, è un mondo deludente, oppressivo, stravolto, disumano; o, per usare le quattro espressioni di san Paolo nella lettera ai Romani che sembrano fotografare la società dei nostri giorni, è un mondo senza senno, senza costanza, senza amore, senza misericordia (cf. Rm 1, 31). Tanto più nasce in noi la certezza che la nostra sopravvivenza sta tutta nelle
5
mani del Dio che, nonostante la nostra malvagità e la nostra stoltezza, continua a guidare la storia secondo i progetti della sua bontà e della sua misteriosa sapienza. La festa dell’Assunta ci dice appunto che Dio riuscirà a salvare l’uomo dalla sua stessa insipienza. Quest’uomo, così fiero delle sue conquiste e della sua raggiunta emancipazione da ogni superiore principio, si sta distruggendo con le sue stesse mani; quest’uomo per il miraggio di una egoistica felicità individuale sta corrodendo con le sue leggi e col suo costume l’istituto familiare; quest’uomo in nome della libertà sta progressivamente asservendo e manipolando le menti, imponendo a tutti dogmi culturali e sociali senza fondamento e senza ragionevolezza; quest’uomo nelle sue disposizioni giuridiche si ritiene padrone perfino della vita umana innocente, e così implicitamente giustifica tutti i crimini della storia; quest’uomo, tutto sommato, non è una creatura né molto rispettabile né molto sensata. Per chi non ha l’abitudine di lasciarsi facilmente illudere, è difficile oggi sperare nell’uomo. Eppure noi speriamo: la visione della Vergine umile e alta, provata dal dolore ed esaltata nella gloria, nostra sorella e madre del Signore, ci dice che Dio non permetterà che vada perduta l’umanità, che egli arcanamente e indissolubilmente ha legato a sé. Dalla Vergine Maria, da questa donna che è madre di Dio, ci viene dunque il coraggio di continuare a sperare, il coraggio di continuare a vivere.
1
Solennità dell’Assunzione di Maria, giovedì 15 agosto 1985, Parco di Villa Revedin. Pubblicata in BAB, LXXVI, 7/1985, 212–214.
Gli articoli pubblicati su “Rosarium” sono tratti dal libro “La donna ideale” del Cardinale Giacomo Biffi Arcivescovo emerito di Bologna in vendita presso Edizioni Studio Domenicano via Dell’Osservanza, 72 - 40136 Bologna Tel. 051/582037 Fax 051/331583 - esd@esd-domenicani.it
6
´ PADRE TOMÁSˇ TYN un domenicano senza compromessi
I
l 6 febbraio 2006 il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha aperto la causa di Beatificazione del Servo di Dio padre Tomáˇs Josef Maria Tyn. ´ Nel decreto di introduzione della causa si dice che: “la figura di Padre Tomáˇs si presenta come persona ferma nella fede, in mezzo alla persecuzione sistematica della religione o alla tentazione di seguire le vie di un umanesimo secolarizzato e consumista. Oggi la sua beatificazione e canonizzazione è desiderata e richiesta da numerose persone che mantengono viva la memoria della sua virtù e fama di santità già riconosciuta da tanti quando era in mezzo a noi”. Il nome di padre Tomáˇs Tyn, ´ ancora poco conosciuto nel mondo cattolico, non può essere dimenticato da chi ha avuto la grazia di incontrarlo, in quegli anni Settanta ed Ottanta del Novecento, che possono essere definiti tra i più bui della nostra storia più recente. Era l’epoca infatti in cui pochi avvertivano lo scricchiolio dell’impero sovietico e i più credevano nell’“irreversibilità” del socialcomunismo, illudendosi di poterlo “battezzare” e “umanizzare”, per costruire un “mondo migliore”. Vocazione anticomunista e sacerdotale Tomáˇs Tyn, ´ nato a Brno, in Cecoslovacchia, oggi Repubblica Ceca, il 3 maggio 1950, il comunismo lo aveva conosciuto di persona e, fin dall’infanzia, aveva compreso l’assoluta incompatibilità che esisteva tra la filosofia di Marx e quella del Vangelo. Al fonte battesimale i genitori gli avevano dato il nome di Tomáˇs in ricordo del grande santo domenicano, e a ciò che questo nome significava sarebbe stato fedele tutta la vita. I principi cristiani erano stati gelosamente conservati dalla famiglia Tyn, ´ che a Brno ebbe la fortuna
7
di avere come parroco un santo sacerdote, padre Budis, che istruì bene i bambini nella fede, in particolare durante la preparazione alla santa Prima Comunione. In questo ambiente che opponeva una forte resistenza al regime comunista, il giovane Tomáˇs sentì precocemente la vocazione sacerdotale. Dopo aver vinto una borsa di studio per i suoi ottimi profitti scolastici, lasciò la famiglia per andare a studiare in Francia, ma nel 1969 e, al termine degli studi superiori, entrò nel noviziato domenicano di Wartburg, in Germania, dove la sua famiglia si era rifugiata dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968. La Germania era uno di quei paesi in cui il vento postconciliare si era trasformato in tempesta dopo la Rivoluzione del Sessantotto. La bufera devastava i seminari, svuotava le chiese, distruggeva le vocazioni. Nel 1972 fra Tomáˇs venne a sapere che a Bologna esisteva un centro di studi domenicano, animato dal padre Enrico Rossetti, che si proponeva un rinnovamento dell’Ordine nel solco della Tradizione. Attirato soprattutto dalla devozione alla Madonna del Rosario e dalla fedeltà al tomismo che lo Studio bolognese sembrava manifestare, vi approdò, con il consenso dei suoi superiori, per continuare la sua formazione teologica. A Bologna, nel convento di San Domenico che custodisce le spoglie del Santo Fondatore, pronunciò i voti solenni e conseguì la sua licenza in teologia dedicata al mistero del rapporto fra Grazia e libero arbitrio. Fu quindi ordinato sacerdote, il 29 giugno 1975, a Roma, da Paolo VI. In quel giorno, come si seppe dopo la sua morte, mentre il Papa poneva le mani sul suo capo, egli offrì la sua vita al Signore per la libertà della Chiesa oppressa dal comunismo nella sua Patria. Sulla scia di Tommaso e Caterina Dopo essersi addottorato all’Angelicum, tornò a Bologna, dove gli fu affidato l’insegnamento della teologia dogmatica nello Studio teologico, che si avviava ad essere affiliato alla Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino di Roma. Qui continuò i suoi studi, culminati in un’opera in cui si respira l’aria delle vette teologiche e filosofiche: Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia (Edizioni Studio Domenicano, 1999), e soprattutto dispiegò un’opera di intenso apostolato e direzione spirituale. Padre Tomáˇs celebrava regolarmente la Messa e predicava presso l’altare della tomba di san Domenico. La sua voce, sempre tonante, anche quando pochi erano i presenti, sembrava voler proiettare nelle navate della grande basilica il suo amore bruciante per la verità. Il giovane domenicano seguiva con grande attenzione gli eventi religiosi e politici, italiani e internazionali, nella convinzione che non esiste “separazione” tra ordine spirituale e ordine temporale e che il Cristianesimo debba permeare, con la sua verità, la società intera. In questa prospettiva, egli criticò, con la stessa rispettosa fermezza e con lo stesso amore alla Chiesa che era stato di santa Caterina da Siena, alcuni atti politici della Santa Sede, come la “distensione” verso i regimi comunisti e, in Italia, il Nuovo Concordato del 1985. Bisogna oggi avere il coraggio di ammettere che i suoi giudizi, sul piano storico e teologico, furono profetici. Lo scambio di lettere con il cardinal Ratzinger Il 4 agosto 1985, nella festa di S. Domenico, padre Tomáˇs scrisse all’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per esprimergli la sua gioia per la pubblicazione del volume Rapporto sulla fede e per manifestargli alcune preoccupazioni concernenti la vita della Chiesa. In questa lunga lettera egli scrive che la letizia con cui, ancora ragazzo, aveva accolto il Concilio
8
Vaticano II si era presto “cambiata in tristezza, nel vedere cattive interpretazioni e applicazioni di una dottrina in se stessa sana sfigurare crudelmente il volto della sposa immacolata di nostro Signore Gesù Cristo ed opprimere nella mestizia gli animi dei buoni e di coloro che sentono con la Chiesa”. Nel libro del cardinale Ratzinger, Tyn ´ afferma di aver trovato ciò che fin dall’inizio aveva sempre pensato: “bisogna tornare al vero Concilio, ossia a quello che è conforme alla tradizione di tutti i secoli della Cristianità cattolica e si interpreta in quella luce!”. Padre Tomáˇs denuncia quindi il soggettivismo e il relativismo contemporaneo, che già l’enciclica Pascendi di san Pio X aveva svelato e denunciato. Il nome di san Pio X, “patrono della tradizione”, per aver “fulminato l’“evoluzionismo modernista”, gli sarà altrettanto caro di quello di Pio IX, non ancora Beato. Di fronte agli errori del nostro tempo, padre Tomáˇs afferma di essere sempre più persuaso “che il Sillabo di Pio IX ha stabilito una dottrina non solo vera, ma anche massi- P. Tomas Tyn a Roma mamente attuale”. La lettera si sofferma quindi lungamente sul tema della liturgia. Nel 1974, fra Tomáˇs, non ancora sacerdote, insieme con alcuni confratelli tedeschi, aveva rivolto una petizione al Capitolo generale, per chiedere il mantenimento della liturgia tradizionale dell’Ordine domenicano. Purtroppo il Capitolo non aveva accolto la richiesta e aveva obbligato l’Ordine a seguire il nuovo Messale di Paolo VI. Ora padre Tomáˇs ringraziava il cardinale Ratzinger per aver favorito l’indulto che permetteva la celebrazione del Divin Sacrificio secondo il Rito tridentino, scrivendo: “Quanto santa e sublime è quella letizia della quale si riempie il cuore tanto del sacerdote celebrante quanto del popolo assistente, allorché quel rito, venerabile per l’antichità, viene compiuto, quel rito, cioè, che tutto e soltanto a Dio si volge, a cui come a Padre clementissimo, il Figlio crocifisso nell’oblazione del suo divino sacrificio, rende somma gloria e lode (…). Non ho mai potuto capire, e neanche adesso riesco a capire, perché tanta bellezza debba esse stata espulsa dalla Chiesa”. “Infine – conclude – mi permetta, Eminenza, La prego, una considerazione che faccio con personale amarezza: nella mia patria occorre molto coraggio per professarsi cristiani, ma anche nel “libero” Occidente deve esser dotato di un non minor coraggio chi vuol mostrare apertamente la propria fedeltà verso la tradizione cattolica, a causa della disposizione ostile di alcuni ecclesiastici, i quali tuttavia tollerando se stessi con gran clamore, si dichiarano democratici e pluralisti”. Le parole di padre Tomáˇs erano mosse solo, come egli scrive, dall’amore per la Chiesa, “la quale, lungi dal doversi conformare a questo mondo, ha piuttosto il compito di santificarlo e di consacrarlo a Dio, convertendolo a Lui”.
9
Altrettanto forte e significativa va giudicata, nella sua brevità, la risposta del cardinale Ratzinger a padre Tomáˇs: “Leggendo (la sua lettera) sono stato preso da una grande gioia per la piena concordanza tra noi, sentendo in tal modo la forza unificatrice della verità, la quale ci è concessa nella fede cattolica. Mi è di grande consolazione sapere che Ella insegna teologia morale, la quale disciplina veramente fondamentale per la retta formazione della vita cristiana, molto da molti è deformata, i quali offrono ai fedeli pietre al posto di pani, sicché è assai necessaria una nuova e profonda riflessione sui veri fondamenti della vita cristiana”. L’eroismo nella professione della verità Chi vuole attingere alla dottrina e allo spirito di padre Tomáˇs Tyn, ´ non ha che da leggere le sue Omelie, raccolte da Rosanna Schinco, vera miniera di teologia e di spiritualità, ma anche di quel buon senso intellettuale e morale oggi smarrito da molti uomini di Chiesa. Le critiche di padre Tomáˇs al mondo moderno, che gli hanno valso la definizione di “tradizionalista” e che imbarazzano anche alcuni suoi estimatori, sono in realtà la prima manifestazione dell’eroicità delle sue virtù. Egli aborrì infatti il compromesso e professò sempre la verità, in tutta la sua integrità e purezza. “La parola del Signore – disse – non è suscettibile di alterazioni e rimane in eterno. È meglio essere pochi ma fedeli, piuttosto che essere molti ma talvolta infedeli”. Leggiamo ancora nelle sue Omelie: “Non giudico nessuno. Giudico la situazione delle cose, il guasto, la scristianizzazione, la profanazione. Perché la vita sociale diventa invivibile? Perché non ha più l’impronta cristiana e, mancandole l’anima cristiana e la vita di grazia le manca anche l’umanità. Senza Dio l’uomo non può essere uomo! È un assioma dell’antropologia teologica, di ogni antropologia che voglia essere non bestiale”. “Non voglio scorciatoie per la felicità, ma preferisco la via dei santi”. L’ultima omelia di padre Tomáˇs fu pronunciata nella basilica di san Domenico, il 28 ottobre 1989. Egli la concluse con queste parole, allargando le braccia aperte, ad imitazione del Crocifisso, davanti alla tomba del Santo: “Non scendiamo a patti con il mondo! Noi che abbiamo la grazia (non il merito) di amare la Chiesa cattolica nella purezza della tradizione, lasciamoci odiare dal mondo e gloriamoci di questo! È bello amare quando si è odiati. Ma amare non nella menzogna del falso pluralismo, bensì nella determinatezza dell’unica, cattolica verità, nella verità di Cristo crocifisso, unico salvatore del mondo”. Già dall’estate di quell’anno, mentre iniziava la rivolta in Cecoslovacchia, padre Tomáˇs aveva accusato i primi sintomi di un male inesorabile che lo stroncò in pochi mesi. Il Servo di Dio Tomáˇs Tyn ´ si spense l’1 gennaio del 1990 ad Heidelberg, dove era stato ricoverato. Sulla sua tomba, a Neckargemünd, in Germania, è scritto il verso del Salmo 42: Et introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam. Queste parole riassumono il senso profondamente sacerdotale della sua vita conclusasi nell’immolazione e segnata da un profondo amore a Cristo e alla Chiesa. Roberto de Mattei tratto da “Radici Cristiane” n 33 - Aprile 2008
10
Nominato dai Superiori, fra gli altri incarichi, sottomaestro dei Novizi Domenicani vediamo il padre Tomáˇs (il primo a destra, in alto) in questa foto inedita del 1980, scattata nel chiostro del convento patriarcale di San Domenico ´ a Bologna e pubblicata per la prima volta in questo numero di Rosarium. P. Tyn è ritratto assieme al defunto padre Patrizio Pilastro (il primo a destra, in basso), maestro dei Novizi, e al gruppo di giovani Novizi di quell’anno.
11
INTERVISTA a P. Giovanni Cavalcoli op
Padre Tomáˇs Tyn ´ tomista “tradizionalista”, “antidoto” al modernismo A colloquio con il Vicepostulatore della Causa di Beatificazione Padre Tomáˇs amò “la libertà di pensiero”, ma rifiutò “la tesi buonista della misericordia perdonista senza la riparazione per giustizia” così come “la tesi giustizialista e classista della giustizia senza misericordia”.
“Non scendiamo a patti con il mondo! Noi che abbiamo la grazia (non il merito) di amare la Chiesa cattolica nella purezza della Tradizione, lasciamoci odiare dal mondo e gloriamoci di questo! È bello amare quando si è odiati. Ma amare non nella menzogna del falso pluralismo, bensì nella determinatezza dell’unica, cattolica verità, nella verità di Cristo crocifisso, unico salvatore del mondo”: sono queste le parole proferite da Padre Tyn ´ nell’ultima omelia, da lui pronunciata presso la Basilica di S. Domenico il 28 ottobre 1989. Parole coraggiose e profetiche ad un tempo, riportate nel bello e documentato articolo del professore de Mattei. Padre Tomáˇs proponeva una sola “ricetta”, per rendere vivibile una vita sociale ormai degenerata per i guasti arrecati dalla secolarizzazione e dalla profanazione: il recupero dell’“impronta cristiana”, dell’“anima cristiana”, della “vita di grazia”, che – sole – possono restituirle l’umanità perduta: “Senza Dio – affermava Padre Tyn ´ – l’uomo non può essere uomo!”. Padre Giovanni Cavalcoli op è Vicepostulatore della Causa di Beatificazione del Servo di Dio Padre Tomáˇs Josef Maria Tyn, ´ ch’egli ha conosciuto molto bene. Per questo gli abbiamo chiesto cosa l’abbia maggiormente colpito nella sua vita, nel suo insegnamento, nella sua fede: «Ciò che maggiormente mi ha colpito nella vita di Padre Tyn ´ – ci ha risposto – è l’intensità e la sincerità della sua totale dedizione a Dio e al prossimo come sacerdote domenicano. Per quanto riguarda il suo insegnamento, è stato intensissimo e ricchissimo, in più modalità e a più livelli: dall’insegna-
12
mento scolastico all’omelia liturgica, dalla conferenza alla partecipazione a convegni scientifici, dalla direzione spirituale alle pubblicazioni e alla corrispondenza epistolare. Spaziava in più rami del sapere, non solo filosofia e teologia, ma anche nella storia, nelle scienze, nella politica, nell’arte e nella letteratura. Se ai suoi tempi noi Domenicani avessimo usato come oggi i mass-media, certamente se ne sarebbe avvalso. Comunicava con efficacia, fervore e persuasività la sana dottrina e la Parola di Dio a tutte le categorie di persone, adattandosi alla capacità di comprensione di ciascuno: ai dotti ed al popolo, dai fanciulli agli anziani, ai ricchi e ai poveri, ai sani e ai sofferenti, ai credenti e ai non credenti, con una notevole capacità di convincere e di confutare gli errori, di migliorare chi già crede e di condurre alla fede i non credenti. La sua enorme conoscenza delle lingue (ne conosceva otto) lo facilitava nel comunicare con persone di varie nazioni. Quanto alla sua fede, mi ha colpito soprattutto la sua capacità di armonizzarla con la sana ragione, sull’esempio e dietro l’insegnamento di san Tommaso, secondo la migliore tradizione teologica domenicana. Egli concepiva la fede nel senso più genuinamente cattolico, non come “esperienza” vaga, irrazionale ed emotiva, come spesso oggi purtroppo viene concepita, ma come libero e volontario assenso alla Parola di Dio contenuta nella Bibbia e nella Tradizione ed interpretata nei dogmi della Chiesa cattolica. Padre Tomáˇs aveva un’altissima capacità teoretica, ma si guardava bene dall’ergere presuntuosamente la sua ragione al di sopra della fede, quasi a voler discernere in essa ciò che è “ragionevole” (e quindi “vero”) da ciò che non lo è. Al contrario, secondo il buon metodo teologico, si sforzava di trovare argomenti razionali per mostrare come il dogma non sia contro la ragione, ma anzi mistero e luce divina per la ragione. La sua fede, umile e intelligente, fervente fino a raggiungere il misticismo, vivificava tutto il suo operare, sicché in Padre Tomáˇs si notava una perfetta coerenza tra il pensiero e l’azione, salvi naturalmente i limiti e le debolezze inevitabili nella vita terrena anche nei santi. Ma la sua condotta, anche nei suoi aspetti più quotidianamente umani, aveva sempre una radice soprannaturale». Quanto in Padre Tyn ´ influì il pensiero tomista, pensiero che oggi molti considerano ormai sterile, “antiquato” e superato? «Fin da ragazzo – spiega Padre Cavalcoli – Padre Tomáˇs, intelligenza eccezionale e precocissima, fu iniziato al pensiero di S. Tommaso. Egli seppe cogliere, dell’Aquinate, secondo le indicazioni della Chiesa, le sue tesi, i princìpi e il metodo fondamentali, di carattere perenne ed universale, indipendentemente dalle diverse culture e dall’evoluzione storica, e in tempi di diffusa disistima per
13
il Dottore Angelico negli stessi ambienti della cultura cattolica, frastornata da un falso rinnovamento falsamente attribuito al Concilio Vaticano II, seppe ricordare quei valori importantissimi per una retta comprensione ed interpretazione delle verità di fede. L’atteggiamento di Padre Tomáˇs nei confronti di S. Tommaso non fu quello di ricavarne degli sviluppi utilizzando gli apporti validi del pensiero moderno, un tomismo che caratterizza altri discepoli dell’Aquinate, come per esempio un Maritain o un Fabro o un Congar, ma volle essere coscientemente e programmaticamente di tipo, come lo stesso Padre Tomáˇs diceva, “tradizionalista”, benchè non certo quello scismatico di tipo lefebvriano, bensì un tradizionalismo sano e moderato, del tutto nell’alveo del cattolicesimo e rispettoso degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Tradizionalista nel senso che appunto ho detto: recupero, conservazione, riproposizione e difesa della sostanza perenne del pensiero del Maestro d’Aquino, Padre Tomáˇs non era contro il moderno, ma contro il modernismo, che è ben altra cosa. Nel contempo Padre Tomáˇs non era un fanatico di S. Tommaso, non era un tomista “fondamentalista”, ma attuava un principio esplicito dello stesso Tommaso, ossia che bisogna mettere il Magistero della Chiesa al di sopra di quello di tutti i Dottori. Per questo Padre Tomáˇs non aveva difficoltà a riconoscere, alla luce del Magistero, quanto di S. Tommaso era superato o addirittura erroneo, mentre in alcune occasioni si permetteva di avanzare o alcune interpretazioni proprie riguardo il testo tomista, in dissenso con altri tomisti, oppure di proporre qualche opinione personale, legittima, un po’ diversa dal pensiero di Tommaso. Non era un semplice ripetitore, come non lo fu Tommaso stesso riguardo ai suoi maestri, ma era un ricercatore e un amante della libertà di pensiero. Sapeva distinguere il pensatore dal nastro registratore». Le fonti rilevano la dolcezza di Padre Tyn, ´ la sua pazienza, la sua capacità d’ascolto, la sua chiarezza: come riusciva a conciliare tutto questo con il rigore di un annuncio, certo a tratti difficile ed impopolare? Come tutelare al contempo l’integrità della correzione fraterna con la logica del sorriso? «Padre Tomáˇs sapeva conciliare la mitezza con la fortezza, l’umiltà col coraggio, la dolcezza con la severità, “semplice come la colomba e prudente come il serpente”. Era, sull’esempio di Cristo, mite agnello e forte leone, a seconda delle necessità, sempre dettate dall’amore per la verità e la pratica della carità. Rifiutava la tesi buonista della misericordia perdonista senza la riparazione per giustizia (il “tutti promossi” del rahnerismo) così come la tesi giustizialista e classista della giustizia senza misericordia (“teologia della liberazione”), ma sapeva contemperare l’una o l’altra; oppure sapeva quando occorreva l’una e quando occorreva l’altra. Quasi sempre mite, dolce, attento, affabile, paziente, sorridente, gentile, comprensivo, solo in casi eccezionali si ergeva profeticamente magari da solo – pagando di persona – non contro le persone, ma contro l’errore, la menzogna, la falsità, il vizio, il peccato, l’ingiustizia, l’oppressione, l’ipocrisia, la superbia e l’eresia dovunque egli li trovasse, senza alcun rispetto umano, secondo la migliore tradizione dei predicatori e dei teologi domenicani. A questo punto non gl’importava farsi dei nemici, anche in alto, se ciò era per il bene delle anime e della Chiesa e per amore di Cristo. Così tuttavia poteva godere di amicizie sincerissime, benché poche, da parte di persone virtuose e coraggiose come lui. Esse hanno formato una famiglia di collaboratori e di figli e figlie spirituali che continuano l’esempio del Padre. Padre Tomáˇs era alienissimo dalla ricerca del successo fine a se stesso (col pretesto del “dialogo”), tentazione che sempre seduce i predicatori. Certamente cercava di rendersi comprensibile ed attraente con un linguaggio elegante ed appropriato, e a volte spiritoso ed ironico, con
14
un’oratoria vivace e ricca di esempi, ma non cedeva un millimetro a chi tentava di portarlo (in buona o cattiva fede) fuori dal sentiero della verità, costasse quel che costasse. Come Padre Tomáˇs operava questa difficile conciliazione di misericordia e severità? Con una realistica conoscenza del cuore umano, sempre oscillante fra la giustizia e la colpa, l’amore e l’odio, l’umiltà e la superbia, l’obbedienza a Dio e la ribellione a Dio, il pentimento e l’ostinazione, la buona e la cattiva fede. Dunque, come diceva la saggezza latina e secondo il comportamento di Cristo stesso verso gli uomini: “Parcere subiectis et debellare superbos”. Oppure, come dice il Salmo 138,6: “Si piega verso l’umile, ma volge al superbo lo sguardo da lontano”. Un sottile e soprannaturale spirito di discernimento portava Padre Tomáˇs a distinguere gli opposti stati d’animo e quindi ad agire di conseguenza. Tutto operava il medesimo fuoco della carità: scaldare ciò che è gelido e bruciare le immondizie. Dal medesimo amore per il bene viene l’odio per il male, al contrario dei buonisti, che pretenderebbero amare sia il bene che il male. Padre Tomáˇs certamente amava i nemici nel senso evangelico, che non vuol dire amarli in quanto nemici, ossia amare il danno che ci fanno, cosa che sarebbe stolta connivenza, ma in quanto anche in loro esistono lati buoni e quindi amabili». In un contesto – anche ecclesiale – più volte “tentato” dalla cosiddetta “scelta spirituale”, egli negò con fermezza il sussistere di qualsivoglia forma di contraddizione o di separazione tra fede e vita, tra Cattolicesimo e società: come essere, allora, ieri come oggi, cattolici “integrali”, autentici? «Padre Tomáˇs sosteneva il dovere dei cristiani di essere ‘sale della terra’, giacché Cristo è Re del cielo e della terra; per cui, se il fine dello Stato, come già sosteneva l’Aquinate, è il bene comune temporale fondato sui princìpi e sulle forze della ragion pratica, il governo politico non è fondato né su se stesso (assolutismo) né sul popolo “sovrano” (democrazia russoiana), ma trae da Dio la sua autorità, per cui non può emanare leggi in contrasto con i divini comandamenti, benché il popolo abbia senza dubbio, in democrazia, il diritto di governare se stesso mediante i suoi rappresentanti (vicem gerentes multitudinis, come dice S. Tommaso), eletti dal popolo. Per questo, per Padre Tomáˇs, la Chiesa, Regno di Dio iniziato sulla terra, può e deve, in linea di principio, guidare lo Stato verso i beni trascendenti del regno di Dio. È ciò che il Medioevo ha tentato di fare in Europa, pur in mezzo a tante imperfezioni e difetti. Col sorgere dell’antropocentrismo e dei nazionalismi moderni, la Chiesa ha progressivamente perso il suo prestigio e il suo potere giuridico e morale sugli Stati, che da cattolici sono diventati indifferenti per non dire ostili al cattolicesimo e al Papato. Oggi siamo tornati in tempi simili agli inizi del cristianesimo, allorché la comunità eccle-
15
siale non era che una delle tante realtà sociali sottomesse allo Stato. Sarebbe quindi inopportuno pensare che oggi come oggi la Chiesa potesse usare, nei confronti della compagine civile, composta di credenti e non credenti, lo stesso influsso e lo stesso potere coercitivo che poteva usare nel Medioevo. Ciò tuttavia non toglie, insegna Padre Tomáˇs, che anche oggi valga la superiorità spirituale della Chiesa sullo Stato e la dottrina della fondazione teologica del bene comune, dell’autorità politica, del sistema democratico e dei diritti umani. Per questo egli era un franco sostenitore della dottrina sociale della Chiesa e si teneva lontano tanto dall’assolutizzazione della proprietà privata propria del liberalismo, quanto dall’assolutizzazione del bene comune propria del comunismo marxista ed ateo. Egli infatti rintracciava in questi errori la comune radice antropocentrica dell’uomo che si fa dio. Padre Tomáˇs non si addentrava nelle questioni politiche tecniche di dettaglio, dove confessava la sua incompetenza, del resto normale in un religioso sacerdote, ma aveva una visione ampia, più interessata ai fondamenti morali, al contesto storico ed all’evoluzione della civiltà. Volendo dargli una collocazione politica, egli era certamente nell’area dei cattolici di destra e non in quella dei cattolici di sinistra, ma senza fanatismi e con modestia». Che ruolo attribuisce alla cultura, all’educazione, allo studio, alla formazione, lui, docente di Teologia Morale? «L’insegnamento di teologia morale di Padre Tomáˇs aveva solide basi metafisiche, antropologiche, psicologiche e teologiche. Metafisiche, in quanto utilizzava fondamentali categorie metafisiche come quella dell’ente, composto di soggetto, essenza ed essere, di bene, del fine, dell’azione e della distinzione fra l’essere e l’agire, fra la sostanza e gli accidenti e fra l’atto e la potenza. Basi antropologiche, in quanto presentava l’uomo come persona, sostanza corporeo-spirituale finalizzata a Dio, dove il soggetto è distinto dalle facoltà (intelletto e volontà), queste sono distinte dagli abiti (virtuosi o viziosi) e gli abiti sono distinti dagli atti (buoni o cattivi). Basi psicologiche, in quanto esponeva con ricchezza di dottrina la teoria degli atti umani, fondati sull’attività dell’intelletto sfociante nell’agire volontario, con rapporto alle potenze inferiori della persona. Basi teologiche, in quanto, benché la persona sia naturalmente orientata a Dio come sommo bene e fine ultimo, tuttavia essa è inclinata al male e non può raggiungere la virtù e Dio stesso senza il soccorso della grazia: grazia sanante per il conseguimento delle virtù naturali; grazia elevante per il conseguimento delle virtù soprannaturali o teologali (fede, speranza e carità) e per ricevere i doni dello Spirito Santo. La cultura, per Padre Tomáˇs, era vista come perfezionamento delle virtù umane, intellettuali e morali; l’educazione era per lui la via e il metodo per eccellenza per la formazione dell’uomo colto; lo studio era l’attività intellettuale per eccellenza finalizzata all’acquisto della cultura; la formazione era per lui sinonimo di educazione o, se vogliamo, come ho detto prima, era il fine della cultura». Padre Tyn ´ fu allora davvero un “uomo combattivo, che sa maneggiare la spada della parola”, cui non mancarono “le dispute”, non ricercando egli “un’armonia superficiale”, ritenendo “la Verità sperimentata nell’incontro con il Risorto troppo grande, per esser disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno”, come ebbe a dire di san Paolo il Santo Padre Benedetto XVI lo scorso 28 giugno, ai Primi Vespri della solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, in occasione dell’apertura dell’Anno Paolino. Un esempio, insomma. Per tutti noi. Mauro Faverzani
16
Il Servo di Dio ´ P. Tomáˇs Tyn
Maria, la regina . . .
Sul Servo di Dio padre Tomáˇs abbiamo letto l’articolo scritto da Roberto de Mattei e l’intervista, realizzata dal nostro collaboratore Mauro Faverzani al padre Giovanni Cavalcoli o.p., Vicepostulatore della Causa. Ora, però, vogliamo proporvi direttamente la sua appassionata parola in un’omelia.
O
ggi celebriamo un’altra festa mariana con la messa votiva di Maria SS. Regina di tutti gli Angeli e dei Santi. Molto importante, molto bella questa festa, per vari motivi. Innanzitutto per la conclusione del mese del Rosario, di questa preghiera così forte e così potente presso Dio, preghiera raccomandata come onnipotente preghiera di intercessione, la preghiera del S. Rosario. È giusto che noi ci raccomandiamo soprattutto a Lei che ci ha dato questa stupenda preghiera, come dono del suo Cuore Immacolato che tanto ci ama. Vedete, cari fratelli, alla conclusione di questo mese del S. Rosario dell’anno mariano, vedete come Dio ci elargisce questi grandi doni soprattutto attraverso la sua madre santissima, ma anche domani, lo sapete bene, noi celebriamo una grande festa, la festa di tutti i Santi. Ci ricorderemo allora della
17
Gerusalemme celeste, della chiesa di Dio regnante in cielo e trionfante, esultante di eterna delizia. Ebbene la regina di questa grande città, la regina della Gerusalemme santa è Maria santissima. Ecco fratelli quanto giova pensare a Maria, meditare Maria, proclamare le grandi opere che Dio compì nell’umile sua ancella perché le nostre anime si lascino intenerire da questo richiamo di Dio alla penitenza, da questo richiamo alla santificazione affinché anche le nostre anime possano lodare un giorno, assieme alla regina del cielo, possano lodare la Trinità santissima, sorgente di ogni gioia, di ogni felicità e di ogni beatitudine. Ecco allora miei cari fratelli meditiamo oggi la regalità di Maria, Maria la regina dei Santi. Perché la regina dei Santi? Ebbene soprattutto perché Maria è la Santa fra tutti i Santi, più santa di ogni altro santo, più grande più sublime rifulse la grazia di Dio in questa anima privilegiata, in quell’anima che per un decreto misterioso di Dio non conobbe mai la macchia del peccato delle origini. Ecco vedete cari fratelli qui siamo di fronte a qualcosa di sublime, di ineffabile, di incomprensibile per l’intelletto umano; grande cosa è già che l’anima dell’uomo viene strappata dalle grinfie del maligno; grande cosa è già che un’anima viene lavata nel Sangue della redenzione, che un’anima si purifica e si santifica, si riveste per partecipazione della vita trinitaria di Dio; grande cosa è, cari fratelli, essere perdonati, beati coloro cui il Signore usa misericordia e rimette i peccati; ma più grande era la grazia di Maria, più inconcepibile era per noi peccatori, perché Maria era così perdonata da Dio che non ha mai conosciuto l’orrore del peccato, l’orrore dell’apostasia, l’orrore della lontananza da Dio. Quindi Maria è la più santa di tutti i Santi perché la grazia di Dio in lei è davvero piena ed è ciò che ci santifica, che ci rende deiformi, perché solo Dio è santo e Dio vuole rendere partecipi le anime nostre, vuole comunicare la sua stessa immortale ed eterna vita a noi, sin d’ora, miei cari fratelli. Sin d’ora, sin da questa povera esistenza in questa valle di lagrime il Signore dà per certo il seme della vita divina nelle nostre anime, la grazia santificante. Questa santità immacolata rifulse in Maria santissima in maniera straordinaria. Maria, cui attribuiamo per eccellenza tutti i meriti degli apostoli, lei veramente è l’apostola degli apostoli; assieme a Maria, attorno a Maria gli apostoli pregavano il Signore per ricevere lo Spirito Santo, e tutte le gesta che gli apostoli compivano, erano ben consapevoli di compiere tutto questo nella virtù che è discesa dall’alto, in quella fiamma che si abbatté su quella casa, in quella fiamma che si distribuì sui singoli apostoli e diede loro il coraggio di proclamare secondo carità la parola del Signore per la salvezza
18
delle anime. Voi sapete bene come gli apostoli si sono convertiti, dopo essere stati timorosi davanti all’ostilità dei giudei, quando lo Spirito Santo discese su di loro: la loro mente è purificata, i loro occhi spirituali si sono aperti secondo la promessa di Gesù alla piena comprensione di tutte le sue verità, e non solo gli apostoli erano sostenuti nelle capacità intellettive, ma anche invogliati da parte delle facoltà affettive, invogliati ad amare le anime redente da Cristo e a predicare il vangelo a tutte le creature. In mezzo agli apostoli ed al di sopra degli apostoli troviamo Maria. Ecco cari fratelli che la Chiesa non può che essere sempre in questa terra e poi più perfettamente in cielo nella Gerusalemme celeste, la Chiesa non può che essere radunata intorno alla sua regina, attorno a Maria. In Maria noi vediamo rifulgere più perfettamente la virtù della verginità. Vedete, lei sola è degna di essere chiamata Vergine, perché tutte le altre anime ottengono la virtù della purezza e della santa verginità solo tramite un combattimento contro il nemico infernale, certo acquistano un grande merito davanti al Signore, ma voi sapete bene che il merito davanti a Dio non consiste nella grandezza dell’opera umana, ma solo nella grandezza dell’amore di Dio, di quell’acqua che già zampilla per la vita eterna, di quello che san Tommaso chiama “insitus Spiritus Sancti”, la mozione, la forza dello Spirito santo, questa forza così pura, così tersa, come dice il libro della Sapienza: “la sapienza possiede uno spirito terso, uno spirito puro e si compiace solo di coloro che sono puri”. Ebbene in Maria si è compiaciuta la sapienza, Maria perché era pura, la sola che era degna di chiamarsi davvero Vergine. Vedete i meriti di tutte le vergini sono superati in Maria e poi i meriti del martirio. Pensate, cari fratelli, la via più sicura per ottenere la salvezza dal Signore è dare tutta la nostra vita a Lui, perché la nostra santificazione come avviene? Solo tramite l’amore, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo, ebbene, nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i suoi amici. Pensate all’eccellenza di quell’amore che avranno avuto i Santi Martiri, amore per Dio e amore per le anime: hanno versato il loro sangue per amore del vangelo. Ebbene, la regina dei Martiri è Maria, la Vergine addolorata dinanzi alla Croce del Figlio suo, la Vergine che non solo perdona, cosa eroica, cari fratelli, ed ama persino gli uccisori del Figlio suo, certo non approvando il peccato più orribile che mai ci sia stato in questa povera terra, cioè il peccato del deicidio, certo non approvando questo, ma amando, amando profondamente queste povere anime che si sono macchiate di un delitto così grande.
19
Vedete, Maria amava, amava con santo amore e perdonava di cuore gli uccisori del Figlio suo. Non solo Maria accettava la Croce di Cristo, ma univa il suo dolore , la sua intima passione, quella spada che trapassava quel suo Cuore immacolato al dolore del figlio penitente sulla Croce. Così Maria innanzi a Cristo ed insieme a Cristo è divenuta davvero la corredentrice e la nostra mediatrice presso il Mediatore. Davanti a questo fatto la sapienza della dottrina e il coraggio della predicazione dei confessori e tutti i Santi, cari fratelli, qualunque merito abbiano mai avuto hanno trovato il loro sicuro rifugio ed il loro esempio e la loro forza. Così, cari fratelli, non è possibile santificarci, non è possibile essere graditi a Dio se noi non ci diamo da fare per imitare le virtù di Maria. Ecco, miei cari. Diceva infatti questo bell’inno orientale — che si chiama “akàthistos” perché per riverenza verso la madre di Dio viene cantato in piedi — che Maria è il primo miracolo di Cristo, che Maria è il compendio di tutte le sue verità. Come è bella questa espressione! Maria è il primo miracolo di Cristo, non solo perché la dolce madre del Signore è prevalsa quasi sul Cuore del Salvatore quando Gesù diceva a Cana: che cosa importa a me e a te, donna? Grande questa espressione “donna”, vedete la regalità di Maria, lei non è solo una donna fra le altre, è la donna, quella donna di cui parla san Giovanni nella sua visione dell’Apocalisse: la donna vestita di sole con un diadema di dodici stelle sul suo capo e con la luna sotto i suoi piedi. “Che cosa importa a me e a te, donna”? dice Gesù. Maria dice ai servi: “fate tutto quello che Lui vi dirà” perché il suo cuore materno conosce bene il Cuore di Gesù e sa bene che Gesù nulla può rifiutare. Ecco, Maria non solo è Colei che per prima ha suggerito a Gesù di operare questa opera di carità che quel suo primo miracolo ha fatto, ma Maria è, lei stessa, non solo colei che suggerisce a Gesù il primo miracolo, lei stessa è il primo miracolo di Cristo e questo noi lo adoriamo proprio nella sua Immacolata Concezione. Vedete, Iddio volle che Maria ricevesse la grazia di Cristo prima di Cristo. Come è possibile questo? Mistero ineffabile, prevedendo la grazia di Cristo, dice il dogma dell’Immacolata, cioè Maria è redenta più perfettamente di ogni altra creatura perché prima dello stesso peccato delle origini quella grazia che in noi avviene con il perdono dei peccati che abbiamo contratto, in Maria invece impedisce ogni peccato, anche quello delle origini. Ebbene quella grazia che in Maria fu così grande era ancora una grazia di redenzione e perciò una grazia di Cristo. Perché, cari fratelli? Perché voi non ignorate che il primo uomo ricevette la grazia in uno stato di
20
innocenza, non ha ancora peccato il primo uomo, perciò il Signore non solo si è compiaciuto di elargirgli tutti i doni della stupenda umana razionale natura, ma ha voluto dare all’uomo anche il dono della soprannaturale sua divina amicizia, l’uomo fu creato nella grazia di Dio. Allora non c’era ancora riferimento alla morte cruenta espiatrice di Cristo sulla Croce, non ce n’era ancora bisogno, perché non era ancora intervenuto il demonio con la sua malizia e l’uomo con il suo peccato. Ma dopo il peccato tutti gli uomini, senza eccezione, anche Maria Santissima, si sono salvati tutti esclusivamente, unicamente tramite la grazia di Cristo e di Cristo crocifisso, Cristo Redentore, di Cristo che ha pagato sulla Croce il grande riscatto dell’umanità. Così anche la grazia della Madonna era una grazia del Figlio suo, ma vedete il mistero, la Madonna è il primo miracolo di Cristo perché prima ancora che Cristo venisse, da Cristo che doveva venire da lei, che in lei doveva incarnarsi il Verbo dell’Eterno Padre, Maria, per virtù di Cristo ed in vista di Cristo, fu purificata in maniera tale da non conoscere mai la macchia del peccato delle origini. Ecco, il miracolo di Cristo è il compendio di tutte le sue verità. Vedete, cari, la grazia del Signore mai la lasciò. Come è importante avere una sufficiente consapevolezza di questo; come è importante rivestirci di Dio, di assumere una figliolanza, di fuggire l’orrore del peccato, di aggrapparci non alla nostra povera giustizia umana, ma alla giustizia del Dio onnipotente! Ecco, miei cari fratelli, la sapienza del Signore, la sapienza del Verbo dell’Eterno Padre, ebbene la sapienza increata è esattamente tutto ciò che è il Padre, perché è consustanziale al Padre, ma anche la sapienza creata, quella sapienza che è insieme di tutte le creature, questa sapienza manifesta, esplica in qualche modo tutto ciò che è nascosto in Dio. Così, pensate, la grazia santificante che è Dio ed essendo Dio partecipato all’uomo divinizza l’uomo, trasforma l’uomo dandogli una somiglianza con il suo Dio, ebbene quella grazia santificante contiene tutte quelle perfezioni che ci sono in Dio e che solo imperfettamente si manifestano nel creato. Vedete, cari fratelli, come giustamente si deve dire di Maria che ella è davvero il compendio di tutte le verità. In questo contesto è giusto vedere il rapporto privilegiato, unico, di Maria rispetto al suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Non a caso le litanie della beata Vergine cantano la nostra madre celeste anche con questo titolo: “speculum iustitiae”! Specchio della giustizia. Di quale giustizia si parla? Non certo della povera giustizia umana, che è già una grande virtù sapete, ma è una virtù molto limitata, molto particolare. La santa Scrittura quando dice giustizia, intende
21
dire giustizia nel senso di santità. Ad esempio san Matteo dice nel suo vangelo dell’infanzia di Gesù: “San Giuseppe era un uomo giusto”, voleva dire un uomo santo, non solo retto nel rapporto con il prossimo, quella giustizia particolare, ma anche retto interiormente, santo davanti a Dio. Vedete allora: questo sole di santità che è il Cristo trova in Maria una perfetta corrispondenza, “tamquam sole luna, sic Maria stendet Christo”, come il sole illumina la luna e come la luna rispecchia i raggi del sole, così Maria rispecchia perfettamente la giustizia, la santità di quel sole di giustizia che è il Cristo il Verbo incarnato. Ecco, miei cari fratelli, che giustamente riconosciamo Maria come la nostra regina. Ma la regalità di Maria è strettamente collegata al mistero della sua maternità, vedete abbiamo in Maria la regina di tutti i Santi, dovremmo anche dire che Maria che è veramente la sposa dello Spirito Santo, perché in lei lo Spirito Santo compì misteri sponsali, dando a lei la verginale materna fecondità, perché da lei, non solo in lei, ma da lei il Verbo prese carne e si fece uomo e dimorò in mezzo a noi. La fecondità dell’amore che è lo Spirito Santo, dell’amore di Dio, la redenzione in Cristo, la vita cristica che impone il suo sigillo su tutte le anime sante, così che un’anima che è santificata, vivificata dallo Spirito che è l’amore, quell’anima assume in qualche modo la configurazione, la conformità, un adeguarsi a quel modello che è Cristo. Ce lo dice san Paolo apostolo il quale parla della crescita in Cristo per giungere alla maturità dell’uomo secondo il Cristo, vedete il potere, la maturità dell’uomo, non la povera maturità umana naturale, la vera maturità spirituale, la maturità voluta da Dio, la maturità dell’uomo integro, dell’uomo deificato, la maturità di Cristo. Ecco, cari fratelli, come nessuno può farsi santo se non per la grazia dello Spirito Santo. Osservate il mistero della maternità di Maria. Maria è la madre non solo di Cristo, di Cristo Verbo incarnatosi per noi, vera madre anche di quel Cristo mistico che è la Chiesa. Perché? Perché tutti i santi si santificano solo tramite questa configurazione a Cristo. È bellissimo vedere Maria, che appunto è onorata con questo grande titolo, quasi spaventoso solo a pensarci, e che bisogna intendere correttamente: si dice che Maria è la “forma Christi”, lo stesso modello secondo il quale fu modellata dallo Spirito Santo l’umanità di Cristo fatta assumere dalla persona dell’Eterno Padre. Questo, cari fratelli, non voglio banalizzare il mistero, ma proprio dalle ultime acquisizioni della scienza genetica questo ci appare con estrema chiarezza, perché il Verbo si rivestì di una carne umana che fu concepita e nacque da Maria senza intervento di un uomo. Perciò
22
mentre ogni figlio dell’uomo è sempre figlio di entrambi i genitori, del padre e della madre, Gesù era figlio in quanto alla sua umanità solo ed unicamente della madre. Vedete come lo Spirito Santo ha santificato questa nuova arca dell’alleanza che è il grembo di Maria santissima, proprio perché essa potesse ricevere il Cristo ed il Cristo da lei potesse trarre questa perfezione di natura umana. Come è grande Maria, la forma di Cristo, quasi il modello per l’umanità di Cristo. Vedete come non ci si può configurare a Cristo nella perfezione della nostra deificata umanità se non amiamo Maria, se non seguiamo l’esempio di colei che è la stella del mare, la nostra sicura via al Signore Gesù. Ecco, miei cari fratelli, cerchiamo di capire questa universale maternità della madre di Cristo su tutti i Santi. Tutti i Santi essendo cristiformi sono figli di Maria, perché Maria diede alla luce Cristo che è la vita di tutti i santi e ricevere la vita significa essere generati, perciò tutti i Santi in qualche misura sono generati da Maria; come lo Spirito Santo misteriosamente plasmava nel grembo purissimo della Vergine l’umanità di Cristo, ebbene così lo Spirito Santo anche nelle anime nostre cerca di operare questa misteriosa unione di tutta la nostra umanità, unione non ipostatica ma partecipata, alla persona divina del Figlio di Dio, dell’Io divino della seconda persona divina, dell’Io del Verbo. Ecco vedete come è importante perdere il nostro io, nell’umiltà, fondamento di ogni santificazione, per riprodurre in noi — non per virtù nostra, ma per lo Spirito Santo che agisce in noi — il mistero di Cristo, l’unione della nostra povera umanità alla grandezza della divinità. Vedete come c’è un’analogia? Come lo Spirito Santo prendeva il corpo del Salvatore, la sua beata umanità, dal grembo di Maria ed univa ipostaticamente l’umanità di Cristo alla persona del Verbo, così lo Spirito Santo, sposo di Maria, ci modella interiormente secondo il Cristo perché la nostra umanità aderisca pienamente a Dio, si lasci trasformare in Dio. Si dice giustamente che la festa di tutti i Santi è l’epifania dello Spirito Santo, manifestazione dello Spirito Santo, lo Spirito Santo è il dono santificante, senza di Lui non c’è santità, però lo Spirito Santo è dato ai Santi, alle loro anime invisibilmente. Quando appare visibilmente? Ebbene nella vita dei singoli Santi, soprattutto nel trionfo celeste dei singoli Santi. Così come la festa di tutti i Santi è la festa della manifestazione, dell’epifania dello Spirito Santo, così potremmo dire anche che è la manifestazione della maternità universale di Colei che è la sposa dello Spirito Santo, di Maria santissima, madre del Signore e madre della Chiesa.
23
Preghiera, Sacramenti, coerenza di vita, esercizi spirituali, la Croce: sono queste le armi del buon cristiano
una Chiesa con la “spina dorsale”...
La chiede il Papa, senza troppi giri di parole. E tira le orecchie anche a Ordini, Congregazioni e realtà religiose: le vocazioni non mancano – dice –, ma per suscitarle servono testimoni credibili, fedeli al Vangelo “sine glossa”. Ovvero senza compromessi ed annacquamenti…
A
l Papa non piace una Chiesa priva di spina dorsale. Impensabile il contrario. A nessun padre di famiglia piacerebbe, infatti, aver figli rammolliti, senza carattere, insipidi. Così, ha pensato bene di dare la sveglia. A più riprese. Con interventi toccanti, mirati, precisi. Era l’8 febbraio. Benedetto XVI ha pronunciato un discorso ai Vescovi del Costa Rica, ricevuti in visita ad limina apostolorum. In tale occasione ha evidenziato bene quali siano le armi cui ricorrere, per contrastare quella secolarizzazione e quel materialismo, che “stanno silenziosamente minando i principi cristiani ed i valori morali”. Sono, queste armi, “la preghiera”, “i Sacramenti”, “una coerenza dell’esistenza quotidiana con la Fede professata” ed “un impegno a partecipare attivamente alla missione di aprire il mondo, perché entri Dio e, in questo modo, la Verità, l’Amore e il Bene”. I modi e le opportunità non mancano ed il Sommo Pontefice li ha evidenziati: “rivitalizzare costantemente le antiche e profonde radici cristiane, la vigorosa religiosità popolare” e “la sincera pietà mariana, perché diano frutti di una vita degna dei discepoli di Gesù”. Questo vale per il Costa Rica, vale per l’Italia, per l’Europa, ovunque. Dopo aver messo in guardia dai “rischi di una vita di fede fiacca e superficiale”, il Santo Padre ha evidenziato come tale missione sia “non solo dei religiosi, ma anche dei laici. È bello verificare la loro collaborazione efficace per mantenere e diffondere la fiamma della fede”, in quanto “chiamati a portare i valori cristiani ai vari settori della società, al mondo del lavoro, della convivenza civile o della politica”. Da allora, trascorsero solo due giorni. È domenica 10 febbraio. E Benedetto XVI torna alla carica. Lo fa prima dell’Angelus domenicale. Spiega due cose. La prima: che il cristiano non può starsene con le mani in mano. La Quaresima richiama anzi “un tempo di particolare impegno nel combattimento spirituale, che ci oppone al male presente nel mondo, in ognuno di noi ed intorno a noi”. Combattimento, che dev’essere comunque sempre presente. Tale periodo “forte” dell’anno invita soltanto ad un “particolare impegno”, ad un di più rispetto all’ordinario. La seconda: che il cristiano, per annunciare Cristo e per salvarsi l’anima, non deve affidarsi a socio-
24
logie, a strane psicologie od a studi antropologici. Anzi. “Guardare il male in faccia e disporsi a lottare contro i suoi effetti, soprattutto contro le sue cause, fino alla causa ultima, che è Satana” significa “riconoscere le proprie responsabilità e farsene carico consapevolmente”. Come? In un solo modo: prendendo “ciascuno la propria Croce”. È questa la nostra arma, il nostro vessillo, il nostro rimedio. “Per quanto possa essere pesante”, essa – afferma il Santo Padre – “non è sinonimo
di sventura, di disgrazia da evitare il più possibile”, bensì “opportunità per porsi alla sequela di Gesù e così acquistare forza”. “La via della Croce è” anzi “l’unica che conduce alla vittoria dell’amore sull’odio, della condivisione sull’egoismo, della pace sulla violenza”. Del resto, lo stesso segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’Arcivescovo Angelo Amato, durante la seconda sessione delle Giornate per le Questioni Pastorali del Centro Sacerdotale Montalegre, ha osservato come la Chiesa debba riscoprire il vero Gesù attraverso la fede, la ricerca storico-critica e la tradizione biblico-ecclesiale, a fronte di tante concezioni errate, riduttive o razionaliste viceversa in circolazione. “La Cristologia cattolica – ha detto – deve recuperare l’autentico Cristo biblico-ecclesiale, pietra angolare della Chiesa, per poter rilanciare un’autentica antropologia cristiana, che restituisca all’uomo post-moderno la speranza e la gioia della sua esistenza umana”. Mons. Amato ha fatto notare come certe ricerche storiche abbiano “frammentato l’immagine di Gesù in una molteplicità di interpretazioni”, lamentando la “galleria di falsificazioni, in cui Gesù si perde in una serie di miti e leggende”, riducendo “ad un’ombra Colui che si è definito Luce del mondo. Come si può seguire ed amare un fantasma così?”. Non tutte le interpretazioni, non tutte le nozioni, non tutte le prospettive hanno, insomma, pari diritto di cittadinanza. Occorre discernere il vero dal falso, dividere il grano dalla gramigna. Poiché – come ha evidenziato il prof. Vittorio Possenti, docente di Filosofia Politica all’Università di Venezia – il “pluralismo diventa relativismo, quando si ritiene che ogni elemento della pluralità valga come qualunque altro”, diventa cioè “un fondamentalismo del mero fatto”. Subito il giorno successivo, l’11 febbraio, il Papa ha indicato un altro strumento necessario alla vita di fede: gli esercizi spirituali, in quanto caratterizzati da “una forte esperienza di Dio, suscitata dall’ascolto della Sua Parola, compresa ed accolta nel proprio vissuto personale, sotto l’azione dello
25
Spirito Santo”. In “un clima di silenzio, di preghiera e con la mediazione di una guida spirituale”, l’anima sviluppa notevoli “capacità di discernimento in ordine alla purificazione del cuore, alla conversione della vita, alla sequela di Cristo, per il compimento della propria missione nella Chiesa e nel mondo”. Lo ha affermato lo scorso 11 febbraio il Pontefice, ricevendo in udienza i partecipanti all’Assemblea Nazionale della Federazione Italiana Esercizi Spirituali. Lamentando un calo soprattutto tra i sacerdoti e tra i membri degli Istituti di Vita Consacrata, ha esortato a riprendere tale pratica per un “incontro personale e comunitario con Dio”, per una “contemplazione del volto di Cristo” in un’epoca in cui “sempre più forte è l’influenza della secolarizzazione”. All’Angelus della successiva domenica, di fronte alla folla di pellegrini riuniti in piazza San Pietro, Benedetto XVI ribadisce con forza: “Per entrare nella vita eterna bisogna ascoltare Gesù, seguirlo sulla via della Croce”. Solo così è possibile portare “nel cuore come Lui la speranza della Risurrezione”. Il giorno dopo, le agenzie battono la notizia dell’imminente incontro del Santo Padre con gli studenti universitari, in occasione della loro IV Giornata Europea, il 1° marzo. Cosa propone loro? Un trattato? Una discettazione? Una lectio? No, una Veglia mariana. Con la recita del Santo Rosario. La preghiera, pura preghiera. E ne ha anche per Ordini, Congregazioni e realtà religiose. Incontrando in Vaticano lo scorso 19 febbraio i membri del Consiglio Esecutivo delle Unioni Internazionali dei Superiori e delle Superiore Generali, ha detto loro una cosa molto semplice: che attardarsi a piangere il preoccupante calo di vocazioni, prendendosela genericamente col destino o con l’incomprensione del mondo, non serve a niente. Anzi: è fuorviante. Poiché l’uomo, oggi, ha sete di Cristo tanta quanta ne ebbe ieri: “Gli uomini di oggi – ha detto – avvertono un forte richiamo religioso e spirituale. Oggi, come in ogni epoca, non mancano anime generose disposte ad abbandonare tutti e tutto per abbracciare Cristo ed il Suo Vangelo, consacrando al Suo servizio la loro esistenza entro comunità segnate da entusiasmo, generosità e gioia”. Ma “sono pronti ad ascoltare e seguire solo chi testimoni con coerenza la propria adesione a Cristo”. Occorre agire, allora. Non però con piani pastorali, con tattiche, con strategie, con astuzie. No. Amando Cristo senza compromessi e riscoprendo la fedeltà ai fondatori. “È interessante notare – ha affermato il Santo Padre – che sono ricchi di vocazioni proprio quegli Istituti che hanno conservato o hanno scelto un tenore di vita, spesso molto austero, e comunque fedele al Vangelo vissuto «sine glossa». Quel che contraddistingue queste nuove esperienze di vita consacrata è il desiderio comune, condiviso con pronta adesione, di povertà evangelica praticata in modo radicale, di amore fedele alla Chiesa, di generosa dedizione verso il prossimo bisognoso, con speciale attenzione per quelle povertà spirituali, che contraddistinguono in maniera marcata l’epoca contemporanea”. Insomma, la ripresa – di più, una “positiva ripresa” – c’è stata “specialmente quando le comunità hanno scelto di tornare alle origini, per vivere in maniera più consona lo spirito del Fondatore. Riscoprire lo spirito delle origini, approfondire la conoscenza del Fondatore o della Fondatrice, ha aiutato ad imprimere agli Istituti un promettente nuovo impulso ascetico, apostolico e missionario”. Pertanto, “anche gli Istituti di Vita Consacrata, se vogliono mantenere o ritrovare la loro vitalità ed efficacia apostolica, devono continuamente «ripartire da Cristo». È Lui la salda roccia, su cui costruire le comunità ed ogni progetto di rinnovamento comunitario ed apostolico”.
26
Il messaggio è chiaro: no ai compromessi. No ad una fede “annacquata”, che scenda a patti col mondo. Il Sommo Pontefice, questo, lo ha affermato senza giri di parole, ricevendo lo scorso 29 febbraio i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”. La stessa carità, “centrale nella missione evangelizzatrice della Chiesa”, non deve “mai ridursi a gesto filantropico, ma deve essere tangibile espressione dell’«amore evangelico»”, così come la “missione non si esaurisce nell’«essere operatori di servizi sociali», ma nell’«annuncio del Vangelo della carità»”. Di più: “Chi lavora nell’ambito delle attività ecclesiali, deve essere testimone di Dio”. Il Papa affida proprio ai laici questa “altissima vocazione”. Lo ha detto lo scorso 28 febbraio, incontrando i vescovi di El Salvador in visita ad limina apostolorum in Vaticano. I laici – ha affermato, riassumendo un po’ quanto evidenziato negli ultimi venti giorni – “hanno bisogno di essere ben radicati in un’intensa vita di preghiera, di ascoltare in modo assiduo ed umile la Parola di Dio e di
partecipare frequentemente ai Sacramenti”, per esser aiutati “a scoprire sempre di più la ricchezza spirituale del loro Battesimo, per il quale sono chiamati alla pienezza della vita cristiana ed alla perfezione dell’amore”. Allo stesso modo, devono “acquisire un forte senso di appartenenza ecclesiale e una solida formazione dottrinale, soprattutto per quanto riguarda la dottrina sociale della Chiesa, dove troveranno criteri ed orientamenti chiari per poter illuminare cristianamente la società in cui vivono”. Sarà poi proprio il Battesimo ad illuminare “il loro impegno di testimoniare Cristo nella società umana”. Insomma: bisogna pregare e studiare. È il benedettino ora et labora. Non a caso il Sommo Pontefice ha scelto proprio il nome di Benedetto. Un invito, che oggi rivolge a noi. A tutti noi. Perché ovunque, nel mondo, si possa e si sappia essere, con gioia e convinzione, testimoni di Cristo, soldati di Cristo, armati della Croce. Non resta che rimboccarsi le maniche ed augurarci buon lavoro! Mauro Faverzani
Nelle foto: il pavone con la sua lunga coda variopinta (raramente rappresentato nel momento in cui fa la ruota, simbolo di superbia) è simbolo di resurrezione perché in primavera (cioè a Pasqua) cambia completamente il piumaggio.
27
20 aprile 2008 Comacchio: Santuario Santa Maria in Aula Regia
testimonianze
U
na giornata soleggiata e bellissima donataci dal Signore ci ha permesso, come Movimento Domenicano del Rosario, di incontrarci tutti insieme nel Santuario di Santa Maria in Aula Regia in Comacchio (Fe). L’origine del Santuario risale al X secolo e nel Cinquecento venne concesso da Alfonso II d’Este ai frati cappuccini. L’edificio, nella sua forma odierna, è una costruzione del 1665, e ottocentesca è la costruzione della facciata, in stile neoclassico. Attualmente è sotto la custodia dei francescani dell’Immacolata. Noi delle Marche abbiamo avuto il privilegio di avere nel viaggio di andata Padre Mauro, il quale ha condotto in pullman la meditazione dei misteri gaudiosi del Santo Rosario, mettendo in risalto l’esempio umile di Maria, serva obbediente, che proprio nel suo sottomettersi al piano redentore del Padre ha trovato la pace e la vera libertà, quella libertà che il nostro cuore desidera ardentemente prima di ogni altra cosa. La presenza illuminante di Maria, Madre nostra e Regina del Rosario, ci ha aperto gli occhi verso la nostra miseria terrena e verso il nostro bisogno costante di santificazione ma, allo stesso tempo, ci ha stimolato a trovare nel fratello e nella sorella un’occasione preziosa per condividere la nostra fede e le nostre esperienze personali, adempiendo così le parole dell’Apostolo: «Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete così la legge di Cristo» (Galati 6,2). In seguito la meditazione dei misteri luminosi che ha coinvolto tutti i gruppi d’Italia, la visita
di Comacchio, della chiesa della Regina del Rosario e la celebrazione eucaristica terminata con un periodo di adorazione non hanno fatto altro che alimentare quella comunione che ci permette, anche se lontani durante l’anno, di restare insieme e di sentirci vicini, rendendo in tal modo presente nei nostri cuori il Signore Risorto, Colui che ha vinto la morte e ogni male e che, soprattutto attraverso il Santo Rosario, vuole trasformare tutte le nostre morti, anche quelle piccole, in resurrezione di vita eterna. Matteo Maria Donati
28
... è un bellissimo momento!
R
ingrazio innanzitutto della gentilezza nell’inviarmi puntualmente la Rivista che apprezzo molto. Non potendo prendere parte alle iniziative, le sostengo con la mia preghiera ed offerta delle giornate affinché tutto sia a gloria di Dio e ad onore della santissima Vergine. Vi confido che tempo fa, essendo a Roma, negli anni, avevo fatto iscrivere i miei alunni di IV e V elementare, ogni volta, al Movimento del “Rosario Vivente”. Ogni sabato l’intera scolaresca recitava una decina prima di iniziare le lezioni; i ragazzi a turno ne guidavano la recita ed era un momento atteso da tutti. Ancora oggi mi vengono a trovare allievi che ricordano questa iniziativa della loro fanciullezza ed attribuiscono alla Madonna tante grazie ricevute lungo la loro vita per la recita, anche senza il Rosario in mano, della decina, come facevano da bambini. Sono in pensione da diversi anni, ma la mia devozione mariana è in continua crescita: la propongo alle persone anziane che incontro e la raccomando ai catechisti che preparano i piccoli alla Prima Comunione. Vivo in un cen-
tro di bambini/ragazzi cerebrolesi gravi dove, ogni mattina, tutti insieme si prega con l’Ave Maria (quelli che hanno il linguaggio pronunciano le parole, gli altri seguono con un mugolio che accompagna la voce dei meno gravi). È un bellissimo momento all’inizio della giornata e delle terapie riabilitative... chiedo una preghiera per questo nostro Centro. Fate bene a diffondere la devozione mariana, che è segno sicuro di salvezza per ogni uomo. Che “Maria Mediatrice” di ogni grazia, vi benedica. Con profonda stima e gratitudine un saluto e un augurio di buon lavoro a tutti. M. L.
Nel 1954 Pio XII istituì la festa della beata Vergine Maria Regina, da celebrarsi il 31 maggio. Paolo VI, nel 1969, promulgando il nuovo Calendario Romano Generale, la trasferì opportunamente al 22 agosto, giorno conclusivo dell'ottava dell'Assunzione. Al mistero della beata Vergine Maria appartiene la dignità regale della sua piena glorificazione e della perfetta conformazione al Figlio suo, Re di tutti i secoli: «L'Immacolata Vergine (...) afferma il Concilio Vaticano II, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria con il suo corpo e con la sua anima, ed esaltata come Regina dell'universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il Signore dei dominanti (cfr Ap 19,16) e il Vincitore del peccato e della morte» (LG 59). Come il regno di Cristo «non è di questo mondo» (Gv 18, 36), così la potestà regale di Maria non riguarda l'ordine della natura, ma quello della grazia. (dal Messale mariano: introduzione alla Messa di Maria Vergine Regina dell’universo)
29
ricordatevi
che dalle ore 10 di
sabato 20 settembre nei locali dell’Abbazia di Rosazzo (Ud)
sabato 27 settembre nei locali del Santuario della Madonna di Sulo a Filetto (Ra)
sabato 4 ottobre nei locali del Santuario di San Giuseppe da Copertino a Osimo (An)
fino al tardo pomeriggio ci ritroveremo per pregare, meditare e condividere gioiosamente celebrando insieme i
raduni regionali del rosario per ogni informazione: Padre Mauro tel. 335 5938327 - movrosar@tin.it
In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa