Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLI - n. 4 - IV trimestre
Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
speciale “buona stampa”
4/2008
ROSARIUM Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio
Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 41°- n. 4 stampa: Tipolitografia Angelo Gazzaniga s.a.s. Milano - via P. della Francesca 38
Movimento Domenicano del Rosario Via IV Novembre 19/E 43012 Fontanellato (PR) Tel. 0521822899 Fax 0521824056 Cell. 3355938327 e-mail movrosar@tin.it
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a r u tt i r c S la l e d a z o n t s a i r r o C n i d l’ig a z n a r o n g i è
SOMMARIO L’eterno ideale Card. Giacomo Biffi
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speciale: “la buona stampa” Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.
Pag. 3 e seguenti: VAN EYCK, La Vergine alla fontana, 1439, Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Pag. 7 e seguenti: VAN EYCK, San Gerolamo nello studio, 1440, Detroit, The Institute of Arts Pag. 18 e seguenti: BERNARDINO LUINI, Affreschi (part.) della Cappella Besozzi in San Maurizio al Monastero Maggiore, Milano
La “buona battaglia” della buona stampa: ecco chi la combatte ogni giorno e perché interviste a cura di Mauro Faverzani
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Quale ruolo oggi per la buona stampa? Aiutarci a vivere la radicalità della fede Mauro Faverzani
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Catechismo per tutti
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Testimonianze
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Nuovi iscritti
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In copertina: Foto dalla Palestina di Paolo Gavina
C a rd i n a l e G i a c o m o B i ff i A rc i ve s c o vo e m e r i t o d i B o l o g n a
L’eterno ideale
L’eterno ideale
U
n’esistenza senza macchia, santa e immacolata, non è una dolce illusione o un sogno senza speranza; è il destino che ci è stato assegnato: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati (Ef 1, 4). È l’ideale che Dio ha scritto indelebilmente nel cuore dell’uomo. Perciò in ogni uomo, che le vicende della vita non abbiano del tutto snaturato o corrotto, c’è sempre una nostalgia di innocenza; una nostalgia elusa di solito e soffocata, che torna però a farsi sentire nei momenti di maggior lucidità e di più chiara sincerità. Essere santi e immacolati: questo è dall’eternità il programma che ci è stato dato da un Dio che non cambia i suoi intendimenti e non si lascia disanimare dalle delusioni che le creature gli danno. In effetti, alla sublime chiamata del Padre, che misteriosamente ci ha scelti prima della creazione del mondo, ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli (Ef 1, 3), predestinandoci a essere suoi figli (Ef 1, 5), stranamente e tragicamente l’uomo risponde con un rifiuto. La ribellione del peccato L’incredibile resistenza dell’uomo all’amore incredibile del suo Creatore si chiama peccato; è un’ombra che accompagna e deturpa la nostra storia fin dai suoi inizi; è la causa vera di tutti i nostri mali e di tutte le nostre tristezze. All’originaria e fondamentale chiamata alla santità (ci ha scelti per essere santi) la risposta dell’uomo è stata la ribellione e la colpa; una colpa che ci ha macchiati tutti, che a tutti ha precluso l’accesso all’al-
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bero della vita e al giardino della felicità; una colpa che ha insinuato nel nostro cuore la diffidenza verso il Dio che ci ama e ci colloca nella triste paura di incontrarci con colui che è il senso e la luce della nostra esistenza: Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura (Gen 3, 10). Dopo il peccato di Adamo, la vita senza macchia pare dunque diventata una mèta irraggiungibile, l’inutile velleità di anime senza buon senso e senza concretezza. Ma il peccato che ha devastato l’uomo non ha spento l’amore di Dio e non ne ha mutato la decisione. Il mondo si è certamente avvilito e dissestato, ma non fino alla sua radice e al suo fondamento, dal momento che la radice vera dell’umanità e il fondamento dell’universo sono il Signore Gesù, il Figlio di Dio, nel quale tutte le cose sussistono, nel quale dall’eternità siamo stati pensati e voluti dal Padre: In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo (Ef 1, 4). La contaminazione del mondo non ha raggiunto colui che del mondo è il cuore vivo, innocente, pulsante di vita divina. Perciò in Cristo, crocifisso e risorto, l’ideale di una vita immacolata, che su questa terra sembra un mito illusorio, ritorna a essere per tutti una concreta possibilità e resta il destino a cui tutti siamo stati chiamati. Solo che ormai questo destino si colloca in un ordine di redenzione; cioè può avverarsi come frutto di un riscatto doloroso, come conseguenza di una riconquista, come effetto di una vittoria di Dio ottenuta attraverso l’obbedienza, l’amore, la sofferenza, la morte di Cristo. Maria, la perfetta redenta La creatura in cui la redenzione di Cristo si è operata nel modo più efficace e totale è la Vergine Maria. Sublimiori modo redempta: redenta in maniera più sublime, dice il documento con cui Pio IX nel 1854 ha dichiarato la «Immacolata concezione» di Maria, appartenente al patrimonio della nostra fede. In lei l’ideale primitivo, essere santi e immacolati, si avvera perfettamente dal primo istante di vita. Non c’è ombra di peccato, di bruttezza interiore, di infedeltà, in colei che è la piena di grazia (Lc 1, 28). Maria appare nella storia di Israele come una dei «poveri di Jahvè», cioè di quelle persone che solo in Dio (e non nei mezzi umani e nei potenti della terra) ripongono la loro fiducia. Le narrazioni evangeliche ce la mostrano silenziosa e tranquilla, indifferente al giudizio del mondo, anche nei momenti penosi provocati dalla sua misteriosa maternità. È la creatura obbediente che in un «sì», in un «eccomi», ha riassunto ed espresso tutto il senso della propria esistenza. È la vergine libera e consapevole che, prima tra le fanciulle ebree, ha
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scelto la strada della donazione sponsale a Dio, esplicitamente e irrevocabilmente voluta: non conosco uomo (Lc 1, 34). È la sposa e la madre che realizza perfettamente la sua femminilità in tutte le sue virtuali ricchezze e in tutto il suo valore inestimabile. Sposa, vergine, madre, incontaminata perché colma d’amore, ella si manifesta agli uomini come la figura e la primizia della santa Chiesa, che è la sposa feconda di Cristo, senza macchia né ruga, sempre insidiata, sempre perseguitata, sempre incompresa dal mondo, ma sempre fedele al suo Signore, testimonianza eloquente (contro l’apparente trionfo del male) della divina energia che da Cristo crocifisso, assiso alla destra del Padre, continua a riversarsi sulla terra e a lievitarla di grazia. Nel mistero della Chiesa anche noi, sia pure in modo imperfetto, possiamo come Maria esistere senza colpa. Il battesimo ci ha riportati allo stato di innocenza cui Dio dall’inizio ci aveva chiamati. Questo battesimo – continuamente riscoperto e riattivato nel sacramento della penitenza, nella partecipazione all’Eucaristia, nella tensione quotidiana alla coerenza della vita con la nostra fede – ci assimila a Maria, la Vergine immacolata, e ci riconduce ogni giorno alla bellezza originaria del disegno di Dio. Vivere in questa crescente consapevolezza, intelligente e operosa, della nostra elezione a figli di Dio sia in questa celebrazione il nostro desiderio, la nostra preghiera, il nostro rinnovato proposito. Omelia tenuta in occasione della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, sabato 8 dicembre 1984, Basilica di San Petronio. Pubblicata in BAB, LXXV, 11/1984, 359-360.
Gli articoli pubblicati su “Rosarium” sono tratti dal libro “La donna ideale ” del Cardinale Giacomo Biffi Arcivescovo emerito di Bologna in vendita presso Edizioni Studio Domenicano via Dell’Osservanza, 72 - 40136 Bologna Tel. 051/582034 Fax 051/331583 - esd@esd-domenicani.it
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LA “BUONA STAMPA”
INTERVISTE a direttori, giornalisti ed editori
La “buona battaglia” della buona stampa: ecco chi la combatte ogni giorno e perché Abbiamo intervistato direttori, giornalisti ed editori cattolici, per capire cosa li muova e come si muovano
Parlare di “buona stampa”, oggi, ha ancora senso? Sono in molti a dirsene e ad esserne convinti. Come GIANPAOLO BARRA, fondatore e direttore de “Il Timone”, mensile dichiaratamente cattolico con un coraggioso ed ambizioso obiettivo, ancorché “scomodo” e spesso frainteso: fare apologetica ovvero presentare, spiegare e difendere le ragioni della fede oggi, in un contesto sempre più impoverito di riferimenti morali, civili e spirituali: “A mio avviso, la stampa è “buona” quando fa bene all’anima, alla persona –ci spiega Barra- Ora, se il massimo bene per una persona è Dio, dunque la vita eterna in Paradiso, possiamo considerare “buona” quella stampa che, informando e formando le coscienze, aiuta il lettore a conoscere, amare e servire il buon Dio in questa vita, per poi guadagnarsi il Paradiso. Questo è lo specifico della “buona” stampa cattolica, rispetto a tutti gli altri tipi di pubblicazioni, che mirano ad una pluralità di obiettivi: dalla formazione culturale al semplice passatempo”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche un altro fondatore e direttore di giornale, ROBERTO DE MATTEI, alla guida del mensile “Radici Cristiane”: “Il senso dell’esistenza della “Buona Stampa” –afferma- è direttamente proporzionale all’esigenza della società in cui si vive di essere guidata verso il Bene, il Vero, il Giusto e il Bello. Pertanto, mai come oggi tale esigenza è ricca di senso, perché mai come oggi la nostra società, un tempo cristiana nei cuori degli individui come nelle strutture civili e sociali, è lontana e
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si allontana giorno dopo giorno dall’ordine divino e naturale del creato. Proprio il relativismo imperante ci obbliga alla testimonianza cattolica, alla ferma ricerca della via del Bene, alla costante riproposizione della verità oggettiva, dei valori fondanti la vita civile e morale. Spazio ve n’è, sia perché vi è sempre spazio per la testimonianza religiosa, civile, politica, sia perché paradossalmente proprio la società relativista e ipertecnologica in cui viviamo offre nuovi potentissimi mezzi di comunicazione al prossimo e di incisione nel comune sentire della gente. Solo per fornire l’esempio più ovvio di quanto si dice, basti pensare a quanto l’attuale Pontefice e il suo predecessore abbiano potuto influire sull’opinione pubblica mondiale e modificare in maniera determinante il comune sentire della religione in vastissimi strati della popolazione cattolica. Appare evidente come più il mondo si allontani da Dio, più il senso della fede si allarghi nelle popolazioni di tutto il pianeta. In questo apparente paradosso vi è forse la più profonda risposta al senso della “Buona Stampa” oggi”. Secondo PADRE GIORGIO CARBONE O.P., responsabile delle “Edizioni Studio Domenicano”, per “buona stampa” si devono intendere “quei mezzi di informazione e comunicazione, capaci di formare l’intelligenza del lettore, di aprire la sua visuale e di offrirgli non solo informazioni ma anche criteri di giudizio. L’interesse per questo genere di stampa c’è’. Il problema è che questa stampa viene relegata ai margini del mercato, se non addirittura censurata o imbavagliata”. Quale, allora, l’identità, la specificità ed il ruolo di un giornalista cattolico? ALBERTO COMUZZI, affermato giornalista in forze presso il mensile “Jesus”, è da molti anni ai vertici dell’Ucsi, Unione Cattolica Stampa Italiana. Una scelta di vita, questa, come ci racconta, segno evidente di come non basti essere bravi professionisti, per poter affermare di saper fare bene il proprio mestiere: “Ho cominciato a partecipare alle attività promosse dall’Ucsi, quando ero un giovane cronista del quotidiano “Avvenire”, nella seconda metà degli anni Settanta. Naturalmente allora la società italiana era
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molto diversa dall’attuale, così come molto diverso era il clima che si respirava nelle redazioni dei giornali. Al Circolo della Stampa di Milano una parte della mia generazione s’è consumata attorno al dilemma: siamo giornalisti cattolici o cattolici giornalisti? A scioglierci l’amletico dubbio ci vennero in soccorso i colleghi militanti marxisti, i quali ci insegnarono che, prima di essere giornalisti, loro erano comunisti. Comprendemmo allora come fu possibile leggere in una cronaca de “L’Unità”: “Il raduno è previsto in (…), dove il compagno segretario Palmiro Togliatti terrà un applaudito discorso”. Di questo scampolo di prosa non abbiamo documentazione, ma non stentiamo a credere che sia autentico, perché raccontatoci da un’autorevole collega. Giornalisti cattolici sono, dunque, coloro che si sforzano, nella quotidianità, di mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo, né più né meno come dovrebbe fare, nel proprio ambito di lavoro, qualsiasi altro credente. Vivere con coerenza la propria fede non è facile, ma c’è qualcosa di grande valore che si ottenga con facilità?”. DE MATTEI ritiene importante, pertanto, non solo avere media cattolici, bensì anche cattolici nei media: “In assoluto, è meglio avere entrambe le cose –ci dice- Dovendo scegliere, è ovvio che è di gran lunga meglio avere media cattolici. I cattolici nei media infatti possono costituire una testimonianza importante (e non sempre, anche dal punto di vista qualitativo), ma saranno sempre una parte del tutto, di un tutto enorme, a sua volta ricco di innumerevoli proposte religiose, ideologiche, sociali, differenti o antitetiche al Cristianesimo. Facilmente può accadere che essi si “sciolgano” in un marasma che li inghiotte o che li costringe a venire a patti per sopravvivere. Al contrario, un “media” cattolico è un’istituzione in sé: è un punto di riferimento, un luogo ideale - e possibilmente anche fisico-, dove i cattolici possono trovare casa, rifugio, forza, dottrina, trovare “buona compagnia” nella “buona battaglia”. Più media cattolici costituiscono un piccolo esercito fatto di uomini e cose. Ciò che occorre per cambiare la società”. Per questo non deve lasciar perplessi il moltiplicarsi delle testate cattoliche: “Vi è la necessità ed il dovere –afferma BARRA- di mettere in evidenza sensibilità diverse, presenti nel mondo cattolico (che però deve assolutamente rimanere unito e concorde nelle verità di fede e morale, in obbedienza al Magistero), ma vi è anche un altro fattore, che risiede nella specifica diversità e unicità di ogni uomo. La libertà del cristiano che opera nel campo dell’evangelizzazione a mezzo stampa si concretizza anche attraverso una pluralità di proposte e di realizzazioni editoriali”. Specialmente nell’Anno Paolino- vi sarebbe però un passo in più da compiere, riconsegnare alla “buona stampa” gli stessi scopi e gli obiettivi della “Buona Battaglia”, cui lo stesso San Paolo ci invita… “La “buona battaglia” paolina –dichiara ancora Barra- aveva per obiettivo la conquista di una “corona immarcescibile”, che per san Paolo è il la vita eterna. Così deve essere anche per la “buona stampa” cattolica”.
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COMUZZI, a Natale, festeggia i 35 anni di giornalismo attivo, di quello cioè che Montanelli chiamava il “mestieraccio”: come è cambiato in questi decenni, anche in campo cattolico? “Sono entrato nel giornalismo –ricorda-, quando si comunicava con il telefono fisso (e in molte abitazioni private c’era il cosiddetto “duplex”, una linea per due numeri), si usava la macchina per scrivere (con le copie in carta carbone) e, in tipografia, regnava la linotype. Tanto per capirci: ogni singolo articolo, se si sbagliava la giustezza, andava ricomposto in toto. L’avvento del computer ha sconvolto l’editoria. Per comporre un giornale occorrevano otto distinte professionalità: giornalista, grafico, correttore di bozze, dimafonista (per gli articoli dettati da fuori sede), tipografi alla linotype, ai titoli, alla rotativa e al reparto confezioni e spedizione. Oggi bastano un giornalista al desk e un tecnico per la stampa. Le aziende editoriali non esistono più o sono in via d’estinzione; gli unici gruppi che operano sono quelli multimediali. Ne consegue che anche i giornalisti hanno dovuto cambiare radicalmente il loro modo d’essere. A loro sono richieste molteplici competenze: non devono solo essere capaci di scrivere un articolo, ma anche essere in grado di scattare fotografie, riprendere immagini con una telecamera, concentrare notizie in un display telefonico, reggere una trasmissione radiofonica, navigare in Internet; insomma devono possedere competenze multimediali. Il giornalismo cristianamente ispirato usa le stesse tecnologie della “grande” stampa. Metto volentieri “grande” tra virgolette perché nessuno mi ha ancora spiegato i motivi per i quali la stampa laica debba necessariamente essere definita “grande”. Comunque, il giornalismo cristianamente ispirato dovrebbe distinguersi per una forte connotazione deontologica nel presentare i fatti. Mi spiego meglio: il giornalismo –e di conseguenza il giornalista-, che si qualifica come cattolico, per esempio, non dovrebbe mai accentuare o enfatizzare i fatti di cronaca nera. Sì sa che il male esiste, ma se noi lo sbattiamo continuamente in prima pagina, lo alimentiamo. Allora il giornalista cattolico, non minimizza il male, il fatto di cronaca nera, ma lo relega in qualche pagina interna e possibilmente in poche righe, perché se è giusto (e doveroso) che il lettore sappia, non è corretto che sia peren-
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nemente stordito da ciò che è oggettivamente negativo. Con questo non sostengo che il giornalista cattolico debba sentirsi impegnato a fare giornali pieni di buoni sentimenti, ma che non assecondi quel “politicamente corretto”, che sembra esclusivamente basato sulla denuncia, sullo scandalo, sul gossip pruriginoso”. Quattro anni fa Comuzzi pubblicò per la casa editrice “Ancora” un volume dal titolo “Come fratelli siamesi”, in cui evidenziava quello che definiva “il comune destino di informazione e pubblicità”: di che “comune destino” si tratta? Connivenza, confusione o commistione? “La tesi sostenuta in quel libricino era che informazione e informazione commerciale (cioè la pubblicità), nel reciproco rispetto delle rispettive aree di competenza, dovessero collaborare e non confliggere. Intendiamoci: ormai più della metà dello stipendio di un giornalista è assicurato dalla pubblicità. Demonizzarla, come fanno ancora alcuni redattori “puri”, sarebbe un suicidio. Ben venga quindi la pubblicità, che però deve essere sicuramente riconoscibile, a tutela del lettore (che poi siamo tutti noi, giornalisti compresi). Spacciare per notizie annunci commerciali (come troppo spesso avviene, ormai ovunque) non è corretto, oltre che immorale. Il punto sta proprio qui: trovare un equilibrio tra la pubblicità (che deve essere sempre riconoscibile) e l’informazione. Mi spingo più in là: una bella pubblicità impreziosisce una testata, la rende addirittura più appetibile al gusto del lettore. Allo stesso modo un’utile e tempestiva informazione accreditano un giornale che, di riflesso, aumenta la diffusione risultando così interessante anche per la pubblicità (alla perenne ricerca di elevati contatti con i cittadini consumatori). In sintesi, ripeto ora ciò che scrissi allora: l’interazione tra informazione e pubblicità rispetta i lettori, ne eleva la coscienza e arricchisce la comunicazione. La commistione tra informazione e pubblicità non rispetta i lettori, ne inquina la coscienza e svilisce la comunicazione”. E tra informazione e politica, tra informazione e potere, che rapporto sussiste? “Un rapporto strettissimo –spiega Comuzzi- Ovunque il potere politico (oggi, ahinoi, condizionato da quello economico) è inscindibilmente legato ai grandi gruppi, che controllano l’informazione. E’ una storia antica: in qualsiasi manuale di storia del giornalismo si trova abbondante documentazione in proposito. Cavour non si era forse preoccupato di avere dalla sua parte giornali e giornalisti? Del resto, l’opinione pubblica s’influenza, sì, con il cinema, la televisione e la radio, ma è soprattutto l’informazione (attraverso le agenzie di stampa e i giornali) a farla da padrona in questa delicata materia. Ne consegue che il potere politico non può fare a meno dell’informazione, di cui ha bisogno per perpetrarsi e che, non a caso, cerca sempre di controllare (riuscendovi appieno negli stati dittatoriali, un po’ meno in quelli democratici)”. Quanto spazio i media danno all’informazione religiosa? V’è un’adeguata comprensione ed una sufficiente analisi di tale dimensione? “Se per “informazione religiosa” intendiamo la proiezione di immagini spettacolari, che riguardano il Papa, eminenti cardinali, vescovi
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Roberto de Mattei (Roma, 1948) è Professore di Storia Moderna all’Università di Cassino e insegna Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso l’Università Europea di Roma, dove è coordinatore dei corsi di laurea in Scienze storiche. È attualmente Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di cui è stato subcommissario (2003), con delega nel settore delle Scienze Umane. È autore di libri e pubblicazioni tradotte in varie lingue e collaboratore di giornali e riviste italiane e straniere. È direttore della rivista internazionale di Storia “Nova Historica”, del mensile “Radici Cristiane” e del settimanale “Corrispondenza romana”. Radici Cristiane è un mensile di 96 pagine a colori che si richiama ai valori perenni della Civiltà europea e occidentale. Attualità, notizie, interviste, politica, storia, biografie di santi e grandi uomini della Cristianità, morale, fede, teologia, scienza, appuntamenti culturali, musica, spettacoli, cinema, feste e tradizioni popolari, recensioni librarie e, soprattutto, i meravigliosi luoghi della spiritualità cristiana e lo splendore dell'arte e dell'architettura italiana e occidentale.
o semplici preti –distingue Comuzzi-, direi che c’è “sufficiente copertura”, come si dice in gergo. Se, viceversa, per “informazione religiosa” intendiamo l’approfondimento o anche la semplice presentazione dei valori su cui poggia, per esempio, il Cristianesimo, allora la “copertura” è piuttosto deficitaria. In altre parole: i giornali si occupano molto dell’istituzione, molto meno delle fondamenta su cui quella s’appoggia. Oggettivamente, non è facile fare informazione religiosa. Gli stessi vaticanisti, come lascia intendere la loro stessa definizione, sono molto esperti di cose vaticane, ma non sempre di questioni religiose. Sarà un caso, ma appartengono a questa categoria non pochi ex seminaristi o preti che, superato lo shock dell’ex, diventano poi acuti osservatori della Chiesa, quasi sempre presentata, però, come un’entità dentro la quale soffiano venti e si muovono correnti dettate dagli umani comportamenti ed in cui lo Spirito Santo non avrebbe alcun ruolo. Ecco, un’informazione religiosa corretta –lo diciamo con il tono più sommesso possibile- dovrebbe sforzarsi d’indagare le ragioni dei credenti, senza mai dimenticare che “ci sono molte più cose tra cielo e terra di quante l’uomo possa immaginare”.
Ma entriamo più nello specifico di ogni singola testata. “Radici Cristiane” è un mensile di 100 pagine, che vanta al proprio attivo una quarantina di numeri: ricco di fotografie, affronta, come d’uso comune, questioni e problemi di carattere religioso, politico, sociale, culturale, ma al contempo offre –unico nel suo genere – anche intere sezioni (quasi la metà di ogni numero) dedicate alla presentazione delle grandi mete turistiche e di pellegrinaggio, dei più celebri (come anche dei meno conosciuti) luoghi storici, artistici, di spiritualità. Come il nome stesso della rivista palesa, il fine è quello della difesa delle millenarie radici europee, nonché della salvaguardia e della riproposizione dell’immenso patrimonio di bellezza spirituale, storica, artistica,
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architettonica, e anche naturale, che i nostri antenati ci hanno lasciato in eredità: “Al di là del fatto –specifica il direttore, de Mattei- che la scelta del nome avvenne proprio nei giorni in cui Papa Giovanni Paolo II conduceva la sua ultima grande battaglia contro il relativismo delle istituzioni di Bruxelles, che volevano negare perfino di nominare le radici cristiane d’Europa in quella che sarebbe dovuta essere la Costituzione Europea, è evidente come proprio tale scelta intenda richiamarsi all’esigenza della testimonianza della verità, al dovere dell’apostolato, certamente caritatevole e sensibile alle istanze del mondo “aperto” in cui viviamo, ma al contempo fermo e sicuro nella riproposizione della dottrina cattolica come essa è, della storia della civiltà cristiana come essa è stata, della rinascita di un mondo tornato a Cristo come dovrà essere. “Christus heri, hodie, semper”: non è una nostra scelta, è un comandamento e un motto stesso della Chiesa Cattolica. Difendere le radici di una civiltà significa da un lato ricordarne tutto lo splendore e le cause di quello splendore, dall’altro fare tutto il possibile perché da quelle radici rinasca una pianta ancor più splendente. Per fare questo, ogni ipocrita “diminutio” del nostro millenario passato, ogni silenzio sulle calunnie che ogni giorno arrivano contro la nostra religione, contro la Chiesa, contro la civiltà cristiana, ogni accettazione di più o meno sfumati tentativi di “aggiustamento” con il mondo non cristiano o anticristiano, è come un taglio netto a queste radici, e quindi alla speranza, la virtù teologale celebrata nell’ultima enciclica da Papa Benedetto XVI”. Dunque, il Vostro periodico intende, già dal nome, essere espressione di un comune sentire, di quel comune patrimonio spirituale e culturale, più volte richiamato dal Santo Padre... “Come prima accennavo –risponde de Mattei- più il mondo sembra voler dimenticare o combattere il Cristianesimo, più la fede si diffonde (e sovente con il sangue di migliaia di martiri, specie in alcuni Paesi islamici o totalitari) fra le genti di ogni nazione, con rinnovato fervore. Più le élites - con le loro relativistiche tendenze e ideologie, i loro immorali costumi, i loro compromessi politici - si dimostrano “infastidite” dal “peso” di una religione figlia della Verità rivelata, ostili al rispetto di norme morali finalizzate alla salvaguardia di ogni essere umano dallo spaventoso potere della scienza o della politica, dall’ignobile peso di una società senza freni morali e valori oggettivi, più le persone comuni, schiacciate dalla paura del domani come pervase dalla gioia della speranza di una vita differente (su questa terra e dopo) sentono l’esigenza di tornare a Dio, alla semplicità del buono, all’attrazione del bello, al dovere del giusto, e allo “splendore della Verità”. L’Irlanda, solo per citare un esempio, ha dimostrato ciò che tutti sappiamo: che se gli europei vengono interrogati su un’utopia che non è nei loro cuori, scelgono inequivocabilmente la realtà delle loro patrie secolari. Ma, oltre a questo, scelgono la certezza delle loro tradizionali usanze e credenze contro un gruppo di eurocrati che vorrebbe indurli ad accettare ogni abuso in materia morale e di bioetica,
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ogni sopruso in materia economica, civile e anche religiosa (basti pensare all’invasione dell’islamismo in presentaz Europa), e che vorrebbe imporre un ESD nuovo mondo del tutto avulso da quello millenario di cui tutti noi siamo figli. La nostra rivista, seppur ancor giovane, ha trovato subito vasto consenso fra il pubblico cattolico, nelle gerarchie ecclesiastiche, e anche fra politici e uomini di cultura non del tutto vicini al nostro mondo. Perché? Forse perché... ci sforziamo di testimoniare lo “splendore della verità”: nel riproposizione della verità della nostra fede, della oggettività delle leggi razionali, nella denuncia dei mali e dei soprusi che ogni giorno avvengono, nel chiarimento di tanti eventi storici, nella riscoperta della bellezza della nostra arte, delle nostre città, delle nostre tradizioni sempre vive. L’obiettivo è appunto quello di difendere e diffondere le radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, in obbedienza al mandato degli ultimi due Pontefici della Chiesa Cattolica”. L’obiettivo di Padre Carbone, con le “Edizioni Studio Domenicano”, è ambizioso, “stuzzicare l’attenzione di chi è pigro” in una società come quella italiana, sondaggi alla mano, poco avvezza alla lettura, “caso mai proponendo inizialmente dei testi di facile lettura e agevoli come numero di pagine”. Ma perché una casa editrice specificamente “domenicana”? “La specificita’ delle Edizioni Studio Domenicano consiste nel proporre un rapporto sereno e fruttuoso tra la ragione umana e la fede rivelata attraverso ricerche filosofiche e teologiche”, dando particolare risalto alle opere di San Tommaso: “Le Edizioni Studio Domenicano –risponde Padre Carbone- fin dalla loro fondazione avvenuta nel 1985 si sono specializzate nella pubblicazione delle opere di san Tommaso d’Aquino. e a distanza di tanti
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anni stiamo completando la traduzione della sua opera omnia”. Ma perché leggere oggi san Tommaso? “Perche’ ha saputo coniugare in modo brillante il rapporto tra la ragione umana e la fede e ha illustrato la grandezza della persona umana all’interno del mondo creato, iniziando il pensiero umanistico nel senso classico del termine”. “Il Timone” non ha mai fatto mistero, sin dal suo sorgere, di voler far propria quell’attenzione che la Chiesa di sempre ha mantenuto nei confronti del mondo, sposando la prospettiva “apologetica”: “La nostra scelta di realizzare un periodico di apologetica cattolica –spiega il direttore, Barra- è nata per rispondere ad un duplice bisogno: quello di offrire le “ragioni per credere” e quello di “difenderle” dalle contestazioni e dagli attacchi. L’urgenza di rispondere a questo duplice bisogno si comprende se non dimentichiamo mai che la posta in gioco è sempre la vita eterna: se la fede non si giova dei motivi di credibilità del credere rischia di perdersi dinanzi ai primi dubbi o dinanzi alle contestazioni. Da qui anche la necessità di difenderle. senza la fede -dice la Lettera agli Ebrei- è impossibile piacere a Dio. Questo ci fa capire quanto sia decisiva la battaglia per conservarla e diffonderla”. Con quale sguardo un cattolico deve guardare al mondo ed alla realtà? Dunque, come una rivista, che si proclami e voglia essere cattolica, può aiutarlo? “Con lo stesso sguardo di Dio: una realtà che è stata creata buona da Dio, che è stata ferita dal peccato originale, che ha dunque bisogno di essere salvata, accogliendo la proposta redentrice di Gesù Cristo. Una rivista di apologetica deve illustrare tutte le ragioni per le quali uno comprende quanto sia conveniente e doveroso accettare il messaggio cristiano e vivere coerentemente la fede”. Pubblicare un periodico “cattolico”, tanto più se apologetico, significa -come pensano alcuni- trasformare il contesto sociale e civile in una sorta di “santino”, idealizzandolo in modo spinto e spiritualistico, oppure aiutare a leggervi l’intervento della provvidenziale mano di Dio, individuare il Suo “autografo” nei fatti, che ci circondano? “Un periodico di apologetica –afferma Barra- è uno strumento -uno tra i tanti altri- che deve aiutare il lettore a comprendere la ragionevolezza della fede. Per questo è certamente utile individuare e segnalare le tracce che Dio non smette di lasciare nel creato. Tracce, ovviamente, della sua Provvidenza amorosa. La prima traccia è proprio la Chiesa, che da duemila anni mostra al mondo la presenza di Dio, grazie ad una quantità sbalorditiva di santi che hanno accompagnato l’esistenza degli uomini, specialmente di quelli che soffrono nel corpo e nello spirito. Un periodico di apologetica deve aiutare il lettore a rispondere con sempre maggiore coerenza alla proposta di salvezza che, attraverso la Chiesa, viene offerta ad ogni uomo di Gesù Cristo”. Direttore, avete, come redazione o come staff editoriale, momenti di preghiera comune, vi date delle occasioni di comunione -magari attorno all’Eucaristia-, per rinnovare le ragioni più autentiche e profonde del Vostro lavoro, del Vostro agire,
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riportando tutto così alla Fonte, all’Origine, al Fine Primo ed Ultimo? “La redazione del Timone (con il direttore ci sono: Palmaro, Invernizzi, Cascioli, Samek e Sansonetti) è composta da volontari, che si incontrano due volte al mese per realizzare la rivista. Ogni incontro si apre e si chiude con la preghiera. Il personale che lavora in amministrazione (solo quattro persone con il direttore) ha un momento di preghiera quotidiano alle ore 13, con la recita dell’Angelus”. E quanto pesa -se pesa...- uno sguardo “mariano”, uno stile ed un approccio ispirato alla figura della Madonna, in un campo quale quello dei mezzi di comunicazione di massa? “Maria è esempio insuperabile di vita cristiana. Se Lei, attraverso il suo “sì”, si è resa docile strumento nelle mani di Dio per la redenzione del mondo attraverso Gesù Cristo, così anche chi opera nel campo della nuova evangelizzazione deve rendersi strumento perché il piano di Dio si realizzi. Come Maria, anche chi fa una rivista cattolica deve ben capire che ciò che conta è solo Gesù Cristo e che tutto il resto (professionalità, serietà, impegno, etc) è giustificato solo in relazione alla volontà di Cristo”.
"il Timone" nasce per irrobustire la Fede dei lettori, infondere nei cuori la fierezza di essere cattolici, fornire argomenti per esporre le ragioni dei cattolici. Si propone come strumento da utilizzare per la Nuova Evangelizzazione, alla quale ci richiama, con passione e costanza, il Santo Padre. E' una rivista di apologetica elementare. Di apologetica: per illustrare le ragioni di chi crede e parare gli attacchi di chi contesta la verità cattolica, disprezza la morale e denigra la storia della Chiesa. Elementare: destinata a tutti, giovani e adulti, uomini e donne, lavoratori e studenti, sacerdoti e laici. Intorno a “il Timone” si è radunata una squadra di formidabili apologeti. Tra questi citiamo i vescovi Biffi, Maggiolini, Negri e Grillo; gli studiosi e giornalisti Messori, Cammilleri, Introvigne, Corti, Tornielli, Caprara, Pellicciari, Fanzaga, Gheddo, Sordi, e molti altri. Nato nel 1999, con 20 pagine e 3.000 copie di tiratura, senza sponsor, senza un editore affermato alle spalle, senza introiti dovuti alla vendita di spazi pubblicitari, oggi “il Timone” ha 68 pagine e una tiratura di 15.000 copie. Ha superato i 10.000 abbonati e vende mensilmente migliaia di copie in centinaia di parrocchie e librerie. Una crescita impressionante, dovuta soprattutto al passaparola tra i lettori che, entusiasti di questo mensile, lo presentano a parenti e conoscenti invitandoli ad abbonarsi o regalando essi stessi un abbonamento.
Mauro Faverzani
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I mass-media oggi ci propongono spesso falsi idoli, ma – ammonisce il Papa – il mondo ne è stanco
Quale ruolo oggi per la “buona stampa”? Aiutarci a vivere la radicalità della fede Il Card. Bagnasco: “Essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità”
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e i mass-media hanno una responsabilità, questa è quella di far da “potente cassa di risonanza” di una “società e di una cultura”, che misurano “il successo” in base a “falsi idoli” quali “il potere politico od economico, il prestigio raggiunto nella propria professione, la ricchezza messa in bella mostra, la notorietà delle proprie realizzazioni, l’ostentazione fin anche dei propri eccessi”. E questa la considerazione contenuta nel messaggio di saluto rivolto da Papa Benedetto XVI agli organizzatori del XXIX Meeting per l’Amicizia tra i Popoli, recentemente svolto a Rimini. Considerazione che riprende quanto già evidenziato dal Santo Padre anche nel Messaggio per la XLII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, svoltasi lo scorso 4 maggio, quando fece notare come tali mezzi rischino di trasformarsi “in sistemi volti a sottomettere l’uomo a logiche dettate dagli interessi dominanti del momento. E il caso – ha dichiarato – di una comunicazione usata per fini ideologici o per la collocazione di prodotti di consumo mediante una pubblicità ossessiva. Con il pretesto di rappresentare la realtà, di fatto si tende a legittimare e ad imporre modelli distorti di vita personale, familiare o sociale”, spesso ricorrendo “alla trasgressione, alla volgarità ed alla violenza”, nonché aumentando il divario tecnologico tra i Paesi ricchi e quelli poveri. Non se ne può più di star e stelline… In controluce vi si leggono due valutazioni. La prima è una forte critica nei confronti di quegli “attori del cinema, personaggi e miti della televisione e dello spettacolo, atleti, giocatori di calcio, ecc.”, che “sponsorizzino” come ideali di vita “professioni e carriere”, dove ciò che conta è una ribalta per “apparire”, per “sentirsi qualcuno”. Il che è ancor più grave, poiché star e stelline, politici e giornalisti sanno di far opinione, perciò più forte e con maggior coscienza dovrebbero sentire il peso dell’importante responsabilità che grava su di loro. La seconda valutazione riguarda, invece, un mondo cattolico, che deve dimostrarsi capace, a sua volta, di parlare alla gente, di farsi capire, vedere ed ascoltare, di spiegare quali siano i veri Valori, proposti ed incarnati dalla fede cattolica, e perché sia ragionevole ch’essi – e non altri – muovano i cuori e le menti di tutti. Su questo, non a caso, verte anche
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il tema scelto dal Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che ricorrerà il 29 gennaio 2009: “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”. Questo era il ruolo di quella che un tempo veniva definita la “buona stampa”. Oggi non se ne parla più. Almeno non in questi termini. E forse venuta meno la necessità di proporre
ogni giorno ed in ogni angolo del pianeta un annuncio autenticamente cristiano del Vangelo? Certamente no, tant’è che molte sono le testate giornalistiche, radiofoniche, televisive, web e multimediali, che si sforzano di far propria tale missione, collaborando alla diffusione di quella nuova evangelizzazione, fortemente voluta e promossa già da Giovanni Paolo II. Se non vi fossero i media cattolici, la “Buona Notizia” verrebbe annunciata con minor vigore, poco o nulla sapremmo di quanti vivono la propria fede anche sino al martirio in luoghi a noi sconosciuti oppure delle tante “vite oscure, senza apparente rilevanza per giornali e televisioni”, citate dal regnante Pontefice quale esempio di silenzioso, ma prezioso servizio, di nascosta eppur efficace testimonianza, ignota benché magari a due passi da casa nostra. Del resto, anche il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, mons. Rino Fisichella, in un’intervista ha parlato, in Italia, di tentativi di “isolare e ridicolizzare la fede cristiana, in particolar modo cattolica” con l’obiettivo “di emarginare il ruolo della Chiesa sulla scena pubblica”, individuando in Essa un interlocutore credibile: “Se non fossimo credibili – ha dichiarato mons. Fisichella – il mondo non ci insulterebbe, perché penserebbe che siamo dei suoi. Proprio perché siamo credibili, proprio perché siamo capaci di dare dei martiri, proprio per questo il mondo non ci vuole. Anzi, ci vuole come dei numeri”. Lo stesso Benedetto XVI, a Sydney, in occasione della festa di accoglienza tenutasi al molo di Barangaroo nell’ambito della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, ha evidenziato come vi siano “molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato ‘in panchina’ e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse
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dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici”, azzerando i riferimenti al Creatore. Al Meeting di Rimini, del resto, il Presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco, ha ripreso questo concetto: “Oggi – ha detto – si vuole che la Chiesa rimanga in chiesa. Il culto e la carità sono apprezzati anche dalla mentalità laicista: in fondo – si pensa – la preghiera non fa male a nessuno e la carità fa bene a tutti. In altri termini, si vorrebbe negare la dimensione pubblica della fede concedendone la possibilità nel privato. A tutti si riconosce come sacra la libertà di coscienza, ma dai cattolici a volte si pretende che essi prescindano dalla fede, che forma la loro coscienza”. E il volto del secolarismo, aggressivo e rampante, questo: si spaccia per “forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno”, in realtà, “come ogni ideologia, impone una visione globale”, quella di una società “plasmata secondo un’immagine priva di Dio”. Si parla, certo, di non-violenza, di sviluppo sostenibile, di giustizia e di pace, di cura dell’ambiente. Ma lo si fa come se in tutto questo il Signore non c’entrasse. Invece, “tutto ciò – afferma il Pontefice – non può essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato del tedio di falsi idoli e di risposte parziali”, nonché “della pena di false promesse”. Alla stessa conclusione è arrivato anche un personaggio al di sopra di ogni sospetto, il direttore del Tg2, Mauro Mazza, il quale al Meeting di Rimini ha evidenziato come la Chiesa abbia “il diritto-dovere di essere presente, soprattutto in un momento in cui la cultura del mondo ha scoperto i propri limiti”. Quando il Parlamento Europeo vota la risoluzione sul quinto obiettivo del Millennio proposto dalle Nazioni Unite, quello riferito alla cosiddetta “salute materno-infantile”, ed incentiva il ricorso all’aborto, specie nei Paesi in via di sviluppo, deplorando (proprio così…) “il divieto, sostenuto dalle Chiese, di usare contraccettivi”, ebbene, lo stesso Parlamento Europeo fa una falsa promessa: per tutelare la vita (specialmente, afferma, delle donne) introduce la morte (quella dei bimbi in grembo), consentendo l’“accesso universale” all’interruzione volontaria di gravidanza. Quando la Corte Suprema di Giustizia del Messico ratifica una legge, con cui depenalizza l’aborto, fa una falsa promessa. Quando il senatore Joseph Biden, Vicepresidente degli Stati Uniti con il democratico Barack Obama, si proclama cattolico, pur avendo appoggiato con vigore la sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema, che ha aperto di fatto la strada all’aborto legale nel suo Paese, fa una falsa promessa: tant’è vero che l’Arcivescovo di Denver, Charles J. Chaput, lo ha invitato “per coerenza” ad astenersi “dal presentarsi a ricevere la Comunione”. Eppure, son tutte gocce, queste, piccole ma in grado, una dopo l’altra, di erodere il marmo: “La diffusione di falsi miti, l’esaltazione dell’avere, la propaganda dell’apparenza e del facile successo, in una parola della menzogna – ha dichiarato il Presidente della Cei, Card. Angelo Bagnasco, al Meeting di Rimini – aggredisce la base valoriale di un popolo, lo svilisce nel suo sentire e lo indebolisce nella sua capacità di futuro. Tutto viene confinato nell’angusto perimetro del presente”. Lo stesso Benedetto XVI, nel Messaggio per le Comunicazioni Sociali, ha ammonito: “Occorre evitare che i media diventino il megafono
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del materialismo economico e del relativismo etico, vere piaghe del nostro tempo. – ha detto – Essi possono e debbono, invece, contribuire a far conoscere la verità sull’uomo, difendendola davanti a coloro, che tendono a negarla od a distruggerla”. E poi ancora, a Sydney per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha spiegato come emarginare Dio dalla vita rappresenti un passo indietro: “Troppo spesso – ha affermato – ci ritroviamo immersi in un mondo che vorrebbe mettere Dio da parte. Nel nome della libertà ed autonomia umane, il nome di Dio viene oltrepassato in silenzio, la religione è ridotta a devozione personale e la fede viene scansata nella pubblica piazza. L’indifferenza alla dimensione religiosa dell’esistenza umana, in ultima analisi, diminuisce e tradisce l’uomo stesso. Come si può considerare questo un «progresso»? Al contrario, è un passo indietro, una forma di regressione, che in ultima analisi inaridisce le sorgenti stesse della vita sia degli individui che dell’intera società”.
L’uomo, oggi, cerca l’incontro con Cristo: ecco dove E qui che si gioca lo spazio e l’ambito di un giornalismo cattolico. Che, a differenza di altri, presenta caratteristiche ed ha responsabilità peculiari, ben evidenziate in una recente intervista da mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefeltro, in cui osserva come “una rivista, che viene diffusa nelle parrocchie e che finisce proprio per questo per apparire spesso come il volto della Chiesa italiana, debba contribuire a creare una mentalità di fede, in base alla quale affrontare i problemi”. Il che da un lato significa senz’altro nutrire il “rispetto dovuto alle istituzioni”, ma dall’altro vuol dire avere il coraggio dell’annuncio o, quando necessario, anche della denuncia ogni qual volta vengano, ad esempio, condotti attacchi alla famiglia in quanto istituto, “alle famiglie concrete, cercando di introdurre il riconoscimento delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali”. In tal senso i media, come si evince ancora dal Messaggio, hanno le potenzialità educative, nonché una speciale responsabilità nel promuovere il rispetto, le attese e i diritti della famiglia, l’alfabetizzazione, la socializzazione, lo sviluppo della democrazia e del dialogo tra i popoli, la pace e la
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libera circolazione del pensiero. Ma spesso non le usano. Viceversa, come ha evidenziato ancora mons. Fisichella, l’uomo di oggi “ha bisogno che ci sia un soggetto, che annunci che c’è nella Storia una presenza salvifica”, ha bisogno “di incontrare Cristo per essere protagonista ed ha bisogno della Chiesa per incontrare il Cristo risorto”. “L’uomo moderno – ha proseguito il Rettore della Pontificia Università Lateranense – ha bisogno della Chiesa proprio perché è un uomo smarrito: non sa da dove venga e dove stia andando”. Lo stesso Santo Padre, in occasione dell’udienza generale dello scorso 3 settembre, ha ricordato come il Cristianesimo non sia semplicemente “una nuova filosofia o una nuova morale”: siamo cristiani – ha detto – “soltanto se incontriamo Cristo”. Dove? Nella “lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica della Chiesa”. Possiamo toccare qui “il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro”. Insomma, per il cattolico – quindi, a maggior
ragione per i media cattolici – “portare la Croce non è facoltativo, ma è una missione da abbracciare per amore”, come evidenziò il Santo Padre in occasione dell’Angelus dello scorso 31 agosto. Ma… c’è un «ma». Ed è quello evidenziato sull’“Osservatore Romano” dello scorso 25 luglio in un lungo articolo dal Card. Francis J. Stafford, Penitenziere Maggiore. Il quale constata con amarezza come “il disprezzo della verità, in forma sia aggressiva sia passiva”, sia “divenuto comune nella vita ecclesiale”. Individuandone con chiarezza la causa: “Nel 1968 accadde qualcosa di terribile nella Chiesa”. Ed a chi si illuda che il dissenso e gli errori originatisi in quegli anni a livello teologico siano ormai superati e non bisognosi di nuove censure, il Cardinale smorza gli entusiasmi: “Quelle ferite continuano ad affliggere l’intera Chiesa”.
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Affermazioni pesanti, non facilmente eludibili. Anche perché rafforzate dalle recenti dichiarazioni di mons. Alessandro Maggiolini, già Vescovo di Como, che, rivolgendosi direttamente ai giovani del Meeting di Rimini, ha tuonato parole di fuoco: “Abbiamo passato anni – ha detto – in cui anche dei sedicenti cattolici lavoravano per distruggere l’unità, la santità, l’universalità e l’apostolicità della Chiesa: anni in cui non solo la morale, ma la stessa fede erano messe in forse o addirittura negate. Il Card. Ratzinger, durante la Via Crucis del Venerdì Santo, parlava addirittura di necessità di ripulire la Chiesa ridotta ad una stalla lercia e cadente, invece che eretta a edificio di santità e di gloria. Quanto è facile darsi una teologia che copra e tenti di giustificare le nostre neghittosità ed i nostri tradimenti”. E qui che la “buona stampa” viene messa alla prova. E qui che ciascuno di noi viene messo alla prova. Cosa opporre a tutto questo? Semplice. Mons. Maggiolini invita a non indispettirsi ed a non reagire “con troppa irruenza, se vi compatiscono talvolta per il gergo un po’ desueto e per il repertorio delle preghiere e dei canti che usate”. Ma pregate e cantate. Meglio non perder tempo in sterili polemiche, anzi meglio aprirsi “alla povera gente, che ha bisogno di sentire, nuda e cruda, la verità e la grazia, che risplende in pienezza nella comunità cristiana. La Chiesa deve diventare un popolo di peccatori: peccatori che si pentono e si convertono incessantemente nella gioia di un inizio sempre ritornante”. A partire da noi, affinché ne siamo “sempre un avvio. Un modello. Un richiamo”. Occorre essere – prosegue mons. Maggiolini – “Cristo-ossessionati. Cristo-dipendenti. Cristo-centrati. Cristo-veggenti e amanti. Cristo-orientati nei nostri poveri giorni. E Cristo-glorificati al termine della vicenda umana e cosmica. Se no – conclude il Vescovo – lavorate invano”. E nessuno vuole lavorare invano… Mons. Maggiolini: “Siate ministri dell’inquietudine” “Siate ministri dell’inquietudine in una folla di debosciati e di scettici disposti a tutto, senza misurare la potenza del male”, afferma ancora. Ma non l’inquietudine, che si fa fretta, perché “la fretta – ha dichiarato l’Arcivescovo di Bologna, mons. Carlo Caffarra, a Lourdes – è la morte della vita spirituale”. Il Papa ha proposto, invece, l’esempio di S.Paolo, nell’anno a lui dedicato. Lontano “dalle luci della ribalta e dai pubblici riconoscimenti”, la sua esistenza appare “tribolata, afflitta da ostilità e pericoli, piena di difficoltà da affrontare più ancora che di consolazioni e gioie di cui godere”. Lo stesso san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi, parla di percosse e lapidazioni, di naufragi, di “viaggi innumerevoli, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli”. Parla di “fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità”. Quando morì, decapitato, “la Chiesa che aveva contribuito a diffondere era ancora un piccolo seme, un gruppo che le somme autorità dell’Impero Romano si potevano permettere di trascurare o di
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provare a schiacciare nel sangue”, ha evidenziato il Santo Padre. Insomma, la sua vita è stata l’opposto rispetto agli splendori ed ai fasti, strombazzati dai media quali sinonimo di successo. Del resto, ha ricordato il Card. Bagnasco, sempre a Rimini, “essere protagonista non è voglia di protagonismo, ma amore di identità. La sfida decisiva per noi cristiani oggi è la radicalità della nostra fede”. In questo senso, l’uomo – ha ammonito ancora Benedetto XVI – non è fatto per la semplice riuscita mondana: “Il compimento dell’umano – afferma – è la conoscenza di Dio”, per il quale non servono “né fama, né successo presso le folle. Solo
Cristo può svelare all’uomo la sua vera dignità e comunicargli l’autentico senso della sua esistenza. Quando il credente lo segue docilmente è in grado di lasciare una traccia duratura nella Storia. E la traccia dell’Amore, di cui diviene testimone. Ed allora ciò che fu possibile per san Paolo lo diventa anche per ciascuno di noi”. In questo senso, il Sommo Pontefice ci chiede, affidandoci a Maria – come ha fatto recentemente in Sardegna –, “di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica, che necessita di una nuova generazione di laici impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore soluzioni di sviluppo sostenibile”. Spetta a noi. A tutti noi. Non è permesso delegare. Una volta tanto, dobbiamo rimboccarci le maniche ed assumerci le nostre responsabilità. Il Papa ci dà fiducia. Dimostriamo di meritarla. Ecco perché, anche oggi, ha un senso, un ruolo ed un compito importante la cosiddetta “buona stampa”. Purché sia buona davvero… Mauro Faverzani
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Luce e calore oi desideriamo l’unione con Dio. Ma quale via possiamo seguire per raggiungere tale scopo? Romano Guardini, nel suo libro “I santi segni” (si intendono i segni della liturgia), indica innanzitutto la conoscenza e l’amore. Sentiamo le sue parole: «La prima via dell’unione passa attraverso la conoscenza e l’amore. Conoscere è unirsi. Noi penetriamo le cose conoscendole e le attiriamo a noi. Diventano nostra proprietà: elementi della nostra vita. Anche l’amore è unione… L’uomo intanto ama una cosa in quanto gli appartiene… è l’amore che attua l’unione non nell’essere, bensì in un movimento; nella coscienza e nella vita affettiva». Ora, Guardini si chiede se esiste qualcosa che possa simboleggiare tutto questo, e risponde di sì: la luce e il calore, che rivestono una grande importanza nella liturgia. Così egli scrive: «Qui v’è un cero: porta luminosa una fiammella. Il nostro occhio ne vede la luce e l’accoglie in sé, se ne compenetra diventando una cosa sola con essa; eppure non lo tocca. La fiamma rimane in sé e l’occhio pure; tuttavia ha luogo un’intima unificazione; un’unione piena di riverenza e verecondia, si potrebbe dire, senz’altro e senz’alcuna mescolanza, in mera visione». E prosegue: «Profonda similitudine di quell’unione che si compie tra Dio e l’anima nella conoscenza. “Dio è la verità” dice la Sacra Scrittura. Chi conosce la verità, la possiede nello Spirito. Dio è presente nel pensiero che lo conosce rettamente. Dio vive nello spirito che pensa a Lui veramente. Perciò “conoscere Dio” vuol dire: unirsi con Lui, come l’occhio con la fiamma nella visione della luce». Ma oltre all’unione mediante la luce c’è anche quella mediante il calore. «Lo avvertiamo sul viso, sulla mano. Notiamo com’esso ci compenetra riscaldandoci; eppure la fiamma sta, non tocca, in se stessa. E questo è pure l’amore: un compenetrarsi con la fiamma di Dio mediante il calore, senza toccarla per nulla». A questo punto Guardini può dire: «Conoscere Dio e amare Dio significa unirsi con Lui. Perciò la felicità eterna sarà un contemplare e amare… Come la fiamma emette luce così Dio elargisce verità. E l’anima accoglie in sé la verità e si unisce in essa con Dio, allo stesso modo che il nostro occhio vede la luce e in essa si unifica con la fiamma. E la fiamma manda calore; così Dio profonde calda bontà. Ma chi ama Dio diventa nella bontà una cosa sola con Lui, come la mano e il viso con la fiamma, quando ne percepiamo il calore. Ma la fiamma rimane in sé, intatta, pura, nobile. Come è stato detto di Dio, che “abita nella luce inaccessibile”. Fiamma luminosa e ardente – tu sei immagine del Dio vivente!».
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catechismo per tutti: luce e calore
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testimonianze
valore di essere cristiani, non a parole ma con l’esempio per non parlare poi della sottolineatura sull’importanza della corona del rosario e quali luci e sentimenti ci dona. E stata un’occasione di ricerca del nostro rapporto con la Madonna e per riuscire a comprendere quello che Lei vuole trasmetterci. La giornata è poi proseguita con il momento conviviale sempre presente ed importante nei nostri raduni, la visita guidata al complesso dell’abbazia. L’incontro si è concluso con la recita dei Misteri della Luce, la celebrazione della Santa Messa e l’esposizione del Santissimo. Anna Maria Motzo
Raduno di Rosazzo (20 settembre)
Quali luci e sentimenti ci dona
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abato 20 settembre 2008, presso l’Abbazia di Rosazzo, si è svolto l’annuale raduno del rosario per il Friuli Venezia Giulia. E stata per me un’occasione per conoscere luoghi che non avevo mai visitato. L’Abbazia è costruita su un’altura tra vigneti e campi coltivati e il tutto trasmetteva senso di pace e di preghiera. Abbiamo iniziato la giornata con la meditazione dei Misteri Gaudiosi con i quali padre Mauro ha cercato di farci capire il ruolo fondamentale della Madonna nei nostri cuori, ricor-
dandoci che il mese di ottobre è il mese del Rosario. Ci ha “responsabilizzati” inoltre sul
Raduno di Filetto (27 settembre)
Un Raduno nel silenzio e nell’armonia
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uest’anno il Raduno Regionale del Rosario, in terra emiliano-romagnola, si è svolto presso l’antico Santuario della beata Vergine di Sulo a Filetto (RA), nel giorno di sabato 27 settembre 2008. Nella stupenda cornice del piccolo Santuario, quasi nascosto alla vista del mondo, immerso nel silenzio della campagna, come un ricettacolo di tesori occultato alla frenesia del presente, ci siamo immersi nella preghiera e nella riflessione sulle cose eterne. Alle 10,30, quando da ogni luogo erano già arrivati i convenuti, Padre Mauro ha condotto l’Ora Mariana. Il suo modo garbato ma deciso, i suoi pensieri chiari e nello stesso tempo impegnativi per la meditazione personale, ci hanno permesso di osservare meglio all’interno della nostra anima e di far scaturire riflessioni altrimenti difficili da far emergere. La condivisione dei propositi ed il rinnovo del nostro impegno per la diffusione del Rosario è stato il logico punto d’arrivo delle sue e nostre meditazioni.
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Nei locali attigui, messi a disposizione dalla parrocchia, si è svolto un momento di ristoro, con pranzo al sacco, durante il quale la condivisione della “mensa” ha completato gioiosamente la mattinata. Nel primo pomeriggio abbiamo potuto ammirare, vagando nella campagna, alcune pievi romaniche, alcune ben conservate, altre di recente restaurate, altre cadenti e abbandonate. Abbiamo così potuto sperimentare che la ri-
pensieri nel diretto colloquio con Dio, si poteva concludere una giornata così intensa. La benedizione di Dio, scesa copiosa su tutti i convenuti, porterà certamente grazie e splendidi frutti su quanti hanno partecipato e sulle loro famiglie. Maria, Regina del Rosario, sempre presente ed attenta ai bisogni dei suoi figli, non mancherà di presentare al Padre tutta la messe infinita di ringraziamenti, di preghiere, suppliche e richieste di grazie sorte dal cuore dei suoi fedeli, sia quelli presenti fisicamente a Filetto che quelli che, impossibilitati, l’hanno invocata dalle loro case. Ad Jesum per Mariam Giuliano Bagnoli Raduno di Osimo (4 ottobre)
Oggi eravamo attesi
E chiesta d’Eterno, che noi oggi sentiamo così viva a causa della dirompente secolarizzazione della società, era avvertita anche dalle generazioni che ci hanno preceduto nella lunga via della fede. Nella semplicità degli interni delle chiese millenarie si avverte, infatti, un che di intenso e di pregnante che tende tutto a portare l’anima direttamente davanti al cospetto di Dio, per formulargli le eterne domande sul perché della sofferenza e del patire. E di questa ricerca della Via, della Verità e della Vita parlano ancora, silenziosamente, le singole pietre dei vetusti edifici. Ritornati al Santuario, nel pomeriggio inoltrato abbiamo meditato e recitato il Santo Rosario, con la trascinante mediazione di Padre Mauro, proseguendo poi la preghiera con l’incontro di Cristo nel sacramento dell’Eucarestia, attraverso il sacrificio della S. Messa. Solo con l’Adorazione Eucaristica, e con il fondersi dei nostri
ravamo al ritorno da un pellegrinaggio a S. Giovanni Rotondo da un tale S. Pio da Pietrelcina, quando trillò un cellulare: «c’è un pullman che vi aspetta al tal posto, alle ore 9.00 per recarci tutti insieme al raduno del S. Rosario del 4 ottobre a Osimo». Il tempo di organizzarci ed è partita l’adesione del nostro gruppo pesarese. Ci eravamo iscritti al Movimento domenicano del rosario da poco, perché, per caso, ci eravamo trovati in possesso della scheda di adesione. Siamo partiti con la curiosità della prima volta, con la convinzione di andare a ricevere un dono già predisposto e solo da ritirare. Arrivati a destinazione, al Santuario di S. Giuseppe da Copertino, il Santo della gioia, dopo la sistemazione logistica, c’è stata la recita del S. Rosario con meditazione tenuta da Padre Mauro. La necessità di leggere i documenti della Chiesa, il richiamo all’ortodossia, l’amore alla Chiesa sono stati i temi, di quelli trattati, che più ci hanno attirato. Un richiamo semplice e pacato all’ortodossia in un tempo come il nostro, è stato come ricevere un bellis-
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simo panino quando si ha fame e trovi tutti i bar chiusi. Ne abbiamo parlato tra di noi e siamo giunti alle stesse conclusioni. Dopo il pranzo al sacco abbiamo visitato il Santuario e il centro storico della città di Osimo. Ecco, non mi dilungo, dico solo andateci
Questa signora ci raccontò di aver conosciuto S. Pio da Pietrelcina e di essere stata testimone di un fatto; di un Signore che stanco di aspettare per la confessione da Padre Pio decise di rinunciare ed andarsene. Nello stesso momento arrivò un frate che gli disse: il Padre la sta aspettando, venga. Le persone che erano presenti al racconto della sorella hanno pensato la stessa cosa: sì oggi eravamo attesi, speriamo che sia così anche nell’ultimo trasloco dalla terra al cielo. Al prossimo raduno. Grazie Maria. il gruppo pesarese
Pellegrinaggio a Lourdes
Pellegrini su questa terra perché è bellissimo. Si è proseguito poi con la recita del S. Rosario, la S. Messa e adorazione del SS.mo. Dopo questa breve cronaca qualche riflessione: non mi ricordo da quanto tempo personalmente non passavo una giornata così serena con i fratelli e con quella pace interiore che sai essere dono di Qualcuno che in cielo ti ama follemente. Questo è il frutto, condiviso, al quale ha concorso certamente l’affabilità dei Padri francescani che ci hanno accolto, la meditazione di Padre Mauro, il Santuario di un santo molto attuale, la celebrazione eucaristica e non voglio dimenticare la conoscenza di nuovi fratelli. Ma, sopra ogni cosa, c’era l’invito all’incontro di una Signora, la SS.ma Maria Madre di Gesù. La Donna in cielo più potente, più amorevole, che per la sua totale dedizione a Dio ha meritato di essere l’Immacolata Concezione. Siamo andati a rendere omaggio alla Madonna con la preghiera che predilige, il S. Rosario, e non potevano non esserci i doni. A fine giornata abbiamo accompagnato a casa una sorella che avevamo conosciuto al mattino.
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iamo tutti un po’ pellegrini oggigiorno, solo che rispetto a quelli che lo erano nel Medioevo o nei tempi antichi facciamo una grande fatica a capire dove stiamo andando, verso che cosa e soprattutto perché ci stiamo muovendo. Lourdes…. questo luogo di mistero ha sempre esercitato su di me e mia moglie Daniela un profondo desiderio di andare a vedere, a toccare… a volte, senza renderci conto, siamo umani come l’apostolo Tommaso, con una fede ed una speranza da rinsaldare. Ebbene si… sii!!!… Lourdes è il punto dove il Signore ci dice, venite e sarete saziati della vostra sete di Fede, della vostra fame di Speranza, del vostro desiderio di dare e ricevere Amore. Davanti a quella umile grotta incisa nella pietra trovate un segno di uomini, la statua della madre di Gesù, ma trovate i segni dell’Altissimo che ci dicono “Sono con voi tutti i giorni fino alla fine”. La roccia, l’acqua, l’aria sono intrise profondamente del suo Amore per noi, come lo è tutto il creato in cui viviamo, solo che nella
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vita di tutti i giorni siamo troppo distratti per vederlo. Davanti alla grotta di Bernadette ci si sente piccoli ed insignificanti, eppure stare in quella moltitudine di persone che si reca là davanti ti fa sentire la vicinanza con Lui… ti fa sentire una piccola goccia d’acqua nell’oceano ma che il Signore riconosce ed ama. In mezzo agli ammalati, alle persone in barella, in carrozzella, ai volontari, senti la Fede che fluisce forte e che fa dire al cuore di ognuno… “ecco Signore ho trascinato qui la mia croce e te la offro non per essere guarito, ma
Maria …. ecco Maria…. Lei è il punto di contatto scelto dal Signore per avvicinarci a Lui, la persona come noi che più ci fa sentire vicino a Lui. Il Rosario è il punto centrale che Maria ci ha donato per stare in comunione tutti noi con Lui…. E là lo senti fortemente!!!! Il nostro gruppo lo ha recitato insieme in disparte con la visione della grotta all’orizzonte, è stato uno dei piccoli segni tracciati dal nostro fratello Padre Mauro per indicarci la Via, la Verità e la Vita, il momento della giornata per fermarsi, riprendere i fili della nostra esistenza e correggere la rotta, consapevoli che non dobbiamo chiuderci nei nostri piccoli egoismi quotidiani ma dobbiamo aprire il nostro cuore a tutte le persone che incrociamo nel nostro cammino, a volte tortuoso e difficile come una Via Crucis – altro momento indimenticabile di un mattino iniziato con il buio del peccato e terminato con la luce dell’alba di resurrezione – nel nostro pellegrinaggio della vita, verso la meta promessa… Grazie a tutti quelli che erano con noi ed hanno condiviso la nostra esperienza. Grazie a P. Mauro per tutto, ma soprattutto per la gioia e la testimonianza quotidiana dell’annuncio. Daniela e Mauro
perché tu mi dia la forza di portarla ogni giorno con dignità come hai fatto Tu sul calvario…”. Questo è il vero miracolo che ogni giorno si compie a Lourdes. Là davanti abbiamo pregato per avere Fede, almeno una briciola di quella delle migliaia di persone ammalate che sono là tutti i giorni; abbiamo pregato per avere Speranza, quel grande dono che ci fa rialzare ogni giorno per avvicinarci al nostro destino; abbiamo pregato per riuscire a donare e ricevere Amore, perché solo questo ci fa sentire davvero vicino a Lui, al suo Amore sconfinato per noi.
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noi vi diamo
tanto
... e tanto altro ancora
e vi chiediamo ... solo un contributo
poco
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In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa