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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLIII - n. 2 - II trimestre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

o m a i ! t o s i z n n o e n sil in

2/2010

Convegno del Rosario Bologna, 18 aprile 2010


Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

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ROMA, venerdì, 12 marzo 2010 (ZENIT.org).- I Domenicani di vari Paesi sono preoccupati per le consorelle in Iraq e per gli altri cristiani sotto attacco nel Paese. Suor Maria [priora delle suore domenicane irachene] molto preoccupata per la sicurezza delle suore e della popolazione cristiana ha riferito che la maggior parte dei cristiani sta progettando di fuggire dall'Iraq, e quindi non sa cosa accadrà alla sua Congregazione”. Ha lamentato il fatto che molti mezzi di comunicazione “non riportino nulla” a questo proposito e parlando a nome delle sue consorelle irachene, ha chiesto ad altri di diffondere la notizia e di pregare per i cristiani sofferenti dell'Iraq. Nelle ultime settimane, una serie di omicidi è costata la vita a varie persone. Circa 15.000 cristiani restano nella città a maggioranza musulmana di Mosul, dove le loro famiglie vivono da 2.000 anni.

non stiamo in silenzio!

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Pa d re To m a s Ty n

La Beata Vergine di Lourdes (parte II)

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ra, cosa bellissima, cari fratelli, la beata Vergine non solo ha scelto bene il luogo come luogo di raccoglimento, come luogo di preghiera, come luogo ove spontaneamente si sale a Dio, la beata Vergine ha scelto in modo molto accurato anche il tempo della sua apparizione, è apparsa dopo qualche tempo dalla definizione dogmatica della sua Immacolata Concezione. Il papa di venerata memoria – e speriamo che sia anche proclamato beato – il papa Pio IX, nell’anno di grazia 1854, ha proclamato il dogma secondo il quale la beata Vergine sin dal primo istante della sua esistenza è stata liberata da Dio da ogni macchia del peccato delle origini. Pensate, cari fratelli, a questo unico luogo che la beata Vergine assume nella storia della salvezza. È davvero bello parlare di lei come la mistica aurora della nostra salvezza, Maria che precede come aurora il Cristo, suo figlio immacolato, la Vergine immacolata che precede il suo figlio immacolato. Vedete come la grazia di Cristo si

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rispecchi in anticipo in Maria. Cristo privo del peccato, vittima innocente per l’espiazione dei nostri peccati, Maria l’aurora mistica di Cristo, come Cristo è il sole di giustizia, così Maria è colei che precorre come mistica aurora quel sole di giustizia che è il Cristo che si alza all’orizzonte dell’umanità per non conoscere mai più il tramonto. Ecco la vergine Maria, la prima innocente in un mare di peccatori. Il peccato delle origini non è un capriccio della Chiesa: il peccato delle origini è una realtà, basta guardare noi stessi. Ci sono tanti dogmi che è difficile sondare, pensate ad esempio al dogma della Trinità, la verità sublime, ineffabilis Deus, chi potrà guardare gli eterni splendori dell’eternità del Verbo? Ebbene Iddio è sconosciuto a noi stessi, ma noi, pur presentando il mistero a noi stessi, appena guardiamo dentro di noi capiamo che siamo inadempienti, strutturalmente inadempienti, cioè tendiamo al male pur essendo stati chiamati al bene. Sentiamo che siamo stati chiamati al bene, ma sentiamo anche il terribile richiamo del male, quello che si chiama inclinatio ad malum. Ora vedete che il peccato delle origini è una terribile, terrificante realtà. Sin dalla sua giovinezza l’uomo è portato, è inclinato al male. Ecco allora, cari fratelli, la beata Vergine in quella massa damnationis, come dice giustamente sant’Agostino, è l’unica graziata, kekalitomene: come è bella questa invocazione dell’angelo! Noi diciamo Ave Maria, gratia plena, nel testo originale greco l’Angelo la saluta: kekalitomene, cioè colei che ha la grazia di Dio, Lei l’unica. Vedete, noi tutti siamo una massa destinata alla perdizione, Lei unica ha avuto la grazia da Dio, ha trovato grazia ai suoi occhi. Ora, è cosa molto bella che la beata Vergine Maria dica a santa Bernadette Soubirous queste sublimi parole: «Io sono l’Immacolata Concezione». Il parroco, quando ha sentito questo da una ragazzina che non aveva studiato teologia, ha capito subito che la rivelazione era autentica. Come poteva una bambina, che aveva una istruzione catechistica senza approfondimenti teologici, come poteva dire parole così sublimi: Io sono l’Immacolata Concezione? Dopo quattro anni dalla definizione dogmatica la Vergine appare e sancisce le parole del vicario di Cristo. Che bella cosa! Il tempo stringe, ma bisogna che vi accenni a un terzo aspetto di Lourdes e delle apparizioni della Vergine. La Vergine ha insegnato alla beata Bernadette a scavare un pozzo, dalla terra del quale scaturì dell’acqua che portava guarigione e salvezza non solo ai corpi, ma anche alle anime. Quante conversioni a Lourdes! Che cosa commovente vedere quel cieco che è andato a Lourdes per riavere la vista! Lui era un miscredente, non credeva in Dio, però diceva: se funziona, dovrà funzionare anche con me. Già in questo c’era un inizio della fede, tutta grazia di Dio. Orbene, quel cieco è andato a Lourdes, non credeva ancora in Dio, ma diceva: se funziona, proviamo, provare non nuoce, se ha funzionato con altri, può darsi che funzioni anche con me. Ebbene, la vista esterna non l’ha avuta, ma ha avuto la vista interiore, la grazia della fede. Come è bella questa lapide che dice: ha chiesto alla Madonna di riavere la vista ed invece di avere la vista del

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corpo ha avuto la vista interiore dell’anima, è stato liberato dalla cecità dell’incredulità. Così, cari fratelli, sono convinto che la città di Lourdes rimarrà sempre un luogo di grazia, non solo di preghiera, ma anche e soprattutto un luogo di grazia della fede. Lourdes è una smentita alla ribellione pseudointellettualistica dei tempi moderni. È una continua smentita del positivismo che era la piaga del secolo scorso e che, sotto la formula del così detto neopositivismo, continua a turbare l’umanità contemporanea. Che cosa è il positivismo? È il tipico razionalismo che dice: i miracoli non ci sono. Ebbene, perché non ci sono i miracoli per i positivisti? Per la semplice ragione che loro hanno decretato – in virtù della loro scienza – che i miracoli non devono esserci, non hanno da esserci. Capite, cari fratelli, come sono profondi e fondati questi ragionamenti scientifici! I miracoli non ci sono. Per quale motivo? Perché non devono esserci. Orbene, la beata Vergine Maria si diverte, oserei quasi dire, a fare dei miracoli. Diceva Chesterton: i miracoli hanno una caratteristica veramente bella e commovente, il fatto che veramente esistono. A Lourdes succede proprio questo, ci sono ormai quattromila casi che pretendono di essere guarigioni miracolose; la Chiesa con la sua estrema prudenza ne ha ammesso l’uno per cento, una quarantina di casi dei quali la Chiesa dice: siamo dinanzi ad un fatto soprannaturale. Ciò non esclude che in tanti altri casi, non canonicamente ammessi, ci sia stato veramente l’intervento miracoloso di Dio. Cosa bellissima vedere questo riconosciuto da medici, spesso anche non credenti, che devono arrendersi davanti alla realtà dei fatti. Ma quello che mi diverte di più, cari fratelli, è come questi poveri medici siano sempre trepidanti di fronte ai giudizi dei loro colleghi. Pensate a quel grande scienziato – al quale è stato dato il premio Nobel per la medicina per una particolare tecnica chirurgica da lui messa a punto per riparare le vene nel corpo umano – ebbene quando quel grande luminare della medicina si è convertito a Lourdes ed ha scritto sul suo diario che questi fatti sono autentici, è stato proscritto da tutto il mondo di questi medici positivisti. Vedete, c’è nel tempo presente una grave irrazionale superstizione: questa superstizione dei tempi moderni si chiama positivismo e scientismo. Ebbene, cari fratelli, andiamo alla scuola della Vergine Immacolata, alla scuola di Lourdes ove Maria santissima, dinanzi ai suoi, a coloro che sono più provati di tutti, dinanzi ai malati, dinanzi agli handicappati, dinanzi ai suoi poveri, fa piovere le grazie dal Cielo, le grazie miracolose a dispetto di tutto il razionalismo, a dispetto di tutto il modernismo, di tutto lo scientismo del nostro tempo. Così sia. Questa omelia, tenuta da P. Tomas Tyn, è tratta dal libro “La Beata sempre Vergine Maria Madre di Dio” (edito dall’Associazione Figli Spirituali di Padre Tomas Tyn).

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Convegno del Rosario

Bologna 18 aprile 2010

Non stiamo in silenzio! Lettera del Maestro dell’Ordine a Giovanni Paolo II sulla situazione irachena Roma, Santa Sabina, 5 marzo 2003 Sua Santità Giovanni Paolo II Ancora una volta abbiamo il piacere di ospitarla nella nostra casa per cominciare in modo solenne il Tempo della Quaresima. (...) Quest’anno il Signore le ha dato l’ispirazione per invitare tutti gli uomini e le donne di buona volontà a pregare e digiunare per la pace, soprattutto in Iraq e in Terra Santa. In questo modo, l’invito alle pratiche proprie di questo periodo “forte” non è rimasto circoscritto alla comunità cattolica. Sono molti coloro che, da tutti gli angoli della terra, si sono fatti eco del suo grido immmutabile per la pace! Riceva all’inizio di questa Quaresima due piccoli segni che si uniscono, in un certo modo, a questo coro orante che Lei, Santo Padre, ha voluto riunire oggi per supplicare a Dio, ricco di misericordia, il dono della pace. Questi semplici doni rappresentano a loro volta due campagne che sono state promosse in seno alla Famiglia Domenicana. La spilla “I have a Family in Iraq” (ho una famiglia in Iraq) esprime non solo la nostra profonda solidarietà con i fratelli e le sorelle domenicani presenti in Iraq (8 frati, circa 300 religiose e intorno ai 500 laici), ma anche la vicinanza a tutti gli abitanti di questo paese così provato. Il rosario di legno d’ulivo della Terra Santa, è uno dei tanti fabbricati dai cristiani palestinesi a Betlemme e Gerusalemme per i pellegrini e i turisti. La situazione attuale ha compromesso seriamente questa fonte di guadagno. Per questo motivo si è creata una catena di solidarietà per la sua distribuzione e vendita fuori dalla Terra Santa. Il ricavato ritorna a queste famiglie, per loro questo rappresenta quasi l’unico mezzo di sussistenza, di lavoro e dignità in un momento in cui tanta violenza e incertezza impedisce loro di poter contare su altri introiti! (...) Con amore filiale in Nostra Signora del Rosario e San Domenico, Frate Carlos A. Azpiroz Costa O.P. Maestro dell’Ordine

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Ho una famiglia in Iraq (da IDI, gennaio 2003) L’Iraq è un paese di circa 23 milioni di abitanti, per la maggior parte musulmani e mezzo milione di cristiani, molti dei quali sono cattolici romani di rito siriano e caldeo. La cristianità è arrivata in questa parte del mondo alla fine del primo secolo. Tra i luoghi biblici dell’Iraq ricordiamo: il luogo tradizionale del Giardino dell’Eden, la casa di Abramo ad Ur, il luogo dove gli israeliti sono andati in esilio a Babilonia, dove Giona ha profetizzato alla gente di Ninive e dove la Buona Novella è stata di casa per secoli. I resoconti storici dell’Ordine Domenicano indicano che almeno un frate ha fatto parte della Casa della Saggezza a Baghdad nel Medio Evo. Questa “Casa” è stato il luogo di incontro di studiosi di ogni parte del mondo messi insieme dal Califfo regnante a quell’epoca. Questo Califfo ha voluto allo stesso tempo raccogliere e diffondere la conoscenza nel mondo. I Domenicani sono arrivati in maniera permanente a questa Chiesa e cominciarono a svolgere il loro ministero tra i cristiani più di 250 anni fa. Nel 1873 è giunta la congregazione delle Suore Domenicane della Presentazione di Nostra Signora. Una seconda congregazione, quella delle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena, ha cominciato a organizzarsi a partire dal 1877. Quest’ultima congregazione era costituita interamente da suore irachene, ma ora ci sono anche frati iracheni e Suore irachene della Presentazione. Attualmente i Domenicani iracheni, incluso il laicato, svolgono il loro ministero tra i cristiani e i musulmani nelle scuole, nelle cliniche, negli orfanotrofi, negli ospedali e in numerosi altri apostolati. A partire dalla Guerra del Golfo, la nostra Famiglia ha sofferto duramente. La Famiglia Domenicana continua a testimoniare, attraverso il suo ministero, l’amore di Dio anche in mezzo alla sofferenza. Siamo tutti figli di Dio. Ho una Famiglia Domenicana, una famiglia cristiana... famiglia umana... in Iraq. E così anche voi. (scritto da Roberta Popara, O.P.).

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Convegno del Rosario

Ecco come pregano i cristiani perseguitati

Testimonianze che dovrebbero riempire di vergogna l’Occidente, dove ci sono credenti che si definiscono “non praticanti”…

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prendo i lavori del Convegno “Vivere e pregare da cristiani in Medio Oriente”, fra Riccardo Barile o.p., Priore Provinciale dei Domenicani del Nord Italia, ha ricordato la ragione “pastorale” della preghiera, preghiera che tuttavia rispecchia ed esprime sin dall’antichità anche la “cultura” degli oranti. Il che significa, a suo giudizio, affrontare l’argomento, tornando alle radici ovvero a contesti tra i più antichi dal punto di vista della fede, benché pressoché sconosciuti al mondo occidentale, perché sostanzialmente dimenticati dai media: “La preghiera – ha affermato fra Barile, introducendo l’argomento della giornata – oltre ad essere un dono di Dio, è un insegnamento che Dio ci ha fatto ed anche un «artigianato» nostro umano, che esprime la nostra cultura. Si prega in un certo modo, perché ci troviamo in questa civiltà, con questa civiltà, con queste parole. Dove però siano compresenti più culture, quand’anche all’interno dello stesso mondo cristiano, emergono spesso le difficoltà”. Giacomo de Antonellis, giornalista Rai, ha quindi presentato una breve scheda per mettere a fuoco la situazione dei cristiani in Medio Oriente. Situazione molto confusa, ha detto senza mezzi termini. E fortemente penalizzante. In più, “il risorgere del nazionalismo islamico è stato un elemento essenziale in questa rivalsa nei confronti dei cristiani. Bisogna stare attenti – ha ammonito – mai girare la testa dall’altra parte”. Fra Guy Tardivy o.p., priore del convento “Santo Stefano” di Gerusalemme, è stato esplicito, lo ha detto a chiare lettere: la sua chiave di lettura di quanto avviene in Medio Oriente è quella dei “palestinesi, ai quali appartengono le famiglie e i giovani cristiani, che cerchiamo di avvicinare”. Da qui la sua denuncia di una “politica di giudaizzazione” in corso a Gerusalemme, dove sarebbe in corso un “continuo tentativo di intimidazione”. Rispetto a ciò, anche il muro intorno a Gerusalemme ha trovato una propria, precisa collocazione nelle parole del priore, a capo della comunità, sede della famosa scuola biblica ed archeologica, che ha prodotto – tra l’altro – la “Bibbia di Gerusalemme”. Da qui un elenco di difficoltà quotidiane, snocciolato come i grani di un Rosario dal sacerdote

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domenicano, che ha accusato la stampa internazionale di tacere tali episodi. Difficoltà, quelle evidenziate, per lo più di carattere pratico (documenti, residenza, assistenza sanitaria, disoccupazione, diritto allo studio...), oltre all’incubo del conflitto. Per questo, è stato messo a punto dall’Associazione “Totus Tuus International” un programma “umile e modesto” rivolto non solo ai giovani cristiani dei quartieri attorno al Santo Sepolcro e del Muristan, bensì a tutte le persone di buona volontà, al di là di cultura o fede, per promuovere “valori e gesti semplici nella vita quotidiana, così da cooperare alla realizzazione della pace e del bene comune in Terra Santa ed in tutti i paesi”. Programma, riassunto dal motto “Let Love be now”, cioè “L’amore sia adesso”. “Condividendo la vita quotidiana delle persone – ha affermato Padre Tardivy – ci si accorge immediatamente di queste difficoltà che senza tregua impediscono l’organizzazione di una vita normale e serena e la comunicazione con i parenti e gli amici, che abitano al di qua del muro”. Il che, tuttavia, non fa venir meno “la speranza e la fede. I giovani credono nell’avvento di un futuro migliore ed intendono impegnarsi sempre più perché una vita serena e tranquilla non sia più un sogno, ma la normalità. La loro esperienza fa loro constatare come la pace possa arrivare solamente con la giustizia”. Dalla Terra Santa all’Iraq. Dove, con Saddam, si stava meglio: lo ha detto senza mezzi termini Suor Zora Frdos, Domenicana, presente al convegno, per raccontare con una testimonianza in un italiano stentato, ma davvero sentita e commovente, le molte avversità patite nella sua Patria prima in conseguenza della guerra (senza acqua, senza luce, senza cibo…), poi in conseguenza dell’appartenenza alla comunità cristiana: “Noi siamo nati qui, ma non possiamo viverci. Siamo perseguitati”. Chiaro il suo giudizio circa l’ex-dittatore: “Ciascun Presidente fa del bene e fa del male. Ha fatto tante cose cattive, lo so. Però almeno noi vivevamo tranquilli. Potevamo pregare, andare in giro... Ora non siamo più certe, uscendo di casa, di potervi anche fare rientro. Mia mamma vive con tanta paura… Allora, quando sento qui in Occidente – dove non si vive nulla di tutto questo – alcuni dirsi cristiani non praticanti, ne soffro. Noi, proprio nelle condizioni in cui siamo costretti a vivere, siamo cristiani praticanti, perché siamo innamorati di vivere e di vivere nella nostra terra. Dobbiamo andare avanti, resistere. C’è fiducia in noi. Sappiamo che Lui, il Padre, non lascia nessuno. Non si dimentica di noi, che siamo i Suoi figli. Questo è importante per noi”. Affermazioni da calarsi in chi questo contesto lo ha vissuto – e lo vive – sulla propria pelle. In prima persona. Ciò

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che spesso porta a guardare alla realtà con occhi diversi: “No, guardi – ribadisce – l’Iraq di prima era migliore di quello attuale”. Quattro anni fa le Suore si sono ritirate nei villaggi ed hanno lasciato la Casa Madre di Mosul, dove sono rimaste solo le più anziane, per lasciarla presidiata ed evitare di perderla definitivamente. Ma Suor Zora distingue tra i “musulmani, che non c’entrano” e gli “estremisti della jihad”. Argomenti, questi, approfonditi anche nel pomeriggio, quando – grazie anche alla testimonianza breve, ma intensa e convinta, di un giovane marocchino – si è posto l’accento maggiormente sul tema della conversione, della preghiera e della celebrazione eucaristica nelle terre tra le più antiche della Cristianità. Da qui l’“affondo” di Suor Zora nei confronti del nostro modo occidentale di partecipare alla santa Messa: “Spesso vengo disturbata dalle chiacchiere o dai telefonini dei presenti, specie quando si prolunga troppo l’omelia del sacerdote. Si è lì per pregare, non per altro. Mia mamma non sa leggere, non sa scrivere, ma – quando mio padre è morto in guerra –, da sola, con otto figli, ha pregato, affinché la Provvidenza ci donasse il cibo, che ci mancava. ‘Dio ci pensa’, ci ripeteva. Questo è stato per noi un insegnamento forte. Che da voi non vedo, mi spiace doverlo dire. Finora mia mamma pensa che l’Italia sia fatta di cattolici doc. Voglio lasciarglielo credere, ma non è così... Qui molti credono che la fede sia un fatto personale. No, non è vero, bisogna viverla con gli altri”. Ciò di fronte a cui fra Barile ha commentato: “Noi non abbiamo le loro difficoltà, probabilmente non riusciamo ad esprimere questa loro musica”. Parole come musica, quindi. Ma anche immagini come musica: particolarmente incisivo, infatti, è stato un video, mostrato in sala, dal titolo “Il mio cuore” realizzato dalle Madri Domenicane irachene della comunità di Suor Zora, che – con una consorella – ha poi offerto a Dio ed ai presenti in dono – con commozione di tutti – una splendida recita cantata del Padre Nostro in aramaico, la “lingua di Gesù” come ha precisato la Madre domenicana, con gioia. Gioia sua e gioia di tutti i partecipanti al Convegno. Mauro Faverzani se cercate ulteriori informazioni su quanto descritto da suor Zora: http://www.youtube.com/watch?v=_zNCFrBRcUE&feature=channel http://www.youtube.com/watch?v=CbhLuuK9opU&feature=channel http://www.youtube.com/watch?v=MDlJRar9p2s&feature=related http://www.youtube.com/watch?v=-LsixpV0hgs&feature=related

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Notizie da Gerusalemme e Terra Santa

Convegno del Rosario

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opo un breve passaggio al Convento di Nizza, dopo parecchi anni di lavoro pastorale a Bordeaux ed in Francia nell’apostolato del Rosario, le Opere mariane, l’organizzazione e l’animazione dei pellegrinaggi a Lourdes, i miei confratelli domenicani del Convento Santo Stefano di Gerusalemme mi hanno eletto priore del loro convento. Il convento di S. Stefano è un luogo santo, in esso nel quinto secolo è stato edificato un monastero ed una basilica in onore del protomartire santo Stefano, del quale gli Atti degli Apostoli narrano la testimonianza della morte eroica. Il Convento è anche la sede della famosa scuola biblica ed archeologica che ha prodotto tra l’altro la Bibbia di Gerusalemme, uno dei frutti più noti al mondo del lavoro dei Padri Domenicani a Gerusalemme. Fin dal mio arrivo a Gerusalemme ed in Terra Santa mi sono messo in contatto con le autorità civili e religiose di ogni confessione cristiana e – come ero solito fare in Francia – grazie all’aiuto dei giovani studenti cristiani della vecchia Città di Gerusalemme, ho potuto conoscere le famiglie di Gerusalemme e dintorni e mettermi al loro servizio. Ho cominciato dalla città vecchia di Gerusalemme, e mi sono poi anche interessato delle famiglie di Betlemme e dei villaggi attorno a Gerusalemme. Mi sono trovato in un contesto simile a quello di santa Bernadette Soubirous di Lourdes: famiglie cristiane che abitano nel cuore della vecchia città di Gerusalemme, vicino al Santo Sepolcro e al quartiere Muristan in condizioni simili a quelle di Bernadette adolescente: due o tre piccole stanzette per una famiglia numerosa, senza un lavoro stabile che possa garantire una vita dignitosa. Quale avvenire per i loro bambini? Durante il terribile conflitto di Gaza, nel dicembre 2008, alcuni di loro, animati dalla speranza, sono venuti a chiedermi di organizzare nella chiesa dei domenicani una celebrazione. Ho accolto immediatamente questa loro espressione di fede e così abbiamo realizzato un incontro insieme alle varie confessioni ed organizzazioni cristiane della Palestina. In seguito a questa celebrazione di preghiera ecumenica, le famiglie cristiane della città vecchia di Gerusalemme – sia del quartiere attorno al Santo Sepolcro che di quello del Muristan – mi hanno chiesto di continuare in questo impegno di preghiera intensa per la pace, organizzando insieme la visita dei malati, dei diversamente abili, e vari incontri formativi per i giovani cristiani di Gerusalemme che a loro volta si fanno promotori di dialogo e di attività sportive e culturali con i giovani

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musulmani, ebrei o miscredenti, manifestando così la loro speranza in un futuro di giustizia e di pace. Dico questo per affermare la forza e l’efficacia della preghiera e della solidarietà, elementi essenziali nella testimonianza dell’amore redentivo di Dio, capace di aprire sempre nuove strade e di trasfigurare così ogni sorta di sofferenza fisica e spirituale. Santa Bernadette e Nostra Signora di Lourdes erano e sono molto presenti nel cuore dei cristiani qui a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa, ispirando in essi una vera condivisione e soccorso reciproci nelle piccole occasioni della vita quotidiana. In linea anche con quanto indicato dal Patriarca latino di Gerusalemme, Monsignor Fouad Twal, nel suo messaggio per la pace del primo gennaio 2009: «Davanti alla nostra impotenza di fermare la macchina infernale della morte, affidiamo il cammino della nostra vita a Cristo, attraverso la preghiera e la solidarietà nella nostra vita quotidiana sotto lo sguardo di Nostra Signora, la Madre di Dio». È così che, a partire da alcuni giovani cristiani dei quartieri attorno al Santo Sepolcro e del Muristan, ha avuto inizio nella città vecchia di Gerusalemme la messa in atto di questo programma umile e modesto dell’associazione “Tuus Totus International” con lo scopo di sostenere in particolare i cristiani, ma anche tutte le persone di buona volontà, senza distinzione di cultura o di religione, promuovendo valori e gesti semplici nella vita quotidiana, così da cooperare alla realizzazione della pace e del bene comune in Terra Santa ed in tutti i paesi. Tutto ciò è riassunto nel motto ‘‘Let Love be now’’, ossia: ‘‘L’amore sia adesso’’. L’uomo giunge all’amore misericordioso di Dio nella misura in cui egli stesso si trasforma interiormente, secondo lo spirito di un amore accogliente e attento verso chiunque gli sta accanto. Che vuole significare l’espressione: l’amore sia adesso? Gli atti di amore e di solidarietà sono essenziali nel contesto della vita quotidiana a Gerusalemme ed in Cisgiordania, il paese di Gesù. Ogni

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giorno si verificano situazioni che rischiano di dividere la vita degli abitanti, e particolarmente quella delle famiglie cristiane. Situazioni che ci fanno prendere coscienza delle difficoltà e delle vicissitudini di queste famiglie. La costruzione del muro intorno a Gerusalemme ha reso effettivamente molto difficili i rapporti con Gerusalemme Est per i palestinesi, ai quali appartengono le famiglie e i giovani cristiani che cerchiamo di avvicinare. Il muro rende difficile ai bambini e agli studenti l’accesso libero alla scuola, come anche gli spostamenti degli insegnanti e delle persone che si occupano dell’assistenza sanitaria… Alcune migliaia di palestinesi delle città periferiche di Gerusalemme Est, per i quali l’accesso alla città è vitale, si ritrovano dall’altro lato della zona interessata. Queste difficoltà si verificano sia per ricevere assistenza che per andare al lavoro, e naturalmente anche per gli incontri familiari in occasione di matrimoni, battesimi, fidanzamenti, ecc. Condividendo la vita quotidiana delle persone ci si accorge immediatamente di queste difficoltà che senza tregua impediscono l’organizzazione di una vita normale e serena e la comunicazione con i parenti e gli amici che abitano al di qua del muro. Ad esempio, per quanti da Betlemme o da Ramallah vogliono venire a Gerusalemme occorre un permesso specifico. Un titolare della carta di identità della Cisgiordania deve ottenere un permesso per accedere a Gerusalemme, che notifica la durata del soggiorno e quella del permesso. E per di più certi permessi non autorizzano l’accesso a Gerusalemme dopo le 19,00. I titolari della carta di identità di Gerusalemme sono considerati come residenti permanenti d’Israele, in pratica lo stesso status dei residenti stranieri. Solo così essi possono vivere ed entrare in Gerusalemme. Un palestinese che risiede fuori della città per più di sette anni perde lo status di residente. Per mantenere lo status di residente bisogna provare che Gerusalemme è effettivamente il loro centro di vita. Se in una coppia sposata uno dei coniugi non possiede questa carta, non otterrà

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l’autorizzazione di vivere con l’altro coniuge a Gerusalemme Est. Un giovane di nostra conoscenza ha appena rotto il suo fidanzamento proprio per questo motivo! Sembra assurdo, ma è così! La situazione, in seguito agli avvenimenti descritti, diventa sempre più drammatica, particolarmente per le persone che vogliono farsi curare a Gerusalemme Est dove gli ospedali possono fornire delle cure specialistiche che non sono disponibili in Cisgiordania. Anche in questi casi è necessario ottenere un lascia-passare. Ciò vale anche per le persone che li accompagnano. E questo non solo per quanti abitano fuori dalla città di Gerusalemme ma anche per quanti, pur essendo di Gerusalemme, si sono venuti a trovare dall’altra parte del muro. Non sempre è possibile avere il permesso per le cure in ospedale. Ancor più difficile per i parenti che vogliono assistere il proprio familiare ammalato. In generale l’autorizzazione è limitata ad un massimo di tre persone, e tale permesso non sempre è rilasciato per il giorno richiesto. Quanti appuntamenti sono falliti! Non si è mai sicuri di potere arrivare in tempo agli appuntamenti ospedalieri. E ciò non è senza conseguenze per la cura dei malati. L’esistenza del muro ha ingrossato la file dei disoccupati. Molti padri o madri di famiglia non arrivano a trovare un impiego a causa dell’incertezza di poter spostarsi da una parte all’altra nel tentativo di raggiungere un eventuale posto di lavoro. Queste situazioni così tragiche sono il nostro pane quotidiano. Come può un giovane palestinese cristiano cercare di ottenere un diploma per crearsi un avvenire, trovare un lavoro onesto e servire il suo paese, la Terra Santa, farsi una famiglia, se si trova senza abitazione o non arriva a finire il suo semestre di studio? Peggio ancora se non abita nella zona che gli permette di conservare la sua carta di identità. Ciò malgrado, la speranza e la fede non vengono meno. I giovani credono nell’avvento di un futuro migliore ed intendono impegnarsi sempre più

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perché una vita serena e tranquilla non sia più un sogno ma la normalità. La loro esperienza fa loro constatare che la pace può arrivare solamente con la giustizia. Non smettono di parlarmene e di rendermi partecipe delle loro attese e delle loro speranze. Approfondiscono le loro conoscenze sulle questioni interreligiose, poiché si tratta di un aspetto fondamentale in questo contesto culturale per interagire con gli altri nella regione. Dalla conoscenza reciproca sgorga il rispetto per gli altri, anche se di religione diversa. I giovani cristiani approfondiscono la loro identità culturale e nello stesso tempo quella dei loro fratelli mussulmani ed ebrei, coscienti che questa è la base necessaria per progettare, nel rispetto delle differenze, un avvenire il più possibile comune in Terra Santa. Prepararsi ad una tale missione richiede dei sacrifici da parte delle loro famiglie. Non sempre queste famiglie hanno mezzi sufficienti a garantire il diritto allo studio dei loro figli, soprattutto per le scuole superiori e l’università. Se poi fosse necessario completare gli studi universitari in Europa bisogna cercare le università riconosciute in Israele o Palestina, ma ancor prima occorre trovare delle borse di studio per affrontare le spese necessarie. E così in questi ultimi mesi abbiamo deciso di attivarci in ogni modo possibile allo scopo di offrire un qualche aiuto almeno ad alcuni dei casi più bisognosi che si sono presentati alla nostra associazione. Senza trascurare però in alcun modo l’unione intensa di preghiera per la pace e la giustizia e l’assistenza agli ammalati e ai diversamente abili, continuando con sempre maggior entusiasmo a seguire i giovani cristiani in dialogo con i giovani musulmani, ebrei o miscredenti della città e condividendo con essi, magari attraverso una semplice partita al pallone, la speranza nell’avvenire. È vero che nella nostra regione gli organismi di solidarietà sono numerosi, in particolare le istituzioni caritative cristiane. Il loro sostegno è molto importante e considerevole, la loro azione è fondamentale: basti pensare agli ospedali, alle scuole, ai centri sociali da loro gestiti.

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Tuttavia i casi descritti, ai quali cerchiamo di provvedere, presentano delle situazioni spesso impreviste ed urgenti della vita quotidiana che non possono essere presi sempre in considerazione dalle istituzioni di solidarietà a causa della situazione geografica in continuo cambiamento. E ciò proprio a motivo della costruzione del muro intorno a Gerusalemme che rende insostenibile la vita quotidiana dei Palestinesi, soprattutto dei cristiani che rappresentano purtroppo una minoranza. Come sacerdote la mia più grande gioia è quella di vedere questi giovani che con coraggio e dedizione si impegnano in prima persona per il bene del proprio popolo. Essi sono i primi apostoli dei loro coetanei. Ed è per questo che questi giovani devono essere sostenuti in ogni modo. Ciò che in questo momento è prioritario, è l’assistenza della vostra preghiera e della vostra fraterna amicizia, così da far sentire queste famiglie non abbandonate, ma parte di una grande famiglia. Un supporto umano e psicologico, oltre che spirituale, che alimenta la loro speranza ed il loro coraggio per affrontare le non poche sfide della vita quotidiana. Queste testimonianze e tutte quelle che ancora potremmo dare, sulla base della nostra esperienza personale, motivano ancor di più il nostro desiderio di approfondire la nostra conoscenza della vita del Cristo, là dove viviamo, là dove operiamo, sostenendoci reciprocamente, quali membra sofferenti ma vive di un unico corpo che è la Chiesa. Sull’esempio del Cristo ed alla sua sequela noi vogliamo dare oggi un rinnovato slancio alla nostra vita di fede, ma anche una scintilla dell’amore del Signore al mondo nel quale viviamo, assetato di pace, quella vera e duratura, quella che viene da Dio e che illumina ogni uomo di buona volontà, non dimenticando di sostenere in ogni modo possibile i nostri fratelli cristiani di Terra Santa. Promuovere e favorire la cultura della comunione in tutte le occasioni della vita quotidiana, in umiltà e semplicità, non è forse favorire la giustizia e il dialogo, elementi essenziali per la cultura della pace? fra P. Guy Tardivy, o.p.

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Convegno del Rosario I ringraziamenti di Padre Guy Tardivy

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aro padre Mauro,

il convegno sui cristiani del Medio Oriente, che il Movimento del Rosario ha organizzato a Bologna, è riuscito molto bene. Prendendo spunto dalle nostre telefonate, nelle quali Le confidavo la triste sorte dei cristiani in Terra Santa, avete coraggiosamente avuto l’audacia di proporre uno sguardo sulle diverse comunità cristiane del Medio Oriente. Questo ha permesso di far conoscere le differenti comunità cristiane, le peculiarità, le problematiche e il contesto in cui si trovano a vivere, oggi, troppo spesso, in pieno contrasto con l’ambiente socioculturale, economico e politico che li circonda. Abbiamo sentito come siano questi, più che i motivi di religione dietro i quali ci si nasconde, che rendono commoventi le testimonianze di questi nostri fratelli in Cristo. Il mio grazie, in modo particolare, va anche a tutti coloro che l’hanno sostenuta finanziariamente in quest’impresa permettendoLe di donare anche un sostegno tangibile alle nostre iniziative con cui avete dimostrato che la Vostra vicinanza non si esaurisce solo in vuote parole... È proprio vero che al di là delle distanze, sotto lo sguardo materno della Vergine Maria, la preghiera e la concreta amicizia ci uniscono sostenendoci nella testimonianza del Cristo morto e Risorto. I cristiani della “Città Vecchia” di Gerusalemme e di Terra Santa vi salutano con affetto e gratitudine Fraternamente, fra Guy Tardivy, o.p.

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INTERVISTA a fra Riccardo Barile op

Vivere in Cristo una comunione con i cristiani del Medio Oriente

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ll’indomani del Convegno del Rosario “Vivere e pregare da cristiani in Medio Oriente”, abbiamo chiesto a fra Riccardo Barile o.p., Priore Provinciale dei Domenicani del Nord Italia, un bilancio “non convenzionale” dell’evento: Per forza bisogna partire da un bilancio “non convenzionale” – ci risponde – dal momento che “non convenzionale” è stato anzitutto l’oggetto del convegno: non è frequente che un convegno sul Rosario si soffermi sui cristiani in Medio Oriente! Il guadagno dei presenti in termini di conoscenza è stato il prendere coscienza di disagi concreti che, almeno per quanto riguarda i cristiani, non sono abitualmente trasmessi dall’informazione mediamente disponibile. Il guadagno in termini di maturazione è stato l’apprendere la difficoltà e la sofferenza di mantenere viva la vita cristiana attraverso la solidarietà, la preghiera, la speranza: si è trattato di testimonianze che hanno toccato la vita di ognuno nel senso di verificare che cosa “diamo” veramente a Gesù Cristo ogni giorno e di intensificare la nostra testimonianza. Un importante elemento di valutazione è emerso con chiarezza dal Convegno: l’Occidente, in realtà, sa molto poco del Medio Oriente. Perché e come ovviare a questa lacuna? Il perché è molto chiaro: perché sono nostri fratelli e perché la fede in Occidente spesso è venuta dai loro antenati. Come ovviare a questa lacuna informativa? Il convegno è già stato un buon inizio. Si potrebbe continuare a mantenere relazioni personali con i relatori e, tramite essi, allargarle. Poi bisognerebbe perseguire una certa attenzione ad accedere a quelle agenzie informative che sono più sensibili sull’argomento, e qui mi permetto di segnalare “Avvenire” e il giornale radio della Radio Vaticana.

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A parte le aberrazioni – che poi diedero luogo ad abusi – le Crociate, volute da Papa Urbano II, furono la risposta in termini di carità, data dalla premurosa Cristanità ai confratelli in pericolo nei luoghi sacri per eccellenza. Tant’è vero che i primi Crociati si chiamarono non così, ma “pellegrini”. Oggi tale spirito di solidarietà manca, non siamo più capaci di gesti di questo tipo... È d’accordo? Non lo so. Mi pare certo che oggi non ci siano più le condizioni per quel tipo storico e concreto di solidarietà: si pensi a che cosa significhi entrare in un altro Stato e suggerire valutazioni circa il modo con cui tratta alcuni suoi cittadini! Ciò precisato, la generosità resta, ma spesso non trova modi per esprimersi e canali per giungere a destinazione. Che cosa possiamo fare concretamente noi, cattolici d’Occidente, per dimostrare oggi un gesto di vicinanza a queste popolazioni martoriate? I piccoli gesti sono fortunatamente possibili. Anzitutto, come ho già ricordato, accedere a fonti informative che ci parlino dei cristiani in Medio Oriente e, più in profondità, non lasciare spegnere l’attenzione a conoscere loro notizie. In secondo luogo, esiste sempre la strada di aiuti economici tramite canali sicuri, che ad esempio ci si potrebbe far indicare dai relatori del convegno. In terzo luogo esiste l’opportunità di allargare l’attenzione e il campo della generosità parlandone con altri e coinvolgendoli a livello personale. Infine – se siamo cristiani questo da ultimo diventa il primo punto – è importante vivere in Cristo una comunione con loro: con loro e come loro affrontare le difficoltà della nostra testimonianza cristiana, pregare per loro, pregare come loro ricordando che proprio in Medio Oriente è nato il metodo della preghiera a formule brevi e ripetitive: in questo senso la preghiera del Rosario ci mette veramente in comunione e con lo sguardo su Maria intensifica veramente la speranza che Gesù ci ha portato e questa speranza sostiene tutti – noi e i cristiani del Medio Oriente – nelle difficoltà del cammino.

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testimonianze dal Convegno Dedicare del tempo a chi il tempo l’ha donato

Caro Padre Mauro, il convegno primaverile del Movimento Domenicano del Rosario è stato un tema forte: a volte la situazione in Medio Oriente si sente così da lontano che non ci si sofferma più di tanto. Il partecipare con i miei figli e mio fratello è stato una conoscenza in più, specie per i miei figli. Pensavo si stancassero, invece hanno trovato entusiasmo e riflessione: sapere che a Gerusalemme e in Iraq non si può pregare liberamente perché altrimenti si viene perseguitati, ha fatto loro capire la tiepidezza e la libertà di pensiero che c’è qui in Italia. Quando ha parlato la suora dell’Iraq la commozione è stata tanta. Queste suore sono da ammirare per la fede con cui affrontano la situazione. Mi spiace, non sono molte righe, ma non sono abituata a scrivere i miei pensieri. Sono contenta di aver partecipato, il vostro Convento è contemplativo e mi ha dato più stimolo a proporre il rosario vivente. Mio fratello dice che è stato contento di aver dato la sua disponibilità ad accompagnarci, sia per essere stato con noi sia per avere dedicato una giornata di riflessione sul perché pregare, lui pensa che l’importante non è la quantità o l’abitudine di farlo ma la qualità della preghiera, prega per il tempo del suo mistero perché sceglie di dedicare del tempo a chi il tempo gliel’ha donato! Ci sentiamo a presto. Ottavia, Dario, Elisa, Maurizio

“Ma quando il Signore verrà, troverà la fede sulla terra?” Domenica 18 aprile 2010 abbiamo partecipato al convegno sul Rosario organizzato dai Padri Domenicani a Bologna: eravamo preparati a qualche esperienza un po’ dura, visto il tema dello scorso anno – concentrato sui Laogai Cinesi – ma siamo rimasti sconvolti da due relatori, due domenicani, fra Guy Tardivy (Superiore del convento di Gerusalemme) e suor Zora Frdos (irachena). Entrambi ci hanno raccontato la loro esperienza di fede a Gerusalemme e in Iraq, aspetti terribili perché sono quotidianamente esposti ai rischi di guerra e guerriglia urbana e rischiano la propria vita, ma la loro preoccupazione non è quella. Anzi, Suor Frdos si è più preoccupata all’arrivo in Italia dove non ha trovato la fede in cui aveva sempre sperato, immaginava l’Italia molto cattolica per la presenza del Papa, invece ha trovato una desacralizzazione che non avrebbe mai immaginato, ci sono tornate in mente le parole: “Ma quando il Signore verrà, troverà la fede sulla terra?”… Non a caso questi convegni vengono fatti ad aprile in preparazione al mese mariano, per ricordare nella nostra preghiera quotidiana preferita, la recita del Santo Rosario Meditato, i nostri fratelli del Medio Oriente che professano la nostra fede senza titubanza e che si uniscono in preghiera con altri cristiani di confessioni diverse per l’unità della Chiesa, ma di tutto questo non ci viene comunicato nulla dai media. Veramente qui la Chiesa è unita dal sangue, i cristiani martiri non sono solo cattolici, ma evangelici, anglicani, ortodossi , maroniti, copti e altri… Maria, Madre di Dio e madre nostra, è per noi esempio di fede, fonte di speranza, modello di carità. Invochiamola affinché possa aiutare queste comunità sofferenti per la loro abnegazione alla fede nel Suo Figlio Risorto! Maria, Regina dei Martiri, prega per loro. Mosciano S.A., giovedì 29 aprile 2010

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Convegno del Rosario Il saluto di fra Jean-Marie Mérigoux

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aro padre Mauro, ti sarai forse stupito del mio silenzio e del mio ritardo nel rispondere alla tua lettera così significativa e cordiale, ma – come ti avrà detto fra Guy Tardivy – ho subito un intervento al cuore e sono stato ricoverato per quarantacinque giorni. Ho quindi potuto leggere la corrispondenza con molto ritardo. Il cuore va meglio, ma ora mi debbo riposare, e ho dovuto annullare tutti i miei impegni sino all’estate. Spero che il convegno abbia avuto successo: da quando sono in Iraq ho visitato più volte il nostro convento di Bologna, e ricordo di aver tenuto una conferenza, con diapositive, ai nostri novizi. I cattolici iracheni recitano spesso il rosario e in questi ultimi anni sono stato spesso in Turchia per incontrare i cristiani iracheni profughi: ovunque si recita il rosario comunitario oppure personale. Grazie a Paolo ho potuto spesso distribuire rosari che provenivano dalla Terra Santa: il dono più bello! Ho regolari contatti con i fratelli di Istanbul, che garantiscono la presenza della Chiesa – che è di fondamentale importanza in quella terra – e che testimoniano generosamente la virtù dell’ospitalità. Spero che resteremo in contatto; ti invio, in questo tempo di preparazione alla Pentecoste, i miei più fraterni saluti. fra Jean-Marie Mérigoux o.p.

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DOMENICANI IN TURCHIA

I frati domenicani, il rosario e... la Turchia

S

e possiamo facilmente intuire il legame tra domenicani e Rosario, forse qualche dubbio può sorgere nel cercare di capire perché parlare di Rosario e di Turchia. Beh, forse a qualcuno verrà in mente che la festa della Madonna del Rosario, il 7 ottobre, è stata istituita per ricordare la sconfitta che le truppe cristiane inflissero alla flotta della marina ottomana, quindi a dei Turchi, a Lepanto, il 7 ottobre 1571. Ma non è per questo motivo che vogliamo costruire un ponte, un ponte d’informazione e di dialogo. Allora perché Rosario e Turchia? Sì, un perché c’è, eccome! È una bella storia quella dei frati predicatori nel paese che si chiama oggi Turchia. I domenicani sono presenti nell’attuale Turchia, che prima di essere la Repubblica di Turchia (1923) è stata l’Impero ottomano e prima ancora l’Impero bizantino e prima ancora la terra delle prime comunità cristiane e… la terra della casa della Madonna. Ebbene, i domenicani sono presenti nella sola Istanbul nientemeno che dal XIII secolo! Dico bene, e non mi sbaglio. Noi frati domenicani siamo presenti a Bisanzio, Costantinopoli ed Istanbul – i tre nomi di questa stessa città tra Bosforo e Corno d’Oro – da circa sette secoli. E vi pare poco per non parlarne ogni tanto nel bollettino del Rosario! Chissà quante corone hanno “sgranato” questi nostri frati che ci hanno preceduto, chissà quante volte hanno rivolto lo sguardo alla Madonna delle Vittorie. Poi, i cristiani d’Oriente sono molto devoti a Maria e noi vorremmo farci anche eco di queste esperienze cristiane. Vogliamo quindi aprire una finestra sul versante orientale. Con questa finestra aperta verso l’Oriente, verso la Turchia, verso i frati e i cristiani di questa terra, noi vorremmo costruire un ponte di conoscenza, di simpatia, di scambio di esperienze e chissà quante cose ancora. È una finestra, ma una finestra può offrire grandi occasioni. Forse anche voi avete fatto l’esperienza di vedere da un piccolo buchino un bellissimo panorama che si apre al di là di quel foro. E più è bello il panorama dietro quella

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Nella cartina della Turchia sono indicati con un cerchio gli attuali conventi domenicani

fessura e più ci si sorprende. È così che vorremmo intendere questa finestra: intenti a sorprenderci delle meraviglie che si vivono, si esprimono in un paese come la Turchia. Il Rosario che ci unisce ai lettori sarà per noi un legame sufficiente. Un’altra buona ragione di aprire questa finestra è perché quest’anno il convegno del Rosario si è concentrato sul Medio Oriente. Il proposito è nato allora spontaneo. Parliamo dei cristiani del Medio Oriente. La Turchia certo non è proprio Medio Oriente, ma in parte lo è anche. Allora diamo la parola ai frati e ai cristiani che vivono in Turchia e che sono legati al Rosario e alla nostra Provincia... Attraverso e grazie a questa finestra, sento il desiderio di augurare a tutti i lettori una buona “visione”! fra Alberto F. Ambrosio op Vicario di Turchia

La Turchia è attualmente uno stato laico (unico esempio in tutto il mondo islamico) con una superficie di circa 2,5 volte l’Italia, con una popolazione di 75 milioni di abitanti. La religione è prevalentemente musulmana (98%), mentre i cristiani sono circa 100.000. I domenicani sono presenti a Smirne (convento di Alsancak) dal XIV secolo e a Costantinopoli (attuale Istanbul) nell’antico quartiere di Pera dal 1200

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Se ne è parlato durante il Convegno del Rosario, svoltosi il 18 aprile nel Convento Patriarcale di Bologna

Cristiani in Terra Santa e in Iraq: voci che gridano nel deserto

Nessuna solidarietà per loro. Né in patria, né in Occidente. Perseguitati ogni giorno, nel silenzio

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e ha scritto Andrea Lavazza nell’editoriale apparso sul quotidiano “Avvenire” dello scorso 4 maggio, commentando la notizia dell’assurda carneficina compiuta con due bombe da terroristi islamici a Mosul, in Iraq. Morti e feriti non tra soldati o miliziani, ma tra studenti diretti col bus in Università: “Ad aggiungere orrore su orrore – commentava il giornalista – c’è la motivazione più odiosa, quella dell’intolleranza religiosa, la negazione del primo diritto umano, la libertà di professare la propria fede senza impedimenti. E senza rischiare la vita come accade ogni giorno ai cristiani iracheni, minoranza tra le minoranze, non ‘degna’ che di poche righe sulle agenzie di stampa quando finisce sotto il fuoco dei fondamentalisti musulmani, determinati a imporle un esodo forzato dalle terre in cui risiede da molti secoli”. È la prima volta in cui viene reso esplicito ciò che prima era sempre rimasto implicito. A partire dai proclami della Chiesa ufficiale, comprensibilissimi, trovandosi nel bel mezzo del tiro al bersaglio, dunque non potendo esporre i propri fedeli a prove superiori a quelle già loro riservate ogni giorno. Meno comprensibili, invece, da parte di un Occidente, dove la libertà di analisi e di opinione dovrebbe consentire un giudizio meno indifferente e meno falsato dall’emozione. I giovani uccisi o feriti a Mosul non hanno meritato nemmeno un messaggio di solidarietà da parte delle autorità di Baghdad. Né da quelle europee. “Silenzio nell’Occidente – commenta Lavazza – tanto solerte per altre cause, pur altrettanto nobili, ma selettivamente distratto, quando si tratta di difendere i cristiani presi di mira in quanto tali”. E poi aggiunge: “In sette anni di guerra e di travagliato post-Saddam sono stati centinaia i cristiani uccisi, decine di migliaia quelli costretti alla fuga. I loro spazi di manovra sempre più ridotti: luoghi di culto distrutti, attività economiche soffocate, violenze e minacce diffuse. Tutto denunciato e documentato; tutto spesso ignorato e regolarmente sottovalutato”. Per la prima volta nell’editoriale di “Avvenire” si parla di “estremisti musulmani contrari a ogni forma di tolleranza e di convivenza”, di “pulizia confessionale implicitamente accettata. Se per qualche inconfessabile pregiudizio anti-cristiano si rinunciasse alla difesa attiva dei fedeli, che ancora resistono nel Paese, non solo si verrebbe meno a un dovere di giustizia, ma verrebbero aperte

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le porte al fanatismo”. Tutto questo travolge ed interroga quanti vogliano liquidare sbrigativamente le vicende dell’Iraq come un problema meramente economico o politico. Tema, questo, affrontato nel corso del Convegno del Rosario dal titolo “Vivere e pregare da cristiani in Medio Oriente”, svoltosi domenica 18 aprile presso il Convento di San Domenico, a Bologna. Le testimonianze udite in sala richiamavano alla mente l’appello lanciato lo scorso febbraio da

testimoni diretti, ovvero dai membri del Consiglio dei Leader delle Chiese cristiane in Iraq, appello in cui si condannavano, esprimendo al contempo dolore, le violenze perpetrate ai danni dei fedeli di Mosul e si richiedeva al contempo una vasta mobilitazione a livello internazionale, mai giunta. Chi è in prima fila, anzi in prima linea, sa benissimo tutto questo. Sa benissimo che a suor Donna Markham, Priora delle Domenicane di Adrian del Michigan, un gruppo di consorelle irachene, incontrate lo scorso marzo, ha parlato dei “molti omicidi” e degli “stupri di fedeli”, che hanno costretto alla fuga in un contesto a maggioranza musulmana, come Mosul dimostra. Tutto questo vorrà dire qualcosa, dato che nessuno lì osa nemmeno esprimere solidarietà alle vittime di tali abusi. Con la buona compagnia di un Occidente altrettanto e più colpevolmente sordo, muto ed ottuso. Persino Padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana ha evidenziato a chiare lettere lo scorso febbraio come tutto questo esprima chiaramente una forma di “odio contro la comunità cristiana”, citando proprio l’Iraq come “il caso più attuale”, parlando espressamente di “fondamentalismo religioso” quale fonte di “odio e di violenza” contro “le minoranze religiose”. Voce di uno che grida nel deserto? Mauro Faverzani

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Benedetto XVI chiede più sicurezza per i cristiani dell’Iraq CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 24 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI è preoccupato per la situazione di continua violenza che sconvolge l’Iraq, dove negli ultimi giorni sono stati assassinati diversi cristiani: solo questo martedì, tre membri della stessa famiglia sono stati uccisi a Mosul, città nella quale si registra la maggior parte dei crimini. Sulla situazione, il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha scritto una lettera il 2 gennaio al Primo Ministro iracheno Nouri al-Maliki affermando che il Pontefice “prega con fervore per la fine della violenza e chiede al Governo di fare tutto il possibile per aumentare la sicurezza intorno ai luoghi di culto in tutto il Paese”. Nel testo, diffuso questo mercoledì dalla Santa Sede attraverso “L’Osservatore Romano”, il porporato ricorda la visita del premier in Vaticano nel 2008, durante la quale “è stata espressa la speranza comune che, attraverso il dialogo e la cooperazione fra i gruppi etnici e religiosi del suo Paese, incluse le sue minoranze, la Repubblica dell’Iraq sarebbe stata in grado di effettuare una ricostruzione morale e civile, nel pieno rispetto dell’identità propria di quei gruppi, in uno spiri-

to di riconciliazione e alla ricerca del bene comune”. In quell’occasione, il Papa ha anche “esortato al rispetto in Iraq per il diritto alla libertà di culto e ha chiesto la tutela dei cristiani e delle loro chiese”, e lo stesso ha fatto il Cardinale. “Lei, scrive ad al-Maliki, mi ha assicurato che il suo Governo prendeva molto seriamente la situazione della minoranza cristiana che vive da così tanti secoli accanto alla maggioranza musulmana, contribuendo in modo ingente al benessere economico, culturale e sociale della Nazione”. Il Cardinal Bertone sottolinea che il Papa gli ha chiesto di scrivere al premier iracheno “per trasmettere la sua sincera solidarietà a Lei, Eccellenza, e a quanti sono stati uccisi o feriti nella recente serie di attacchi a edifici governativi e luoghi di culto in Iraq, sia islamici sia cristiani”. Il porporato termina quindi la sua lettera esprimendo il suo “apprezzamento per le numerose iniziative intraprese a beneficio dell’intera comunità irachena” e assicurando al premier iracheno la sua “più alta stima”.

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catechismo per tutti

Vasi sacri

L

a Messa è il memoriale della Cena Pasquale di Gesù. La cena pasquale ebraica era complessa, faceva rivivere l’esodo dall’Egitto. Gesù la trasformò, conservando due elementi: il vino, che in certi momenti era bevuto ad un’unica coppa, ed il pane, che il padre di famiglia benediceva e distribuiva ai presenti; entrambi i gesti erano un segno d’unione, di fraternità. L’agnello immolato ed arrostito – tipico della cena pasquale – fu sostituito da Gesù stesso, immolato sulla croce: il Suo corpo significato dal pane, il sangue dal vino. In tal modo Gesù perpetuava il rito antico trasformandolo radicalmente, rendendo divina, viva, spirituale ed operante la salvezza degli uomini attraverso forme e segni facilmente intuibili e praticabili da ogni cultura. I vasi sacri – come la patena, la pisside, la teca, l’ostensorio e altri analoghi – servono a contenere le Ostie, e secondo la prescrizione della Liturgia: Essi “siano di materia solida e nobile... Si preferiscano materie che non si rompono, né si deteriorano facilmente... I vasi sacri di metallo siano abitualmente dorati all’interno, se il metallo è ossidabile; se invece sono di metallo inossidabile, e più nobile che l’oro, la doratura non è necessaria”. Tuttavia “si possono fabbricare anche con altre materie, tra quelle più apprezzate nelle varie regioni, come ad esempio l’avorio o alcuni legni particolarmente duri, sempre che siano adatti all’uso sacro”. Il calice sostituisce la coppa del vino. È destinato ad accogliere, nel vino consacrato, il Corpo glorioso di Gesù. Per quanto i calici del tempo antico fossero talvolta di vetro e porcellana, facilmente frangibili, la Chiesa chiede che “i Calici e gli altri vasi destinati a contenere il Sangue del Signore abbiano la coppa fatta di materia che non assorba liquidi. La base del calice può essere fatta con materie diverse, solide e decorose”, purché sia tale da renderlo stabile. È da proscrivere il desiderio d’introdurre novità in materia, anche se è comprensibile che le forme del calice mutino secondo la sensibilità dei popoli e dei tempi. * Circa la decorazione dei vasi sacri, non è male che sia sobria; se troppo appariscente, infatti, attira l’attenzione, che va, invece, concentrata sulla presenza del Signore. * Nelle prime comunità, alla maniera giudaica e di Gesù, il pane era spezzato e distribuito. Per ragioni di praticità, nella Messa, le parti di pane azzimo sono predisposte sotto forma di “particola” (piccole parti), dette anche “ostie” (= vittime). Rimane un segno della “frazione del pane” (in latino: frangere = spezzare) quando il celebrante spezza l’ostia grande in tre parti, prima della Comunione. * Il rito ebraico probabilmente non prevedeva un vassoio per il pane; la liturgia l’introdusse per ragioni di dignità e per rendere facile la raccolta di eventuali frammenti. È la patena, un piccolo piatto, concavo almeno al centro, dello stesso materiale del calice.

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Vasi sacri

* Calice e patena sono benedetti dal vescovo o dal sacerdote. * Per il medesimo motivo di rispetto all’Eucarestia, durante la santa Messa si stende sotto il calice il corporale di lino inamidato (così da rendere più facile raccogliere eventuali frammenti d’ostia), e si copre il calice con la palla, sempre di lino inamidato o d’altra stoffa nobile, per riparare il “Sangue di Cristo”. * Altri vasi sacri, nobili, benedetti dal vescovo sono la pisside e l’ostensorio. – La pisside (dal greco = scatola, bossolo) era in origine il cofanetto destinato a custodire i gioielli. Quando, nei primi secoli, i cristiani e gli eremiti avevano il privilegio di portare nelle loro abitazioni l’Eucarestia, è naturale che la conservassero in quelle custodie. La necessità di conservare l’Eucarestia nel tabernacolo obbligò all’uso delle pissidi liturgiche, solitamente dello stesso materiale del calice. Le pissidi, che contengono le Ostie consacrate riposte nel Tabernacolo, sono chiuse con un coperchio. – Spesso, nel tabernacolo, con la pisside è pure riposta la teca. Una piccola scatoletta rotonda montata su un piedistallo, che contiene l’“Ostia grande” consacrata nella santa Messa e conservata per essere poi esposta alla venerazione dei fedeli. Una “teca” più piccola è usata dal sacerdote per portare l’Eucarestia agli infermi. – L’ostensorio (dal latino: ostendere = mostrare) risale probabilmente al secolo XIII, quando, istituita la festa del ‘Corpus Domini’, si usò portare l’Eucaristia solennemente in processione. Nei primi secoli si preferiva nascondere l’Eucarestia e, curiosamente – ma con tanta pietà – entro il Crocifisso o nel petto delle statue di Gesù risorto o di Maria col Bambino, o di S. Giovanni Battista. Soltanto più tardi furono praticate delle finestrelle di cristallo per rendere visibile l’Ostia. Si può ricordare, a titolo di curiosità, ma insieme per comprendere la delicatezza e la grazia dell’animo cristiano, come in certe chiese, di religiosi e non, l’Eucarestia fosse conservata entro colombe di metallo prezioso, posate in piano o sospese sopra l’altare, oppure collocate su una torre. L’attuale ostensorio comprende una lunetta (due lamine a forma di mezzaluna reggenti l’Ostia), due vetri trasparenti, al centro di una raggiera di varie fogge, sostenuta da un fusto inserito su un piedistallo. Trattandosi di un’ostensione, è naturale che la pietà dei fedeli abbia desiderato di renderlo un oggetto prezioso, riccamente ornato. * Oggetti d’utilità soltanto pratica sono le ampolline, che contengono il vino e l’acqua necessari per la celebrazione eucaristica. Ordinariamente sono di vetro e contrassegnata, quella del vino, da un nastrino rosso o altro. * Esse sono collocate su un piattello e riposte sulla credenza (il tavolino a fianco dell’altare). Al vescovo, per le abluzioni è riservata una brocca di metallo ed un bacile con parte concava.

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Con la pubblicazione del nostro nuovo sito internet stiamo rinnovando anche tutti i riferimenti per offrirVi un servizio migliore Il vecchio indirizzo mail: movrosar@tin.it è stato disattivato!

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