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Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
, i p a p i i d n e r a n a i m r d g e n l o a a ." r n r g n f a o . a r . n a e n "S saran coro me t a ti co l n t a u h t es n a ma preg 3/2010 Speciale: Rosario oggi
Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio
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speciale: il Rosario oggi
In questo numero dedicato al Rosario desideriamo anzitutto presentarvi un libro che ci parla di questa preghiera: Il rosario tra devozione e riflessione. Riportiamo la presentazione del curatore, Riccardo Barile, e alcuni brani del contributo di Sua Eccellenza Monsignor Domenico Sorrentino, Vescovo di AssisiNocera Umbra-Gualdo Tadino. Speriamo così di invitarvi alla lettura di questo volume, che ci aiuta a conoscere meglio il Rosario. E la conoscenza, si sa, apre orizzonti nuovi: anche l’orizzonte del nostro pregare potrà così diventare più aperto, più ampio e, speriamo, più ricco di frutti spirituali.
Presentazione Il presente testo vuole sfatare il luogo comune secondo cui il rosario sia unicamente semplice. Invece, partendo dalla semplicità iniziale, si è tentato di risalire ad analisi più complesse per ritrovare di nuovo la semplicità, ma in un insieme di prospettive, di ricchezze e di problemi armonicamente connessi. Si potrebbe illustrare il procedimento a partire dall’atto del respiro. Respirare è semplice e spontaneo. Così può essere semplice dire il rosario una volta che lo si è detto con qualcuno che ce lo ha insegnato quasi per simbiosi orante. Respirare può e deve diventare una tecnica con tanto di apprendimento per chi – ad esempio – canta, per chi suona uno strumento a fiato, per chi parla in pubblico, per chi esercita uno sport. Così il rosario ha delle risorse di tecnica basate su di un fondamento antropologico e biblico non sempre praticate e conosciute, ma che possono arricchire questa preghiera. Qui la semplicità diventa un po’ meno semplice. Il respirare, poi, diventa l’oggetto di una specifica disciplina medica con complesse analisi e studi per comprenderne il funzionamento e curarne la patologia: la pneumologia medica. Così il rosario può diventare oggetto di studio nei suoi fondamenti antropologici, storici e teologici. Riccardo Barile Riccardo Barile, sacerdote dell´Ordine dei Predicatori, Licenziato in Teologia all´Angelicum, è stato collaboratore del periodico “Settimana” per diverso tempo. I suoi interessi di studio e di ricerca si concentrano soprattutto sulla spiritualità, con particolare attenzione alla dimensione liturgica ed esegetica. Attualmente è Priore della Provincia S. Domenico in Italia.
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Motivazione, contesto, spunti innovativi della Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae Mons. Domenico Sorrentino Qualche ombra... Credo che se tra il 2001 e il 2002 si fosse fatta un’indagine tra i teologi, chiedendo la loro opinione circa un possibile documento della Chiesa sul Rosario, pochi lo avrebbero ritenuto opportuno. Ancor meno avrebbero scommesso sulla previsione di un’iniziativa papale “forte” come quella di un Anno del Rosario. Quanto è avvenuto il 16 ottobre 2002, con la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae (appresso RVM) e l’indizione di un Anno interamente dedicato a questa preghiera, ha costituito una sorpresa che nemmeno da un Papa come Giovanni Paolo II, capace di iniziative “sorprendenti”, ci si poteva attendere. Lo stesso Pontefice, a conclusione del documento, lasciava trasparire la preoccupazione che la Lettera Apostolica potesse cadere in un clima non troppo disposto. Si rivolge ai vescovi, sacerdoti, diaconi, ed operatori pastorali, invitandoli a fare esperienza personale della bellezza del Rosario e ad esserne solerti promotori . Fa appello poi ai teologi, perché praticando una riflessione al tempo stesso rigorosa e sapienziale, radicata nella Parola di Dio e sensibile al vissuto del popolo cristiano, facciano scoprire, del Rosario, “i fondamenti biblici, le ricchezze spirituali, la validità pastorale”. Il motivo delle preoccupazioni emerge, in qualche modo, dal n. 4 della lettera, quello riguardante le “obiezioni al Rosario”. Il Papa constata la crisi di questa preghiera. Accenna poi ad alcune obiezioni ricorrenti: la centralità della Liturgia, della quale il Rosario potrebbe impropriamente apparire concorrente, e la preoccupazione ecumenica, basata in realtà su una concezione del Rosario poco attenta al cuore cristologico di questa preghiera. Due obiezioni sintomatiche, ma altre se ne potrebbero aggiungere a livello pastorale. Sta di fatto che il Papa ha visto l’opportunità della sua Lettera Apostolica e dell’Anno del Rosario anche considerando l’urgenza di fronteggiare la crisi strisciante di questa preghiera. Bisognerebbe forse ricordare che essa, in realtà, per molti cristiani semplici e devoti, resta una preghiera amata e praticata, anche se il più delle volte un po’ alla buona. Le obiezioni e le perplessità serpeggiano proprio negli ambienti della teologia accademica e degli operatori pastorali. Perplessità elitarie, se si vuole, ma che pesano: è chiaro infatti che una preghiera poco compresa, e ancora meno promossa, da chi ha il compito di studiare e animare, rischia, soprattutto nelle nuove generazioni, se non la scomparsa, l’emarginazione e comunque una pratica poco consapevole e vitale.
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... o una “chance” Il motivo di fondo per cui il Papa ha preso l’iniziativa della Lettera Apostolica sul Rosario non è tuttavia da vedere principalmente nell’intenzione di contrastare una crisi, quanto, in positivo, nel desiderio di cogliere una “chance” spirituale e pastorale. Il contesto teologico-pastorale di questo inizio di Millennio, e anche lo sviluppo della percezione teologico-spirituale di questa preghiera, reclamavano una sua riscoperta e un suo rilancio. Vediamo perché, a partire dalla prospettiva stessa del Pontefice. Il nostro tempo Nel risveglio religioso e spirituale del nostro tempo ci troviamo di fronte all’imporsi di un’esigenza meditativa e contemplativa. Vi contribuisce la reazione a una modalità di esistenza affannosa, tipica della nostra società dai ritmi stressanti. L’ideale di una vita anche ecologicamente sana invita a un rapporto con la natura capace di fruizione della sua bellezza, suggerisce il ritorno al silenzio e l’incontro pacato con il Creatore in una preghiera profonda Si pone tuttavia il problema di “modalità” accessibili, direi di una pedagogia di popolo della preghiera profonda. Giovanni Paolo II rilancia il Rosario come una risposta a questa esigenza. La centrazione cristologica Chi legge l’Enciclica Novo Millennio Ineunte vi trova uno “slogan” che designa una scelta strategica della pastorale d’inizio Millennio: “Ripartire da Cristo” che rimette con forza il “volto” di Cristo al centro della vita e della contemplazione ecclesiale: Volto del Figlio, Volto dolente, Volto del Risorto. È proprio ciò che nella RVM viene riproposto attraverso il Rosario. La teologia dei misteri È noto che, tra gli evangelisti, soprattuttoMarco presenta il cammino di Gesù nella coscienza dei suoi discepoli e delle folle che lo attorniano come un itinerario verso la profondità del suo mistero. Gesù interroga, e non soltanto quando a Cesarea di Filippo pone l’interrogativo: «La gente, chi dice che io sia?» (Mc 8,27). Tutto il suo essere interroga. Le sue parole e i suoi gesti interpellano. Alla vista dei suoi miracoli o dei suoi gesti di misericordia, ritroviamo la domanda che gli apostoli si fanno nel miracolo della tempesta sedata: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (Mt 8,27). È vero che il mistero di Gesù viene colto pienamente solo alla luce del mistero pasquale. Il Risorto è la chiave del mistero di Gesù. Paolo, nell’incontro con il Risorto, coglierà tutto l’essenziale del Gesù secondo la carne. Tuttavia appartiene alla dinamica dell’incarnazione che il punto finale illumini il mistero, ma senza abolirne il suo dispiegamento nel tempo. Per questo la comunità cristiana primitiva, pur galvanizzata dall’evento della risurrezione, nella quale è concentrato lo stesso “kerigma”, è spinta a “ricordare” l’intera vita di Cristo, fino a risalire, con Matteo e Luca, all’infanzia, e con Giovanni al prologo meta-storico. È una conseguenza stringente: se la Risurrezione ha pienamente rivelato il Cristo nel suo divino splendore, questo non va inteso come una “attribuzione” ex novo, ma come una “esplicitazione” e una “conseguenza” di ciò che appartiene al Cristo fin dal suo concepimento nel grembo materno. La cristologia cosiddetta “dal basso”, a partire dall’umanità di Gesù, trova la sua legittimità e i suoi confini nel principio dell’unione ipostatica: non c’è una
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“persona” del Cristo diversa dalla persona del Verbo incarnato, senza che ciò minimamente pregiudichi l’integrità della natura umana. Ne viene di conseguenza ciò che era ben chiaro nella teologia classica dei “misteri” di Cristo: ogni momento e aspetto della vita di Cristo è espressione del suo mistero, e in ognuno dei misteri si rivela il carattere salvifico della sua vita, che avrà nella morte e risurrezione il suo vertice. La teologia dei misteri è stata una delle riscoperte della teologia contemporanea nell’orizzonte del cristocentrismo. Ne è conferma la liturgia che, pur ruotando intorno al mistero pasquale, si snoda tuttavia nell’anno liturgico proprio intorno ai singoli “misteri” di Cristo. Lo testimonia anche, tra le preghiere non liturgiche, proprio il Rosario. A partire da questa problematica, si coglie ancora di più il senso dell’iniziativa della RVM. Il Papa ha riproposto con forza alla Chiesa non una generica “cristologia” o una semplice cristologia del mistero pasquale, ma appunto la teologia dei misteri di Cristo: il mistero “nei” misteri. Il fatto che non si sia limitato a rilanciare il Rosario nell’articolazione tradizionale dei tre cicli, ma, accogliendo istanze che negli scorsi decenni si erano moltiplicate in tal senso, abbia aggiunto il nuovo ciclo dei misteri della luce, ne è una riprova. I cinque misteri desunti dalla vita pubblica di Gesù completano alla mente dell’orante l’intera fisionomia del Cristo. Ne esce confermato ed esaltato il carattere del Rosario come “compendio” del Vangelo. La “via” e la “scuola” di Maria Focalizzando in modo più puntuale il rapporto tra l’aspetto mariano e quello cristologico del Rosario, uno degli aspetti particolarmente sviluppati dalla RVM è la presentazione di Maria come la grande maestra della contemplazione di Cristo. Nella percezione corrente, il carattere mariano del Rosario, dovuto soprattutto alla consistente ripetizione dell’Ave Maria, viene interpretato come se il Rosario fosse una devozione rivolta a Maria. Di qui le difficoltà per la sensibilità ecumenica, e anche il pretesto che da questa convinzione viene offerto a quanti sono poi tentati di ridimensionare l’importanza del Rosario in nome del primato di Cristo e della centralità della liturgia. La RVM caratterizza il Rosario come: «preghiera dalla fisionomia mariana, dal cuore cristologico» (RVM 1). La fisionomia mariana è nel fatto che la contemplazione del mistero di Cristo viene operata, ampiamente, attraverso la luce che su di esso proietta il “saluto” angelico. È interessante tuttavia che, proprio a partire da questo elemento, Giovanni Paolo II sottolinei il significato cristologico del Rosario. Dice infatti: «Ma proprio alla luce dell’Ave Maria ben compresa, si avverte con chiarezza che il carattere mariano non solo non si oppone a quello cristologico, anzi lo sottolinea e lo esalta» (RVM 33). La motivazione è
ovviamente nel fatto che, attraverso il saluto angelico, si contempla l’incarnazione del figlio di Dio. Il Papa continua: «Il ripetersi, nel Rosario, dell’Ave Maria ci pone sull’onda dell’incanto di Dio: è giubilo, stupore, riconoscimento del più grande miracolo della storia». E continua poi, mettendo a fuoco il nome di Gesù: il baricentro dell’Ave Maria, quasi cerniera tra la prima e la seconda parte, è il nome di Gesù. Talvolta, nella recitazione frettolosa, questo baricentro sfugge, e con esso anche l’aggancio al mistero di Cristo che si sta contemplando. Ma è proprio dall’accento che si dà al nome di Gesù e al suo mistero che si contraddistingue una significativa e fruttuosa recita del Rosario» (ivi). Il carattere mariano del Rosario, in questa prospettiva, si esprime non tanto nel fatto che esso si rivolga a Maria – cosa che avviene soltanto nel saluto angelico, peraltro da vivere con la menzionata accentuazione cristologica – ma piuttosto nel fatto che in questa preghiera ci uniamo alla preghiera di Maria, mettendoci alla sua scuola nella contemplazione del mistero di Cristo. Si tratta di guardare Gesù con lo sguardo di Maria, amarlo con il suo cuore, nello spirito che Giovanni Paolo II illustra nel secondo capitolo, in cui Maria viene additata come modello di contemplazione (RVM 10). Seguendo le immagini evangeliche, noi seguiamo i suoi ricordi, “impariamo Cristo” da lei, ci conformiamo a Cristo con lei, affidandoci alla sua intercessione materna, che ci ottiene l’effusione inesauribile dello Spirito (RVM 15). «Mai come nel Rosario la via di Cristo e quella di Maria appaiono così profondamente congiunte» (ivi). Ed infine, la stessa supplica ha nel Rosario il conforto proprio dell’intercessione potente di Maria (RVM 16). Il “ritmo della vita umana” Insistendo sul carattere contemplativo del Rosario, Giovanni Paolo II non dimentica che la contemplazione cristiana segue il movimento stesso di Dio: se da un lato è capace di immergere nell’intimità della vita trinitaria, dall’altro, proprio in forza dell’unione con Dio, si lascia coinvolgere nell’“esodo” di Dio, nel suo aprirsi al mondo fino a farsi Dio-con-noi. La contemplazione dei misteri di Gesù diventa così, nel Rosario, meditazione sul disegno di Dio per l’uomo e supplica a Dio per i bisogni dell’uomo. Con un’espressione molto felice, Giovanni Paolo II dice che il Rosario “batte il ritmo della vita umana”:... il nostro cuore può racchiudere in queste decine del Rosario tutti i fatti che compongono la vita dell’individuo, della famiglia, della nazione, della Chiesa e dell’umanità. Vicende personali e vicende del prossimo e, in modo particolare, di coloro che ci sono più vicini, che ci stanno più a cuore. Così la semplice preghiera del Rosario batte il ritmo della vita umana (RVM 2). Questa prospettiva, in qualche modo implicita nel Rosario, può essere utilmente esplicitata. Di qui le indicazioni che Giovanni Paolo II dà a proposito della giaculatoria finale che suole concludere ogni decina. Egli suggerisce che ciascun mistero si concluda «con una preghiera volta a ottenere i frutti specifici della meditazione di quel mistero» (RVM 35). In particolare la Lettera Apostolica sviluppa la consolidata tradizione che lega il Rosario alla causa della pace e della famiglia. È illuminante l’articolata riflessione che il Papa dedica al Rosario come “preghiera orientata per sua natura alla pace”, non soltanto per il fatto che ne chiede il dono, ma per le seguenti tre ragioni “intrinseche”: a. per il fatto stesso di essere contemplazione di Cristo “nostra pace”;
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b. per il suo carattere meditativo, che esercita sull’orante un’azione “pacificante”; c. per l’impulso che dà non solo a contemplare Cristo nei misteri della sua vita storica, ma a cercarlo e a servirlo nel volto dei fratelli sofferenti. Il Rosario, conclude il Papa, lungi dall’essere una fuga dai problemi del mondo, ci spinge a guardarli con occhio responsabile e generoso, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con la certezza dell’aiuto di Dio e con il proposito fermo di testimoniare in ogni circostanza la carità (RVM 40). Altrettanto diffusa è la riflessione che Giovanni Paolo II dedica al Rosario come preghiera “della famiglia e per la famiglia”. «La famiglia che prega unita, resta unita». Pertinente la riflessione che il Papa fa anche a proposito della società della comunicazione, che riempie la mente di immagini offerte dalla televisione e da internet, le quali tante volte “separano” i membri della famiglia. Il Rosario costituisce un antidoto, immettendo le immagini del Redentore e della sua Madre santissima, riproducendo in qualche modo in famiglia il clima della casa di Nazaret (RVM 41). Un cammino pedagogico Un intero capitolo è dedicato all’approfondimento del Rosario come “metodo” di preghiera. È il capitolo III, intitolato con le parole di Paolo “per me vivere è Cristo”. Il discorso parte rispondendo alla obiezione che, con il suo metodo ripetitivo, il Rosario risulterebbe “una pratica arida e noiosa”, mentre in realtà tale metodo va inteso “come espressione di quell’amore che non si stanca di tornare alla persona amata”. Il fondamento è il fatto che, in forza dell’incarnazione, Dio ha assunto un “cuore di carne”, ama e vuole essere amato con tutte le “vibrazioni dell’affetto” umano. Il Papa insiste: il Rosario è “un metodo per contemplare”. Un metodo valido, ma che può essere migliorato. Ed è qui che la Lettera Apostolica offre uno dei contributi più significativi al Magistero sul Rosario, portandosi sui singoli elementi di questa preghiera. a. L’enunciazione del mistero: «enunciare il mistero, e magari avere l’opportunità di fissare contestualmente un’icona che lo raffiguri, è come aprire uno “scenario” su cui concentrare l’attenzione»: è l’incontro con il volto umano di Cristo per coglierne il mistero divino. b. L’ascolto della Parola di Dio: Giovanni Paolo II propone che, sullo sfondo dell’enunciazione, venga proclamata la Parola di Dio corrispondente: un passo che, a seconda delle circostanze, può essere più o meno ampio. Alla base di questo elemento, c’è l’importante considerazione che la Parola di Dio ha un’efficacia sua, insostituibile, diversa da quella di ogni altra parola.
c. Il silenzio: da praticare in una breve pausa di meditazione dopo la lettura della Parola di Dio. d. Il Padre nostro: visto come il naturale svolgimento della contemplazione del mistero: Gesù ci porta al Padre. e. L’Ave Maria: come si è già notato, le considerazioni che Giovanni Paolo II fa sull’Ave Maria sono illuminanti anche per ciò che riguarda il carattere cristologico del Rosario. La stessa Santa Maria è riletta sulla base del rapporto di Maria con Cristo: dallo specialissimo rapporto con Cristo, che fa di Maria la Madre di Dio, la Theotòkos, deriva, poi, la forza della supplica con la quale a Lei ci rivolgiamo nella seconda parte della preghiera... (RVM 34). f. Il Gloria: la dossologia trinitaria è presentata come il “culmine della contemplazione”. La contemplazione di ciascun mistero porta sempre alla glorificazione della Trinità. g. La giaculatoria finale. Pur lasciando spazio a una legittima varietà, la RVM privilegia l’orientamento di concludere con una «preghiera volta ad ottenere i frutti specifici della meditazione di quel mistero. In questo modo il Rosario potrà esprimere con maggiore efficacia il suo legame con la vita cristiana» (RVM 35). h. La corona: di essa si evocano tre aspetti simbolici: la convergenza verso il Crocifisso; il movimento circolare, a significare un “cammino incessante”; il suo essere una “catena”, e come tale evocativa dell’unione con Dio (catena “filiale”) e dell’unione fraterna. i. Quanto all’avvio e alla chiusa del Rosario, la RVM lascia la varietà degli usi correnti, fino alla preghiera per il Pontefice, la Salve Regina e le Litanie lauretane. l. Una significativa riflessione è fatta infine sulla distribuzione del Rosario nel tempo, per chi non lo recita intero ogni giorno. Rispettando l’uso corrente, la RVM innova solo con il giovedì, destinato ai misteri della luce, portando al sabato la seconda contemplazione settimanale dei misteri della gioia. Si lascia tuttavia una “conveniente libertà”, a seconda delle esigenze spirituali e pastorali e delle coincidenze liturgiche. Come si vede, per la prima volta il Magistero della Chiesa ha dedicato tanta attenzione di dettaglio alla metodologia del Rosario, per rilanciarlo in una forma che, senza essere liturgica, si avvicina tuttavia alla forma liturgica. Ciò che è veramente importante è che il Rosario sia sempre più concepito e sperimentato come itinerario contemplativo. Attraverso di esso, in modo complementare a quanto si compie nella Liturgia, la settimana del cristiano, incardinata sulla domenica, giorno della risurrezione, diventa un cammino attraverso i misteri della vita di Cristo, e questi si afferma, nella vita dei suoi discepoli, come Signore del tempo e della storia.
Il rosario tra devozione e riflessione. pp. 352 - formato mm 150x210 - brossura - € 26,00 Il libro è in vendita presso: Edizioni Studio Domenicano - via Dell’Osservanza - 72 40136 Bologna Tel. 051/582034 - Fax 051/331583 - e mail: esd@esd-domenicani.it
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Un esempio del potere indescrivibile di una preghiera semplice, che è però “compendio del Vangelo”
Quel rosario insanguinato del beato Popieluszko
Rinnovato invito dal Santo Padre a Fatima, affinché i fedeli non abbiano “paura di parlare a Dio” e “manifestino senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere la luce di Cristo”
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ra il 12 maggio scorso. Benedetto XVI si trovava sulla spianata del Santuario di Fatima per la recita del santo Rosario. Ha esortato i fedeli a non aver “paura di parlare di Dio”, a “manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei contemporanei la luce di Cristo”. La sua voce era pacata, ma convinta. E convincente: “Lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria – ha detto – La recita del Rosario ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio. Nel meditare i Misteri Gaudiosi, Luminosi, Dolorosi e Gloriosi mentre recitiamo le ‘Ave Maria’, contempliamo l’intero mistero di Gesù, dall’Incarnazione fino alla Croce ed alla gloria della Risurrezione; contempliamo l’intima partecipazione di Maria a questo mistero e la nostra vita in Cristo oggi, che pure si presenta tessuta di momenti di gioia e di dolore, di ombre e di luce, di trepidazione e di speranza. La grazia invade il nostro cuore, suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento di vita in modo da poter dire con san Paolo: ‘Per me il vivere è Cristo’ (Fil 1,21), in una comunione di vita e destino con Cristo”. Il Sommo Pontefice li ha citati uno ad uno, i Misteri. Perché? Il motivo lo si capisce dalle parole con cui mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, più o meno negli stessi giorni si rivolgeva con un proprio messaggio ai fedeli della sua diocesi: “Ispirate dai Misteri gaudiosi – ha spiegato – le famiglie sapranno cogliere l’invito a sviluppare una maggiore consapevolezza della loro vocazione di custodi della vita, diventando capaci di accoglierla e accompagnarla con dedizione e amore; di assumere con responsabilità il difficile esercizio dei compiti educativi, facendosi testimoni credibili di vita cristiana per i loro figli e per la società; di perseguire con tutte le loro forze la vocazione ad essere modelli di santità”. I Misteri luminosi “ci ricordano il grande dono del Battesimo e dell’Eucaristia”, che, “oltre a toglierci dall’impoverimento inferto all’intera umanità dal peccato originale, ci dona quella vita divina, che dobbiamo conservare e tutelare, evitando il peccato e facendo efficace esperienza di comunione con Cristo nostra forza nei Sacramenti”. Circa i Misteri dolorosi, “la sofferenza è una dimensione, che appartiene all’umanità. Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla… Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo”. Mons. Crepaldi ha spe-
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cificato come il santo Rosario non sia “un tranquillizzante devozionale”, bensì una personale e vitale presa di coscienza del fatto che “il Verbo di Dio si è piegato all’esperienza del dolore e della sofferenza. Il Signore Gesù afferma di essere l’uomo dei dolori, ma anche il Dio della speranza, che, pur nella kénosi (svuotamento, abbassamento) che Lo umilia sino alla morte di Croce, offre un senso nuovo e definitivo a coloro che in Lui credono ed a Lui si affidano anche nel momento della prova, della sventura e del dolore fisico e morale. La Passione di Cristo è mistero di consolazione per ognuno di noi, perché Dio si rivela come Colui che è presente in ogni sofferenza umana e condivide ogni sopportazione, diffondendo in ogni sofferenza la con-solatio, la consolazione dell’amore par-
tecipe di Dio, facendo così sorgere la stella della speranza”. Nell’illustrare i Misteri gloriosi, mons. Crepaldi si è concentrato sulla contemplazione della Risurrezione di Cristo, “un avvenimento reale, che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento”. Parole, solo parole? Chi oggi può intenderle, in una società sorda ai richiami della fede? Nessuno, qualora si resti ottusamente chiusi al trascendente. Ma per chi si apra all’Assoluto, i doni sono indicibili. Alla tradizionale Veglia di Preghiera, che introduce la Solennità della Beata Maria Vergine di Fatima, il Santo Padre ha spiegato come “sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei segni divini”. Come, concretamente? “La priorità – ha spiegato Benedetto XVI – è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio”. E, tanto per intenderci ed evitare pateracchi interreligiosi, il Santo Padre non si riferisce “a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio, il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. In merito al Viaggio Apostolico compiuto a Fatima nel decimo anniversario di beatificazione dei pastorelli Giacinto e Francesco, il Sommo Pontefice è tornato anche il successivo 19 maggio, alla
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prima udienza generale del mercoledì ad esso successiva. Lo ha fatto, per ringraziare Dio dell’occasione donatagli, ricordando come proprio a Fatima la “Bianca Signora” abbia raccomandato di recitare “il Rosario tutti i giorni. Potremmo dire che Fatima e Rosario siano quasi un sinonimo”, luogo ove la Madonna ha lasciato un messaggio “carico di speranza, incentrato sulla preghiera, sulla penitenza e sulla conversione, che si proietta oltre le minacce, i pericoli e gli orrori della storia, per invitare l’uomo ad avere fiducia nell’azione di Dio”. Dalle parole ai fatti: il Papa non esorta verso ciò ch’egli non pratichi per primo. Così, scorrendo il suo programma per le vacanze svolte – come tradizione – a Castel Gandolfo, figurano – oltre alle due visite apostoliche a Carpineto Romano e
nel Regno Unito – anche le passeggiate quotidiane in giardino, pregando il Rosario, insieme con i suoi segretari, mons. Georg Gaenswein e mons. Alfred Xuereb. Mantenendo così quanto è prassi ogni giorno, in Vaticano. Già Paolo VI parlava del santo Rosario come del “compendio di tutto il Vangelo”, espressione questa ripresa dallo stesso mons. Crepaldi, che ha così riproposto tale forma di preghiera, intendendola come occasione per “sentirsi famiglia orante”, come “richiamo profetico per tante persone indifferenti, che hanno bisogno di ritrovare le strade dello stupore”, come esperienza “che ci fa sentire popolo in cammino per le contrade della Storia, con un grande desiderio nel cuore di conoscere il nostro Dio, che si è fatto uomo per la salvezza del mondo”. Recentemente, una testimonianza importantissima ha sottolineato l’efficacia del santo Rosario nella vita di fede. Si tratta della testimonianza, affidata alla flebile voce della madre del beato Padre Jerzy Popieluszko, martirizzato dalla “furia omicida del grande mentitore, nemico di Dio ed oppressore dell’umanità, di colui che odia la verità e diffonde la menzogna”, come ha ricordato mons. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in occasione proprio della beatificazione del sacerdote polacco: “Mio figlio don Jerzy – ha ricordato la donna – fu per tutta la vita un uomo profondamente credente. Quando era sotto le armi, recitava il Rosario, nonostante il divieto del comandante. Non lo udii mai lamentarsi del Signore. Si sforzava di accogliere i dispiaceri subiti
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con spirito di fede, per carità verso il Signore Iddio”. Così pregava per i propri persecutori: “Egli era consapevole che il male della dittatura traeva le sue origini da Satana – ha spiegato mons. Amato – per questo esortava a vincere il male con il bene e con la grazia del Signore”. Ed ancora: “Religione, Vangelo, dignità della persona umana, libertà non erano concetti in sintonia con l’ideologia marxista. Padre Jerzy non si rassegnò a vivere in questo campo di morte e, con le sole armi spirituali della verità, della giustizia e della carità, cercò di rivendicare la libertà della sua coscienza di cittadino e di sacerdote”. Interessante notare questa sottolineatura di mons. Amato: in gioco non v’era solo il ministro di Dio, bensì la persona con i suoi diritti naturali, personali, civili e politici. Uno come tutti, uno tra tutti, uno per tutti. “Ma l’ideologia malefica non sopportava lo splendore della verità e della giustizia – ha proseguito il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi – Per questo l’inerme sacerdote fu spiato, perseguitato, catturato, torturato e, come ultimo scempio, incaprettato ed, ancora agonizzante, buttato in acqua. I suoi carnefici, che non rispettavano la vita, non rispettarono nemmeno la morte. Lo ab-
bandonarono, come si abbandona la carcassa di un animale. Fu ritrovato solo dopo dieci giorni”. Il volto orrendamente sfigurato, simile a quello flagellato ed umiliato del Crocifisso, privo ormai della bellezza e del decoro umani, ma glorioso e trionfante nella bellezza e nel decoro della fede. Se la bocca insanguinata di quella faccia martoriata sembrava ripetere le parole del Servo del Signore: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti ed agli sputi” (Is 50,6); è pur vero che oggi il comunismo è stato distrutto, abbattuto, cancellato ed umiliato dalla Storia e dagli uomini, anche laddove ne resistano antistorici scampoli; mentre Padre Popieluszko è stato proclamato beato ed assiste, dall’alto dei Cieli, la Chiesa che ha servito sulla terra e che oggi ancora serve da Lassù. È questa la concretezza del santo Rosario, che questo coraggioso sacerdote, martire e testimone della fede, sgranava sotto le armi, rimproverato dai suoi superiori. A questo quelle preghiere sono servite. A dimostrazione di quanto non siano “semplici parole”… Mauro Faverzani
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Benedetto XVI a Fatima 11-14 maggio 2010 PREGHIERA DEL SANTO PADRE nel donare la Rosa d’Oro alla Beata Vergine Signora Nostra e Madre di tutti gli uomini e le donne, eccomi come un figlio che viene a visitare sua Madre e lo fa in compagnia di una moltitudine di fratelli e sorelle. Come successore di Pietro, a cui fu affidata la missione di presiedere al servizio della carità nella Chiesa di Cristo e di confermare tutti nella fede e nella speranza, voglio presentare al tuo Cuore Immacolato le gioie e le speranze nonchÊ i problemi e le sofferenze di ognuno di questi tuoi figli e figlie che si trovano nella Cova di Iria oppure ci accompagnano da lontano. Madre amabilissima, tu conosci ciascuno per il suo nome, con il suo volto e la sua storia, e a tutti vuoi bene con la benevolenza materna che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore. Tutti affido e consacro a te, Maria Santissima, Madre di Dio e nostra Madre.
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Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima, e ha ringraziato quella «mano invisibile» che lo ha liberato dalla morte nell’attentato del tredici maggio, in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa, ha voluto offrire al Santuario di Fatima un proiettile che lo ha ferito gravemente e fu posto nella tua corona di Regina della Pace. È di profonda consolazione sapere che tu sei coronata non soltanto con l’argento e l’oro delle nostre gioie e speranze, ma anche con il «proiettile» delle nostre preoccupazioni e sofferenze. Ringrazio, Madre diletta, le preghiere e i sacrifici che i Pastorelli di Fatima facevano per il Papa, condotti dai sentimenti che tu hai ispirato loro nelle apparizioni. Ringrazio anche tutti coloro che, ogni giorno, pregano per il Successore di Pietro e per le sue intenzioni affinché il Papa sia forte nella fede, audace nella speranza e zelante nell’amore.
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Madre diletta di tutti noi, consegno qui nel tuo Santuario di Fatima, la Rosa d’Oro che ho portato da Roma, come omaggio di gratitudine del Papa per le meraviglie che l’Onnipotente ha compiuto per mezzo di te nei cuori di tanti che vengono pellegrini a questa tua casa materna.
Sono sicuro che i Pastorelli di Fatima i Beati Francesco e Giacinta e la Serva di Dio Lucia di Gesù ci accompagnano in quest’ora di supplica e di giubilo.
L’omaggio di Benedetto XVI è la Rosa d’oro, come “gratitudine del Papa per le meraviglie che l’Onnipotente ha compiuto per mezzo di te nei cuori di tanti che vengono pellegrini a questa tua casa materna”. La rosa, completamente dorata, ha inserito al centro un cuore e intrecciato un rosario in oro e madreperla, entrambi tipici simboli della Madonna di Fatima. Il vaso di colore argento finemente cesellato ha al centro lo Stemma del Santo Padre e la data del dono.
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Il Rosario certosino Poiché si riparla del “rosario certosino” di Domenico di Prussia, è bene fare il punto sulla storia e sulla valutazione di tale rosario. L’ambiente certosino Tra il XIV e il XV secolo i monaci certosini si dedicavano alla vita di preghiera, silenzio e moderato studio. Oltre alla Messa e all’Ufficio divino, praticavano altre forme di preghiera. Alcune erano preghiere “numeriche”, cioè la ripetizione di formule secondo un numero simbolico. Tra queste si distinguevano il “salterio” di 150 formule che rimandava ai 150 Salmi e il “rosario” di 50 formule che rimandava ai 50 anni del giubileo biblico. Se poi le preghiere constavano dell’Ave Maria, questa era priva della attuale seconda parte e terminava con il nome di Gesù. Va ancora notato che all’inizio le preghiere numeriche traevano ispirazione dalla formula stessa e dal numero, senza aggiungere una meditazione alla recitazione delle formule. Ciò premesso, siamo in grado di capire due interventi certosini che plasmarono l’evoluzione del rosario attuale. Enrico di Kalcar e le quindici decine del “Salterio” Al certosino Don Enrico Egher di Kalcar (1328-1408) la tradizione attribuisce la divisione del salterio delle centocinquanta Ave in quindici decadi precedute ognuna da un Pater. Una cronaca dei priori della certosa di Colonia dice che «La stessa Madre di Dio... gli apparve e lo istruì su come egli stesso potesse comporre un salterio, dicendo di dire prima un Pater noster, poi dieci Ave Maria e così di seguito sino a 15 Pater noster e 150 Ave Maria». Sarà una formula vincente. Domenico di Prussia e il “Rosario” delle cinquanta Ave Domenico di Prussia (1382-1460), partendo dal rosario delle cinquanta Ave, unì una «clausola» (cioè una proposizione relativa) al nome di Gesù variante per ognuna di esse: compose quindi un rosario ininterrotto di cinquanta Ave con cinquanta clausole.
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Domenico di Prussia, dopo una giovinezza non proprio esemplare, entrò nella certosa di S. Albano di Treviri dove era priore don Adolfo d’Essen. Questi era devoto del “rosario” delle 50 Ave e aveva scritto un compendio di meditazioni tratte dalla Vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia (domenicano e priore provinciale, poi certosino, † 1377). Domenico unì le due intuizioni, cioè compose 50 clausole meditative ispirate alla vita di Cristo da aggiungere alle 50 Ave. A parte visioni della Madonna, questo rosario riscosse un buon successo, tanto che Domenico ne compose un altro di 150 clausole, ma ciò che lo rese famoso resta la prima soluzione. Il senso dell’operazione è di arricchire la ripetizione con dei contenuti meditativi, non però con argomenti e discorsi, ma con semplici proposizioni relative al nome di Gesù che rimandano al vangelo. Il proposito è di ripercorrere tutta la vita di Cristo, ma lo spirito dell’attuale rosario è anticipato nell’attenzione alle gioie e ai dolori, all’incarnazione e al mistero pasquale: 14 clausole per i misteri dell’incarnazione e 23 per la passione/morte, mentre solo 6 sono riservate alla vita apostolica di Cristo. Infine il metodo è nella linea dotta, per chi sa leggere e per chi già sa pregare. Le scelte e la contrapposizione di Alano De La Roche Il domenicano Alano De La Roche (1428-1475) è il fondatore del rosario moderno, cioè delle quindici decine con un soggetto di meditazione, mantenendo la divisione di Enrico di Kalcar e il legame formula/contenuto di Domenico di Prussia, legame però stabilito per ogni decina e non per ogni Ave. Alano previde anche altri metodi per questa preghiera e sarà la storia a far prevalere l’attuale. Aveva però un punto irrinunciabile: sempre doveva trattarsi di 150 formule per via del riferimento al salterio. Alano ebbe molte amicizie nel mondo certosino, tanto che dopo la morte i certosini curarono una edizione dei suoi scritti. Dunque conosceva Domenico di Prussia e il suo “rosario”, ma ne prese le distanze: «È invece vero – ahimè – che da circa 70 o 80 anni questo divino salterio fu troncato e ridotto alla sola cinquantina ad opera di uno a me ben noto e la cui devozione è singolare» (Apologia VIII,17,13). Dunque da parte di Alano massima stima per Domenico di Prussia, ma difesa ad oltranza del numero di 150 e del “salterio”: è una contrapposizione che non ci appartiene più ma che non possiamo sottovalutare. Come si presenta in concreto il “rosario certosino” o di Domenico di Prussia e come si prega con esso? «Se il Signore vorrà» (Gc 4,15), nel prossimo numero di Rosarium pubblicheremo il testo con qualche spiegazione. Per ora un po’ di pazienza! P. Riccardo Barile o.p.
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INTERVISTA a Francesco Mineo
Il Rosario nella vita e nella preghiera di un Unitalsiano
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uando ha iniziato a recitare il Rosario? Ha qualche ricordo specifico delle persone che Le hanno insegnato questa preghiera? Non lo so. Dapprima era qualcosa di occasionale, poi dai 20 anni è divenuto un’abitudine quotidiana insieme con la meditazione sulla Parola di Dio del Messale Feriale e Festivo. Ma la vera scoperta del Rosario risale ai miei 11 anni, alla Prima Comunione ricevuta presso il Santuario della Beata Vergine di Pompei, dopo una formazione specifica donatami da una suora dello stesso Santuario nei 7 giorni precedenti. La ricordo con gratitudine, perché durante la Santa Messa mi diceva spesso: «Guarda la Madonnina, che ti è così vicino». Allora pensavo alla distanza di pochi metri che mi separava dall’immagine, mentre negli anni ho scoperto una vicinanza diversa. La recita del Rosario è oggi per Lei un’abitudine alla quale riserva uno spazio e un tempo ben definiti? La recita del Rosario non ha un luogo o un tempo predefiniti, ma la faccio appena posso e non vado a dormire senza prima averla fatta. Quali sono i frutti spirituali di questa preghiera per la Sua vita e la Sua fede? La preghiera del Rosario mi ha aperto la comunicazione con Dio, in quanto ha reso viva e rivolta a me la Parola di Dio. Progressivamente Dio si svela sempre di più, parla, mi parla, riesco ad ascoltarlo ed entrare in dialogo con Lui. Da qui il dono della Pace, della serenità e soprattutto la formulazione di una domanda di Grazia fatta con animo fiducioso. Lei si dedica a una missione difficile, che richiede una fede profonda e matura. Assistere gli ammalati, accogliere la loro sofferenza e offrire un po’ di serenità e di speranza significa trasmettere loro
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Francesco Mineo dal 1987 è medico presso l'Azienda OspedalieroUniversitaria di Parma, attualmente è responsabile della struttura semplice di Medicina d'Urgenza. Direttore sanitario dell'Avis comunale, Unitalsiano dal 2001, è presidente della sottosezione diocesana dell'Unitalsi di Parma. Persona molto attiva nel mondo del volontariato parmigiano, in occasione del "Premio S. Ilario" – giorno del patrono della città – il 13 gennaio scorso ha ricevuto dal Sindaco un attestato di civile benemerenza per la sua attività di medico e di volontario in diverse associazioni cittadine occupando posti di responsabilità Nella Chiesa s'impegna ad educare i suoi associati alla fede, membro della segreteria del consiglio pastorale diocesano, membro dell'Hospitalité Notre Dame de Lourdes, laico associato alla Carità di Nevers, da sempre credente, vive la propria vocazione nei servizi di volontariato che svolge.
un frammento dell’amore che il Signore ci dona e ci insegna a donare ai fratelli. La recita del Rosario vi aiuta a vivere questa comunione fraterna? La preghiera del Rosario è l’esperienza reale dell’incontro con Dio. È Lui che ci dà la forza e il coraggio per essere la sua vocazione. Durante la preghiera senti di non essere più solo, ma difeso, sostenuto, incoraggiato, amato, coccolato e alla fine inviato a fare lo stesso con chi il Signore ti invia. Ci sembra che lo stesso carattere ripetitivo di questa preghiera, talvolta messo in discussione, possa invece offrire grandi consolazioni: placa nei nostri cuori il disordine del dolore o il silenzio della solitudine e li apre alla fede e alla speranza. Qual è, a questo riguardo, la Sua esperienza con gli ammalati? Il problema è quello di mantenere la concentrazione, di non distrarsi. La ripetitività della preghiera aiuta a rimanere concentrati e nello stesso tempo induce di fatto a progredire nel cammino iniziato, senza divagazioni fuorvianti. La proposta di una relazione personale è sempre gradita da tutti gli ammalati, ma quando si mette in condivisione la preghiera la comunione è più intensa e la gioia più grande. Attingendo alla Sua esperienza di Unitalsiano, ricorda qualche episodio significativo legato al Rosario? Stavamo accompagnando alcune persone in Santuario e si conversava insieme con empatia. Ho loro proposto di iniziare la recita del Rosario e ho visto i volti delle persone trasportate illuminarsi. Dopo due giorni ho reincontrato una di loro che mi ha ringraziato per la preghiera fatta insieme. Dispiaciuto per le occasioni perse fino ad allora da quel momento in poi mi sono “rinforzato” nella proposta della preghiera.
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Pellegrina del Rosario a Lourdes
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ra il giugno del 1992. Io ero ritornata alla fede tre anni prima, dopo vent’anni di lontananza. Decisi di fare un pellegrinaggio, per curiosità e folclore. Mi intrigava la figura del pellegrino, che avevo studiato in letteratura, e mi incuriosiva l’idea del ritiro spirituale. Volevo immedesimarmi nel ruolo di chi parte per dedicarsi a un viaggio dedicato esclusivamente alla fede e alla preghiera. Il mio insomma era turismo spirituale, serio ma senza aspettative trascendentali. Con questo intendimento mi iscrissi, tutta sola, al “Pellegrinaggio del Rosario” a Lourdes, organizzato dai domenicani. Partenza in treno alla sera, dalla stazione di Bologna, assieme a gente semplice e sconosciuta che recita il rosario, una pratica che per me, allora quarantenne, era un lontanissimo ricordo d’infanzia. Si arriva il pomeriggio del giorno dopo, dopo diciassette ore di viaggio, compresa una lunghissima sosta notturna a Voghera. Il ritardo, dicono, è cosa normale, i treni dei pellegrini vengono sempre trattati così, fatti passare per ultimi. Scendiamo finalmente a Lourdes, e mentre gli altri vanno dritti a cena in albergo, io vado dritta a cercare la grotta. Da sola, al crepuscolo, entro nello spazio della grotta dove non ero mai stata. In quel momento non c’è nessuno e mi trovo direttamente sotto alla statua della Madonna. Non mi aspetto nulla, ma da un momento all’altro provo una nettissima sensazione di calma, come fossi entrata in una zona isolata e insonorizzata. Il coinvolgimen-
to sensoriale è vicino allo zero, ma la percezione di calma è totale, una decisa differenza fra un “dentro” e un “fuori” delimitati in modo invisibile, come passare attraverso il vetro di un contenitore d’acqua trasparente e impalpabile. Penso, contenta, che sia quello che provano tutti. Ringrazio con letizia la Madonnina e Santa Bernardetta, e mi affretto a unirmi agli altri in albergo. Quando li raggiungo la cena è quasi finita e salgo in camera, insieme a una sconosciuta che la condividerà con me. Poi nel sonno, nella notte, non saprei dire a che ora, scivolo dentro a una luce immensa e bianchissima. Sono come inebriata, avvolta da una sensazione di una dolcezza incredibile. La luce bianchissima mi impregna di felicità: una sensazione straordinaria. Sono io, so di essere io, sono presente a me stessa, eppure sono sprofondata in questo fulgido biancore. Non ho mai preso sostanze stupefacenti, ma immagino sia questo il tipo di effetto a cui si riferisce l’espressione “paradiso artificiale”. Per un tempo indefinibile sono felicissima, di una felicità indicibile che vorrei non finisse mai. Purtroppo il mattino arriva, il risveglio mi strappa inesorabile a questa dimensione di travolgente e totale dolcezza, di cui mi rimane nettissimo il ricordo. È a quel punto che mi accorgo di un’altra cosa. La mia spalla sinistra, che avrei dovuto far operare perché soggetta a dolorose lussazioni, è salda. È una cosa che non c’entrava niente con il pellegrinaggio, al quale avevo partecipato per i motivi che ho detto, e non certo per cercare guarigioni! Oltretutto, quando sei a Lourdes hai sempre vicino qualche menomato o malato grave, e se per caso ti viene in mente un tuo problema fisico il pensiero ti passa subito, perché al confronto lo vedi nella sua reale portata: di piccolo inconveniente con cui puoi convivere benissimo. Con la mia spalla difettosa convivevo da quando, a sedici anni, ero stata coinvolta in un incidente d’auto, un salto di corsia sull’autostrada fra Bologna e Firenze in cui morì mia madre, uccisa sul colpo. All’ospedale mi lasciarono per tre giorni con l’omero sporgente dalla scapola pri-
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ma di decidersi a farmi operare per “ridurre” la lussazione. Dopo questo trauma la mia spalla non era mai stata come prima, e la testa dell’omero dopo qualche anno aveva preso a uscire dalla sua sede, sempre più spesso, per cui avevo preso da tempo l’abitudine di tenerla ferma e usare quasi esclusivamente il braccio destro. Pochi mesi prima di andare a Lourdes ero andata a una visita da un chirurgo ortopedico per chiedere se si poteva risolvere il mio problema con le nuove tecniche endoscopiche di cui avevo sentito parlare, e la risposta fu negativa: dopo tanti anni di continui traumi bisognava intervenire con l’operazione “tradizionale”, aprendo per intero. Ritirai la ricetta che prescriveva una TAC di preparazione all’operazione, necessaria per vedere le condizioni effettive della spalla, e decisi... di metterla da parte per qualche anno. Quando sarò più vecchia – pensai – mi deciderò a operarmi. Nel frattempo potevo benissimo continuare ad usare solo il destro e a re-infilare l’omero sinistro al suo posto quando mi succedeva comunque di perderlo. Eccomi però a Lourdes e a quanto pare la Madonnina mi aveva voluto fare questo inatteso regalo! La spalla infortunata era salda, proprio come l’altra! Cercai di pensare a come dimostrare la mia gratitudine. Alla partenza ero stata decisissima a NON fare l’immersione nelle gelide vasche, che mi era stata descritta come un’esperienza sgradevole. Mi frenava l’idea del freddo che si patisce quando, completamente nudi, ci si trova addosso un lenzuolo bagnato, nel clima di Lourdes che anche di giugno quando è brutto tempo – cioè spessissimo – è tutt’altro che caldo. Mi frenavano anche le lunghe code che si formano in attesa del proprio turno per sottoporsi a questo freddo. Ma soprattutto mi frenava la spalla: mi avevano spiegato che nelle vasche si viene immersi dai volontari che sollevano per le braccia, e non avevo voglia di dover spiegare al volontario di turno come mai si trovava in mano il mio omero staccato dal resto di me. Adesso però, sentendo la spalla salda, decido di
fare il bagno. Voglio dimostrare la mia fede, la mia fiducia in questa guarigione, sopportando il freddo e lasciandomi sollevare per il braccio, in segno di gratitudine per la grazia ricevuta. Con questo intento mi metto pazientemente in fila per le vasche. Arrivata al dunque, però, cedo alla fifa e dico a bassa voce e in tutta fretta alla volontaria di sinistra di non sollevarmi per il braccio perché si potrebbe lussare! Appena mi escono di bocca queste parole mi pento della mia paura e, delusa di me stessa, terminato il bagno mi rimetto con determinazione nella lunga fila per rifarlo di nuovo, decisissima questa volta di fidarmi e non dire niente. Ma arrivata al punto di prima cosa faccio? Cedo di nuovo alla paura e dico a bassa voce e in tutta fretta alla volontaria di non prendermi per il braccio perché si potrebbe lussare! A questo punto la mia rabbia contro me stessa e la mia auto-delusione sono sconfortanti. Ormai è sera e la mattina dopo si parte, non c’è più niente da fare. Invece no, l’indomani mattina prestissimo vado alle piscine e non trovo alcuna fila. Mi infilo dalle vasche e lascio che le volontarie mi sollevino per le spalle come fanno con gli altri, senza dire nulla. E va tutto bene, la spalla regge, continua a essere salda, non duole nemmeno. Da allora sono passati diciotto anni. Uso entrambe le braccia, non mi sono operata, ho buttato via anche la richiesta della TAC. Fu soltanto anni dopo che capii che quella luce bianchissima di quella notte... era lei. Fu nel 2006, io e mio marito partecipammo a un pellegrinaggio diocesano a Fatima. Durante la messa incontrai un sacerdote addetto al servizio-confessioni, a cui mi venne da raccontare della guarigione della mia spalla a Lourdes. Lui mi sorrise e disse: “Lo sai come suor Lucia, la veggente di Fatima, chiamava la Madonna?” “No.” “La chiamava ‘Luz’”. “Luz?” “Sì, ‘Luz’, hai capito bene. Significa ‘Luce’”. Alessandra Nucci
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UNO SGUARDO SULLE NOSTRE MISSIONI
Adozioni a distanza: la “mobilità” della povera gente Fra Mariano Foralosso op, che per noi cura i rapporti con il Centro San Giuseppe di Santa Cruz do Rio Pardo (San Paolo - Brasile) ci scrive:
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uando ero bambino, abitavo in campagna. La nostra casa si trovava vicino all’argine del fiume Bacchiglione, sopra al quale correva la strada provinciale. Nel periodo attorno alla festa di San Martino (11 novembre), già con i primi freddi e le prime nebbie dell’inverno che avanzava, sulla strada dell’argine passavano, in una triste processione, i carri carichi di masserizie e di povera gente, che si muoveva verso altri destini. Era il ‘trasloco di San Martino’, quando i raccolti erano terminati, i contratti di affitto scadevano e molte volte i padroni delle terre non li rinnovavano piú, o lo facevano a condizioni talmente esose che i poveri fittavoli dovevano lasciare tutto e cercare un altro pezzo di terra dove lavorare e tirare il magro sostentamento per la loro famiglia, normalmente molto numerosa. Era una processione di gente triste, spaventata dall’incertezza del futuro... questo lasciava nel mio cuore di bambino un sentimento amaro di angoscia e di pena. Lo stesso sentimento mi prende quando i responsabili del Centro São José di Santa Cruz mi informano che il tal bambino ha lasciato il Centro, perché la famiglia si è spostata in un’altra città o regione, in cerca di migliori condizioni di vita. Questo, purtoppo, succede molto spesso. È la realtà della nostra povera gente che non ha lavoro fisso, non ha una vera casa, è priva dell’indispensabile sicurezza sociale e vive in una costante ricerca di nuove opportunità, rincorrendo la speranza di rompere il cerchio di miseria e di esclusione che opprime e avvilisce la loro esistenza. È una realtà, ripeto, che abbiamo conosciuto anche noi in Italia, fino
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a un recente passato. Basti pensare alle massiccie emigrazioni della nostra gente, soprattutto del Veneto e del Sud, verso altre regioni d’Italia, e soprattutto verso paesi stranieri, in Europa, negli Sati Uniti, in Australia, in Brasile, in Argentina. Solo in Brasile si contano attualmente piú di trenta milioni di persone con cognome italiano! Qui da noi in Brasile, in questo immenso paese, si vive ancora un vero esodo in massa, dal Nord est e dal Centro verso il Sud; e dalla campagna verso le periferie delle città. Attualmente più dell’80% della popolazione vive nelle città, e le campagne sono diventate immensi pascoli per il bestiame e aree per la produzione di soia, agrumi, caffé, e altre materie prime per il mercato internazionale. Le vacche, soprattutto, sono diventate padrone del territorio; e gli ‘umani’ sono stati “ammucchiati” nelle periferie delle megalopoli, come San Paolo, Rio, Belo Horizonte, Porto Alegre, Recife, ecc. La regione di Santa Cruz è un esempio tipico di questo triste fenomeno: le terre che prima erano coltivate nel sistema della piccola proprietà, in cui la nostra gente viveva in maniera decorosa e umana, ora sono diventate spazio per la monocultura della canna da zucchero, in mano a poche famiglie; e i braccianti e piccoli proprietari della terra hanno dovuto emigrare verso la città. Così anche a Santa Cruz si è creato il classico anello di favelas attorno al nucleo urbano: regno di povertà, di abbandono e di ogni tipo di miseria materiale e morale. Le vittime di questa situazione sono i bambini, che vivono abbandonati a se stessi, costretti a mendicare, esposti alla triste “scuola” della strada. È la situazione che ha toccato il cuore di Frei Chico e l’ha indotto a creare il Centro São José e la Casa do Menor, per accogliere questi bambini, proteggerli, alimentarli, dar loro la possibilita di divertirsi, di imparare un lavoro e avviarsi alla vita. Questa gente, che noi chiamiamo ‘povera’, ma in realtà è ‘impoverita’, vive cosí, in una situazione
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di totale precarietà e sradicamento, sempre alla ricerca di una ‘soluzione migliore’, sempre rincorrendo la speranza di potere trovare un lavoro stabile, avere la propria casetta, educare i figli e costruire un futuro piú degno per la famiglia. Per questo vive in situazione di costante “esodo”, sempre disposta a raccogliere le sue masserizie e mettersi in cammino, se da qualche altra parte si apre una nuova possibilità di lavoro e di vita. E in nome di questa “speranza” è costretta, sempre con vero dispiacere, a rinunciare al servizio prezioso che i suoi figli ricevono nel Centro São José. Sto descrivendo questa nostra realtà pensando soprattutto ai padrini e alle madrine che hanno adottato a distanza i nostri bambini e adolescenti accolti nel Centro São José. È sempre molto triste per noi dover dire a un padrino o a una madrina: «Il vostro bambino non c’è piú; ha dovuto seguire la famiglia che si è spostata... forse in un’altra regione del Brasile». È triste per i genitori, è triste per noi, ed è difficile anche per il padrino o madrina. È un fenomeno che per noi è impossibile controllare! Abbiamo però la certezza – e anche il padrino o madrina devono averla – che quello che il bambino ha ricevuto nel nostro Centro gli resterà come un prezioso patrimonio per la sua vita. Non è stato tempo e denaro sprecato! Al padrino o allamadrina noi mandiamo, attraverso Padre Mauro, la comunicazione dell’uscita del loro adottato, e li invitiamo sempre a continuare assumendo una nuova adozione a distanza. La lista di attesa è sempre molto lunga! Debbo dire che, grazie a Dio, questa disponiblità ad assumere una nuova adozione a distanza si verifica molte volte; e questo è per noi un segno concreto di quanto la generosità e lo spirito di solidarietà del padrino o della madrina siano autentici, animati da vero spirito cristiano! Di questo voglio dare testimonianza, e in nome dei nostri ragazzi e della grande famiglia del Centro São José dico a tutti i padrini e madrine il nostro “muito obrigado!”: grazie di cuore!
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catechismo per tutti
Ambone, preghiera Signore: mentre osservo l’ambone, sto ricordando l’ammirazione che tu sollevavi allorché predicavi alla gente «come con autorità». E mi domando: Da dove la prendevi? Dal parlare da una sede elevata, come da un trono? Vero che no? Dicci che non è così, Signore; dicci che l’autorità nella proclamazione della Parola ci raggiungerà soltanto quando semineremo la Tua Parola e non la nostra. Quando la proclameremo come Te. E quando avremo ripulito completamente ogni incongruenza, tutta quella che esiste fra ciò che annunciamo e come viviamo. Nello stesso tempo ti chiediamo, Signore, voci e ‘microfoni’ per i nostri «amboni». Come stanno attenti le nostre emittenti alla dizione degli annunciatori e narratori! E che dire della superba ‘megafonia’ di cui si circondano i grandi miti della voce? Nella tua Chiesa, Signore, esiste un ministro dei «Lettori». Fu istituito affinché per suo mezzo tu inviassi loro la grazia di «leggere con grazia». Perché leggere, è seminare. Ed alcune sementi si seminano a braccia, mentre ce ne sono altre che bisogna seminare una ad una, e nel buco giusto. La medesima cosa dobbiamo fare con la tua Parola. Non dobbiamo leggere col medesimo tono un testo come un altro, né in un momento specifico come nell’altro, né a questa gente concreta come ad altre, né la tua Parola, come leggiamo altre parole.
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Allagato il Centro del Rosario ... quant’acqua! Pubblichiamo la mail che P Mauro ha inviato a tutti i collaboratori del Centro del Rosario Carissimi, purtroppo, mercoledì verso le 10,30 del mattino, mentre al computer del Centro stavo concludendo la lavorazione per il n. 2 di ROSARIUM mi sono sentito bagnare i piedi e... in pochissimi minuti l'acqua ha invaso i locali del Centro del Rosario! Chiudendo immediatamente la porta del Centro che ha "tenuto", le acque pur sprizzando da tutti gli angoli e buchi, hanno raggiunto in un "lampo" solo un livello di circa 30 cm. mentre in cortile trattenute dalla porta ve ne erano certamente più del doppio... Non vi dico poi quanto riguarda i confratelli della locale comunità Domenicana del Santuario di Fontanellato che hanno visto invadere anche i locali sottostanti il Centro del Rosario dove l'acqua è arrivata a coprire distruggendo tutto fino all'altezza di un metro e ottanta circa: autorimessa con vetture dentro, toilettes, cucine, lavanderie, mense e locali per l'accoglienza dei gruppi di pellegrini che tutti gli anni giungono a Fontanellato... Cosa è successo? Ufficialmente si stanno cercando scusanti che rendano plausibili le tristi coincidenze fra le impreviste precipitazioni dei primi giorni della scorsa settimana, la nuova gestione idrogeologica di un territorio "scompensato" dalla costruzione della Alta Velocità e la conclamata imperizia/disinteresse (sperando che sia solo questo) di chi avrebbe dovuto tenere aperti canali e fossati della campagna attorno a Fontanellato che invece al momento erano per lo più chiusi per permettere l'irrigazione dei campi. Che dire? Innanzitutto ringraziare perché nessuno è stato sorpreso nei locali bassi dove non avrebbe avuto via di scampo... e vi assicuro che non vi sarebbe stato il tempo nemmeno di accorgersi di ciò che succedeva! Anche per quello che ci riguarda: - la Fiat Multipla del Centro, non essendo parcheggiata in garage, ma davanti alla porta del Centro è, sì, stata danneggiata dall'acqua ma soltanto alla frizione che appena riesco dovrò far sostituire; tutti i macchinari d'ufficio del Centro avendo i motori ad un'altezza superiore i 30 cm non sono stati danneggiati; tutti i documenti e i materiali in scaffalatura sopra i 30 cm non sono stati toccati dall'acqua... non vi dico però come è ridotto tutto ciò che era sotto questo livello... ... come tutto il
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materiale "religioso" e "non" che custodisco nell'attiguo deposito: sono giorni che faccio viaggi alla locale discarica gettando via di tutto e di più! Consapevole del tempo che ci vorrà per tornare alla "normalità" vi ho detto tutto ciò per renderVi partecipi (e vi prego di trasmetterlo anche a chi non riuscirò a raggiungere tramite email) di quanto mi occuperà nei prossimi mesi impedendomi di fare la tradizionale visita di metà anno ad ogni gruppo... non mancherò certo di ricordarVi come spero non mancherete di fare anche tutti voi. Spero riusciremo a vederci ai raduni regionali che ci saranno fra settembre e ottobre... buone vacanze a chi avrà la possibilità di concedersele. padre Mauro o.p.
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ricordatevi che dalle ore 9,30 di
sabato 18 settembre presso il Santuario del Monte Lussari (Ud)
sabato 2 ottobre presso il Santuario della Beata Vergine di Loreto (An) fino al tardo pomeriggio ci ritroveremo per pregare, meditare e condividere gioiosamente celebrando insieme i
raduni regionali del rosario per ogni informazione: Padre Mauro tel. 335 5938327 - info@sulrosario.com
In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa