Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLIV - n. 1 - I trimestre
Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”
o r e B b : l o i a r e sa c n o s u R e r l e e c r d o e o n h m g e c u v r n a t ù Co i s e p r o a f F na u i d n g o ol
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Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio
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Il numero è stato chiuso l’1 marzo 2011
Domenica 10 aprile 2011 Convegno del Rosario Convento di San Domenico, Bologna Ormai tradizionalmente prima del mese di maggio vogliamo incontrarci per ravvivare la comunione che ci unisce preparandoci a celebrare solennemente il mese di Maria con rinnovata profondità e fervore. Anche nel 2011 l’occasione di questo incontro ci è donata dall’annuale Convegno del Rosario: momento di incontro, preghiera, discussione e confronto su un tema che anche quest’anno si rivela di particolare interesse… poi che dire della possibilità di ritrovarci dove sono gelosamente custodite le spoglie mortali di san Domenico, colui al quale, come attesta la tradizione, la Vergine volle consegnare il rosario?
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.
I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria I parte
Proseguiamo la lettura del libro Il rosario tra devozione e riflessione, che abbiamo presentato nel numero precedente di Rosarium, proponendovi l’articolo di Vincenzo Battaglia. Il volume è in vendita presso l’ESD: via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna tel. 051582034 e-mail:acquisti@esd-domenicani.it Vincenzo Battaglia frate minore, è professore ordinario di cristologia alla Pontificia Università Antonianum. Attualmente è Decano della Facoltà di Teologia della medesima Università e Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale. La sua pubblicazione più recente: Gesù Cristo luce del mondo. Manuale di cristologia, Edizioni Antonianum, Roma 2008 (ristampa). L’esposizione, inscritta nel contesto del rapporto tra riflessione teologica ed esperienza spirituale, è orientata verso la dimensione mariana della spiritualità cristiana. Per la trattazione dell’argomento centrale, oggetto del presente contributo, è stata adottata la metodologia coerente con il modello narrativo storico-salvifico che caratterizza la tradizione biblica e, in particolare, il vangelo quadriforme. I misteri della vita di Cristo nell’esperienza spirituale Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me… Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,4.9-10). Il verbo rimanere che domina il brano giovanneo porta con sé, allo stesso tempo, la forza del desiderio e la certezza del dono. Mentre palesa senza mezzi termini il desiderio di poter legare a sé, per sempre, i discepoli che solo da lui possono ricevere la vita eterna, Gesù promette e garantisce loro il dono di un’unione che nasce ed è giustificata dalla relazione d’amore – l’agape – che caratterizza il suo rapporto con il Padre. L’amore che egli prova per i discepoli affonda le radici nell’amore che il Padre nutre per lui e, nello stesso tempo, ne è il prolungamento e la rivelazione storica; rivelazione che è costituita da quanto ha detto e ha fatto nel corso della sua vita terrena e che sta per portare a compimento, poiché si sta preparando ad affrontare l’«ora» della passione. Sarà l’«ora» in cui, consumando il dono supremo di sé con la morte di
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croce, mostrerà di aver amato i suoi «fino alla fine» (Gv 13,1), di essersi donato interamente. Infatti «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12). Ogni volta che un discepolo intende conoscere la fisionomia autentica dell’amore – dell’agape – con cui il Signore lo ama, per percepirne e gustarne la presenza nella propria interiorità e nella propria vita, deve fare riferimento, prima di tutto e necessariamente, alla Parola di Dio, alle narrazioni evangeliche; deve mettersi in ascolto del Maestro, il Verbo della vita «pieno di grazia e di verità» (cf. Gv 1,14-17). L’evento dell’Incarnazione culminato nella Pasqua garantisce il valore assoluto e normativo che va riconosciuto all’esistenza «nella carne» che l’Unigenito Figlio di Dio ha assunto dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo Il Signore Gesù, dovunque si trova – presso Dio, presso il mondo e presso la Chiesa – vi si trova con tutto il suo «mistero» di cui la Chiesa fa memoria, nell’attesa della sua venuta, celebrando e contemplando i «misteri» della sua vita, di cui è resa partecipe dallo Spirito Santo. I mysteria carnis Christi sono sia gli avvenimenti – dai racconti dell’infanzia fino alla Pasqua – sia la predicazione, i miracoli, gli atteggiamenti: tutti dati storici che gli evangelisti hanno trasmesso attraverso le loro narrazioni in quanto sono dotati di un particolare significato rivelativo e salvifico, e, pertanto, sono stati ritenuti necessari e insostituibili per condurre alla fede e alla salvezza. Questo criterio è stato enunciato autorevolmente dal quarto evangelista: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20,30-31). Scrive Schönborn: “Tutti i misteri della vita di Cristo hanno in comune tre caratteristiche fondamentali: sono rivelazione del Padre, mistero di redenzione e mistero della rinnovata ricapitolazione (recapitulatio) di tutte le cose sotto un unico capo. A questi tratti fondamentali corrispondono per noi tre modi di partecipare ai misteri di Gesù: la vita di Gesù è il nostro modello, Gesù la ha vissuta per noi e fa sì che viviamo in lui tutto ciò che egli ha vissuto, ed egli vive in noi”. È appena il caso di ricordare che il contatto con i misteri della vita di Cristo – e con la grazia ad essi propria – avviene, nel tempo della Chiesa, specialmente attraverso la liturgia e il ciclo dell’anno liturgico. In particolare, come insegna la Sacrosanctum Concilium, la Chiesa distribuisce l’intero mistero di Cristo nel corso dell’anno, dall’incarnazione e dalla natività fino all’ascensione, al giorno della pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in questo modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli i tesori della potenza e dei meriti del suo Signore, in modo da renderli come presenti
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a tutti i tempi, affinché essi possano venirne a contatto ed essere pieni della grazia di salvezza. Data quest’ottica liturgica, diventa rilevante sottolineare che l’esperienza spirituale – la vita in Cristo secondo lo Spirito – trae forza e alimento soprattutto dalla celebrazione dei sacramenti, con al culmine l’Eucaristia, come pure dalla preghiera contemplativa e dal contatto quotidiano con la Parola di Dio, accostata, nella sua ricchezza inesauribile, secondo la dottrina dei quattro sensi. A tale riguardo, dalla magistrale ricostruzione fatta da Henri de Lubac si evince che, oltre al significato letterale/storico, fondamentale e irrinunciabile, gli autori dell’epoca patristica e del medioevo hanno valorizzato anche il significato spirituale o mistico. Quest’ultimo si è ramificato in tre direzioni, dando luogo all’allegoria (che ha per oggetto le verità relative al Cristo e alla Chiesa), alla tropologia (che si riferisce alla regola di vita e all’atteggiamento spirituale dei credenti) e all’anagogia (si tratta del senso escatologico, relativo al compimento ultimo della storia della salvezza). Il dato essenziale e unificatore resta sempre il Mistero del Cristo, «prefigurato o reso presente nei fatti, interiorizzato nell’anima individuale, giunto a compimento nella gloria»; Mistero nel quale si deve scorgere, con uno sguardo unitario, anche il Mistero della Chiesa. Per questa ragione – per la presenza di Cristo nella sacra Scrittura (cf. SC 7) – l’ascolto e l’accoglienza della Parola di Dio conducono alla celebrazione dell’Eucaristia, centro e forma della vita della Chiesa. In verità, come si legge nelle proposizioni finali elaborate dal Sinodo dei Vescovi dedicato al tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa: “La parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico e porta al suo compimento la sacra Scrittura. L’eucaristia è un principio ermeneutico della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura spiega e illumina il mistero eucaristico... Senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta”. La Beata Vergine Maria tipo e modello della Chiesa La costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II insegna che la Vergine Maria, Madre del Figlio di Dio, figlia prediletta del Padre e dimora dello Spirito Santo, «è riconosciuta anche come membro sovreminente e singolarissimo della Chiesa, sua figura (typus) e modello eccellentissimo nella fede e nella carità». La stessa tesi viene riproposta più avanti, nella terza parte del capitolo VIII, incentrata sul rapporto tra la beata Vergine Maria e la Chiesa. Riprendendo una frase di sant’Ambrogio, i padri conciliari hanno insegnato che la Madre di Dio è figura della Chiesa nell’ordine della fede,
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della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti nel mistero della Chiesa, che a buon diritto può anch’essa chiamarsi madre e vergine, la beata vergine Maria è andata avanti per prima, fornendo un modello eminente e singolare di vergine e madre. In forza della sua presenza materna, richiamata in modo particolare dal numero 62, e per la sua funzione di figura (typus) e modello (exemplar) della Chiesa – il binomio è menzionato nei due brani citati –, la Madre del Figlio di Dio coopera alla generazione e alla formazione dei fedeli con amore materno, si legge ancora nelle ultime righe del numero 63. Alla luce di queste asserzioni, e per logica conseguenza, il testo conciliare si sofferma a indicare in che modo la Chiesa è impegnata ad imitare le virtù di colei che riconosce quale sua madre spirituale. La prima indicazione è l’invito a considerare attentamente «l’arcana santità» della vergine Maria, a volgere gli occhi a lei «che rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti», a ripensare piamente a lei e a contemplarla «nella luce del Verbo fatto uomo». Così facendo, la Chiesa penetra con venerazione e crescente comprensione nell’altissimo mistero dell’incarnazione e si conforma sempre più al suo Sposo. Maria infatti, per essere entrata così intimamente nella storia della salvezza, in qualche modo compendia in sé e irraggia le principali verità della fede. Cosicché quando la si predica e la si onora, ella rimanda al Figlio i credenti, li chiama al suo sacrificio e all’amore del Padre. Nello stesso tempo, vengono segnalati i presupposti epistemologici e i frutti di questa contemplazione. Innanzitutto, essa deriva ed è guidata dalla fede nel Figlio di Dio incarnato (valore assoluto/primato della mediazione cristica) ed è in funzione del rapporto con Lui (finalità cristocentrica). In secondo luogo, la contemplazione induce a collocare, a pensare la presenza della Vergine Maria nel cuore della storia della salvezza, e, quindi, aiuta ad immergersi sempre di più nel meraviglioso disegno salvifico di Dio, perché fa vedere l’intimo nesso esistente tra le principali verità della fede. Sulla base di queste precisazioni dottrinali, il numero 65 del testo conciliare pone al centro dell’imitazione della Vergine Maria la pratica delle virtù teologali, l’adesione alla volontà di Dio e l’impegno a svolgere la missione apostolica con l’atteggiamento e i sentimenti suggeriti dall’amore materno. A partire da queste brevi note tratte dal capitolo VIII della Lumen gentium che consentono di valorizzare nel modo dovuto la dimensione mariana della spiritualità cristiana, la riflessione si volge ora verso l’atteggiamento più idoneo che la esprime: l’affidamento filiale alla Madre di Dio, la quale – insegna Giovanni Paolo II – resta per sempre «testi-
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mone eccezionale del mistero di Cristo», come lo fu agli albori della Chiesa, «per tutti coloro che costituivano il germe del “nuovo Israele”». Nella medesima enciclica si legge: “La dimensione mariana della vita di un discepolo di Cristo si esprime in modo speciale proprio mediante tale affidamento filiale nei riguardi della Madre di Dio, iniziato col testamento del Redentore sul Golgota. Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano, come l’apostolo Giovanni, accoglie «fra le sue cose proprie» la Madre di Cristo e la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo “io” umano e cristiano. «La prese con sé». Così egli cerca di entrare nel raggio d’azione di quella «materna carità», con la quale la Madre del Redentore «si prende cura dei fratelli del Figlio suo», «alla cui rigenerazione e formazione ella coopera» secondo la misura del dono, propria di ciascuno per la potenza dello Spirito di Cristo. Così anche si esplica quella maternità secondo lo spirito, che è diventata la funzione di Maria sotto la Croce e nel cenacolo”. Quanti si affidano a lei e si mettono alla sua scuola imparano da lei – Madre, Discepola e Serva del suo Figlio Gesù Cristo – a seguire, amare ed imitare sempre più intensamente l’unico Signore e Maestro, sotto la guida dello Spirito Santo. Una scuola, quella di Maria, tanto più efficace, se si pensa che Ella la svolge ottenendoci in abbondanza i doni dello Spirito Santo e insieme proponendoci l’esempio di quella «peregrinazione della fede», nella quale è maestra incomparabile. Di fronte a ogni mistero del Figlio, Ella ci invita, come nella sua Annunciazione, a porre con umiltà gli interrogativi che aprono alla luce, per concludere sempre con l’obbedienza della fede: «Sono la Serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». Pertanto, la preghiera del Rosario, che insegna a meditare i misteri della vita di Gesù Cristo, conduce a Lui facendo ripercorrere «la via di Maria», donna di fede, di silenzio e di ascolto. Paolo VI aveva già richiamato con l’esortazione apostolica Marialis cultus il valore della dimensione contemplativa: «per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze». Con la preghiera del Rosario, afferma Giovanni Paolo II, si accresce l’intimità con il Signore Gesù: la vita cristiana è un cammino di conformazione crescente a Lui, che porta ad avere un comportamento sempre più coerente ai suoi sentimenti (cf. Fil 2,5), per cui nel percorso spirituale del Rosario, basato sulla contemplazione incessante – in compagnia di Maria – del volto di Cristo, questo ideale esigente di conformazione a Lui viene perseguito attraverso la via di una frequentazione che potremmo dire “amicale”. Essa ci immette in modo naturale nella vita di Cristo e ci fa come “respirare” i suoi sentimenti.
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“Le norme obiettive sono accessibili anche ai non credenti – dice il Papa – ma la ragione da sola non basta”
Una fede astratta? Macché, il realismo ha sede nella Parola di Dio!
Ruolo della fede – prosegue il Pontefice – è quello di “aiutare nel purificare e gettare luce sull'applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”
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e la società oggi è debole, è perché è impregnata di relativismo. È troppo spesso incapace di distinguere cosa sia valore e cosa non lo sia, nei casi più estremi anche incapace di valutare l'esistenza stessa di valori intangibili o di una morale naturale nell'uomo in quanto uomo. Il che presenta un drammatico rovescio della medaglia: espone cioè pericolosamente al possibile ritorno di nuove ideologie, tutt'altro che scomparse. I nuovi “mostri”, in grado di ubriacare le menti ed annientare il pensiero, assumono diversi nomi: ecologismo, scientismo, materialismo, psicologismo, terzomondismo, pauperismo, genderismo, economicismo, narcisismo... Ma tutti, tutti sono riconducibili ultimativamente ad un solo, tremendo «nemico»: il “riduzionismo”, che traduce la complessità del reale in semplici formule chimiche, le istituzioni – a partire da quella prioritaria, la famiglia – in banali “contratti sociali”, la fede in una mitologia credulona, i doveri ed i diritti in opzioni negoziabili, le culture in opinioni. L'unica regola consisterebbe, al massimo, nel cercar di rendere le conclusioni coerenti con le premesse, indipendentemente dalla loro fondatezza. Tutto qui. Da ciò deriva il rifiuto di applicare quel principio di “precauzione”, altrimenti sbandierato oltre misura (come nel caso, discutibilissimo, degli ogm), anche sulla ricerca riguardante le cellule staminali embrionali, finanziata caparbiamente e contro ogni evidenza scientifica da molti Stati. Da ciò deriva il rifiuto di adeguare la legge 194 sull'aborto alle nuove certezze mediche in campo neonatale, laddove consentono di salvare un bambino già alla 22ma settimana e non più alla 24ma, com’era un tempo. Uno sguardo che voglia essere autenticamente umano, allora, non può prescindere dalla dimensione del cuore. E questo ben lo evidenzia Papa Benedetto XVI nell'enciclica “Spe salvi”, laddove parla anzi di un cuore “allargato e poi ripulito”, l’unico in grado di confrontarsi con l'immensità del Creato, di vivere la dimensione grande della “purificazione”. Il dato di partenza, insomma, dev'essere uno solo, come lo stesso Pontefice ha ben espresso il 6 ottobre del 2008, intervenendo in Vaticano all'inizio della prima Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”: “Solo la Parola di Dio – ha precisato – è fondamento di tutta la realtà”. Affermando “in aeternum, Domine, Verbum Tuum constitutum est in coelo... firmasti terram et permanet”, si afferma al contempo pro-
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prio questa solidità della Parola, vera realtà, su cui basare la propria vita. Ce lo dice il Libro dei Salmi: cieli e terra son destinati a passare, non invece la Parola di Dio. Per essere veramente realisti, occorre far conto su questo. Esser realisti non significa toccar con mano: si può toccar con mano l’amore di una madre per il figlio? L’amore tra due coniugi? Il semplice senso di bellezza, che proviamo di fronte all’opera d’arte? Eppure, non sarebbe irrealistico – e disumano – non ammetterne l’esistenza? Questo sarebbe lo sguardo limitato di chi costruisce la casa della propria vita esclusivamente sul successo, sulla carriera, sul denaro, in un parola sulla sabbia, destinata un giorno a svanire. Molto meglio costruire piuttosto la casa della propria vita sulla roccia, stabile come il Cielo,
ovvero riconoscere nel Verbo divino il fondamento di tutto. Questo è sano realismo! In occasione della beatificazione del Card. John Henry Newman, il Santo Padre ha evidenziato come uomini e donne siano stati “creati ad immagine e somiglianza di Dio, per conoscere la Verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l'adempimento delle più profonde aspirazioni umane”. Rifiutare una concezione relativistica del mondo vuol dire allora non solo riconoscere l'esistenza di una Verità, ma significa implicitamente anche denunciare l'errore. Se esiste il vero, vuol dire che esiste anche il falso: “Coloro che vivono della e nella Verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà, che accompagna lo splendore della Verità, Veritatis splendor”. La via della coscienza che lo stesso Card. Newman visse sulla propria pelle, abbandonando l'anglicanesimo per abbracciare e divenire figlio del Cattolicesimo, pagando per questo anche un pesante costo personale, fu “tutt'altro che una via della soggettività, che afferma sé stessa”: fu “invece una via dell'obbedienza alla Verità oggettiva”, superando lo stesso soggettivismo evangelico a favore dell'oggettività del dogma, proprio come legame alla Verità. “Quella Verità”, che ultimativamente “è nient'altro che Gesù Cristo”, come ha felicemente ed esaustivamente spiegato il regnante Pontefice, Verità tanto potente da render capaci di sacrificare per essa anche affetti, amicizie e
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ponendo finanche a rischio la propria stessa vita, ha un diretto collegamento col rapporto federagione. “La via della coscienza non è chiusura nel proprio «io» – ha proseguito Benedetto XVI – ma è apertura, conversione ed obbedienza a Colui che è Via, Verità e Vita”. Nella Westminster Hall di Londra, in occasione del discorso ai parlamentari ed alle autorità, ancora il Papa ha ricordato come “la tradizione cattolica” sostenga “che le norme obiettive, che governano il retto agire, sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della Rivelazione”. Per questo, possono “essere conosciute dai non credenti”, sia pur a fatica. Ciò non significa però che la ragione, da sola, possa bastare. Tutt'altro: la fede, anzi, interviene “per aiutare nel purificare e gettare luce sull'appli-
cazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi. Il mondo della secolarità razionale ed il mondo del credo religioso hanno bisogno l'uno dell'altro e non dovrebbero aver timore di entrare in un profondo e continuo dialogo per il bene della nostra civiltà”. In tutto questo, una dimensione rilevante assume l’ambito che, del sociale, fa il proprio terreno quotidiano di confronto: quello della politica, nel senso ampio, nobile e bello del termine, come gestione condivisa della cosa pubblica, come costruzione e realizzazione dell’umana avventura, della casa di tutti. Ha scritto in merito mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) e Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa: “La politica ha bisogno di uomini di fede, di credenti impegnati in essa, affinché la stessa ragione politica possa ampliarsi verso quanto attende l'uomo nella sua totalità e trascendenza”. Ed ancora: “Il cattolico impegnato in politica dovrebbe essere guidato da un sano realismo cristiano. La verità è la realtà. Il bene non è altro che la realtà, in quanto desiderabile. Il cattolico si attenga a questa realtà e vedrà che spesso le cose non sono come le ideologie le presentano”. Un realismo decisamente con i piedi ben piantati per terra… Mauro Faverzani
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UNO SGUARDO SULLE NOSTRE MISSIONI
Adozione a distanza: quanta solidarietà !
Fra Mariano Foralosso op, che per noi cura i rapporti con il Centro San Giuseppe di Santa Cruz do Rio Pardo (San Paolo - Brasile) ci racconta:
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empo fa, in occasione di un mio viaggio in Italia, ho accompagnato padre Mauro dalle Marche al Friuli, per visitare persone e gruppi iscritti al Movimento del Rosario. Padre Mauro mi aveva invitato perché potessi conoscere da vicino la realtà dei padrini e madrine che hanno “adottato a distanza” i nostri ragazzi del Centro di Santa Cruz do Rio Pardo, in Brasile. Di questa visita mi sono rimasti nel cuore tanti ricordi belli! Ancora una volta ho potuto constatare la realtà del mondo della solidarietà. Grazie a Dio, esistono molte persone che fanno il bene, che sono generose e cercano di aiutare chi si trova in necessità. È il regno della carità operosa, della quale i giornali non hanno interesse a parlare, perché è solo il male che fa notizia e garantisce lucro...! Questo “regno” del bene è un segno e un frutto concreto della presenza del Regno di Dio in mezzo a noi! Tra i tanti incontri, uno mi ha particolarmente emozionato: una madrina marchigiana, che ormai da parecchi anni fa adozione a distanza per aiutare il Centro di Santa Cruz, mi mostrava la collezione di letterine e di fotografie dei vari ragazzi che ha adottato in questi anni. Ne aveva adottati diversi, uno dopo l’altro, in modo che quando uno lasciava il Centro ne adottava subito un altro. Mi ha colpito l’affetto profondo con cui apriva le letterine e mi mostrava i disegni e le fotografie dei ‘suoi ragazzi’! Una ‘maternità del cuore’, che travalica la barriera dell’Oceano! Adozione a distanza! Che cos’è? Come funziona? Diciamo subito che è il classico caso di quando
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si pigliano due piccioni con una fava! Chi l’ha ideata è stato un genio del bene, anche se certamente non aveva coscienza di quanto essa fosse delicata ed esigente. Da una parte c’è il bambino di favela, figlio del “popolo in più”, il cui futuro è gravemente minacciato dall’abbandono, dalla malnutrizione e dalla brutale scuola di vita che è la strada. Nelle città del Brasile ce ne sono milioni! Dall’altra c’è la persona di buon cuore, che abita normalmente dall’altra parte dell’oceano e che, avendo avuto notizia di questa tragedia, è disposta ad aiutare. In mezzo, a fare da ponte, c’è il Centro che accoglie questi ragazzi poveri. Grazie a Dio, di questi Centri della Gioventù ce ne sono molti, sbocciati come fiori nell’inferno delle immense favelas di São Paolo e di molte altre città del Brasile, tra cui anche Santa Cruz. Questi Centri sono nati dal cuore e dal coraggio di persone di buona volontà che vivono qui in Brasile. Persone, come frei Francisco Pessuto (frei Chico), che di fronte alla situazione di ‘emergenza’ in cui vivono tanti bambini e adolescenti delle favelas, non solo si sono detti « bisogna fare qualcosa» ma ancor più hanno gridato «io devo fare qualcosa»! E lo hanno fatto! Nel caso di Santa Cruz, l’Opera di frei Chico accoglie attualmente più di quattrocento bambini e adolescenti poveri, garantendo loro accoglienza, nutrimento, formazione umana e preparazione alla vita. Come si fa e come funziona una “adozione a distanza”? Quando una persona decide di “adottare” un bambino, in pratica decide di aiutare l’Opera di frei Chico ad accogliere, nutrire ed educare un bambino offrendo un contributo periodico che viene inviato all’Opera per mezzo di Padre Mauro. L’offerta dell’adozione a distanza non va direttamente al bambino o alla sua famiglia, ma va all’Opera, perché possa accogliere il bambino e dargli quello di cui ha bisogno per la sua crescita e la sua educazione. Nel caso specifico di coloro che vengono a contatto tramite il Movimento del Rosario, le offerte si mandano a Padre Mauro, Promotore del Movimento, che le raccoglie e ce le invia con esattezza scrupolosa. Al padrino/madrina si manda la scheda di un bambino, con la foto e le informazioni necessarie. Tra il padrino/madrina e il bambino adottato si stabilisce una comunica-
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zione e un rapporto di amicizia. Questo dipende anche dall'età del bambino perché, se è piccolo, non è in condizione di capire e di comunicare. Due volte all’anno il padrino o la madrina riceverà tramite padre Mauro una letterina (o disegno) del bambino. I responsabili del Centro mandano, per mezzo di padre Mauro, una nota informativa annuale sulla vita del Centro e sul bambino adottato. Una delle difficoltà maggiori dell’adozione a distanza è determinata dal fenomeno della grande mobilità della gente che vive nelle favelas: persone e nuclei familiari senza radici, senza casa vera, molte volte senza lavoro e, per questo, sempre a caccia di nuove prospettive per una vita migliore. Conseguenza inevitabile di questa “mobilità dei favelados” è il fatto che spesso il ragazzo che frequenta il Centro, da un momento all’altro, può non esserci più perché la sua famiglia si è spostata in un’altra città. I responsabili del Centro non hanno la possibilità di evitare questo, e possono solo ringraziare il padrino o la madrina per l’aiuto che ha dato al Centro per il bambino e invitare il padrino o la madrina ad adottarne uno nuovo: la lista di attesa è sempre molto grande! A volte qualcuno ci resta male, ma in genere i nostri padrini e madrine capiscono questa situazione e accettano di fare una nuova adozione. Certamente il bene e gli insegnamenti ricevuti nel Centro dai ragazzi che hanno dovuto lasciarci daranno buoni frutti nella loro vita, e ne saranno sempre riconoscenti! Il sostegno a distanza è un’altra forma, per certi aspetti più semplice, di risposta alla forte “emergenza” dei ragazzi delle favelas. È un contributo economico periodico dato all’Opera di frei Chico, sempre per mezzo di padre Mauro, senza però stabilire un contatto diretto (adozione) con uno dei nostri ragazzi. Praticamente il risultato è lo stesso: si aiuta l’Opera ad accogliere i ragazzi delle favelas. È la storia dei due piccioni con una fava! È quello che più mi importa di dire in queste poche righe. Che cosa significa per i nostri ragazzi l’esperienza dell’adozione o del sostegno a distanza? È la
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scoperta concreta che in questo mondo non c’è solo quello che hanno sotto gli occhi tutti i giorni: violenza, ingiustizia, egoismo, esclusione dei più deboli, prostituzione, droga, alcoolismo eccetera... Scoprono che a questo mondo c’è anche amore, solidarietà, accoglienza, rispetto, giustizia! Questo essi lo imparano nei nostri Centri; e lo imparano anche dai loro padrini e madrine e benefattori lontani! Che cosa è l’esperienza dell’adozione o sostegno a distanza per il padrino/madrina e per il sostenitore? Come ho già detto, da quella visita fatta con padre Mauro, mi è rimasto nel cuore il ricordo del sorriso, dell’allegria, della passione con cui tanti padrini e madrine mi chiedevano e mi parlavano dei loro ragazzi adottati, e mi mostravano la letterina con la foto che avevano ricevuto. Sono i segni tangibili di un bene che hanno avuto il dono di compiere! È l’esperienza del dono, della gratuità, della paternità e maternità del cuore! A tutti voi, padrini e madrine, io trasmetto il ‘muito obrigado’ (grazie) dei nostri ragazzi! E ai ragazzi dell’Opera di frei Chico io dico, anche a nome di tutti voi, il nostro ‘grazie’: per la opportunità che ci è data di realizzare l’esperienza del ‘dono’, e di riceverne tanti benefici, per la ‘salute’ del nostro cuore, per il senso vero della nostra esistenza! La Madonna del Rosario, che è la vera Mamma dei nostri ragazzi poveri, vi benedica tutte e tutti, e vi ricolmi delle sue grazie! frei Mariano S. Foralosso o.p.
Frades Dominicanos 01235-010 São Paulo - SP São Paulo 17/ 02/ 2011 Caro Padre Mauro, con la presente voglio confermarti d’aver ricevuto (oltre alle numerose quote per le adozioni) anche l’offerta generica di 500,00 Euro che mi hai mandato, da parte di vari benefattori, a favore dell’Opera Centro São José di Santa Cruz do Rio Pardo. Ti prego di trasmettere il nostro più vivo ringraziamento, oltre che ai vari Padrini e Madrine, anche alle persone che hanno dato queste offerte. La generosità di tutti costoro ci permette di continuare a garantire ai nostri ragazzi accoglienza, protezione dalla ‘scuola’ della strada, alimentazione, formazione umana e cristiana e preparazione alla vita. Siamo certi che Signore non si farà vincere in generosità e li ricolmerà delle sue grazie e benedizioni. I nostri ragazzi pregano ogni giorno per i loro benefattori. Un caro saluto a tutti! Padre Mariano Foralosso OP
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La preghiera del rosario nella vita sacerdotale
Un solo corpo in Cristo con Maria Mauro Piacenza Arcivescovo titolare di Vittoriana Segretario della Congregazione per il Clero
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coronamento di quel dono di grazia che l’Anno sacerdotale è stato, l’11 giugno scorso, circa diciassettemila sacerdoti provenienti dai cinque continenti, si sono riuniti a Roma, attorno al Papa, per la concelebrazione eucaristica più grande della storia. Al termine, come un padre si assicura che i figli, in procinto di partire per una terra lontana, abbiano gli strumenti necessari per affrontare il viaggio ed evitarne i possibili pericoli, il Santo Padre ha affidato e consacrato tutti i sacerdoti, presenti e del mondo, alla Beata Vergine Maria, venerata con il titolo di Salus populi Romani. Dietro questo grande “gesto magisteriale”, insieme alla fede salda e coraggiosa di Pietro, risplende la coscienza che la Chiesa ha della propria imprescindibile e sempre nuova dimensione mariana, di quanto sia una cosa sola con la Vergine Santa, “proto-cellula” del Corpo ecclesiale, nella quale l’iniziativa della Grazia divina e la libera accoglienza umana si sono perfettamente coniugate, inaugurando il definitivo inizio della salvezza. A sua Madre, Cristo stesso ha affidato tutto il popolo dei credenti nella persona del discepolo prediletto, indicando così la natura della Chiesa che da Lui sarebbe nata: un solo Corpo, una sola Carne in Lui, con Maria. Nella Beata Vergine, così, la Chiesa contempla il più perfetto modello di fede ed il segno di sicura speranza nella gloria futura. Secoli e secoli di fede, santità ed insegnamenti magisteriali indicano, nella devozione mariana la “strada-maestra” del cammino di perfezione cristiana. Da oltre un secolo, poi, l’invito alla preghiera del santo rosario, caratterizza il mese di ottobre, che sta per cominciare. A questo proposito, è quanto mai utile considerare le ragioni della profonda ed affettuosa devozione che il popolo cristiano ha sempre nutrito nei confronti di questa preghiera. Non a caso, è bene ricordarlo, la recita del santo rosario, in comunità o nelle proprie case, gode dell’alto riconoscimento ecclesiastico dell’indulgenza plenaria. Dal punto di vista storico, il rapido e sorprendente sviluppo di questa splendida preghiera, attribuito dalla tradizione a san Domenico di Guzman, è stato sempre dettato nei secoli da una duplice ragione: da un lato, la straordinaria fecondità spirituale, sperimentata da quanti vi si affidavano; dall’altro, il suo essersi rivelata come mezzo efficacissimo per ottenere la protezione divina, nelle vicende storiche, che, durante il secondo millennio, hanno minacciato l’Occidente cristiano e la stessa
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Chiesa (cfr. Leone XIII, Supremi apostolatus officio, 1 settembre 1883). Ultima luminosa testimonianza del Rosario quale via ad Iesum per Mariam ci è stata offerta dal servo di Dio Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Egli, sulla scorta dei principali insegnamenti di spiritualità mariana, ha indicato, nel proprio motto episcopale, la consacrazione a Maria come la via più sicura ed efficace per la conformazione del discepolo a Cristo Signore: “Totus tuus”. Come non riconoscere, soprattutto nella vita ed in ciascuna giornata del sacerdote, la preziosità del rosario, quale memoria della salvezza, o come educazione del cuore all’atto di fede nel definitivo ingresso di Dio nella storia? Come non sentire l’urgenza di praticarne e diffonderne ancor più la recita, di fronte alle insidie dell’epoca contemporanea? Tuttavia, prima di ogni altra considerazione, è necessario riconoscere come la preghiera del rosario alimenti la nostra stessa identità sacerdotale. Se, infatti, nel renderci partecipi del Suo Sacerdozio - come il Papa ha autorevolmente insegnato (cfr. Veglia in occasione dell’Incontro Internazionale dei Sacerdoti a conclusione dell’Anno Sacerdotale, 10 giugno 2010) - Cristo ci tira dentro di Sé e così ci permette di usare il Suo stesso “io”, è nella contemplazione dei Misteri della Sua vita, tramite gli occhi ed il cuore immacolato di Maria, che possiamo conoscerLo di più, apprendere i Suoi sentimenti, accogliere la grazia che ci dona nella quotidiana celebrazione eucaristica e renderci sempre più disponibili a quanto Egli dispone per noi. Sarà la Beata Vergine Maria, che ora in corpo ed anima contempla la Gloria del Figlio, a comunicarci, come per osmosi, l’amore per il Figlio. Non stanchiamoci mai di imparare dalla Madre del Bell’Amore, che ha pronunciato, per tutta la Chiesa, il “sì” incondizionato alla volontà di Dio, permettendo così l’Incarnazione del Verbo, l’essere stesso della Chiesa e la Presenza sacramentale, ora, di Cristo nell’Eucaristia. A Lei, al suo cuore, siamo misticamente uniti, non solo come membra della Chiesa, ma specialmente, in quanto sacerdoti: siamo alter Christus, altri suoi figli! Essere sacerdoti, quindi, significa anche, per grazia, essere con Maria un solo cuore. Significa poter esultare: Totus tuus sum Maria et omnia mea tua sunt!
La gioia nella vita del cristiano Padre Fiorenzo Forani o.p.
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i racconta che lo scrittore Julien Green nel suo cammino di conversione si recasse spesso davanti alle chiese per osservare i cristiani che uscivano dalle celebrazioni e li osservava in volto cercando di cogliere su di essi il segno della gioia. Se veramente vedono Cristo, se vivono il mistero del suo amore, devono essere gioiosi, pensava. In effetti, un vero cristiano non può non nutrire nel cuore una gioia che lo porta a vivere il presente con un atteggiamento di fermezza e fiducia insieme. Da dove nasce, da dove ci viene la gioia? Certamente la fonte ultima è la stessa Trinità, nello scoprire la sua azione in mezzo a noi e in nostro favore: è l’agire di Dio nella storia umana... un agire che si vive nella memoria delle cose già fatte, ma anche nel continuo agire nel presente che suscita l’atteggiamento di fiduciosa speranza anche nei momenti meno comprensibili e dolorosi della nostra esistenza e si trasforma in una partecipazione operosa, da parte nostra, allo stesso agire di Dio, facendoci carico della realtà dei nostri fratelli, soprattutto dei più bisognosi, nella certezza che, in questo modo, stiamo collaborando alla realizzazione e più pronta venuta di quei “cieli nuovi e terra nuova in cui avrà stabile dimora la giustizia”, di cui ci parla Gesù e che scaturiranno come frutto prezioso del dono di se stesso per tutti noi e della nostra risposta... La gioia cristiana non è un atteggiamento esteriore e superficiale, nasce dall’interno del nostro essere, ne diventa come il canto che illumina e manifesta il suo crescere progressivo secondo il modello che è Cristo stesso... è frutto dello Spirito che agisce in noi e nel mondo perché, ovunque trova una vera disponibilità, porti alla pienezza della realizzazione del disegno di Dio, così che vi sia un cammino vero verso la ricapitolazione finale in Cristo. La gioia dunque nasce da una presenza che è Gesù stesso e lo Spirito d’Amore che Lui ci dona, affinché questo stesso amore che ha condotto Lui a darsi per noi, ci aiuti a comprendere e ripercorrere questa strada così che anche noi ne siamo trasformati e collaboriamo a trasformare la realtà con gesti che sbocciano dall’amore... In questa risposta che produce la gioia, potremmo dire, per usare una immagine, che la gioia di Cristo è come un immenso fiume sotterraneo che scorre nelle profondità del nostro essere e del mondo, e solo chi sa rinunciare alla strada comoda e superficiale di facili soluzioni per scendere nella conoscenza di sé e degli altri, scavando il pozzo dell’amore può attingere di quest’acqua!
Ogni gesto d’amore, ogni dono di sé, anche nelle cose più piccole di ogni giorno, è come una badi-
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lata di terra che viene tolta e quindi un approfondire il nostro pozzo che diventa così più abbondante di queste acque misteriose che sono il dono di Cristo, sempre più in grado di portarci là dove arriveremo ad attingere per dissetarci e dissetare. La prima caratteristica dei santi, proprio perché attingono profondamente a Cristo è quella della gioia e della pace che riescono a trasmettere, tanto che ne è nato quel proverbio che dice: “Un santo triste è un tristo santo...” come dire, se non c’è gioia vuol dire che c’è poca santità...! E’ chiaro, comunque, da quanto appena detto, che la gioia viene come frutto di una vita vissuta con grande serietà - sembra quasi un controsenso! - nella misura in cui c’è un impegno vero per non sprecare i doni che il Signore ci ha fatto e farli fruttificare in un atteggiamento che è, istante per istante, un rifuggire dalla ricerca del proprio comodo e del proprio egoismo e un aprirsi al dono... perché è il dono che nasce dall’amore vero che fa crescere la vita, e dove la vita è in crescita, là sgorga una gioia sempre nuova anch’essa in crescita... questo perché il nostro essere è stato voluto da Dio capace di aprirsi all’incontro con la sua stessa realtà infinita, e tutto quello che aiuta la crescita vera nell’essere è fonte di gioia, proprio perché aumenta la nostra partecipazione all’essere stesso (o vita..) del nostro Dio, preparando e anticipando l’incontro pieno... questo ci porta anche ad una continua ascesi, cioè al superamento di quanto raggiunto. Dobbiamo stare attenti a non diventare schiavi del desiderio di semplicemente conservare quello che ci sembra di aver già ottenuto. Nel cammino con Gesù, chi si ferma è perduto. Non siamo ancora arrivati, tutta la nostra vita è un “seguire Gesù”, un farsi dono con Lui e per Lui, in un superamento continuo del
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già raggiunto, proiettandosi verso il non ancora totalmente presente... e questo è possibile solo aiutandosi, aiutando il fratello a raggiungere la sua gioia... Gesù non ci chiede di aiutare i fratelli per un senso di obbedienza, ma perché quella è l’unica strada che ci permette di scoprire e non perdere, ma far fruttificare i doni che sono in noi, così che il nostro essere cresca verso di lui, verso la maturità, la realizzazione di quel progetto che Dio ha immesso in ciascuno di noi al momento in cui siamo stati chiamati all’esistenza. E nella misura in cui questo progetto diviene realtà, si realizza ciò per cui Dio ci ha creati e, come conseguenza, crescerà in noi la gioia. Chi rifiuta questo cammino e sceglie altre strade, rifiuta di essere felice, rifiuta il dono della gioia, pur cercandola disperatamente con tutte le proprie forze! La letizia spirituale, la gioia interiore che traspare su un volto sereno e da un cuore traboccante è il frutto di una vita donata, spesa per gli altri. La gioia è il fiore più bello che spunta dalla carità, un raggio dell’amore cristiano che illumina la nostra esistenza e la fa risplendere in tutta la varietà dei suoi doni donando vita e creando comunione... Tutto questo avviene in un cammino di umiltà, di nascondimento, il dono generoso di sé in un autentico slancio d’amore, non cerca la gratificazione personale, la lode, l’apparenza ma solo e sempre il bene della persona che viene amata… proprio per questo mentre lo scandalo, la violenza, il male fanno molto chiasso, attirano l’attenzione, il bene anche se grande procede in silenzio… fa più frastuono un albero che cade di una foresta che cresce… ma è proprio nel nascondimento, nel silenzio, nella quasi totale invisibilità, come l’azione del lievito nella massa, che il bene, pian piano ma inesorabilmente, trasforma il mondo. Suo unico segno è la gioia che traspare sul volto di chi opera veramente il bene e segnala la nostra unica vera vocazione: la vocazione alla santità: vocazione alla gioia. Da Antonilla, che si è recentemente iscritta al Rosario Vivente, ci giunge questa bella testimonianza di gioia: Quando domenica pomeriggio ho finalmente detto sì a Maria, ho provato una grande serenità interiore. Durante il Rosario mi sono sentita avvolgere da una grande gioia a tal punto che le lacrime mi scendevano continuamente: tutta questa emozione per una decina!! Con tutta sincerità dico che la Madonna la sento molto vicina ed è la mia Maestra che mi guida la mano quando faccio i fiori per l’altare e tante volte le chiedo consiglio anche per il pranzo. Come potevo dire di no proprio a Lei? Sono sicura che mi aiuterà a non dimenticarmi nemmeno un giorno di adempiere all’impegno quotidiano preso. Grazie al Rosario Vivente, ma soprattutto grazie a Maria per la pazienza che porta con me. Antonilla
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catechismo per tutti
Ambone
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opo l’altare un altro fondamentale luogo della celebrazione è l’ambone dal quale è proclamata la Parola di Dio. Non sempre nelle nostre chiese c’è uno spazio destinato al luogo della proclamazione della Parola di Dio. Esso il più delle volte – purtroppo! – è sostituito da un semplice leggìo, che non dice nulla e, soprattutto, a volte non riesce neppure a svolgere la sua funzione, che è quella di reggere il lezionario e l’evangeliario. Parlare d’ambone e vedere nelle nostre chiese leggii traballanti non è molto coerente; ma vogliamo pensare adesso agli amboni, quelli veri, sperando che in futuro si possa non solo sentir parlare d’ambone, ma anche vederlo nelle nostre assemblee come luogo dignitoso della Parola e come (perché questo significa l’ambone) giardino della risurrezione di Cristo, segno muto ed eloquente della tomba vuota. Il termine “ambone” indica il “luogo elevato” (deriva infatti dal verbo greco anabàinein che significa salire) da cui si proclamano i testi biblici durante le liturgie. Gli amboni furono costruiti proprio così: come luoghi alti su cui bisognava salire. Nella celebrazione della messa l’altare e l’ambone segnano – attraverso una duplice dimensione spaziale – i due poli celebrativi comunemente noti come liturgia della parola e liturgia eucaristica. La “Costituzione conciliare sulla divina rivelazione” afferma: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum, 21). È quindi chiara la relazione che intercorre tra ambone e altare. Questa connessione fra le “due mense” dovrebbe condurre architetti e artisti a realizzare dei progetti che evidenzino anche stilisticamente questo reciproco legame. L’ambone ha una sua storia, come l’altare, e parte da lontano, nel periodo dopo l’esilio babilonese. Ascoltiamo dal libro di Neemia: «Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci d’intendere. Lesse il libro sullo spiazzo davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno... tutto il popolo porgeva l’orecchio a sentire il libro della Legge. Esdra lo scriba stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza. Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo rispose: "Amen, amen!", alzando le mani s’inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore» (Ne 8,2.5-6).
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Ambone
È una liturgia della Parola quella ch’è descritta, e per la prima volta si pone in risalto questa tribuna alta, quasi come una torre, da cui è annunciata la Parola che scende sul popolo radunato. È una Parola che scende dal cielo sul popolo riunito per operare la conversione attraverso l’ascolto del Signore che parla. Nelle sinagoghe di Israele la Parola veniva proclamata da una tribuna alta. Pure Gesù nella sinagoga di Nazaret s’alzò a leggere le Scritture (Lc 4,16-30). L’ambone è il luogo privilegiato per l’annuncio della Parola, della buona notizia, dell’Evangelo. Quando la comunità primitiva si riuniva nelle case per l’Eucaristia, certamente il luogo non permetteva d’avere uno spazio specifico per la proclamazione della Parola; ma dopo l’editto di Milano – emanato dall’imperatore Costantino nel 313 –, le comunità costruirono luoghi per la celebrazione e probabilmente dalla sinagoga presero la tribuna di legno per la lettura delle Scritture. Costruirono così i primi amboni. Strutturalmente l’ambone è realizzato secondo sistemi architettonici e stilistici diversi, e nel corso della storia ha avuto collocazioni diverse all’interno dell’aula chiesastica. Le indicazioni proposte da “Principi e norme per l’uso del Messale Romano” sono sufficientemente chiare: «Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggìo mobile. L’ambone, secondo la struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli» (n. 272). Inoltre le "Precisazioni CEI" invitano a non utilizzare l’ambone come supporto per altri libri all’infuori dell’Evangeliario e del Lezionario (n. 16). L’ambone è una struttura che contiene anche il leggìo per riporvi i libri delle Scritture, ma un semplice leggìo non costituisce un ambone. Pertanto, come nel caso dell’altare, l’ambone non va concepito come un arredo, ma come uno spazio architettonico armonizzato con l’ambiente che l’accoglie e con le altre strutture. L’ambone non ha bisogno di essere ricoperto da drappi e altri ornamenti. Una sobria confezione floreale può porlo in risalto, ma mai occultarlo o renderlo difficilmente accessibile e funzionale. È bene curare un’illuminazione adeguata per assicurare una buona visibilità dell’ambone da parte dell’assemblea ed una perfetta leggibilità dei testi da parte dei lettori. In molte chiese sprovviste di ambone fisso si nota la presenza di due leggii: uno per la proclamazione della Parola, l’altro per reggere il messale presso la sede. Può anche trovarsi un terzo leggìo per la guida dell’assemblea. Ci si potrebbe chiedere: quale, di queste strutture, è la sede della Parola di Dio? Spesso, infatti, sono leggii uguali. Se una chiesa è sprovvista di un ambone fisso, la sede della proclamazione della Parola deve potersi distinguere dalle altre strutture che funzionalmente sono uguali (servono tutte per sostenere dei libri), ma simbolicamente son ben diverse. Molto bella la sottolineatura di J. Alda-
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zábal: «Una lettura, da qualunque posto sia proclamata, ha sempre lo stesso valore. Ma è certamente più espressivo l’annuncio fatto alla comunità da un luogo riservato e degno: è la cattedra dalla quale Dio ci parla, il vero trono della sapienza dal quale Cristo si rivela nostro unico Maestro. Una Parola che ci viene dall’alto, non inventata da noi. Una Parola trasmessa con la mediazione della Chiesa, non per iniziativa privata». Circa l’utilizzo dell’ambone è bene ricordare che da esso si proclamano esclusivamente le letture e il salmo responsoriale. Con una ‘formula concessiva’ “Principi e norme” (n. 272) afferma: «Ivi inoltre si può tenere l’omelia e la preghiera dei fedeli». L’omelia è da tenersi preferibilmente alla sede (cfr. n.97). È, infine, espressamente affermato che «non è conveniente che all’ambone salga il commentatore, il cantore o l’animatore del coro». L’uso improprio dell’ambone comporta un impoverimento della portata simbolica che esso deve trasmettere durante le celebrazioni. Il ministrante all’ambone Per questo significato e per l’importanza della proclamazione della Parola di Dio il ministrante sta all’ambone come sta davanti all’altare: con sommo rispetto e con molta dignità. Non si va all’ambone per qualsiasi motivo (questo lo dico soprattutto per i più piccoli che a volte sono un po’ birichini: non si sale all’ambone neanche per giocare con i microfoni, specialmente quando il parroco non vi vede!!!), ma solo per la proclamazione della Parola. Il ministrante, in particolare, vi sale, o si avvicina ad esso, assieme al diacono che, nella celebrazione, prende il libro dei Vangeli dall’altare e lo porta solennemente all’ambone. Il ministrante accompagna il diacono con le candele e con l’incenso per la venerazione dell’evangeliario; vi sta fino al termine della proclamazione dell’Evangelo con dignità e, se necessario, riaccompagna il diacono che porta l’evangeliario al presidente della celebrazione per essere venerato con il bacio, se con esso si deve benedire l’assemblea. Altare e ambone sono luoghi importanti per la celebrazione, poli ove si svolge la liturgia. Altare e ambone che ci ricordano, l’uno l’importanza del sacrificio del Signore per noi e la grazia che riceviamo allorché siamo invitati alla cena del Signore, e l’altro la necessità d’ascoltare ogni Parola che esce dalla bocca del Signore, d’ascoltare il Figlio prediletto del Padre, d’ascoltare il Verbo di Dio per avere in noi la vita. Altare e ambone ove la Sposa (la Chiesa) si nutre al banchetto dell’unico Sposo e Signore Gesù Cristo che per lei si è fatto Parola e Pane di vita.
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Pregare fa bene alla salute Padre Piero Gheddo
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regare fa bene alla salute. Non è un dogma, ma semplicemente un’esperienza mia e credo di molti altri. Da pochi giorni è iniziato il mese di maggio, nella tradizione cattolica dedicato alla Madonna. Fin dai nostri primi anni tutti noi credenti siamo imbevuti della devozione a Maria, la nostra fede in Cristo è strettamente congiunta alla devozione mariana, Cristo richiama Maria e Maria ci rimanda a Cristo. Uno dei più bei ricordi che ho conservato dei cinque anni trascorsi nel Seminario diocesano di Moncrivello (Vercelli) per il ginnasio (1940-1945) è l’appuntamento serale alla Grotta di Lourdes al fondo del grande orto e cortile. Dopo la cena e la ricreazione, si andava tutti assieme alla Grotta dove dicevamo “le preghiere della buona notte” a Maria. Con breve fervorino mariano e canto finale nell’ora del tramonto e nel silenzio e pace della campagna, col frinire dei grilli in sottofondo, che invitava alla riflessione e alla commozione pregando e pensando alla Mamma del Cielo. Erano anni di guerra e il seminario sorgeva a poche decine di chilometri da Torino: a volte di sera e di notte andavamo in terrazza a vedere i lampi e tuoni dei bombardamenti e a pregare per quei poveri torinesi che morivano sotto le bombe; e poi eravamo in zona di guerriglia partigiana fra le risaie vercellesi e le colline del Canavese. Sentivamo racconti di violenze, vendette, fucilazioni, torture, agguati, Padre Piero Gheddo perquisizioni notturne, di giorno e di notte passavano in (www.gheddopiero.it), già diretseminario gruppetti di partigiani o di militi fascisti che tore di Mondo e Missione e di suscitavano in noi ragazzini un senso di paura e di pietà. Italia Missionaria, è stato tra i Anni di scarso e a volte disgustoso cibo (le amarissime fondatori della Emi (1955), di rape bianche bollite coltivate nell’orto, che dovevamo Mani Tese (1973) e di Asia News mangiare!). E poi, alla sera, il rifugio della preghiera fra (1986). Da missionario ha viagle braccia della Mamma, che ci mandava a letto sereni e giato in ogni continente e ha pacificati con la vita. scritto oltre 80 libri. Ha diretto a Dobbiamo riprendere le devozioni del mese di maggio: il Roma l’Ufficio storico del Pime Rosario e il “fioretto” quotidiani, cioè la mortificazione ed è stato postulatore di cause di che ci si impone per controllare la nostra volontà e sensicanonizzazione. Oggi risiede a bilità e orientarle a Dio. “Bisogna mortificarsi nelle cose Milano. lecite – diceva mio padre Giovanni – per poter resistere
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alle cose illecite”. L’amore e la devozione a Maria devono crescere perché, come diceva Paolo VI in un discorso del 1971, “occorre introdurre il ricordo di Maria, il suo pensiero, la sua immagine, il suo sguardo profondo nella cella della religiosità personale, della pietà segreta e intima dello spirito”. In altre parole, non basta una devozione formale, il mese di maggio può portare ciascuno di noi ad amare Maria con cuore sincero e filiale, in modo che diventi davvero il nostro rifugio nell’ora della tentazione, della stanchezza, della depressione, della sofferenza e sostenga la nostra volontà nella scelta del meglio, nella costanza dell’impegno, nella capacità del sacrificio. E’ un’esperienza molto concreta che ciascuno può fare, impegnandosi nel mese di maggio a dare un po’ del nostro tempo e della nostra preghiera a Maria. Perché il Rosario? Per tanti motivi, ma per me è la preghiera più facile e immediata, più meditativa e affettiva, che mi permette in ogni momento della mia giornata di elevarmi a Maria e a Cristo e praticare quella “preghiera continua” che è indispensabile per giungere a sentire vivamente la presenza di Dio in noi. Questo sentimento fa bene alla salute, perché relativizza le cose materiali, ci fa vivere, pur immersi nel mondo e nelle fatiche quotidiane, in una dolce unione con Dio che ci mantiene sereni in tutte le vicende della vita. Ogni tanto, qua o là, si legge di un ritorno al devozionalismo, si critica il Papa perché, così dicono alcuni, vuole tornare al passato e far risorgere pratiche tradizionali considerate alienanti. Così il Rosario è spesso bollato per devozionalismo o conservatorismo. Ma nessun santo ha praticato un cristianesimo senza devozioni, né la Chiesa ha mai insegnato questo. Il Rosario non è certo essenziale alla fede, ma si manifesta ancor oggi come uno strumento importante per portare i fedeli a vivere la fede. Diceva Giovanni XXIII, che del Rosario era devotissimo: “Il Rosario è un esercizio avvincente, insostituibile di preghiera”. Roma, lunedì, 3 maggio 2010 (ZENIT.org).
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Non un semplice elenco di preghiere
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crivere una testimonianza sulla preghiera nella nostra famiglia non significa fare un semplice elenco delle preghiere che ne animano la vita, o millantare un rapporto privilegiato con la preghiera stessa. Il rischio è sempre quello: apparire dei sentimentali, dichiarare un amore “grande” per il Signore e la sua santissima Madre, fare a gara nell’apparire fervorosi. In realtà, tolta quella patina di cui dicevamo sopra (e vi garantisco che, prima o poi, cade) che cosa rimane? La prima cosa che viene in mente è che per la nostra famiglia la preghiera è un cammino: scandisce il ritmo della nostra vita, direi anzi che ne detta i tempi; e certamente cresce insieme a noi. Questo significa innanzitutto fare della preghiera – insieme certamente alla celebrazio-
ne eucaristica – il centro di gravità attorno al quale ruota tutta la nostra vita. Una vita che, intendiamoci, è fatta di alti e bassi (lo stesso ritmo che segue anche la preghiera) ma che lentamente, se sappiamo perseverare, si incammina verso la speranza ed inizia a realizzare quello che la preghiera promette. I benefici che la preghiera arreca alla famiglia sono ben noti a chi la pratica, ma vorrei sottolineare un aspetto di cui ci stiamo sempre più convincendo: la preghiera, aprendo al trascendente, amplia anche gli orizzonti nostri personali e della famiglia; le conferisce un respiro che, per chi vive con fede, travalica i confini che normalmente siamo abituati a considerare. Consentiteci, per ultimo, un’annotazione, questa sì “sentimentale”: quanto è bello avere la consapevolezza, mentre li ascolti pregare, che stai trasmettendo ai tuoi figli l’unica cosa importante; l’alfabeto per poter comunicare con Dio. A Gesù per Maria. Massimiliano Guerrini
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Ave Maria Ave Maria, ti prega il mio cuore, e subito mi torna il buonumore. Che se son triste e la Tua Corona prendo, il mio cuore si fa contento. Resta con me, Madre mia, non permettere che io vada via, E con san Giuseppe il Tuo dolce Sposo, fa che con Gesù per sempre io riposo!
Piccole giaculatorie in rima
*** Al Cuore di Gesù Cuore di Gesù, mio dolce amore, dei miei guai il Salvatore. Se mi scordo di invocarTi, non permettere di abbandonarTi!
Dorotea Lancellotti ci ha inviato queste piccole giaculatorie in rima e brevi pensieri dedicati a Gesù e a Maria Santissima.
I Misteri del Rosario Con il Dono del Rosario, del Vangelo abbiamo il notiziario; la vita di Gesù con Maria impariamo, e per la santità ci addestriamo! Dai Misteri Gaudiosi apprendiamo che nel “Sì” di Maria anche noi risplendiamo, e se con Lei ci accompagniamo, la nostra vita con Gesù ridisegniamo. Con i Misteri Luminosi si prosegue, nella sana dottrina che si segue, con Gesù verso il Regno dei Cieli andare, e con Maria di grazie abbondare!
*** Cuore di Maria Cuore di Maria, dolce Madre mia, non permettere che da te vada via. Se mi vedi distratto dalle mode del momento, dammi subito un avvertimento!
I Misteri Dolorosi di Gesù ci dicono quanto i nostri peccati lo feriscono; ma con Maria e il suo Rosario a Gesù possiamo dare la nostra vita da salvare!
Corona del Rosario La Corona del Rosario che mi è stata un dì donata, fra le mani e sul cuor l’ho sempre portata. Ma non è un monile, né superstizione,
Dai Misteri della Gloria così scopriamo che con Gesù noi risorgiamo; e se con Maria le Glorie mediteremo, l’intero Paradiso abbracceremo!
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la si usa e la si porta con devozione! I suoi grani bisogna usare, le Ave Maria ripassare; i suoi Misteri meditare. E quando il Rosario è finito, di buoni propositi è così guarnito, allora alla mia dolce Madre l’affido, e nel suo materno aiuto per sempre confido!
di Betlemme quel Natale, dal quel “Sì” generoso della Madre ricevi l’adozione parentale; e se alle Nozze di Cana ti fermi a pensare di come quell’intercessione fu vitale, comprenderai come nel mistero dell’Eucarestia, ci fu donata una grande amnistia. Ai piedi della Croce quel fermento fu Sacramento, e Gesù morente la Madre ci diede nell’accompagnamento. Ma non la morte ebbe l’ultima parola, e con Maria meditiamo questa gloria, Ella ci dice che il Figlio Suo è il Vivente e nella Chiesa questo è testimoniato abbondantemente!
*** Risposta Una vita senza Dio non funziona, il Rosario verso Lui ci direziona; chi non domanda non riceve risposta, e il Rosario di Maria alla Verità ci riaccosta! *** Prosperità Dio ama compiere le sue opere con mezzi poveri, e le Corone del Rosario son come tanti ricoveri; diamo a Dio una fede generosa, e da Maria la grazia giungerà prosperosa! *** La via La speranza fa sì che l’uomo non si chiuda in se stesso, con il Rosario e genuflesso, al mio dolce Signore consegno il successo, ma anche l’insuccesso. E attraverso il Cuore di Maria, mi sarà aperta ogni via!
Ora Gesù la Madre Sua porta in gloria, e questa è la vera cronistoria: come vedi il Rosario abbiamo meditato, suvvia! Prendi questa Corona e siine innamorato!
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Innamorarsi del Rosario Chi vuole essere amico di Gesù e autentico discepolo diventare, la Madre Maria da Lui non può separare. E per coltivare con Lui la vera intimità ed amicizia, ti conviene il Rosario adoperare con dovizia. Quando ti fermi a meditar
Sacra Scrittura La lettura della Sacra Scrittura è preghiera, e del Vangelo il Rosario di Maria è ereditiera, dei Misteri contenuti è gioielliera; con lo Spirito Santo è referente di una promessa adempiente.
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La felicità Non c’è un vero conoscere se non c’è amore, e il Rosario di Maria è un ottimo alimentatore. Conoscere solo in superficie non basta, conoscere con il cuore ti entusiasta! Ben conosce Maria dell’uomo l’esigenza, di avere della vera felicità piena conoscenza, Ella con il Rosario per tutti ne dà prova, e giunti da Gesù l’anima si ristora!
Rosario e Messa Qualcuno erroneamente pensa, che il Rosario la Messa scompensa... ma questo è un errore grave, poiché il Rosario, della Messa, fa da architrave! Non dare ascolto a chi il Figlio separa dalla Madre, perché il Suo Rosario ci riporta al Padre. Prendi questa Corona se ancor non sei convinto, e medita dei suoi Misteri il Cuor di Dio dipinto. Confida nella Madre che sempre attende, l’uomo che nella confusione fraintende, per portarlo da Gesù, Suo Amore, e donargli l’autentico buonumore.
*** Teologia Dio è il soggetto della teologia, e il Rosario di Maria ci dispiega la Sua pedagogia, nel suo parlare e pensare a Dio ascoltiamo, e ad ogni uomo la Sua Parola portiamo. *** Responsabilità Laddove Dio viene escluso dalla sfera pubblica, immediatamente la menzogna fra gli uomini brulica, le categorie di bene o di male svaniscono, e le anime degli uomini avviliscono! Ma se tu porti di Maria il Dono del Rosario, il bene e il male non è più confusionario. L’Uomo così comprende qual è la via retta, e se hai pazienza con l’amor l’accetta. Si risveglia anche la responsabilità individuale, e, con il Rosario, alla salvezza l’uomo arriva puntuale.
*** Rivelazione Senza un adeguato raccoglimento, non è possibile avvicinarsi a Dio con arricchimento. Se usi il Rosario per comprendere la Rivelazione, avrai la Verità senza adulterazione!
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a vi sp ia m e tt o
Movimento Domenicano del Rosario 3355938327 - e-mail: info@sulrosario.org
Convento San Domenico - Bologna
, ite ven
convegno del rosario
domenica 10 aprile 2011
ore 09,30 ritrovo in piazza San Domenico ore 09,45 Ora mariana nel Salone Bolognini ore 11,00 Tavola rotonda con: Mauro Faverzani (giornalista) Antonio Gaspari (“Zenith” e “l’Ottimista”) Dorotea Lancellotti (laica domenicana, sposa e madre) don Paolo Zuttion (Caritas diocesana di Gorizia) Presiede: fra Riccardo Barile (Provinciale Domenicani) ore 13,00 Pranzo al sacco in un locale del Convento ore 15,00 Rosario meditato con testimonianze dei ragazzi della “Comunità Cenacolo” di suor Elvira ore 16,30 S. Messa concelebrata in Basilica, presiede fra Riccardo Barile op, Provinciale Domenicani ore 17,15 Conclusione
In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa