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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLIV - n. 2 - II trimestre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

Uno sguardo di speranza

2/2011


Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

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Il numero è stato chiuso il 30 maggio 2011

Il Beato Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, iscritto da sempre al “Rosario Vivente”! Il giovane Karol visse la sua giovinezza in anni molto difficili. Anche la Polonia subiva l’occupazione nazista, eppure la Chiesa continuava a difendere la fede. Anche nella sua parrocchia era attivo il movimento del “Rosario Vivente”: Karol e i suoi compagni si iscrissero con entusiasmo, impegnandosi a mettere in pratica, nella vita di tutti i giorni, gli insegnamenti che venivano dalla preghiera e dalla lettura del Vangelo.

Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. L’invio delle fotografie include il consenso per una eventuale pubblicazione.


speciale Con vegno

del Rosario Bologna 10 aprile 2 011


Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce

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uesto numero di Rosarium è interamente dedicato al “Convegno del Rosario” che si è tenuto a Bologna il 10 aprile scorso presso la Basilica di San Domenico.

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roverete: – l’intervento del priore provinciale fra Riccardo Barile, che ci ha onorato della sua presenza e che ha presieduto i lavori; – la cronaca dettagliata delle relazioni svolte nel corso della mattinata; – il contributo di Antonio Gaspari che, per motivi personali, non ha potuto partecipare al convegno; – l’intervista che un nostro collaboratore ha fatto a uno dei relatori, don Paolo Zution; – le testimonianze di alcuni dei partecipanti al convegno; – l’intervista sui temi del convegno a Massimo Viglione, direttore di una tra le più diffuse riviste cattoliche .

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periamo che queste pagine contribuiscano a tenere viva, in chi era presente, la memoria non solo dei contenuti, ma anche – e soprattutto – dei valori testimoniati dai relatori, che ci hanno parlato delle loro scelte, esperienze ed iniziative di bene. Ma siamo certi che queste testimonianze sapranno interessare e convincere anche chi non c’era.

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a più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”: impegniamoci tutti a rendere concreto, visibile, desiderabile il tanto bene che ci circonda e contribuiamo anche noi ad accrescerlo con il nostro esempio di vita. 4


Il Priore provinciale Non siamo i primi, però... La frase guida del nostro incontro - «Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce» - sembra risalire al cinese Lao Tse, più o meno vissuto nel sec. VI avanti Cristo. Nell’Antico Testamento troviamo poi la nota sentenza: «Non dire: “Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?”, perché una domanda simile non è ispirata a saggezza» (Qo 7,10), che invita a non ritenersi in una condizione peggiore di quella passata – lamento spesso ricorrente – e sotto sotto, anche se non lo dice, a vivere il presente con fiducia e impegno. L’esortazione del Qoelet deve essere arricchita con l’invito a considerare come anche ciò che sembra male sarà riscattato, per cui l’importante è di restare in un atteggiamento di lode: «Le opere del Signore sono tutte buone; egli provvederà a ogni necessità a suo tempo. Non bisogna dire: “Questo è peggiore di quello”. Tutto infatti al tempo giusto sarà riconosciuto buono. E ora cantate inni con tutto il cuore e con la bocca, e benedite il nome del Signore» (Sir 39,33-35). Dunque non siamo i primi a fare qualche sforzo per educare noi stessi e gli altri a vedere il bene che c’è intorno a noi e da sempre la Chiesa così educa i fedeli. È tuttavia vero che ogni epoca ha un suo modo di educare a vedere il bene, che tiene conto del contesto in cui si vive. Oggi, molto più che nel passato, saper vedere il bene che cresce comporta sapersi districare tra la rete fittissima delle informazioni che ci avvolgono. La quantità e la rapidità delle informazioni sono fatti inediti rispetto al passato e comportano un modo di guardare il mondo che riceviamo senza accorgercene e che non sempre è “cristiano”. Infatti ogni sistema di comunicazione – ad esempio i giornali o la TV – di fatto compie due fondamentali scelte: - stabilisce una gerarchia dei dati: tra le notizie da comunicare o gli argomenti da discutere quali poniamo per primi? per ultimi? quali escludiamo? - offre o impone un punto di vista nel commentare e interpretare l’informazione stessa. A fronte di tutto ciò il discernimento consiste nel domandarsi: quali sono o devono essere la gerarchia dei dati e quale il punto di vista di un cristiano? Tentiamo di indicarne qualcuno.

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Uno sguardo di fede, cioè la presenza di Dio Vedere il bene che cresce è vedere Dio all’opera nelle vicende del mondo fisico e della storia. Ma questo sguardo di fede sembra provare difficoltà di fronte al male provocato dagli uomini stessi, che sembra supporre una dolorosa e assurda assenza di Dio: «Poiché non si pronuncia una sentenza immediata contro una cattiva azione, per questo il cuore degli uomini è pieno di voglia di fare il male» (Qo 8,11). Qualcosa del genere vale anche per la natura (i disastri), la cultura, l’evoluzione della storia a livello globale e personale: talvolta – spesso? – sembra di non verificare un intervento puntuale di Dio. Ciò avviene perché Dio – ovviamente senza negare la nostra responsabilità e senza condividere le nostre scelte sbagliate – sostiene tutto. Non solo dove c’è carità e amore qui c’è Dio, ma dove c’è realtà qui c’è Dio. E questo è il senso più primitivo e radicale del kérygma: la creazione e il mondo in cui ci troviamo sono opera di Dio e noi nel mondo siamo all’interno di un progetto che è benevolo: «(...) vi annunciamo che dovete convertirvi (...) al Dio vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che tutte le genti seguissero la loro strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la letizia dei vostri cuori» (At 14,15-17). Dunque il male non è l’ultima parola anche nei disastri della natura, della storia umana e della nostra storia personale.

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Uno sguardo di speranza «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). Le parole del profeta erano dirette a esuli destinati a morire in esilio, ma Dio li invitava a guardare oltre la durata della stessa loro breve vita e a vedere “un futuro pieno di speranza”. La speranza è lo sguardo caratteristico del cristiano, il quale sa che la presenza e l’azione di Dio sono presenza e azione di salvezza verso di noi e in vista di un progetto bello. Non si tratta di essere né ottimisti né pessimisti – atteggiamenti spesso legati al temperamento –, ma uomini e donne di speranza, fiduciosi che Dio porterà a compimento il suo disegno, soprattutto se questo disegno non è solo un sostegno nella condizione di questo mondo, ma le ricchezze che Cristo ci ha portato, che ci sono già state comunicate e che ci stanno avviando verso la risurrezione della carne, verso la Gerusalemme celeste, verso il trionfo assoluto del bene. Vedere questi germi, questa azione di Dio, è guardare il mondo attraverso la speranza cristiana. Una speranza che non è contro l’evidenza delle cose e delle vicende anche negative, ma che è in grado di vederne l’orientamento finale – Dio, nonostante i mali nostri e del mondo, ci sta conducendo verso la gioia e la risurrezione – ed è in grado di trovare un sostegno nei momenti difficili di quaggiù. Guardare così il mondo e la storia è un guardarli diversamente da tanta informazione, è un vedere “la foresta che cresce” e che in Cristo è molto più grande e più bella di quanto potesse immaginare Lao Tse.

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Come fare per vedere il bene e praticarlo? Potremmo considerare un esempio di san Gregorio Magno († 604) che, a fronte delle difficoltà storiche del tramonto di un’epoca, difficoltà segnate da guerre e devastazioni tanto da far sospettare di essere giunti a pochi passi dalla fine del mondo, con una serie di omelie propose a sé e al popolo di Roma di lasciarsi illuminare e consolare dalle parole del profeta Ezechiele rilette alla luce di Cristo. Dunque la soluzione è rendere presente Gesù Cristo e la salvezza nelle varie situazioni della vita: ciò aiuterà a vedere il bene che cresce e a praticarlo. Per la Chiesa di sempre e per noi ciò può avvenire: - con la celebrazione dei sacramenti; - con la memoria costante della preghiera, che nella quotidianità prolunga la grazia dei sacramenti e dona uno sguardo nuovo di fede e di speranza sul mondo e su noi stessi. Parlando di preghiera è spontaneo riferirsi al Rosario. La sua triplice serie di misteri, o quadruplice con l’integrazione facoltativa suggerita dal beato Giovanni Paolo II, ci pone di fronte alla realtà del mondo e della nostra vita come una cosa buona che Cristo ha assunto con l’incarnazione (misteri gaudiosi); che Cristo ha illuminato con la presenza salvifica (misteri della luce); che ha vissuto negli aspetti bui e dolorosi riscattandoci dal peccato (misteri dolorosi); che ha trasfigurato con la risurrezione (misteri

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gloriosi), alla quale ci sta conducendo e nella quale ci introdurrà nell’ultimo giorno. Quanto bene e quanta foresta che cresce è in grado di vedere chi ha fede rispetto a chi è nell’ignoranza di Cristo! Quanta luce in più sul mondo si vede attraverso la sguardo di Maria che in Cristo indica la strada! E infine non si tratta solo di vedere e di sperare. Lo sguardo di fede e di speranza diventa una sorgente di iniziative di bene, le quali talvolta addirittura conservano quanto c’è di buono nel mondo e che il mondo “laico” talvolta lascia cadere perché non regge alla fatica. Invece, con tutti i loro limiti, i cristiani, oltre che vedere il bene che sta crescendo, ne diventano costruttori perché è «con la fede e la costanza» che «divengono eredi delle promesse» (Eb 6,12) e anche questa è «la perseveranza dei santi, che custodiscono i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Ap 14,12). P. Riccardo Barile o.p. priore provinciale

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I l C o n vegno D

omenica 10 aprile si è svolto a Bologna il Convegno del Rosario organizzato dal promotore fra Mauro Persici e rivolto in particolare alla zona est della Provincia. La partecipazione è stata al di sopra delle più rosee previsioni: il salone Bolognini (400 posti) è risultato quasi al completo e, per alcuni momenti, si è avuta anche la presenza di alcuni giovani che in vario modo gravitano attorno al convento di S. Domenico in Bologna. Dopo un’ora mariana d’inizio, al mattino è seguita una tavola rotonda ispirata al noto proverbio: FA PIÙ RUMORE UN ALBERO CHE CADE DI UNA FORESTA CHE CRESCE. L’intento è stato di educare a vedere il bene che c’è intorno a noi, evitando di restare condizionati dall’informazione spesso negativa che ci circonda. Mauro Faverzani, giornalista di Cremona, ha posto in luce alcuni dati non sempre evidenziati dalla grande stampa, quali i risultati positivi dell’azione dei cattolici a favore della vita, gli aborti evitati, nonché il crescente numero dei medici obiettori. Don Paolo Zution, responsabile della Caritas diocesana di Gorizia e con un passato di missionario in Africa, ha partecipato ai presenti quanto egli ha conosciuto e sperimentato. Ha parlato dell’impegno di un gruppo crescente di donne africane per sostenere e migliorare l’economia di una intera zona nonché l’opera coraggiosa di riscatto dei malati mentali, che una cultura locale marginalizza

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in condizioni subumane. In Italia e a Gorizia ha reso edotti dell’impegno di volontariato accresciutosi dopo l’arrivo dei profughi dai Balcani, del sostegno attuale a molte famiglie toccate dalla crisi economica, dell’opera di avvocati e di medici per facilitare chi è in difficoltà a fruire di opportune consulenze eccetera. Cesare e Daniela hanno condiviso l’esperienza della propria famiglia con nove figli (uno già in cielo) e con la necessità di andare controcorrente rispetto al consumismo attuale, cui fa da felice riscontro una vita familiare più intensa e più serena. Omar, giovane di una delle comunità di suor Elvira, ha raccontato la sua vicenda di uscita dal tunnel della tossicodipendenza e ha posto in luce l’opera di rieducazione e formazione della comunità alla quale è legato. Il Priore provinciale ha concluso il convegno invitando a uno sguardo di fede, di speranza e di operosità, non disgiunto dalla pratica della meditazione della vita di Cristo attraverso il metodo del Rosario, che aiuta a ravvivare la speranza e a cogliere il positivo che ci circonda. Al pomeriggio alcuni giovani della comunità Cenacolo di Vada (LI), comunità nata dal carisma di suor Elvira, hanno animato il Rosario, cui è seguita la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal Priore Provinciale, concelebranti P. Mauro Persici, don Paolo Zution e P. Raffaele Previato, promotore del Laicato domenicano e presente egli pure al Convegno.

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Mauro Faverzani ha citato mons. Giampaolo Crepaldi, Presidente dell’Osservatorio Internazionale “Card. Van Thuan”, che rivolse un richiamo ad un “sano realismo cristiano. La verità – disse – è la realtà. Il bene non è altro che la realtà, in quanto desiderabile. Il cattolico si attenga a questa realtà e vedrà che spesso le cose non sono come le ideologie le presentano”. D’altronde, nell’enciclica Spe Salvi Papa Benedetto XVI è stato chiaro: solo un cuore “allargato e ripulito” può confrontarsi con il reale. A fondamento del quale, il Sommo Pontefice ha posto “la Parola di Dio”, parlando nel 2008 alla I Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi. Ciò conduce a quella dichiarazione dell’oggettività della realtà che il Card. John Henry Newman, recentemente beatificato, pagò pesantemente per aver lasciato la Chiesa anglicana ed abbracciato quella cattolica secondo la via della coscienza, “tutt’altro che una via della soggettività”: fu “invece una via dell’obbedienza alla Verità oggettiva, quella Verità”, che “è nient’altro che Gesù Cristo”, commentò il Pontefice. “Quand’anche però volessimo limitarci ai dati – ha proseguito Faverzani – “c’è un mondo, che attende di essere conosciuto”. Qualche cifra: a fronte dei 5 milioni di aborti effettuati in Italia, ecco gli 84.817 bambini nati fino al 2009 grazie all’intervento dei Centri di Aiuto alla Vita; ecco le 30.887 donne assistite; ecco il numero degli obiettori di coscienza, aumentato nel giro di un triennio da neanche il 50% sino al 70%; ecco il numero degli stessi Centri, cresciuto tra il 2008 ed il 2009 da 315 a 331. “Questa foresta di vita, di cui nessuno parla cresce silenziosa, ma inarrestabile”.

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Don Paolo Zution, responsabile della Caritas diocesana di Gorizia, è partito da una domanda: “Perché oggi viviamo in questa mentalità di morte? – si è chiesto – Nasce dall’aver fatto credere all’uomo d’essere dio della propria vita; che la Verità non esiste; dall’aver fatto perdere la speranza”. Al contrario, la speranza cristiana è un segno incontrato in volti concreti, quelli conosciuti da don Paolo, quand’era missionario in Africa: quello di Brigitte, che per fede fondò con altre donne una sessantina di cooperative in diversi villaggi, per produrre magnolia, combattere gli sfruttatori, convincere i giovani a restare ed a creare un laboratorio di tessitura. L’esperienza tragica della guerra, che fece fuggire funzionari e medici, la spinse ad imparare a far nascere bambini, perché le donne potessero comunque partorire. Con lei videro la luce circa 400 piccoli all’anno. Oppure ecco Grégoire, gommista: dopo un pellegrinaggio, sentì una chiamata speciale ad incontrare Cristo nei più poveri, i malati di mente in Africa: oltre 15 mila quelli che in vent’anni riuscì a liberare, creando per loro centri di riabilitazione, offrendo lavoro ed istituendo 2 ospedali per poveri. Un altro caso: quello di Giovanni, medico in pensione, che con sua moglie distribuisce vestiti ai poveri; quello del professore, impegnatosi nel Banco Alimentare, per garantire generi alimentari alle persone ed alle famiglie in difficoltà. Assicura che i giovani son pronti a dedicarsi con gioia al volontariato, purché venga loro proposto qualcosa di concreto. Nella sua scuola, oltre 250 su 500 ragazzi lo hanno aiutato: è questo il “mondo che ho incontrato”, ricorda commosso don Paolo.


I coniugi Cesare e Daniela hanno testimoniato la gioia dell’essere famiglia e, soprattutto, famiglia cristiana. Nove figli, un tesoro prezioso, donato loro da Dio! La loro esperienza di padre e di madre non è stata sempre facile: una figlia malata di leucemia salva per miracolo ed ora divenuta monaca come un’altra sua sorella. “Ogni cosa capitataci – hanno detto – ci ha fatto crescere, e di molto”. Ed ha insegnato l’importanza del saper dire di no, quando è necessario: no al cellulare, no al computer… “Quando oggi si sentono genitori depressi lamentarsi del fatto di non esser ascoltati dai figli, c’è da chiedersi: ma noi, questi ragazzi, li ascoltiamo? Parliamo loro? Molti rispondono di non aver tempo. Però il tempo per il parrucchiere si trova…”. Accogliere nove figli, certamente, spinge a valutare il fattore economico: “Ciò che mia moglie, con un’oculata economia domestica, consente di far risparmiare – ha subito puntualizzato Cesare – equivale a portare in casa un altro stipendio”. Quanto ai nonni, è loro giunto l’invito “ad aiutare i nipoti, senza sostituirsi ai genitori, bensì mostrando loro le cose belle”. Padre Mauro, a sua volta primo di dieci figli, ha confessato di sentirsi “un po’ a casa” ogni qual volta incontri questi coniugi, precisando comunque come la loro sia “una famiglia normale, una famiglia che hanno voluto consacrare e porre nelle mani della Madonna”.

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Il giovane Omar ha raccontato la propria esperienza presso la Comunità “Cenacolo” di suor Elvira: diverse le case sparse in Italia, in Europa, nel mondo. “Vengo dal Marocco europeo, dalla Basilicata – ha scherzato all’inizio – Mio padre egiziano, mia madre di Matera”. A due anni il papà è stato cacciato di casa, in quanto tossicodipendente. Poi le prime brutte esperienze con la droga e l’ingresso in Comunità: “Ho provato l’odio, il rancore: quando si è arrabbiati, si detesta tutto. Anche la propria pace interiore. Ho sperimentato il silenzio di mia mamma. Quando sono arrivato in Comunità, dopo aver confessato i miei problemi – ricorda –, mi sentivo comunque padrone della mia vita: ateo, comunista, avevo partecipato alle manifestazioni no global”. Eppure, il primo impatto con la Fraternità non è stato negativo, anzi: “Sebbene io sia entrato più per fare un piacere agli altri che a me stesso, mi sono sentito togliere un mattone dallo stomaco. Alla porta mi ha accolto Saverio: i suoi occhi erano sereni. Volevo star lì con loro per un po’ di tempo, poi andarmene. Lì non ci sono tv e giornali, il mondo è fuori: eppure, è proprio lì che impariamo realmente a vivere. Una sera, ho letto il Vangelo di Luca, dove dice d’amare i nostri nemici. Prima, non ci sarei mai riuscito. Poi ti accorgi di essere un poveraccio e solo allora vedi Dio, che è sempre pronto a perdonarti. È nel perdono, che dai e che ricevi, che trovi la pace del cuore. Solo allora scorgi finalmente gli altri ragazzi, che ti aiutano. Coloro che ti sono accanto. È un grande dono poter dialogare con chi ti sta accanto. Tra noi, ci chiamiamo fratelli. Ed allora, in quella Comunità, sono rimasto”.

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Bisogna rapportarsi al mondo dei media con uno sguardo critico – ha affermato Padre Barile – uno sguardo che tenga conto di alcune premesse. Dobbiamo tener presente che l’informazione non può mai essere completamente neutra, perché è sempre un’interpretazione di fatti, elaborata da un soggetto che analizza gli avvenimenti dal proprio punto di vista e non in maniera oggettiva: non si tratta di una colpa, ma di un fenomeno assolutamente normale. Il fatto saliente è che l’interpretazione può degenerare in manipolazione, avere cioè una natura tendenziosa. Per questo è opportuno tener conto dei punti di vista di chi genera informazione. Alla luce di queste riflessioni dobbiamo chiederci quale sia la prospettiva di un cristiano in rapporto al mondo dei media. L’approccio del cristiano realizza l’importanza della presenza di Dio in una prospettiva di speranza. Infatti – ed il Vangelo ne è testimonianza – la presenza di Dio è fondamentale, non tanto per “tenere in piedi” il mondo così come noi lo conosciamo, ma per salvarlo. Più precisamente, per salvare noi, gli uomini. In una simile prospettiva di speranza possiamo sostenere le situazioni negative che ci troviamo ad attraversare nel corso della vita. Il grande messaggio di speranza che Cristo ci ha lasciato è stato sintetizzato dalle sue stesse parole, così come sono riportate nel Vangelo di Giovanni: “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo.” In questo modo possiamo inquadrare la prospettiva del cristiano: portare avanti il mondo vuol dire purificarlo, così come Cristo purifica ciò che noi corrompiamo.

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Ci rivediamo tutti al Con vegno del Rosario 2012

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Alla cattiva notizia opponiamo le nostre cer tezze Riportiamo qui di seguito l’intervento che Antonio Gaspari, giornalista di Zenit e direttore de “L’Ottimista” non ha potuto tenere al Convegno del Rosario di Bologna

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l paradosso del nostro tempo è la contraddizione esistente tra l’enorme sviluppo tecnologico e scientifico e la concezione dell’uomo. Esso è stato già stigmatizzato dal Beato Pontefice Giovanni Paolo II che affermava: “Esaminando la situazione dell’umanità, è forse eccessivo parlare di crisi della civiltà? Emergono grandi progressi tecnologici, ma questi non sempre sono accompagnati da un grande progresso spirituale e morale”. In termini più espliciti possiamo dire che proprio nel momento in cui diventiamo più ricchi e più sani, e viviamo meglio e più a lungo, sembra quasi crescere la nostra povertà interna. Siamo più ricchi fuori, più poveri dentro. Un aspetto che il cardinale Giacomo Biffi ha stigmatizzato drasticamente: “Sazi e disperati”. Gli esempi di questa situazione sono innumerevoli. Uno per tutti. Nel campo delle medicina ginecologica siamo oramai a livelli impensabili. La mortalità infantile è vicina allo zero, riusciamo a far nascere bambini e bambine con soli 22-23 settimane di gestazione – quando sono grandi poco più di una penna – quindi abbiamo una capacità di conoscenza sanitaria molto avanzata, che permetterebbe di far nascere tutti i bambini e le bambine concepite, ma a fronte di ciò le Nazioni Unite ci dicono che ogni anno ci sono almeno 45 milioni di interruzioni volontarie di gravidanza. Siamo una società che ha paura delle nascite. Ciò significa che non abbiamo molta stima della stessa umanità. La concezione utilitaristica ha ridotto l’umano al punto di scegliere di non farlo nascere. Nel campo della comunicazione il problema non è diverso. Ha scritto il noto saggista e docente di comunicazioni Eric McLuhan: “Viviamo in pieno rinascimento scientifico, ma manca l’uomo del rinascimento”. In sostanza, noi disponiamo di tecnologie incredibili: pensate che con una barretta di silicio come lo smart phone oggi potete connettervi in ogni momento alla più grande ed estesa biblioteca di tutta la storia dell’umanità (Internet), potete sapere in quale parte del globo vi trovate e che cosa c’è dentro di voi, potete connettervi e comunicare con miliardi di persone presenti sul pianeta e non solo… Sono realizzazioni che quando eravamo bambini potevamo immaginare soltanto in sogno.

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A fronte di questa ricchezza, però, l’approccio utilitaristico fa sì che i mass media vengano utilizzati per finalità parziali e riduttive e che di conseguenza presentino l’umano nella forma peggiore. La chiave per capire da che parte stanno i mezzi di comunicazione di massa sta nella finalità: se aspirano a condizionare i lettori, allora confezionano e vendono notizie, meglio se morbose, catastrofiche o scandalose. Se invece sono finalizzate a un processo educativo che sviluppi la civiltà e renda gli uomini più liberi, cercano verità, giustizia e bellezza e raccontano la buona novella. Per questo la Chiesa cattolica chiama i mass media mezzi di comunicazione sociale, ed il Vangelo afferma che la “Verità vi farà liberi”. A guardare oggi i mezzi di comunicazione di massa si rimane sgomenti: la lotta tra bande, le menzogne e le bugie, la decadenza culturale, la propaganda ideologica, la ricerca esasperata dello scandalo, la morbosa attenzione a tutto ciò che è catastrofico, sporco, degradato, corrotto, violento, l’ossessione di voler andare a guardare nelle camere da letto, la tentazione di giudicare tutto e tutti invece che raccontare la buona novella. Se questo è il mondo dell’informazione, allora avrebbe ragione Gino Bartali che è “tutto da rifare” e sarebbe molto meglio convincere le giovani generazioni a intraprendere altri mestieri piuttosto che fare il giornalista. Ma è veramente questa la verità dell’uomo? Grazie a Dio no, la realtà è molto diversa rispetto a come ci viene presentata, perché per ogni azione poco buona ce ne sono tante di più amorevoli. Per uno che chiede di morire ce ne sono milioni che chiedono di vivere. Per un gesto di rifiuto di aiuto ce ne sono miliardi di carità eroica.

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Di certo la vita non è facile, insieme a tante gioie ci sono tante preoccupazioni, sofferenze e dolori, ma è ancora più vero che gli uomini e le donne sono capaci di compiere azioni di straordinario amore e bellezza. Il nostro pianeta è vivo, esiste, cresce e si rinnova grazie alle azioni di amore gratuito di miliardi di uomini e donne che fraternamente si aiutano e compiono tante piccole azioni di eroismo che alimentano la speranza per un mondo migliore. È questa la buona novella che ogni giorno si rinnova. Ed è questa la realtà che i mass media dovrebbero raccontare. Questa è la prova evidente che aveva ragione san Paolo quando ammoniva che “dove abbonda il peccato sovrabbonderà la grazia di Dio”. Per ogni albero che cade ce ne sono migliaia che nascono e crescono. Invece di lamentarci del buio dobbiamo accendere cuori. Sappiamo che il mondo dei mass media è condizionato dalla cinica regola del bad news is good news, che spiega perché la più cruenta e volgare cronaca nera vada in prima pagina. Ma, se andiamo in rete e verifichiamo quali sono le storie più lette, scopriamo che sono quelle in cui, pur nelle peggiori condizioni, il bene vince sul male, e la capacità degli uomini di amarsi l’un l’altro assume dimensioni eroiche. Gli esseri umani per certi aspetti sono fragili, sono più deboli di molte specie animali, ma sono fortissimi quando si mettono a disposizione per atti di amore. Anche in questo risulta vincente san Paolo quando afferma che, paradossalmente, “siamo forti proprio quando sembriamo deboli”. Ed è proprio perchè la realtà è che l’umanità è creata per amare e per cercare il bene e il bello, che la regola che dovrebbe ordinare il giornalismo è good news is beautiful news. Come cattolici che credono nella divina Provvidenza dobbiamo smetterla di rispondere male al male, dobbiamo uscire fuori dalla logica dei farisei, e contemplare solo il vero, il buono ed il bello. Sempre grazie a Dio, a fronte di una sgradevole e brutale espressione del quarto potere che cerca di annichilirci con le cattive notizie, c’è un numero di pubblicazioni la cui qualità e originalità è sempre più raffinata, la cui crescita di autori e lettori è inarrestabile. Basta navigare in rete per trovare centinaia di migliaia di blog, pagine, riviste e quotidiani, rassegne stampa, gruppi di discussione e di preghiera, siti mariani, centri di approfondimento liturgico e teologico, espressioni del mondo missionario, attività e iniziative dei movimenti laicali, e così via. Questa parte di mondo della comunicazione è la più dinamica, e i giovani la ricercano e seguono maggiormente. Ed è proprio grazie al lavoro in rete che in Italia siamo riusciti a vincere le battaglie contro la fecondazione selvaggia degli embrioni, a respingere le proposte per i matrimoni gay e le proposte di eutanasia. Battaglie sul fronte bioetico dove i poteri forti hanno investito massicciamente, schierando i maggiori quotidiani, le principali riviste, i più diffusi programmi radiofonici e televisivi, il mondo del cinema, dei Vip e dello sport. Eppure il popolo italiano e cattolico è riuscito a sopravvivere e vincere la battaglia utilizzando la radio, la rete Internet e gli incontri in parrocchia, nei cinema, nelle sale comunali. Ecco una ulteriore dimostrazione che la Buona Novella può ancora prevalere contro lo strapotere della cattiva notizia. Antonio Gaspari

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INTERVISTA a don Paolo Zution

Quando la fede e la speranza si trasformano in solidarietà e carità

Guardandolo, ha il fisico da lanciatore di pesi. Ascoltandolo, si afferra subito che è un ottimo lanciatore di parole. Parole di solidarietà e di speranza. Così si presenta don Paolo Zution, responsabile della Caritas per la diocesi di Gorizia. Connotati tipicamente friulani, meno di cento parrocchie, circa duecentomila fedeli, duplice etnia. Una terra di confine, spartiacque tra la cultura latina e quella slava. Immerso in questa particolare società, il sacerdote svolge adesso il ruolo che per dodici anni ha perseguito in terra africana: aiutare i deboli, di cui parla al convegno del Rosario con animo aperto e consolidata esperienza. Cinquantatré anni, alto di statura, massiccio quanto agile di corpo, baffi e barba che accompagnano un volto scuro ma pronto ad illuminarsi in un sorriso, studi in scuole pubbliche e in seminario prima di ricevere l’ordinazione nel 1987, don Paolo espone con passione i problemi che ha affrontato nella lontana Costa d’Avorio e che vede ripetere in mezzo ai “bianchi” al rientro da quella esperienza nel cuore del continente nero. Come si può operare in un paese dove dilagano violenze private e pubbliche come malattie e guerre? In Africa si può fare molto, partendo dalla comprensione delle condizioni umane. Per prima cosa va sottolineata la forza delle loro donne che svolgono un’opera costruttrice in tutti i sensi. Meriterebbero davvero un premio Nobel collettivo per il loro ruolo nel battersi contro la tendenza pessimistica della società africana. Da loro ho imparato tante cose: sono sempre pronte ad operare con uno spirito di comunità e capaci di superare ogni crisi sostituendosi alle istituzioni latitanti o inesistenti quando occorre risolvere problemi pratici. Penso in questo momento ad una figura che mi è rimasta impressa, quella di Brigitte, una donna semplice che ha fatto nascere centinaia di bambini ed ha aiutato migliaia di profughi.

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Ma allora qual è il ruolo del negro maschio, si può definire in un certo senso più “defilato”? Che cosa ci racconta in merito? Intendiamoci. Se la donna appare basilare nella società locale, non si deve pensare che gli uomini siano assenti. Molti di loro sanno svolgere un proprio ruolo responsabile. Faccio l’esempio di Gregoire, uno che ha sentito la chiamata verso i poveri identificandoli nei malati di mente che in Africa sono emarginati fino alla repulsa totale. Egli ha “liberato” circa 15mila alienati spiegando ai famigliari il dovere dell’accoglienza e di conseguenza la necessità di reinserirli al loro interno. Questi sono casi che si trovano sparsi, ma identificano perfettamente quella foresta che cresce in silenzio mentre fa rumore l’albero che, spaccato dalla folgore, crolla sul terreno. Da noi in Italia la situazione è diversa: la ritiene migliore? Diversa sì, migliore forse no. Abbiamo tanti segni di speranza. Io vivo a Gorizia, una città che comprende italiani e sloveni e che è diventata una porta aperta per i rifugiati di tanti paesi. La Caritas è in prima linea: abbiamo accolto in pochi anni 14mila persone, abbiamo distribuito vestiti e alimenti, abbiamo dato un senso di speranza a giovani e anziani trasformati in volontari entusiasti. La nostra finalità è quella di proporre di continuo un aiuto concreto, fidando nella continuità delle risposte. Una nostra iniziativa davvero interessante si rintraccia nell’Emporio della Solidarietà ove la gente bisognosa trova di tutto ma, oltre alle cose materiali, un aiuto spirituale. Chi è e dove sta il nostro fratello? Esiste un gran bisogno di parlare e di confidare la propria pena a qualcuno che sappia ascoltare. Ecco un compito gravoso, ma essenziale, al quale possiamo far fronte grazie a tanti volontari. I guai del mondo sono nati nel momento in cui Caino ha negato l’esistenza di Abele. “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Con l’indifferenza nei confronti del vicino sono nati i guai del mondo. Noi crediamo in Cristo, colui che – attraverso il proprio sacrificio – ha ribaltato il concetto negativo della convivenza trasformando la morte in vita. Come nel passo del Vangelo che narra la vicenda di Lazzaro, è la fede che ci dona la speranza; ed esse si trasformano in solidarietà umana e vicendevole carità. Giacomo Tasso

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Bologna: il racconto di chi c’era

L’

esperienza di questa giornata in me ha fatto maturare sempre più la consapevolezza e convinzione che con la preghiera e con l’aiuto dello Spirito Santo si può vedere l’opera di Dio. Sono stata colpita dalla famiglia cosiddetta anormale, per la società in cui viviamo, ma che anche agli occhi di chi crede è pur sempre diversa per la straordinarietà e il dono. Mi ha fatto ricordare la famiglia di S. Teresina di Lisieux. Un segno nel nostro tempo. Nei ragazzi della comunità ho visto il Vangelo vivo, la via, la verità, la vita; ragazzi liberi, semplici, puliti e felici con emozioni da bambini quasi timidi ma dentro il “cuore di uomo”. (ne abbiamo bisogno).

Ho sentito un angolo di mondo vero. Siamo in cammino. Antonietta

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i ha molto colpito la testimonianza dei ragazzi della comunità; mi hanno insegnato che con la preghiera si riesce a superare qualsiasi cosa. Mi sono resa conto che purtroppo si sente sempre parlare di cose brutte e invece ci sono tante cose belle che nessuno dice. Bertilla

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l convegno del rosario è stato un coinvolgimento spirituale e umano molto bello. L’ascolto attento della tavola rotonda, la conversione e speranza dei ragazzi di Suor Elvira è arrivata al cuore. Stupita dalla Basilica, convento interno, esterno, così grandiosi. Ho portato a casa il libro sulla basilica di San Domenico. Storie ed opere da conservare. Che dire: una giornata di ricarica interiore! Grazie all’aiuto di fratel Franco che ha organizzato il viaggio e grazie a Padre Mauro o.p. Isa

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er me è stata una domenica di quaresima molto significativa di preghiera, di approfondimento della mia fede; e anche per le mie compagne. Mi hanno colpito le testimonianze presenti al dibattito: il giornalista Faverzani che ha detto che il realismo cristiano non esiste più; i ragazzi della comunità di Suor Elvira (grazie di esistere) mi hanno commosso per i loro vissuti nell’abbandono della loro famiglia in età infantile e adolescenziale. La famiglia di Cesare e Daniela con i loro figli (due non erano presenti perché hanno scelto la strada del Convento di clausura); la loro testimonianza mi ricordava il passato, quando ero piccola e quasi tutte le famiglie erano formate da veri cristiani come loro, cioè la santa Messa tutti i giorni, il pregare in famiglia eccetera, mentre oggi tutto questo è molto raro. Voglio ringraziare il compagno di preghiera Franco, grazie a lui per aver fatto questa esperienza e grazie a Padre Mauro. Mariolina

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n grande ringraziamento a Padre Mauro per aver organizzato questo convegno e per l’invito fattoci.

Quello che alla fine della giornata è rimasto nel mio cuore dopo tutto quello che abbiamo visto e sentito e pregato insieme è stato il titolo del convegno. Ognuno di noi è chiamato a testimoniare l’amore e la grandezza di Dio e di sua Madre; dobbiamo fare in modo che sia la foresta a fare rumore e quindi raccontiamoci tutte le belle cose che il Signore fa quotidianamente nella nostra vita. Ho avuto modo subito di metterlo in pratica: siamo venuti a Bologna prenotando un pulmino, ma non sapevamo quanti saremmo stati e di sicuro non avremmo occupato tutti i posti; abbiamo pensato di non fare come al solito (dividere la quota da pagare per il noleggio del pulmino per il numero dei partecipanti) perché sarebbe venuta una quota molto alta. Allora abbiamo deciso di noleggiare lo stesso il pulmino e – se alla fine i soldi non sarebbero bastati – qualcuno avrebbe integrato la differenza; questo perché volevamo dare la possibilità a chiunque di andare al convegno ed eravamo sicuri che la Madonna ci avrebbe pensato lei. Per farla breve, abbiamo raccolto la quota sull’autobus, ma non era sufficiente; quando sono andato a pagare il titolare della ditta ha voluto sapere i dettagli di che cosa eravamo andati a

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fare a Bologna e, dopo avergli fatto una sintesi della giornata ci ha fatto un primo sconto e subito dopo un secondo e…. sorpresa… quello che avevamo raccolto era la cifra esatta al centesimo di quello che alla fine ci ha chiesto. La Madonna è intervenuta, si è fatta provvidenza, ma soprattutto ha premiato la nostra piccola fede. Aumentiamo il rumore della foresta e continuiamo a raccontarci le cose belle, dono di Dio. Un abbraccio a tutti. Franco

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aro Padre Mauro, queste poche righe sono per ringraziarti del bel momento di raccoglimento, preghiera e riflessione che abbiamo vissuto il giorno del convegno svoltosi a Bologna il 10 aprile scorso. Nei giorni a seguire, ripensavo alla stupenda famiglia di Cesare e di come sono fortunati i loro figli ad avere “quella educazione” piena di vero amore, l’Amore autentico, perché al primo posto nella loro casa hanno messo Gesù e Maria e tutto ruota attorno a loro. Oggi purtroppo mi accorgo che la maggior parte dei genitori sono troppo permissivi, rico-

prono di ogni bene materiale i loro figli, credendo, con questo, di compensare la carenza di affetto, di tempo, perché troppo presi dal lavoro e da altre cose della vita. I bambini sono insofferenti, nervosi, aggressivi, pur avendo tutto, i genitori lamentano il disagio dei loro figli e non sono in grado, purtroppo, di gestirli già da piccoli. Se solo facessero entrare Gesù nella loro casa, pregassero insieme, sarebbe veramente tutto diverso, prenderebbe tutta un’altra piega la vita di quella famiglia. L’altro giorno ho regalato ai miei bambini a scuola il rosario che mi hai benedetto (ti ricordi?) dovevi vedere che gioia nel riceverlo. Il giorno dopo una bambina mi diceva: “Lo sai, Ale, sono molto contenta di quella cosa che mi hai regalato, come si chiama?”. Pensa, una mamma mi ha chiesto un rosario anche per lei (ho provveduto il giorno dopo a regalarglielo). Questo piccolo seme spero ramifichi nel loro cuore ogni giorno sempre di più e, quando saranno grandi, auguro loro di incontrare al più presto Gesù e di tenerselo sempre nel cuore per poter trasmettere agli altri la gioia di averlo incontrato. È vero, Padre Mauro, – tornando al tema del convegno – che ogni giorno siamo bombardati

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da tanta cronaca, purtroppo i media ci fanno vedere solo quello, perché non invitano persone come Cesare a dare la loro testimonianza di vita? Sarebbe veramente bello e anche tanto educativo. Grazie. Alessandra

M

i chiamo Laura, sono abruzzese di Giulianova, provincia di Teramo. Grazie al pullman organizzato da Aldo Galassi ho potuto partecipare al convegno sul Rosario, che si è tenuto a Bologna nel convento di San Domenico. Durante il convegno si è discusso di diversi argomenti, quello che però mi ha colpito di più, e che mi è rimasto nel cuore, è stata la testimonianza di una famiglia numerosa, quella di Cesare e Daniela, i cui figli adolescenti sono stati educati secondo uno stile di vita diverso da quello che ci impone oggi la società. La loro testimonianza di vita mi ha riportato

indietro nel tempo... alla mia infanzia, quando si dava importanza ai veri valori, al rispetto, all’unione familiare e alla preghiera. Cesare e Daniela, attraverso l’esempio della loro famiglia, ci hanno dimostrato che i giovani possono essere felici e appagati anche non frequentando le discoteche fino all’alba, usando il telefonino e la televisione all’età giusta e con criterio. Poi ci sono state le testimonianze di ragazzi ex tossicodipendenti che, comprendendo i loro sbagli, con un cammino di verità e liberazione si sono avviati verso una vita migliore. Comunque in tutte le testimonianze c’era un elemento in comune: mettere in primo piano la preghiera. Infatti, secondo me, la vita senza la preghiera e l’unione con Gesù è una vita vuota. È stata una bella esperienza che mi piacerebbe ripetere. Tanti saluti di cuore a padre Mauro e tanti auguri per il suo impegno. Laura

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I

l 10 aprile 2011 si è tenuto il Convegno domenicano del Rosario nel suo più importante appuntamento annuale, che coinvolge persone provenienti da diverse regioni d’Italia. Si è svolto nel luogo più consono in assoluto: il salone Bolognini, uno dei luoghi più importanti per gli eventi culturali della città di Bologna, dove si sono incontrati papi e presidenti. I convegnisti ne hanno potuto ammirare l’antica e straordinaria bellezza, risalente al 1496, messa in luce da un importante restauro da poco concluso. In questa atmosfera suggestiva, resa ancor più accogliente dai religiosi domenicani che ne sono i legittimi custodi, si sono succeduti gli interventi di diversi oratori che, con le loro relazioni efficaci ed esaustive, hanno approfondito il tema dell’incontro: “fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce”, lasciando poi la parola ad autentici protagonisti di vita vissuta. I racconti di questi testimoni ci hanno svelato che cosa significa mettere in pratica la povertà evangelica (quella delle Beatitudini), coinvolgendo e arricchendo l’animo degli ascoltatori. Immedesimandomi nelle loro esperienze, ho compreso e condiviso il loro gioioso modo di

vivere, il mettersi in gioco in ogni momento, animati da una profonda fede. Queste persone hanno lasciato un segno veramente indelebile nella mia vita. Particolarmente coinvolgente è stata la testimonianza di una coppia di sposi che, come atto di obbedienza a Dio e con l’assoluta certezza che se avessero lasciato che Lui agisse nella loro unione ne sarebbe scaturita solo grazia, hanno accolto con immensa gioia nove figlioli, tutti sani e belli, con due ragazze, una di 17 e l’altra di 19 anni, chiamate dal Signore in due monasteri di clausura. Due gemme preziose come segno conclamato dell’intervento divino. Solo il padre con il suo lavoro porta a casa soldi per il sostentamento della famiglia. Ma egli riconosce che la moglie, lavorando per accudire la famiglia, guadagna virtualmente più di lui. Come si può pensare di non mettere al mondo figli perché costano troppo? Evidentemente non si conoscono quali benefici si ottengono affidandosi alla Provvidenza, perché, nel caso in questione, tutti i sette ragazzi presenti riflettono una serenità percettibile ed inconsueta, avendo tutto il necessario e cento volte di più donato da Dio: la serenità di una famiglia unita, che si aiuta vicendevolmente,

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che prega insieme e che non cerca l’effimero, ma costruisce con l’amore la testata d’angolo che non crolla mai. Li ho fotografati mentre pregavano tutti insieme per immortalare la loro storia di ordinaria normalità che, paradossalmente, viene giudicata “pazzesca”. L’altro momento toccante l’abbiamo vissuto ascoltando l’esperienza dei ragazzi di una delle comunità “Cenacolo” di suor Elvira. Attraverso la proiezione di un video abbiamo visto con quanta passione essi si danno da fare per sostenersi autonomamente, ad esempio con la coltivazione di prodotti ortofrutticoli, paragonabile ad una moltiplicazione miracolosa. Abbiamo anche visto come, con il loro tenace ed infaticabile lavoro, abbiano saputo trasformare una costruzione abbandonata e in rovina, in una splendida azienda di moderno agriturismo a gestione autonoma. Il passato burrascoso, spesso tragico, ha fatto toccare il fondo a questi ragazzi. Il contatto quotidiano, anche di ore, con Gesù Eucaristico, l’aiuto fraterno di chi è già uscito

dal tunnel della droga, la lontananza dal nemico hanno pian piano trasformato questi giovani in nuovi individui. Essi sono diventati consapevoli che la vita è un dono meraviglioso che Dio ha donato a loro una seconda volta, e quindi doppiamente prezioso. Il comune denominatore di queste storie è senza dubbio la preghiera, che suscita l’amore per Dio e per il prossimo. Essa ci fa sentire la necessità di mettere tutto di noi a disposizione di tutti, affinché a nessuno manchi nulla. Chiedo a voi tutti di pregare perché l’ultimo pensiero che ho espresso possa realizzarsi a cominciare da ciascuno di noi. Questo convegno ha dimostrato che l’amore disinteressato esiste. Buon lavoro e arrivederci al prossimo anno. Grazie a tutti voi e a padre Mauro, promotore ed instancabile evangelizzatore. Con amicizia. Miria, del Movimento del Rosario di Imola

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INTERVISTA a Massimo Viglione

La buona informazione esiste ancora

Come vede il mondo dell’informazione oggi? Oggi esiste un vero e proprio culto pubblico dell’informazione: quanti telegiornali possiamo vedere ogni giorno in ognuno dei grandi e meno grandi canali televisivi? E quanti dibattiti e commenti su ogni avvenimento? Quanti giornali (perfino gratuiti nelle metropolitane delle grandi città)? A tutto ciò poi si aggiunge anche internet come inesauribile fonte di notizie e commenti. Potremmo dire che viviamo in un mondo fondato sull’informazione… Ma è veramente positivo tutto ciò? O, se si vuole pur salvare il giusto diritto all’informazione, non possiamo però non chiederci se non vi siano pericoli – celati o meno – in questa sovrabbondanza informativa che ci sovrasta tutti, anzitutto nella qualità dell’informazione, a partire dall’aspetto specificamente ideologico. E poi, altra questione non secondaria: con tanta informazione, che ne rimane di una corretta “formazione” della persona individuale, del cittadino, dell’essere umano, in particolare dei giovani? Questa massa informativa ci forma in maniera corretta dal punto di vista culturale e morale (e anche politico)? Tutte queste sono domande doverose da porsi. Ovunque, ma anzitutto in Italia, ove l’informazione è più che altrove inquinata dai retaggi ideologici del passato durissimi a morire. Non crede che spesso si privilegino, se non addirittura si esasperino, le notizie negative a scapito della “scoperta” di tante notizie positive? Non sono anche esse “informazione”? Certo. Si è purtroppo, nel corso degli ultimi decenni, e in particolare dagli anni Sessanta in poi, creato un clima di progressiva denuncia pubblica, reiterata e a volte spasmodica, del male della nostra società, presentato in maniera inversamente proporzionale al nascondimento del bene che invece pur sempre esiste e progredisce, e di cui raramente si fa in modo che se ne venga a conoscenza. Viene spontaneo chiedersi il perché di questa evidentissima e ormai antica operazione: e la risposta

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può assumere contorni inquietanti. Sembrerebbe quasi predominare una volontà di dare pubblicità e risalto al male allo scopo di raggiungere una sorta di “assuefazione” pubblica ad esso. Si potrebbero fare molti esempi di questo fenomeno, ma non è possibile in poche righe.

Massimo Viglione è ricercatore dell’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche, insegna Storia Moderna all’Università Europea di Roma ed è coordinatore del periodico “Radici Cristiane”. È noto per i suoi studi sulle insorgenze antigiacobine in Italia e sul Risorgimento. Per il centocinquantenario dell’unificazione, è uscito nello scorso mese di marzo, per i tipi delle Edizioni Ares, il suo ultimo libro: 1861. Le due Italie. Identità, Unificazione, Guerra civile.

Non si rischia di presentare solo l’aspetto deleterio della vita? Appunto. È proprio questo il problema. E sembra che per certi “signori dell’informazione” questo sia l’obiettivo, ormai neanche tanto più celato. Naturalmente, sia chiaro, il male va denunciato, affinché non si propaghi in maniera occulta come un tumore. Questo è un dovere morale per chiunque faccia informazione. Ma allo stesso tempo occorre porsi delle regole in questa denuncia, affinché la denuncia ossessiva, invasiva, non produca effetti più deleteri di quelli che produrrebbe il silenzio. E poi, soprattutto, se dobbiamo denunciare il male, perché non rendere nota anche la cura? Perché non dare altrettanto risalto al bene, alla salute della nostra società, a coloro che spendono la propria vita e le proprie risorse al servizio del prossimo?

Non trova che un’informazione così possa generare sconforto o addirittura “stuzzicare” le “devianze” latenti in ognuno? Io non volevo accennare a questo aspetto, ma Lei mi invita a farlo, e allora pongo un problema scabroso, ma ineludibile, a mo’ di esempio per il discorso in generale. L’esempio eclatante dei durissimi giorni in cui viviamo. Quello della pedofilia. Io ricordo che fino agli anni Ottanta, quando io or-

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mai ero universitario, rarissimamente avevo sentito parlare pubblicamente di pedofilia nella mia vita. Al punto che sarei arrivato a dedurre il significato della parola solo per il fatto che avevo studiato il greco al Liceo classico. Oggi pure i bambini delle elementari sanno che cosa sia (quando noi che oggi siamo negli “anta” ben ricordiamo che fino alle soglie della pubertà credevamo alla cicogna…). È un bene questo? Si dirà che è necessario avvisare i bambini perché non cadano nelle mani dei mostri. Da un lato ciò è vero, ma dall’altro, mi chiedo, che ne è più della loro un tempo inviolabile innocenza, del loro diritto a crescere nei tempi e nei modi adeguati, a credere nelle favole fino almeno alle soglie della pubertà? Inoltre, siamo proprio così sicuri che il parlare in continuazione di questo infamissimo fenomeno, che rende gli uomini peggiori delle bestie più luride, non contribuisca a stuzzicare fantasie deboli e suscettibili al male? Qual è allora il confine del diritto di informazione? Non sarà quello, come accennavo all’inizio, dell’informazione come propedeutica a una corretta formazione spirituale, morale, civile, dell’individuo? Secondo Lei quale “cura” sarebbe opportuna per “normalizzare” la situazione? È ben difficile dirlo. Come accennato, si ha da un lato il dovere di far conoscere il pericolo incombente, dall’altro quello di non diffonderlo in alcun modo, neanche pubblicizzandolo troppo. Detto molto semplicemente, credo che vi siano due criteri di fondo, per nulla esaustivi ovviamente, ma almeno indispensabili: 1) informare tenendo ben presenti però i giusti confini del bene e del male morale e sociale (vale a dire, controllando in maniera serena, ma seria e ferma chi fa informazione); 2) dando massimo risalto di contro al bene che pur sempre è presente nel nostro mondo. È una questione educativa anzitutto. E, a questo riguardo, posso aggiungere che una certa diminuzione quantitativa della massa informativa quotidiana proveniente dai mass media non sarebbe per niente sbagliata. Ma questo purtroppo è quasi impossibile ai giorni nostri… Qual è la Sua esperienza di coordinatore di una rivista prestigiosa quale “Radici cristiane”? Sono sei anni e mezzo che esce “Radici Cristiane”, siamo giunti al n° 66. È una grande esperienza per me che sono coordinatore e per tutti coloro che vi collaborano. È un continuo confrontarsi con la durezza e a volte malvagità della società attuale, ma è anche un continuo scoprire quanto bene viene da questo mondo che Dio non abbandona mai. Inoltre, parlando noi nella rivista non solo di attualità, ma di storia, teologia, arte, tradizioni popolari, bellezze turistiche, cultura eccetera, ci confrontiamo ogni mese con lo straordinario patrimonio di santità, cultura, grandezza e bellezza della nostra meravigliosa civiltà cristiana. E questo è veramente una renovatio senza fine di ricchezza interiore. È la scoperta continua, ripetuta e maturata, di quel suddetto confine fra l’informazione e la formazione in cui risiede la sapienza dei secoli passati, di cui la Chiesa è suprema depositaria e dispensatrice.

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Il Santo Padre Benedetto XVI ci invita a pregare per la Chiesa in Cina:

La Chiesa in Cina, soprattutto in questo momento, ha bisogno della preghiera della Chiesa universale. Invito (...) tutti i cattolici del mondo, pregare per la Chiesa che è in Cina deve essere un impegno: quei fedeli hanno diritto alla nostra preghiera, hanno bisogno della nostra preghiera. Con la preghiera possiamo ottenere che il loro desiderio di stare nella Chiesa una e universale superi la tentazione di un cammino indipendente da Pietro (...) Con tutti voi chiedo a Maria di intercedere perchÊ ognuno di loro si conformi sempre piÚ strettamente a Cristo

Vergine Maria, Aiuto dei cristiani, Nostra Signora di Sheshan, prega per noi!

In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa


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