2011-03

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 comma 2, CB Bologna - Anno XLIV - n. 3 - III trimestre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

n u è o r o tes o da e r i r f f

3/2011


XXV ! fra Mauro Persici o.p. Bologna, 20 settembre 1986 Fontanellato, 25 settembre 2011

"Fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi" (II Pietro 1,10)

L’anniversario di ordinazione sacerdotale verrà celebrato con una santa Messa il 25 settembre 2011 alle ore 16,30 presso il Santuario di Fontanellato (PR).

... cogliamo l'occasione? queste pagine, che costituiranno una nostra – speriamo gradita – sorpresa per padre Mauro, vogliono esprimere il nostro ringraziamento per il suo impegno. Conoscendo le sue necessità più urgenti e il desiderio di tanti di dare un segno concreto di gratitudine, anziché sperderci in regali che spesso e volentieri lasciano il tempo che trovano, vorremmo proporvi di contribuire all'acquisto della nuova vettura oramai necessaria come il pane per “questo apostolo con le ruote” che gira in lungo e in largo le nostre terre. Per questo fine potrete usare il modulo di c/c postale o effettuare un bonifico bancario specificando la causale "XXV di padre Mauro" Centro del Rosario, Fontanellato (PR) - cc postale 22977409 - cc bancario 879841 Banca Popolare dell’Emilia Romagna IBAN IT92L0538765740000000879841



ROSARIUM Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

Le spese di stampa e spedizione sono sostenute dai benefattori Anno 44°- n. 3 stampa: Grafiche Lusar srl Novate - via Vialba 75 Movimento Domenicano del Rosario Via IV Novembre 19/E 43012 Fontanellato (PR) Tel. 0521822899 - Fax 0521824056 Cell. 3355938327 e-mail info@sulrosario.org

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Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario

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Il numero è stato chiuso il 22 luglio 2011

I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria

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Il Papa risponde in TV alla domande dei fedeli

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La profonda spiritualità mariana di Karol Wojtyla

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Il santo rosario, arma missionaria potente “per guarire le piaghe della società”

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www.sulrosario.org: il nuovo sito

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Rubriche: Domenicani in Turchia pag 18; Testimonianze pag 28; Recensioni pag 31


I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria II parte


Proseguiamo la lettura del libro Il rosario tra devozione e riflessione, che abbiamo presentato nei numeri precedenti di Rosarium, proponendovi la seconda parte dell’articolo di Vincenzo Battaglia. Il volume è in vendita presso l’ESD: via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna tel. 051582034 e-mail:acquisti@esd-domenicani.it I misteri della vita nascosta di Gesù Nel presentare Maria quale modello della Chiesa nell’esercizio del culto divino e quale maestra di vita spirituale per ogni cristiano, Paolo VI insiste soprattutto su quattro aspetti di questa esemplarità: Maria è la Vergine in ascolto, che accoglie la parola di Dio con fede; è la Vergine in preghiera; è la Vergine Madre; infine, è la Vergine offerente. Questi aspetti ne connotano fortemente il cammino di fede che, come insegna Giovanni Paolo II, ha comportato una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di “notte della fede”… quasi un “velo” attraverso il quale bisogna accostarsi all’Invisibile e vivere nell’intimità col mistero. È infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell’intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù «cresceva in sapienza… e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Ci soffermiamo ora a considerare alcuni tratti della sua esperienza spirituale narrata dai vangeli dell’infanzia, focalizzando l’attenzione soprattutto sui misteri dell’Annunciazione e della Visitazione e sull’atteggiamento con cui lei, la Vergine dal cuore sapiente, piena di grazia e di Spirito Santo, ha contemplato e testimoniato il mistero del suo Figlio Gesù. Maria accoglie il Figlio di Dio nella storia Meditando insieme a Maria il «vangelo» che le è stato comunicato e donato nell’ora dell’annunciazione (Lc 1,26-38), la riflessione si concentra sul «nome nuovo» con cui l’angelo la saluta: «piena di grazia» (kecharitoméne: Lc 1,28). È il nome datole da Dio, che denota lo stato in cui si trova davanti a Lui nel momento stesso in cui le viene rivelata la sua vocazione/missione. La forma verbale – un participio perfetto passivo – sta a indicare il risultato di un intervento compiuto da Dio su di lei. Egli ha provveduto a colmarla, a riempirla di grazia. L’ha resa santa, tutta bella e amabile ai suoi occhi. Oggetto di un favore divino straordinario, di un amore del tutto speciale, Maria di Nazaret è invitata dall’angelo a gioire, ad esultare: questo è il senso esatto del verbo greco kaire. Dio l’ha scelta, e, quindi, l’ha preparata per accogliere, innanzitutto, e poi per adempiere la missione alla quale ora la «chiama». La missione è spiegata nell’intervento successivo con cui l’angelo risponde all’iniziale, comprensibile turbamento manifestato da Maria. L’intervento è introdotto da un ulteriore rimando all’atteggiamento amoroso e benevolo con cui Dio ha «guardato», da sempre, quest’umile donna di Nazaret: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Stavolta l’angelo si rivolge a lei con il suo

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nome terreno, il nome con cui era conosciuta dai familiari, dallo sposo Giuseppe e dagli abitanti di Nazaret. Ma al contempo le svela che Dio l’ha inserita nel progetto salvifico, nella storia dell’alleanza che comporta la promessa fatta a Davide di una discendenza che non avrà fine, legata alla provenienza del Messia dalla sua stirpe. E la missione per la quale è stata scelta è diventare la madre del Messia (Lc 1,31-32). Così, se il nome Miryâm dice l’appartenenza dell’umile donna di Nazaret alla comunità umana e al popolo di Israele, il nome Piena di grazia ne suggerisce l’appartenenza esclusiva a Dio, nel senso che Egli si rivela come il Signore che ha per lei una predilezione fuori dall’ordinario, in quanto l’ha chiamata a divenire madre del suo Figlio, mediatore della nuova alleanza. La combinazione di questi due nomi fa intuire come lei sia, a un tempo, la rappresentante del popolo eletto, «la figlia di Sion», e la prima rappresentante del popolo della nuova alleanza, della Chiesa. In riferimento alla «figlia di Sion», l’evangelista Luca istituisce un raccordo letterario e tematico con alcuni testi dei profeti, soprattutto con Sof 3,14-17, che è probabilmente la fonte di Gioele (2,21-23.26-27) e I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della Vergine Maria di Zaccaria (2,14-15; 9,9): il profeta Sofonia si rivolge al popolo di Israele esortandolo ad attendere con fiducia la venuta del Messia, il quale porterà rinnovamento e felicità. Con il terzo e ultimo intervento dell’angelo viene rivelata, oltre alla modalità verginale del concepimento del figlio – con il rinvio all’intervento decisivo dello Spirito Santo – anche la sua identità divina: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Il testo, assai denso dal punto di vista pneumatologico e cristologico, afferma che Maria è inserita pienamente nel mistero del Figlio di Dio Gesù Cristo in virtù dello Spirito Santo, tramite il dono della maternità verginale che costituisce il contenuto e la forma della «grazia» da lei ricevuta. Lei risponde manifestando tutta la propria fede, e una fede perfetta. Infatti, oltre a dichiarare la propria incondizionata disponibilità ad attuare quanto Dio ha stabilito, auspica che nella sua vita la Parola di Dio si compia interamente (cf. Lc 1,38). Lei, la donna «Piena di Grazia», cioè «amata da Dio», mette in atto la sua dipendenza radicale nei riguardi di Dio come obbedienza libera, voluta, attiva; è obbedienza amorosa, è amore pienamente disponibile, aperto al dono di sé. Maria è pronta ad accogliere il dono che Dio Padre le fa per mezzo dello Spirito Santo: il Figlio Unigenito, e lei lo accoglie nel cuore e nel corpo con ineffabile amore, a nome di tutta l’umanità. Maria di Nazaret dà il proprio assenso alla volontà di Dio perché ha capito chiaramente, grazie alla sapienza che viene dallo Spirito, sia l’oggetto della volontà di Dio, sia il modo in cui il disegno divino si sarebbe realizzato in lei. E se risponde all’angelo: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), lo fa con la piena consapevolezza di avere anche la capacità di poter obbedire, essendo la donna umile, la cui vita è totalmente «fondata» su Dio. Infatti lei sa bene che «nulla è impossibile a Dio» (Lc

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1,37). Sono dati narrativi e teologici che fanno comprendere ancora meglio l’effetto dell’intervento dello Spirito Santo in lei. Ma, al contempo, fanno comprendere che Maria non avrebbe potuto acconsentire ed obbedire se non fosse stata perfettamente integra, innocente e santa fin dal primo istante del suo concepimento. Questa integrità, innocenza e santità stanno alla radice della sua libertà e del suo amore totalmente oblativo: è perfettamente libera di volere e di realizzare ciò che Dio vuole. E ha scelto di comportarsi così perché per lei questo era il gesto di amore puro con cui ricambiare l’amore di Dio, quell’amore di predilezione di cui si sentiva ricolma. L’amore di Maria nella prospettiva dello Spirito Santo Se, giustamente, il mistero dell’Annunciazione ha una precisa componente trinitaria, un tema da approfondire riguarda la relazione tra lo Spirito Santo e Maria, soprattutto per quanto attiene l’esercizio dell’amore da parte di colei che si è proclamata la Serva del Signore. In questa sede, mi limito a qualche annotazione di fondo. Lo Spirito – il quale è la Persona/Dono e la Persona/Amore – imprime all’evento dell’Incarnazione del Figlio di Dio l’impronta essenziale dell’amore della santa Trinità: amore sommamente gratuito, sapiente e onnipotente, incommensurabile nel dono e nella gratuità, finalizzato all’alleanza eterna con gli esseri umani amati da sempre e per sempre, e per questo chiamati alla vita. Pertanto, l’invio e il dono del Figlio avvenuti nella pienezza del tempo (cf. Gal 4,4)34, mentre rivelano l’amore incommensurabile del Padre verso l’umanità (cf. Gv 3,16), ne rivelano, in primo luogo, l’amore incommensurabile verso Maria di Nazaret. In lei, per prima e in modo singolare, si compie la dichiarazione fatta nell’inno della Lettera agli Efesini: in Cristo il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno di amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,4-6). Come dice Giovanni Paolo II nel mistero di Cristo ella è presente «già prima della fondazione del mondo» come colei che il Padre “ha scelto” come Madre del suo Figlio nell’incarnazione – ed insieme al Padre l’ha scelta il Figlio, affidandola eternamente allo Spirito di santità. Si deve allora ammettere che il dono, la grazia elargiti da Dio a Maria sono la misura del suo amore verso colei che appartiene al resto santo di Israele, che «è la prima tra gli umili e i poveri del Signore». Dal momento che questo dono e questa grazia coincidono con l’Incarnazione del Figlio Unigenito, ne deriva che l’amore attuato da Dio nei riguardi di Maria per opera dello Spirito Santo è il massimo amore riversato su una creatura umana. Secondo la prospettiva tematica sin qui delineata, l’indagine sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria porta ad approfondire il dato che Maria, essendo stata ricolmata di grazia fin dal primo istante del suo concepimento, è la donna pienamente consacrata al servizio di Dio dallo e nello Spirito Santo. Questo servizio – per cui ha ricevuto dallo Spirito Santo doni e virtù appropriati – si identifica essenzialmente con la maternità divina e verginale. In secondo luogo, si

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prolunga e si esprime, senza soluzione di continuità, nell’esperienza di essere discepola del Figlio e nel cooperare alla salvezza in modo del tutto singolare e con una generosità che non ha pari. Inoltre, questo servizio implica anche la maternità spirituale verso tutta l’umanità, specialmente verso i discepoli del suo Figlio Gesù. Maria proclama le opere di Dio: il “Magnificat” Resa feconda dallo Spirito Santo e ricolmata interamente della presenza del Figlio di Dio diventato ormai anche suo figlio – quel figlio totalmente amato, che occupa ormai tutto lo spazio della sua mente, del suo cuore e del suo grembo –, Maria fa visita a Elisabetta (Lc 1,39-56). Rifacendosi ancora una volta ad episodi e temi della storia di Israele, il terzo evangelista ricalca in questo caso il trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme compiuto da re Davide e narrato nel secondo libro di Samuele (2 Sam 6). L’autore sacro intravede in Maria, che porta in grembo il Figlio di Dio, l’Arca santa della Nuova Alleanza, la Dimora incorruttibile di Dio in mezzo al suo popolo. Dopo aver ricevuto, e per prima, il «vangelo» della Nuova Alleanza, Maria reca ora il lieto annuncio alla cugina Elisabetta. Dal canto suo, Elisabetta gode della gioia comunicatale dalla presenza del suo Signore, presenza che le viene manifestata attraverso Maria, la quale, per la gravidanza in atto, vive quell’indicibile scambio di vita e di amore con il suo Figlio Gesù che la rende sempre più bella e attraente, agli occhi di Dio come agli occhi degli uomini. Da qui nasce lo stupore che invade Elisabetta: stupore non tanto per aver ricevuto una visita inattesa, quanto piuttosto perché sperimenta una «presenza» che mai avrebbe potuto immaginare di ricevere in dono, quella del Messia Salvatore. «Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?”» (Lc 1,41-44). La gioia che la invade è dono che viene dallo Spirito, al quale si deve anche l’esultanza del bambino che Elisabetta porta nel grembo. Allo stesso modo, è lo Spirito che la ispira e le fa pronunciare la lode-benedizione gioiosa che lei – e in lei la comunità cristiana – rivolge al Signore Gesù e a sua madre. Nelle sue parole si fa manifesta la venerazione dei credenti verso colei che è la madre vergine del Re messianico, il Signore di tutti. «Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”» (Lc 1,36). In questo cantico – sorto molto probabilmente in ambito liturgico e in una comunità giudeo-cristiana – confluiscono l’esperienza della salvezza di cui la comunità dei credenti ora gode e l’esperienza di cui ha goduto Maria, gratificata dall’amore di predilezione di Dio, il quale «ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Sullo sfondo sia della liberazione dalla schiavitù egiziana e, più in generale, delle opere che Dio ha compiuto a favore di Israele, e con un linguaggio intriso di reminiscenze bibliche, viene celebrata la salvezza operata da Dio che è potente, santo, misericordioso e che interviene a favore degli umili e dei poveri. Lo sguardo contemplativo si volge dal passato al

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presente, e dal presente – ormai segnato dalla venuta del Messia Salvatore – verso il futuro, verso quel compimento escatologico della salvezza atteso per il giorno della Parusia, di cui la Risurrezione di Gesù Cristo è garanzia e promessa. Ma come la storia della salvezza e dell’alleanza di Israele si apre con l’elezione e l’obbedienza di Abramo, padre nella fede (cf. Rm 4,16-18) – menzionato nella frase conclusiva del cantico (Lc 1,55) –, così questa storia è giunta ormai a compimento per la fede di una donna, vera discendente di Abramo, perché anche lei «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Pertanto, con grande acume sapienziale l’evangelista ha menzionato esplicitamente Maria in apertura del cantico, facendolo sgorgare dal suo cuore di donna piena di grazia e tutta santa. Lei resta per sempre, nella Chiesa e per la Chiesa, modello del credente che, mosso e ammaestrato dallo Spirito Santo, vuole rendere lode a Dio Salvatore e vuole esprimere la speranza che il Regno di Dio si compirà pienamente in e per mezzo di Cristo Gesù. Maria donna dal cuore sapiente Se la lettura contemplativa del Magnificat può essere occasione e motivo per cogliere aspetti essenziali dell’esperienza spirituale fatta da Maria, allora si può dire che dalle strofe del cantico emerge la figura esemplare della donna resa sapiente dallo Spirito Santo. Maria è la perfetta credente, esperta nel custodire dentro di sé la storia della salvezza che, ormai, aveva raggiunto il tornante decisivo con l’Incarnazione del Figlio Unigenito di Dio. Si industriava per custodire dentro di sé tutto ciò che riguardava il Figlio Gesù, come pure tutto ciò che lui diceva e faceva. Quel Figlio amatissimo che Dio le aveva donato e affidato, coinvolgendo in questa missione anche Giuseppe, lo sposo che le aveva messo al fianco, l’uomo «giusto» (cf. Mt 1,19), il quale, aderendo alla volontà del Signore, aveva preso «con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,24-25). Oltre a custodire, Maria meditava assiduamente nel suo cuore eventi e parole (cf. Lc 2,19.51), impegnata a comprendere e ad assimilare ogni giorno di più il mistero del Figlio, la cui gloria divina era nascosta entro la chenosi di una condizione di servo, riconosciuto in tutto simile agli uomini (cf. Fil 2,6-8). Dal canto suo, il terzo evangelista ci guida su un tracciato meditativo in cui gli avvenimenti si intrecciano in modo armonioso e progressivo. Sono avvenimenti che avevano segnato e segneranno, indelebilmente, la personalità, l’atteggiamento credente e la sensibilità affettiva di Maria. All’esperienza straordinaria avuta a Betlemme – il parto verginale e la visita dei pastori – si aggiungevano sia quanto era accaduto e quanto aveva ascoltato durante la presentazione di Gesù al tempio, sia le considerazioni e i pensieri suscitati da quello che accadeva ogni giorno a Nazaret. La sua riflessione era una vera e propria contemplazione fatta con il cuore traboccante di fede, alla luce di ciò che apprendeva sia dal contatto con Gesù, sia dalle Scritture e dalla preghiera, sia, infine, dal dialogo e dal confronto che, certamente, accompagnavano il rapporto con lo sposo Giuseppe. Il testo lucano dice che «meditava» nel suo cuore: il verbo sym-

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ballo qui usato rinvia a un lavorìo interpretativo realizzato mettendo a confronto e cercando di collegare tra loro eventi e parole di diverso genere, per poter comprendere sempre di più e sempre meglio. Comprendere il mistero del Figlio nel modo giusto, corrispondente cioè alla volontà di Dio che lo Spirito Santo le aveva fatto conoscere e accettare in piena libertà. Comprendere per adeguarsi a quanto andava scoprendo di nuovo sia riguardo a lui, sia riguardo alla missione che lei doveva portare a compimento. A tale proposito, non si può non menzionare il tratto pedagogico insito nell’incontro avuto al tempio di Gerusalemme con Simeone e, segnatamente, nelle parole profetiche che questi le aveva rivolto, facendo ricorso al simbolo della spada che le avrebbe trafitto l’anima (cf. Lc 2,34-35). Secondo la spiegazione data da Serra – sulla base della tradizione giudeo-cristiana – la spada è figura, prima di tutto, della Parola di Dio; in secondo luogo, rinvia al dolore che Maria dovrà sperimentare a mano a mano che procederà nel cammino, alla sequela di Gesù. La Parola di Dio, in verità, era ormai penetrata fino in fondo nella mente e nel cuore di Maria e ne aveva fecondato la persona e la storia sotto l’impulso dello Spirito datore di vita. Afferrata interamente dalla Parola di Dio nella persona del Figlio Unigenito che da lei aveva assunto la carne, ha provato dentro di sé, insieme all’ansia e al dolore che hanno accompagnato l’affannosa ricerca di Gesù dodicenne a Gerusalemme (cf. Lc 2,48), anche il beneficio procurato dal dover «comprendere» la parola rivelatrice che il figlio le affidava seminandola nel suo cuore. Questa parola di rivelazione la poneva di fronte alla missione che lui avrebbe dovuto compiere: occuparsi delle cose del Padre suo (cf. Lc 2,49-50). Per poter comprendere questa rivelazione, che le fa intravedere il teocentrismo radicale verso cui Gesù è ormai definitivamente orientato, Maria avrà bisogno di tempo. È il tempo richiesto affinché il seme della Parola di Dio possa crescere e portare frutto. A lei, quindi, si addice in modo del tutto speciale la tipologia del terreno buono: «Quelli sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Alimentata dal solido nutrimento della Parola di Dio e sostenuta dalla grazia dello Spirito Santo, Maria sarà impegnata – insieme allo sposo Giuseppe – ad accompagnare, anche come educatrice, la crescita di Gesù «in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Compito naturale, scontato per certi versi: lei è la madre di Gesù, e le tradizioni in vigore nella Palestina del primo secolo assegnavano alla madre un ruolo importante per l’educazione religiosa dei figli, come si desume – per esempio – dalle prescrizioni riguardanti la liturgia domestica. Ma questo compito pedagogico rivestiva un carattere eminentemente soprannaturale, per cui non si può non riconoscere che alla pienezza di grazia corrispondeva, come effetto e requisito, anche una maturità umana e spirituale, un equilibrio affettivo e psicologico, una solidità di «sentimenti» e una santità di vita tali da consentirle di pensare e di agire veramente secondo Dio. (continua)

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INTERVISTA a S.S. Benedetto XVI

Il Papa risponde in TV alle domande dei fedeli

Venerdì Santo, 22 aprile 2011 Santo Padre, voglio dirLe grazie per questa Sua presenza che ci riempie di gioia e ci aiuta a ricordare che oggi è il giorno in cui Gesù dimostra nel modo più radicale il Suo amore, cioè morendo in Croce da innocente. E proprio sul tema del dolore innocente è la prima domanda che arriva da una bambina giapponese di sette anni, che Le dice: “Mi chiamo Elena, sono giapponese ed ho sette anni. Ho tanta paura perché la casa in cui mi sentivo sicura ha tremato, tanto tanto, e molti miei coetanei sono morti. Non posso andare a giocare nel parco. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché i bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di spiegarmelo. Cara Elena, ti saluto di cuore. Anche a me vengono le stesse domande: perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù sta dalla vostra parte. Questo mi sembra molto importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra parte, e siate sicuri che questo vi aiuterà. E un giorno potremo anche capire perché era così. In questo momento mi sembra importante che sappiate: “Dio mi ama”, anche se sembra che non mi conosca. No, mi ama, sta dalla mia parte, e dovete essere sicuri che nel mondo, nell’universo, tanti sono con voi, pensano a voi, fanno per quanto possono qualcosa per voi, per aiutarvi. Ed essere consapevoli che, un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che dietro di essa c’è un progetto buono, un progetto di amore. Non è un caso. Stai sicura, noi siamo con te, con tutti i bambini giapponesi che soffrono, vogliamo aiutarvi con la preghiera, con i nostri atti e siate sicuri che Dio vi aiuta. E in questo senso preghiamo insieme perché per voi venga luce quanto prima.

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Una mamma italiana, Maria Teresa, sotto la croce di un figlio chiede: “Santità, l’anima di questo mio figlio Francesco, in stato vegetativo dal giorno di Pasqua 2009, ha abbandonato il suo corpo, visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui? Certamente l’anima è ancora presente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra le cui corde sono spezzate, così non si possono suonare. Così anche lo strumento del corpo è fragile, è vulnerabile, e l’anima non può suonare, per così dire, ma rimane presente. Io sono anche sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un amore la sente. E perciò questa vostra presenza, cari genitori, cara mamma, accanto a lui, ore ed ore ogni giorno, è un atto vero di amore di grande valore, perché questa presenza entra nella profondità di quest’anima nascosta e il vostro atto è, quindi, anche una testimonianza di fede in Dio, di fede nell’uomo, di fede, diciamo di impegno per la vita, di rispetto per la vita umana, anche nelle situazioni più tristi. Quindi vi incoraggio a continuare, a sapere che fate un grande servizio all’umanità con questo segno di fiducia, con questo segno di rispetto della vita, con questo amore per un corpo lacerato, un’anima sofferente. I giovani di Baghdad, cristiani perseguitati,: “Salute al Santo Padre dall’Iraq – dicono – Noi cristiani di Baghdad siamo stati perseguitati come Gesù. Santo Padre, secondo Lei, in che modo possiamo aiutare la nostra comunità cristiana a riconsiderare il desiderio di emigrare in altri Paesi, convincendola che partire non è l’unica soluzione? Vorrei innanzitutto salutare di cuore tutti i cristiani dell’Iraq, nostri fratelli, e devo dire che prego ogni giorno per i cristiani in Iraq. Sono i nostri fratelli sofferenti, come anche in altre terre del mondo, e quindi sono particolarmente vicini al nostro cuore e noi dobbiamo fare, per quanto possiamo, il possibile perché possano rimanere, perché possano resistere alla tentazione di migrare, perché è molto comprensibile nelle condizioni nelle quali vivono. Io direi che è importante che noi siamo vicini a voi, cari fratelli in Iraq, che noi vogliamo aiutarvi, anche quando venite, ricevervi realmente come fratelli. E, naturalmente, le istituzioni, tutti coloro che hanno realmente una possibilità di fare qualcosa in Iraq per voi, devono farlo. La Santa Sede è in permanente contatto con le diverse comunità, non solo con le comunità cattoliche, con le altre comunità cristiane, ma anche con i fratelli musulmani, sia sciiti, sia sunniti. E vogliamo fare un lavoro di riconciliazione, di comprensione, anche con il governo, aiutarlo in questo cammino difficile di ricomporre una società lacerata. Perché questo è il problema, che la società è profondamente divisa, lacerata, che non c’è più questa consa-

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pevolezza: “Noi siamo nelle diversità un popolo con una storia comune, dove ognuno ha il suo posto”. E devono ricostruire questa consapevolezza che, nella diversità, hanno una storia in comune, una comune determinazione. E noi vogliamo, in dialogo, proprio con i diversi gruppi, aiutare il processo di ricostruzione e incoraggiare voi, cari fratelli cristiani in Iraq, ad avere fiducia, ad avere pazienza, ad avere fiducia in Dio, a collaborare in questo processo difficile. Siate sicuri della nostra preghiera. Una donna musulmana della Costa d’Avorio, un Paese in guerra da anni, di nome Bintù, manda un saluto in in arabo: “Che Dio sia in mezzo a tutte le parole che ci diremo e che Dio sia con te”. È un’espressione che loro usano quando cominciano un discorso. E poi continua in francese: “Caro Santo Padre, qui in Costa d’Avorio abbiamo sempre vissuto in armonia tra cristiani e musulmani. Le famiglie sono spesso formate da membri di entrambe le religioni; esiste anche una diversità di etnie, ma non abbiamo mai avuto problemi. Ora tutto è cambiato: la crisi che viviamo, causata dalla politica, sta seminando divisioni. Quanti innocenti hanno perso la vita! Quanti sfollati, quante mamme e quanti bambini traumatizzati! I messaggeri hanno esortato alla pace, i profeti hanno esortato alla pace. Gesù è un uomo di pace. Lei, in quanto ambasciatore di Gesù, che cosa consiglierebbe per il nostro Paese? Vorrei rispondere al saluto: Dio sia anche con te, ti aiuti sempre. E devo dire che ho ricevuto lettere laceranti dalla Costa d’Avorio, dove vedo tutta la tristezza, la profondità della sofferenza, e rimango triste che possiamo fare così poco. Possiamo fare una cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo opere di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre possibilità, i contatti politici, umani. Ho incaricato il card. Turkson, che è presidente del nostro Consiglio Giustizia e Pace, di andare in Costa d’Avorio e di cercare di mediare, di parlare con i diversi gruppi, con le diverse persone per incoraggiare un nuovo inizio. E soprattutto vogliamo far sentire la voce di Gesù, che anche Lei crede come profeta. Lui era sempre l’uomo della pace. Ci si poteva aspettare che, quando Dio viene in terra, sarà un uomo di grande forza, distruggerebbe le potenze avverse, che sarebbe un uomo di una violenza forte come strumento di pace. Niente di questo: è venuto debole, è venuto solo con la forza dell’amore, totalmente senza violenza fino ad andare alla croce. E questo ci mostra il vero volto di Dio, che la violenza non viene mai da Dio, mai aiuta a dare le cose buone, ma è un mezzo distruttivo e non è il cammino per uscire dalle difficoltà. Quindi è una forte voce contro ogni tipo di violenza. E invito fortemente tutte le parti a rinunciare alla violenza, a cercare le vie della pace. Non potete servire la ricomposizione del vostro popolo con mezzi di violenza, anche se pensate di avere ragione. L’unica via è rinunciare alla violenza, ricominciare con il dialogo, con tentativi di trovare insieme la pace, con la nuova attenzione l’uno per l’altro, con la nuova disponibilità ad aprirsi l’uno all’altro. E questo, cara Signora, è il vero messaggio di Gesù: cercate la pace con i mezzi della pace e lasciate la violenza. Noi preghiamo per voi, che tutti i componenti della vostra società sentano questa voce di Gesù e che così ritorni la pace e la comunione. “Santità, che cosa fa Gesù nel lasso di tempo tra la morte e la Risurrezione? E visto che nella recita del Credo si dice che Gesù, dopo la morte, discese negli Inferi, possiamo pensare che sarà una cosa che accadrà anche a noi, dopo la morte, prima di salire al Cielo?”

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Innanzitutto, questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro. È un viaggio dell’anima. Dobbiamo tener presente che l’anima di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato. Questa parola della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi. I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto. E crea così l’accesso a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio. Lui stesso, essendo uomo, prendendo in mano l’uomo, apre l’accesso, apre cosa? La realtà che noi chiamiamo Cielo. Quindi questa discesa agli Inferi, cioè nelle profondità dell’essere umano, nelle profondità del passato dell’umanità, è una parte essenziale della missione di Gesù, della sua missione di Redentore e non si applica a noi. La nostra vita è diversa, noi siamo già redenti dal Signore e noi arriviamo davanti al volto del Giudice, dopo la nostra morte, sotto lo sguardo di Gesù, e questo sguardo da una parte sarà purificante: penso che tutti noi, in maggiore o minore misura, avremo bisogno di purificazione. Lo sguardo di Gesù ci purifica e poi ci rende capaci di vivere con Dio, di vivere con i Santi, di vivere soprattutto in comunione con i nostri cari che ci hanno preceduto. Santità, quando le donne giungono al sepolcro, la domenica dopo la morte di Gesù, non riconoscono il Maestro, lo confondono con un altro. Succede anche agli Apostoli: Gesù deve mostrare le ferite, spezzare il pane per essere riconosciuto, appunto, dai gesti. È un corpo vero, di carne, ma anche un corpo glorioso. Il fatto che il suo corpo risorto non abbia le stesse fattezze di quello di prima, che cosa vuol dire? Che cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la Risurrezione sarà per noi così? Naturalmente, non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze. Possiamo solo registrare i segni che Gesù ci ha dato per capire almeno un po’ in quale direzione dobbiamo cercare questa realtà.

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Primo segno: la tomba è vuota. Cioè, Gesù non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta. Gesù ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha anche la promessa dell’eternità. Ma poi ha assunto questa materia in una nuova condizione di vita, questo è il secondo punto: Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché sottomesso a queste uno muore. Quindi c’è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo, ma che si mostra nel fatto di Gesù, ed è la grande promessa per noi tutti che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino. Ed, essendo in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica, come noi la viviamo. E sappiamo che, da una parte, è un vero uomo, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa. È importante capire questo, almeno in quanto si può, per l’Eucaristia: nell’Eucaristia, il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso, questa novità che Lui è, entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona, e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza. È un punto importante, perché così siamo già in contatto con questa nuova vita, questo nuovo tipo di vita, essendo Lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione di vita. Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che Lui si dà a me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia, sempre, di nuovo, nell’Eucaristia. Sotto la croce, assistiamo a un dialogo toccante tra Gesù, sua madre e Giovanni, nel quale Gesù dice a Maria: “Ecco tuo Figlio”, e a Giovanni: “Ecco tua madre”. Nel suo ultimo libro, “Gesù di Nazaret”, Lei lo definisce “un’ultima disposizione di Gesù”. Come dobbiamo intendere queste parole? Che significato avevano in quel momento e che significato hanno oggi? E in tema di affidamento, ha in cuore di rinnovare una consacrazione alla Vergine all’inizio di questo nuovo millennio? Queste parole di Gesù sono soprattutto un atto molto umano. Vediamo Gesù come vero uomo che fa un atto di uomo, un atto di amore per la madre e affida la madre al giovane Giovanni perché sia sicura. Una donna sola, in Oriente, in quel tempo, era in una situazione impossibile. Affida la mamma a questo giovane e al giovane dà la mamma, quindi Gesù realmente agisce da uomo con un sentimento profondamente umano. Questo mi sembra molto bello, molto importante, che prima di ogni teologia vediamo in questo la vera umanità, il vero umanesimo di Gesù. Ma naturalmente questo attua diverse dimensioni, non riguarda solo questo momento, ma concerne tutta la storia. In Giovanni Gesù affida tutti noi, tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. E questo si è realizzato nel corso della storia: sempre più l’umanità e i cristiani hanno capito che la madre di Gesù è la loro madre. E sempre più si sono affidati alla Madre: pensiamo ai grandi santuari, pensiamo a questa devozione per Maria dove sempre più la gente sente “Questa è la Madre”. E anche alcuni che quasi hanno difficoltà di accesso a Gesù nella sua grandezza di Figlio di Dio, si affidano senza difficoltà alla Madre. Qualcuno dice: “Ma questo non ha fondamento biblico!”. Qui risponderei con San Gregorio Magno: “Con il leggere – egli dice – crescono le parole della Scrittura”. Cioè, si svi-

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luppano nella realtà, crescono, e sempre più nella storia si sviluppa questa Parola. Vediamo come tutti possiamo essere grati perché la Madre c’è realmente, a noi tutti è data una madre. E possiamo con grande fiducia andare da questa Madre, che anche per ognuno dei cristiani è sua Madre. E d’altra parte vale anche che la Madre esprime pure la Chiesa. Non possiamo essere cristiani da soli, con un cristianesimo costruito secondo la mia idea. La Madre è immagine della Chiesa, della Madre Chiesa, e affidandoci a Maria dobbiamo anche affidarci alla Chiesa, vivere la Chiesa, essere la Chiesa con Maria. E così arrivo al punto dell’affidamento: i Papi – sia Pio XII, sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II – hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi sembra, come gesto davanti all’umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto importante. Io penso che adesso sia importante interiorizzare questo atto, lasciarci penetrare, realizzarlo in noi stessi. In questo senso, sono andato in alcuni grandi santuari mariani nel mondo: Lourdes, Fatima, Czestochowa, Altötting…, sempre con questo senso di concretizzare, di interiorizzare questo atto di affidamento, perché diventi realmente il nostro atto. Penso che l’atto grande, pubblico, sia stato fatto. Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro. Per esempio, a Fatima ho visto come le migliaia di persone presenti sono realmente entrate in questo affidamento, si sono affidate, hanno concretizzato in se stesse, per se stesse, questo affidamento. Così esso diventa realtà nella Chiesa vivente e così cresce anche la Chiesa. L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria, ci rende Chiesa, ci rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Quindi, al momento non avrei l’intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di Gesù.

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DOMENICANI IN TURCHIA

La Madonna del rosario a Istanbul

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ella chiesa domenicana di San Pietro e San Paolo a Istanbul la presenza di Maria è ben visibile. Appena entrati in chiesa lo sguardo si alza sul grande quadro raffigurante san Pietro e san Paolo, sopra l’altare maggiore, e, più in alto, nella semicupola dell’abside, sull’affresco della Madonna del rosario. È l’immagine classica: Maria con il Bambino Gesù in grembo e, ai suoi lati, san Domenico e santa Caterina da Siena. L’opera è anche firmata e datata 1898. Ma nella chiesa vi sono ancora due altre significative immagini di Maria: l’icona della Vergine Odighitria e la statua in legno della Madonna del rosario. La Vergine Odighitria è un’antichissima icona: la tradizione la attribuisce addirittura a san Luca. È collocata sull’altare laterale a sinistra del presbiterio. È stata portata a Istanbul dai domenicani di Crimea. Il titolo di Odighitria, che significa “guida”, è stato dato in ricordo di una icona molto famosa e venerata a Costantinopoli e scomparsa al momento della conquista della città da parte dei turchi. In verità, la nostra icona non è una “Odighitria” nel senso tecnico, perché questa, nella tradizione bizantina, è rappresentata con il Bambino a fianco e non sul seno. Comunque Maria è sempre “Odighitria”, cioè la guida che ci aiuta a seguire Gesù, nostra via e vita. Purtroppo un terribile incendio distrusse tutto il quartiere di Galata nel 1731. La grande maggioranza delle case erano in legno: quindi le fiamme in breve tempo distrussero tutto, compresa la nostra chiesa. Dell’immagine dell’Odighitria si salvò miracolosamente soltanto il volto della Madonna che poi, verso la fine del XVIII secolo, fu incastonato in una riza d’argento raffigurante la Madre della misericordia che custodisce sotto il manto i santi e le sante domenicani. Alla Madonna “Odighitria” si sono rivolte generazioni di devoti, ottenendo abbondanza di benedizioni e grazie, per cui viene anche chiamata “Madonna miracolosa”. Passiamo ora alla terza presenza di Maria nella chiesa dei santi apostoli Pietro e Paolo. Si trova sull’altare a destra del presbiterio. È una bellissima statua policroma in legno di scuola genovese, che gli esperti datano tra il 1690 e il 1720. Raffigura la Madonna del rosario che tiene il Bambino Gesù in braccio. È circonda-

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ta da alcune figure di angeli e ha la luna sotto i suoi piedi. Attorno alla nicchia che custodisce la statua vi sono i quadretti con i quindici misteri del rosario. Il volto della Vergine è di una dolcezza straordinaria. La prima esclamazione delle donne nusulmane quando la vedono è: “ne tatli!” (com’è dolce!). In Turchia Maria è chiamata Meryem ana: Maria mamma, ed è particolarmente conosciuta e venerata nel santuario di Efeso dove, secondo la “tradizione efesina”, Maria avrebbe trascorso gli ultimi tempi della sua vita terrena e si sarebbe “addormentata” nel Signore. Ai visitatori musulmani in visita alla nostra chiesa io parlo ricordando il Corano, il loro testo sacro, dove si dice che Maria, la tutta santa, ha ricevuto Gesù da Dio, non da un uomo, rimanendo quindi vergine. In un altro brano è riferito un aneddoto significativo. La gente mormorava contro Maria: da dove viene questo bambino? chi è suo padre? E allora ecco che il neonato stesso apre la bocca e si mette a parlare in difesa di sua madre. Per i musulmani, Maria è la madre di Gesù, considerato come profeta dai fedeli dell’Islam. Sono certo che la Vergine Maria abbia un posto molto importante nei rapporti tra i cristiani e i musulmani. In Turchia molti fedeli islamici vanno in pellegrinaggio alla casa della Madonna a Efeso. Maria è apparsa in Francia nel 1858 a Lourdes. Il nome “Lourdes” viene da una parola araba che significa “rosa”. E Maria a Lourdes è apparsa a Bernardette con due rose ai piedi. E ancora: Maria è apparsa nel 1917 a Fatima in Portogallo. Perché a Fatima? Fatima era un villaggio di poche decine di pastori, forse duecento. Era stato fondato da arabi musulmani e l’avevano chiamato con il nome della figlia prediletta di Maometto, Fatma. E allora sorge spontanea una domanda: perché la Madonna è apparsa a Fatima? Domanda particolarmente interessante, vorrei dire intrigante… Ci sarà una risposta nel futuro? Maria interviene sempre in momenti difficili e delicati della storia dell’umanità. È madre di Dio e degli uomini, e quindi desidera la concordia e la pace fra tutti. La dobbiamo proprio invocare perché il dialogo tra cristiani e musulmani possa produrre frutti di rispetto reciproco, di amicizia e di collaborazione per un mondo più giusto e pacifico. A Istanbul noi domenicani, presso il convento di san Pietro e san Paolo, abbiamo iniziato un Centro di dialogo che si chiama “DOSTI”, nome che ha due significati: “Centro domenicano di Studi-Istanbul” e anche “amico” (in turco “dost” significa “amico”). Il nome esprime bene la finalità del Centro di dialogo che vuole favorire la mutua conoscenza fra cristiani e musulmani, in un clima di rispetto e di stima sincera. Meryem Ana, Maria-mamma, benedica e renda fruttuoso questo nostro impegno. fra Lorenzo Piretto o.p. (Istanbul)

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La profonda spiritualità mariana di Karol Wojtyla amore di Giovanni Paolo II per la Vergine fu un amore sconfinato. Non ha mai tralasciato occasione per parlare di Maria. Le ha dedicato l’enciclica Redemptoris Mater: la redenzione è stata infatti il filo conduttore del suo magistero petrino. Inoltre l’ha onorata non solo col suo ministero di Sommo Pontefice, ma anche in tante altre forme. Fin dall’inizio ha voluto recitare per tanti anni il rosario ogni primo sabato del mese, insieme con i fedeli in Vaticano. Con la sua fantasia instancabile ha arricchito il rosario con i misteri della luce. E, ormai quasi alla fine del pontificato, ha celebrato l’Anno del rosario, che ha avuto tanti frutti di devozione e di rinnovamento spirituale. Ricordo poi i suoi pellegrinaggi a Lourdes e a Fatima. In ogni suo viaggio, inoltre, ha programmato una visita ai più importanti santuari mariani del mondo. So con quanto desiderio voleva che un’immagine della Madonna campeggiasse nella basilica Vaticana, dove del resto ci sono stupende cappelle a Lei dedicate. E volle che almeno il Palazzo Apostolico mostrasse un’immagine della Madonna, che si leva, alta e materna, su piazza San Pietro. Tutti sanno che il motto da lui scelto prima della sua ordinazione episcopale è Totus tuus. Il futuro Papa trasse queste parole dalla preghiera di un grande santo mariano, Luigi Maria Grignion de Montfort. Ebbene, il Papa non solo recitava ogni giorno quella preghiera, ma ne scriveva un brano su ogni pagina dei testi autografi delle sue omelie, dei discorsi, delle encicliche, in alto a destra del foglio. Nella prima pagina metteva l’inizio della preghiera: Tuus totus ego sum, “Io sono tutto tuo”; nella seconda, Et omnia mea tua sunt, “E tutte le cose mie sono tue”; nella terza, Accipio Te in mea omnia, “Ti accolgo in tutte le cose mie”; nella quarta, Praebe mihi cor tuum, “Dammi il tuo cuore”. E così proseguiva su ogni pagina, ripetendo, se necessario, le singole invocazioni, finché non aveva terminato di scrivere. Negli archivi della Segreteria di Stato vi sono migliaia di queste pagine, dove Giovanni Paolo II ha manifestato in modo così intimo e commovente il suo amore alla Madonna. Questo amore sconfinato a Maria nasceva dall’amore che egli aveva per Cristo. Amare Gesù è il fulcro di tutta la nostra vita. E se ciò è vero per ogni cristiano, tanto più lo è per il Papa. È una cosa tanto ovvia che potrebbe sembrare inutile sottolinearla. Ma vi accenno, perché ho un ricordo particolare, che riguarda l’ultima visita apostolica che Giovanni Paolo II compì nel 1997 nella Repubblica Ceca. Era già venuto in Cecoslovacchia nel 1990, appena caduto il muro di Berlino, fermandosi a Praga, Velehrad e Bratislava. Nel 1995 venne per la seconda volta, sostando a Praga, in Boemia, e a

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Olomouc, in Moravia. Era già sofferente. Cominciava a portare il bastone e ci scherzava sopra con i giovani, sempre entusiasti di stringersi attorno a lui. Ma era ancora in forze, tanto da fare le scale senza ascensore. La prima sera, dopo l’arrivo e la cena con i vescovi, sostò in cappella davanti al Santissimo. Le suore avevano preparato per lui un grande inginocchiatoio, ma egli preferì pregare nel banco. Io lo accompagnai, attendendo fuori della cappella. La sera seguente fui trattenuto da impegni e telefonate urgenti, e non potei accompagnarlo in cappella. Ci arrivai dopo, quando era già inginocchiato. Prima di entrare avevo udito come una musica indistinta, e quando aprii silenziosamente la porta, sentii che, inginocchiato nel banco, cantava sommessamente davanti al tabernacolo. Il Papa cantava sottovoce davanti a Gesù Eucaristia: il Papa e Cristo nell’Ostia, Pietro e Cristo. Fu per me una cosa sconvolgente, un fortissimo richiamo alla fede e all’amore per l’Eucaristia, e alla realtà del ministero petrino. Non ho più dimenticato quell’esile canto, che era come un colloquio d’amore con Cristo. Ho raccontato una sola volta questo episodio, in Repubblica Ceca, ma è bene che sia noto, tanto più ora che si avvicina la sua beatificazione, perché dice magnificamente che dobbiamo avere un legame sempre vivo, intimo e profondo con Gesù, vivente nell’Eucaristia. E dimostra, in modo superlativo, che Giovanni Paolo II è stato veramente un innamorato di Cristo. Infine, vorrei sottolineare l’amore dei popoli slavi per il Pontefice polacco. Nel 1990 fui inviato in Cecoslovacchia, che due anni dopo si divise pacificamente in due Stati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Questo è stato il regalo più grande che mi abbia fatto Giovanni Paolo II, dopo quello di avermi ordinato vescovo. Ricordo che, ancora la vigilia della mia partenza per Praga, lo vidi all’eliporto vaticano, di ritorno da una visita in una diocesi italiana, e gli dissi: “Padre Santo, domani parto, e finalmente vedrò anch’io, in Slovacchia, i “suoi” monti Tatra”. Ma lui, sorridendo bonariamente, mi disse. “Oh! I Tatry sono molto più belli dal versante polacco che non da quello slovacco!”. L’esperienza come nunzio apostolico è stata la più intensa che io abbia fatto. In quegli anni, potei toccare con mano quanto il Papa fosse amato dal popolo ceco e slovacco, a cominciare dalle autorità. Il presidente Havel mi disse due volte che Giovanni Paolo II aveva svolto un ruolo fondamentale nella caduta del comunismo: “Certamente – sosteneva – ci furono anche altre cause per la vittoria della libertà sul comunismo, ma, senza di lui, il risultato non sarebbe stato così subitaneo e inatteso”. Altre volte mi sottolineò che i suoi colloqui col Papa erano sempre molto informali e cordiali: “Lui parla in polacco, io in ceco – diceva – e ci intendiamo molto bene”. Ciò che gli attirava le simpatie di tutti era il fatto che fosse il primo Papa slavo della storia. La gente, che per quarant’anni era stata frastornata dalla propaganda ateistica, cominciava a capire che cos’era la Chiesa, quale mistero di comunione e di fratellanza portasse agli uomini insieme con la fede in Dio e l’amore di Cristo, negati per così lungo tempo. Anche per questo, Giovanni Paolo II è stato un grande dono di Dio alla Chiesa e all’umanità. Giovanni Coppa Cardinale diacono di San Lino da L’Osservatore Romano, 2 aprile 2011

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Il “Salterio di poveri e analfabeti” affidato da Maria a san Domenico per fermare la diffusione del male

Il santo rosario, arma missionaria potente “per guarire le piaghe della società”

Oggi è questo, per ogni battezzato, il senso della missione: perché predicare “a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati”, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, significa recitare le decine con vera fede, tenendo la Corona stretta tra le mani.

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econdo il Catechismo della Chiesa Cattolica, andare in missione ha un significato preciso: “Cristo ha inviato i suoi Apostoli, perché 'nel Suo nome', siano 'predicati a tutte le genti la conversione ed il perdono dei peccati” (Catechismo, n. 1122). Non quindi per lottare contro povertà e fame oppure per costruire ospedali e scuole. O meglio, tutto questo va bene, nella misura in cui sgorghi però da una dimensione del cuore caratterizzata da una preoccupazione cardine, quella dell'evangelizzazione e dell'annuncio, finalizzata ad un obiettivo specifico: guarire le anime e convertirle al Vangelo, rivolgerle cioè alla vera luce, quella di Cristo. Insomma, la Chiesa non è la Croce Rossa, per intenderci, e non è chiamata a fare della semplice, benché importante filantropia. Lo ha spiegato bene Papa Benedetto XVI al n. 31 dell'enciclica Deus Caritas est, laddove scrive: “È molto importante che l'attività caritativa della Chiesa non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante”, ma – pur rispondendo a quanto costituisca “la necessità immediata” con “competenza professionale” – si distingua e si contraddistingua in termini di “umanità” e di “formazione del cuore”, quell'umanità e quella formazione del cuore che sole sgorgano dall'”incontro con Dio in Cristo”. La Chiesa è chiamata pertanto a svolgere quella che Papa Benedetto XVI nell'enciclica “Caritas in Veritate” definisce una “missione” sì, ma “di verità”. Del resto, che l'annuncio di Cristo rappresenti espressamente il primo e principale fattore di sviluppo lo chiarì già Paolo VI nella Populorum Progressio prima e nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi poi, evidenziando in modo chiarissimo come “tra evangelizzazione e promozione umana”

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ci siano “legami profondi” ed individuando anzi le cause precise del sottosviluppo non tanto nell'ordine materiale quanto nel disordine spirituale, a partire dal tradimento del concetto di solidarietà e dalla “mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”. Mentre i sacerdoti, in virtù del sacramento dell'Ordine, sono proiettati – come recita il Catechismo al n. 1565 – verso una “missione di salvezza”, che non è “limitata e ristretta”, bensì “vastissima e universale”, ovvero – come spiegano gli Atti degli Apostoli (At 1,8) – fino “agli ultimi confini della terra”, anche i laici – avendo ricevuto “i sacramenti dell'iniziazione cristiana” ovvero Battesimo, Comunione e Cresima – sono chiamati ad “evangelizzare il mondo” (Catechismo, n. 1533).

A partire dai nostri cari in famiglia, dai colleghi sul lavoro e via via, secondo le occasioni posteci sul cammino. Un esempio concreto: il noto scrittore cattolico Eugenio Corti, autore di diverse opere di successo quali il romanzo Il Cavallo Rosso o la tragedia Processo e morte di Stalin, ha detto chiaramente e senza giri di parole di considerare la sua attività come una “milizia”, riprendendo così l'espressione per lui coniata da Caprara, l'ex-segretario di Togliatti. Ciò, ad indicare come ancora oggi sia possibile evangelizzare con efficacia, quindi vivere la missione in mille modi, non solo trasferendosi in mondi lontani e presso popoli sconosciuti, bensì anche attraverso l'esercizio della scrittura: “Missione dei fedeli laici – precisa Papa Benedetto XVI al n. 29 della Deus Caritas est – è pertanto quella “di configurare rettamente la vita sociale” secondo “carità”. Per svolgere saldamente tale compito, tutt'altro che semplice, e combattere così la “Buona

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Battaglia” cui san Paolo ci chiama quotidianamente, la Provvidenza ci ha dotati di armi adeguate: innanzi tutto, una “testimonianza di vita” fedele e coerente, utile per “attirare gli uomini alla fede e a Dio” (Catechismo, n. 2044); poi, potentissimo, il santo rosario, definito il “Salterio dei poveri e degli analfabeti”, affidato dalla Vergine Maria a san Domenico quale vera e propria arma spirituale per rafforzare la fede dei cattolici, favorire la conversione degli eretici – in particolare, in quel periodo, i crudelissimi albigesi – e fermare la diffusione del male nella società. La devozione si diffuse miracolosamente presso il popolo dei fedeli, il che non mancò di produrre

frutto, tanto nella “cura animarum” quanto in ambito temporale con incredibili vittorie. Esemplare in tal senso la famosa battaglia di Lepanto, vinta il 7 ottobre 1571, in un giorno peraltro tradizionalmente dedicato dalle Confraternite del rosario alle devozioni. Il senato veneto attribuì il trionfo felicemente ed in modo diretto alla Madonna del rosario: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit” ovvero “non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del rosario ci ha reso vincitori”. A Lourdes Nostra Signora apparve con la corona del rosario in mano, lo stesso accadde nel 1917 a Fatima, dove insistette molto sulla recita quotidiana del santo rosario, indicandolo quale unico mezzo efficace per combattere il male allora pronto ad abbattersi sul XX secolo, nonché quale unico rimedio “per la pace nel mondo”. La richiesta della Vergine non venne onorata e la guerra ebbe inizio proprio nella festa di Nostra Signora del rosario. Lo stesso Leone XIII, nell'enciclica Supremi apostolatus del 1 settembre 1883, specificò come “dal rosario” si possa “ottenere tutto” in quanto – come precisò santa Teresa del

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Bambin Gesù – “lunga catena che lega il cielo e la terra: una delle estremità è nelle nostre mani, l'altra in quella della Madonna. Finché il rosario sarà recitato, Dio non potrà abbandonare il mondo, perché questa preghiera è onnipotente sul suo Cuore”. Ma lo stesso san Pio X affermò come, “dopo la santa Messa”, non ci fosse “preghiera più efficace del santo rosario” contro “i pericoli del mondo”, secondo la formula utilizzata da Sisto IV. Non a caso lo scorso mese di maggio il santo Padre Benedetto XVI con tutti i Vescovi italiani, riuniti in Assemblea Generale, ha recitato il santo rosario, in occasione delle celebrazioni dell'unità

nazionale. Non certo un Te Deum, bensì l'occasione per affidare l'Italia alla Madonna. Ce n'è bisogno... Lo stesso Leone XIII nella già citata Supremi apostolatus, evidenziava come “il fatto più doloroso e più triste di tutti” sia “che tante anime, redente dal sangue di Gesù Cristo, come afferrate dal turbine di questa età aberrante”, vadano “precipitando in un comportamento sempre peggiore” e piombino “nell'eterna rovina”. Scenario non dissimile da quello attuale... “Il bisogno dunque del divino aiuto non è certamente minore oggi di quando il glorioso san Domenico introdusse la pratica del rosario mariano per guarire le piaghe della società”. Ecco, questa è allora la nostra missione, oggi: pregare con la corona tra le mani, proprio “per guarire le piaghe della società”. Mauro Faverzani

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www.sulrosario.org Il nostro sito torna a voi ampliato e rinnovato: forum, videogallery, richieste di preghiera e tanto altro.... Qui di seguito pubblichiamo un’intervista alla nostra collaboratrice che si occupa della sezione video. Dal prossimo numero una pagina verrà dedicata alla presentazione dei video più interessanti. Come si è avvicinata a Internet? Nel 2001 approdai nella rete per la prima volta attraverso un servizio di forum nei quali mi trovai coinvolta con altri due cattolici, a dover rispondere delle nostre “ragioni” di fronte alle continue accuse dottrinali, ingiustificate, di un mondo assai più “preparato” di noi, che è quello Pentecostale. Mi accorsi davvero di quanto ben poco io stessa e molti di noi cattolici conoscevamo della nostra Chiesa! Approdai nella rete usando un unico “username”, come si usa dire, ma evitai sempre l’anonimato ed infatti intervengo tutt’ora con il “nik” di LDCaterina63: LD, laica domenicana (che solo per un caso provvidenziale sono anche le iniziali del mio nome e cognome), “Caterina” in onore della grande senese e dottore della Chiesa, nonchè domenicana, santa Caterina da Siena, essendo anch’io una terziaria domenicana che ha scelto il suo nome e perchè la ritengo, seppur indegnamente, la mia maestra, e 63 la data di nascita, perchè non mi piace nascondermi alle persone con le quali entro spesso in contatto. Internet può essere pericoloso? I pericoli della rete sono tanti, ma il pericolo maggiore è quello della fede ”fai da te”: una grave tentazione che spinge anche molti cattolici ad essere sì presenti, ma a far prevalere le proprie opinioni, vanificando spesso il lavoro del Magistero per offrire al mondo la vera fede. Nella mia lunga esperienza cibernetica ho sempre cercato il lavoro di squadra con altri cattolici seri, e mi sono sempre affidata al Catechismo e a molti altri testi ecclesiali, aggiornandomi continuamente onde evitare di rispondere alle tante domande avanzando “per conto mio”. Ci parli della sua collaborazione con il Movimento domenicano del rosario Da qualche tempo la Divina Provvidenza, benchè immeritatamente, mi ha chiamato ad aiutare il Movimento domenicano del rosario. Stiamo realizzando una serie di video che propongono il magistero della Chiesa, in particolare sui temi mariani e “rosariani”. Riceve molte mail? Capita spesso di ricevere mail: alcune interessanti, altre perfino offensive, altre con testimonianze e richieste di aiuto spirituale.

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Valutiamo le più significative con la segreteria; rispondiamo e affidiamo le intenzioni di chi ci scrive al Cuore della Madre grazie al nostro Promotore che le ricorda sempre nella Santa Messa. Ciò che ci colpisce di più è la testimonianza di chi purtroppo è insofferente al rosario: leggere certe testimonianze ci fa davvero soffrire e ci fa comprendere che il nostro lavoro può essere davvero un’opera della Divina Provvidenza: non imponiamo nulla, ma seminiamo gratuitamente accompagnando con la preghiera affinché tale semina cada in terreni buoni e produca poi il suo frutto. Tuttavia c’è anche il rovescio della medaglia: sono tante le mail di incoraggiamento e di gratitudine per aver “sbriciolato” questo magistero in modo da renderlo comprensibile e forse anche più “digeribile”.... Internet ci può far crescere nella fede? “Giovani, siate testimoni della vostra fede nel mondo digitale” con queste parole il beato Giovanni Paolo II spronava i cattolici ad usare Internet quale mezzo di evangelizzazione. Oggi, Benedetto XVI ripete il pressante appello ad essere “testimoni” della fede e della speranza che è in noi... Ritorna alla mente l’episodio del Vangelo quando Gesù, vedendo la folla, “ebbe com-passione”: non si tratta di pietismo o di sentimentalismo. La “passione” con la quale Gesù e la stessa Vergine Maria ci spingono verso quell’amore autentico per il prossimo ci ricorda come la folla debba essere davvero “sfamata” con quella Parola che non è rimasta esclusivamente dentro un Libro Sacro, ma che si è anche Incarnata e che con quel “Fiat” di Maria, attende anche il nostro “Sì” . Sono consapevole di poter aiutare davvero molte persone, ma confesso che sono stata io ad essere aiutata sia dal Movimento domenicano del rosario sia dalle tante mail ricevute. Esse ci spronano a ricercare risposte che tengano conto dell’altro, che non si chiudano mai nella propria opinione, ma che sappiano offrire quella fede che non è una filosofia, una dottrina, un testo prezioso o sacro, ma è la Persona viva e vera di Nostro Signore Gesù. Ci affidiamo alla Sua santissima Madre in un dialogo continuo e ininterrotto: questo è ciò che intendiamo per “lavoro di squadra”!

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Testimonianze

R

ingraziandovi per l’amicizia che mi avete dato, sto seguendo i video sul rosario che state pubblicando. A parte il fatto che sono molti gradevoli e leggeri da seguire, vorrei chiederti alcune cose. Si dice che il rosario è roba per vecchiette, come fare per dire alla gente che la pensa così che si sta sbagliando? Voi come Movimento del rosario parlate tanto di meditazione e contemplazione, e attraverso i tuoi video infatti si capisce bene che cosa significa questo, ma come attuarlo quando in parrocchia ti danno solo 15, al massimo 20 minuti per dire il rosario? Inoltre il rosario è ormai monopolio di certi gruppi, certi parroci non si “impacchiano” e non si vogliono intromettere, ma non è possibile cambiare le cose e il rosario viene detto spesso velocemente, senza neppure la lettura del vangelo, si dice il mistero e si attacca subito il Padre Nostro, salvo poi non rinunciare alla schitarrata sguaiata per separare una decina dall’altra. Infine mi piacerebbe anche che si potesse dire il rosario in latino, generalmente in casa mi aiuto con il CD che ho preso da Radio Vaticana con il rosario in latino recitato da Benedetto XVI, ma in parrocchia mi hanno perfino vietato di parlarne. Come si può fare per interrompere questo modo indecente di pregare il rosario? Grazie per i consigli che mi darai!

Internet e il rosario

C

iao, sono un ragazzo di 19 anni e volevo ringraziarvi per il bellissimo video sulla “Beata Teresa di Calcutta e il rosario” che hai caricato! È veramente bello e particolarmente ben fatto perchè mostra come la Madre sia stata una grande donna di preghiera e non semplicemente una sorta di assistente sociale! Grazie. Ultimamente la sto conoscendo e ne sono rimasto incantato. Non pensavo che fosse così attaccata al rosario, questo dimostra davvero come la carità della Chiesa sia di tutt’altra pasta da quella che ti fanno credere, quasi che la Chiesa fosse un centro sociale, dimenticando sempre che se non c’è una conversione all’origine di ogni carità, ogni gesto resta sterile. E volevo ringraziarvi anche per la rivista Rosarium che avete messo in pdf. Purtroppo i miei sono separati, e mi avrebbe fatto piacere avere una mamma che come te pregasse e spingesse i figli sempre verso la Chiesa e il Papa, in casa mia invece si respira sempre aria di odio e di anticlericalesimo, ho perciò immensa gratitudine a Dio per avervi conosciuti e per poter leggere i vostri scritti, sono davvero edificanti. Come avete ricordato domani c’è la Supplica, a mezzogiorno ci sarò anch’io e cercherò di dire il rosario tutti i giorni, almeno una decina. Un caro saluto!

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R

M

iferendomi al video per i sessant’anni del Sacerdozio dell’amato Benedetto XVI non mi soffermo sui complimenti, tutti meritatissimi, per i video, ma devo complimentarmi invece per questo nuovo metodo di catechesi, che il Movimento Domenicano del rosario sta usando, e sull’eccellente filo mariano che state facendo emergere dalla vocazione di Ratzinger. Intendiamoci, io non ho nulla contro il suo predecessore, è stato un grande Papa, ma non è l’unico, né l’unico grande! È stato il Papa definito del Totus Tuus ed io sono d’accordo, ma la sottile sensibilità mariana di Benedetto XVI è davvero grande ed è tutta intessuta nel tessuto stesso dell’ecclesiologia, che mi sembra sia importantissima in questa confusione ecumenica e specialmente con il protestantesimo che ha apportato gravissime confusioni dottrinali sull’immagine della Chiesa quale Madre e su Maria nella sua legittima devozione ed intercessione. Grazie per tutto. Luciano

i presento: mi chiamo Paolo, ho 38 anni, e seguo da circa un anno il vostro forum con assoluta assiduità. Sono felicemente cattolico (ovviamente praticante, anche se desidero sempre nella preghiera che tutti i cattolici possano fregiarsi di questa qualifica) e, ultimamente, sento sempre più il bisogno di vivere intensamente e consapevolmente nella nostra Santa Chiesa. È incredibile come noi cattolici siamo davvero ignoranti su tanti temi, è vero che non è necessario sapere tutto, una volta bastava avere la fede, ma sembra che di questi tempi abbiamo bisogno proprio della Sapienza che solo la Chiesa sa donarci integralmente e con ortodossia. Ho avuto una vita burrascosa che vi risparmio, ma l’affetto e il sentimento verso Maria mi hanno sempre preservato dal peggio e perfino dall’andarmene via dalla Chiesa. Finalmente ho trovato voi, un forum che spiega l’ortodossia della Chiesa e non trascura insieme la devozione mariana, non quelle devozioni di certi forum “sdolcinati” che alla fine diventano noiosi: non voglio giudicare, ma ne ho girati tanti senza mai capire la dottrina cattolica. Qui vedo – da un anno che vi leggo – che siete riforniti di tutto, mi avete fatto amare questo Papa che all’inizio non mi piaceva, mi avete fatto ritrovare il rosario che

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non dicevo più, questi video che mettete del Movimento Domenicano del rosario sono davvero interessanti e gradevoli per imparare, mi state facendo conoscere la storia della Chiesa senza partigianeria, al di sopra delle parti, mi avete ricordato che la verità esiste davvero. Grazie a voi e al contributo che offrite per l’edificazione secondo il Magistero, ho avuto modo di comprendere e approfondire la cristallina bellezza della dottrina. Ovviamente, ho ancora molto da approfondire; Dio vi benedica. Paolo

mariana. Però quando gli ho ricordato che ha fatto il diavolo a quattro per organizzare un gruppo parrocchiale da portare alla beatificazione di Giovanni Paolo II, che ha portato anche i nuovi misteri del rosario, ha balbettato che non si è capito, ma una cosa l’ha detta: che non tutti i santi sono perfetti! Mi piace molto la miariologia di Benedetto XVI, è di una delicatezza infinita, io come uomo sposato e con tre figli avverto tutta la profondità di questo amore nella più autentica femminilità della Chiesa e di Maria che è la Madre della Chiesa; questa donna si lascia davvero innamorare se soltanto avessimo sacerdoti meno attivisti sociali e un po’ più innamorati della Sposa. Scusami, non volevo fare polemiche, ma delle volte penso che troppi sacerdoti hanno un fare da protestanti e questo mi dispiace molto! Continua così, anzi continuate così, questi video sono davvero magistrali! Ave Maria! Giorgio

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uesta volta vi siete superati! Mi son permesso di inserire un commento nella vostra pagina video. Ma soprattutto vorrei segnalare l’importanza delle catechesi che portate avanti, chissà quanto lavoro c’è dietro! Vi voglio confidare che ieri ho fatto vedere questo video al mio parroco perché lui è un po’ allergico al rosario, non ti voglio rovinare la giornata, ma ti lascio immaginare che razza di commento mi ha fatto contro questa devozione

Il rosario vivente nella parrocchia di San Giovanni Nuovo in Imola Durante la Quaresima nella nostra parrocchia abbiamo sperimentato il rosario vivente: più di 40 persone si sono impegnate a recitare ogni giorno un mistero del rosario per i bisogni spirituali delle famiglie, della comunità, per i bambini, i giovani, gli anziani, gli ammalati e in suffragio dei defunti. L’esperienza di pregare in comunione con gli altri una decina di Ave Maria, senza il vincolo del luogo e del tempo, ha consentito ad ognuno, col mistero del giorno assegnato, di pregare in comunione (tu preghi per tutti e tutti pregano per te) completando ogni giorno i 20 misteri del rosario (del gaudio, della luce, del dolore e della gloria). Tutti hanno avuto modo di meditare per due volte i singoli misteri, un rosario vivente iniziato il mercoledì delle ceneri e portato avanti fino a Pasqua, ad ognuno è stato dato uno schema da seguire giorno per giorno. Ci proponiamo di ripetere questa esperienza anche nel periodo dell’Avvento. A seguito di questa iniziativa, anche nella nostra parrocchia una volta al mese si recita il rosario meditato guidato da Padre Mauro Persici.

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Maria nella devozione e nella pittura dell’Islam

L

a Vergine Maria non è solo venerata dai cristiani, e più particolarmente dai fedeli cattolici, ma gode di una speciale considerazione nella religione islamica. Certo, e diciamolo subito, Maria non è la Madre di Dio, per la fede islamica, ma è la madre di Gesù, che è considerato un profeta per i musulmani. Il libro del Vescovo di Trento, Luigi Bressan, viene a colmare una lacuna nella cultura e nella conoscenza dell’arte: la presenza di Maria nell’iconografia islamica con particolare attenzione alle miniature delle varie tradizioni (araba, persiana, moghol, turca). È LUIGI BRESSAN, Maria nella devozione e un libro da guardare, da contemplare anzitutto perché nella pittura dell’Islam, Milano, Jaca Book, l’apparato iconografico è davvero ricco. Ben 53 im- 2011, 231 pp. 34 magini corredano il testo o meglio i testi che permettono sia allo studioso che al semplice lettore di addentrarsi nella ricca simbologia e nella cultura religiosa islamiche. Maria, la madre del profeta ‘Îsâ, che traduciamo come Gesù, assume davvero una valenza particolare anche nell’Islam. L’interessante saggio di Livia Passalacqua permette di comprendere in maniera competente il ruolo di Maria nel Corano, il libro fondatore di tutta la religione islamica, e nel sufismo, cioè nella corrente più spirituale di questa stessa religione. Delle vere e proprie perle spirituali possono fare addirittura l’oggetto di una meditazione in compagnia di queste belle miniature persiane. Come non leggere le testimonianze della tradizione ammirando alcune delle rappresentazioni iconografiche di Maria, contenute in questo pregevole volume? Come quella di uno dei primi storici dell’Islam, lui stesso musulmano, al-Tabarî: «Ella è l’anima pura che Dio ha scelto, perché ricevesse il suo Verbo, e di cui ha purificato le viscere per deporvi il suo Spirito». Nella presentazione, il padre Borrmans mette a nudo anche gli aspetti che distinguono bene le due fedi, ma anche come un tale libro possa davvero costituire un elemento pionieristico per il dialogo interreligioso. Certo, accostarsi a un tale volume potrebbe forse anche destare un certo timore nel cattolico, ma il coraggio della fede cristiana vince qualsiasi timore e sa anche incontrare i semi del Verbo contenuti al di fuori della tradizione cristiana. Il titolo della terza parte del volume è significativo e allusivo di qualcosa che sa andare al di là delle categorie già fin troppo rigide: documentare l’incontro. Questo libro documenta un incontro, quello dell’Islam con Maria: e allora anche noi, semplici lettori, possiamo documentarci su un incontro che, forse, può aprirci ad altri incontri. fra Alberto F. Ambrosio op

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ricordatevi che dalle ore 9,30 di

sabato 17 settembre presso il Santuario di S. Grado Miren-Kostanjevica Merna-Castagnevizza (Slovenia)

sabato 1 ottobre nella cripta del Crocifisso del Santuario della Beata Vergine di Loreto (An) fino al tardo pomeriggio ci ritroveremo per pregare, meditare e condividere gioiosamente celebrando insieme i

raduni regionali del rosario per ogni informazione: Padre Mauro tel. 335 5938327 - info@sulrosario.org

In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa


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