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P oste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonam ento P ostale D.L. 353/2003 (conv . in L. 27/02/2004 n° 46) art ,1 com m a 2, CB Bologna - Anno X LIV - n. 4 - III trim estre

Movimento Domenicano del Rosario - Provincia “S. Domenico in Italia”

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ROSARIUM Proprietà: Provincia Domenicana S. Domenico in Italia via G.A. Sassi 3 - 20123 Milano Autorizzazione al Tribunale di Bologna n. 3309 del 5/12/1967 Editore: Edizioni Studio Domenicano codice fiscale 00827210378 Direttore responsabile: fr. Mauro Persici o.p. Rivista fuori commercio

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Pubblicazione trimestrale del Movimento Domenicano del Rosario

Alla redazione dell’inserto per i bambini hanno collaborato Ilaria Giannarelli con Massimiliano, Serena e Daniela Guerrini

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Il numero è stato chiuso l’11 novembre 2011

SPECIALE: La Messa di Mezzanotte Natale: la Messa di Mezzanotte La gioia del Natale nel mondo La Messa di Natale: non un punto di arrivo... I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della Beata Vergine Maria. III e ultima parte Usare bene internet

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Per ragioni di spazio le testimonianze degli incontri del Rosario verranno pubblicate nel prossimo numero


SP EC IA LE Natale la Messa di Mezzanotte


La Santa Messa di Mezzanotte a Natale nella liturgia fra Daniele Mazzoleni op

Minuit! Chrétiens, c’est l’heure solemnelle Où l’homme Dieu descendit jusqu’à nous… Mentre scrivo questo articolo sulla Liturgia della Notte di Natale ascolto in sottofondo il ‘Cantico di Natale’ di Adam composto nel 1847, che comincia con un invito potente e pieno di meraviglia a rendersi conto di quel che avviene: “È mezzanotte! Cristiani, è l’ora solenne in cui l’Uomo-Dio è disceso fino a noi…”. Lasciamo il fascino della musica e vediamo brevemente la storia della celebrazione natalizia. Quasi trentacinque anni fa Mons. Mariano Magrassi, prima abate di Noci e poi arcivescovo di Bari, grande maestro in Liturgia, scriveva in una sua riflessione sul tempo di Natale: ”La Chiesa primitiva ha conosciuto un sola festa: la Pasqua settimanale (domenica) e annuale. Solo nel IV secolo appare la solennità dell’avvento del Signore tra gli uomini. La data non è scelta per la sua coincidenza con l’evento storico… Qui si tratta piuttosto di “cristianizzare” le feste pagane del solstizio invernale che festeggiavano il ‘Sol invictus’, la rinascita del sole. Il persistere di quelle feste era un po’ il simbolo dell’ultima resistenza del paganesimo. La Chiesa ne trionfa sostituendovi la festa del nuovo “Sole invincibile”, Cristo, “Sole di giustizia”e “Luce del Mondo”, immensamente più risplendente di quella che emana dagli elementi del cosmo” (M. Magrassi, Cristo ieri oggi sempre, Ecumenica ed., pag.103). Mi permetto una sola osservazione: da un punto di vista liturgico molto probabilmente aveva ragione Mons. Magrassi, ma per quanto riguarda la data della nascita di Gesù c’è discussione fra gli studiosi dopo le ricerche svolte non da un cattolico tradizionalista con mire apologetiche ma dal prof. Talmon Shemaryahu, docente alla Hebrew University di Gerusalemme, ebreo convinto e studioso dei testi di Qumran, morto il 15 dicembre 2010. Al termine dei suoi studi il professore conclude sostenendo: “la data del 25 dicembre per la nascita di Cristo è la più verosimile”. Torniamo alla liturgia e in particolare all’origine delle celebrazioni eucaristiche natalizie Prima della costruzione a Roma della basilica di S. Maria Maggiore, tutta la preghiera liturgica era svolta dal Papa nella chiesa di S. Pietro in Vaticano. Dopo aver celebrato, la sera precedente

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al Natale, la conclusione del digiuno con l’ufficio vigilare e con una santa Messa riportata dal Sacramentario Veronese, il Papa celebrava con il suo clero la preghiera della notte con le preghiere proprie della festa e poi la santa Messa che introduceva nel giorno di Natale. Il contesto originario, fin dalla metà del 300, è quello dell’alba: della notte che viene illuminata dal Cristo (sole) che sorge. Più tardi, la costruzione della basilica di S. Maria Maggiore (432), il ricordo del presepio, la Cripta-grotta sotto l’altare maggiore che custodiva le reliquie della ‘culla’ di Gesù (alcuni pezzi della mangiatoia) ma anche l’influsso di una preghiera prolungata a Betlemme della comunità cristiana di Gerusalemme (chiamata stazione) hanno portato a Roma una “Stazione” a metà della notte nella basilica di S. Maria Maggiore sull’Esquilino. Alla fine del VI secolo è documentato un parziale cambiamento: per ricordare presso la delegazione bizantina sul Palatino la martire Anastasia, il Papa celebrava a Roma nella notte a S. Maria Maggiore la S. Messa che prima veniva celebrata all’alba in S. Pietro, poi si trasferiva a S. Anastasia per celebrare una S. Messa all’alba che presto perse la memoria della Santa per acquistare un tono natalizio e, per non affrontare il viaggio fino a S. Pietro, nuovamente una celebrazione in S. Maria Maggiore corrispondente alla nostra attuale S. Messa del giorno di Natale. Ecco l’origine delle tre S. Messe Natalizie: della notte, dell’aurora e del giorno. Cosa possiamo dire riflettendo su questo cammino delle celebrazioni a Natale? Motivi nobili e teologicamente profondi si intrecciano a ragioni pratiche concrete nel celebrare la nascita del Salvatore. Tuttavia questo esprime anche liturgicamente la logica sublime dell’Incarnazione che unisce il divino all’umano assumendolo a strumento per la salvezza e la divinizzazione dell’uomo: “essa ci eleverà alla natura di Colui che adoriamo nella nostra” (S. Leone Magno) e realizzerà nell’Eucarestia quel mirabile scambio tra la nostra povertà e la sua grandezza, “si è fatto ciò che siamo per renderci partecipi di ciò che Egli è”(S. Cirillo di Alessandria). Le caratteristiche dell’evento celebrato e non solo ricordato Vale la pena ribadirlo: non è solo memoria di un fatto passato, non è solo celebrazione del ‘compleanno di Cristo Gesù’. Certamente è anche questo, ci ricorda S. Agostino. “E poiché solo di chi è vivo si festeggia il compleanno, allora festeggiare il Natale significa riconoscere, magari solo implicitamente, che Gesù è vivo oggi e non è un personaggio del passato” completa il card. Giacomo Biffi. L’evento celebrato viene misticamente ripresentato e il frutto di grazia continuamente donato. Quali sono le caratteristiche di questo ‘Dono’ che vengono ricordate soprattutto nelle preghiere liturgiche (all’inizio la colletta, sopra le offerte, alla fine dopo la comunione e anche nel prefazio prima della consacrazione) della S. Messa della notte? Ne voglio ricordare soprattutto tre: la Luminosità che vince le tenebre di ogni notte, la Sorpresa che supera ogni attesa, la gioiosità per una salvezza regalata nell’unione con il Redentore e che va testimoniata con una degna condotta di vita. Vediamole una per volta un po’ più estesamente e tentando anche qualche aggancio alla vita. La Luce di Cristo ha fatto splendere questa santissima notte Il famoso esegeta gesuita p. Luis Alonso Schokel in una dotta meditazione sul Natale lega quella notte a dieci notti descritte nella Bibbia in cui Dio crea, interviene, guida, protegge, libera, esamina, scruta… e “mentre un silenzio sereno tutto avvolgeva e la notte era a metà del suo corso, la Tua Parola scese dal trono regale dei cieli”( cfr. Sap. 18,14) in un bambino inerme che non spaventa nessuno, non impugna una spada, ma è avvolto in fasce da una Madre tenerissima che lo porta nel mondo per la gioia di tutti. È audace per la liturgia prendere quei versetti del libro della Sapienza e applicarli al Natale. Da quella notte ogni notte può essere rischiarata da Cristo,

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Luce del mondo che raggiungerà il suo pieno splendore la notte di Pasqua con la Risurrezione. Ogni notte: quella dei delusi e dei disperati, quella degli annoiati e degli uomini affaticati, quella degli smarriti e scoraggiati, dei confusi e dubbiosi; notte di chi vaga nelle tenebre dell’errore e della menzogna, quella di chi è ammalato, disprezzato, solo o calpestato perché da nessuno considerato; viene per brillare anche in quella di chi sciupa la propria vita o la “rovescia” negli affanni, negli affari e negli affetti di questo mondo, esclusivamente di questo mondo chiuso su di sé. È una Luce calda, è una Luce che non si lascia spegnere dalle tempeste e dalle bufere, non si esaurisce come le fiammelle quando finisce lo stoppino o la cera (le nostre piccole risorse umane), si posa con delicatezza su tutto e permette ai colori di manifestarsi, rallegra gli occhi sani e ben disposti ma ‘bussa’ agli occhi chiusi e disturba quelli malati invitando a una cura adeguata per la guarigione, per una vera conversione. Una sorpresa che supera ogni attesa Tanti lo aspettavano ma li ha sorpresi tutti. Il nostro è un Dio che ci sorprende. Lo attendevano Potente, che viene a mettere a posto ogni cosa, il “castigamatti” a cui non si può resistere. Il capo, il leader, il condottiero. E invece sorprendentemente viene fragile, vulnerabile, mite. Lo aspettavano Giudice senza pietà che rivelava i progetti occulti e malvagi: condannava subito, senza timori, senza appelli, senza recuperi. E invece venne per salvare chi era perduto, compatire, convertire… Lo aspettavano Ricco, benedetto da Dio con ogni fortuna, con ogni bene. Da sempre gli uomini sono sensibili al denaro e a quello che si può fare con i soldi, con l’abbondanza di mezzi. E Lui venne libero e povero, per annunciare una buona notizia ai poveri, usando dei beni di questo mondo senza diventarne schiavo, condividendo ciò che aveva di più prezioso: “spogliò se stesso assumendo la condizione di servo, divenendo simile agli uomini”. Lo aspettavano Grande, capace di abbagliare e di farsi applaudire e anche rincorrere da tanti pronti a strisciare per trovare un posto fra suoi cortigiani adulatori. E invece venne come Bambino deposto in una mangiatoia in una disadorna grotta. Anche chi non vuole lo deve ammettere: ha fatto di testa sua e ci ha spiazzato tutti, a bocca aperta ci ha lasciato… E non ha mandato un suo rappresentante, ma proprio suo Figlio. Il suo stile non cambia: continua a sorprenderci e sono sorprese incantevoli, imprevedibili anche nella vita spirituale più matura e avanzata. E potremmo continuare ancora… La gioia della Salvezza regalata, a tutti e ciascuno, che va testimoniata con una degna condotta di vita A questo punto mi fermo perché altre voci, più autorevoli della mia, negli articoli che seguono vi possono mostrare come questo già sia avvenuto e avvenga per molti discepoli di Gesù Bambino che nella notte di Natale adoreremo e porteremo all’altare. Spiritualmente ancora ci viene incontro con braccia allargate per poterci stringere in un amabile e tenero abbraccio, l’unico che può scaldare la nostra vita nel gelo dell’indifferenza e dell’egoismo del mondo, l’unico che la può trasformare in vita degna di essere vissuta. Anche la musica e il canto dolcissimo di Adam raggiunge il suo punto più alto ed espressivo: “Qui Lui dira notre reconnaisance? C’est pour nous tous qu’il nait, qu’il souffre et meurt. Peuple, Debout! Chante ta déliverance, Noël, Noël, chantons le Redempteur!”. (Chi potrà esprimergli la nostra riconoscenza? È per noi tutti che nasce, che soffre e muore. Popolo svegliati, in piedi! Canta la tua liberazione. Natale, Natale cantiamo il Redentore!). Se ritorneremo a casa con un po’ di questa gioia, di questa luce, di questo ardore nel cuore non avremo partecipato invano alla Messa di Natale.

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MESSA DI MEZZANOTTE

La gioia del Natale nel mondo PALESTINA

La Messa di Mezzanotte a Betlemme Il 24 dicembre, nella città di Betlemme, una processione di scout che avanza al suono dei flauti, dei

tamburi e delle cornamuse dà il via alle festività di Natale: sfilano lungo la Piazza della Mangiatoia – Piazza della Natività – dove regna un’atmosfera carnevalesca, coi mercanti dalla barba lunga e i palloncini. Sulla sinistra della piazza si erge l’impressionante basilica della Natività, eretta nel IV secolo ma costantemente rimaneggiata ed ingrandita nelle epoche successive. È da là che vengono ritrasmesse in tutto il mondo le immagini della Notte di Natale. Nella basilica della Natività, che si affaccia sulla piazza, alcuni monaci cantano, mentre centinaia di pellegrini aspettano di poter entrare nella grotta dove Maria diede alla luce Gesù. I credenti vengono qui tutto l’anno, a commemorare la nascita di Cristo: nel periodo di Natale, nelle cappelle della chiesa sfilano genti provenienti da ogni continente del mondo, mentre i canti e le preghiere in ogni lingua si mescolano susseguendosi senza sosta. Nella cripta, chiamata “la Grotta della Natività”, una stella d’argento recante in latino la scritta: “Qui è nato Gesù Cristo dalla Vergine Maria” segna sul suolo il punto in cui venne alla luce Gesù. Lì di fianco c’è il punto dove sarebbe stata posta la mangiatoia. A Betlemme le festività natalizie raggiungono il culmine la notte del 24 dicembre, con la tradizionale Messa di Mezzanotte, che viene celebrata nella chiesa di Santa Caterina dal Patriarca Latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal, alla presenza del Presidente palestinese Mahmoud Abbas, del Primo Ministro Salam Fayyad e dei Consoli Generali di vari Paesi venuti dalla città santa di Gerusalemme, nonché di una folla numerosa di fedeli. Apertura della Festa di Natale Sin dalla metà del 24 dicembre, la Piazza della Mangiatoia è piena di pellegrini e turisti che si accalcano a migliaia. Il Patriarca Latino di Gerusalemme è in arrivo. Frattanto, gli scout invadono la piazza: giovani in uniforme, ragazze, cornamuse, trombe e grancasse. Il sole splende, si canta: passando da “Viva il vento d’inverno” ai canti tradizionali palestinesi. L’atmosfera è molto più festosa di quanto ci si possa immaginare... Il Patriarca Latino di Gerusalemme, Mons. Fouad Twal, la più alta autorità cattolica romana in

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Terra Santa, fa il suo ingresso solenne nella città palestinese di Betlemme, assolata e inghirlandata di festoni, di bandiere palestinesi e di striscioni nei colori della Santa Sede. La Palestina cristiana e i suoi scout dalle uniformi colorate, con le fanfare e le cornamuse in testa al corteo, accompagnano il Patriarca fino alla Piazza della Mangiatoia in un’atmosfera da festa popolare. Molti di loro rimarranno là ad aspettare per partecipare alla Messa di Mezzanotte celebrata dal Patriarca Latino. Messa di Mezzanotte La folla sulla piazza non si disperde. La notte scende su Betlemme. I primi pellegrini iniziano ad entrare poco dopo le nove di sera. La folla preme fuori dalla porta esterna della chiesa di Santa Caterina, che si trova vicino alla chiesa della Natività. Le persone entrano camminando con reverenza, e con loro vi sono numerosi sacerdoti; bisogna far loro capire che la chiesa non può contenere tutti quei fedeli. Ma c’è tutto il tempo: infatti si deve aspettare che arrivi la mezzanotte. L’ assemblea – un mare di teste – resta in silenzio, in ascolto, o canta inni nell’attesa. Quest’atmosfera sospesa e raccolta è un’esperienza che non si può vivere altro che qui, a Betlemme: questa notte, in questo luogo confinato dietro al muro costruito dagli israeliani, nel cuore di una città che soffre, abitata da una piccola minoranza cristiana, il mondo intero si è dato appuntamento per inchinarsi davanti al Bambino. L’emozione si fa palpabile: è giunto il momento dell’ingresso del Coro. I cantori si dispongono attorno all’organo, mentre la folla attende, osservando affascinata il Coro, così numeroso, vestito di blu. Davanti a loro, tanti bambini vestiti di bianco. Il Coro è composto da alunni e insegnanti cristiani, mussulmani, ebrei: conta solo il posto che si fa alla bellezza e alla musica. E questa notte, qui a Betlemme, canteranno insieme. La celebrazione ha inizio. Dalla sacrestia escono in processione i celebranti, in abito solenne, con la Croce e il Vangelo tenuti con le braccia ben tese verso l’alto, e preceduti dall’incenso. Si intona l’Ufficio delle Letture. La folla è in piedi da ormai quasi due ore, ma l’aria pare quasi vibrare di gioia, a mostrare la fine dell’attesa. Sono tutti qui insieme per ringraziare Dio di essersi fatto Bambino. Alle prime note del Gloria viene sollevato il drappo che na sconde la statua di Gesù Bambino, e il Gloria cantato dal Coro pare davvero il primo Gloria che fu cantato dagli angeli. Le voci dei cantori innalzano i cuori e l’assemblea si unisce al canto. A mezzanotte il Patriarca Latino esce dalla sacrestia della chiesa vicina alla basilica della Natività (dove officiano i greci ortodossi), recando in mano l’effigie del Bambino Gesù, e va a deporla al centro dell’altare.


Chi lo sa quanto dura la Messa di Mezzanotte a Betlemme? Nessuno mostra i segni della fatica. Alla fine della celebrazione, l’attenzione si concentra sulla processione dei sacerdoti concelebranti, che accompagnano il Patriarca, il quale porta il Bambino Gesù nella Grotta della Natività. Lo adagerà nella Mangiatoia, e là resterà fino al giorno dell’Epifania, disteso nella culla su un drappo di seta, come vuole la tradizione. Quando la processione rientra, i pellegrini hanno quasi svuotato la chiesa, e l’ultima strofa del Te Deum annuncia la benedizione finale. Sono passate due, forse tre ore: a Betlemme è Natale. Il giorno di Natale Nella Grotta, all’altare della Mangiatoia, e nelle grotte sotto la Basilica, si celebrano Messe senza interruzione, fino al pomeriggio del 25 dicembre. E qui, nella chiesa di Santa Caterina, le Messe per i gruppi numerosi ricominceranno tra poco. Molti degli abitanti di Betlemme e della regione circonvicina, che non hanno potuto prendere parte alla Messa di Mezzanotte per via delle migliaia di pellegrini, vengono il giorno dopo. Quella è la loro Messa: pigiati gli uni contro gli altri, famiglia accanto a famiglia, partecipano cantando in coro in modo toccante e davvero commovente. Niente riuscirà a distrarli: è il loro Natale, e i bambini vestiti di rosso – come tanti piccoli Babbi Natale – aspetteranno di poter salutare, uno per uno, il Patriarca Latino, che sarà tutto per loro. E andranno tutti, grandi e piccini, a baciare la statua di Gesù Bambino, Bambino di Betlemme. Natale, la gioia dei bambini Ogni anno, a qualche centinaio di bambini che vivono nella zona di Betlemme vengono distribuiti dei doni. Se poteste vedere i sorrisi sui volti di questi bambini, quando ricevono i loro regali, esultereste di gioia anche voi per loro. È un gesto tanto piccolo ma al contempo tanto importante, per i bambini di Betlemme. Riuscire a fare un regalo che porti gioia nella vita di un bambino nel periodo di Natale, e vedere il sorriso sul suo visetto prezioso, trasforma ogni sforzo in una vera opera d’amore. È un vero dono di Dio. Quando suona la campana di Natale, il grigiore del quotidiano è chiamato a trasformarsi; e lascia posto alla gioia. Di che è fatta questa festa? È prima di tutto una grande Presenza che si percepisce nella fede, nella speranza e nella carità. E tale presenza è insieme il Bambino di Betlemme e il glorioso Redentore. Betlemme, che quasi duemila anni orsono vide la nascita del Nostro Salvatore Gesù Cristo, è oggi una città circondata da un muro, come una prigione, e la festa è intaccata dalle restrizioni causate dall’occupazione israeliana. Per entrare in città bisogna attraversare i checkpoint, e vengono messe in atto importanti misure di sicurezza. A pochi palestinesi cristiani viene concesso di visitare i parenti fuori Betlemme. Malgrado ciò, la Luce di Cristo non si spegne. Delle persone di buona volontà offrono il loro aiuto affinché, in questo momento di bisogno, questa Luce continui a brillare in tutto il suo splendore. Ovunque, in Terra Santa, tanto in Palestina che in Israele, ci sono persone che intrattengono prospettive di pace, e nella preghiera vi è una mobilitazione della fede e della speranza che canta un inno alla carità. fra Guy Tardivy, O.P. Gerusalemme

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TURCHIA A Smirne, una Messa alla Vigilia di Natale non basta mai! Ogni anno, mentre accendiamo la prima candela dell’Avvento, cominciano le attività natalizie

nella piccola comunità latina di Smirne. Le signore cosiddette “levantine”, di origine europea ma residenti nel territorio dell’ex Impero ottomano, preparano con grande impegno oggetti di regalo adatti al Natale e li offrono alla comunità nella kermesse natalizia. Sono in vendita libri in tutte le lingue parlate nella nostra comunità: italiano, francese, greco, turco… Poi dei cd, rosari, marmellate… Queste signore hanno imparato dalle loro madri a preparare i dolci tipici della tradizione levantina che portano nomi greci. Il ricavato viene donato alla Caritas Diocesana. La più grande e numerosa parrocchia di Smirne, la parrocchia del S. Rosario, tenuta dai padri domenicani, ha pure un piccolo, ma bravissimo coro. Sono incaricati loro di animare le Messe più solenni di questa parrocchia, ma anche quelle presiedute da S. E. Mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo metropolita di Smirne, un arcivescovo italiano, di origine modenese. Il maestro del coro, il signor Ugo Braggiotti, prepara ogni anno con grande cura i canti delle celebrazioni natalizie e pasquali, soprattutto i canti classici. Il giorno di Natale, alla Messa solenne presieduta dall’Arcivescovo, si canta tradizionalmente la “Missa de Angelis”. A Smirne, tutta la comunità cattolica appartiene al rito latino e vi è un solo arcivescovo. Tradizionalmente la gente partecipa alla celebrazione della santa Messa della notte di Natale e della Veglia Pasquale nella propria parrocchia. Il giorno di Natale e di Pasqua non si celebrano però le Messe nelle parrocchie, ma tutti i fedeli vanno al bellissimo Santuario di San Policarpo, dove risiede l’arcivescovo. Questo santuario, costruito dai Cappuccini francesi nel 1620, è sicuramente la chiesa cattolica più bella di tutta la Turchia. Possiamo dire che è una grandissima gioia vedere i presepi creati dal frate domenicano Paolo Ronco, nella nostra parrocchia del S. Rosario di Smirne. Ci fa vivere la notte santa di Betlemme, offrendo alla contemplazione dei fedeli almeno tre scene sacre preparate sui vecchi altari laterali usando ogni anno delle diverse stoffe, nuove luci, a volte mettendo anche un sistema di acqua corrente per creare un fiume dove i re magi passeranno… È assolutamente vietato cercare di vedere l’opera di fra Paolo prima che sia pronta… Nessuno può intervenire, eccetto Omar, il bravo giovane accolito, al servizio dell’Arcidiocesi.

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Le chiese sono le case di Dio e i luoghi del culto. Per le comunità delle minoranze come la nostra, la chiesa ha anche un’altro significato. La chiesa nel quartiere di Alsancak, la zona in cui abita la maggior parte dei fedeli, è testimone dei nostri giorni felici e tristi… Possiamo dire che la maggior parte delle famiglie cattoliche di Smirne ha stretti legami di parentela a causa dei matrimoni lungo il corso dei secoli… È questo il luogo che ci unisce. A Natale e a Pasqua, tutti i figli della Chiesa di Smirne, dispersi nel mondo per diversi motivi tra cui il lavoro e lo studio, si sforzano di tornare nelle loro famiglie e nella loro culla culturale. Si riuniscono così in comunità tutti coloro che erano da tempo assenti. Du rante le omelie di Padre Stefano e Padre Giovanni rinasce dentro ognuno di noi la speranza di una nuova vita, eterna, felice, insieme con le nostre famiglie. Ecco, in quel momento, ci sentiamo già in Paradiso, siamo già con i nostri cari! Abbiamo detto che, per le comunità della diaspora, le chiese funzionano come punto di ritrovo per le famiglie e persone che non si vedono da lungo tempo… Dopo la Messa della Notte di Natale con i nostri cari padri Domenicani, che tradizionalmente inizia verso le ore 19.00, molti dei fedeli partecipano alla Messa di mezzanotte celebrata nelle altre parrocchie della città. Ci sono diversi motivi per questa doppia celebrazione… Alcuni di questi fedeli fanno parte al tempo stesso di più cori, altri desiderano ritrovare gli amici che ritornano a Smirne solo per questa occasione di Festa. Dopo la celebrazione della Messa, tutti rimangono tradizionalmente insieme… Nel grande cortile della chiesa dei padri Domenicani, ci si saluta e ci si augura buon Natale… Nelle altre chiese dove la Messa inizia più tardi, alla fine della celebrazione viene offerto tradizionalmente il “vin brulé”, caldo e con l’aggiunta di cannella. Si parla di quelli che non ci sono più… Si ritorna a volte all’infanzia. Tutti sono felici e nessuno si lamenta del freddo umido di Smirne. Però non si fa tardi, perché l’indomani, alle 11.00, il vescovo celebra per tutti la Messa! I giovani devono recarsi di buon’ora per dare una mano per i fiori da mettere sopra l’altare maggiore e per l’incenso! Spesso in queste occasioni si assiste a scenette come queste: - Padre Giovanni, dove sono i camici dei cherichetti e le partiture del coro? - Li ho dimenticati, ma... nessuno me l’aveva ricordato! - Opsss - Scherzo! Sono ancora in macchina, adesso li porta padre Stefano… Giovanni Bugra (Poyraz)

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BRASILE

La Messa di Natale in Brasile Devo confessare che il primo Natale che ho passato in Brasile è stato un po’ traumatico! Si canta-

va che Gesù è nato “al freddo e al gelo” e si grondava di sudore! Sì, perché in Brasile l’estate è in dicembre e gennaio; e il Natale si celebra come se da noi fosse celebrato in pieno Ferragosto! Sappiamo che la terra è rotonda, e nell’emisfero Sud le cose vanno al contrario dell’emisfero Nord. Così succede che in Italia il giorno dei Morti concide con l’autunno, quando la natura inizia a ‘morire’, le foglie ingialliscono e cadono, e cominciano le prime nebbie e i primi freddi. La natura aiuta così a celebrare il mistero della morte. Qui in Brasile invece il giorno dei Morti si celebra in piena primavera. In Italia la Pasqua coincide con il periodo in cui la natura ricomincia il suo ciclo di nuova vita, gli alberi si rivestono delle prime foglioline, e i primi tepori risvegliano la vita addormentata. In Brasile la Pasqua si celebra in autunno. Per fortuna qui da noi il contrasto tra le stagioni non è così forte come nell’altro emisfero, e così non si sente tanto l’incongruenza del calendario liturgico... al rovescio. E il commercio non si lascia certo intimidire per queste incongruenze liturgiche. Così da noi il Natale è celebrato come in Italia, con tante luci per le strade e sugli alberi, facendo timida concorrenza al solleone estivo. I Babbi Natale, poveretti, vanno in giro tutti “intabarrati” di rosso e incapucciati, come vuole la tradizione. La neve artificiale cade lentamente sui regali e sui prodotti di consumo esposti nei negozi. Il tutto in perfetta conformità con la sacrosanta tradizione occidentale! Ma è giusto riconoscere che, nonostante questa situazione anomala, il nostro Natale brasiliano non ha nulla da invidiare a quello del Nord, quanto a poesia e bellezza. Anche qui è la festa più sentita dell’anno, è la festa del cuore, dei regali, della famiglia. Qui da noi la Messa di Natale si celebra realmente a mezzanotte! E non c’è bisogno di intabarrarsi tanto per andare in chiesa. Anzi, si gode un po’ di freschetto, dopo una giornata di calore intenso. Una delle più belle Messe di Natale che ho celebrato in Brasile è stato qualche anno fa a Santa Cruz do Rio Pardo, dove abbiamo la grande Opera del Centro Social e Casa do Menor, fondata dal confratello domenicano frei Francisco Pessuto. La chiesa parrocchiale era strapiena di gente. Il grande presbiterio rigurgitava di bambini e adolescenti. Erano i ragazzi dell’Opera di frei Francisco. Era bello vedere tutte quelle faccette piene di vita, che facevano corona al Bambino Gesù adagiato nella culla, tra Maria e Giuseppe, ai piedi dell’altare. Li avevo voluti io in quel posto, i nostri ragazzi: a fare festa al Bambino nato povero nella grotta di Betlemme. Era quello il loro posto nella chiesa! Erano lì per dire qualcosa a tutti noi. Di fatto la gente contemplava con lo stesso sguardo, pieno di

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tenerezza, il Bambino e i bambini. Erano i bambini del Bambino; ed erano, allo stesso tempo, i bambini di tutta quella brava gente che ora riempiva la chiesa parrocchiale. Era la stessa gente che, in mille modi, ci sta aiutando ad accogliere, a proteggere dalla scuola della strada, alimentare, istruire, educare, preparare alla vita tutti quei ragazzi, fratellini prediletti del Bambino! Non mi sono certo lasciato scappare quella occasione preziosa per dire una cosa importante alla gente di Santa Cruz. Ho ricordato loro che quel Bambino non era povero, ma impoverito! Lui si era lasciato ‘impoverire’ per amore, facendosi vittima dell’egoismo umano, fin dal momento della sua nascita, quando nessuno aveva voluto accogliere la mamma incinta, e così Lui era nato in una stalla, scaldato dal fiato di due animali! Il Bambino ci ricordava che anche quei bambini che gli stavano attorno non erano poveri, ma erano stati resi poveri: erano stati ‘impoveriti’. Perché Dio aveva collocato in ognuno di loro uno scrigno pieno di cose belle, di qualità, di doni, di dignità e di valori. Ma qualcuno, o tanti insieme, tutti noi insieme, come società, li stavamo escludendo, e marginalizzando e umiliando, e opprimendo: li stavamo impoverendo! E loro erano lì in chiesa, attorno al Bambino impoverito, per ricordarci quello che il Bambino ci aveva insegnato con tutta la sua vita, con le sue parole e con le sue azioni, con il suo Vangelo. Ma tutti i nostri ragazzi erano lì, assieme a Gesù, anche per ringraziare le tante persone buone di Santa Cruz che, come i pastori, li stavano aiutando, attraverso l’Opera di frei Francisco, a rompere quella logica di impoverimento e a costruirsi un futuro migliore. Quei bambini, tutti insieme, erano come gli angeli che cantavano sulla grotta di Betlemme il “Pace in terra agli uomini di buona volontà”! Fu una commozione generale, fu una grande festa per tutti, quella Messa di Natale! La gente di Santa Cruz è tornata a casa portando nel cuore questo messaggio importante del Bambino. E anche i nostri ragazzi hanno sentito, ancora una volta, che non erano soli, che tanta gente voleva loro bene, che Gesù era realmente il loro Fratellino che li amava e che, con il suo esempio, aveva insegnato a tutta quella buona gente di Santa Cruz, e anche dell’Italia, ad amarli e aiutarli. Quella fu realmente una bella Messa di Natale, uno di quei momenti della vita del missionario che restano nella memoria e che fanno bene al cuore! frei Mariano S. Foralosso OP

CINA

Il Natale in un angolo della Cina: Hong Kong Hong Kong, accesso meridionale della Cina, festeggia il Natale con spirito molto commerciale.

Ben prima che venga annunciato il tempo di Avvento le vetrine si riempiono di decorazioni e confezioni natalizie, le strade di luminarie e alberi addobbati, finti Babbi Natale circolano ovunque. Le decorazioni appaiono gigantesche e spettacolari facendo bella mostra nelle vie più frequentate,

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nelle piazze e sugli edifici. Il visitatore occidentale si meraviglia non poco nel trovare questo clima fantasmagorico. Per la maggioranza della popolazione cinese, il Natale è un’occasione per fare festa e scambiarsi regali: ben pochi tuttavia conoscono l’autentico significato della ricorrenza cristiana. L’aspetto estremamente commerciale e superficiale contribuisce comunque a creare un’atmosfera che almeno serve a far inserire la festività in questa cultura tanto diversa. Di positivo c’è il fatto che in questo periodo si sviluppano numerose iniziative di apertura verso il prossimo con gesti di generosità che coinvolgono moltissimi cinesi. Centri per anziani, centri di accoglienza, orfanotrofi e istituti per disabili vengono visitati offrendo ai loro ospiti un po’ di distrazione e tanti regali. Fra le varie iniziative risalta la “Saint Claus Operation” ossia una “Promozione Babbo Natale”, indetta da un giornale e da una tv locali: si tratta di una tra le più conosciute e seguite opere tese a raccogliere fondi per il sostegno degli enti pubblici di beneficenza: il suo impatto sulla società cinese è davvero incisivo, con un crescendo di anno in anno. La comunità cattolica di Hong Kong costituisce il 5% della popolazione (circa 250.000 persone) ed appare stabile da lungo periodo, nonostante i 3000 battesimi annuali. La spiegazione sta nel fatto che molti cinesi arrivano in città ma poi se ne allontanano dopo qualche tempo alla ricerca di una sistemazione più consona: soprattutto per tale motivo il numero dei cattolici non riesce a svilupparsi. Sono tuttavia fedeli impegnati e in occasione del Natale – pur assecondando taluni aspetti più profani – i cattolici e i cristiani locali sentono la festa nel suo vero spirito: nelle chiese e nelle scuole religiose la ricorrenza del Natale viene preparata e celebrata con grande partecipazione, allietata nei giorni precedenti da recite e incontri amichevoli. La Messa di Mezzanotte viene celebrata in lingua cantonese in tutte le parrocchie (che sono una quarantina nella diocesi, suffraganea di Guangzhou, l’antica Canton) mentre in cattedrale si tengono due riti, nel pomeriggio della vigilia in lingua inglese e a mezzanotte la Messa solenne in cantonese. Per la minuscola comunità nazionale – ci ricorda suor Anna Viganò di Carate Brianza, dal 1973 attiva sul territorio cantonese come infermiera e insegnante – tutte le domeniche alle 11 si celebra una Messa in lingua italiana presso la chiesa della Canossian Mission di Caine Road: lo stesso avviene nel giorno di Natale (officiante don Franco Leo, un sacerdote canadese di famiglia italiana che parla molto bene la nostra lingua) ed è una bella occasione di incontro tra i connazionali presenti a Hong Kong. Appena superato il giorno di Natale (sin dal 26 dicembre!) luminarie e decorazioni vengono immediatamente smontate perché i cinesi intendono prepararsi con largo margine di anticipo (facendo nuovi e tipici addobbi pubblici) alla loro festività più seguita, che è costituita dal Capodanno. La data è assai variabile perché la gente segue l’anno lunare, per cui la ricorrenza cade – a seconda dei cicli – tra gennaio e febbraio. Si vive pertanto un lungo periodo di celebrazioni e di festa, in un tripudio di luci che rendono sfavillante l’area marittima del Victoria Harbour. Paola Cico de Antonellis

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CAMERUN

Anche in Africa è Natale! Fra le feste cristiane Natale è forse la più popolare e la più coinvolgente. Due ragioni sembrano

essere alla radice di questo fatto. Da una parte Natale segna l’inizio della nostra redenzione: questo significa che Natale è la premessa della Pasqua. Il Dio che soffrirà e risorgerà a Pasqua è quello che nasce a Natale. D’altra parte Natale cade alla fine dell’anno. A meno di sei giorni dalla fine dell’anno (il 25 dicembre). In Camerun, per esempio, Natale è considerato come il compleanno di Gesù. E chi di noi non festeggia il suo compleanno? La vita africana è particolarmente ritmata dalle danze. Danzare viene quasi naturale agli africani. In Camerun Natale è simbolo di festa per i bimbi. Non potendo ac contentarli con i regali, le parrocchie spesso organizzano le feste di Prima Comunione per Natale: così i bambini incontrano Gesù Bambino nei simboli eucaristici del corpo e del sangue di Gesù Cristo. In Camerun non ci sono gli adobbi di Natale lungo le strade: le luci molticolori, che vediamo spesso nelle strade in Europa, in Camerun non si vedono, ma sui visi si legge la gioia che vive nei cuori. Nelle grandi città di Yaoundè e Douala, per esempio, il Natale fa aumentare il traffico. Le famiglie che vivono nelle campagne vengono in città per approvvigionarsi dei prodotti di prima necessità come il sapone, il petrolio per le lampade, il sale; per qualcuno questa è anche l’unica occasione di regalarsi un vestito nuovo. Le donne durante l’anno organizzano piccoli gruppi di risparmio: Natale è il periodo propizio per restituire a ciascuna il frutto delle proprie economie. Per questo motivo molto cerimonie vengono rinviate verso la fine dell’anno. Nei villaggi il Natale è la festa della solidarietà. Alla sera tutti si radunano intorno al capo villaggio, e ognuno porta la sua cena per condividerla con gli altri: perché c’è anche qualcuno che non ha nulla e viene a mani vuote. Tutti mangiano e bevono le bevande locali, il vino di palma (chiamato matango, e bilibili); nei villaggi piu vicini alla città è possibile anche trovare delle birre, il cui costo è di circa un euro. Il pranzo di Natale di una famiglia camerunese è composto di carne di maiale, di pollo, di manzo e

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di capra, e anche di pesce di acqua dolce. Queste carni sono accompagnate da una grande quantità di piatti di verdura, differenti a seconda delle regioni. A Yaoundè, la capitale, dove ci sono i padri carmelitani, il pranzo natalizio tipico è composto dal pollo, riso e una verdura chiamata okoua!!! Molti mangiano bene soltanto una volta all’anno: il giorno di Natale! Anche per i sacerdoti, Natale è un tempo di grande animazione pastorale, i cori preparano i canti più gioiosi. Certi canti sono stati tradotti nella lingua del posto. “Tu scendi dalle le stelle” è stato tradotto in ewondo, la lingua liturgica della diocesi di Yaoundè (Abiali mbembe Mòn Zamba: oggi è nato per noi il celeste bambino). Nelle chiese si cerca di rendere partecipi tutti alla festa della nascita del nostro Salvatore. In Camerun per esempio mancare alla Messa di Natale è come saltare una parte del pranzo. Natale comincia in chiesa e continua a casa. Purtroppo, però, ci sono anche alcuni camerunesi che vanno a Messa solo a Natale. In generale solo i bambini delle (poche!) famiglie ricche sanno che a Natale si fanno regali. Per quelli delle famiglie povere l’abbondanza del pranzo di Natale è già un regalo, perché non mangiano spesso così bene e abbondantemente. Contrariamente a quanto succede in Occidente nessuno in Camerun ha l’ansia e la preoccupazione di fare i regali agli amici. Un regalo può essere fatto in qualsiasi momento dell’anno. Anche per i missionari il Natale è visto come un tempo di grazia, una festa della grande famiglia di Dio. Alcune famiglie invitano i sacerdoti a casa, altre invece portano in processione, insieme al pane e al vino che servono per la consacrazione, i loro doni: banane, pomodori, galline, ananas, olio eccetera... Il tutto è accompagnato da un canto ben ritmato con i balafon: fa venir voglia di cantare anche in chiesa. Ricordiamo però che il Camerun, come d’altronde gran parte del continente africano, vive una difficile situazione sociale, perché la miseria e la povertà colpiscono duramente le popolazioni. Essendo il tenore di vita molto basso e il potere d’ acquisto molto ridotto, si festeggia Natale come si può. La spesa per famiglia in generale è bassa, ma una famiglia camerunse spende quasi 50 euro per il pranzo di Natale: e si vede sui visi di tutti la gioia di vivere pur in in queste situazioni economiche molto difficili. L’Africa da tempo non vive una sola, ma molte crisi: crisi alimentare, crisi sanitaria, crisi del sistema previdenziale, crisi umanitaria eccetera. La nostra missione di pastori, in questi tempi difficili, è seminare la speranza.

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Il fine dell’evangelizzanzione è la conversione della coscienza personale e collettiva degli africani, ma anche il sostegno per migliorare la vita e il contesto socio-politico ed economico dei popoli. Il bambino che nasce a Natale ha qualcosa da dire anche agli africani: ecco perché l’azione evangelizzatrice si orienta non verso l’individuo isolato, e quasi avulso dal suo contesto, ma piuttosto verso l’uomo che è membro di una comunità e portatore di una cultura. È quanto sosteneva il Papa Paolo VI quando insegnava: «Si tratta ormai di evangelizzare non più in maniera decorativa, come una verniciatura superficiale, ma in maniera vitale, in profondità e sino alla radice, la cultura e le culture africane». Così diventa evidente che l’Africa potrà essere pienamente cristiana solo quando il cristianesimo sarà pienamente africano. Natale è festa di gioia per tutti i popoli: ognuno con le caratteristiche della propria cultura. Per questo chi viene in Camerun, per esempio, non mancherà di notare che l’Africa ha il suo modo di celebrare Natale e le altre feste con i suoi canti, i suoi balli e le sue abitudini alimentari. Natale è un tempo di grazia: è il momento giusto di spendersi per Cristo e costruire relazioni sociali veramente rinnovate per il bene di tutto il genere umano. Noi cristiani sappiamo e crediamo che Cristo è la pietra angolare della nostra fede. Cristo è la garazia e il fondamento della nostra speranza. In Lui, con Lui e per mezzo dello Spirito Santo, cerchiamo tutti insieme di costruire – al di là delle differenze culturali – un mondo dove regnino il diritto, la giustizia e la pace. Natale è anche questo!!! Un annunzio di pace a tutti i popoli. Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà!!! P. Emilio ocd, missionario carmelitano

POLONIA

La gioia della vigilia In Polonia il Natale è una festa vissuta con particolare intensità e partecipazione ed è ricca di tutta

una serie di usi e riti che risalgono alla millenaria tradizione cristiana di questa terra. La festa ha inizio alla vigilia: ogni famiglia si riunisce la mattina del 24 dicembre per addobbare l’albero di Natale e per preparare il presepe, che viene posto sotto l’albero. Sotto l’albero si colloca anche un tavolo ricoperto con una tovaglia bianchissima. Sopra di esso vengono posti alcuni rametti freschi di pino e, al centro, il pane eucaristico: si tratta di un’ostia rettangolare su cui è raffigurata, in bassorilievo, la Natività: esso verrà spezzato all’inizio della cena dal membro più anziano della famiglia e distribuito a tutti i commensali in segno di pace. Sotto al tavolo viene collocato un po’ di fieno che simboleggia la mangiatoia. Tutti questi preparativi sono accompagnati

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dai bellissimi canti natalizi che sono tipici della ricca tradizione polacca (si contano addirittura 250 canti!); le loro melodie risalgono spesso ai primi tempi dell’evangelizzazione di questa terra. Tutta la famiglia canta in coro e si prepara così alla Messa di mezzanotte. Anche gli animali non vengono dimenticati perché secondo un’antica tradizione essi, in questa notte santa, acquistano la facoltà di parlare come gli uomini. In campagna il capofamiglia si reca nella stalla per rivolgere loro un saluto (forse per ringraziare, così, il bue e l’asinello che hanno riscaldato Gesù). La sera si avvicina: quando in cielo compare la prima stella (che viene chiamata “stella di Betlemme”) ci si mette a tavola. Il pranzo è molto ricco ed è preparato con grande cura e amore. È composto di dodici portate in memoria dei dodici apostoli. Non bisogna poi dimenticare di preparare un posto per un ospite: la notte di Natale ogni famiglia apre la sua casa ad una persona sola, perché la festa di Natale sia davvero una festa di amore, di solidarietà, di condivisione. Questa è, anche, la sera dei doni e si pensa soprattutto ai bambini, che attendono con ansia questo momento. Il Babbo Natale della tradizione occidentale non è mai arrivato in Polonia: i bambini sanno che è la stella di Betlemme a portare loro i doni! Si avvicina, così, la mezzanotte. Le famiglie, unite, si recano in chiesa: questo è forse uno dei momenti più suggestivi di tutta la festa. I fedeli trovano infatti una chiesa buia e silenziosa. A mezzanotte in punto le campane iniziano a suonare, la chiesa si illumina e la santa Messa ha inizio. Una Messa che ha una caratteristica particolare e ricca di spiritualità: è interamente cantata da tutti i fedeli (e non da un coro più o meno professionale) tranne che nel momento dell’Eucaristia. La comunità testimonia così che la gioia per la nascita di Gesù è autentica solo se è condivisa e se esprime l’amore e la fratellanza che Gesù ci insegna e ci dona. Così il giorno di Natale accoglie i fedeli un po’ stanchi, ma ricchi di quella fede e di quella speranza che il Bambino ha portato sulla terra. La Polonia, terra profondamente cristiana, ha conservato queste tradizioni anche nei tempi bui della dittatura. Forse soltanto ai personaggi cosiddetti “pubblici” o comunque noti era richiesto un atteggiamento discreto, ma tutta la popolazione celebrava comunque la festa di Natale con entusiasmo e sincera partecipazione. Le chiese, sempre stracolme, testimoniavano che nessuno poteva spegnere la luce di Gesù. R.S.

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Dallo stupore e dalla gioia si giunge all’agire: col Verbo, fattosi uomo, nulla per noi è più come prima

La Messa di Natale: non un punto di arrivo, anzi, tutto ha il proprio inizio lì nell’Eucaristia

San Bernardo ci invita a diventare “un’altra Betlemme di Giuda”. Ed a vivere, rivestiti di fede e di bellezza, la dimensione della testimonianza. San Domenico ci spiega come: divenendo missionari, per rievangelizzare i popoli. Per questo ci offre due armi formidabili: la devozione mariana con la recita del santo Rosario e la preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico.

N

el Salmo 113 [112], 5s ci viene detto che “Dio si china a guardare nei cieli e sulla terra”. Ma Benedetto XVI, nell’omelia pronunciata per la Messa di Natale di tre anni fa, ci invita a considerare come questo sguardo non sia privo di conseguenze, poiché “il guardare di Dio – commentò il Santo Padre – è un agire”. In che modo? “Il fatto ch’Egli mi veda, mi guardi, trasforma me ed il mondo intorno a me”. Ci solleva, ci prende benevolmente per mano e ci aiuta a salire. Non a caso, infatti, la Scrittura precisa: “Dio si china”, cioè “viene, proprio Lui, come bimbo giù fin nella miseria della stalla, simbolo di ogni necessità e stato di abbandono degli uomini. Dio scende realmente”. Concetto, questo, che non a caso ritroviamo anche in Padre Tomas Tyn op e proprio in una sua omelia per il Santo Natale: “San Giovanni aggiunge che il Verbo era la vita – afferma – che il Verbo possiede la vita. Vedete, la vita non significa soltanto esistere, durare nell’esistenza. Significa agire, è agire in sé”. Per fare che cosa? A cosa siamo chiamati? “Il mondo diventa cinico – prosegue Padre Tyn – “il mondo diventa morto, privo dell’anima, cari fratelli! Ma noi cristiani, noi abbiamo la vita, noi abbiamo la luce, noi abbiamo la gioia, abbiamo la gioia, cari fratelli, la gioia che nessuno mai potrà prenderci! Vedete miei cari, questo nostro obbligo, l’obbligo della carità, tenere accesa la fiaccola della fede. Il mondo, cari fratelli, che orrore, il mondo non sa celebrare il Santo Natale!”. Ecco perché e per chi tenere accesa la fiaccola della fede... “Tutti sentiamo un certo disagio – prosegue Padre Tyn – Talvolta si sente dire: Natale consumistico. Mangiare bene a Natale è un dovere, san Tommaso lo dice chiaramente. San Tommaso dice così: ‘come peccherebbe un uomo che non digiuni in Quaresima, cioè che mangia e banchetta in Quaresima, così peccherebbe un uomo che digiunasse nelle grandi solennità della Chiesa”. Dove, allora, alberga la colpa? Dove viene snaturato, deformato, deturpato il vero senso del Natale? Nel fatto che “tutte queste Tradizioni, tutte queste osservanze, tutti quei riti, così commoventi, così belli, così profondi” vengano privati “dell’anima della fede! Se non c’è fede – afferma Padre Tyn – non c’è vita, perché non c’è il Verbo della vita”. Allora: “noi siamo credenti, dobbiamo esserlo con sicurezza, con convinzione, con gioia, che esulta in Dio per mezzo del Cristo e che si fa propagatrice della fede su tutta la faccia della terra!”. Attenzione, però, perché le nostre opere vanno alimentate. Scrive san Bernardo di Chiaravalle, nel primo sermone nel

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Natale del Signore: “Le opere buone devono essere condite con il fervore della devozione e con la dolcezza della grazia spirituale”. Nella dimensione del Natale si vive il senso più autentico e profondo della misericordia, dunque. La potenza del Signore già si è manifestata nella creazione delle cose e nel governarle, segni e prodigi l’hanno resa evidente ai Giudei; la maestà del Signore già si è manifestata ai filosofi, “poiché, secondo le parole dell’Apostolo, ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto (Rm 1,19)”. Ma la potenza esige sottomissione e la maestà ammirazione, “nessuna delle due vuole l’imitazione”, commenta san Bernardo. Per questo, “la bontà della misericordia si manifestò soprattutto ora, nell’umanità”. Affinché l’uomo, creato a Sua immagine, “possa conformarsi”. È la misericordia ad averci salvati, ad aver salvato tutta l’umanità. Ieri, oggi e domani. Poiché “è una sorgente che non potrà mai essere esaurita”, è la sorgente “da cui ci siamo lavati, come sta scritto:

‘Egli ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati’ (Ap 1,5)” attraverso il perdono. È la sorgente, che estingue la sete: “L’acqua della sapienza gli darà da bere” (Sir 15,3). Ed ancora: “La sapienza della carne, voluttuosa, non pura, è morte – precisa l’Abate di Chiaravalle – la sapienza del mondo, agitata, non pacifica, è nemica di Dio. Solo la sapienza che viene da Dio dà la salvezza”, poiché “è pura, non ricerca i suoi interessi, ma gli interessi di Gesù Cristo, in modo che ciascuno non faccia la propria volontà, ma consideri quale sia la volontà di Dio”. Da qui l’evidenza di come, proprio per tutto questo, il Bambinello, pur piccolo, non ci abbia donato poco. E ci abbia insegnato la discrezione. Nel proprio Vangelo, san Luca evidenzia un dato importante: il fatto che i pastori vegliassero. In loro – evidenzia Benedetto XVI nella citata omelia – “il senso di Dio e della Sua vicinanza era vivo”, non si rassegnavano cioè “all’apparente lontananza da Lui nella vita di ogni giorno”. Cosa accade ad un cuore vigilante? Ad esso “può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio”. Anche perché, fatto non secondario, “la venuta di Dio a Betlemme fu silenziosa”. O il cuore tende l’orecchio o non se ne rende conto. Nessun clamore, infatti, né ovazioni, né applausi, nessun ingresso teatrale, nessun colpo di scena: l’Altissimo, l’Onnipotente non si fece annunciare. “Soltanto i pastori che vegliavano – incalza il Sommo Pontefice – furono per un momento avvolti nello splendore luminoso del Suo

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arrivo e poterono ascoltare una parte di quel canto nuovo, che era nato dalla meraviglia e dalla gioia degli angeli per la venuta di Dio”. Ciò accadde allora, ciò accade ancora oggi: “Questo venire silenzioso della gloria di Dio continua attraverso i secoli. Là dove c’è la fede, dove la Sua Parola viene annunciata ed ascoltata, Dio raduna gli uomini e si dona loro nel Suo Corpo, li trasforma nel Suo Corpo. Egli ‘viene’. E così si desta il cuore degli uomini”. Ieri come oggi. Ecco perché è così importante tutto questo. Perché “solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo”. E, per cambiare “gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte” grazie al Bambino. Anche più avanti e sino all’Orto degli Ulivi, ripetutamente il testo sacro ci invita a questa vigilanza reale, concreta, a restare svegli per accorgerci della venuta del Signore ed esservi di conseguenza preparati. Sempre. In ogni tempo. Contemplare incantati il Mistero immenso dell’Incarnazione, la Bellezza del Mistero di Dio, che si rivela come “Dio con noi”: è questo ciò che rivive nelle celebrazioni liturgiche del Tempo di Natale, in particolare nella Santa Messa della Notte, la cui nota tipica, dominante, è quella dello stupore. Del resto, “possiamo non stupire?”, si chiede san Bernardo nei “Discorsi”. Ed incalza: “Potremo mai essere abbastanza stupefatti? Con Gesù è la Salvezza a venirci incontro”. Da qui sgorga la gratitudine e sovrabbonda la gioia. La gioia non è una dimensione da sottovalutare. Oggi da più parti si tende a rimarcare la fatica del credere, del dubbio, della fragilità. Che pur non mancano, specie in certi momenti della vita o di fronte a particolari prove; ma è sbagliato ed estremamente pericoloso attardarsi su tali aspetti, anche perché – come dice la Sacra Scrittura – “Dio ama chi dà con gioia” (2Cor 9,7). Commentò san Leone Magno Papa: “Rallegriamoci, non vi può essere spazio per la tristezza, là dove sono le radici della vita, là dove nasce la vita eterna ed imperitura”. Solo “alla luce del Verbo eternamente procedente dal Padre e fattosi uomo per la nostra salvezza, noi riscopriamo la grandezza della nostra umanità”. Allora, esortava san Leone Magno, “agnosce, Christiane, tuam dignitatem”, riconosci, o Cristiano, la tua dignità! Da qui, l’esclamazione di Atanasio: “Sono cose grandi!”, poiché realmente ci sottraggono, tutti noi creature ed in ogni tempo, al peccato ed alla morte. Niente meno. Affermò Padre Tyn nella citata omelia: “Certo, se siamo animaletti più o meno evoluti, come vorrebbe farci credere una certa pseudoscienza, è chiaro che la nostra responsabilità morale è poca cosa. E no! Il Verbo venne in mezzo a noi, il Verbo si fece carne! Perché? Perché il Verbo voleva ricondurre l’uomo alla dignità della sua condizione originale, alla santità della sua prima origine divina”. Ed ancora: “La salvezza dell’uomo è una restaurazione dell’uomo! Per essere ricreati, secondo il progetto originario architettonico del Re. Voler essere generati significa ricevere vita da Dio, niente meno che questo, ricevere vita eterna da Dio! Ecco, cari fratelli, qual è la nostra dignità, qual è la nostra responsabilità”. Allora, l’invito che nei citati “Discorsi” ci fa san Bernardo è a “diventare” noi stessi “un’altra Betlemme di Giuda”, affinché il Signore non disdegni di “essere vostro ospite”: “Non a Gerusalemme, la città dei Re della Giudea, nasce Gesù – spiega – ma a Betlemme, il più piccolo dei capoluoghi di Giuda. Piccola Betlemme, ormai esaltata dal Signore: l’Altissimo si è fatto minimo in te”. Essere un’altra Betlemme significa allora “nutrirsi del Pane della Parola divina”, per quanto se ne sia indegni; significa vivere “mediante la fede” e lasciar che da essa sgorghi di conseguenza la giustizia, anche quando lasci “a desiderare la vostra testimonianza di vita. Che la Giudea sia il luogo della vostra testimonianza; rivestitevi di fede e di bellezza”. Solo “allora potrete accogliere senza paura Colui che nasce a Betlemme di Giuda, Gesù Cristo, Figlio di Dio”. Dove poter svolgere tutto questo? Quali gli ambiti? Questi ci vengono indicati con chiarezza da san Domenico di Guzman, il fondatore dell’Ordine dei Predicatori, che aveva individuato due enormi

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sfide per la Chiesa: l’esistenza di popoli non ancora evangelizzati e la lacerazione religiosa, che indeboliva la vita cristiana. Commentò Benedetto XVI nella catechesi dell’udienza generale del 3 febbraio 2010, svoltasi in Aula Paolo VI e dedicata proprio a san Domenico: “L’azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l’opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mete apostoliche che Domenico si propose di perseguire”. E che nulla han perso in termini di attualità: pensiamo quanto siano concrete come prospettive anche ai nostri giorni in società dilaniate dal relativismo, ferite dal positivismo, aggredite dalla secolarizzazione. Come riuscire in tale compito, certamente impegnativo? Il Santo Padre ci dice: con lo studio. “Domenico, con un gesto coraggioso – richiama Benedetto XVI – volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica e non esitò ad inviarli nelle Università del tempo”. Le Costituzioni dell’Ordine,

del resto, “danno molta importanza allo studio come preparazione all’apostolato. Esorto dunque tutti, pastori e laici – invita il regnante Pontefice – a coltivare questa ‘dimensione culturale’ della fede, affinché la bellezza della Verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata ed anche difesa”. Per questo, san Domenico offre anche due mezzi indispensabili, due armi formidabili, perché tale improbo compito abbia pieno successo ad maiorem Dei gloriam: la devozione mariana, “che egli coltivò con tenerezza – ricorda il Papa – e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà”; inoltre, altro strumento utile indicatoci da san Domenico per la Buona Battaglia cui san Paolo ci chiama, la preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Con tali difese, impossibile fallire. Si può, in quanto creature soggette al peccato, inciampare, si può cadere, ma poi ci si rialza e si riprende il nostro cammino spirituale. Allora, non solo durante la santa Messa di Natale, bensì ad ogni celebrazione liturgica si tenga presente come proprio lì, nell’Eucaristia, non vi sia un punto d’arrivo, come lì non finisca tutto, bensì tutto abbia realmente inizio. Proseguiamo il nostro cammino. Con gioia. Mauro Faverzani

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I misteri della vita di Cristo contemplati alla scuola della B. Vergine Maria III e ultima parte I misteri della vita pubblica di Gesù: a Cana e presso la croce

A Cana: Maria, Israele e la Chiesa Il quarto evangelista introduce Maria sulla scena della vita pubblica di Gesù proprio quando questi opera il primo dei «segni» a Cana di Galilea, segno rivelatore della sua gloria divina, che porta in sé la forza di condurre alla fede in lui. Gesù inaugura il tempo della nuova alleanza e comunica in pienezza i beni salvifici, simboleggiati con efficacia dal denso simbolismo nuziale e dalla trasformazione dell’acqua in vino (Gv 2,1-12). Gesù compie il miracolo dietro la sollecitazione premurosa e discreta della madre, la quale lo aveva avvertito: «Non hanno vino» (Gv 2,3). «Mossa a compassione, ottenne con la sua intercessione che il Messia Gesù desse inizio ai suoi miracoli». Se Gesù acconsente alla richiesta, lo fa – non mi sembra fuori luogo affermarlo – anche perché ha saputo guardare alla necessità improvvisa in cui si erano venuti a trovare gli sposi con la sensibilità, tipicamente femminile e materna, di colei che non vuole rinunciare al proposito di provvedere a un bisogno, di colmare un «vuoto» che, altrimenti, nessuno avrebbe potuto colmare. Resta comunque accertato che con la risposta data inizialmente: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora» (Gv 2,4), Gesù ha inteso spostare l’attenzione della madre dal piano materiale – la «mancanza » del vino – al piano spirituale/salvifico, cioè al solo «dono» che può colmare la vera «indigenza» in cui si trovano gli sposi e gli invitati. Si tratta del dono messianico ed escatologico del Vangelo, della parola di verità e di vita eterna in cui trova compimento la Legge di Mosè, simboleggiata dall’acqua che i servi avevano versato nelle sei anfore. «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17). L’indigenza che il Messia Salvatore viene a colmare coincide, in sostanza, con il passaggio dall’Antica alla Nuova Alleanza, con l’inizio della nuova creazione e del nuovo popolo dei credenti. In questo «inizio» si trova coinvolta, come protagonista, anche sua madre. Lei – che raffigura qui Israele, il popolo dell’Alleanza, come si evince dall’appellativo «donna» con cui era stata interpellata dal Figlio – si colloca in via definitiva sul piano della fede, disponendosi ad obbedire in tutto e

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per tutto. Perciò invita i servi a fare altrettanto, indirizzando loro un’esortazione in cui riecheggia la formula con la quale Israele aveva accolto e ratificato l’Alleanza ai piedi del Sinai: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5). Alla luce di queste parole – che sono le ultime pronunciate da Maria nel racconto del quarto evangelista – si comprende bene che lei comincia a svolgere la sua mediazione materna ponendosi all’interno del gruppo di quanti credono in Gesù e formando un’unica comunità insieme a loro. Così può testimoniare che il fare la volontà di Dio coincide ormai, in via definitiva, con il seguire, amare e servire Gesù Cristo. Presso la croce di Gesù: la compassione e la maternità spirituale di Maria Il cammino di sequela percorso da Maria raggiunge il culmine «presso la croce di Gesù» insieme ad altre tre donne e al discepolo che Gesù amava, stando strettamente unita al Figlio crocifisso (cf. Gv 19,25). Lei, la donna veramente sapiente, ora comunica al Figlio tutto il suo amore straziato dal dolore; nessuna creatura umana saprà mai avere «compassione» di lui come l’ha avuta lei. Lei ha condiviso l’incommensurabile dolore redentore e salvifico patito da Gesù per amore del genere umano, e questa esperienza fuori dell’ordinario è stata per lei come un «martirio», in cui viene a sfociare e a concludersi la sua peregrinazione nella fede; un martirio che l’ha legata ancora di più a lui, grazie allo Spirito Santo. Nello stesso tempo, Gesù morente sulla croce sperimenta e fa suo il dolore provato dalla madre, come pure il dolore provato dalle altre donne e dal discepolo prediletto, mentre, sostenuto dallo Spirito Santo, sta consumando l’offerta sacrificale ed amorosa di sé al Padre per la salvezza del mondo (cf. Eb 9,14). Il supremo atto redentore e salvifico che sta compiendo genera la vita: in un primo momento affida alla Madre il compito della maternità spirituale nei confronti di tutti gli uomini, specialmente dei suoi discepoli, e al discepolo amato quello di accogliere Maria con amore filiale (Gv 19,26-27); successivamente, dal suo fianco trapassato dalla lancia del soldato escono sangue e acqua, che simboleggiano l’Eucaristia e il Battesimo, l’inizio e la crescita della Chiesa (Gv 19,34). Richiamando l’attenzione sull’importanza teologica della connessione esistente tra questi due episodi che evidenziano la fecondità salvifica inerente alla morte di Gesù, propongo ora qualche considerazione sul primo. La nuova maternità di Maria, generata dalla fede, «è frutto del “nuovo” amore, che maturò in lei definitivamente ai piedi della Croce, mediante la sua partecipazione all’amore redentivo del Figlio». A sua volta, il discepolo prediletto – che si trova in una posizione ben profilata, segnata da una prossimità fisica e amorosa allo stesso tempo: strettamente unito a Gesù e «accanto» a Maria – riceve il dono di una nuova relazione con la madre di Gesù. La accoglie «con sé». L’espressione non si riferisce solo a una casa materiale. C’è molto di più. Maria è entrata a far parte, definitivamente, della sua identità, dei suoi beni preziosi, della sua missione. Per amore di Gesù, per la fede che ha in lui, il discepolo prediletto si dispone ad amare Maria come «sua» madre, a stabilire con lei un rapporto di comunione stabile, di tipo filiale; certamente, si dispone ad amarla con l’intenzione di imitare anche

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in questo il suo Signore e Maestro, di attingere dall’amore con il quale è da lui amato e di testimoniarlo a colei che è diventata sua madre spirituale. Conclusione Il percorso contemplativo sin qui tracciato dovrebbe intraprendere ora la direzione segnata dalla via pulchritudinis. La prima strofa del celebre inno mariano – composta da un versetto del Cantico dei Cantici (Ct 4,1) – invita a contemplare una bellezza che raffigura, plasticamente, la condizione di donna Piena di grazia e Tutta Santa; la donna vestita di sole evocata dal libro dell’Apocalisse (Ap 12,1) che riflette, in modo singolare, la santità di Dio Uno-Trino. La bellezza ineffabile della beata Vergine Maria riveste la forma e la forza di attrazione che provengono dalla sua maternità divina, unitamente al suo «sentire» materno e alla sua santità. Va pensata sia come effetto della partecipazione, per opera dello Spirito Santo, alla grazia e alla bellezza del suo Figlio Gesù Cristo, sia nell’ottica della piena armonia morale e spirituale che ne qualifica la personalità. È raffigurata soprattutto dal «pellegrinaggio di fede» che lei ha percorso durante la vita terrena; assume i tratti delle sue virtù solide, evangeliche; è stata compenetrata dalla compassione struggente provata per le sofferenze patite dal Figlio, culminate nella morte di croce, come pure dalla compassione amorosa e solidale per le necessità dell’umanità e della Chiesa, per le quali intercede continuamente presso Dio. Questa bellezza è ormai perfettamente trasfigurata dalla partecipazione alla gloria del Figlio Risorto e Asceso alla destra del Padre per il dono dell’assunzione in cielo. Glorificata in corpo ed anima, è immagine e primizia della chiesa che sarà portata a compimento nel futuro, ma nel frattempo brilla quaggiù come segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in cammino, fino a quando arriverà il giorno del Signore (cf. 2 Pt 3,10).

Chi volesse approfondire le tematiche affrontate in questo libro da Vincenzo Battaglia, frate minore, professore ordinario di Cristologia alla Pontificia Università Antonianum, decano della Facoltà di Teologia della medesima Università e Presidente della Pontificia Accademia Mariana Internazionale può acquistare il volume presso ESD: via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna tel. 051582034 e-mail:acquisti@esd-domenicani.it oppure ordinarlo direttamente a P. Mauro Persici cell. 335 5938327 mail info@sulrosario.org

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usare bene internet I video presentati in queste pagine li potete trovare su: http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-sul-rosario.html http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-interessanti.html http://www.sulrosario.org/libreria/video-gallery/video-misteri-del-rosario.html

Consueverunt Il Documento è del 1569, firmato da san Pio V ed è, a ragione, definito il primo testo papale ufficiale che parla del Rosario, che – oseremo dire – lo raccomanda; che ne fa una bellissima presentazione... Vogliamo affidarlo alla vostra attenzione perché anche voi possiate poi farlo conoscere ad altri...

Il Papa invita alla lettura della Bibbia Questi suggerimenti del Papa sono davvero preziosi, oltre che urgenti. Non sprechiamo questa occasione, impariamo a conoscere davvero la Bibbia ed offriamola al Prossimo perchè, come ci rammenta Gesù: non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Grazie Santo Padre!!

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Terzo mistero gaudioso “Terzo mistero gaudioso”: la nascita di Gesù. Che cosa è il Natale per noi? Dedichiamo davvero il nostro tempo a questo Dio che per noi si è fatto Bambino? Le belle immagini che raffigurano le scene del Natale non devono rimanere semplicemente “appese” ai muri, piuttosto devono prendere vita dentro il nostro cuore con la stessa premura che ebbe la Madre nel prendersi cura di quel Bambino!

Liturgia e preghiera: San Domenico “Liturgia e Preghiera - San Domenico”: Ogni buon cuoco conosce l’arte di riutilizzare gli avanzi e ciò che vedete e sentite sono gli avanzi utilizzati e non utilizzati per un video/filmato in argomento, che qui viene riproposto nella sua prima parte, ma rielaborato e aumentato nei contenuti e nelle immagini, anche se ovviamente non si utilizzano filmati. In questa prima parte sarà possibile vedere i quattordici modi di pregare di san Domenico con le immagini tratte da un codice manoscritto conservato nel Convento Patriarcale di San Domenico in Bologna. Si tratta di un inedito e di una prima assoluta.

Una Rosa Bianca ai Sacerdoti “Rosa bianca ai sacerdoti”: Vi offriamo una serie di 4 video attraverso i quali avvicinarsi con gioia alla Corona benedetta, sfogliando alcune pagine del "Segreto ammirabile del santo Rosario" di san Luigi Maria Grignon de Montfort. Dalla stessa Presentazione del Santo, infatti, abbiamo sbriciolato per voi il dono delle 4 Rose: il primo video che qui già potete visionare è dedicato alla Rosa Bianca per i Sacerdoti.

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XXV di P. Mauro Fontanellato, 25 settembre 2011

La Domenica 25 settembre 2011, oltre alla gioia cristiana di ogni domenica, ha portato con sé la festa per il XXV di ordinazione sacerdotale di P. Mauro Persici. Il clima di via vai festivo è iniziato alla mattina, ma per ragioni tecniche l’Eucaristia del XXV è stata celebrata al pomeriggio, con il santuario di Fontanellato gremito di parenti, amici e frequentatori stessi del santuario che da tempo hanno potuto conoscere e apprezzare P. Mauro. Nell’omelia il priore provinciale ha ricordato l’esigenza e la bellezza del ministero della predicazione per portare i credenti ad avere in se stessi gli stessi sentimenti di Cristo (seconda lettura: Fil 2,1-11), ma ancora per convertirsi continuamente a seguito di una parola chiaramente proclamata e che tocca la nostra vita (prima lettura: Ez 18,2528). Il sacerdote poi rende vera e completa tale conversione attraverso il sacramento della penitenza, rimettendo i peccati, e di questo deve rendere grazie in ogni anniversario e anzi ogni giorno. Al di sopra di tutto la celebrazione dell’Eucaristia feriale, ma soprattutto festiva, permette ogni volta di prendere veramente parte all’abbassamento e alla glorificazione del Signore attraverso la sua passione, morte e risurrezione. E sono venticinque anni che P. Mauro ha il ministero e il dono di predicare, assolvere i peccati, presiedere l’Eucaristia. E la sua gioia e il suo grazie sono la gioia e il grazie di tutti. Il ministero sacerdotale di P. Mauro, sia per disposizione dei superiori sia per sua corrispondenza e convinzione, è stato sempre più caratterizzato dalla dimensione mariana attraverso la promozione del Rosario. Non si tratta di fare qualcosa di diverso da quanto sopra, ma di farlo in unione a Maria, dal suo “punto di vista” e con il suo aiuto. Anche questo è un dono del quale rendere grazie. Come da tradizione, all’Eucaristia è seguito un abbondante rinfresco o spuntino pomeridiano, allestito da amici e collaboratori. Poiché, ringraziando i presenti, P. Mauro ha spiegato che quella di Fontanellato è una comunità “fantastica”, il “fantastico” si è materializzato in una filastrocca con tanto di chitarra da parte di fra Vincenzo Della Pietra che, a suon di rime e con qualche amabile stecca propria delle piacevoli cose fatte in casa, ha ripercorso la vita e l’attività di P. Mauro. E tutti si sono associati al coro augurando che la filastrocca possa crescere negli anni a venire, con la benedizione del Signore. Eli Rab


Un pensiero di ringraziamento a Maria Santissima per aver messo Padre Mauro al mio fianco Caro Padre Mauro, come dicevo a Loreto in occasione del raduno regionale del Rosario, ringrazio la Madonna che mi ha preso per mano e ti ha messo al mio fianco. Ho iniziato a recitare una decina del S. Rosario, iscrivendomi al Movimento Domenicano. Col passare del tempo ho sentito nascere dentro di me il desiderio di recitare il S. Rosario per intero, piano piano ho iniziato ad amare questa preghiera, ogni giorno sempre di più, e ad indossare al polso un rosario, perché ormai fa parte di me. Mi sono accorta che nel mio cuore è entrato Gesù, di provare una gioia immensa quando penso a Lui e, che la mia vita è cambiata tanto. Sono cambiata in famiglia, al lavoro, e con la persone che incontro. Vorrei tanto che tutti potessero fare la mia stessa esperienza, per questo dico di lasciarsi guidare da Maria santissima per arrivare a Gesù. Grazie, Signore, del dono di Padre Mauro, un abbraccio per i tuoi 25 anni di sacerdozio, il Signore ti protegga sempre. Alessandra

"Fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi" (II Pietro 1,10)

Un ringraziamento e una preghiera 25° Ordinazione sacerdotale fra Mauro Persici o.p. Bologna, 20 settembre 1986 Fontanellato, 25 settembre 2011


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Il Movimento del Rosario e la sua rivista ROSARIUM vivono della divina Provvidenza che passa attraverso la caritĂ dei fedeli piĂš sensibili

In caso di mancato recapito inviare all’ufficio di Bologna CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa


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