Meditazioni sulla preghiera del santo Rosario (II) a cura del P. Angelo Bellon o.p. Come è fatta la preghiera del Rosario Il Rosario consta di due elementi: uno materiale e l’altro spirituale. L’elemento materiale consiste nell’enunciare i misteri e nel proferire il Padre nostro, le varie Ave Maria e il Gloria al Padre. Sotto questo aspetto è una preghiera semplicissima e proprio per questo accessibile a tutti. L’elemento spirituale consiste nella contemplazione del mistero. Va sottolineato che questo è l’elemento specifico del Rosario. Se mancasse, si avrebbe la recita di tanti Pater e Ave, preghiere senza dubbio eccellenti, ma non si avrebbe il Rosario. Non sarebbe più il Vangelo trasmesso alla nostra vita. Ancor più, se si recitassero le varie preghiere, ma non si enunciasse il mistero e non si facesse la relativa contemplazione, ci si troverebbe di fronte ad una preghiera anche abbastanza lunga e certamente meritoria, ma non avremmo ancora il Rosario. Con questo, non si vuole concludere che chi fa così non prega. Semplicemente si vuol dire che non ha pregato con il Rosario, perché il Rosario è un’altra cosa. In proposito Giovanni Paolo II ha scritto: “Il Rosario... è una preghiera spiccatamente contemplativa. Privato di questa dimensione, ne uscirebbe snaturato, come sottolineava Paolo VI: «Senza contemplazione, il Rosario è corpo senza anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di
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contraddire all’ammonimento di Gesù: ‘Quando pregate, non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità’ (Mt 6, 7). Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il Cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze»” (Rosarium Virginis Mariae, 12). Che cosa si deve fare nella contemplazione? Nella contemplazione dei misteri si devono fare essenzialmente tre cose: la ripresentazione dell’evento di salvezza (mistero), il ringraziamento per l’evento compiuto da nostro Signore, la supplica a Dio in virtù dell’evento compiuto. La ripresentazione o ricostruzione della scena è il primo atto da compiere. Sotto questo aspetto si vede subito che diventa difficile contemplare l’evento se non lo si conosce. Il Rosario non sostituisce il Vangelo, ma parte dal Vangelo, lo presuppone. E, senza dubbio, non vi è migliore maniera di ripresentare alla nostra mente l’evento di salvezza che immergersi nei sentimenti di Gesù, che è il protagonista di ogni evento, e di rivivere quello che Egli stesso ha vissuto in quel frangente. Ci si accorge subito che una tale maniera di pregare è davvero bella, fruttuosa, ricca di tante illuminazioni e di ardore affettivo. Accanto a questa immersione, se ne può fare un’altra: quella di vedere il mistero con gli occhi di Maria. Può capitare abbastanza spesso che la decina finisca senza aver chiuso la rappresentazione della scena. Non ci si deve far scrupolo se gli altri due momenti della contemplazione rimangono ancora da fare. Né ci si deve far scrupolo se, enunziando un nuovo mistero, si continua la contemplazione del precedente. In fondo la recita materiale del Pater e delle Ave Maria è ordinata a farci sostare nella contemplazione della vita di Gesù. E se questa contemplazione si prolunga, significa solo che si sta pregando bene e con gusto.
Ripresentare l’evento vivendolo da protagonisti La ripresentazione della scena va fatta nella consapevolezza che Cristo in tutti gli attimi della sua esistenza ci ha tenuti costantemente presenti, perché in forza della sua perfettissima scienza personalmente ci vedeva, ci amava, e compiva le sue azioni salvifiche per ognuno di noi. La preghiera contemplativa tocca qui uno dei suoi punti più alti, perché si è all’unisono col pensiero e con il cuore di Cristo. Qualcuno, forse, può rimanere sorpreso nel sentire che Cristo per tutto l’arco della sua vita ha tenuto costantemente presente ciascuno di noi. E tuttavia questa verità rientra nel Magistero ordinario della Chiesa. È sufficiente ricordare un passo molto bello dell’enciclica Mistici Corporis: “Questa amantissima conoscenza, con la quale il Divin Redentore ci ha seguiti fin dal primo istante della sua incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché per quella visione beatifica di cui godeva fin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della
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Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo Mistico e le abbraccia col suo salvifico amore! (...) Nel presepio, nella croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti a sé tutte le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce se stesso” (Mistici Corporis, 76).
Ripresentare l’evento non significa solo ricordarlo, ma renderlo presente e operante Giovanni Paolo II nella lettera Rosarium Virginis Mariae si sofferma sul significato della ripresentazione dell’evento. Dice che gli eventi della vita di Gesù “non sono soltanto un ‘ieri’; sono anche l’’oggi’ della salvezza”. Per questo non si tratta solo di ricordare, ma molto più di attualizzare l’evento di salvezza, di renderlo presente, anzi contemporaneo alla nostra vita: “ciò che Dio ha compiuto secoli or sono non riguarda soltanto i testimoni diretti degli eventi, ma raggiunge con il suo dono di grazia l’uomo di ogni tempo”. Questo si realizza in maniera meravigliosa e perfetta nella celebrazione della Liturgia della Chiesa, ma non si esaurisce in essa. “In certo modo” lo si può rivivere “anche in ogni altro devoto approccio a quegli eventi: «farne memoria», in atteggiamento di fede e di amore, significa aprirsi alla grazia che Cristo ci ha ottenuto con i suoi misteri di vita, morte e risurrezione”. “Se la Liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare. L’immergersi infatti, di mistero in mistero, nella vita del Redentore, fa sì che quanto Egli ha operato e la Liturgia attualizza venga profondamente assimilato e plasmi l’esistenza”. In altre parole, il Rosario, sebbene non sia un’azione liturgica della Chiesa, prolunga nella nostra vita, anche al di fuori delle celebrazioni liturgiche, lo spirito della Liturgia. Dopo la Liturgia, che cosa c’è allora di più bello e di più salutare del Rosario? Non ci si stupisce allora delle parole proferite da Giovanni Paolo II il 29 ottobre 1978, ad appena due settimane dall’elezione alla Sede di Pietro: «Il Rosario è la mia preghiera prediletta. Preghiera meravigliosa! Meravigliosa nella sua semplicità e nella sua profondità. (...). Difatti, sullo sfondo delle parole Ave Maria passano davanti agli occhi dell’anima i principali episodi della vita di Gesù Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 2).
La ripresentazione va fatta anche immergendosi nel cuore e negli occhi di Maria Immergersi nei sentimenti di Cristo quando compiva i suoi atti salvifici è senz’altro una bella cosa. Ma è ancora più bella se ci si immerge immedesimandosi con i sentimenti di Maria. La recita cadenzata dell’Ave Maria non ha altro
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scopo che questo: di metterci “alla contemplazione del volto di Cristo in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima. Recitare il Rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 3). Certo, i misteri di Gesù si possono contemplare anche con altri metodi. Ma quando si contemplano con il Rosario, lo si fa “in compagnia e alla scuola della sua Madre Santissima”. Torneremo più avanti sulla preziosità del pregare con Maria. Per ora è sufficiente ricordare che facciamo la meditazione mettendoci dal punto di vista di Maria, che è il più alto, il più vicino a Gesù. “La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un’umana somiglianza che evoca un’intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di Lui già nell’Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2,7)” (Rosarium Virginis Mariae, 10). “Da allora il suo sguardo, sempre ricco di adorante stupore, non si staccherà più da Lui. Sarà talora uno sguardo interrogativo, come nell’episodio dello smarrimento nel tempio: «Figlio, perché ci hai fatto così?» (Lc 2,48); sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere nell’intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte, come a Cana (cfr Gv 2,5); altre volte sarà uno sguardo addolorato, soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della ‘partoriente’, giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte dell’Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo prediletto (cfr Gv 19,26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardente per l’effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1,14)” (Rosarium Virginis Mariae, 10).
P. Angelo Bellon, domenicano, docente di teologia morale, cura il sito “Amici domenicani”. Risiede attualmente nel convento di Genova e cura la casa di Alessandria.
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